XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 8 di Martedì 28 luglio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE EVENTUALI INTERFERENZE STRANIERE SUL SISTEMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Audizione, in videoconferenza, di Gabriele Carrer, giornalista di Formiche.net .
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Carrer Gabriele , giornalista di ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Bianchi Matteo Luigi (LEGA)  ... 8 
Giglio Vigna Alessandro (LEGA)  ... 8 
Ribolla Alberto (LEGA)  ... 9 
Picchi Guglielmo (LEGA)  ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Carrer Gabriele , giornalista di ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 11 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal dottor Carrer ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Gabriele Carrer, giornalista di Formiche.net .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle eventuali interferenze straniere sul sistema delle relazioni internazionali della Repubblica Italiana l'audizione, in videoconferenza, di Gabriele Carrer, giornalista di Formiche.net, a cui do il benvenuto e che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori.
  Oltre a collaborare con diverse testate giornalistiche – La verità, il Foglio, il mensile IL de Il Sole 24 Ore e Longitude, il dottor Carrer cura il sito di approfondimento Diplomaticamente.it, sul quale pubblica settimanalmente la newsletter «Fumo di Londra», raccontando il Regno Unito e i tempi della Brexit. Nel 2017 ha pubblicato con Stefano Basilico, Lady Brexit: Theresa May a Downing Street, che ripercorre la vita pubblica e privata dell'ex Premier britannica.
  Nelle sue inchieste giornalistiche, il dottor Carrer si è più volte occupato di vicende connesse ai temi della nostra indagine conoscitiva, ad esempio la pubblicazione del cosiddetto «Rapporto Russia», un dossier dedicato ad attività di Mosca per influenzare l'esito del referendum del 2016 nel Regno Unito, quello che ha avviato la strada alla Brexit, nonché il risultato delle elezioni generali del 2017. Più recentemente, ha illustrato nei suoi articoli un'operazione senza precedenti della propaganda cinese sugli aiuti per i coronavirus, denunciando che quasi la metà dei post su Twitter, pubblicati tra l'11 e il 23 marzo con l'hashtag #forzaCinaeItalia, è opera di bot, prodotto dei cosiddetti «account automatizzati», così come oltre un terzo di quelli con l'hashtag #grazieCina.
  Ciò premesso, do la parola al nostro ospite, affinché svolga il suo intervento.

  GABRIELE CARRER, giornalista di Formiche.net. Buon pomeriggio. Grazie della convocazione. Grazie, presidente. Da cronista, ho seguito in queste settimane, con grande interesse, i lavori di questa indagine. Da giornalista, e soprattutto da cittadino, mi auguro che possa non soltanto aiutarvi a trovare le risposte alle domande che vi siete posti, ma anche a sensibilizzare la classe politica, la classe dirigente e l'opinione pubblica su un tema che è di estrema attualità e di estrema urgenza.
  A tal proposito, mi ricollego a quanto il presidente ha detto nell'introduzione citando il «Rapporto Russia»: penso che l'abbiate letto tutti, se non il documento integrale, quantomeno i resoconti giornalistici. Mi sono appuntato alcuni passaggi che volevo leggervi: «L'influenza russa nel Regno Unito e la nuova normalità: il Regno Unito è chiaramente un obiettivo per la disinformazione russa», e poi continua il rapporto «se ci sono evidenze credibili che la Russia di Vladimir Putin abbia cercato di influenzare il voto del referendum scozzese – quello dell'indipendenza del 2014 – è Pag. 4impossibile concludere se ci sia stata o meno interferenza russa nel referendum della Brexit di due anni dopo, nel 2016». Ora, a pochi mesi dalla Brexit, questo è un duro affondo della Commissione intelligence e sicurezza del Parlamento britannico ai vari Governi, che sono dello stesso colore di cui è la presidenza della Commissione; dal 2010, i conservatori al Governo; prima David Cameron, poi Theresa May, e adesso Boris Johnson. La Commissione è ormai da anni guidata da un presidente del partito conservatore, e c'è ovviamente una questione interna, di lotte di partito dietro la pubblicazione di questo rapporto. Noi di Formiche.net, abbiamo intervistato uno dei contributor di questo rapporto che si chiama Edward Lucas, Vicepresidente del think tank CEPA (Centre for European Policy Affairs) che racconta: «Sono sorpreso dalla durezza del report, c'è una dura condanna del fallimento del Governo, e soprattutto dell'intenzione del Governo di posticipare per mesi la pubblicazione di questo documento».
  Ecco, mi sono permesso di indugiare su questo «Russia Report» per due motivi: uno, perché cita l'Italia; in particolare, il rapporto scrive: «notiamo che la Francia non sembra aver condannato pubblicamente le attività informatiche russe, ed è stato ampiamente spiegato che altri Governi europei, come Austria e Italia, negli ultimi anni sono apparsi avvicinarsi pubblicamente al Cremlino». Questa è una ragione che mi sembra meritevole della vostra attenzione, e può essere oggetto della vostra indagine, però l'ho citato per un altro motivo. In particolare, c'è un altro riferimento, si scrive: «una vasta sfera dell'establishment britannico, società pubbliche di relazioni, enti di beneficenza, interessi politici, università e istituzioni culturali erano tutti i beneficiari del denaro russo, contribuendo a un processo – che mi son permesso di tradurre in italiano – “di pulizia della reputazione”»; questo lo abbiamo visto riguardo alle attività e agli sforzi del Governo cinese nel caso della pandemia di coronavirus.
  Questi passaggi che ho citato fanno emergere un nuovo elemento, che forse ancora non è stato preso in considerazione nella vostra indagine e dagli altri auditi, cioè lo sharp power. Spesso e volentieri si parla di hard power, cioè di potere militare, e altre volte si parla di soft power. Mi permetto di introdurre questo tema, cioè lo sharp power, una definizione coniata in un report di fine 2017, quindi è abbastanza recente, dagli studiosi del National endowment for democracy, un centro studi molto rispettato; nel report lo sharp power viene così descritto: rising authoritarian influence; sono gli sforzi che trafiggono, penetrano e perforano il contesto mediatico e politico dei Paesi presi nel mirino dai regimi, che non necessariamente cercano di conquistare cuori e menti – questo sarebbe il soft power – ma sicuramente cercano di influenzare il loro pubblico – target – manipolando e distorcendo le informazioni. Gli analisti continuano definendo «fondamentale per il successo dello sharp power questo concetto di asimmetria»; cioè, nell'era della globalizzazione, i regimi, e nello specifico quelli russo e cinese, «hanno eretto mura per difendere se stessi dall'influenza esterna politica e culturale facendo allo stesso tempo leva sull'apertura dei sistemi democratici stranieri».
  Al tema dello sharp power è stato dedicato, nello specifico, un libro in Italia, scritto da Paolo Messa; il volume si chiama L'era dello sharp power, e in esso Messa scrive: «in questi Stati, i regimi limitano la libertà di espressione, censurano il dissenso, ostacolano il mercato con monopoli statali, chiedendo agli investitori stranieri di pagare il prezzo di una pesante condivisione di know how tecnologico per poter lavorare nel Paese. All'estero, invece, possono godere indisturbati, o quasi, di tutte le opportunità che ha portato con sé la globalizzazione culturale e finanziaria del ventunesimo secolo; quindi investire denaro per esportare le piattaforme mediatiche domestiche, spesso sottoposte a un rigido controllo governativo; comprare aziende e partecipazioni senza dover temere eccessive ostruzioni del mercato; condurre campagne per delegittimare i sistemi democratici, finanche giungendo al paradosso di cacciarli come regimi illiberali». Pag. 5
  Mi soffermerei su un passaggio del report, cioè influenzare il loro pubblico – target – manipolando o distorcendo le informazioni. Penso che il caso dell'epidemia di coronavirus, abbia rivelato molto della campagna, già in atto da parte di quelli che vengono definiti «attori russi» – e so che il tema è già stato ampiamente approfondito con altri esperti, penso al direttore di La Repubblica, Maurizio Molinari, e all'avvocato esperto di cybersecurity, Stefano Mele – ma anche della Cina; abbiamo notato un cambio di passo da parte della Cina. Axios, un sito statunitense, scrive: «Pechino ha strappato una pagina dal manuale della disinformazione russa»; è un titolo molto efficace, che riassume come ormai la tattica di disinformazione russa sia stata fatta propria dalla Cina. In particolare, sempre Axios cita la direttrice dell'Alliance for securing democracy, Laura Rosenberger, un lungo curriculum di funzionario del governo statunitense, è stata consigliera per la politica estera della candidata democratica, Hillary Clinton, nel 2016. Rosenberger nota come ci siano tre tattiche che Pechino sta adottando, rubandole a Mosca, e le ha applicate in diversi casi; pensiamo all'abbattimento dell'aereo sopra i cieli dell'Ucraina nel 2014, alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, o all'avvelenamento dell'ex agente doppiogiochista Sergei Skripal, a Salisbury. Le tre parti sono: la prima, la diffusione di teorie del complotto, di teorie multiple in conflitto; la seconda è l'amplificazione di siti web complottisti; la terza è l'uso coordinato degli account Twitter di diplomatici e di ambasciate per alimentare queste teorie.
  Secondo me, ci sono due elementi che meritano di essere approfonditi. Il primo è l'utilizzo di piattaforme chiamiamole «occidentali», come Facebook e Twitter, che sono vietate in Cina, e che vengono utilizzate dall'esterno per influenzare, o quantomeno per intervenire nel dibattito pubblico occidentale, con una particolarità, cioè utilizzando la lingua inglese. Non è un fatto secondario, perché spesso e volentieri abbiamo visto il regime cinese parlare in lingua cinese, perché si rivolgeva solo ed esclusivamente al suo popolo, ma con il coronavirus abbiamo visto un emergere dei messaggi in lingua inglese, quindi destinati evidentemente a un pubblico occidentale. In particolare, sempre l'Alliance for Securing Democracy ha rilevato: «dallo scoppio della prima protesta anti-regime di Hong Kong – fine marzo del 2019 – gli account Twitter collegati alle ambasciate, ai consolati, agli ambasciatori cinesi, sono aumentati di oltre il 250 per cento»; cioè parliamo di quaranta account che sono diventati quasi cento – se non ricordo male erano 120 – nel giro di tre o quattro mesi. Questo per dire che c'è una stata una mobilitazione che poi è culminata in quello che abbiamo raccontato, durante il coronavirus, anche su Formiche.net.
  Prima di arrivare al tema del nostro report, che Alkemy, una società di comunicazione, ha redatto per noi, mi soffermerei sulle differenze tra la disinformazione russa e quella cinese, cioè gli obiettivi della Russia e della Cina; la prima, cerca tendenzialmente di alimentare il caos in Occidente, e il malcontento verso le democrazie occidentali. Gli obiettivi sono due: uno è interno, cioè allontanare il proprio popolo dal desiderio di una democrazia; il secondo è influenzare i governi occidentali. La Cina, invece, tende a promuovere una visione positiva del proprio Paese, e del suo modello di governance. È molto semplice: pensiamo a tutta la comunicazione, anche quella dei media che fanno parte dei grandi organi di propaganda del governo cinese; durante il coronavirus leggevamo grandi elogi alla rapidità, alla velocità, alla possibilità che offre una governance autoritaria qual è quella cinese. C'è un interessante report – cito ancora l'Alliance for Securing Democracy – scritto da Matt Schrader, il China analyst di questo centro studi, che mette l'Italia tra le democrazie industrializzate toccate da queste dinamiche di disinformazione. Ci sono cinque elementi che individua Schrader, che cito brevemente: in primo luogo, utilizzare l'economia cinese come arma, come strumento coercitivo, incentrando i vantaggi della cooperazione, minacciando ritorsioni contro i Paesi che non si allineano. La seconda è dominare la battaglia di narrazioni nel dibattito globale, Pag. 6manipolando e controllando le informazioni per reprimere il dissenso e promuovere le voci del coro pro-Pechino. Il terzo elemento è affidarsi a intermediari dell'élite, spesso adottando molti degli stessi metodi ambigui, opachi e ingannevoli per cooptarli. Quarto punto, strumentalizzare la diaspora cinese per penetrare e cooptare le comunità all'estero (come vedremo è stato ben visibile dalle nostre inchieste). Quinto e ultimo, integrare il controllo autoritario: non si tratta di fare affari con il Partito comunista cinese, bensì dei suoi sforzi per dimostrare se è una valida alternativa alla democrazia liberale, che portano a un rafforzamento delle norme autoritarie oltre i confini della Cina.
  Come dicevamo, uno dei laboratori di questa propaganda è stata proprio l'Italia, e qui arrivo all'analisi realizzata da Alkemy per Formiche.net, in collaborazione con Deweave, Luiss Data Lab e Catchy: il 46 per cento dei post su Twitter, pubblicati tra l'11 e il 23 marzo, con l'hashtag #forzaItaliaeCina – parliamo quasi della metà –, è stato generato da bot, cioè account automatizzati creati con il preciso scopo di fare da cassa di risonanza. Come diceva prima il presidente Formentini, lo stesso vale per l'hashtag, molto popolare, #grazieCina, che nell'arco dello stesso tempo ha dato ampia eco all'operazione diplomatica cinese: più di un terzo di quei tweet – il 37,1 per cento – era prodotto da bot. Come ha già illustrato l'avvocato Mele, ci sono state operazioni di vere e proprie fake news; pensiamo a quel video che vi ha mostrato l'avvocato, del portavoce del Ministero degli affari esteri cinesi, che ha fatto presumere che gli italiani cantassero l'inno cinese dai propri balconi. A tal proposito, segnalo due elementi: il primo è che la nostra indagine copre quel periodo di tempo che parte dall'arrivo del primo aereo di aiuti cinesi, quindi è sembrato uno strumento di amplificazione; il secondo elemento è che molti dei tweet collegati erano pubblicati con l'hashtag #UGIC, cioè «Unione Giovani Italo-Cinesi», un'organizzazione molto attiva nei rapporti tra Italia e Cina. Mi ricollego brevemente, sottolineando quanto detto precedentemente sul rapporto dell'Alliance for securing democracy, cioè il punto quarto, strumentalizzare la diaspora per penetrare e cooptare le comunità all'estero. Ci sono poi diversi rapporti, cito per esempio quello del Digital forensic research lab-atlantic council, che hanno rivelato come, anche da parte russa, ci sia stato un tentativo di influenzare e di intervenire nel dibattito sugli aiuti; pensiamo alla storia dell'aereo, il famoso tweet, poi cancellato, del senatore russo Pushkov, che diceva «la Polonia non ha concesso agli aerei russi che portavano gli aiuti umanitari per l'Italia di passare sul suo spazio aereo». Quel tweet è stato cancellato e si è rivelato una fake news, però è stato alimentato da una serie di elementi, di outlet, come Sputnik Italia, oppure alcuni personaggi come Diego Fusaro, il cui video è intitolato: «la Russia prova ad aiutare l'Italia, ma qualcuno la sta misteriosamente boicottando?»: ha avuto centinaia di migliaia di visualizzazioni, e migliaia di «like».
  Certo è che la campagna russa è stata quantomeno molto sottotono rispetto ai tentativi di disinformazione cinese. Questo può essere contestualizzato all'interno delle difficoltà di entrambi i Paesi a gestire più tavoli di una pandemia; può essere dettato dalla contingenza, dall'urgenza di intervenire all'interno del dibattito pubblico italiano, ed è su questo che io vorrei concludere questo mio intervento. Sottolineo che se qualcuno ha bisogno di accedere al report, è stato depositato agli atti, quindi è possibile consultarlo, ci sono una ventina di slide molto facili, ma sono a disposizione per eventuali domande.
  Vorrei concludere con due suggerimenti; il primo è quello di allargare il dibattito agli esperti di materie specifiche – come avete già fatto con l'avvocato Stefano Mele – per andare nello specifico di come avviene la disinformazione; il secondo elemento si ricollega a quanto dicevo prima sulla diaspora, ma anche della necessità, dell'interesse che potrebbe avere coinvolgere altri esperti, riguarda le forme di interferenza offline, cioè quel tipo di influenza che si fa non su internet, bensì nella vita pubblica. Per esempio, è il caso attuale degli Istituti Confucio, visto che HanbanPag. 7l'istituzione del Ministero dell'Educazione cinese, che gestisce gli Istituti Confucio – ha da poco deciso di rinominarli, per cui non si chiameranno più «Istituto Confucio» – sparisce il nome Confucio – e diventano delle istituzioni che hanno la cooperazione nel loro stesso nome. A tal proposito, ci sono alcuni passaggi che vorrei leggervi di quanto scriveva sei anni fa su Il Manifesto, il sinologo Maurizio Scarpari, che per trentacinque anni ha insegnato lingua cinese alla Ca' Foscari di Venezia. Egli scriveva: «gli Istituti Confucio sono un'emanazione dello Hanban, istituzione no-profit affiliata al Ministero dell'Educazione e diretta da un consiglio costituito da membri d'alto rango del Partito comunista cinese, e di diversi ministeri e commissioni ministeriali». «Hanban», scriveva ancora Scarpari «finanzia direttamente gli Istituti Confucio, che a differenza dei loro omologhi europei – pensiamo al British Institute, o ai Goethe tedeschi – non sono indipendenti, ma consorziati con le università e gli istituti di istruzione superiore, al cui interno hanno spesso la loro sede istituzionale. La differenza è esattamente questa: gli Istituti Confucio sono collocati all'interno delle università ospitanti, e con essi collaborano per erogare finanziamenti, organizzare eventi e attività culturali. Gli ultimi dati dello Hanban, parlano di 541 istituti attivi nel mondo, e quasi un terzo sono in Europa, 187; in Italia ci sono dodici Istituti Confucio, e tre classi Confucio». Un giornale importante, una voce molto importante per tutto quello che è il dibattito sulla Cina, il South China Morning Post, un giornale edito in lingua inglese a Honk Kong, scrive: «gli Istituti Confucio sono un importante strumento per la Cina per promuovere la sua immagine, il suo soft power»; ed è sempre lo stesso giornale che ha rivelato questa operazione di cambio del nome.
  Concludo sottolineando ancora questa questione degli Istituti Confucio, che forse è solo una delle tematiche che vi inviterei a indagare. Il professor Scarpari, nel dicembre scorso, ha riacceso un dibattito attorno a una lettera scritta da Stefania Stafutti, professore ordinario di lingua e letteratura cinese, e condirettore per parte italiana dell'Istituto Confucio dell'Università di Torino, che aveva fatto un po' discutere, perché erano le settimane difficili delle proteste a Hong Kong. La professoressa Stafutti invitava le autorità cinesi al dialogo con gli studenti, che chiedevano democrazia a Hong Kong. Curiosamente, la lettera scritta dalla professoressa, pur avendo avuto una discreta audience, non è stata commentata dagli addetti ai lavori. Scarpari notava le difficoltà degli accademici italiani a esporsi su questo tema: «Le difficoltà sui temi sensibili, come i campi di rieducazione per i musulmani dello Xinjiang, o l'inasprirsi di censura e repressione nei più svariati ambiti che colpiscono anche professori universitari» e, continuava Scarpari «non ci si pronuncia su questioni che hanno a che fare con la politica del nostro Governo, lasciato in balìa di improvvisati e improbabili esperti; forse è giunta l'ora di liberarsi di paure e condizionamenti nei confronti sia delle istituzioni cinesi sia delle autorità accademiche di entrambi i Paesi». Egli proponeva un nuovo modello, e cioè riportare gli Istituti Confucio allo status di altri istituti culturali, salvo poi organizzare attività congiunte nel pieno rispetto delle competenze delle autonomie di entrambi. Sono cose che il professor Scarpati ha ribadito in un'intervista a Formiche.net – che ho svolto personalmente, circa un mese fa – e che continua a confermare, nonostante il cambiamento di definizione – non si chiameranno più Istituti Confucio – e dice: «sparisce Confucio, ma forse diventa ancora più evidente il tentativo cinese attraverso questo istituto, cioè cooperare. Il punto vero è come cooperare». Spesso e volentieri, spiega Scarpari nei passaggi che vi ho appena letto, si è restii da parte della parte italiana – perdonate la ripetizione –, c'è un po' di timore nel prendere posizione all'interno di questi istituti, di ciò che viene messo in agenda, o ciò che viene consigliato di non mettere. Questo è per dirvi, e con questo concludo, che le interferenze ci sono sicuramente, e sono evidentemente di maggiore interesse anche giornalistico, quelle online, ma quelle offline, forse, non fanno parte di quello sharp power, forse rientrano Pag. 8di più nella categoria del soft power, ma sono tentativi che all'interno di questa vostra indagine, meriterebbero un'attenzione.
  Con questo vi ringrazio e ho concluso.

  PRESIDENTE. Grazie. Ricordo al nostro ospite, come da programma dell'indagine conoscitiva che abbiamo approvato già lo scorso gennaio, sono previsti interventi di giornalisti, accademici ed esperti, tra cui: il Rappresentante Permanente d'Italia presso la NATO; il Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea; rappresentanti dell'AISE e molti altri; quindi, proseguiremo poi nell'iter.
  Il primo intervento è del collega Matteo Luigi Bianchi.

  MATTEO LUIGI BIANCHI. Grazie, presidente. Ho ascoltato l'illustrazione di questo report molto interessante e quanto mai attuale in cui sono indicate anche tutta una serie di considerazioni legate alla pandemia da coronavirus, che sappiamo arrivare dalla Cina, dove è stato il primo epicentro che ha colpito tutto il mondo. Quindi, risulta quanto mai interessante cercare di capire e comprendere come la Cina ha reagito, cercando anche di nascondere alcune sue responsabilità nella gestione della pandemia stessa; cercando di lavarsi la coscienza su alcune azioni per tentare di aiutare i Paesi in difficoltà in maniera strumentale – questo dal mio punto di vista – rispetto al problema enorme che ha toccato un po' tutto il mondo. Credo che questa questione si vada a intersecare su altre tematiche.
  L'altra tematica molto importante è sul tema dell'infrastrutturazione del 5G, dove il nostro Governo ancora non ha preso una posizione chiara, così come invece è stato fatto da parte di altri Paesi del continente europeo, il Regno Unito su tutti. Non sono state prese posizioni molto chiare e lineari sul tema della strumentalizzazione di alcune comunicazioni, da parte della Repubblica popolare cinese, in Europa e nel mondo occidentale; non si è deciso come ci si pone rispetto a chi dovrà gestire tutta la tematica delle infrastrutturazioni del 5G – che, sempre dal mio punto di, è una infrastrutturazione tecnologica che serve a modernizzare il Paese – ma deve essere gestita, perché è uno strumento di pressione di natura geopolitica. Tutte queste considerazioni che il nostro Governo sta facendo in maniera superficiale – o addirittura, a pensar male, sta strizzando l'occhio al gigante cinese – creano nello scacchiere internazionale una serie di preoccupazioni e di attriti con il nostro partner storico di natura militare e commerciale, che sono gli Stati Uniti; io mi metto nei loro panni, e non saranno contenti di far viaggiare i dati sensibili legati, per esempio, alla lotta al terrorismo, uno degli elementi più preoccupanti per il nostro Paese, essendo prossimo al bacino mediterraneo, e quindi al terrorismo di matrice islamica; né di far viaggiare questi dati su infrastrutture gestite da cinesi, o comunque da un Governo che non prenda una posizione chiara, netta e lineare sulla tematica.
  Credo che quello che avete fatto sicuramente è importante, affinché la Commissione Affari esteri, e tutte gli organi parlamentari possano prendere coscienza e consapevolezza di quanto è importante oggi, cercare di prendere una posizione chiara, affinché il nostro Paese sia consapevole di qual è la sua collocazione nello scacchiere geopolitico, affinché non ci siano dubbi e perplessità rispetto al futuro prossimo del nostro Paese, ma credo anche un po' di tutto il mondo occidentale e di tutti coloro che si riconoscono nel mondo libero. Grazie.

  ALESSANDRO GIGLIO VIGNA. Allora, inizio con un parallelismo: la più grande operazione di fake news che abbiamo visto fino a questo momento, riguardava il tema della Brexit, perché dal giorno dopo, i mass media internazionali – schierati contro quella volontà democratica – lavoravano per illudere i cittadini, per illudere il mondo, per propagandare – il termine «propaganda» è importante – che gli inglesi, in fondo si erano pentiti; la storia poi ha dimostrato che quell'operazione, condotta da parte di mass media e avallata da molti governi europei, era una grandissima operazione di fake news. Qui siamo oltre, perché questa operazione di propaganda, con Pag. 9vere e proprie fake news, è guidata da uno Stato sovrano, dalla Repubblica popolare cinese.
  Un argomento, che spesso non viene toccato, ma che mi piace riportare al centro del discorso: ci preoccupa la linea dell'Unione europea. Perché? Perché la linea della Germania, la linea del Governo di Angela Merkel – queste le parole dell'ambasciatore di Germania a Roma – «vuole essere una linea di neutralità fra gli Stati Uniti d'America e la Repubblica popolare cinese». È chiaro che, anche grazie alla presidenza semestrale del Consiglio dell'UE, la Germania sta cercando di imprimere la linea di neutralità, fra USA e Cina, del suo governo al resto dell'Europa: ecco il perché di queste fake news e di questa propaganda sul web, che voi avete descritto bene. Quello che noi contestiamo alla linea di neutralità di Angela Merkel è che non si può essere neutrali quando vi sono delle scelte da fare. Il collega Bianchi parlava del 5G, ma potremmo anche parlare della nuova Via della seta, che oggi è in Costituzione della Repubblica popolare cinese e nello Statuto del Partito comunista cinese. Quando vi sono delle scelte da fare, quando la scelta è «sì o no», quando la scelta 5G è «Stati Uniti-Repubblica popolare cinese», come si fa a essere neutrali? È chiaro che bisogna fare una scelta di campo, e dal nostro punto di vista la scelta di campo non può che essere quella storica del nostro Paese. Interroghiamoci sul perché di queste fake news, e di questa propaganda massiccia della Repubblica popolare cinese nel nostro Paese e in tutta Europa.
  A nostro parere, c'è la volontà di non affrontare il dibattito sulla presa di responsabilità per la pandemia. Basta leggere il resoconto delle prime tre settimane di epidemia nella provincia di Wuhan, ed è chiaro che vi sono stati degli errori – probabilmente voluti – di comunicazione. Le dimissioni da parte dei dirigenti del Partito comunista cinese della provincia di Wuhan ne sono una dimostrazione. Quindi, da un lato potrebbe essere il tentativo da parte della Repubblica di popolare cinese di scappare a questa presa di responsabilità. Diversi organi e istituzioni in tutto il mondo hanno chiesto alla Repubblica popolare cinese di prendere, o stanno chiedendo di prendersi, la responsabilità, e alcuni si sono addirittura spinti a chiedere, giustamente, un risarcimento per quello che è successo. Ad esempio, cito il caso di due ordini del giorno: uno in regione Piemonte, e uno in regione Lombardia, portati dal gruppo Lega dei rispettivi consigli regionali, in cui impegnano queste istituzioni a chiedere alla Cina la presa di responsabilità. Dall'altra parte, c'è evidentemente il tentativo di fare propaganda economica, commerciale e politica (e sottolineiamo il tema «politica» nel nostro Paese). È necessario un impianto normativo che sia a carattere nazionale, che sia condiviso a livello europeo, per difenderci da questa propaganda: è giunta l'ora di aprire il dibattito per un impianto normativo che è l'unico modo che noi abbiamo come Stato sovrano – o come Unione Europea – per difenderci da questi veri e propri attacchi mediatici, che siano sul web, o che siano fuori dal web. Grazie.

  ALBERTO RIBOLLA. Ringrazio il dottor Gabriele Carrer per quanto ci ha riferito, soprattutto nella parte finale. Come diceva lui, è un tema non molto approfondito, e che è stato molto interessante. La ricerca che ha citato, da parte di Alkemy per Formiche.net, è stata molto esaustiva, ho avuto modo anche di sfogliarla, durante l'audizione. È molto preoccupante il fatto che durante l'epidemia di COVID-19, soprattutto nella parte iniziale di questa epidemia, ci siano dati che attestano, purtroppo, l'utilizzo di strumenti quali Facebook e Twitter che normalmente non vengono utilizzati dalla Cina; invece, in questo caso l'utilizzo di queste piattaforme occidentali, tra l'altro in lingua inglese, è aumentato considerevolmente, così come il numero degli account dei diplomatici cinesi è aumentato del 200 per cento. Qui è evidente, sono dati oggettivi, che si sia voluto da parte dello Stato cinese – come ha detto il dottor Carrer – dominare e strumentalizzare evidentemente la narrazione dei fatti, e cercare di convogliare le idee in un senso, che era quello pro-Cina. D'altro canto, anche l'aumento degli hashtag come #UGIC, #grazieCina, o #forzaCinaeItalia, prodotti per Pag. 10il 37 per cento da bot, evidenziano come la Cina abbia tentato di influenzare le idee, tentando di influenzare la comunità occidentale e usandoli come strumento di amplificazione di ciò che il Governo cinese voleva far passare come proprie idee nei confronti del mondo occidentale (evidentemente anche dell'Italia). Quindi, io sono molto preoccupato e ringrazio ancora per questa interessante audizione, che ha aperto gli occhi non solo a noi membri della Commissione Affari esteri della Camera, ma spero anche a tanti altri giornalisti e anche ai cittadini comuni. Purtroppo, i giornali molto spesso non riportano questi interessantissime informazioni.
  Sono molto preoccupato perché gli aiuti che sono arrivati dalla Cina; peraltro, nello stesso periodo in cui i bot aumentavano gli hashtag #grazieCina; nello stesso periodo in cui il numero degli account dei diplomatici cinesi aumentava; nello stesso periodo in cui gli account Facebook e Twitter in inglese del Governo cinese producevano messaggi; questo mi fa pensare come questi aiuti cinesi potessero essere, o possono essere effettivamente dei «cavalli di Troia» per influenzare l'opinione pubblica occidentale.
  In questo contesto è evidente che l'euforia del Governo italiano nei confronti della Cina, per quanto riguarda ad esempio il 5G, è un'euforia assolutamente ingiustificata. Come Lega, riteniamo assolutamente opportuno sottolineare queste problematiche, e questi fatti oggettivi riportati da ricerche importanti, da indagini come quelle stanno facendo alcuni giornalisti, tra cui il dottor Carrer. Abbiamo un'idea chiara della nostra collocazione geopolitica, e sicuramente non riteniamo opportuno schierarci, così come sta facendo il Governo italiano, senza neanche porsi domande o approfondimenti proprio in merito a questioni fondamentali per le nostre infrastrutture strategiche, come per le nuove reti 5G, che saranno fondamentali per il nostro Paese, e per tutto l'occidente. Grazie.

  GUGLIELMO PICCHI. Questo report fatto da Alkemy e la relazione che ha fatto il dottor Carrer sono assolutamente interessanti e fondamentali. Come membro di Governo, quando per primo sollevai il problema della questione del 5G e del memorandum sulla Via della seta, la politica italiana fu presa un po' in contropiede, perché non c'era dibattito sulla questione. Oggi ne parliamo con molta attenzione, molti governi europei hanno cambiato il proprio orientamento sul 5G, e sui rapporti con la Cina; rimane, all'interno dell'Unione europea, il problema fondamentale della China policy della Germania, che è volta, più che a guardare l'interesse europeo, a proteggere i propri rapporti economici con la Cina, avendo un'ottima bilancia commerciale nei confronti della Cina. Questo è un tema che a livello europeo viene trattato, negato, glissato, trascurato; si affrontano altre problematiche, ma sicuramente non questa.
  Sull'uso degli Istituti Confucio, come soft power, niente di nuovo: l'utilizzo dell'arma culturale è sempre stato «il cavallo di Troia» per portare avanti proprie tesi. La domanda che io vorrei porre è questa: un Paese strutturato e capace come la Cina, non è un po' naïf nell'utilizzare bot e altri meccanismi, qui ben analizzati, ma che sono limitati alla fine agli addetti ai lavori? La domanda è duplice: se sia un po' poco quello che un Paese come la Cina riesce a mettere in campo, e quale sia il reale impatto di questi tentativi. Credo che tutta la parte offline, come Lei ha ben detto, abbia un impatto molto più forte – seppure è molto chiara quale sia la collocazione della Lega e la mia, nel condannare o guardare con molto sospetto tante delle politiche comunicative, delle policy commerciali, e delle policy geopolitiche della Cina – forse, mi aspetterei qualcosa di più. Grazie.

  PRESIDENTE: Invito il dottor Carrer ad intervenire in sede di replica.

  GABRIELE CARRER, giornalista di Formiche.net. Rispondo all'onorevole Picchi dicendo che sono convinto, come Lei, che la parte offline sia forse più efficace di quella online. Tuttavia, penso l'avrete vista tutti, quella serie di sondaggi pubblicati da SWG, il 7 e il 21 aprile: prendo quello del 21 Pag. 11aprile, che è esattamente successivo al periodo interessato dall'indagine di Alkemy per Formiche.net (che copriva il periodo 11-23 marzo). Questo sondaggio su pubblico italiano dava, come Paesi-amici: Cina, 52 per cento (+42 per cento rispetto al 2019); Russia, secondo Paese-amico, con il 32 per cento (+17 per cento rispetto al 2009); Stati Uniti, 17 per cento, con un calo del 12 per cento rispetto all'anno precedente. Altra domanda: «In futuro con chi si deve alleare l'Italia?». Il 36 per cento ha risposto Cina e il 30 per cento Stati Uniti. Con questi dati non voglio dire che la comunicazione online sia stata l'unico mezzo, anche perché la comunicazione online a differenza di quella offline ha un grossissimo limite, che è quello del tempo: la comunicazione online è veloce e rapida; i sondaggi che vengono fatti sono molto di polso, e soprattutto stiamo parlando di tre mesi fa, quando l'emergenza non aveva ancora colpito in questo modo gli Stati Uniti, che forse ancora non si erano resi conto dell'urgenza del coronavirus, e di tutto quello che poi consegue al coronavirus (quindi una serie di iniziative diplomatiche).
  Come dimostrano i sondaggi SWG, una certa dose di influenza, quanto meno nel breve termine, ce l'hanno nella comunicazione e nella disinformazione online. Un altro record che abbiamo pubblicato su Formiche.net riguarda lo spazio offerto dalle televisioni italiane – in particolare la Tv pubblica, la RAI – agli aiuti arrivati da Cina, Russia e Stati Uniti; in quel caso, sempre nello stesso periodo, abbiamo sondato prima con Alkemy, e poi con l'indagine sul tempo dato dalle televisioni italiane agli aiuti. Si vede un certo allineamento tra la comunicazione online su Twitter e Facebook, e lo spazio garantito dalle televisioni agli aiuti cinesi: lo spazio è stato di gran lunga superiore sia rispetto a quello dato agli aiuti provenienti dalla Russia, sia a quello dato agli aiuti successivi provenienti dagli Stati Uniti. Questo lo dico alla luce del mio lavoro, io faccio il giornalista e spesso e volentieri da giornalista – faccio mea culpa come categoria – vado a vedere quali sono i trending topic della giornata per far più visualizzazioni online, o banalmente, per seguire il dibattito e non perderci nulla, perché non sarebbe un servizio al nostro lettore. Ovviamente, se c'è una campagna di propaganda, uno se ne rende conto, magari non nell'immediato, e nell'immediato vede che c'è un hashtag come #forzaItaliaeCina o #grazieCina, che è in tendenza, e automaticamente quella è una storia a cui un giornalista può interessarsi, e di cui può scrivere. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Carrer, anche per la documentazione, che sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

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ALLEGATO

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