XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 9 di Martedì 28 luglio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE EVENTUALI INTERFERENZE STRANIERE SUL SISTEMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Audizione di Francesco Galietti,
analista di geopolitica.

Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Galietti Francesco , analista di geopolitica ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 5 
Galietti Francesco , analista di geopolitica ... 5 
Formentini Paolo , Presidente ... 5 
Comencini Vito (LEGA)  ... 6 
Galietti Francesco , analista di geopolitica ... 6 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Giglio Vigna Alessandro (LEGA)  ... 8 
Picchi Guglielmo (LEGA)  ... 9 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Fassino Piero (PD)  ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Fassino Piero (PD)  ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Galietti Francesco , analista di geopolitica ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Francesco Galietti,
analista di geopolitica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle eventuali interferenze straniere sul sistema delle relazioni internazionali della Repubblica Italiana, l'audizione di Francesco Galietti, analista di geopolitica. A nome di tutta la Commissione do il benvenuto al dottor Galietti, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori.
  Il dottor Galietti è fondatore e chief executive officer di Policy Sonar, società di consulenza, che attraverso un'attività di intelligence politica e tecniche di pianificazione degli scenari, aiuta i propri clienti a identificare i rischi emergenti e le nuove opportunità in un ambito politico e normativo sempre più complesso. Il dottor Galietti siede, inoltre, nel consiglio di indirizzo della Fondazione CRT, una delle principali fondazioni bancarie italiane e nel consiglio di amministrazione di Banca Sistema. Nel triennio 2008/2011 è stato consigliere presso il Ministero dell'Economia e delle finanze, membro del comitato degli esperti di Cassa depositi e prestiti nonché consulente del comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all'estero degli interessi nazionali in economia, una joint-venture tra Ministero dell'Economia e Farnesina. È, inoltre, ricercatore associato presso il Centro studi sui fondi sovrani della Tufts Fletcher School of Law and Diplomacy di Boston, uno dei principali centri mondiali di ricerca su capitalismo di Stato e capitalismo autoritario. Collabora sui temi di geopolitica economica con diverse testate giornalistiche italiane – Il Foglio, Formiche.net, Panorama Economy – ed internazionali – Financial Times, Bloomberg, Economist, Frankfurter Allgemeine Zeitung, Reuters, Asia Times, Al Jazeera, The National e National Interest.
  Ciò premesso, do la parola al nostro ospite affinché svolga il suo intervento.

  FRANCESCO GALIETTI, analista di geopolitica. Grazie presidente. Onorevoli membri della Commissione, è un onore essere qui con voi. Ho seguito le precedenti audizioni che avete svolto con grande interesse. È mio intendimento che abbiate accumulato un elevatissimo numero di dettagli nel corso delle varie audizioni svolte. Se mi è concesso, io preferirei invece soffermarmi con voi sulle ragioni per le quali oggi siamo a discutere dell'attuale situazione rispetto alla Cina.
  È evidente che quello che abbiamo davanti a noi sia uno scontro tra il capitalismo democratico e il capitalismo autoritario. La Cina è la capofila del blocco autoritario. Quella che è in gioco è una vera e propria lotta per la salvezza delle democrazie, che sono oggi sfidate. In gioco c'è un dominio degli standard, tutti i vari tipi di standard, economici, valutari ma anche valoriali. È indubbio che l'aggressività della Cina negli ultimi tempi abbia fatto un salto di qualità, però con voi vorrei viaggiare Pag. 4indietro nel tempo, perché è mia opinione che quella cinese oggi si mostri per quella che è, cioè un'aggressività con frizioni molto visibili, ma a mio avviso la Cina è aggressiva fin dal principio. Negli anni settanta, quando Deng Xiaoping legge il rapporto Andropov sulle debolezze dell'Unione Sovietica, il mondo cinese è molto colpito da quello che vede, perché è un'ammissione di debolezza da parte della potenza di allora, di quel blocco. Decide di non voler subire la stessa sorte dell'Unione Sovietica, perché Andropov, parlando della sua Unione Sovietica, ammette candidamente che il confronto con gli Stati Uniti sta prendendo una brutta china e che l'esistenza stessa del Partito comunista sovietico era a repentaglio, perché il partito non era in grado di assicurare livelli di prosperità sufficienti per la popolazione. È in quel momento che, constatando la fragilità dei sovietici, i cinesi decidono di muoversi aggressivamente, ma sottotraccia, con una marcia lunga e che non prevede conflittualità. L'idea era di raggiungere prima la prosperità, per poi trasformare e convertire questa prosperità in influenza politica. È un percorso a tappe. È un percorso che prevede il raggiungimento di un predominio regionale e poi – faccio un anacronismo storico – in un'ottica di G20 far pesare l'importanza della propria regione, quella asiatico-pacifica all'interno del consesso globale.
  Quindi è un'impostazione aggressiva, perché dal punto di vista cinese è in ballo fin dall'inizio la propria sopravvivenza, ma non conflittuale. Le due parole sembrano sinonimi, ma in realtà non lo sono. È possibile essere aggressivi senza però essere conflittuali. Questo per lunghi anni è l'approccio cinese. A un certo punto le cose cambiano. A un certo punto, nella verticale di potere cinese saltano alcuni componenti che erano stati irrinunciabili a lungo. Salta la collegialità all'interno del partito: c'è l'uomo solo al potere adesso. Non c'è più una collegialità; salta la stessa gradualità. Quello che abbiamo davanti a noi è un pugno di ferro. Quella di Xi Jinping è in tutto e per tutto una dinamica di tipo imperiale, con una proiezione esterna.
  Nel 2007 la Cina vede l'affanno degli Stati Uniti e decide l'affondo in Africa. È un momento decisivo, perché la penetrazione in Africa dà corpo a uno degli incubi storici, dei britannici prima e degli americani poi, cioè non solo la realizzazione di un blocco eurasiatico, ma la congiunzione, la saldatura tra il blocco euroasiatico e un vettore africano. I cinesi hanno gioco facile in Africa, perché scambiano soldi, appalti e chiudono due occhi su diritti umani e democrazia, di cui a loro stessi interessa poco; però, entrando in Africa – o meglio rientrando, c'erano stati a lungo fino al quindicesimo secolo – i cinesi incominciano a mettere in allarme l'occidente, che dapprima con lentezza, con torpore, poi con sempre maggiore attenzione realizza l'insidia cinese. I cinesi saldano l'ingresso in Africa con le vie della seta. Sono arcinote. Mi immagino che ne abbiate abbondantemente discusso nelle precedenti audizioni, ma le stesse vie della seta sono in realtà una risposta cinese a una strategia americana poi in parte naufragata, quella di realizzare sul versante atlantico il TTIP (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) e il suo omologo, il TPP (Partenariato trans-pacifico), per il côté asiatico. La Cina incomincia a spingere con grande forza, ma questa forza tradisce debolezza, perché la Cina ai nostri occhi risulta ambiziosa.
  In Italia molti scambiano questa aggressività e conflittualità con uno sfoggio di potere, quindi c'è anche molto opportunismo da parte di molti italiani esposti alla Cina. Molti italiani sono convinti di aver individuato nella Cina il nuovo potente, il nuovo egemone globale, e quindi si schierano. La casistica è ricchissima e molto variegata. Ci sono coloro che da sempre sono assertori di qualsiasi ordine alternativo a un ordine occidentale. Ci sono anche americani convinti. Ci sono una marea di opportunisti.
  C'è una storia a sé, che meriterebbe attenzione, della postura del Vaticano e delle vicissitudini del cattolicesimo alle prese con la Cina, con la gestione di una mega-pastorale tra la Chiesa cattolica ufficiale e quella clandestina. C'è un insieme, molto Pag. 5diversificato in realtà, di fattori che spiegano l'attitudine scomposta, ambigua e ammiccante di molti italiani nei confronti della Cina, però è importante sottolineare alcuni aspetti. Il primo è che la Cina non è diventata aggressiva di colpo, lo è stata fin dal principio e adesso è anche conflittuale.
  Il secondo aspetto ha a che fare con il ciclo cinese. Su questo è lecito avere idee molto diverse. C'è chi ritiene che il ciclo cinese sia un ciclo ancora di crescita e di sviluppo e c'è chi invece ritiene – e io sono tra quelli – che il ciclo cinese sia nella fase calante. In questo è lecito avere opinioni molto diverse, però guardando gli indicatori – quelli demografici, quelli di debito, quelli sul sistema bancario – sono tutti delle luci lampeggianti rosse accese e segnalano un ciclo cinese che non è più un ciclo in espansione, ma un ciclo calante. Quindi è una Cina da sempre aggressiva ma ora anche conflittuale, ma soprattutto una Cina con un ciclo che è terminale, o comunque un ciclo già declinante. Questo per dire che il nostro Paese, quando ha a che fare con la Cina, probabilmente sconta tutta una serie di errori di valutazione rispetto a ciò che ha davanti. In realtà, il momento per l'Italia è strategicamente propizio, perché il mondo stesso si è rattrappito. Le stesse strategie di iper-connettività fanno sì che sia ormai marginale ripartire il mondo secondo i tradizionali schemi: Atlantico, Africa, Sud-Est asiatico. In realtà, quello che abbiamo davanti a noi è un blocco unico, una pangea in cui le fazioni che si scontrano sono due: i democratici e gli autoritari. In questo contesto l'Italia è chiamata a operare una scelta molto chiara a favore delle democrazie. È una grande opportunità, che si può declinare in termini di semantica, quindi facendo dichiarazioni nette a favore della democrazia, anche perché aspetti di tipo umanitario e dei diritti umani hanno raggiunto una rilevanza tale da non poter più essere ignorati. La portata degli abusi dei diritti umani dei cinesi rispetto alle loro minoranze è ormai macroscopica. Non si può veramente far finta di niente. È chiaro che così facendo, prendendo una posizione secca per le democrazie e ponendo una questione di democrazie contro autoritarismi, noi metteremmo in difficoltà alcuni dei nostri partner come la Germania, perché la Germania sulla Cina finge di essere molto agnostica e quindi riconosce le profonde diversità rispetto alla Cina, ma vuole continuare a farci business. La Germania però ha il non trascurabile aspetto di volersi affermare come potenza etica dopo la seconda guerra mondiale e potenza etica non è se è agnostica rispetto alla Cina. L'altra grande opportunità per l'Italia è di usare ancora una volta la NATO.

  PRESIDENTE. Chiedo scusa al nostro audito, ma invito tutti i colleghi a indossare la mascherina. Grazie.

  FRANCESCO GALIETTI, analista di geopolitica. La NATO è un nostro tradizionale moltiplicatore di potenza, il cui ruolo e la cui missione, però, per molti anni sono apparsi incerti. Dopo la fine della guerra fredda non sapevamo bene cosa farcene della NATO, ma se l'Asia trasloca nel Mediterraneo, allora è evidente che la NATO deve riperimetrare il suo campo di intervento. Ci può essere NATO al di fuori dell'Europa, al di fuori dell'ambito Nord atlantico. Ci sono Paesi come l'Australia che hanno espressamente richiesto un intervento NATO nel Pacifico. L'Italia può fare molto, perché se scegliamo di mandare pattugliamenti navali, come già stiamo facendo, nell'Oceano Indiano, è evidente che noi stessi operiamo una saldatura tra il Mediterraneo e l'Oceano indiano. L'«Indo-pacifico concept» è in questo momento il concetto strategico che più dà fastidio agli strateghi cinesi. Quindi, se l'Italia, attraverso l'amplificatore di potenza NATO, riesce a spingere oltre gli attuali confini la missione della NATO, assume un ruolo di primo piano e probabilmente riesce a farsi perdonare molti gravi errori commessi rispetto alla Cina. Presidente, io mi fermerei qui come intervento e sono a disposizione degli onorevoli per domande.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Iniziamo con Comencini.

Pag. 6

  VITO COMENCINI. Ringrazio il dottor Galietti per questa audizione molto interessante per il tema che affrontiamo. Credo che l'aspetto del capitalismo democratico contro il capitalismo totalitario sia una questione da approfondire al massimo, in quanto mi interesserebbe capire bene quanto, secondo Lei, il sistema globale, la globalizzazione e soprattutto l'approccio dell'Unione europea in merito a questo, giocano un ruolo importante; nel senso che, se parliamo di economia e rapporto con la Cina, è evidente che l'Unione europea ha un approccio, in particolar modo spinta della Germania, di grande apertura verso la Cina e abbiamo visto che queste politiche di fatto hanno portato alla fine a delocalizzare molte imprese, soprattutto anche italiane, in Cina. Le conseguenze di questo, al di là della questione qualitativa e anche del lavoro per i nostri lavoratori e per la nostra gente, si sono viste durante questa emergenza, anche con la questione dei farmaci ad esempio, con la questione di tutti gli aiuti che servivano: spostando le aziende in Cina, siamo diventati a rischio di non riuscire ad avere il materiale necessario, perché le aziende erano là.
  Quindi occorre capire quanto l'Unione europea, non prendendo posizione o comunque favorendo questo sistema di capitalismo totalitario della Cina, di fatto lo stia favorendo, nonché la globalizzazione, come è gestita in questo momento, perché la globalizzazione per qualcuno era un sistema inevitabile, un qualcosa di naturale, di necessario; di fatto, si dimostra che non è così, ma è un qualcosa che casomai ha bisogno di regole e di essere gestito. Purtroppo, finora ha giocato a favore di questo sistema della Repubblica popolare cinese e quindi della dittatura comunista cinese.
  Un'altra questione che volevo chiedere è quella dell'informazione. È sempre più evidente come l'informazione – l'abbiamo visto anche nelle audizioni precedenti – e quindi i sistemi di telecomunicazione e soprattutto i social, possano giocare un ruolo fondamentale. Proprio in queste settimane è emerso come in particolar modo uno di questi, TikTok, può essere utilizzato dalla Cina, censurandolo o comunque controllandolo all'interno del suo Paese per evitare che possa essere utilizzato per attività politica o di protesta contro il regime cinese, mentre in altri Paesi viene lasciato libero, anzi viene favorito in modo che sia utilizzato all'interno di altri Paesi, quindi violando anche la sovranità di questi Paesi, per fare in modo di mettere in difficoltà, o comunque creare degli scenari che magari possono favorire la Cina. Quindi anche su questo vorrei capire quanto quest'arma è uno degli strumenti che la Cina adesso inizierà a cercare di utilizzare o sta già utilizzando.
  Altra cosa che volevo chiedere era la questione, come ha detto Lei, dell'aspetto delle debolezze interne alla Cina, o meglio di tutte quegli aspetti legati al regime comunista che spesso sono stati trascurati o che la Cina cerca di non fare emergere, ma che di fatto diventano poi un elemento di debolezza, perché è ovvio che quando c'è un'esplosione economica e sociale e quant'altro, dopo la ricaduta prima o poi ci sono degli aspetti di libertà, di diritti, di valori che possono emergere e che sono fondamentali.
  Quindi, da questo punto di vista vorrei vedere che ruolo fondamentale la Chiesa cattolica può avere in questa partita, da una parte, favorendo addirittura la Cina con la «Chiesa di Stato» impostale dal regime comunista, dall'altra, opponendosi invece a questo e cercando di risvegliare le coscienze e le anime del popolo cinese. Fa da capofila il cardinale Zen, che porta avanti questa battaglia di civiltà e di libertà per i cattolici, e in generale per i cristiani in Cina. Quindi quanto, secondo Lei, può essere una chiave di volta, da un certo punto di vista, ovvero se la Chiesa o comunque le comunità religiose, facendo la loro parte senza cedere alle lusinghe dello Stato cinese, potrebbero riuscire a mettere in difficoltà il regime. Queste sono le domande che volevo fare.

  FRANCESCO GALIETTI, analista di geopolitica. Comincio dall'ultima osservazione, che ha a che fare con il ruolo del Vaticano. È una questione antichissima. Sul rapporto del Vaticano con la Cina si sono consumate delle guerre molto feroci Pag. 7tra i gesuiti e i domenicani, quindi è una cosa che non nasce oggi. Tradizionalmente il Vaticano, quando deve gestire la pastorale di Paesi di dimensioni robuste, ricorre a strumenti di simil-concordati. In Italia abbiamo il concordato, ma soluzioni simili sono state utilizzate un po' in tutto il mondo. Ce ne sono tracce addirittura nei rapporti con Paesi ultra-laici come la Francia, però l'attuale pontefice ha scaricato sul rapporto con la Cina molto del proprio vissuto. Egli, evidentemente, cresciuto in Sud America, non ha particolarmente in simpatia l'impero americano, gli Stati Uniti e men che meno le religioni evangeliche, che considera delle proxy degli Stati Uniti; quindi questo suo sentimento personale, un vissuto in Sud America, ha certamente influito nel determinare l'attuale stato dei rapporti tra Vaticano, Cina e Stati Uniti, cioè all'interno del triangolo Pechino-Washington-Roma; Roma, sotto Bergoglio si è spostata molto più verso Pechino rispetto a prima. C'è speranza? Chi parla, ovviamente, è un occidentalista convinto. Ultimamente qualche segno di ravvedimento operoso c'è stato. La Segreteria di Stato ha fatto sapere che il pontefice non volerà in Cina. Come sapete, c'è grande attesa sul viaggio del pontefice in Cina. Questo sarà un aspetto decisivo, capire se è solo un rinvio dovuto alle circostanze oppure se è un accantonamento definitivo. Poi ci sono altri elementi segnaletici che sembrano indicare un raddrizzamento in senso Atlantico. La recente nomina di Mario Draghi nell'Accademia pontificia delle scienze sociali, su quel triangolo che evocavo prima, è una risposta: più Roma verso Washington anziché verso Pechino, però è indubbio che il rapporto Vaticano-Cina influisca moltissimo anche sul rapporto Italia Cina.
  Io ho da poco curato un volume che si chiama Contagio rosso: perché l'Italia è il cavallo di Troia cinese in occidente. È un volume collettaneo, ha dodici contributi diversi. Ce n'è uno di un politologo milanese, Luigi Curini, che si mette a scandagliare i social media per vedere se è vero che gli italiani sono di colpo tutti innamorati della Cina. Le conclusioni di Curini sono sorprendenti, perché Curini dice che gli italiani come popolo, come massa, non hanno subito alterazioni sensibili come gusti e preferenze, mentre l'embrassons nous verso Pechino è da ascrivere invece alla politica e alle istituzioni. Sono la politica e le istituzioni che, in via prevalente, si prestano a fare da ripetitore della propaganda del Partito comunista cinese. Con questa premessa, bisogna andare a vedere quali sono le forze politiche che si prestano di più, in tal senso, ad assecondare i rapporti con Pechino. Al di là dei partiti attuali e contingenti ci sono però delle sensibilità politiche tradizionali, come quella cattolica. Ci sono politici cattolici che usano il Vaticano come bussola. I politici cattolici non saranno tantissimi numericamente, ma occupano posizioni di rilievo nei gangli delle nostre istituzioni. Basti pensare al nostro Capo dello Stato, di provenienza democristiana, al Presidente del Consiglio, che è un cattolico di sinistra, e a numerose altre figure che oggettivamente usano il Vaticano come bussola di politica internazionale. Allora, se il Vaticano punta con decisione su Pechino, queste altre figure che usano il Vaticano saranno incoraggiate, naturalmente, a fare altrettanto.
  Mi sono dilungato su quest'ultima domanda. Sarò più breve con le altre. Sulle piattaforme di comunicazione, i cinesi da tempo coltivano un disegno di egemonia delle piattaforme. Per le piattaforme per la comunicazione abbiamo avuto prove evidenti del loro utilizzo. L'abbiamo visto nella campagna per le presidenziali americane, con TikTok utilizzato come strumento di offesa, di sabotaggio o di intrusione vera e propria nelle vicende interne di un altro Paese. Oltre alle piattaforme social, ci sono piattaforme per le prenotazioni dei flussi turistici. Adesso no, ma in generale noi vantiamo primati in materia turistica. Moltissime piattaforme di booking, di prenotazione di voli, aerei e alberghi sono oggigiorno di proprietà cinese. I flussi di turisti cinesi, per esigui che siano – parliamo di milioni e non di miliardi, perché ancora sono pochi i cinesi a poter viaggiare – sono comunque merce molto appetita e la possibilità per il Partito comunista cinese di poter avere accesso diretto a queste piattaforme Pag. 8 è un aspetto ancora in ombra. Di TikTok parlano tutti, ma delle piattaforme per comprare aerei e alberghi no. Eppure l'Italia, che è una destinazione turistica molto ambita, dovrebbe farci attenzione. Un altro aspetto che l'onorevole Comencini ha sollevato è l'Italia all'interno dell'Unione europea, con l'Unione europea che si barcamena un po'. È vero, c'è una tendenza al mercantilismo, probabilmente determinata dalla posizione tedesca, che in un primo tempo sosteneva che la Cina potesse essere cambiata, migliorata attraverso il commercio e il cosiddetto wandeln durch handel, ma che adesso deve riconoscere che non è possibile per niente cambiare il Partito comunista cinese, ma va bene lo stesso purché si faccia business.
  L'Italia ha una sfida: portare il rapporto con la Cina sotto soglia politica. Questo significa de-enfatizzare il rapporto con la Cina. Significa lasciare che il Memorandum of understanding con la Cina resti lettera morta. Questa è una delle sfide che si pongono per l'Italia. Non sono persuaso che questo Governo persegua questa strada.

  PRESIDENTE. Benissimo. Raccoglierei le domande ulteriori dei colleghi e poi darei la parola al nostro ospite per la replica. Prima l'onorevole Giglio Vigna e poi l'onorevole Picchi.

  ALESSANDRO GIGLIO VIGNA. Grazie presidente. Grazie al nostro audito per la sua relazione. Grazie anche per il pamphlet, il libro che avete scritto, Contagio rosso, che stiamo leggendo tutti con l'avidità di essere informati. Io tornerei ancora un attimo sul rapporto Vaticano-Cina, nel senso che questo concordato mi ha stupito, perché anche io ho usato in passato la parola «concordato» per definire il rapporto che il Vaticano sta cercando di instaurare con la Repubblica popolare cinese. Questo concordato, nella realtà, se portato a termine e firmato, cosa andrebbe a creare? La Chiesa di Stato e la Chiesa clandestina verrebbero fra di loro fuse? Lo Stato avrebbe la possibilità di mettere un veto sui vescovi nominati dalla Santa Sede? Entriamo nel dettaglio, se Lei ha informazioni in più, perché sono informazioni che abbiamo cercato, ma che sono molto difficili da trovare. Di sicuro questo è un momento di confronto fra una parte del mondo e un'altra parte del mondo, fra un mondo democratico, un mondo libero e dall'altra parte un capitalismo guidato da delle, più o meno, dittature.
  Indubbiamente l'Italia e l'Unione Europea devono decidere da che parte stare, ma questa decisione deve essere presa in modo netto, in modo deciso. Una domanda che tanti a Roma ci stiamo facendo: quanto questo attuale Governo dipende, è in contatto ed è influenzato dalla Repubblica popolare cinese e dall'Ambasciata cinese in Italia? Quanto questo Conte II è influenzato dalla Repubblica popolare cinese, a suo parere?
  È importantissimo il tema degli asset strategici italiani. Io non riesco ancora a parlare a livello continentale, quando penso agli asset strategici. Quello che viene definito «sovranismo» oggi alla fine che cos'è, se non chiedere e applicare politiche per le quali quelli che vengono definiti «asset strategici» del nostro Paese rimangano fisicamente prodotti all'interno del nostro Paese? Pensiamo ad esempio all'acciaio. Io fino a quattro mesi fa facevo questo esempio. Dicevo: «L'acciaio, quando non viene più prodotto in Italia, il problema non è tanto a quanto gli altri te lo vogliono vendere, ma se poi gli altri non te lo vogliono vendere». Fino a qualche mese fa questo esempio che io facevo sull'acciaio era del tutto teorico. Nei momenti più duri dell'epidemia abbiamo visto che l'esempio non era poi più tanto teorico, perché a un certo punto cercavamo dispositivi individuali di protezione, cercavamo mascherine, cercavamo tubi per respiratori e non avevamo mascherine nel Paese. Abbiamo dovuto aspettare quasi un mese per poter distribuire e iniziare nuovamente a produrre le mascherine. Fortunatamente, la grandissima capacità di produrre dell'Italia è stata qualche cosa che ci ha salvato ed anche il settore della plastica, per quel che riguarda le mascherine per la terapia sub-intensiva. Quindi occorrono politiche che facciano tornare la produzione, soprattutto quella Pag. 9riguardante gli asset strategici, politiche che vadano al contrario della delocalizzazione, quindi il rientro in Italia di più imprese possibili, che abbiamo perso nei confronti del mondo orientale e in particolare della Cina.
  Poi una domanda: abbiamo detto che lo sviluppo economico cinese è in una fase più declinante che calante, cioè in questo momento non sta calando, ma la crescita è rallentata. Questo benessere della middle class cinese non porterà a rivendicazioni di tipo democratico all'interno della Cina? Perché non ci sono ancora state e perché non ci sono state in modo importante, al di là delle minoranze di cui tutti trattiamo (Hong Kong, Tibet, uiguri, cristiani)? La middle class cinese quando, oltre al potere economico, vorrà anche parte del potere politico? È una questione forse di numeri. Sono ancora troppo pochi per fare massa critica? Questa è una domanda che qua ci facciamo tutti e vorremo capire. Di sicuro Lei saprà darci risposta. Grazie.

  GUGLIELMO PICCHI. Grazie professor Galietti per gli spunti di riflessione che ci ha offerto. Ne ha prodotti altri, che sono interrogativi e risposte allo stesso tempo. Una cosa generale su chi sia più pro-Cina. Io credo che ci sia una grande sottovalutazione, nella classe dirigente italiana, di che cosa sia effettivamente la Cina, dove voglia andare e quali siano gli interessi di lungo periodo. Una nicchia molto limitata della politica italiana, secondo me, ha compreso bene questa Cina e la Cina sotto la leadership di Xi Jinping. A questo si collega il fatto che Lei parlava di politica africana da parte dei cinesi; dall'altro lato, pur avendo compreso che l'Africa è strategica – l'abbiamo compreso sia in Europa sia negli Stati Uniti – mi pare che, ancora una volta, almeno sul fronte europeo una policy africana non ci sia. L'interesse nazionale è assolutamente prevalente e paradossalmente l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea fa sì che si indebolisca ancora di più l'attenzione verso l'Africa.
  Sull'indo-pacifico è assolutamente una cosa vera. I cinesi sono allergici, basta vedere le reazioni anche informali che abbiamo raccolto quando l'Italia ratificò l'accordo di cooperazione militare con il Giappone, perché si parlava apertamente con gli amici giapponesi di un collegamento tra Mar mediterraneo, Oceano indiano e pacifico. Questo è sicuramente qualcosa guardato con sospetto dai cinesi. Lei ha sollevato il fatto che probabilmente il ciclo cinese non è crescente così come sembra. Qui ci attacco la domanda che ha fatto il collega Giglio Vigna, cioè: questa fase calante è dovuta anche al fatto che dal punto di vista sociale la Cina è debole e ci sarà anche una presa di coscienza di qualche centinaio di milioni di persone in forma attenuata, in forma – se vogliamo – «cinese», però prima o poi la questione dell'ambiente, la consapevolezza dei propri diritti in qualche forma entrerà in gioco? Ma la vera domanda che io mi pongo è: la Cina, pur in fase non più crescente, ha una parabola di decrescita più o meno rapida rispetto all'occidente? Perché questa è la vera domanda. A me pare che, ammesso e non concesso che la parabola cinese sia calante, il nostro declino sia un po' più rapido e quindi il problema ce l'abbiamo tutto.
  Sulla suggestione che è cruciale per l'Occidente, ma a maggior ragione per un Paese manifatturiero come l'Italia, ovvero rimpatriare produzioni, credo che sia veramente critico: non solo nei settori cruciali per la sicurezza nazionale, ma anche se vogliamo avere un'opportunità di continuare a crescere, perché – parliamoci chiaro – di fronte a una decrescita del PIL dove i servizi, i consumi interni e il turismo hanno portato al crollo del PIL di oltre l'11 per cento stimato nel 2020, l'unico asset che noi abbiamo è riportare parte delle manifatture che sono fuori. Io ho lavorato a una proposta che come Lega stiamo facendo, che ci dimostra che in un periodo di cinque anni possiamo agevolmente riportare più di 100 miliardi di PIL in patria, con l'equivalente di 400 mila posti di lavoro; naturalmente, rimpatrio anche dal fronte cinese, dove la manifattura italiana è molto presente. Il rimpatrio di produzioni critiche o di intere filiere o di parte di esse è secondo me un tema strategico ma quasi del tutto assente nelle valutazioni del Governo e in Pag. 10tutti i piani di rilancio di cui abbiamo sentito parlare, quindi volevo una valutazione anche su questo. Grazie.

  PRESIDENTE. Aggiungerei anch'io una piccola domanda. Intanto, ringrazio sin d'ora per il grandissimo contributo apportato a questa indagine conoscitiva. Vorrei chiederLe se l'Italia, a suo avviso, ha imparato la lezione, ha sviluppato degli anticorpi. Perché quello che abbiamo visto accadere nei mesi tremendi della pandemia è stato qualcosa che probabilmente, nella storia recente del nostro Paese, non è mai accaduto con un'interferenza estera così pesante, della quale ci hanno parlato praticamente la totalità degli auditi di questa indagine conoscitiva. Quali anticorpi abbiamo? Quali anticorpi ha la democrazia italiana e quali sono le quinte colonne nel nostro Paese del regime comunista di Pechino? Si è aggiunto anche il collega Fassino. Prego.

  PIERO FASSINO. Voglio solo dire questo: tutta la preoccupazione che si manifesta sull'invasività cinese è inquietante e fondata, però attenzione, perché non ci sono invasività meno pericolose di altri Paesi. Io trovo curioso che ci sia questa attenzione così spasmodica sulla Cina e si passi sotto silenzio l'interferenza che da parte della Russia è intervenuta nelle vicende elettorali francesi, tedesche, inglesi e forse italiane.

  PRESIDENTE. Solo per precisare che Gabriele Carrer, giornalista di Formiche.net, nella Sua audizione ha iniziato l'intervento proprio su questo tema.

  PIERO FASSINO. Appunto. Credo che il problema che oggi c'è, cioè di un'insidia alle democrazie liberali da parte degli Stati autocratici, sia purtroppo non circoscritto soltanto alla Cina. Lo dico perché, ci conosciamo tutti, la strumentalità del dibattito politico italiano non può sovrastare un'analisi oggettiva, per cui stiamo facendo diventare la Cina il problema della politica estera italiana. Attenzione, ci sono altre questioni, non meno rilevanti. Io dico solo questo. Il che non toglie nulla alla preoccupazione che si deve avere sulla faccenda.

  PRESIDENTE. Prego, per la replica. Grazie.

  FRANCESCO GALIETTI, analista di geopolitica. Procedo in ordine sparso. Spero di non tralasciare nulla. Se accadesse, fatemelo presente e rimedio. Onorevole Fassino, certamente la Russia è un non trascurabile problema di interferenza. È un problema che in questo momento è accatastato in quello specifico club lì, in cui la Russia coabita con la Cina, un club eurasiatico in cui i russi talora danno l'impressione di subalternità rispetto alla Cina. Non sono i soli. C'è anche il Pakistan, c'è anche l'Iran. È il club nel suo insieme a risultare enormemente problematico. Il capofila, però, indubbiamente, per potenza di fuoco ed economica, per capacità di pianificazione a lungo termine, per resilienza e anche per l'aver imparato dal destino dell'Unione Sovietica, oggigiorno è la Cina. Come ordine di grandezza Cina e Russia non sono comparabili. In tutto ciò la Russia è un enorme problema. Più volte, però, si ha l'impressione che in questo condominio ci siano delle litigate. L'avvicinamento della Cina all'Iran, per esempio, indispettisce la Russia, e non solo loro. Indispettisce anche i turchi, che si ritrovano un ponte sciita nel Mediterraneo orientale quando si erano convinti che la Cina, per andare nel Mediterraneo, seguisse altre rotte a Sud-Nord, tagliando dall'Africa: invece si vedono i cinesi entrare nel Mediterraneo anche dal Libano e dalla Siria. Quindi è un delicatissimo gioco a incastri. Dove tocchi una tessera, si muovono tutte le altre. L'Italia ha i suoi bei grattacapi, perché storicamente ci siamo dovuti giostrare tra i vari sotto-insiemi dei sunniti e degli sciiti e adesso ci tocca questa ulteriore sovrastruttura cinese dove meno ce la aspettavamo, cioè nel Mediterraneo.
  Per quanto riguarda l'Africa, l'onorevole Picchi sottolineava che c'è una macroscopica sottovalutazione della presenza cinese in Africa, sia nel Maghreb sia nel Sahel. È vero. Quando io ero piccolo, ancora mi Pag. 11facevano mandare a memoria le sfere di influenza presunte dell'Italia, cioè Nord Africa, Balcani e Corno d'Africa. Temo che resti molto poco di quell'originario trittico, però è vero pure che l'Italia ha sottovalutato i rischi derivanti dalla presenza cinese nel Maghreb. Da ben prima che la Libia fosse in frantumi la Cina era presente e aveva progetti, poi fermatisi, di costruzione di ferrovie in Tripolitania e in Cirenaica. Ha anche una presenza molto massiccia in Algeria. La Cina è presente eccome in Africa, sia nel Sahel sia a Nord. Noi siamo come i capponi di Renzo, nel senso che, visti da fuori, gli italiani si azzuffano con altri, soprattutto coi francesi. L'Unione europea in quanto tale, per quanto riguarda l'Africa, è un concetto molto astratto e accademico, ma poco pratico. Quindi il tema di parlare con una voce sola in Africa c'è eccome. Devo dire che il tema se lo pongono anche gli americani, i quali hanno storicamente un AFRICOM (Comando africano degli Stati Uniti), quindi le loro operazioni militari per l'Africa gestite da Stoccarda. A lungo abbiamo sognato di averli in Tunisia e invece sono in Germania, non lontani dalle Alpi. Quindi questa incertezza rispetto all'Africa evidentemente ce l'hanno in tanti.
  Per quanto riguarda le parabole di decrescita, se ricordo bene, onorevole Picchi, il suo punto era che sì, la parabola cinese è decrescente, oppure marginalmente decrescente, però anche noi dovremmo farci le decrescite nostre, nel senso che loro decrescono, ma noi siamo in decrescita da molto prima di loro e probabilmente non ce la passiamo affatto bene. È vero, però le conseguenze di una decrescita cinese sono enormemente amplificate, perché la Cina ha dei valori al di sotto dei quali rischia di andare al collasso. C'è una crescita di PIL minima sotto la quale quel sistema va in affanno, proprio perché si basa su uno scambio tra prosperità e compressione dei diritti civili e sociali. Questa è la cosa allarmante, che se decresciamo noi, è una lenta morte della candela. Se decrescono loro, il rischio è che il Partito comunista cinese alimenti un nazionalismo molto aggressivo, indicando nemici esterni. Quindi i rischi di una decrescita cinese sono che essa si traduca in conseguenze inimmaginabili per altri Paesi in decrescita. Non è che volessi fingere di non vedere la nostra stagnazione.
  Per quanto riguarda la riarticolazione o la disarticolazione delle catene del valore, condivido e credo che in buona parte dell'occidente siano iniziate riflessioni su come si possano rimodulare le catene del valore. Non si potrà rimpatriare tutto, solo alcune cose. Credo che sia veramente una questione di calcoli di convenienza economica, tenendo presente questa cosa che non si era finora mai manifestata e cioè che una cosa sulla carta conveniente – tipo tutta la produzione in Cina – è conveniente economicamente, ma alle strette il Paese dove ci sono le produzioni può chiudersi e non fare arrivare niente in Occidente. Questo aspetto era probabilmente nell'equazione, ma era un elemento dell'equazione fatalmente ignorato. Le mascherine sono solo un esempio. Ci sono tutti i componenti e i principi attivi dei medicinali. Ci sono molti esempi che si possono fare.
  Poi c'erano delle domande sul Conte II e quanto è cinese il Conte II. Il Conte II è cinese e per certi aspetti è un Esecutivo che non ha sviluppato anticorpi. Io uso come cartina di tornasole un caso pratico: come è stata trattata Taiwan, che è una ferita aperta per la Cina. La Cina le nega lo status a sé, allo scoppio della pandemia e adesso. Taiwan ha una gestione eccellente, dopo anni e anni di aviaria e influenza suina di ogni tipo in Asia i taiwanesi vantano una capacità di gestione di queste emergenze che pochissimi altri Paesi hanno in tutto il mondo, però allo scoppio della pandemia Taiwan è stata il primo Paese a vedersi chiusi i voli da e per l'Italia. Alla ripresa dei voli è stata di nuovo penalizzata, cioè non è stata messa nella lista dei voli che potevano riprendere. È evidente che su Taiwan ci sia un approccio che io non so se sia ispirato dalla Cina, so che nessun funzionario del Partito comunista cinese se ne potrebbe inventare uno migliore di approccio, perché hanno bloccato i voli all'andata, adesso che riaprono i voli con tutti, compresi con i cinesi, continuano a penalizzarli. Pag. 12 Quindi questa è una domanda che andrebbe rivolta al Ministro Speranza. Io non so di quali consiglieri per le relazioni internazionali si avvalga, ma questa cosa qui è macroscopica come incongruenza. Se assimili Taiwan alla Cina – non lo dovresti fare, ma se lo fai – lo puoi fare solo una volta, non lo puoi fare tutte e due le volte. Se la risposta è: «Abbiamo una risposta anticorpale» direi che non ce l'abbiamo e ci sono indicatori pratici che mi spingono a fare queste affermazioni. Il resto rischia di essere fumoso, arbitrario, e preferisco evitare.
  Per quanto riguarda i rapporti con la Cina, c'è più consapevolezza di prima, quello sì, anche all'interno degli stessi partiti. Vedo diversi onorevoli della Lega con pin della Lega: io credo che la stessa Lega – qua direi che sono tutti atlantisti – però c'è stata un'epoca in cui c'era Michele Geraci che girava con lo stesso pin sulla giacca. Credo che sia cambiato il mondo da allora. Credo che in quel partito in tanti ripensino con amarezza a quell'epoca, perché è stata un'epoca in cui c'era un'evidente sottovalutazione del rischio Cina, o meglio alcuni avevano una sottovalutazione del rischio Cina. Adesso direi che c'è una consapevolezza del tutto diversa, maggiore.
  Per quanto riguarda le rivendicazioni dei cinesi, io sono convinto che in Cina ci siano quotidianamente rivolte violente, sedate con la violenza, che non ci fanno vedere. La domanda era: quanto manca prima che esploda la rabbia e insorgano contro il Partito comunista cinese? Ci sono già insurrezioni, a volte difficili da domare e anche molto violente, di cui nonostante la potentissima censura applicata dalla Cina arrivano gli echi anche da noi. Quindi, secondo me la Cina è già decisamente instabile. Poi l'instabilità probabilmente è disomogenea, alcune aree sono più facili all'insurrezione di altre, però non sono sereni domesticamente e internamente.
  Poi c'erano delle domande sul concordato Vaticano-Cina: io so solo quello che è noto pubblicamente, cioè che a un certo punto il Vaticano accetterebbe dei vescovi di fatto designati dal Partito comunista cinese, vescovi che di clericale, perlomeno di clericale romano-apostolico, hanno poco, perché sono talora addirittura sposati con famiglie, quindi figure atipiche; ma soprattutto, quello che rilevo con i miei occhi è che sono figure di estrema fiducia per il Partito comunista cinese e nulla esclude che questi stessi individui sdoganati a un certo punto facciano carriera, arrivino in Curia e non dico che diventino pontefici, ma comunque possano influire nell'elezione di pontefici.
  Non credo di aver saltato nessuno, però se fosse così, me ne scuso.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il dottor Galietti per il Suo contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.