XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Giovedì 6 agosto 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE EVENTUALI INTERFERENZE STRANIERE SUL SISTEMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Audizione di Luca Lovisolo, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali.
Fassino Piero , Presidente ... 3 
Lovisolo Luca , ricercatore ed esperto di relazioni internazionali ... 3 
Fassino Piero , Presidente ... 10 
Lovisolo Luca , ricercatore ed esperto di relazioni internazionali ... 11 
Fassino Piero , Presidente ... 11 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 11 
Lovisolo Luca , ricercatore ed esperto di relazioni internazionali ... 12 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 13 
Lovisolo Luca , ricercatore ed esperto di relazioni internazionali ... 13 
Fassino Piero , Presidente ... 14 
Lovisolo Luca , ricercatore ed esperto di relazioni internazionali ... 14 
Fassino Piero , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 9.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Luca Lovisolo, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva delle eventuali interferenze straniere sul sistema delle relazioni internazionali della Repubblica Italiana, l'audizione del dottor Luca Lovisolo, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali.
  Ringrazio il dottor Lovisolo di essere qui e gli do il benvenuto. Il dottor Lovisolo opera come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Studia, in particolare, l'Europa dell'est e la Mitteleuropa, ma segue anche l'attualità italiana negli aspetti che hanno riflessi internazionali. Il suo interesse per le relazioni internazionali nasce da vent'anni di lavoro come traduttore e consulente d'azienda nell'Europa orientale ed occidentale per le imprese del settore metalmeccanico, studi legali, agenzie di traduzione. Nel suo blog cerca di offrire ai lettori una panoramica dell'attualità internazionale, guardando alle relazioni internazionali, preferibilmente dal punto di vista storico, culturale e del diritto anziché in prospettiva esclusivamente politica. Ha seguito da vicino gli eventi in piazza Maidan a Kiev, approfondendo l'analisi giuridico-costituzionale dei mutamenti di potere avvenuti durante le proteste contro il Presidente allora in carica e la realtà linguistica delle diverse parti del Paese. Tra le altre cose, ha lavorato all'analisi degli atti del processo che nel 1989 ebbe per esito la condanna a morte del presidente della Repubblica socialista di Romania Ceausescu e sua moglie Elena. Si è interessato all'influenza della Russia nelle vicende dei Paesi occidentali e alla relazione tra la scena culturale russa e gli sviluppi della propaganda governativa. Al riguardo, in un recente saggio intitolato Il progetto della Russia su di noi, il dottor Lovisolo illustra la strategia di Mosca per conquistare sempre maggiore influenza in Europa, imponendo la sua egemonia ed il suo sistema autoritario come alternativa allo Stato di diritto europeo.
  Ciò premesso, do la parola al nostro ospite, affinché svolga il suo intervento. Grazie.

  LUCA LOVISOLO, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali. Grazie, presidente. Devo precisare di non essere dottore, per correttezza di titolo. Onorevole presidente della Commissione, onorevoli deputate e deputati, signore e signori in collegamento video, grazie per avermi offerto l'opportunità di essere ascoltato su una materia che mi sta particolarmente a cuore ed è oggetto della mia attività professionale. Ho elaborato questa relazione in base al programma dell'indagine conoscitiva da loro avviata sulle eventuali interferenze straniere sul sistema delle relazioni internazionali dell'Italia. In particolare, mi riferisco a queste due considerazioni: il diritto internazionale pone l'obbligo a carico di tutti gli Stati di non interferire negli affari interni Pag. 4di un altro Stato e poi a livello regionale assume particolare rilievo il conflitto tra due poli di influenza nell'est Europa, sfociato in vero e proprio conflitto armato in Ucraina.
  Lo scopo della mia relazione è formulare le mie risposte ai quesiti di cui ai punti b) e c) del programma dell'indagine conoscitiva: punto b), la possibile evoluzione degli assetti geopolitici dell'Italia, della sua collocazione europea derivante dall'influenza esercitata da attori statuali e non nonché da forze politiche di Paesi esteri; punto c), l'eventuale esistenza di veri e propri piani internazionali tesi a condizionare le fondamenta e l'architettura delle alleanze internazionali dell'Italia in ambito NATO e Unione europea.
  Parlerò per circa trenta minuti. La mia relazione si articola in questi punti: premessa sulle motivazioni del mio lavoro di ricerca; la fondazione accademica delle attività tese a condizionare le alleanze internazionali dell'Italia e dell'Europa; la guerra ibrida come strumento di attuazione; azioni possibili per contrastare il fenomeno delle influenze straniere; conclusioni.
  Punto primo, premessa e motivazioni: le mie considerazioni si fondano sul mio lavoro di ricercatore indipendente iniziato sulla base della mia precedente esperienza di traduttore e consulente di commercio estero per imprese di vario genere, anche verso l'Europa orientale. Le cose che dirò si basano su fonti accademiche, giornalistiche e scientifiche alle quali ho accesso diretto e nelle lingue originali. Come loro ricordano, tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 incominciò ad alzarsi la tensione in Ucraina. Migliaia e migliaia di ucraini di ogni estrazione sociale, convinzione politica e credo religioso affollarono per settimane a Kiev Majdan Nezaležnosti, piazza dell'Indipendenza, mentre la situazione politica del Paese precipitava. Nella sua parte orientale l'Ucraina perdeva di fatto la sovranità su due ampie regioni intorno alle città di Donetsk e Lugansk, nonché sull'intera penisola della Crimea. I media occidentali riferivano che la causa di quel conflitto era nelle tensioni etnico-linguistiche fra comunità di lingua ucraina e comunità di lingua russa. Abituato a confrontarmi con le questioni linguistiche, quella spiegazione mi sembrò subito sospetta di falsità. Le frizioni tra le numerose minoranze esistono in Ucraina. Esse senza dubbio sono acuite dal passato sovietico. In nessun caso però avrebbero causato un conflitto armato. Era chiaro che qualcuno soffiava sul fuoco dall'esterno. Chi si fosse sintonizzato sui media di Stato della Federazione russa avrebbe osservato che in quelle settimane venivano trasmessi a intervalli regolari i soliti spot che esaltavano la memoria della «Novorossiya» ossia la «Nuova Russia», regione storica corrispondente all'attuale Ucraina sudorientale, con capoluogo la città di Odessa e fino a inizio Novecento parte dell'Impero russo. Anche i commenti dei politologi e degli analisti sui giornali e altri organi di informazione russi muovevano tutti in quella direzione. Il progetto era chiaro: indebolire lo Stato ucraino sino a incorporarlo o renderlo poco più di una formalità geopolitica. Era altrettanto chiaro che la ratio ultima di quel conflitto non era nemmeno la questione della mancata firma dell'accordo di associazione tra Ucraina e Unione europea.
  Eravamo di fronte a un mutamento di equilibri geopolitici. Tornava alla mente come un lampo il discorso tenuto da Vladimir Vladimirovič Putin nel 2007 alla Conferenza internazionale di Monaco sulla sicurezza: la Russia avrebbe agito in ogni modo per ricostruire un sistema di influenze contrapposte contro un mondo unipolare a guida occidentale. Quel discorso non diceva cose nuove. I primi accordi di quella musica si sentivano già in alcune correnti della Russia di Eltsin nelle voci di Yevgeny Maksimovich Primakov e di Aleksandr Vladimirovič Ruckoj. Per la prima volta, però, il progetto della Russia su di noi – come l'ho chiamato nel mio ultimo libro – veniva codificato con unitarietà e universalità. Ci si trovava di fronte a un conflitto insolito: gli spot televisivi, l'allineamento dei media su messaggi ripetitivi e ossessivi, l'impiego di mezzi militari senza targhe e di soldati senza mostrine che venivano presentati dalle fonti di Mosca come milizie locali formatesi in quelle regioni Pag. 5ucraine per combattere una guerra civile. Se intervistate dalle tv, però quelle soldataglie non parlavano russo con l'accento tipico di quelle regioni, facilmente riconoscibile: stranamente si esprimevano con cadenze della vicina Federazione russa; poi le missioni umanitarie condotte dallo Stato aggressore sul territorio dello Stato aggredito, la martellante presenza in internet di messaggi che definivano gli ucraini e il loro Paese tout-court come fascisti o nazisti, senza peraltro dare alcuna motivazione logica a questa infamante sentenza. Cominciai a studiare da vicino i fatti dell'Ucraina, a viaggiare in diverse città del Paese. Avevo capito che quel conflitto non era questione che riguardava solo gli ucraini. Avevo la convinzione – confermata poi dai fatti di cui parliamo qui oggi – che chi allora soffiava e ancora soffia sul conflitto in Ucraina tosto o tardi, con un mezzo o con l'altro, sarebbe arrivato anche da noi.
  Passiamo ora alla fondazione accademica del progetto russo. Tra gli altri obiettivi la loro indagine conoscitiva si chiede se esistano veri e propri piani internazionali tesi a condizionare le fondamenta e l'architettura delle alleanze internazionali dell'Italia in ambito NATO e Unione europea. Una strategia destinata a mutare gli assetti delle alleanze internazionali in Europa e non solo in Italia esiste e trova puntuale riscontro nei fatti oramai da anni. Si tratta di un progetto unitario, concepito a Mosca. Il progetto si chiama Eurasia o neo-Eurasia e noi tutti ne siamo parte. La figura più nota fra gli autori di questo progetto è il politologo russo Aleksandr Gelyevich Dugin. Molti, forse troppi, negano o non riconoscono la relazione diretta fra il suo predicato e le azioni del Cremlino: studiare le sue opere fuga ogni dubbio. Non ci si può accontentare di leggere qualche suo libro, magari tradotto in italiano. Bisogna ascoltare i suoi seminari tenuti fra il 2011 e il 2013 per il Centro di ricerche sul conservatorismo diretto da Dugin stesso presso la facoltà di sociologia dell'Università statale di Mosca. Significa passare decine di ore all'ascolto di lezioni di filosofia politica in russo: mi credano, è tutto piuttosto difficile e molto noioso, ma se non si fa questo lavoro, le mosse di Putin e della Russia sullo scenario globale restano fili che penzolano senza un perché. L'Eurasia non è solo un concetto geografico. Dugin stesso la definisce una costruzione razionale, canonica e di valori. L'Eurasia, in una parola, è un'ideologia, l'ideologia per il ventunesimo secolo che supera e sostituisce le tre precedenti, liberalismo, fascismo e comunismo: da qui la quarta teoria politica che Dugin pone alla base del progetto Eurasia: nell'Eurasia ci siamo anche noi. È uno spazio che vuole unire Russia, Asia centrale, Caucaso ed Europa in un triangolo ideale che va da Vladivostok, a Lisbona, a Tbilisi.
  Per Aleksandr Dugin l'Eurasia si oppone all'Occidente. Noi italiani, tedeschi, francesi subiamo l'influenza impropria del capitalismo anglosassone, ma il nostro posto è nell'abbraccio eurasiatico con Mosca. È utile chiedersi quale sarà il modello che Dugin ci propone. Lo si capisce scorrendo l'elenco delle dottrine che il filosofo identifica come nemiche dell'Eurasia e che perciò nella nostra nuova casa non avranno posto. L'elenco include liberisti, nazionalisti, fascisti, difensori dei diritti umani, razzisti, cristiani universalisti, sostenitori della perestrojka di Gorbaciov e della Russia di Eltsin e molti altri. Ai nostri occhi questo elenco sembra confuso e contraddittorio. Nella visione di Aleksandr Dugin non lo è. Tutte queste dottrine – a dire di Dugin – sostengono l'esistenza di una civilizzazione unica, quella occidentale e anglosassone, mentre l'Eurasia sarebbe – sempre a suo dire – espressione di pluralità e di civilizzazione. I difensori dei diritti umani, in particolare, sono nemici dell'Eurasia, perché i diritti fondamentali secondo Dugin non sono valori universali. Sono un prodotto degenerativo del liberalismo e della visione anglosassone dell'individuo, che è opposta all'euroasiatismo. La persona umana, nella costruzione di Dugin, è una sorta di torso incompiuto, un uomo a metà adagiato sul passato, sulla religione e sulle tradizioni. L'individuo esiste solo come ingranaggio di una collettività e dello Stato. La libertà personale vi è ammessa solo se non entra in conflitto con questa funzione. Pag. 6L'Unione europea, poiché secondo Dugin è dominata dallo spirito del liberalismo anglosassone, è una sovrastruttura innaturale per l'Europa. Durante una conferenza tenuta a Lugano nel giugno 2019 Dugin ha parlato apertamente di «Europa che vogliamo noi russi.» «L'Europa può anche restare unita, anche se questo per noi russi potrebbe essere difficile da accettare» ha detto Dugin, «purché non sia l'Unione europea di oggi, alleata agli Stati Uniti, fondata sul liberalismo e sulla centralità dei diritti umani.».
  In Russia è stata recentemente approvata una corposa riforma costituzionale. Si afferma spesso che questa riforma avrebbe lo scopo di permettere a Vladimir Putin di ricandidarsi a vita. Questa interpretazione è parziale. Le modifiche alla Costituzione russa si incastonano come diamanti nella corona del progetto Eurasia e della quarta teoria politica di Aleksandr Dugin. Lo si riconosce già a un primo sguardo, ma dall'autunno inizierò ad analizzare nel dettaglio la relazione tra le modifiche costituzionali russe e i postulati del progetto Eurasia. Se gradiranno, mi rallegrerò di segnalare loro l'uscita dello studio.
  Possiamo conoscere la guerra ibrida come strumento di attuazione di questo progetto. Sugli strumenti di guerra ibrida ha riferito qui poche settimane fa l'amico e collega Mauro Voerzio. Io rimando alla sua relazione e al suo libro per i dettagli. Da parte mia citerò solo un testo, che tuttavia è un documento di grande rilevanza, poiché ne è autore Valery Vasilyevich Gerasimov, Capo di stato maggiore delle Forze armate russe. È la relazione da lui tenuta dinanzi all'assemblea plenaria dell'Accademia russa delle scienze militari nel 2013 e pubblicamente disponibile. È interessante notare che la pubblicazione della dottrina Gerasimov coincide nel tempo con i seminari in cui Aleksandr Dugin codifica la sua quarta teoria politica e subito dopo con l'inizio del conflitto in Ucraina, che viene condotto sulla base di queste due dottrine. Cito alcuni passi del testo di Gerasimov, che è molto istruttivo: «Per il raggiungimento di scopi politici e strategici è emerso il ruolo degli strumenti non militari, che in taluni casi hanno significativamente superato per efficacia la forza delle armi.»; «le armi possono non servire, oppure entrano in gioco solo nella fase finale del conflitto, con l'alibi delle operazioni di mantenimento della pace, quando il conflitto è già stato vinto con altri mezzi», dice Gerasimov, «particolare importanza, in tutto ciò, va riconosciuta allo sfruttamento delle forze di opposizione politica del Paese avversario, al ruolo dei media e della comunicazione di massa in generale»; «hanno ottenuto ampia diffusione le attività asimmetriche; sta in relazione con ciò l'uso delle forze operative speciali e dell'opposizione interna per costruire un fronte in costante attività su tutto il territorio dello Stato avversario, così come l'impatto dei media le cui forme e metodi vengono costantemente affinati.» «La guerra dell'informazione apre ampie possibilità asimmetriche per ridurre il potenziale di combattimento dell'avversario»; «l'accento dei metodi di combattimento utilizzati si sposta a favore di un largo impiego di misure politiche, economiche, di informazione, umanitarie e di altro genere non bellico, attuate sfruttando il potenziale di protesta della popolazione.» Gerasimov lamenta poi che «nonostante le integrazioni alla legge federale russa sulla difesa attuate nel 2009, che permettono di impiegare operativamente le formazioni delle forze armate russe fuori dai confini nazionali, le forme e le modalità di operazione non sono definite. Tra queste si trovano l'introduzione di procedure semplificate di attraversamento delle frontiere dello Stato, di utilizzo dello spazio aereo, delle acque territoriali e del territorio di Stati esteri, regole di azione comune con i Governi dei Paesi di permanenza delle truppe russe e altre.».
  Per questi motivi, dal mio punto di osservazione, è stato un grave errore politico e strategico-militare consentire a truppe della Federazione russa di accedere al territorio nazionale per una missione umanitaria – definiamola così – non insostituibile, durante le ore più calde della crisi sanitaria. Abbiamo appena sentito dalle parole di Gerasimov che le missioni umanitarie sono elementi di guerra ibrida: in Pag. 7questo caso è mio convincimento che la missione in Italia abbia fornito alle Forze armate di Mosca dati preziosi per rispondere proprio ai quesiti che Gerasimov segnala come ancora irrisolti e in particolare: «numero uno, definire le forme e modalità di operazione delle truppe russe fuori dai confini nazionali; punto due, precisare le procedure per consentire l'attraversamento delle frontiere sia verso l'Amministrazione russa sia verso quella estera – in questo caso italiana –, definire le modalità di utilizzo di infrastrutture civili e militari e regole di azione comune con il Governo e le autorità militari del Paese estero – in questo caso l'Italia –, valutare e affinare l'impatto e la fedeltà dei media del Paese estero rispetto alla presenza di truppe russe.» Aggiungo un punto non citato esplicitamente da Gerasimov, ma che è nei fatti: punto cinque, «valutare la reazione della popolazione civile dello Stato estero – in questo caso l'Italia – al transito di truppe e mezzi militari della Federazione russa sul territorio.» Nel caso specifico i mezzi russi hanno attraversato mezza penisola, da Pratica di Mare a Bergamo, e tutto ciò è avvenuto non in un Paese ex sovietico o in una regione qualunque del mondo, ma in un Paese della NATO. I dati dimostrano che la guerra ibrida di Gerasimov funziona. Un articolato sondaggio della società SWG, svolto durante la pandemia, ha rivelato che gli italiani alla domanda «in futuro, con chi si deve alleare l'Italia?» hanno risposto Russia per il 32 per cento, il 17 per cento in più rispetto al periodo precedente il diffondersi del nuovo coronavirus.
  Alla stessa domanda ben il 52 per cento degli italiani ha risposto Cina, il 42 per cento in più rispetto ai mesi precedenti. Pechino durante l'emergenza sanitaria ha fatto uso con grande abilità degli stessi strumenti di disinformazione impiegati dai russi. Sondaggi di altri istituti riportano esiti simili. Se in Italia in quei giorni si fosse ipoteticamente votato per decidere le alleanze della penisola, Russia e Cina sarebbero state le più gradite. L'Italia sarebbe uscita dal novero delle democrazie occidentali e i nuovi padroni avrebbero vantato che la sottomissione della penisola era avvenuta per volontà popolare. Questi dati vanno ricordati quando si parla dei referendum organizzati per far legittimare «democraticamente» alla popolazione la presenza della Russia dalla Crimea alle repubbliche del Donbass. Questi sono gli strumenti di guerra ibrida. Non causano distruzioni visibili, ma mutano in modo lento e profondo i giudizi, la lettura della storia e le intenzioni di voto dei cittadini a favore di una potenza straniera dominante.
  Su queste basi rispondo ora al quesito di cui al punto b) del programma della loro indagine conoscitiva: la possibile evoluzione degli assetti geopolitici dell'Italia, della sua collocazione europea derivante dall'influenza esercitata da attori statuali e non nonché da forze politiche di Paesi esteri. Sulla base dei miei rilievi la risposta a questo quesito è che gli assetti geopolitici dell'Italia muteranno radicalmente – e in parte stanno già mutando – se l'influenza esercitata da attori statali e non, nonché da forze politiche di Paesi esteri, non sarà contrastata. Il mutamento avrà conseguenze negative sulla vita quotidiana dei cittadini, poiché l'Italia si accosterà a un progetto geopolitico che rifiuta dichiaratamente i diritti fondamentali, la centralità e l'inviolabilità della persona come nucleo e limite dell'organizzazione sociale e del potere dello Stato.
  In merito al quesito di cui al punto c) della loro indagine, l'eventuale esistenza di veri e propri piani internazionali tesi a condizionare le fondamenta e l'architettura delle alleanze internazionali dell'Italia in ambito NATO e Unione europea: sulla base dei miei rilievi la risposta a questo quesito è che un piano internazionale teso a condizionare le fondamenta dell'architettura delle alleanze internazionali dell'Italia e degli altri Paesi europei esiste. Non si tratta di un programma legato a un presidente o ad altro attore politico anche longevo, ma pur sempre transeunte; si tratta, invece, di un progetto dotato di solide radici filosofico-politiche, benché retrogrado e a tratti farneticante. La sua fondazione ha tutte le caratteristiche di una nuova ideologia capace di ispirare le masse meno scolarizzate ma anche di appassionare quelle élites culturali Pag. 8 e politiche segretamente nostalgiche dei regimi autoritari di ogni segno. La relazione tra questo progetto e l'evoluzione sul terreno è nei fatti.
  Passo ora alle considerazioni da me scelte dalle premesse del programma della loro indagine conoscitiva. Il diritto internazionale pone l'obbligo a carico di tutti gli Stati di non interferire negli affari interni di un altro Stato. È chiaro che le azioni di guerra ibrida finalizzate a far mutare le alleanze di uno Stato, intervenendo fra l'altro sulla formazione dell'opinione pubblica, sono una violazione patente degli elementi soggettivi e oggettivi di questa fattispecie. Pur sapendo che corro il rischio di inoltrarmi extra petitum, aggiungo che le azioni di guerra ibrida pongono a mio giudizio altre tre sfide al diritto internazionale: la prima al divieto di uso della forza, di cui all'articolo 2, punto 4, dello Statuto delle Nazioni Unite, che recita: «I membri delle Nazioni Unite devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.» L'elemento descrittivo «uso della forza» si riferisce all'aggressione armata da parte delle forze di uno Stato ai danni di un altro. Se interpretato tassativamente, l'elemento oggettivo della norma non può trovare applicazione in caso di guerra ibrida, perché il fatto non sussiste. Eppure la guerra ibrida viola con la forza e con innegabile vis criminalis lo stesso bene giuridico tutelato da questo articolo dello statuto ONU, l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, anche se le azioni di guerra ibrida non corrispondono a condotte tipiche ricomprese nella definizione di uso della forza. Il caso ucraino ne è un triste precedente.
  Il secondo principio del diritto internazionale esposto alla sfida delle azioni di guerra ibrida è quello di autodeterminazione dei popoli. Lo svolgimento di referendum per l'indipendenza di intere regioni la cui popolazione ha subito un pesante indottrinamento attraverso attività di disinformazione alimentate da un Paese estero oppure è stata sottoposta a condizionamenti economici o militari da parte di uno Stato egemone, fa sì che quella popolazione decida della propria autodeterminazione sulla base di una volontà viziata. Ancora una volta il caso dei referendum per l'indipendenza della Crimea e delle due regioni del Donbass ucraino sono purtroppo casi di scuola. È altresì grave che queste azioni rafforzino una deduzione falsa e già troppo diffusa, che dal diritto di autodeterminazione di un popolo, di una regione o di una comunità discenda automaticamente il diritto alla secessione unilaterale dallo Stato di appartenenza. A questo punto, con azioni di disinformazione e controllo economico-politico si convince una popolazione a votare per la propria autodeterminazione, poi, forzando la logica giuridica, si afferma che quel voto per l'autodeterminazione comporterebbe di diritto la secessione, perciò la fine dell'integrità territoriale di uno Stato. Si ottiene così, come è accaduto fra Russia e Ucraina, una conquista territoriale di fatto come nelle guerre di sempre, ma senza sparare un colpo e con l'alibi della legittimazione popolare.
  Il terzo pericolo che intravedo nelle strategie di guerra ibrida e nel progetto eurasiatico è la rottura dell'unità e universalità del diritto internazionale, in particolare del complesso dei diritti umani fondamentali. Si tende alla costruzione di un mondo in cui valgono diversi standard di diritto nelle relazioni fra Stati e nell'affermazione della dignità della persona. Quanto alla seconda considerazione da me scelta dal programma della loro indagine conoscitiva, a livello regionale assume particolare rilievo il conflitto tra due poli di influenza nell'est Europa, sfociato in vero e proprio conflitto armato in Ucraina. Tale considerazione, a mio giudizio, deve essere corretta: il conflitto armato in Ucraina non è un evento di livello regionale, è il primo autentico passo della strategia di attuazione del progetto euroasiatico. Come ricorda il primo Presidente ucraino dopo l'indipendenza del 1991, Makarovych Kravchuk, tutti i dirigenti sovietici da Lenin a Gorbaciov hanno affermato che «senza l'Ucraina l'Unione Sovietica non si fa.» Questo Pag. 9 postulato è oggi alla base del conflitto ucraino, sostituendo a Unione Sovietica il progetto eurasiatico di Aleksandr Dugin: senza l'Ucraina, l'Eurasia non si fa, poiché la Russia ritiene di avere un diritto naturale di possesso sull'Ucraina. Vladimir Putin lo ha espresso più chiaramente che mai durante la sua conferenza stampa di fine d'anno 2019, quando ha definito la pretesa di identità e indipendenza nazionale dell'Ucraina «Yerunda», una stupidata. Il conflitto ucraino non è un conflitto regionale. È pietra angolare di un progetto geopolitico che ci riguarda tutti.
  Cosa possiamo fare ora – punto quattro – per contrastare questo progetto? Il progetto della Russia su di noi è in piena realizzazione, ma non è inarrestabile, a meno di non rendersene complici. La maggiore contraddizione del progetto russo risiede proprio nella dottrina di guerra ibrida scelta per realizzarlo. La dottrina Gerasimov, pur condotta con mezzi innovativi, resta una guerra di allargamento territoriale. Tuttavia, lo Stato moderno afferma la sua potenza non più per la sua estensione territoriale, ma per il suo livello tecnologico nel senso più ampio di questo termine. Dietro la guerra ibrida del Cremlino c'è una Russia tecnologicamente perdente. La Russia di oggi soffre ancora di molti mali ereditati dall'Unione Sovietica, dietro il luccichio delle grandi città, e poco si è fatto per risolverli. L'avanzata del progetto russo e dell'influenza delle altre potenze autoritarie sull'Europa si può fermare. Sintetizzo in questi cinque punti alcune azioni che giudico utili allo scopo: acquisire maggiori competenze sulla Russia; non è possibile contrastare le azioni delle potenze autoritarie basandosi sulle rassegne stampa tradotte in inglese o su informazioni di seconda mano. Occorrono più nozioni e più capacità di analisi, «uchit'sya, uchit'sya, uchit'sya», cioè «studiare studiare e ancora studiare» diceva Lenin. Punto due: fugare ogni dubbio sulla fedeltà ai valori fondamentali dello Stato di diritto. Non ho la percezione che tutti coloro i quali rivestono ruoli di governo e rappresentanza in Italia e in Europa siano davvero convinti che lo Stato di diritto e la società aperta saranno pure imperfetti, ma sono il più avanzato strumento di libera convivenza e progresso che l'umanità abbia sinora elaborato. Punto tre: attivarsi nelle sedi internazionali per affrontare sul piano normativo sia le nuove sfide della guerra ibrida sia questioni apparentemente estranee, ma che favoriscono enormemente l'avanzata della propaganda filo-autoritaria, tra questi – in particolare – la questione migratoria. È un compito titanico, ma se non si comincia, non si finirà. I recenti mutamenti sul terreno libico sono preoccupanti anche come elemento di guerra ibrida. So che non è loro compito di parlamentari agire sull'informazione, ma se loro hanno strumenti per esigere più competenza dai giornalisti e garantire la necessaria indipendenza dei media, ebbene è giunto il momento di usarli. Governati e governanti hanno bisogno di un'informazione oggettivamente corretta. Questa è possibile solo se vi è competenza: capacitarsi che contrastare la crescente influenza delle potenze autoritarie in Europa è una battaglia persa, se condotta da soli. Vanno evitate prese di posizioni ambigue sull'appartenenza all'Unione europea e al campo occidentale, sulle sanzioni economiche contro la Russia, sui rapporti con la Cina, con la Turchia e con altri Stati autoritari. Se l'Italia e l'Europa cedono a queste ambiguità, indeboliscono sé stesse e l'intero fronte dell'Occidente libero.
  Onorevole presidente, onorevoli deputate e deputati, signore e signori, contrastare l'avanzata delle potenze autoritarie e la loro influenza in Europa è innanzitutto una battaglia intellettuale, prima che tecnologica e militare. L'Europa ha costruito il proprio patrimonio di libertà lungo un cammino durato secoli. Come cittadini europei, eredi e beneficiari di questo patrimonio, non possiamo accettare che esso si disperda a causa di uomini che praticano e diffondono l'autoritarismo, perché incapaci di seguire le vie del progresso umano. Ho pochi dubbi sul fatto che le sfide lanciate oggi contro le nostre garanzie e il nostro stile di vita siano le più difficili mai presentatesi dalla fine delle due guerre mondiali. Di fronte a queste sfide, concludo con Pag. 10un motto evangelico, «Sia il vostro parlare sì-sì, no-no.» Grazie per la loro attenzione.

  PRESIDENTE. Bene. Ringrazio. Naturalmente, in omaggio a un'indagine conoscitiva che mette a disposizione dei commissari punti di vista differenti, apprezziamo la Sua relazione. Mi permetto di dire, come commento mio personale, che naturalmente sarebbe giusto sottoporre molte delle sue valutazioni a un dibattito e a un confronto, perché assumere Dugin come l'unico riferimento di cosa è la Russia oggi è legittimo, ma probabilmente è una forzatura. Così come l'affermazione che «non c'è Russia senza Ucraina» parte da Lenin e arriva a Putin, in realtà parte da Pietro il Grande e la vicenda ucraina non si può capire se non si ha chiara la storia; e la storia dice che la Russia nasce in Ucraina prima dell'anno 1000 da Rus'. L'Ucraina è stata sottoposta a dominazione russa, polacca nel corso di secoli di storia molto complessa e a metà del Settecento la guerra tra la Russia e la Polonia porta a una divisione che vede la Russia riconquistare l'Ucraina dalla dominazione polacca nella parte orientale del fiume Dnepr, che è esattamente quella zona dell'Ucraina che è sottoposta alle spinte secessioniste. C'è una radice storica. Quando qualche anno dopo l'Impero ottomano insidia il Granducato di Polonia e la Polonia chiede di essere aiutata dalla Russia; la Russia approfitta di questa richiesta di alleanza e li aiuta per rivendicare non solo il consolidamento della dominazione della riva orientale del Dnepr, ma per avere il controllo di Kiev, che gli viene concesso per dieci anni in una sorta di curiosa locazione e poi dopo il decennio definitivamente consolidata.
  Io richiamo queste cose, perché, come vede, la storia è più complicata di Dugin, così come io non ho nessun dubbio sul fatto che in Russia ci siano tratti seri e profondi di illiberalismo e che contro i tratti illiberali bisogna combattere in Russia e in qualsiasi altro luogo si presentino. Tuttavia, Le vorrei segnalare che per ora l'unico Paese che ha conosciuto una riduzione di territorio e non un'espansione è l'ex Unione Sovietica e il processo di disarticolazione dell'Unione Sovietica – di cui nessuno ha nostalgia, sia ben chiaro – parte con una teoria molto precisa, occidentale, teorizzata da Brzezinski, sul superamento dell'Unione Sovietica attraverso la riorganizzazione di quello spazio in cinque entità: i Baltici, il Caucaso, l'Ucraina, la Bielorussia e la Federazione russa, che è esattamente quello che è avvenuto. È avvenuto sulla base di un disegno occidentale. Tutto questo i russi lo sanno. Dopodiché il problema è che noi abbiamo un punto di vista, loro la storia la leggono dal loro punto di vista.
  Le cose sono più complicate e più complesse di come possiamo descriverle soltanto noi. Le citerò un episodio che mi è accaduto che non riguarda la Russia, ma è illuminante per quello che sto dicendo. Qualche anno fa, nel mio mandato di Inviato Speciale dell'Unione europea per la Birmania, andai in Giappone per discutere con il Ministro degli esteri giapponese delle vicende nel Sud-Est asiatico. Alla fine di quell'incontro, avendo due ore di tempo, incuriosito, andai a visitare il museo della storia moderna del Giappone, che è il museo che parte dalla guerra russo-giapponese del 1905 fino ai giorni nostri: un museo ben fatto, cronologico, anno dopo anno di un secolo. A un certo punto si arriva al 1941, l'anno di Pearl Harbor e mese dopo mese viene ricostruito il 1941 e la rappresentazione giapponese è che l'aggressione di Pearl Harbor del dicembre del 1941 è la risposta difensiva giapponese all'accerchiamento americano nel Pacifico. Questa è la loro tesi, che è l'opposto della nostra. Vorrei far notare che Pearl Harbor nella nostra storia è sempre stata rappresentata come la proditoria aggressione giapponese a dei pacifici americani, cioè l'opposto. Uno può dire «va bene, non va bene», ma prima di me e dopo di me c'erano le scolaresche: il che vuol dire che quella rappresentazione continua a essere la rappresentazione che viene rappresentata nella storia giapponese. Io non dico che quella lettura giapponese sia vera, non credo. Resta il fatto che devo fare i conti con quella lettura e se non capisco quella lettura, non capisco neanche come io devo rapportarmi. Pag. 11
  Quando si parla del rapporto con la Russia, bisogna tener conto della storia e non soltanto di Dugin. Forse Dugin – che secondo me è un estremista esasperato, anche con qualche venatura di follia progettuale – radica la sua follia su una storia e se vuoi sconfiggere quella follia, non puoi ignorare la storia. Devi fare i conti con la storia, perché questo rende più forte anche il contrastare la guerra ibrida, il contrastare l'influenza e le interferenze. Io penso che tutto questo vada visto. Quando l'Unione europea, all'indomani della caduta del muro decise che accoglieva i Paesi dell'Europa centrale e orientale nelle sue file – ed è stata una scelta giusta, che io rivendico tuttora contro chi dice che forse si poteva non fare – si pose il problema di come lo viveva la Russia, perché portare l'Unione europea e la NATO al confine della Russia obiettivamente poteva suscitare nella Russia un sentimento di ostilità e l'Unione europea, ponendosi questo problema, cosa fece? Non accettò il veto russo sull'allargamento e contemporaneamente sottoscrisse il primo accordo di partenariato tra Russia e Unione europea, esattamente per dimostrare che l'allargamento non era un atto ostile.
  La politica è questo, professore. Io mi permetto di dire che la sua relazione, che rispetto perché sono un liberale, di tutto questo non tiene minimamente conto.

  LUCA LOVISOLO, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali. Grazie per le Sue considerazioni. Sono perfettamente d'accordo, direi che non c'è nemmeno bisogno di dirlo, sul fatto che bisogna tenere conto della storia anche del passato russo dell'Ucraina, che ha fatto parte dell'Impero russo, della questione storica della partenza dalla Russia da Kiev eccetera. In una mezz'ora di tempo non posso fare tutto questo discorso e soprattutto non sono stato chiamato a parlare di quello. Sono stato chiamato a parlare delle attuali azioni in corso. In quel momento in quella regione – pur avendo io piena comprensione degli argomenti che Lei ha riportato, che mi sembra quasi banale sottolineare – abbiamo una situazione di violazione patente di alcuni fondamenti del diritto internazionale. Non solo, ma questa situazione del conflitto ucraino si inserisce in un quadro ben preciso che non è un progetto astratto di un politico per cui domani via Putin, noi possiamo tirare il fiato. Non è quello, e siccome nella vostra indagine c'erano alcuni quesiti, io ho scelto i quesiti e vi ho risposto.
  Sono d'accordo con lei sulla lettura di Dugin: Lei ha usato termini addirittura più pesanti dei miei e che peraltro condivido, ma il fatto è che queste teorie vanno avanti. Non solo, formano un'ideologia che come le precedenti ideologie – in particolare quella comunista, che era particolarmente ben fondata teoreticamente – faranno proseliti e si prestano a essere applicate da altri così come è successo allora. Dovendo rispondere a quei quesiti, io ho portato le mie considerazioni su questo punto. Se poi vuole che un giorno ci incontriamo e facciamo un discorso sulla storia e sui rapporti storici fra Russia e Ucraina, ne sarò felicissimo, ma per quanto ho capito non era questo il mio oggetto oggi.
  Condivido le Sue considerazioni, in particolare quel punto che giudico essenziale per cui se vogliamo sconfiggere la guerra ibrida, dobbiamo tenere conto anche del passato storico, passato storico, peraltro, che comprende anche il referendum che nel 1991 – costituzionale e legittimo, perché previsto dalla Costituzione sovietica – sancì la separazione della Repubblica ucraina dal resto dell'Unione e quindi dalla Russia. Per il resto siamo d'accordo, onorevole Fassino.

  PRESIDENTE. Bene. Altri commissari?

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio il professor Lovisolo per una relazione ricca di spunti e anche di considerazioni di carattere operativo. Io ho due domande. La relazione si focalizzava molto sul tema della guerra ibrida. Come ogni guerra le guerre costano. Quanto costa questa guerra ibrida? È vero, come dice Lei, che ci sono dei punti di debolezza nella strategia russa. Io immagino che anche questo tema del costo della guerra ibrida possa essere un elemento di debolezza. Questa è la prima domanda. Pag. 12
  La seconda domanda, che è emersa varie volte nel corso di questa indagine conoscitiva, è: perché l'Italia? Le spiego il contesto in questa indagine conoscitiva: noi stiamo facendo degli approfondimenti di carattere geografico, cioè di potenze che possono essere interessate a influenzare il percorso italiano, ma stiamo facendo anche degli approfondimenti di carattere storico, cioè non è la prima volta che attori stranieri interferiscono nella vita politica italiana e nella presa sull'opinione pubblica. Quindi, per certi versi, ci sono state relazioni che spiegano che quello che sta succedendo in questo momento non è molto diverso dal finanziamento estero che hanno ricevuto alcuni partiti durante la guerra fredda, dalle influenze che alcuni Stati hanno esercitato in modo pubblico oppure nascosto durante la guerra fredda con giornalisti, opinionisti e centri studi. La domanda si può vedere in due aspetti. Da un lato, ad oggi in Italia che differenze ci sono rispetto a quel tipo di influenza e perché si continua così anche oggi? Poi il secondo punto è: perché l'Italia? Nel senso che è vero, ci sono stati tentativi di interferenze in altre elezioni, in altre dibattiti pubblici; avremo dei contatti con le Commissioni degli altri Parlamenti europei che hanno fatto questo tipo di lavoro, ma l'Italia sembra essere un caso diverso, perché non ci si è probabilmente focalizzati su singole elezioni e perché il nostro Paese presenta delle caratteristiche diverse anche nel panorama politico e nel panorama dell'opinione pubblica; quindi, perché l'Italia secondo Lei?

  LUCA LOVISOLO, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali. Grazie per la Sua domanda. Sulla questione del costo di una guerra ibrida e debolezza, come ha ricordato in modo molto più dettagliato di me il dottor Voerzio qualche settimana fa, è infinitamente inferiore a quello di una guerra tradizionale ed è una delle ragioni per le quali la Russia – e anche le altre potenze autoritarie – scelgono questo metodo per propagandare la propria strategia internazionale. Io sinceramente non credo che il costo in termini finanziari ed economici della guerra ibrida possa essere un elemento di debolezza. Credo che l'elemento di debolezza della guerra ibrida risieda ad un livello più profondo, che è quello che ho cercato di spiegare nella brevità di questo tempo, cioè nella sua contraddizione. Si pensa e si fa una campagna che ha quasi un aspetto culturale di influenza sui media, di intervento sulla politica, di finanziamento a determinati movimenti, però poi alla fine si vuole arrivare a un risultato che è vecchio come il mondo: conquistare territorio. Dugin nei suoi seminari dice che il ruolo della Russia non potrà mai compiersi pienamente nel quadro della costruzione dell'Eurasia finché non troverà un'alleanza con i Paesi dei BRICS: poi dei BRICS qualcuno è andato un po' a ramengo, però poi ne sono arrivati altri, ad esempio la Turchia. I seminari di Dugin risalgono al 2013, ma mutatis mutandis il quadro è quello, per cui comunque Cina e altri Paesi che riescano insieme a creare un potenziale di dissuasione nucleare tale da coprire questo progetto. Parole chiare: sono d'accordo con il presidente della Commissione quando dice che Dugin è un estremista, però sta succedendo quello. Un'altra debolezza della guerra ibrida risiede negli uomini, che sono molto più piccoli delle loro brame quando li si vede operare. Quindi mi fermo qui.
  Perché l'Italia? Rispondo alla seconda parte delle sue domande. Intanto, rispetto al passato oggi con finanziamenti a partiti, giornali eccetera abbiamo una differenza enorme che è l'arrivo di internet, che permette a coloro che influenzano l'opinione pubblica di non passare attraverso giornali o media che si possono facilmente influenzare o comunque si può anche più facilmente scoprire quando un medium viene influenzato. Oggi si arriva direttamente presso gli elettori con dei messaggi che quella parte di elettorato meno preparata coglie – spesso questa parte è maggioritaria – e converte poi in scelte elettorali. Dunque la vera differenza rispetto ad allora è la tecnologia.
  Ho risposto alla prima parte. Poi, perché l'Italia e perché oggi l'Italia? Posso rispondere per quanto mi riguarda alla questione perché oggi l'Italia rispetto alla Pag. 13Russia. L'Italia ha per sua tradizione storica una base culturale formata da un mix a mio giudizio venefico tra cattolicesimo e marxismo, che è l'autostrada che permette a Putin e agli ideologi russi – non citiamo solo Putin, perché la cosa è destinato ad andare avanti anche oltre lui – che se non la fermeremo, fa trovare una cassa di risonanza ideale. Con un'espressione che adesso vi prego di non prendere alla lettera – è una cosa che dico spesso dentro di me, adesso mi permetto di riportarla qui in termini meno ufficiali – a me spesso piace dire che l'Italia è l'unico Paese ex sovietico che non è mai stato sovietico, perché ci sono tantissime analogie e tantissimi modi di pensare, quasi riflessi condizionati nella cultura italiana, che permettono alla Russia di giocare sugli stessi sentimenti sui quali gioca all'interno di sé stessa per propagandare queste idee. Le faccio un esempio banale, che adesso riguarda forse meno questa ultima mia considerazione, ma mi permette di precisare un punto della mia teorica agenda che ho formulato di cinque punti, la questione migratoria. Se ci si sintonizza sui media russi, ci si accorge che essi, benché si trovino migliaia e migliaia di chilometri da noi, riportano dei barconi al largo della Sicilia con la stessa forza con la quale lo riportano le tv italiane, perché utilizzano al loro interno quelle immagini per dire: «Guardate le democrazie che sono obbligate al rispetto dei diritti umani: noi che siamo un regime autoritario naturalmente queste cose non le faremmo mai.» La Russia oggi sa benissimo, da parte sua, di poter contare su un'opinione pubblica che pensa la stessa cosa rispetto ai migranti che arrivano. Quel disordine lo crea tra favorevoli e contrari senza nemmeno prendere parte. Non si tratta, per coloro che fanno guerra ibrida, di prendere parte per l'una o per l'altra posizione, si tratta di creare disordine. In questo senso, quel senso di incertezza fra questo passato che l'Italia ha di questa cultura mista mai ben convinta verso il senso della libertà della persona e queste inquietudini verso i fenomeni della modernità sono un terreno ideale per il progetto russo.

  PAOLO FORMENTINI. Io ho ascoltato con molta attenzione e concordo in parte con quanto ha espresso il presidente della Commissione Fassino su un'analisi che tenga conto assolutamente della storia, perché della storia bisogna sempre tenere conto, però volevo cercare di inquadrare questo contributo nell'attuale situazione geopolitica. Io faccio parte della delegazione italiana dell'Assemblea parlamentare della NATO e noi per mesi abbiamo discusso di queste influenze delle fake news, della guerra ibrida. È forse il tema principale della nostra attività. All'improvviso, però, a partire dallo scorso autunno – tardo autunno – alla Russia si è sostituito come tema principale quello dell'influenza cinese. Come Lei stesso ci ha dimostrato con quel sondaggio che ha citato, il 32 per cento degli italiani vedrebbero bene un'alleanza con la Russia come principale partner, il 52 per cento la Cina: quindi c'è una diversa efficacia e una diversa intensità, quello che è emerso anche dalla nostra indagine conoscitiva, intervento dopo intervento.
  In più aggiungerei anche un altro elemento. Ha citato l'attraversamento dell'Italia da parte di questa colonna militare di aiuti russi da Pratica di Mare a Bergamo. Bene, io l'ho già detto più volte negli interventi in Commissione, tutto ciò non sarebbe potuto accadere senza un preventivo contatto con la NATO stessa, con gli Stati Uniti. Quindi secondo me – ma è una mia personale opinione che le pongo sotto forma di domanda – non potrebbe essere invece un inizio di un tentativo di dialogo dopo il raffreddamento che c'è stato negli ultimi anni tra NATO e Russia? Una ripresa di un dialogo che, a mio modo di vedere, è essenziale proprio per quanto detto prima e per l'intensità di quella guerra fredda che è in corso oggi tra mondo occidentale e Cina, perché questo è un dato di fatto. Questo per dire: non intravede, nonostante ciò che ha detto, una necessità di realpolitik, di dialogare in un qualche modo con la Russia senza cedere ai nostri valori, al nostro sistema democratico-liberale? Grazie.

  LUCA LOVISOLO, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali. Dunque, voglio sperare che l'ingresso di truppe della Federazione Pag. 14 russa in un Paese NATO sia avvenuto con un contatto NATO, perché sarebbe quanto meno singolare se ciò non fosse successo. Ora rispondo in sintesi alla Sua domanda. Sinceramente, credo che un tentativo di dialogo tra NATO e Russia, che giudico come Lei necessario, richieda però un approccio un pochino più complessivo. Mi sembra un atto quasi estemporaneo una missione umanitaria da inquadrare in un tentativo di riavvicinamento tra la NATO e la Russia. Io, personalmente, quando vedo i mezzi militari russi in Italia e leggo cosa scrive il Capo di stato maggiore russo rispetto alla guerra ibrida e ai punti che rimangono ancora da definire di quella strategia e vedo che quella missione mi va a rispondere esattamente a quei punti, penso che quella missione risponda a quei punti.

  PRESIDENTE. Mi scusi professore, per capirsi, come fa a definire un'équipe sanitaria «corpi militari e truppe in Italia»? Perché non è arrivata nessuna truppa, non è arrivato nessun tank, non è arrivato nessun missile, cioè dei medici sono dei medici! Poi saranno russi, vediamo se questi russi hanno portato qualche rischio, ma bisogna anche che configuriamo la loro presenza per quello che è stata, non per un'altra cosa.

  LUCA LOVISOLO, ricercatore ed esperto di relazioni internazionali. Sono perfettamente consapevole che sono arrivati dei militari medici che hanno svolto delle operazioni mediche. So altresì che quella missione era accompagnata dal generale Kikot, che è un alto grado militare russo ben noto per il suo ruolo nell'ambito delle guerre batteriologiche, che quindi può raccogliere delle informazioni ed è un militare e so altresì che quella missione era accompagnata da un cameraman che era già stato espulso dall'Estonia nel 2018 per sospetta attività di spionaggio. Ora, io sono d'accordo con Lei, erano medici. Siamo d'accordo. Per me resta inspiegabile come sia stato permesso di accedere al territorio della Repubblica a un cameraman già espulso da un Paese NATO e dell'Unione europea e, per giunta, in accompagnamento a una missione svolta dai militari, per quanto militari medici. Questi sono tutti punti che restano un po' tutti lì e uno che conosce quello che c'è dietro quantomeno dice: «Mah!»
  Mi permetta, però, di concludere la risposta alla domanda dell'onorevole, che è molto interessante: la necessità di dialogo non solo tra Russia e NATO, ma tra Russia e tutti noi è nei fatti. Noi siamo in continuità territoriale con la Russia e quindi dobbiamo cercare un dialogo con la Russia. Quello che sta accadendo, però, non è una ricerca di dialogo. È un manifesto tentativo di propagandare il sistema autoritario come possibile alternativa al nostro sistema di valori, espresso in modo molto articolato, in modo accademicamente fondato, come ho cercato di spiegare nella brevità del tempo a mia disposizione, pur se, come dice correttamente l'onorevole Fassino, da persone che sono decisamente eccessive, ma intanto però sono quelle le cose che stanno succedendo se uno studia i contenuti di quelle teorie e poi li vede sul terreno. Saranno anche un po' eccessive, ma si stanno mettendo in atto. Io credo che andrebbe esercitata, da una parte, più convinzione e, dall'altra, più disponibilità. Ora la mia impressione è che oggi si agisca confondendo le acque. C'è qualcuno che dice che dobbiamo far cessare le sanzioni alla Russia. Poi c'è qualcuno che magari apre su altri fronti. Occorre forse più capacità di elaborazione per affermare, da una parte, il fatto che ci sono degli standard rispetto ai quali la Russia non può cedere.
  Sono d'accordo con l'onorevole Fassino quando dice che c'è una storia dietro alla pretesa russa sull'Ucraina, ma esiste una situazione di diritto internazionale e di legittima pretesa del popolo ucraino di andare in una certa direzione. Finché quella situazione non si è ripristinata, è inutile che andiamo a dire di togliere le sanzioni che sono state causate da quello. Adesso poi le sanzioni, in realtà, sono sanzioni e controsanzioni, ma non abbiamo tempo di parlarne. Lì serve un'elaborazione intellettuale. Forse stiamo toccando insieme il punto a cui volevo arrivare io. Quando io parlo di sfida intellettuale alla guerra ibrida Pag. 15è su quel punto lì, cioè noi dobbiamo riuscire a contrastare l'influenza degli attori stranieri – io parlo per la Russia perché conosco quella – e nel frattempo cercare di portare avanti e di sviluppare i rapporti con queste realtà, perché ci sono indispensabili e in un mondo globalizzato non è neppure pensabile escludere delle regioni, tanto più che nelle relazioni internazionali sappiamo che non ci possiamo scegliere i nostri vicini. Sono quelli.
  Concludo tornando alla Cina, alla quale Lei ha fatto opportuno riferimento. Io non parlo neppure cinese per cui di Cina non mi occupo, se non per quello di cui deve occuparsi ogni persona che faccia il mio lavoro, ma si può fare lo stesso discorso per questo progetto della nuova via della seta, che se si vuole è un po' un paradigma. Può valere anche per altre realtà. Abbiamo un Paese che ci viene a proporre un'opportunità con il progetto della via della seta, ma dall'altra parte ci mettiamo a dialogare con uno Stato autoritario. Lì dobbiamo cercare di vincere quella sfida intellettuale, perché è essenzialmente una sfida intellettuale nell'affermazione dei nostri valori e, nel contempo, nel salvare queste relazioni, perché l'abbiamo visto con la crisi pandemica. La più grossa minaccia alle nostre libertà e al nostro benessere da dopo la seconda guerra mondiale è arrivata da un Paese con il quale comunque siamo obbligati ad avere delle relazioni. Non possiamo farne a meno oggi. Per cui forse stiamo arrivando veramente al punto. È un contrasto, una lotta che va vinta sul piano intellettuale. Bisogna lavorare su quello secondo me.

  PRESIDENTE. Altri? Bene. Possiamo concludere l'audizione. Ringrazio il dottor Lovisolo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.05.