XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 5 dicembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA ENERGETICA DELL'ITALIA TRA CRISI REGIONALI E ROTTE TRANSFRONTALIERE

Audizione di Nicolò Sartori, responsabile del programma «Energia, clima e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali (IAI).
Grande Marta , Presidente ... 3 
Sartori Nicolò , responsabile del programma «Energia, clima, e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali ... 3 
Grande Marta , Presidente ... 9 
Boldrini Laura (LeU)  ... 9 
Billi Simone (LEGA)  ... 9 
Grande Marta , Presidente ... 9 
Boldrini Laura (LeU)  ... 9 
Grande Marta , Presidente ... 9 
Boldrini Laura (LeU)  ... 9 
Billi Simone (LEGA)  ... 9 
Grande Marta , Presidente ... 9 
Billi Simone (LEGA)  ... 9 
Grande Marta , Presidente ... 9 
Sartori Nicolò , responsabile del programma «Energia, clima e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali ... 9 
Grande Marta , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Nicolò Sartori, responsabile del programma «Energia, clima e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali (IAI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera energetica dell'Italia tra crisi regionali e rotte transcontinentali, del dottor Nicolò Sartori, responsabile del programma «Energia, clima e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali.
  Saluto e ringrazio il dottor Nicolò Sartori per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  L'attività di ricerca del dottor Sartori si concentra sul tema della geopolitica dell'energia, con particolare attenzione alle aree geografiche del Mar Caspio e dell'Asia centrale, della Russia e del Mediterraneo. Svolge, infine, ricerca sulla dimensione esterna della politica energetica italiana ed europea, sul ruolo emergente della Turchia come polo energetico regionale, sulle implicazioni dello sviluppo del corridoio sud per la sicurezza energetica europea e sul tema della governance delle politiche energetiche in seno all'Unione europea. Ha lavorato, inoltre, come faculty advisor presso il NATO Defence College di Roma, focalizzando le sue ricerche sul ruolo dell'Alleanza atlantica in materia di sicurezza energetica.
  Il programma «Energia, clima e risorse» dello IAI mira ad approfondire i temi della transizione energetica e della lotta al cambiamento climatico, che non riguardano solo il settore dell'energia tout court, ma impattano anche sulle dinamiche socio-economiche a livello nazionale, regionale e globale.
  Ne sono un esempio il successo della COP21 (Conferenza delle parti), il crollo del costo delle rinnovabili e la loro importanza nell'elettrificazione dell'Africa subsahariana, così come il potenziale ruolo chiave del Mediterraneo orientale per gli approvvigionamenti europei.
  A tal fine, nell'ambito di questo programma, lo IAI collabora con i principali attori istituzionali e le maggiori aziende coinvolte a livello nazionale e internazionale in questi cambiamenti, attraverso l'organizzazione di seminari e conferenze e la realizzazione di studi e pubblicazioni sul tema dell'energia, del clima e dello sfruttamento sostenibile delle risorse.
  Do la parola al dottor Sartori per lo svolgimento della sua relazione.

  NICOLÒ SARTORI, responsabile del programma «Energia, clima, e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali. Onorevole presidente, gentili onorevoli, grazie mille per l'opportunità di intervenire in questa commissione, in particolare su un tema estremamente importante, soprattutto se guardiamo a una serie di dati che compongono il settore energetico nazionale.
  Se pensiamo che i consumi lordi a livello nazionale (167 milioni di tonnellate equivalenti) vengono soddisfatti per il 76 per cento da combustibili fossili, che importiamo per la stragrande maggioranza Pag. 4(non il 100 per cento, ma attorno al 90-95 per cento) dall'estero, questa è una chiarissima indicazione di quanto essere qui, a parlare di questa tematica in una commissione di questo tipo, sia fondamentale.
  L'approvvigionamento e la sicurezza energetica è e rimane uno dei pilastri della politica energetica italiana, ma nel contempo deve anche fare i conti con le esigenze di politica estera. Dunque, occorre combinare il processo di transizione energetica, che comunque dobbiamo affrontare a livello nazionale, in un contesto europeo e globale, alle dinamiche internazionali, legate alla politica estera del nostro Paese.
  Quello che cercherò di fare in questo mio intervento, in sostanza, è fornirvi una overview interna dei principali trend e soprattutto proiettarli sulla politica estera ed energetica del nostro Paese.
  I messaggi chiave in questo contesto sono, in primo luogo, che la crescita dei consumi è ripresa, non con un'accelerazione verticale, ma comunque si sta verificando e i dati che adesso cercherò di fornirvi lo dimostrano. L'altro è che ovviamente questa ripresa dei consumi energetici è sostanzialmente basata su una crescita dell’import, non solo, come vi dicevo in precedenza, per quanto riguarda i combustibili fossili, ma la stessa elettricità, che importiamo per una forbice tra il 10-15 per cento dall'estero.
  Nell'ultimo semestre – prendiamo come riferimento temporale il primo semestre 2018 – sulla base dei dati ENEA si evince che la ripresa dei consumi primari di energia c'è stata e si è verificata una crescita attorno al 3 per cento per quanto riguarda i consumi primari, che hanno ripreso a crescere in maniera decisiva. Dopo uno stallo sostanziale nel periodo 2009-2014, caratterizzato dalla crisi economica, nel 2016 sono parzialmente ripresi e nel 2018 hanno sperimentato questa crescita sostanziale.
  Va sottolineato comunque che questi dati sono ancora al di sotto dei livelli pre-crisi, però si tratta ovviamente, sulla base anche delle performance economiche del Paese, di una tendenza abbastanza significativa e interessante.
  Quando andiamo a vedere, ad esempio, la principale fonte di approvvigionamento, ovvero il petrolio, vediamo che nel primo semestre 2018 in termini tendenziali c'è stata una crescita attorno al 4,7 per cento, una crescita abbastanza significativa, soprattutto se paragonata agli anni precedenti, trainata dalla crescita dei consumi nel settore petrolchimico, soprattutto per quanto riguarda il gasolio motori.
  È un dato interessante perché si veniva da tre semestri di sostanziale decrescita. Questa crescita abbastanza significativa ovviamente pone la questione – anche se, come vedremo in seguito, controbilanciata da un aumento della produzione interna – degli approvvigionamenti di petrolio.
  Ovviamente il tema chiave sul quale concentrerò il mio intervento è più che altro il gas. Quando andiamo a guardare il gas, nel primo semestre 2018 ci troviamo di fronte a una controtendenza rispetto a quanto è successo negli ultimi semestri. In sostanza, abbiamo una parziale riduzione rispetto al primo semestre del 2017 di circa l'1,2 per cento, determinata, da un lato, dalla crescita della produzione idroelettrica e, dall'altro, da una ripresa dell’import elettrico dalla Francia.
  C'è da dire che il meno 1,2 per cento di consumi è anche risultato del fatto che nel semestre dell'anno precedente c'era stato un significativo aumento del 6 per cento e, quindi, si è sostanzialmente stabilizzata.
  Brevemente, anche per quanto riguarda l'elettricità, abbiamo una crescita dello 0,8 per cento, quindi una crescita non massiccia, ma comunque un aumento della domanda, in linea con gli ultimi due anni e mezzo post 2015.
  Dunque, i consumi stanno sostanzialmente riprendendo. Vediamo ora cosa succede sul lato delle importazioni. Come anticipato, per quanto riguarda le importazioni di petrolio abbiamo un calo, che è dovuto a una maggiore produzione domestica. Soprattutto il settore petrolifero va analizzato in un contesto di fluidità globale. Quando parliamo di greggio, comunque si tratta di una commodity la cui disponibilità è ampia sul mercato e che, anche se vediamo alcune dinamiche tra Pag. 5grandi produttori, sostanzialmente è svincolata dalle dinamiche geopolitiche, quantomeno per quanto riguarda la disponibilità. Molto si proietta sui prezzi piuttosto che sulle disponibilità fisiche di queste risorse.
  Come Italia abbiamo, a livello di importazioni, un portfolio estremamente ampio e diversificato, per un'importazione di 307 milioni di barili e ventitré fornitori, con l'Azerbaijan che guida questa classifica, seguito da Iraq, Iran, Arabia Saudita, Libia, Russia e Kazakistan. Questi sono solo i primi sette di ventitré, però l'immagine che vorrei darvi con questa lista è la sostanziale diversificazione, che mi porta a controbilanciarla con quello che, invece, accade nel settore del gas naturale.
  Quando guardiamo al gas naturale, le importazioni si sono attestate attorno ai 56,8-57 miliardi di metri cubi nel periodo gennaio-ottobre 2018, pari al 92 per cento della domanda nazionale. Il dato è ovviamente significativo ed è un dato in crescita. Praticamente importiamo in percentuale più gas naturale che petrolio per soddisfare i nostri bisogni: il 91 per cento del petrolio e il 92 per cento del gas nazionale. Si sono ridotte in questi primi dieci mesi le importazioni di un numero abbastanza risibile (0,6 per cento), ovviamente al netto del fatto che nei consumi c'è stata una riduzione parziale.
  Quello che caratterizza in sostanza il mercato dell'importazione di gas per il nostro Paese, rispetto a quello petrolifero, è la forte concentrazione. Noi praticamente abbiamo quattro-cinque fornitori, il che tutto sommato, anche grazie al retaggio matteiano, se ci paragoniamo ad altri Paesi partner in Europa, è abbastanza diversificato. Infatti, ci sono Paesi che ricevono monofornitura da un singolo Paese produttore, mentre noi ne abbiamo quattro-cinque: il lato nord con l'Olanda e in particolare la Norvegia, il lato nord-est con la Russia, il lato sud con la Libia da una parte e l'Algeria dall'altra e poi c'è una fonte flessibile che è il gas naturale liquefatto, localizzato nell'Adriatico e nel Tirreno.
  Di questi quattro-cinque fornitori, tre contribuiscono all'82 per cento di tutte le nostre importazioni: Russia, Algeria e Mare del Nord.
  Questo ovviamente è un dato che deve far riflettere. Sebbene siamo più diversificati di altri e sebbene comunque in sostanziale sicurezza, deve esserci un occhio da parte del decisore politico, delle istituzioni e delle aziende stesse su quello che succede dal punto di vista delle dinamiche esterne.
  I tre fornitori sono sostanzialmente: la Russia, con tutte le dinamiche di politica estera che caratterizzano le relazioni con Mosca, l'Algeria sul fronte sud e il Mare del Nord, principalmente grazie alla Norvegia, che è considerato il fornitore più stabile e affidabile, quasi fosse un membro dell'Unione europea, però con delle proiezioni di futura capacità di supply che non sono del tutto ottimiste.
  Venendo al ruolo del gas, avendo in sostanza illustrato questa concentrazione (l'82 per cento delle importazioni è in mano a tre grandi fornitori e il 92 per cento dei consumi è basato su importazioni), in aggiunta a questo, bisogna capire l'importanza del gas nel nostro settore industriale e nel nostro settore elettrico.
  In sostanza, l'Italia, a parte i Paesi produttori di gas, come ad esempio l'Olanda, è il Paese più «gasifero» d'Europa, un Paese che, per scelte popolari in un certo senso, ovvero i due referendum che hanno abolito la generazione elettrica su base nucleare, e per decisioni politiche, quali il phase out del carbone deciso nella SEN (Strategia energetica nazionale) entro il 2025, si trova a generare gran parte della sua elettricità attraverso il gas naturale, con picchi addirittura del 70 per cento per quanto riguarda le ore di produzione.
  Ovviamente la disponibilità, la fluidità e la liquidità del mercato del gas contribuiscono alla formazione dei prezzi e al contempo anche alla competitività del settore industriale ed economico del Paese.
  Insieme a questo ruolo del gas, si ha una crescente penetrazione delle rinnovabili. Soprattutto quando andiamo a vedere gli obiettivi del phase out del carbone al 2025 (8 gigawatt di capacità installata di elettricità da eliminare sostanzialmente entro il 2025), ci rendiamo conto che la combinazione Pag. 6unica possibile per il nostro Paese è una combinazione tra gas e rinnovabili. Tale combinazione, grazie al gas, riesce a garantire la stabilità di un sistema che ha bisogno di essere messo in sicurezza per assicurare la normale attività produttiva, ma anche i consumi domestici, e grazie alla combinazione virtuosa con le rinnovabili, permette un processo di decarbonizzazione che l'Italia ha intrapreso in ambito europeo, con precise scadenze al 2030 e successivamente al 2050, per raggiungere sostanzialmente una zero emission entro il 2050.
  In questo contesto, va anche sottolineato il fatto che il gas, non solo può giocare un ruolo nel settore industriale e soprattutto nella generazione elettrica, ma può giocare un ruolo importante anche per quanto riguarda i trasporti, come risorsa ancillare in un certo senso. Infatti, probabilmente per quanto riguarda il corto e il medio si procederà verso un'elettrificazione dei trasporti; se, invece, andiamo a vedere un paio di settori di nicchia, come quello del trasporto a lungo raggio, soprattutto navigazione marittima e potenzialmente aviazione, abbiamo delle necessità diverse rispetto a piccoli veicoli che possono girare in città o a corto raggio, quindi potenzialmente il gas e gli idrocarburi continueranno a giocare un ruolo importante.
  Pertanto, anche in questo caso c'è una combinazione che ci porta ad avere attenzione su quello che succede all'estero, soprattutto nei nostri Paesi fornitori, e sulle opportunità italiane per accedere a nuove risorse potenzialmente più economiche o comunque in grado di fornire liquidità al sistema.
  Per quanto riguarda la politica estera energetica italiana, ci si muove su due direttrici sostanziali. La prima è quella del consolidamento delle partnership tradizionali, in questo caso Russia, Algeria e in un certo senso Libia, perché la Norvegia non ha necessità di grandi attenzioni da questo punto di vista, anche in ottica di una potenziale riduzione delle importazioni dal Mare del Nord, soprattutto dall'Olanda. La seconda è l'apertura di un accesso a nuove risorse, quindi sicuramente TAP (Trans Adriatic pipeline), Mediterraneo orientale e ovviamente anche il potenziale del gas naturale liquefatto americano, ma non soltanto.
  Quando parliamo di Russia, il tema principale ovviamente è la grande dipendenza italiana dal mercato russo, una dipendenza che non è solo dalla Russia, ma da un particolare Paese di transito, che è l'Ucraina, dal quale passa il gas.
  L'Italia sostanzialmente è l'unico grande Paese industriale che vede il transito di gas russo passare dall'Ucraina; il resto dell'Europa occidentale viene rifornito attraverso il Nord Stream. Noi siamo gli unici che abbiamo la necessità di mantenere questa rotta viva o comunque di rimpiazzarla in un certo senso con una rotta che potenzialmente possa non essere quella del Nord Stream 2. Infatti, la creazione esclusiva, attraverso il Nord Stream 2, di un canale di collegamento unico e singolo per tutta l'Europa occidentale tra Russia e Germania per quanto riguarda il sistema Paese Italia ha delle implicazioni di competitività con il nostro principale competitor manifatturiero, ovvero la Germania. Del resto, se pensiamo che in Germania dalla Russia, attraverso North Stream 2, arriverà gas al prezzo «x», ovviamente mettendoci tariffe e costi di trasporto, è naturale e ovvio che in Italia questo costo sarà pari a «x + y» evidentemente, con conseguente perdita di competitività.
  Da questo punto di vista, la politica energetica italiana ha una serie di opzioni. La Russia sta lavorando al progetto Turkish Stream, quindi un braccio meridionale per circumnavigare il territorio ucraino, che nel 2006 e nel 2009 ha causato dei problemi. Una potenziale opportunità è usare il gasdotto Turkish Stream per sostituire il progetto fallito South Stream, che doveva collegare direttamente la Russia alla Bulgaria, e in un certo senso riuscire ad accedere in modo diretto, o quasi diretto, comunque non passando attraverso la Germania, al gas russo in Italia.
  Questa, ovviamente, è un'opzione per il Paese, un'opzione che vede come rotta competitor una rotta meridionale, che però tenderebbe ad andare verso nord, quindi Pag. 7attraverso i Balcani; una rotta più complicata teoricamente, in quanto tale rotta comportava l'attraversamento di cinque stati, non tutti membri dell'Unione europea, per arrivare all’hub di Baumgarten in Austria; una rotta che vede anche un mercato più limitato rispetto al mercato italiano, che, come ho detto in precedenza, è fortemente basato sul gas.
  Rimane, quindi, il futuro di Turkish Stream e di Nord Stream 2. Rimane sempre la questione dell'Ucraina post 2019, dal momento che il 31 dicembre 2019 scadranno i contratti di transito dalla Russia all'Ucraina e l'Italia è il grande Paese principalmente interessato. In tal senso, c'è una sorta di convergenza-alleanza con i Paesi dell'Europa centrorientale per evitare che tutto il transito attraverso l'Ucraina venga assorbito dal North Stream 2, con le implicazioni per l'Italia illustrate poc'anzi, con il rischio per questi Paesi di subire una sorta di accerchiamento energetico e per alcuni di essi, come la Slovacchia, anche una perdita di rendite tariffarie. Vi è, quindi, una doppia sfida, strategica ed energetica al tempo stesso.
  La seconda grande direttrice della nostra politica estera con i partner tradizionali è quella con l'Algeria, che è stato ed è tuttora un partner fondamentale per quanto riguarda il gas e, in parte, anche per il petrolio.
  Siamo collegati con l'Algeria attraverso il gasdotto sottomarino Transmed, che attualmente non funziona a pieno regime. L'Algeria, infatti, sta sperimentando una crisi industriale dal punto vista energetico, perché non è in grado, per questioni di gestione interna dell'azienda principale nazionale Sonatrach e per questioni di gestione della fiscalità da parte delle istituzioni, di attrarre gli investimenti necessari per far sì che la produzione aumenti e riesca a controbilanciare una domanda che in Algeria, a causa di una politica scriteriata dei sussidi, sta portando la domanda domestica a erodere la capacità di esportazione del Paese.
  Se a questo aggiungiamo il fatto che, per intercettare una serie di dinamiche di mercato, l'Algeria sta guardando anche al mercato LNG (liquefied natural gas) verso l'Asia, e non solo al mercato via pipeline verso Italia, ci rendiamo conto che sulla sicurezza di approvvigionamenti in termini quantitativi potremmo avere un rischio sul lato Algeria.
  L'ultimo elemento da valutare riguarda la Libia. Vien da sé che la situazione sul campo è critica, quindi da un momento all'altro potrebbe condizionare la capacità di approvvigionarci dalla Libia attraverso Green Stream. Una quota del 6 per cento, stando alle stime dei primi dieci mesi del 2018, quota che può crescere attorno ai nove miliardi di metri cubi all'anno su un totale di settantacinque, è una quota importante. Certamente, occorre tenere sotto controllo la situazione ed è interesse dell'Italia che la Libia mantenga un livello di sicurezza tale da non inficiare la stabilità degli approvvigionamenti.
  Va detto anche che il gas è un po’ più sicuro rispetto al petrolio per quanto riguarda il caso libico o per quanto riguarda il caso di Paesi in guerra, perché il gas può essere trasportato, soprattutto nel caso libico, soltanto in un modo, ovvero attraverso un gasdotto, e l'Italia è l'unico Paese che ha un gasdotto che la collega alla Libia. In tal senso, se vi è la volontà del sistema di monetizzare questa risorsa, l'unico modo per farlo è esportando attraverso l'Italia. Con il petrolio è un po’ diverso, in quanto il petrolio può essere caricato su tank container, su treni, e messo sul mercato nero molto più facilmente rispetto al gas. Quindi, questa situazione in un certo senso offre una certa stabilità al Paese e ai flussi di materie prime. Ovviamente, se succede qualcosa di irreversibile, i flussi possono essere a rischio.
  Questi tre Paesi, dunque, sono fondamentali, ma pongono una serie di criticità, motivo per cui diventa fondamentale per l'Italia e il sistema istituzionale e industriale diversificare. Come vi dicevo in precedenza, abbiamo già avviato un'iniziativa di diversificazione e una seconda è in fase di via di sviluppo, ma deve ancora prendere completamente forma. Poi, vi è la questione LNG, magari anche in ottica americana, Pag. 8 che potrebbe contribuire ulteriormente alla sicurezza e alla flessibilità.
  La prima iniziativa che è in essere riguarda il gasdotto TAP, che sul fronte italiano è limitato, ma che fa parte di un progetto più ampio, il Corridoio Sud, lanciato illo tempore, all'inizio degli anni Duemila, dalla Commissione europea per fornire approvvigionamenti all'Europa diversi da quelli che erano già in essere, quindi Russia, Algeria, Norvegia e Libia, e soprattutto attraverso rotte differenti. Il gasdotto TAP ci porterà dieci miliardi di metri cubi di gas dall'Azerbaijan, attraverso Georgia, Turchia, Grecia e Albania, per approdare in Italia, e contribuirà, con questi dieci miliardi di metri cubi, innanzitutto a diversificare e, quindi, a darci maggiori opzioni sulle importazioni, oltre a rendere più fluido un mercato, potenzialmente abbassando i prezzi.
  Il gasdotto TAP è potenzialmente espandibile per altri dieci miliardi di metri cubi, opportunità su cui deve concentrarsi la nostra attenzione, come Paese, e la politica estera a livello regionale. Al momento, non vi sono in loco, dove il TAP potrebbe andare a pescare, risorse disponibili, però ad esempio nell'Iraq settentrionale esistono riserve sfruttabili, quindi si potrebbe ampliare da dieci a venti miliardi di metri cubi questa condotta di importazione.
  Infine, abbiamo l’East Med, che è una regione non nuova in quanto tale, perché le esplorazioni in Israele, precisamente nel bacino del Tanin, sono piuttosto datate, ma è diventata regione autonoma di esportazione di gas sostanzialmente a partire dal 2015 con la scoperta da parte dell'ENI del mega-giacimento Zohr, che ha un potenziale di 850 miliardi di metri cubi, l'equivalente dei consumi italiani per 12-13 anni. Questo giacimento servirà in parte a soddisfare la domanda egiziana, che era difficilmente gestibile dal punto di vista domestico, però parte di queste risorse potrà essere utilizzata per le esportazioni e soprattutto potrà essere esportata se verrà messa a fattore comune con le altre aree interessate, quindi sicuramente Israele, che ha già giacimenti attivi, sicuramente Cipro, dove la stessa ENI è attiva per l'esplorazione di nuove risorse, e potenzialmente in Libano. Sono, quindi, quattro i Paesi (Egitto, Israele, Cipro, Libano) che possono, a livello regionale, fornire un quantitativo abbastanza interessante da giustificare una serie di investimenti e che sono in grado di raggiungere l'Europa e l'Italia in particolare.
  Per capire come massimizzare la capacità di produzione e poi di esportazione di queste risorse, è necessario comprendere quali sono le vie cosiddette di «evacuazione» di queste molecole. Ad oggi, sussiste un doppio binario, in cui l'Italia gioca un ruolo importante. Il primo è un binario più pragmatico e di breve periodo, che utilizza le risorse e le capacità di liquefazione egiziane, quindi i terminal LNG egiziani, che non stanno lavorando in quanto l'Egitto è diventato un Paese importatore: utilizzare questo gas non solo egiziano, ma potenzialmente anche cipriota-israeliano e libanese, attraverso un'infrastruttura regionale alquanto limitata anche dal punto di vista finanziario, e poi utilizzare l'LNG come elemento di esportazione.
  Questa è un'implicazione che non crea un vincolo diretto tra la regione, l'Italia e l'Europa, dal momento che il mercato dell'LNG potrebbe seguire dinamiche di prezzo e, anziché arrivare tutto in Europa, in parte potrebbe andare in Cina.
  Il secondo binario, al momento, viste le risorse disponibili scoperte e, quindi, la capacità di sviluppare risorse nell'area, è rappresentato dall’East Med Gas Pipeline, un progetto, anch'esso, di natura e matrice italiana, supportato dalla Commissione europea come PCI (project of common interest). Si tratta di una pipeline decisamente più lunga e decisamente più complessa. Ad oggi, probabilmente il potenziale delle risorse non permette di ipotizzare nel breve periodo una soluzione di questo tipo, però, qualora un nuovo Zohr dovesse essere scoperto nell'area, sicuramente anche i numeri e il razionale economico, commerciale e industriale potrebbero essere importanti. Quindi, questa opportunità non è da sottovalutare ma, anzi, da tenere sul tavolo, in quanto potenzialmente potrebbe Pag. 9portare nuove risorse anche europee, quelle provenienti da Cipro, nel sistema italiano.
  Mi fermo qui. Spero di essere stato sufficientemente esaustivo. Ovviamente, sono a disposizione per qualsiasi tipo di richiesta.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Sartori.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA BOLDRINI. La ringrazio, signora presidente. Ringrazio anche il dottor Sartori per questa dettagliata fotografia che ci ha restituito in merito alla politica energetica del nostro Paese.
  Vedo che il dottor Sartori è il responsabile del programma «Energia, clima e risorse», dunque Le chiederei di approfondire un tema che Lei ha solamente sfiorato, vale a dire come questo quadro impatta sulla sostenibilità ecologica e ambientale del nostro Paese.
  Le chiederei, inoltre, di conoscere la sua posizione in merito ai lavori che si sono svolti in Polonia in occasione del COP24, che si sono conclusi con un colpo di scena: alla conferenza stampa, insieme al Segretario Generale Guterres, il Presidente Andrzej Duda ha detto che mai e poi mai la Polonia andrà a ridurre l'utilizzo del carbone, che rappresenta un fattore altamente inquinante.
  Ebbene, dopo che gli Stati Uniti si sono ritirati dall'accordo di COP21, questo tirarsi fuori sta in qualche modo condizionando la comunità internazionale in merito agli impegni che essa stessa si era prefissa, perché a me sembra che da più parti stia emergendo con forza un certo negazionismo rispetto al cambiamento climatico e, dunque, alla necessità di apportare misure sostenibili e ambientalmente compatibili, come se non ce ne fosse più bisogno in quanto il cambiamento climatico non è più assodato. Poiché l'abbiamo visto pochi giorni fa in Polonia, considerato che Lei si occupa anche di clima, dunque di cambiamento climatico e di come una politica energetica impatta sulla sostenibilità ambientale, avrei piacere di avere qualche ragguaglio in più su questa tematica.
  Grazie.

  SIMONE BILLI. Dottor Sartori, vorrei chiederle, dato il vostro privilegiato punto di vista, quali sono le energie rinnovabili più promettenti per l'Italia che possono permettere al nostro Paese di essere sempre più indipendente e, al tempo stesso, di abbassare i costi della bolletta dell'energia elettrica.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi...

  LAURA BOLDRINI. Mi scusi, presidente, vorrei fare un'aggiunta, se posso.

  PRESIDENTE. Prego.

  LAURA BOLDRINI. Dottor Sartori, pensando a quanto sta avvenendo a Parigi con i gilet gialli e a come la politica francese di riduzione delle emissioni, che passa anche attraverso un aumento del prezzo del carburante «convenzionale», stia scatenando un grande risentimento popolare in quel Paese, Le pongo il seguente quesito: è possibile implementare una politica energetica pulita, senza andare a gravare sulle fasce più bisognose e, dunque, alzando il prezzo del carburante tradizionale, ovvero la benzina in questo caso?
  Grazie.

  SIMONE BILLI. Presidente, anch'io vorrei porre un'altra domanda.

  PRESIDENTE. Prego.

  SIMONE BILLI. Dottor Sartori, come think tank avete in programma qualche evento? Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Sartori per la replica.

  NICOLÒ SARTORI, responsabile del programma «Energia, clima e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali. Assolutamente Pag. 10condivido l'analisi. Dato il titolo dell'indagine, che riguarda in particolare le rotte transcontinentali, mi sono focalizzato più sulle analisi. Però, non le nascondo che ci sono alcune questioni che, per motivi di tempo, non ho toccato, come la questione della transizione energetica e delle implicazioni che essa determina, ad esempio il fatto di dipendere da nuovi Paesi per quanto riguarda il cobalto o il litio, metallo fondamentale, quest'ultimo, per le batterie, quindi per i veicoli elettrici e gli stoccaggi. Innescano nuove dinamiche di geopolitica che dovremmo tenere in considerazione come Paese. Ma vi è anche una questione di sicurezza legata al cambiamento climatico, soprattutto nel continente africano, che ha un impatto sulla nostra politica estera. Quindi, sicuramente l'annotazione è fondamentale.
  Per quanto riguarda il nostro Paese, l'Italia innanzitutto ha intrapreso in modo ambizioso il phase out del carbone entro il 2025, che penso, come primo statement, vada rafforzato e supportato, chiarendo contestualmente le modalità per far sì che questo sia fattibile, sostenibile e equo anche dal punto di vista sociale e dei lavoratori. Come IAI, ad esempio, stiamo lavorando su un paper per quanto riguarda il phase out del carbone.
  Con riferimento alla possibilità di carbonizzare l'Italia, al netto del fatto che nel 2025 il carbone sarà fuori dai giochi del nostro mix energetico, si dovrà lavorare su un accoppiamento e su un bilanciamento tra gas naturale ed energie rinnovabili, che dovranno necessariamente giocare un ruolo maggiore. Il gas si stabilizzerà nei prossimi anni soprattutto per far fronte all'uscita del carbone e poi dovrà calare per fare spazio a un numero maggiore di rinnovabili.
  Questo può succedere, evitando ciò che giustamente l'onorevole Boldrini ha sottolineato relativamente ai gilet gialli, anche nel settore dei trasporti, dove è auspicabile la riduzione dei consumi petroliferi tanto per la CO2 quanto soprattutto per gli altri agenti inquinanti nocivi per la salute dell'uomo. Anche in questo caso occorre una combinazione tra elettrico, soprattutto sul breve, e gas (potenzialmente biogas) per quanto riguarda le distanze più lunghe.
  Questo, ovviamente, comporta dei costi. Ad esempio, la parità dei veicoli elettrici a livello di costi con i veicoli tradizionali a combustione interna potrebbe essere raggiunta in tempi brevi. Ciò che manca, che comunque dal punto di vista del decisore politico è fondamentale, è far sì che anche l'infrastruttura diventi adeguata. D'altronde, se dobbiamo fare benzina per la nostra automobile, una pompa di benzina la troviamo piuttosto facilmente, invece se abbiamo bisogno di ricaricare elettricamente la nostra automobile, gli edifici pubblici, gli spazi pubblici e le stesse abitazioni attualmente non sono attrezzate.
  Il grosso gap, al netto della presenza di un piccolo gap di prezzo sui veicoli, è infrastrutturale, pertanto in questo caso occorre prendere una decisione chiara. Anche il fatto che la più grande azienda nazionale di automotive abbia deciso di investire in modo massiccio su questo segmento è un chiaro segno che vi è la necessità, soprattutto sul breve e medio raggio, di procedere in modo abbastanza spedito.
  Per quanto riguarda la conferenza COP24, ritengo che la dichiarazione rilasciata dal Presidente Andrzej Duda sia stata assolutamente disastrosa, un'affermazione che porta indietro Katowice rispetto all'obiettivo di cercare di fare un passo avanti. In Europa il carbone contribuisce a circa il 25 per cento della generazione elettrica e produce circa il 75 per cento delle emissioni: si spiega da sé il motivo per il quale va necessariamente eliminato, come primo obiettivo.
  La politica, anche di sussidio, portata avanti dalla Polonia a favore delle zone carbonifere dovrebbe essere approcciata con una politica di inclusione sociale e occupazionale, che può partire anche dall'Unione europea. Una situazione analoga la troviamo in un certo senso anche in Italia, considerato che, pur non avendo più produzione di carbone, abbiamo centrali a carbone. Dunque, la questione occupazionale e, quindi, degli impatti sociali di questa transizione è un elemento cardine. Pag. 11
  In tal senso, l'Unione europea può essere l'unico vero veicolo per incoraggiare in tal senso il Governo polacco, ma anche altri Governi, se si considera che la Germania non ha ancora predisposto un piano per il phase out del carbone e la Germania è il più grande consumatore di carbone e, di conseguenza, il più grande emettitore di inquinanti da carbone a livello europeo. Quindi, la questione non investe solo la Polonia, ma anche altri Paesi. Probabilmente, essendosi tenuta la conferenza a Katowice, il Presidente Duda ha espresso con maggiore veemenza questo concetto, però è a livello sistemico europeo che dobbiamo cercare di rafforzare il messaggio, come stiamo facendo in Italia, tant'è che potremmo anche porci come elemento di innovazione e di successo, ed è sostanzialmente il progetto che stiamo portando avanti all'interno dello IAI.
  Concludo con la questione del negazionismo, che mi auguro sia semplicemente un negazionismo di facciata, dal momento che la scienza parla chiarissimo, come dimostrato nell'ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Se poi vogliamo utilizzare il cambiamento climatico come un attacco al multilateralismo, identificando nel clima e nella lotta al cambiamento climatico uno dei baluardi del multilateralismo, allora possiamo dircelo chiaramente, così almeno sappiamo con che cosa abbiamo a che fare. Dire che il cambiamento climatico non esiste, secondo me è semplicemente strumentale a questo tipo di necessità. Vediamo purtroppo che grandi Paesi, per diverse necessità e diverse priorità, lo stanno facendo, gli Stati Uniti per primi, adesso anche il Brasile, che sta ritrattando la disponibilità ad ospitare la conferenza COP25.
  Oggi abbiamo un duopolio di leadership internazionale, Unione europea e Cina: quest'ultima, per motivi secondo me poco legati al clima in sé, ma molto più pragmatici e utilitaristici, ovvero l'inquinamento locale che ammazza la gente non più solo nelle campagne, ma anche nelle città, sta diventando un attore globale, che ha anche i suoi interessi, perché quando si inizia a produrre la gran parte dei pannelli fotovoltaici e delle turbine eoliche si ha maggior interesse a spingere verso questa transizione.
  L'Europa si è mossa per prima e ha l'obbligo morale, secondo me, di portare avanti questa transizione, sia per le questioni climatiche che per le questioni occupazionali e industriali, che non dobbiamo farci scappare. Anzi, ce le siamo quasi già fatte scappare, ma possiamo riprenderle - penso, ad esempio, alle batterie - e dobbiamo fare di tutto per riprenderle, perché questa è l'energia del futuro, questa è l'economia del futuro, quindi dobbiamo essere posizionati in tal senso.
  Venendo alle energie rinnovabili, la fonte energetica che l'Italia deve sfruttare maggiormente, da qui al 2050, si chiama efficienza. Efficientare e ridurre i consumi non necessari è sicuramente l'obiettivo principale. Per quanto riguarda le rinnovabili, ovviamente ci sono aree più soggette a esposizione solare, quindi ben venga il solare, e aree più esposte a venti forti, quindi ben venga l'eolico. Tuttavia, l'Italia deve dotarsi, al netto di una neutralità tecnologica sulle rinnovabili (la Toscana è la patria quasi a livello globale della geotermia) di infrastrutture, di reti intelligenti, di capacità di domanda e di risposta, quindi infrastrutture che efficientino anche il consumo.
  In questo senso, però, l'infrastruttura ci riporta anche a un discorso legato alle infrastrutture per il gas. Vogliamo fare gli elettrodotti? Abbiamo bisogno di mega-elettrodotti perché, anziché due-trecento centrali termoelettriche, avremo 500 mila piccoli produttori o produttori-consumatori? Avremo bisogno non solo di reti intelligenti (smart grid) ma anche di più reti e più potenti, probabilmente. Quindi, ci sarà anche un'implicazione sociale, ci saranno territori sui quali Terna, come TSO (transmission system operator) dovrà investire e dovrà cercare il consenso per far passare gli elettrodotti, che trasporteranno principalmente rinnovabili.
  Tuttavia, non dobbiamo nascondere il fatto che nel nostro Paese vi è una questione di accettazione sociale di una serie di infrastrutture, che la politica deve contribuire a far superare, dal momento che si Pag. 12tratta di infrastrutture che portano maggiore sostenibilità al sistema elettrico, energetico ed economico-industriale.
  Con riferimento ai prossimi eventi che abbiamo in agenda, cito la transizione energetica in Africa e, quindi, l'accesso dell'energia in Africa, nel periodo gennaio-febbraio 2019. Faremo qualcosa a Bruxelles e a Roma sui Piani nazionali «Energia e Clima», illustrando anche come viene declinata la politica energetica e climatica italiana nel contesto europeo. Faremo qualcosa sul ruolo degli attori privati energetici, principalmente le compagnie energetiche nell'area mediterranea, intesa come nord, sud, est, e sul contributo sia alla cooperazione politica (penso al Mediterraneo orientale, ma anche al Corridoio Sud) sia in particolare allo sviluppo economico sostenibile.
  Questi sono i tre focus principali, le linee guida principali, a cui naturalmente seguiranno quelle che emergeranno di volta in volta.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il dottor Sartori, a nome della Commissione, per questo inizio di indagine conoscitiva.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.