XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Martedì 10 novembre 2020

INDICE

Sui lavori della Commissione:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

Seguito dell'audizione, in videoconferenza, di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, e Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova.
Perantoni Mario , Presidente ... 4 
Conte Federico (LeU)  ... 4 
Perantoni Mario , Presidente ... 4 
Vitiello Catello (IV)  ... 5 
Perantoni Mario , Presidente ... 5 
De Caro Agostino , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise (intervento da remoto) ... 5 
Perantoni Mario , Presidente ... 9 
Ronco Mauro , professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (intervento da remoto) ... 9 
Conte Federico (LeU)  ... 11 
Perantoni Mario , Presidente ... 11 
Conte Federico (LeU)  ... 11 
Ronco Mauro , professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (intervento da remoto) ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 

(La seduta, sospesa alle 10.20, riprende alle 10.30) ... 12 

Audizione, in videoconferenza, di Edmondo Bruti Liberati, già procuratore della Repubblica di Milano; Nicola Russo, consigliere della Corte d'Appello di Napoli.
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Bruti Liberati Edmondo , già procuratore della Repubblica di Milano (intervento da remoto) ... 13 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Russo Nicola , consigliere della Corte d'Appello di Napoli, già componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura (intervento da remoto) ... 16 
Perantoni Mario , Presidente ... 20 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 20 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 
Sarti Giulia (M5S)  ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 
Conte Federico (LeU)  ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 22 
Vitiello Catello (IV)  ... 22 
Perantoni Mario , Presidente ... 22 
Bruti Liberati Edmondo , già procuratore della Repubblica di Milano (intervento da remoto) ... 23 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Russo Nicola , consigliere della Corte d'Appello di Napoli, già componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura (intervento da remoto) ... 24 
Perantoni Mario , Presidente ... 27 

ALLEGATO: documentazione depositata da Nicola Russo, consigliere della Corte d'Appello di Napoli ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 9.30.

Sui lavori della Commissione

  PRESIDENTE. Prima di introdurre l'audizione all'ordine del giorno, ricordo che la Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre scorso ha espresso all'unanimità un orientamento favorevole ad estendere – in via sperimentale e in relazione all'emergenza sanitaria – le modalità di partecipazione da remoto: alle sedute dedicate allo svolgimento di audizioni formali, previste nell'ambito di indagini conoscitive o disposte ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento; alle sedute dedicate allo svolgimento di comunicazioni del Governo, secondo quanto previsto dall'articolo 22, comma 3, del Regolamento; alle sedute dedicate allo svolgimento di atti di sindacato ispettivo; alle riunioni dei Comitati ristretti, ove non vi si svolgano deliberazioni; ad ogni altra seduta delle Commissioni (o di Comitati permanenti costituiti al loro interno) in sede formale nella quale sia previsto esclusivamente lo svolgimento di una discussione e non siano previste votazioni. In proposito ricordo che anche ai deputati collegati in videoconferenza non è consentito esporre cartelli o scritte, secondo le regole ordinarie vigenti per la partecipazione alle sedute. Inoltre è necessario che i deputati che partecipano da remoto abbiano sempre cura di trovarsi in un luogo adeguatamente isolato da interferenze di terze persone, non essendo consentito derogare al principio regolamentare che esclude la possibilità della partecipazione di estranei ai lavori parlamentari. Faccio presente, per i deputati partecipanti da remoto, la necessità che essi risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui essi svolgono il loro eventuale intervento, il quale deve ovviamente essere udibile: la Presidenza non potrà infatti dare la parola ai deputati non visibili o i cui interventi non siano chiaramente percepibili. A tal fine occorre dunque assicurarsi di disporre di una connessione internet stabile, evitando ad esempio di collegarsi da mezzi trasporto in movimento, condizione che di solito rende insufficiente la stabilità e la qualità della connessione stessa. Tale esigenza risulta particolarmente importante per le sedute formali, nella quali è prevista la resocontazione sommaria, ovvero la resocontazione stenografica (come per la seduta in corso), in quanto, ovviamente, la resocontazione richiede che gli interventi siano chiaramente percepibili: per tali motivi, nel caso di insufficiente qualità della connessione, la Presidenza sarà costretta a non dare o a togliere la parola all'oratore.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione, in videoconferenza, di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, e Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova.

Pag. 4

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, e di Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova.
  Ricordo che gli auditi potranno inviare, qualora non lo abbiano già fatto, alla segreteria della Commissione un documento scritto e che tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai medesimi attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Ricordo che nella seduta precedente erano stati auditi i professori De Caro e Ronco e che si era convenuto di aggiornare a una seduta successiva – e quindi a questa in corso – il seguito della loro audizione per consentire ai deputati e agli auditi stessi di avere un sufficiente margine di tempo per poter proporre domande, alle quali i nostri auditi eventualmente potranno rispondere. A questo punto, quindi, saluto il professor De Caro e il professor Ronco che ringrazio per la loro rinnovata disponibilità e chiedo chi tra i colleghi presenti intenda porre domande ai nostri ospiti. Onorevole Conte, prego, a lei la parola.

  FEDERICO CONTE(intervento da remoto). Buongiorno a tutti. Mi riferisco al professore De Caro e alla sua relazione, perché vorrei che precisasse, con una puntualizzazione della sua proposta - cioè non soltanto del rilievo critico che ha già esposto - la sua posizione su tre punti specifici. Per quanto riguarda la riforma del patteggiamento, il professore De Caro ha svolto una critica sull'estensione del novero dei reati per il quale non potrebbe essere utilizzato in teoria il nuovo strumento e anche una critica che riguarda la valutazione del giudice circa la colpevolezza del soggetto. Questo strumento così allargato porrebbe in serio rischio una valutazione adeguata sull'assunzione di responsabilità penale da parte dell'imputato o dell'indagato, se il patteggiamento dovesse arrivare nella fase delle indagini. Qual è, secondo il professore De Caro, una soluzione che tenga dentro in maniera specifica e concreta la volontà del legislatore di potenziare lo strumento del patteggiamento anche in chiave deflattiva e le garanzie della parte processuale? Inoltre, rispetto ai reati che sono stati ritenuti non rientranti nel novero di questo nuovo istituto processuale, quale invece secondo lui potrebbe essere mantenuto all'interno?
  In secondo luogo, per quanto riguarda l'articolo 190-bis del codice di procedura penale, domando al professor De Caro se la sua posizione è critica nel senso di escludere il ricorso allo strumento o se immagina ci possano essere spazi di miglioramento della previsione, magari anche in termini di limitazioni, mantenendo lo strumento per qualche ipotesi processuale.
  Infine, più specificamente quanto all'appello monocratico, chiedo se ritiene che si possa lavorare sulla prospettiva di una distinzione, all'interno del novero dei reati per i quali è prevista la citazione diretta ex articolo 550 del codice di procedura penale, per tenere esclusi dall'appello monocratico quelli più gravi. Il professor De Caro ha fatto l'esempio della lottizzazione abusiva; ve ne sono anche altri che possono essere proposti. In sostanza, sul piano normativo, il professore ritiene che si possa fare una distinzione, mantenendo l'istituto dell'appello monocratico soltanto per una parte dei reati previsti ex articolo 550 del codice di procedura penale, vale a dire per quelli per i quali il peso della collegialità può essere ritenuto compensabile rispetto al valore della speditezza della celebrazione e della concentrazione della stessa nel grado di appello? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Conte. Prego, onorevole Vitiello.

Pag. 5

  CATELLO VITIELLO(intervento da remoto). Grazie, presidente. Buongiorno a tutti, buongiorno agli auditi e grazie, perché sono di nuovo qui per ascoltare le nostre domande.
  Io farei soltanto due domande a entrambi gli auditi. Innanzitutto rivolgo una domanda di sistema: secondo voi quale sarà l'impatto di una riforma del processo penale nell'attuale ordinamento? Si tratta di una riforma che – allo stato, se non intervengono modifiche – cambia la regola di giudizio, introduce la monocraticità in appello, aggiunge l'udienza filtro; insomma si pongono una serie di questioni che sono anche critiche, perché hanno rappresentato in qualche modo l'oggetto degli interventi di tutti gli auditi. Se questa riforma dovesse restare così, quale sarà l'impatto sull'attuale sistema? Si garantirebbe un'effettiva velocizzazione del sistema processuale penale? Sarebbe utile accompagnare la riforma del processo penale con interventi analoghi a quelli che integrano riforme epocali che si inseriscono in un sistema già molto critico di per sé? È utile quindi fare una riflessione anche in termini di amnistia e di indulto, oltre che di diritto penale minimo? Questa è la prima domanda.
  Quanto alla seconda domanda, invece: la grande assente di questa riforma è la cautela. Ritenete utile introdurre anche elementi di efficientamento del procedimento cautelare, come ad esempio l'apposizione di termini fra la richiesta della misura cautelare e l'ordinanza applicativa della stessa misura? Tante volte infatti mi capita di verificare in concreto una carenza a monte dell'attualità richiesta per le esigenze cautelari, perché fra la data della richiesta della misura cautelare e la data dell'ordinanza può passare anche un anno e mezzo. A me personalmente è capitato anche di veder passare due anni. Mi chiedo: sarebbe utile per l'efficientamento delle indagini preliminari, visto che la maggior parte dei termini delle misure cautelari hanno un peso all'interno delle indagini, creare anche un sistema di garanzia dei tempi nel procedimento cautelare? Grazie a tutti.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello. Non essendovi altre richieste di intervento, darei volentieri la parola agli auditi per rispondere alle sollecitazioni di coloro che sono intervenuti. Chiederei di intervenire per primo al professor De Caro. Prego, professore.

  AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise (intervento da remoto). Grazie. Buongiorno a tutti. Vi ringrazio per avermi dato quest'ulteriore opportunità di interloquire con la Commissione Giustizia. Credo sia dovere di ogni cittadino garantire, nei limiti delle proprie competenze, la partecipazione alle istituzioni. Spetta in particolar modo a chi, come me, si occupa di diritto processuale penale e di procedura penale, dare un contributo, ovviamente con tutti i limiti della mia persona, a un dibattito così importante e particolarmente interessante, in un momento storico che è caratterizzato dalla pandemia, ma anche da una serie di dibattiti che da tempo sono dedicati alla riforma del processo penale. Cerco di rispondere in sintesi, anzi più che di rispondere – non ho la pretesa di dare risposte – di dare il mio contributo in sintesi rispetto alle sollecitazioni degli onorevoli Conte e Vitiello che saluto e che peraltro, essendo due importanti avvocati penalisti, parlano a ragion veduta di argomenti di estrema delicatezza.
  L'onorevole Conte mi ha sollecitato tre riflessioni che prendono spunto da ciò che ho detto mercoledì scorso, con riguardo in particolare al problema del patteggiamento. Guardate, io ho fatto una riflessione che ribadisco. Ho evidenziato una contraddizione: mi sta bene ampliare il ricorso al patteggiamento, con le modifiche necessarie di cui da qui a un attimo vi dirò, ma non possiamo creare nel sistema una contraddizione incomprensibile e peraltro non spiegata da ragioni di politica criminale effettiva. Da un lato, abbiamo un ampliamento notevole del patteggiamento fino a otto anni di pena che, al netto della riduzione fino a un terzo, al lordo potrebbero essere dodici anni. Con l'eventuale bilanciamento delle attenuanti, potremmo farvi rientrare anche reati di enorme gravità. Pag. 6D'altro canto invece eliminiamo alcuni reati che non sono di gravità enorme, penso per esempio ai maltrattamenti di cui all'articolo 572 del codice penale. Sì, indiscutibilmente è un'ipotesi di reato significativa, però escluderla dal patteggiamento mi sembra francamente poco coerente. Sono contrario addirittura all'eliminazione del giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, perché credo che l'unico modo per accelerare i tempi del processo debba essere quello di consentire ai riti deflattivi di funzionare effettivamente. Penso in particolare al rito abbreviato, che è forse l'unico giudizio deflattivo che risponde all'idea di giurisdizione che emerge dalla nostra Costituzione. Una sentenza di condanna deve seguire un'affermazione della responsabilità da parte di un giudice terzo che ha sentito previamente le parti in contraddittorio. Queste sono le regole minime della giurisdizione. Nel patteggiamento, in particolare, noi abbiamo un ampliamento notevole, fino a otto anni di pena, che segue una linea già perseguita nell'ordinamento processuale penale. Inizialmente il patteggiamento era riservato ai reati per i quali, detratte, compensate ed eventualmente applicate le attenuanti, verificato il giudizio di equivalenza, ridotta la pena, non si superavano i due anni di reclusione. L'idea era che solo per i reati miti, per le fattispecie non particolarmente gravi, potevamo permetterci un giudizio sommario di responsabilità, anche perché, dal punto di vista formale, quella non è una sentenza di condanna: è equiparata a una sentenza di condanna e prevede notevoli benefici in chiave premiale. Non si applicano le pene accessorie, le misure di sicurezza, le spese processuali; non viene iscritta nel certificato penale spedito a richiesta di parte; non vale sotto il profilo della responsabilità civile e disciplinare. Poi il legislatore italiano ha scelto di estendere il patteggiamento introducendo il cosiddetto «patteggiamento allargato» per le pene fino a cinque anni, oggi fino a otto anni. E si pone un problema serio. Guardate che è drammatico per un giudice applicare una pena fino a otto anni di reclusione senza essere convinto della responsabilità penale. Un giudice che applica la pena su richiesta deve fare, nell'attuale sistema, una verifica circa la sussistenza della responsabilità penale? Certo, glielo impone il codice, ma nei limiti dell'articolo 129 del codice di procedura penale. L'articolo 129 è una norma che consente una verifica della penale responsabilità? Innanzitutto, non lo consente dopo una partecipazione in contraddittorio delle parti, perché le parti in quel caso si limitano a chiedere la pena, né impone al giudice di fare questo tipo di verifica concreta. Ancora oggi il giudice ha un ruolo «notarile», cioè limita la sua verifica alla corretta qualificazione del fatto, alla corretta qualificazione e applicazione delle attenuanti e compensazioni, alla dosimetria della pena, ma non entra in maniera puntuale nella verifica della responsabilità. E si possono irrogare otto anni di reclusione sulla base di un accordo delle parti che potrebbe anche essere poco nobile? Perché spesso l'accordo è figlio di una serie di valutazioni di tipo processuale che non sono normalmente molto connesse all'affermazione della responsabilità. Lo sono tante volte, ma in alcuni casi sono anche scelte strategiche: il pubblico ministero ha esigenza di chiudere; la difesa vuole evitare il dibattimento; magari l'imputato non può sopportare i costi di un processo che dura molto. Qual è la mia proposta? Quella di prevedere – e potrebbe essere abbastanza semplice –, per tentare di cogliere il minimo delle esigenze necessarie a rendere la giurisdizione democratica e coerente con la Costituzione e con le Carte internazionali dei diritti, in particolare con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che il giudice applichi la pena se, dopo aver verificato gli atti, ritenga, sentite le parti, provata la penale responsabilità secondo le indicazioni dell'articolo 533 del codice di procedura penale, vale a dire della regola dell'«al di là di ogni ragionevole dubbio». In questo modo noi valorizziamo la decisione del giudice in chiave di affermazione della penale responsabilità. E non possiamo continuare a dire che non è una sentenza di condanna, ma assomiglia a una sentenza di condanna, perché una sentenza ad otto anni di reclusione è a tutti gli effetti Pag. 7una significativa sentenza di condanna. Questa credo che possa essere una soluzione. Peraltro, voi sapete meglio di me che, da molti anni a questa parte, la sentenza di patteggiamento è revisionabile, vale a dire che può essere sottoposta a revisione. Ma se noi non pretendiamo una motivazione sulla responsabilità, come si fa a stabilire se c'è un elemento nuovo che, aggiunto ai precedenti, può consentire la revisione del patteggiamento? Tant'è vero che quella norma è rimasta, credo, quasi inapplicata.
  Per quanto riguarda il secondo profilo, vale a dire l'articolo 190-bis del codice di procedura penale, onorevole Conte, io sono assolutamente contrario: l'articolo in questione, che costituisce un'eccezione, stabilisce un automatismo in base al quale, secondo le indicazioni contenute nel disegno di legge di cui stiamo discutendo e quindi nell'eventuale delega che introduce questo principio, ogni volta che muta il giudice, per definizione, l'attività precedentemente fatta non deve essere ripetuta. È già un passaggio ulteriore rispetto all'assetto normativo emergente dalle ultime sentenze, quali la sentenza n. 132 del 2019 della Corte costituzionale e la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che sono coeve o quasi sovrapposte, nel senso che, non appena è stata depositata la motivazione della Corte costituzionale, è intervenuta la sentenza della Cassazione. Le due Corti hanno tentato di dare un'indicazione, con una ricostruzione precisa e puntuale, almeno consentendo la rinnovazione richiesta dalle parti e sottoponendo al giudice una valutazione che tenesse conto delle esigenze concrete. In questo caso si introdurrebbe un automatismo che mi pare francamente intollerabile e insopportabile. Significa escludere dal sistema il principio dell'immutabilità del giudice e il principio dell'immediatezza, che sono cardini del sistema accusatorio, sono cardini del sistema costituzionale, sono cardini del sistema processuale democratico, come io amo chiamare il sistema accusatorio, in particolare per gli aspetti dettati dalla Costituzione. O cambiamo la Costituzione o dobbiamo fare i conti con questi principi. D'altronde, quando cambia il giudice? Diciamoci le cose con enorme chiarezza: qual è il grande assente? Il grande assente è un intervento sulle problematiche che normalmente determinano la mutazione del giudice. Quando cambia il giudice? Il giudice cambia quando o viene trasferito o quando vi è un assetto diverso dell'organizzazione giudiziaria. E tutto questo si verifica decine di volte, perché il processo dura tanto. Lo sapete quale potrebbe essere l'effetto dell'applicazione dell'articolo 190-bis? Onorevole Vitiello e onorevole Conte, voi lo conoscete bene, perché vi occupate tanto della materia, anche per professione. Nei processi di criminalità organizzata, diverse volte si inizia con un collegio e si finisce con un collegio che è cambiato tre volte. Corriamo il rischio che, alla fine, chi decide non ha nemmeno ascoltato tutte le discussioni. Vi pare un sistema possibile? Peraltro, esso è incoerente rispetto alla regola che due anni fa lo stesso legislatore ha stabilito con la cosiddetta legge Orlando, introducendo, all'articolo 603 del codice di procedura penale, il comma 3-bis che prevede la rinnovazione obbligatoria della prova dichiarativa davanti al giudice d'appello, perché la Corte europea dei diritti dell'uomo e la Cassazione a Sezioni Unite hanno sostenuto che non è ammissibile che il giudice condanni per la prima volta senza aver assunto la prova in contraddittorio. Se questo è possibile per l'appello, non vi pare un po' contraddittorio non prevederlo anche per il giudizio di primo grado? Ci dovranno essere delle eccezioni, ma io le limiterei ai reati di enorme gravità, di particolare gravità. Quello attuale è un sistema che funziona. E come si può fare? Basterebbe introdurre due norme: in primo luogo, bisognerebbe concentrare il dibattimento. E lo avete fatto, con una norma eccellente, vale a dire quella che prevede il programma di inizio udienza. Il problema è che bisognerebbe introdurre sanzioni per fare rispettare la norma. In secondo luogo, bisognerebbe obbligare il giudice trasferito, il giudice che cambia ufficio, a concludere i processi iniziati. Non ci vuole molto. Perché il principio di immediatezza deve essere subvalente rispetto alle esigenze di carriera o alle esigenze di Pag. 8comodità di un giudice? Io francamente credo che il tema vada affrontato in quest'ottica.
  Per quanto riguarda l'appello monocratico, io credo che sia assolutamente illegittimo. Un momento di collegialità nel giudizio di appello ci deve essere. Abbiamo già sperimentato l'appello monocratico, e lo abbiamo sperimentato rispetto a una categoria di reati, ovvero i reati di competenza del giudice di pace, per cui l'appello si svolge davanti al giudice monocratico del tribunale. E si tratta di reati dove figura una grande confusione. Quando è entrata in vigore la gestione da parte del giudice di pace, si parlava di «diritto penale mite», confondendolo con il diritto penale minimo. Ma come il professore Longo vi potrà dire mille volte meglio di me, il diritto penale minimo è un'altra cosa. Il diritto penale minimo significa che noi dobbiamo utilizzare il diritto penale per le fattispecie realmente gravi. E si deve trattare di un intervento residuale. Il diritto penale mite è incompatibile con il concetto di diritto penale. La giurisdizione del giudice di pace andrebbe eliminata dal punto di vista penalistico, perché si tratta di fattispecie bagatellari che vanno escluse dall'ordinamento, insieme a tante altre.
  L'ultima considerazione, svolta dall'onorevole Vitiello, riguarda un problema di sistema. L'onorevole Vitiello ricorderà che durante il Governo Prodi, con il guardasigilli Mastella, svolse i propri lavori la Commissione presieduta dal professor Riccio, di cui sono onorato di aver fatto parte. Quella Commissione partì dall'idea di rivedere l'impianto e di scrivere un disegno di legge delega: è evidente che il sistema non può essere rattoppato, ma va ricostruito, se la logica deve essere quella di accelerare i tempi del processo, anche perché, per esempio, l'udienza filtro davanti al giudice monocratico per i reati di cui all'articolo 550 del codice di procedura penale è praticamente l'estensione dell'udienza preliminare a quelle fattispecie di reato. È mai pensabile che si accorcino i tempi del processo? Si potrebbero accorciare, se l'estensione della regola di giudizio funzionasse. Ma per far funzionare la regola di giudizio – e perdonatemi, io tengo molto a questa riflessione – devo snaturare l'idea di udienza preliminare. L'udienza preliminare non dovrà più essere un'udienza di verifica della legalità del rinvio a giudizio, dell'esercizio dell'azione penale. Diventerà un'udienza di decisione senza contraddittorio, o con contraddittorio limitato, vale a dire senza l'acquisizione della prova, il che finirà per condizionare il giudizio d'appello. Vedrete che, se passa questa linea, tra qualche anno qualcuno si chiederà – e già sono molti coloro che lo pensano – che senso abbia l'appello, se l'udienza preliminare è una valutazione di merito, e poi si svolge il giudizio di primo grado: diventa quindi inutile il controllo in appello. Eliminare il controllo in appello, però, significa eliminare un presidio costituzionale di prima grandezza. Sono cosciente di essere uno dei pochi a sostenere la legittimità costituzionale dell'appello, ma mi auguro che con il passare degli anni ci renderemo conto che quello dell'appello è un istituto fondamentale.
  Una delle ultime riflessioni è relativa alla necessità di un'amnistia o di un indulto. Secondo me l'amnistia è fuori discussione, soprattutto dopo l'effetto di questa pandemia: noi assistiamo quotidianamente a rinvii dei processi di mesi o di anni, in particolare di quelli più semplici. È inevitabile che si ingolferà tutto, e quando arriveremo a recuperare la normalità, ci troveremo di fronte a ruoli enormi che devono essere smaltiti. Forse la soluzione dovrebbe essere quella di una consistente depenalizzazione, ma sappiamo che in Italia non si riesce mai a ragionare in questi termini. Bisogna intervenire, infine, sulla custodia cautelare? A mio giudizio sì. Però, onorevole Vitiello, il problema non è tanto quello di fissare un termine, bensì quello di recuperare l'eccezionalità della custodia cautelare. Il sistema della custodia cautelare è tuttora volto a corrispondere alle esigenze investigative: alcune leggi hanno determinato l'ampliamento della sua applicazione. Pensate alla legge cosiddetta «spazzacorrotti»: arresto il corrotto e il corruttore; se l'arrestato parla, il più delle volte esce, perché a questo mira la custodia cautelare. Pag. 9E si innesca un meccanismo pericoloso, perché poi si fa l'incidente probatorio, e lo si fa prima del giudizio, in maniera da tenere sotto scacco il dichiarante. E poi in dibattimento è prevista come regola l'applicazione dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale, vale a dire che la persona escussa in incidente probatorio non deve essere più sentita a dibattimento, se non su segmenti probatori diversi rispetto a quelli di cui ha parlato? Mi sembra francamente una mortificazione dei principi costituzionali.
  Quindi, vi invito a riflettere su questi aspetti. E vi chiedo scusa se ho abusato della vostra pazienza.

  PRESIDENTE. Grazie, professor De Caro. Non vi è stato alcun abuso, anzi si tratta di approfondimenti utili su cui ragionare. Professor Ronco, se vuole dare il suo contributo, la ringraziamo.

  MAURO RONCO, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (intervento da remoto). Grazie, presidente. Rispondo subito all'osservazione dell'onorevole Vitiello circa l'impatto di sistema di questa proposta di riforma. A me pare che l'impatto di sistema sia solo quello di rallentare il processo, e non di accelerarlo. Poi, in surroga dell'ulteriore rallentamento si prevede la riduzione del giudizio di appello. Come ha detto il professor De Caro molto correttamente, la prospettiva è quella di eliminare l'appello. Siamo di fronte a questa prospettiva: si fa un primo passo per rendere l'appello irragionevole, perché tutti diranno giustamente che, di fronte ad un giudizio d'appello collegiale per reati di minore rilevanza – perché vi sono reati irrilevanti per i quali è previsto il giudizio d'appello in composizione collegiale –, rispetto a reati di maggior rilievo sottoposti a giudizio monocratico, siamo in una situazione contraddittoria. E quindi chiederanno di eliminare l'appello, o comunque di eliminarlo nella grandissima parte dei casi. L'impatto di sistema della proposta di riforma è quindi per un verso il rallentamento dei processi. Vi sono infatti norme impressionanti per quanto riguarda l'effetto di rallentamento: a titolo esemplificativo, quelle relative all'udienza preliminare, al giudizio monocratico in cui si raddoppiano le udienze, all'incidente previsto a proposito del deposito degli atti da parte del pubblico ministero che non ha adempiuto ai termini nel richiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione. Anche quello è un incidente. Sono tutti incidenti che rallentano il corso dei processi. Vi è evidentemente un numero notevole di incidenti che intervengono nel corso del processo, e quindi una serie di controlli anticipati che porteranno a dire che l'appello non serve più a niente. A onore dei magistrati e degli avvocati italiani, devo dire che il giudizio d'appello italiano in tutte le Corti – tranne qualche raro caso – è stato una garanzia incomparabile di giustizia vera, sia in termini assoluti nella valutazione della responsabilità, sia anche in termini di perequazione delle valutazioni in termine di pena fatte dai giudici di primo grado. Quindi l'appello, per noi studiosi, per gli avvocati e anche per i magistrati è una garanzia eccezionalmente importante, per la quale invece si punta alla soppressione. L'impatto di sistema, a mio parere, è di rallentamento e non di accelerazione. Basterebbe considerare il discorso relativo alla revisione dell'udienza preliminare. Pensate che vi sono tribunali che hanno pochissimi giudici in condizione di celebrare in giudizio. E con questa riforma si opera il raddoppio dei giudici, perché viene previsto un giudice che interviene preliminarmente, e poi un secondo giudice che giudicherà. E il primo giudice dovrebbe anch'egli giudicare, in qualità di giudice dell'udienza preliminare, addirittura formulando un'ipotesi di condanna dell'imputato per poter procedere. Quindi viene proposta una serie di ostacoli che rallentano il corso del processo. Peraltro debbo aggiungere un aspetto. E si tratta di un'osservazione che merita interesse. Il processo, così come è oggi, è già stato allungato e modificato rispetto all'origine, per una serie di ragioni legate anche ad esigenze pratiche dei giudici. E un'infinità di norme sono state modificate, consentendo una maggiore possibilità di inchiesta Pag. 10e riducendo o erodendo determinate garanzie, per le sole esigenze di giustizia, che hanno imposto enormi approfondimenti. E si tratta di approfondimenti doverosi, per la verità, che hanno tra l'altro consentito lo svolgimento di processi che in altri Paesi non sarebbero possibili. Da noi si tengono processi giganteschi, che in altri Paesi sono assolutamente marginali o rarissimi. Ora questa situazione si è determinata per la volontà di portare la giustizia a livelli straordinari di incidenza sulla vita sociale. Basterebbe considerare tutto quello che capita a proposito dei reati dei pubblici ufficiali, spingendosi ai pubblici ufficiali di prima fascia, ai pubblici ufficiali regionali, ai pubblici ufficiali nazionali, ai membri di Governo, e via dicendo. Quindi si tratta di una giustizia enormemente invasiva. Dipenderà dalla criminogenità del nostro modo di vivere, ma questa è la realtà. Allora, cosa occorre fare per accelerare veramente il processo? Sicuramente non bisogna rallentarlo con le norme previste in questo disegno di legge. Semmai si tratta di introdurre consistenti depenalizzazioni. E questo lo si dice da tantissimi anni. Tra le disposizioni del disegno di legge spunta appena la possibilità di estinguere le contravvenzioni attraverso l'adempimento delle prescrizioni previste. Questa è la strada: quanto meno per ciò che attiene alle contravvenzioni e a tutta una serie di reati minori, occorre prevedere misure di estinzione anticipata, attraverso un determinato atteggiamento positivo del soggetto, dell'imputato o dell'indagato, attraverso l'adempimento di prescrizioni, attraverso il pagamento di somme di denaro, in termini di soddisfazione della persona offesa e via dicendo. Questa è la via che deve essere seguita. E deve essere favorita la pena pecuniaria. La pena pecuniaria su richiesta della parte, in sostituzione della pena detentiva, potrebbe provocare una sentenza non appellabile. Allora, se si accetta, come previsto nel disegno di legge, la misura alternativa del lavoro sostitutivo, la sentenza non può essere appellata. Se si accetta una misura sanzionatoria pecuniaria, che magari può anche essere rateizzata o modificata attraverso una prestazione di lavoro nell'interesse della collettività, non si può impugnare la sentenza ricorrendo in appello. Questa mi sembra una soluzione logica. Si tratta di dare maggiore rilievo, sia pure in una prospettiva di depenalizzazione moderata, laddove non si riuscisse ad intervenire con una depenalizzazione più incisiva, alla «decarcerizzazione», vale a dire ad una previsione di sanzioni pecuniarie su richiesta delle parti che comportano condanne non appellabili. Questa sarebbe una strategia completamente diversa. Invece nella strategia, che è stata qui individuata, si evidenzia soprattutto l'aspetto dell'eliminazione del giudizio di appello. È la prospettiva di una parte della magistratura organizzata, che vede nell'appello un'inutile duplicazione del giudizio. Mi permetta di fare soltanto due ultime considerazioni, una in risposta all'osservazione dell'onorevole Vitiello. Amnistia o indulto? Allora, l'indulto risale all'anno 2006. All'inizio della pandemia da Covid-19, proposi, mettendolo per iscritto in un documento del Centro studi Livatino, di prevedere per tutti i condannati l'indulto di un anno di reclusione. Sarebbe stata una misura straordinariamente valida e importante, perché avrebbe in qualche modo decongestionato l'intero universo carcerario. Si tratta di un anno di reclusione per tutti, anche per il condannato per il delitto più grave. Questa sarebbe la misura proposta. E ci sarebbero state tante modalità attraverso cui renderla applicabile. Un anno di indulto per tutti non danneggia nessuno, ed è oltretutto paritario ed evita perequazioni. L'amnistia? Come ha detto il collega, l'ingolfamento del sistema giudiziario dopo il Covid-19 la renderebbe necessaria. È diffuso un atteggiamento demagogico, purtroppo – devo dire – pervenuto anche nelle aule parlamentari attraverso i media, secondo cui le misure dell'indulto e dell'amnistia sarebbero contrarie alla giustizia. Si tratta di misure attraverso cui, preso atto delle situazioni di fatto, si prevede una sorta di mitigazione delle conseguenze sanzionatorie. Quindi, sono assolutamente a favore, soprattutto se si tratta di un indulto. Un indulto di un anno oggi, con l'emergenza sanitaria in atto, sarebbe indispensabile. E sarebbe molto Pag. 11meglio piuttosto che prevedere misure di carattere diversificato, con riferimento ai diversi tipi di delitti. Un'amnistia è più difficile da farsi, ma potrebbe comunque essere fatta correttamente.
  Mi permetto un'ultima osservazione. L'onorevole Conte ha rivolto soltanto al professore De Caro la domanda sul patteggiamento. Il patteggiamento è stato sempre un'anomalia. È un istituto che viene da fuori, dal mondo anglosassone in particolare. Noi abbiamo avuto difficoltà ad accoglierlo. E lo abbiamo accolto. Abbiamo detto che non si tratta di una sentenza di condanna, e poi invece la giurisprudenza ha stabilito che è una sentenza di condanna. Abbiamo detto che non sono applicate misure accessorie. E poi le abbiamo introdotte nel momento in cui non c'erano. Gli effetti penali sono rimasti molto marginali, però le pene accessorie ormai sono previste anche per le sentenze di patteggiamento. In relazione a determinati reati, sono previste anche le misure di sicurezza. Devo dire che, per la mia mentalità, in passato sono sempre stato contrario al patteggiamento, che è un principio derivato da ordinamenti diversi. È già stato introdotto per le pene fino a cinque anni. Effettivamente sarebbe uno strumento ulteriore di accelerazione, soprattutto per evitare processi di grandissima portata, che potrebbero essere conclusi con le misure di patteggiamento. Si tratta di una scelta parlamentare, su cui non mi voglio pronunciare in questo momento, perché qui siamo chiamati come tecnici. È una scelta del Parlamento. È opportuno proseguire su questa strada? Certo, è una misura di accelerazione. Si potrebbe prevedere, come ha detto il professore De Caro, una maggiore possibilità di controllo da parte del giudice in ordine al tema della responsabilità. Però, una volta che il Parlamento accetti questa strada, prevedere tutta una serie di esclusioni mi pare controproducente. Mi pare che si introducano difficoltà ulteriori. Se si segue questa strada – ma è una scelta parlamentare sulla quale non mi voglio pronunciare –, bisogna avere il coraggio di andare fino in fondo, perché altrimenti si avranno gli svantaggi dell'uno e dell'altro sistema e non si otterranno le accelerazioni che sarebbero necessarie. Queste sono le mie osservazioni.

  FEDERICO CONTE(intervento da remoto). Presidente, posso intervenire sulle considerazioni del professore Ronco?

  PRESIDENTE. Sì, prego, onorevole Conte. Con il suo consueto stile telegrafico, grazie.

  FEDERICO CONTE(intervento da remoto). Ringrazio il professor Ronco per quest'ultimo passaggio. Ovviamente la domanda era rivolta a tutti gli auditi, avevo semplicemente iniziato a riferirmi al professor De Caro. Professor Ronco, vorrei una sua valutazione sotto un diverso aspetto, essendo io del suo stesso avviso circa il rendere possibile il giudizio abbreviato per tutti i reati, tranne quelli puniti con la pena dell'ergastolo, come ha voluto il legislatore della prima fase, quello giallo-verde, e con la nostra contrarietà. Abbiamo votato contro la norma che esclude dalla possibilità di accedere al giudizio abbreviato i reati puniti con l'ergastolo; per gli altri reati ciò è possibile, anche per quelli – e questo è il tema che le vorrei sottoporre – che adesso invece dovremmo introdurre come ostativi per il patteggiamento «super allargato» fino ad otto anni di pena. Non si verrebbe così a creare un'asimmetria tra i due istituti processuali? In pratica, io imputato di un reato di maltrattamenti in famiglia – faccio l'esempio che ha utilizzato prima il professore De Caro – posso fare il giudizio abbreviato, ma non posso accedere al patteggiamento, volendo ammettere la mia responsabilità e concordare una pena. Vale lo stesso discorso anche per i reati contro la pubblica amministrazione, che pure sono stati introdotti nel novero dei reati ostativi per il patteggiamento allargato, essendo, secondo me, una tipologia di reati che ben si presterebbe ad essere resi definibili con l'accordo delle parti. Secondo lei, questa asimmetria presenta profili patologici dal punto di vista costituzionale, immaginando che abbiamo addirittura una sperequazione costituzionalmente rilevante tra le Pag. 12scelte possibili? E poi, quanto all'impatto di sistema, quale effetto prevedibile avrà?

  MAURO RONCO, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (intervento da remoto). Sul piano costituzionale, in questo momento non vedo una problematica, per la verità. Lei lo ha detto, io lo condivido. Prevedere qualche mese fa che il giudizio abbreviato non è ammissibile nei reati e nei delitti per la cui punizione è previsto l'ergastolo e oggi allargare il patteggiamento in questa maniera è veramente segno di una schizofrenia legislativa – perdonatemi – perché si vuole evitare un processo che ha una forte accelerazione rispetto all'ordinario. I delitti puniti con l'ergastolo molto spesso comportano istruttorie complesse anche in sede dibattimentale; quindi, riproporre in sede dibattimentale tali istruttorie complesse, impedendo il giudizio abbreviato, significa rallentare moltissimo il funzionamento della giustizia globale. Certamente il giudizio abbreviato pone problemi relativi alla pubblicità del processo. Questa forse è la ragione per cui il Parlamento precedentemente ha previsto questa preclusione: la pubblicità del processo. Io penso che, una volta che si era consolidata la previsione del giudizio abbreviato anche per i delitti punibili con l'ergastolo, escluderlo sia stato un passo indietro, per la verità.
  Per quanto riguarda il patteggiamento, penso che le preclusioni siano inopportune: o si accetta la linea del patteggiamento – prevediamo la garanzia del giudizio, come dice De Caro molto bene, però andiamo avanti su questa strada – oppure ci fermiamo e non sviluppiamo ulteriormente il patteggiamento nelle modalità così allargate come oggi si prevede.
  Spero di essere riuscito a dare indicazioni con riguardo a perplessità molto ampie, su cui io non sono in grado di dare risposte esaustive. Questo mi sembra di poter dire al momento.

  PRESIDENTE. Grazie al professor Ronco. Non essendoci altri colleghi che intendono intervenire, dichiaro conclusa l'audizione. Ringrazio il professor Ronco e il professor De Caro. Avverto i colleghi in videoconferenza che ci aggiorniamo tra qualche minuto per la prosecuzione dei nostri lavori. Di nuovo grazie agli auditi e buon lavoro.

  La seduta, sospesa alle 10.20, riprende alle 10.30.

Audizione, in videoconferenza, di Edmondo Bruti Liberati, già procuratore della Repubblica di Milano, e di Nicola Russo, consigliere della Corte d'Appello di Napoli.

  PRESIDENTE. L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, in videoconferenza, dell'audito e dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre scorso.
  In proposito ricordo che per i deputati partecipanti da remoto è necessario che essi risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui essi svolgono il loro eventuale intervento, il quale deve ovviamente essere udibile.
  L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Edmondo Bruti Liberati, già procuratore della Repubblica di Milano, e di Nicola Russo, consigliere della Corte d'Appello di Napoli, già componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura. Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo loro cortesemente di contenere il proprio intervento in circa 10 minuti in modo da dare spazio ai quesiti che verranno rivolti dai commissari, cui seguirà la replica degli auditi, i quali potranno inviare – qualora non l'avessero già fatto – un documento scritto alla segreteria della Commissione. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione Pag. 13 GeoCamera. Do quindi la parola al dottor Edmondo Bruti Liberati, già procuratore della Repubblica di Milano.

  EDMONDO BRUTI LIBERATI, già procuratore della Repubblica di Milano (intervento da remoto). Buongiorno, signor presidente e onorevoli deputati. Nel ringraziarvi per l'invito, vi sottopongo alcune osservazioni che fanno riferimento alla mia esperienza pratica di magistrato nelle diverse funzioni di giudicante e di requirente per un lungo periodo.
  Per quanto riguarda l'articolo 2, in materia di processo penale telematico, mi sembra opportuna la previsione del deposito di atti e documenti in via telematica in vista di una disciplina a regime che vada oltre l'emergenza del Covid-19. L'emergenza ha ineluttabilmente creato ritardi e accumuli di arretrato, anche in quelle sedi che negli ultimi anni avevano raggiunto livelli abbastanza soddisfacenti di attuazione del principio della ragionevole durata, sia nella fase delle indagini, sia nella fase di indirizzo, almeno nel primo grado. A me pare che occorra cogliere sin da ora l'occasione per incisive innovazioni nell'assunzione di atti a distanza, utilizzando i prossimi mesi per i necessari adeguamenti tecnici. Vi sono atti, lo sappiamo, per i quali l'assunzione a distanza evita aggravi per gli interessati, riduce i tempi senza alcuna lesione delle garanzie di difesa e del principio del contraddittorio. Occorre procedere con coraggio, badando all'essenza delle garanzie. Sappiamo tutti che anche l'atto forte dell'assunzione dei testimoni in casi marginali può ben essere svolto a distanza.
  Per quello che concerne la disciplina delle notificazioni, si tratta dell'innovazione più rilevante che pone indubbiamente, non ve lo nascondo, oneri pesanti per la difesa. Tuttavia dobbiamo partire da un dato di fatto incontrovertibile, ovvero che non viviamo nel migliore dei mondi possibili. L'attuale disciplina delle notificazioni determina appesantimenti e ritardi gravi ed inoltre, mentre comporta la semina di nullità assolute e insanabili che potranno vanificare il processo anche in Cassazione, non garantisce per nulla l'effettiva conoscenza dell'atto da parte dell'indagato, dell'imputato e nemmeno del condannato. Qualche anno addietro alla Procura di Milano per diversi mesi ho fatto un'esperienza di monitoraggio della notifica dell'ordine di esecuzione di pena definitiva, con la possibilità di sospensione per la presentazione dell'istanza di misure alternative. In sostanza noi notifichiamo un atto al condannato e gli diciamo «vuoi andare in carcere subito o fai un'istanza di sospensione e poi si vedrà se ci devi andare?». Ebbene, in moltissimi casi alla regolarità formale della notifica non corrispondeva l'effettiva conoscenza dell'atto. Quando ho disposto, in base a una certa interpretazione, il rinnovo delle notifiche con maggiore attenzione, ovviamente la maggioranza dei condannati ha detto che non preferiva andare subito in carcere e ha fatto istanza di sospensione. Si consideri inoltre che la realtà pratica impone in non pochi casi, per ragioni di speditezza, la notifica a mezzo di polizia giudiziaria, con indubbio spreco di risorse preziose per le indagini. La nuova disciplina, a me pare, è coerente con il sistema del processo accusatorio: non consente che la parte messa a conoscenza del processo possa sottrarvisi e ritardarlo e, dall'altro lato, responsabilizzando la parte, rende più concreta l'effettiva conoscenza. Inevitabilmente, la volontaria sottrazione comporta il processo in assenza, ma dobbiamo anche qui avere presente che l'alternativa è quella dell'obbligo di presenza coattivamente assistita almeno all'inizio del dibattimento, come previsto in molti ordinamenti.
  Per quanto riguarda l'articolo 3 e la richiesta di attivazione del rinvio a giudizio, lettere a) ed i), l'ampliamento dei parametri per la richiesta del pubblico ministero e la riformulazione della regola per il rinvio a giudizio opportunamente a mio avviso rendono più stringenti il filtro operato dal giudice per le indagini preliminari. È opportuna anche l'eliminazione della notificazione nel caso previsto dalla lettera e). Per quanto riguarda le lettere c) e d) dell'articolo 3, mi pare illusorio pensare che, agendo sui termini di durata, si possa accelerare la fase delle indagini preliminari, la cui durata è spesso legata a fattori non Pag. 14governabili dal pubblico ministero. Non meno illusoria, e anzi foriera di possibili distorsioni, è l'idea che la minaccia disciplinare, di cui alle lettere f) e g), possa far funzionare il procedimento, quando i ritardi per lo più derivano da fattori strutturali e da carenze organizzative indipendenti dalla volontà del singolo pubblico ministero. Si ha l'impressione che ancora una volta ci si muova sulla base di una lettura del dato statistico delle prescrizioni che si verificano nella fase delle indagini preliminari, che rimane distorta e fuorviante. Il dato correttamente utilizzato e analizzato mostra che la gran parte delle prescrizioni, che formalmente sono attribuite alla fase delle indagini preliminari, si verificano in realtà nei procedimenti a citazione diretta, quando il pubblico ministero ha esaurito le indagini, ma il tribunale in composizione monocratica non è in grado di fissare la data dell'udienza. Il vero e grave problema è quello dell'incapacità strutturale – anche se vi sono differenze da sede a sede – del tribunale in composizione monocratica di dare sfogo a quanto il pubblico ministero ha prodotto. Paradossalmente vi è il rischio che forzando i pubblici ministeri a produrre di più e più rapidamente in questo settore, si rischi di aggravare il problema. Occorre inevitabilmente – ed è il punto dolente da sempre – agire alla base con un'incisiva depenalizzazione: attenzione, evitando dispersioni di risorse, ci si potrebbe concentrare su quei reati che sono minori, ma che hanno una rilevanza sociale significativa, penso in primo luogo alle truffe agli anziani. È utile comunque, a mio avviso, la verifica dei criteri di archiviazione previste dalle lettere a) e d). Oggi, faccio sempre riferimento alla pratica, per il pubblico ministero sciatto (o più spesso schiacciato da numeri ingovernabili) è più semplice disporre la citazione diretta liberandosi così definitivamente del fascicolo, piuttosto che fare richiesta di archiviazione con il rischio per lui di riaprire la vicenda in caso di mancato accoglimento.
  Passo al tema successivo delle iscrizioni di notizie di reato, lettera l), che è un punto fondamentale. Le cautele che sono adottate con la previsione dell'onere a carico dell'interessato di indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono la richiesta non risolvono, a mio avviso, la questione di fondo: la sanzione processuale della inutilizzabilità degli atti rischia di aprire un contenzioso continuo sulla tempestività dell'iscrizione. È una disposizione che rischia di creare più problemi di quelli che si prefigge di risolvere. L'accertamento ex post della data di effettiva acquisizione della notizia di reato deve misurarsi a distanza di tempo con un fatto che occorre considerare, ovvero che l'iscrizione non è affatto la conseguenza automatica dell'arrivo di un qualunque atto in Procura. L'articolo 335 del codice di procedura penale prevede che il pubblico ministero iscriva immediatamente la notizia di reato nell'apposito registro. Si dice: immediatamente. Ma in quale dei tre registri? Reato o non reato? Noti o ignoti? Qualunque scelta ha margini di opinabilità e può prestarsi ad arbitri, ma appunto è una scelta che il pubblico ministero deve operare immediatamente. Il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone ha emanato una fondamentale circolare sulla gestione delle iscrizioni delle notizie di reato dopo la riforma penale entrata in vigore con la legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha attribuito al Procuratore della Repubblica il compito di assicurare «l'osservanza delle disposizioni relative all'iscrizione delle notizie di reato», segnalando rischi e costi delle prassi basate sull'automatismo. Nella circolare si richiama opportunamente l'articolo 109 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Tale articolo 109 fa riferimento agli atti che possono contenere notizie di reato e all'eventuale iscrizione. Nelle procure, a parte le denunce a carico di ignoti spesso trasmesse a pacchi dalle autorità di Polizia, oggi per fortuna quasi ovunque in maniera telematica, la segreteria smista ogni giorno decine di atti nei piccoli uffici e centinaia di atti nei grandi uffici, soltanto alcuni dei quali possono contenere le notizie di reato. È dunque un passaggio rilevante che richiede un'assunzione di responsabilità, a seconda dell'organizzazione, del Procuratore della Repubblica, Pag. 15 del Procuratore aggiunto o del sostituto. La circolare Pignatone, che citavo, detta diversi criteri, che qui non richiamo, ma soprattutto rammenta che dall'iscrizione e dai fisiologici atti processuali che ne conseguono si dispiegano effetti pregiudizievoli non indifferenti e quindi, cito ancora, procedere all'iscrizione non necessaria è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute.
  Il punto successivo riguarda le priorità. È uno dei punti delicati, lo sappiamo. L'assunzione di responsabilità per le indicazioni di priorità a livello nazionale non può che essere del Governo e del Parlamento. Peraltro la politica criminale non viene definita tanto da eventuali documenti sulla priorità, che non potrebbero mai tradursi ovviamente nell'invito a non perseguire intere categorie di reati, ma si concreta piuttosto nell'adeguamento della normativa processuale e sostanziale, nelle scelte organizzative e nell'impiego delle risorse materiali e umane. Circoscritta in questo quadro, la proposta di cui alla lettera h) sembra ragionevole: non esistono soluzioni semplici per una questione che richiede equilibrio fra il principio dell'obbligatorietà, che mantiene la sua garanzia, e la sua attuazione pratica. I nodi eludibili sono due: le priorità vanno definite e calibrate a livello locale e monitorate costantemente; le priorità effettive si gestiscono a livello organizzativo con la dislocazione delle risorse materiali, tecnologiche e umane. Vi è un tasso di scelte discrezionali del singolo magistrato del pubblico ministero con riguardo a singoli atti e ad attività di indagine e non giova trincerarsi dietro la formuletta dell'atto dovuto. È altrettanto rilevante la discrezionalità del procuratore della Repubblica nella distribuzione delle risorse umane e materiali. E la risposta è chiaramente nella trasparenza e nell'assunzione di responsabilità. Occorre, a mio avviso, a livello ordinamentale, allineare la procedura di approvazione dei criteri di organizzazione delle procure a quella delle tabelle degli uffici giudicanti, anche se per la verità la prassi virtuosa della maggioranza dei procuratori ha già attuato di fatto un raccordo, che è essenziale, con le proposte organizzative dei tribunali e ha sottoposto i relativi progetti al Consiglio giudiziario. È necessario però un intervento del legislatore.
  Vado rapidamente agli ultimi punti. Per quanto riguarda il mutamento di uno dei componenti del collegio, a me sembra che la limitata deroga al principio dell'immediatezza sia opportuna, anche perché sarà comunque possibile rinnovare l'atto ove si presenti la necessità. L'applicazione di questa deroga sarà nella pratica tanto più limitata ove vadano a regime le innovazioni dirette ad assicurare una maggiore celerità dei dibattimenti. Vi è una norma che invita alla predisposizione di un calendario; qui si pone un problema pratico, che va al di là del calendario, ed è la concentrazione del dibattimento. Sappiamo che spesso lunghi dibattimenti vanno avanti per mesi, quando non per anni, mentre il modello alternativo del giudizio in Corte d'Assise, caratterizzato dall'immediatezza, consente un grandissimo risparmio di tempi e di energie. La sua organizzazione è difficile per processi complessi, è difficile per i tribunali, è difficile per l'avvocatura e per la difesa, ma è un tema che va affrontato.
  Quanto all'articolo 6, il tema dell'udienza filtro risponde certamente alle esigenze di intervenire su una fase, quella del tribunale monocratico, che con i numeri attuali non è gestibile; tuttavia l'attribuzione di questo filtro a un giudice diverso da quello davanti al quale dovrà eventualmente formularsi il giudizio è di difficile praticabilità per il numero dei giudici da impiegare e rischia di essere vanificata. Certo, tale filtro sarebbe efficace e praticabile, funzionerebbe come remora a frettolose citazioni dirette da parte del pubblico ministero, ma lo sarebbe forse se affidato allo stesso giudice del processo. È una questione di grandissima delicatezza e il tema è stato proposto dinanzi a questa Commissione Giustizia nelle osservazioni del Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Il testo lo conoscete. Vi richiamo al fatto che si tratta di un problema delicato; ma vale la pena di rifletterci. Pag. 16
  Vado rapidamente alle conclusioni. Quanto all'articolo 7, mi sembra opportuna la disposizione sul mandato a impugnare che responsabilizza l'imputato, ma sul giudizio monocratico in appello sono drasticamente contrario. Ho fatto l'esperienza agli inizi di carriera per tanti anni come giudice di tribunale in collegio e successivamente come Procuratore generale in appello. Abbiamo dovuto rinunciare purtroppo, ma ineluttabilmente, alla collegialità in primo grado anche per reati molto delicati. Ciò rende necessario a mio avviso conservare la collegialità in appello. Oggi i processi in appello, lo sappiamo, sono in sofferenza ovunque. Sono indispensabili interventi incisivi, ma con altri strumenti: e qui per esempio cito l'estensione del rito camerale di cui alle lettere g) e h) dell'articolo 7.
  Concludo dicendo che, nella prospettiva generale, si deve sottolineare che oggi l'inflazione non gestibile del carico delle Corti d'Appello è denegata giustizia soprattutto per coloro che con grande ritardo potranno ottenere l'accoglimento dei motivi di appello. Ridurre il carico dell'appello significa garantire un giudizio più celere – o comunque meno ritardato – per i casi che meritano una revisione. Considerando complessivamente il sistema del processo, intervenire rapidamente significa condannare tempestivamente i colpevoli, ma – non dimentichiamolo – mandare assolti gli innocenti, senza far gravare su di loro oltre ogni ragionevole limite la spada di Damocle del processo. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Io ringrazio lei, dottor Bruti Liberati. Do adesso la parola al dottor Nicola Russo.

  NICOLA RUSSO, consigliere della Corte d'Appello di Napoli, già componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura (intervento da remoto). Buongiorno a lei, signor presidente. Buongiorno, onorevoli componenti della Commissione. Vi ringrazio dell'invito e dell'opportunità offertami di portare il mio contributo alla vostra riflessione. Nei dieci, quindici minuti del tempo che occuperò, preferisco concentrare la mia attenzione su alcuni dei temi proposti dal disegno di legge, con il rinvio, per tutto quanto non riuscirò a dire nell'arco di questo breve intervento, alla relazione che stamattina ho inviato nella versione definitiva e corretta (vedi allegato). Limiterò il mio intervento ad alcune riflessioni, in particolare sull'articolo 4, riguardante i riti alternativi, e per collegamento logico sull'articolo 6, che stabilisce l'innesto dei riti alternativi nell'udienza filtro che viene prevista quale inizio della celebrazione del rito monocratico per i reati a citazione diretta, cui anche il procuratore Bruti Liberati, che approfitto per salutare, ha fatto riferimento. Se ci sarà tempo, farò rapide osservazioni finali su alcuni temi ulteriori; altrimenti rinvio, per chi avrà desiderio e pazienza di leggere, alla relazione che ho depositato. Faccio una sola considerazione di fondo che serve a capire il senso del mio intervento, con riferimento a dati tecnico-processuali sulle norme che ho richiamato. La riforma proposta dal Ministro tende a seguire la consueta tecnica dell'intervento nel processo penale mediante l'inserimento – scusatemi il termine legato alle automobili – di pezzi di ricambio, introducendo singole novità in singoli momenti del processo penale e rischiando però di perdere di vista quello che è il collegamento sempre costante e necessario tra le parti del processo penale. Pertanto gli interventi settoriali rischiano di rendere disarmonico il sistema o di non coglierne appieno le criticità. Sulla base di questa premessa passo ad affrontare invece i punti specifici. Parto dall'applicazione della pena su richiesta, il cosiddetto patteggiamento, che l'articolo 4, comma 1, lettera a), prevede di modificare, inserendo la possibilità di accesso al rito in tutti quei casi nei quali la pena, diminuita di un terzo, quindi per effetto della riduzione premiale, non superi gli otto anni di reclusione soli o congiunti a pena pecuniaria. Quindi il punto di partenza è che l'accesso al rito alternativo del patteggiamento è consentito per tutte quelle situazioni che in un giudizio ordinario, vale a dire in un giudizio senza riduzione premiale, si potrebbero chiudere con una pena irrogata pari a dodici anni. Con la riduzione Pag. 17 fino a un terzo si arriva, appunto, a otto anni. La scelta del legislatore viene spiegata nella relazione al provvedimento come volontà di incentivare il ricorso a questo rito premiale, non particolarmente apprezzato a quanto mi è dato cogliere. Per effetto di questa riforma noi avremmo sostanzialmente due livelli di patteggiamento. Il primo livello è quello relativo a un patteggiamento con pena fino ai due anni, in relazione al quale sono previsti una serie di benefici, cioè l'esclusione delle pene accessorie, ad eccezione della confisca, l'esclusione dal pagamento delle spese processuali e l'esclusione delle misure di sicurezza. Rimane ferma l'applicabilità delle pene accessorie previste dall'articolo 317-bis del codice penale in relazione ai reati cui esse sono collegate. Un secondo, e più significativo, livello di accordo sulla pena sarebbe quello introdotto dalla riforma in esame, che prevede la possibilità di patteggiare una pena che ridotta non superi gli otto anni di reclusione. Quindi, da un lato il legislatore introduce un ampliamento della categoria dei reati per ragione di pena per i quali è previsto la possibilità dell'accordo, dall'altro però introduce nella stessa disposizione una serie di eccettuazioni che riguardano categorie di reati e che si vanno ad aggiungere alle eccettuazioni già esistenti nel comma 1-bis dell'articolo 444 del codice di procedura penale. Il richiamato comma 1-bis escludeva già il patteggiamento per i reati di criminalità organizzata, di terrorismo, di pornografia minorile, di violenza sessuale nonché per quelli commessi da soggetti dichiarati delinquenti abituali o per tendenza o ai quali sia applicato e sia riconosciuto lo status di recidivo reiterato. Accanto a queste eccettuazioni, vanno a inserirsi i reati di strage – a riguardo faccio soltanto rilevare che per il reato di strage è prevista la pena dell'ergastolo, quindi una pena per tipologia diversa da quella temporanea –; la costrizione e induzione al matrimonio; i maltrattamenti in famiglia; l'omicidio volontario, il concorso nell'infanticidio e una serie di altri reati, tra i quali segnalo in particolare il reato di atti persecutori, il cosiddetto stalking, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e la corruzione di minore. Ora, mi permetto di segnalare la mia esperienza professionale, perché è decisamente meno nota di quella del procuratore Edmondo Bruti Liberati. Sono da più di vent'anni in magistratura, ho sempre fatto il giudice penale, ho ricoperto tutte le funzioni della magistratura giudicante e appartengo attualmente a una sezione che si occupa di reati in danno delle cosiddette fasce deboli. E di queste tematiche mi sono occupato a lungo quando sono stato giudice per le indagini preliminari e giudice del dibattimento in un territorio complesso quale è quello di Torre Annunziata. Di fronte alla scelta di eccettuare le citate categorie di reato, sottopongo alla vostra riflessione una differenza fondamentale, che secondo me va accolta, tra tutela «manifesto» di alcune categorie di vittime di reato e tutela reale delle medesime categorie. Questa differenza si coglie soprattutto se si ha presente lo iato che si crea tra il momento di consumazione del reato e il momento di esecuzione della pena. Faccio un esempio per far comprendere meglio il mio ragionamento: parliamo ad esempio del reato di atti persecutori, il cosiddetto stalking, previsto dall'articolo 612-bis del codice penale. La pena massima prevista per la forma aggravata di questo reato è di nove anni e nove mesi; la pena base, quella che ricorre per le ipotesi più frequenti di stalking è di sei anni e sei mesi. Per questo reato, anche nella forma aggravata, sarebbe in astratto possibile definire il giudizio con il patteggiamento. Si può obiettare che non si vuole riconoscere alcuno sconto di pena per chi commetta reati così oggettivamente odiosi e quindi che non si vuole alcun accordo tra lo Stato e l'imputato. Quest'osservazione, corretta da un punto di vista di politica criminale, non tiene conto del fatto che l'imputato del reato di stalking, secondo le norme del codice di procedura penale, potrà accedere al giudizio abbreviato, ottenendo una riduzione di pena inferiore di un terzo rispetto a quella prevista per il giudizio ordinario, e non fino a un terzo come per il patteggiamento. Inoltre, all'esito del giudizio abbreviato, il giudizio stesso potrà concludersi Pag. 18anche con un'assoluzione dell'imputato. L'imputato di un reato di stalking, all'esito del giudizio abbreviato, potrà impugnare la propria condanna in appello e successivamente per ricorso per Cassazione. Il soggetto al quale è applicata la pena su richiesta per il reato di stalking avrà come unico rimedio il ricorso per Cassazione. Entrambi, sia il soggetto condannato all'esito di un giudizio abbreviato, che il soggetto a cui è applicata la pena in sede di patteggiamento, vedranno applicarsi le pene accessorie. La persona offesa potrà recuperare le spese processuali laddove estromessa da entrambi i giudizi e potrà coltivare in un separato giudizio le proprie istanze risarcitorie. Peraltro, e questo va tenuto presente, la durata di un giudizio abbreviato – primo grado, appello e Cassazione – o di un giudizio ordinario – primo grado, appello e Cassazione – sarà evidentemente molto più lunga di quella di un giudizio che abbia come suo primo step l'applicazione della pena su richiesta. Questo vuol dire che la vittima del reato dovrà vivere la vicenda processuale per un tempo molto più lungo, con evidenti effetti anche di vittimizzazione cosiddetta secondaria. Di fronte a queste modeste ma oggettive osservazioni basate sull'applicazione delle norme del codice di procedura penale, mi chiedo se, escludendo dalla possibilità di un patteggiamento tutta una serie di reati cosiddetti manifesto, si faccia effettivamente un intervento che tutela le vittime. Un altro esempio potrebbe riguardare la violenza sessuale di cui all'articolo 609-bis del codice penale, la cui pena massima è di dodici anni di reclusione dopo l'approvazione del cosiddetto codice rosso. Anche qui ci troviamo di fronte a un reato per il quale è possibile in astratto l'applicazione della pena su richiesta, ma essa è negata, perché il reato è inserito nella categoria delle eccettuazioni; eppure per questo stesso reato è possibile accedere al giudizio abbreviato con tutti gli effetti che ho già rappresentato. Tra l'altro vi faccio presente che la gran parte dei reati inseriti in questa eccettuazione prevede minimi edittali decisamente più bassi di dodici anni, ma anche massimi edittali più bassi dei dodici anni di reclusione, che sono il nostro referente per considerare in astratto ammissibile il patteggiamento. Siamo convinti che in sede di giudizio ordinario per questi reati il più delle volte si superi l'irrogazione di una pena superiore a dodici anni o addirittura di una pena che si mantenga negli otto anni di reclusione? La mia esperienza concreta di giudice induce a ritenere che questo non avvenga. Qual è l'alternativa che mi permetto di proporre? L'alternativa è quella di consentire, ad eccezione di alcune categorie di reato – penso al reato di strage, per il quale comunque è prevista la pena dell'ergastolo e a quello di omicidio –, il patteggiamento per tutte le categorie eccettuate, con la previsione per i reati di cui al codice rosso di subordinare l'ammissione al patteggiamento a un'offerta reale a titolo di risarcimento del danno nei confronti della persona offesa, anch'essa rimessa al consenso del pubblico ministero e alla valutazione di congruità del giudice. Sottolineo da ultimo che il consenso del pubblico ministero non è richiesto per il giudizio abbreviato che è un diritto dell'imputato. Quindi i vantaggi in tema di riduzione premiale del giudizio abbreviato vengono riconosciuti senza possibilità di alcun intervento oppositivo dello Stato. Sul giudizio abbreviato – lettera b), comma 1, dell'articolo 4 – la delega interviene in tema di riscrittura delle condizioni per l'accesso al rito abbreviato condizionato da integrazione probatoria. Qui la riforma introduce una novità di tipo esclusivamente linguistico, introducendo l'espressione «se il procedimento speciale produce un'economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale» che andrebbe a sostituire quella precedente, che si esprimeva in termini di compatibilità con le finalità di economia processuale proprie del procedimento. Quindi le due condizioni per l'accesso al rito abbreviato saranno: in primo luogo, la necessità dell'integrazione probatoria ai fini della decisione – e ciò è già previsto dall'articolo 438, comma 5, del codice di procedura penale; in secondo luogo, la valutazione di economia processuale non più condotta con riferimento all'entità e alla Pag. 19quantità di prove richieste come condizione, bensì assumendo come parametro il tempo di celebrazione del medesimo processo con giudizio. Questa riforma non introduce nulla di nuovo nel diritto vivente, perché lo stesso principio era stato già espresso dalle Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 44711 del 2004, che prendeva le mosse dalla sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 7 maggio 2001, che esprimeva lo stesso concetto, già patrimonio acquisito della giurisprudenza e rispetto al quale non mi risultano significative applicazioni difformi. A riguardo mi permetto di fare anche qui un brevissimo rilievo di metodo. Ancora una volta, con questo tipo di interventi, il legislatore mi sembra rincorrere la giurisprudenza piuttosto che fare scelte di sistema. Così facendo spesso si perde di vista il fatto che ciò che dovrebbe essere un punto di arrivo, vale a dire l'interpretazione giurisprudenziale, nel momento in cui viene trasfusa in una norma giuridica, diventa un punto di partenza, soprattutto quando attiene a temi di valutazione probatoria: l'interpretazione giurisprudenziale divenuta norma creerà nuovi percorsi ermeneutici e quindi nuove interpretazioni. Questo è un rischio al quale bisogna pur porre attenzione. Analogo discorso vale con riguardo alla soluzione di estendere l'articolo 190-bis del codice di procedura penale a tutte le situazioni in cui muti la persona fisica del giudice. Su questo punto io comprendo le esigenze di definizione del processo; personalmente, non sento di condividere le scelte che pongano il momento del confronto diretto tra il giudice e la fonte di prova come qualcosa di mutuabile attraverso registrazioni anche audiovisive che tolgono quel rapporto empatico diretto che è fondamentale, lo dico per esperienza di giudicante, nella raccolta e nella formazione della prova.
  Salto, se il presidente me lo consente, i riferimenti al giudizio immediato e al decreto penale di condanna, perché le osservazioni che faccio sono contenute nella relazione e riguardano solo piccoli aggiustamenti che mi permetto di suggerire nella redazione definitiva della norma. Faccio invece riferimento all'articolo 6, comma 1, lettera a), del disegno di legge, cioè quello che prevede l'innesto dei riti alternativi nell'udienza filtro, che è prefigurata come antecedente processuale nella celebrazione dibattimentale dei giudizi con rito monocratico da citazione diretta. La previsione stabilisce che un giudice diverso dal giudice del dibattimento, come ricordava il procuratore Bruti Liberati, conoscendo gli atti del fascicolo del pubblico ministero – perché questo è un dato significativo, quindi avendo a disposizione gli atti del fascicolo del pubblico ministero – compia una delibazione profonda degli atti stessi al fine di verificare l'esistenza di eventuali cause di estinzione o di improcedibilità o di ragioni di assoluzione già ravvisabili o presumibili in un successivo dibattimento. Questo tipo di delibazione, vista con riferimento ai riti alternativi, necessariamente creerà a mio giudizio un'incompatibilità tra il giudice che abbia rigettato la richiesta di proscioglimento e il giudice al quale viene chiesto di celebrare il giudizio abbreviato. Quindi, la previsione che nella stessa udienza si formuli almeno la richiesta di giudizio abbreviato – sul patteggiamento potrebbe anche non porsi un problema di incompatibilità, ma rispetto al rito abbreviato sicuramente – comporterà che il giudice cui è affidata la celebrazione del giudizio abbreviato dovrà essere o il giudice del successivo dibattimento o un ulteriore giudice intermedio tra quello dell'udienza filtro e il giudice del dibattimento, e ciò creerà un enorme problema organizzativo soprattutto nei piccoli tribunali, nei quali non ci sono così tanti giudici monocratici da assicurare questa successione tabellare. Tra l'altro il giudizio dell'udienza filtro ha una penetrazione nella valutazione degli atti che fa sì che esso sia una vera e propria delibazione di merito, perché rinvia al medesimo criterio indicato nella proposta di riforma per l'udienza preliminare e per la sentenza di non luogo a procedere. L'udienza preliminare e la sentenza di non luogo a procedere vengono snaturate rispetto alla loro originaria connotazione, in quanto la sentenza di non luogo a procedere viene trasformata in una vera e propria sentenza di merito. Tra l'altro l'udienza Pag. 20 filtro finisce per annullare la semplificazione del percorso procedimentale che porta alla definizione dei reati a citazione diretta, che quantitativamente rappresentano la maggior parte dei reati che occupano l'udienza di un giudice monocratico. Rispetto a quelli provenienti da udienza preliminare, i reati a citazione diretta sono quantitativamente la parte maggiore, quindi ampliare e complicare la fase di definizione dei procedimenti a citazione diretta porta l'effetto opposto di quello voluto dal legislatore.
  Non so se ci sono pochi altri minuti per qualche osservazione sull'appello; sennò mi fermo, signor presidente. Aspetto eventuali domande, se ci saranno da parte sua o di componenti della Commissione.

  PRESIDENTE. La ringrazio io, dottor Russo. A questo punto chiederei ai colleghi se vi sia qualcuno che vuole intervenire per porre domande ai nostri auditi. Prego, onorevole Bazoli, a lei la parola.

  ALFREDO BAZOLI(intervento da remoto). Intanto ringrazio agli auditi. Vorrei rivolgere un paio di domande soprattutto al dottor Bruti Liberati, che ha fatto una disamina secondo me molto sintetica, ma insomma molto efficace su alcune previsioni del disegno di legge, Però vorrei avere da lui alcune precisazioni su almeno un paio di questioni, che adesso descrivo molto brevemente. Mi è sembrato che il dottor Bruti Liberati abbia parlato in termini positivi della modifica della regola di giudizio che deve presiedere alle scelte sia del pubblico ministero sia del giudice dell'udienza preliminare, vale a dire dell'irrigidimento delle regole a giudizio che dovrebbe consentire in qualche modo di filtrare un po' di più i procedimenti che arrivano al dibattimento, con l'obiettivo quindi di snellire e deflazionare il procedimento penale. Le obiezioni che ci sono state mosse da numerosi auditi, rappresentanti sia dell'avvocatura sia dell'accademia, hanno riguardato il rischio che questa modifica delle regole di giudizio si trasformi in una sorta di giudizio preliminare che in qualche modo incide sulla presunzione di innocenza: sarebbe una sorta di giudizio preliminare di presunzione di colpevolezza, per cui poi a dibattimento si arriverebbe con uno stigma e con un giudizio in qualche modo già preformato sia dal pubblico ministero sia dal giudice dell'udienza preliminare. E questo sarebbe un problema rilevante, perché inciderebbe in qualche modo anche sulla presunzione di non colpevolezza. Vorrei capire qual è l'opinione del dottor Bruti Liberati su questa critica, che viene formulata in maniera piuttosto significativa anche da molti degli auditi che abbiamo ascoltato.
  L'altro tema su cui mi interessa ascoltare l'opinione del dottor Bruti Liberati è quello dei criteri di priorità per l'esercizio dell'azione penale che verrebbero introdotti dal disegno di legge. Anche qui ho sentito un giudizio che mi è parso sostanzialmente positivo. L'obiezione che viene fatta da alcuni degli auditi su questo tema riguarda il fatto che si lascerebbe comunque una discrezionalità molto ampia ai procuratori nella scelta dei criteri di priorità. La scelta è così eccezionale che in realtà dovrebbe essere attribuita più al decisore politico che non al singolo procuratore. E quindi la critica muove soprattutto in quella direzione. Io mi chiedevo – e vorrei conoscere l'opinione del dottor Bruti Liberati – se a questa critica non si potrebbe rispondere con l'individuazione, già nella norma di legge, di alcune griglie di criteri ai quali i procuratori, che dovranno poi definire i criteri di priorità, dovrebbero comunque attenersi nelle loro scelte. Mi domando quindi se già in questa sede, senza violare il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, il legislatore potrebbe individuare qualche griglia di riferimento alla quale i procuratori dovrebbero attenersi nella valutazione della loro gerarchia di priorità per l'esercizio dell'azione penale. Questo potrebbe in qualche modo conciliare l'esigenza di non lasciare una discrezionalità eccessiva ai procuratori nella scelta della griglia, però senza sacrificare il tema dell'obbligatorietà dell'azione penale, che ovviamente deve essere sempre salvaguardato? Queste sono le due questioni su Pag. 21cui mi farebbe piacere ascoltare l'opinione del dottor Bruti Liberati. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bazoli. Onorevole Sarti, prego.

  GIULIA SARTI. Sì, grazie, presidente. Aggiungo un'ulteriore riflessione rispetto a ciò che è stato detto dal collega Bazoli, rivolgendo una domanda al dottor Bruti Liberati. Il punto sui criteri di priorità è proprio questo: con riguardo a chi sostiene che in realtà debba essere il legislatore a stabilirli, come poter fare una cosa del genere senza incorrere in profili di incostituzionalità e di violazione dell'articolo 112 della Costituzione? Il collega Bazoli ha avanzato una proposta; se il dottor Bruti Liberati ne ha di ulteriori, saremmo felici di ascoltarle.
  Invece al dottor Russo vorrei chiedere di intervenire sull'appello di cui all'articolo 7, concedendoci qualche minuto in più. Sarebbe importante ascoltare la sua opinione. Si è parlato dell'eventuale subordinazione dell'ammissione al patteggiamento a una forma di risarcimento dei danni, perlomeno quando ci troviamo di fronte a reati molto gravi, ad esempio quelli contro la persona, cui il dottor Russo ha fatto riferimento. Le chiederei questo: nel momento in cui il rito abbreviato mantiene gli stessi criteri e presupposti che ha attualmente, secondo lei – anche se ciò potrebbe determinare una rinuncia da parte dell'imputato a ricorrere al rito abbreviato – non sarebbe il caso per alcuni reati molto gravi, come quelli che lei citava prima, di subordinare anche il rito abbreviato a condizioni differenti, evitando un meccanismo automatico, ma prevedendo anche in questo caso un risarcimento dei danni e qualche ulteriore presupposto? So che questa soluzione, come si diceva prima, non determinerebbe una predisposizione per la scelta di un rito speciale come il giudizio abbreviato. Però, per alcuni reati molto gravi, forse si potrebbero adottare soluzioni diverse. Sarebbe utile da parte sua soprattutto una valutazione sull'appello, per consentirci di conoscere la sua opinione su queste ulteriori norme che stiamo predisponendo. Grazie intanto per i contributi che ci avete lasciato. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Conte.

  FEDERICO CONTE(intervento da remoto). Grazie, presidente. Io vorrei porre pochissime questioni ai due auditi, che ringrazio per i contributi molto preziosi. In particolare al dottor Bruti Liberati, avendo molto apprezzato il suo pronunciamento in senso contrario alla rinuncia alla collegialità in appello, anch'io vorrei chiedere di chiarire, perché probabilmente è sfuggito a me anche per problemi di audio, in che termini ritiene possa essere vantaggioso favorire forme camerali di gestione delle udienze. Ho molto apprezzato la dissertazione del dottor Russo a proposito del patteggiamento, avendo egli saputo rispondere a un tema che io ho posto ai precedenti auditi, professori di procedura penale, sul rapporto asimmetrico che si determinerebbe con il giudizio abbreviato e che secondo me potrebbe anche sollevare questioni di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 3 e 27 della Costituzione, perché l'imputato si troverebbe sfavorito, senza alcuna ragionevolezza, nella scelta di uno strumento piuttosto che dell'altro. Fermo restando il perimetro di eccezioni già tratteggiato al comma 1-bis dell'articolo 444 del codice di procedura penale, senza quindi aggiungerne di nuove, io credo che introdurre altri reati ostativi renderebbe del tutto vana l'aspirazione deflattiva. Chiedo quindi al dottor Russo se ritiene che si possa semplicemente introdurre una norma relativa ai reati di particolare allarme sociale, per i quali c'è una particolare sensibilità quali quelli alla persona, che in qualche modo coinvolga il parere dei soggetti offesi rispetto alla definizione del processo attraverso il ricorso al patteggiamento. Cerco di spiegarmi meglio: se si vuole assicurare la protezione delle categorie più deboli – tant'è che il dottor Russo immaginava un meccanismo di ristoro pecuniario anche sottoposto a una valutazione di congruità –, perché non metterle in condizione di esprimere la propria valutazione? A patto di non creare altri problemi di sistema, che Pag. 22pure mi vengono alla mente, questo meccanismo potrebbe essere un modo per tutelare la «norma manifesto» che il nostro Ministro ha molto a cuore, nel senso di valorizzare il ruolo della persona offesa, in particolare se vulnerabile, senza però intaccare una disposizione che, così com'è, semplicemente alzando la soglia da cinque a otto anni di pena, avrebbe un grande impatto dal punto di vista deflattivo. Si salvaguarderebbe dunque la simmetria con il giudizio abbreviato, in modo che la scelta tra l'uno e l'altro strumento riguardi valutazioni diverse dalla semplice convenienza, quali ad esempio la convinzione dell'imputato di poter essere assolto con il giudizio abbreviato. Si consentirebbe quindi di fare la scelta per questa ragione, magari perché vi è la possibilità di condizionare il giudizio a un'integrazione probatoria, considerate invece le limitazioni previste dal patteggiamento. Io credo che, non modificando l'assetto del patteggiamento, ma al limite prevedendo una soluzione del tipo di quella proposta per reati per i quali c'è una particolare sensibilità, si potrebbe mantenere la previsione di un «super patteggiamento allargato» senza un meccanismo di riduzione della sua operatività che la rende una proposta contraddittoria. Su questo tema vorrei conoscere l'opinione del dottor Russo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Conte. Do ora la parola all'onorevole Vitiello.

  CATELLO VITIELLO(intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio anche agli auditi. Io recupero i concetti già espressi dai colleghi, con due domande più stringenti che rivolgo a entrambi naturalmente, posto che le perplessità maggiori mi sono venute ascoltando il procuratore Bruti Liberati. Mi si permetterà di dire al procuratore che, secondo me, dobbiamo prima comprendere quale tipo di processo vogliamo a livello fisiologico e poi correre al riparo rispetto alle patologie esistenti, che sperimentiamo entrambi, il dottor Bruti Liberati da procuratore, avendo egli un vissuto particolare, e io da avvocato. E questo già ci mette in prospettive diverse. Secondo me tuttavia tutti dobbiamo spogliarci delle nostre funzioni e capire che tipo di processo vogliamo per il nostro futuro e per il futuro dei cittadini. Detto questo, passo ad illustrare le domande stringenti a cui ho fatto riferimento. La prima è naturalmente legata alla modifica della regola di giudizio in udienza preliminare. Chiedo quindi ad entrambi quale sarà il peso del giudicato cautelare nell'udienza stessa. Si tratta di un problema più che attuale, perché già in udienza preliminare facciamo i conti con un'ordinanza di custodia che è stata applicata nel corso delle indagini preliminari. Visto dunque che in questo progetto di riforma si parla di prognosi di colpevolezza, vale a dire di ragionevole condanna, mi chiedo quale sarà il riverbero considerato che il decreto che dispone il giudizio resterà non motivato, nonostante la modifica della regola di giudizio. Quindi, domando quale sarà il peso del giudicato cautelare nell'eventuale giudizio dibattimentale e se non si rischi, attraverso questa riforma, di centralizzare ancor di più la fase delle indagini preliminari rispetto a un dibattimento che resterà, almeno nell'opinione pubblica, sempre più marginale, considerato che il dato compiuto della ragionevole condanna è stato colmato con l'udienza preliminare. La seconda domanda – che rappresenta una mia curiosità – è molto più semplice. Nel momento in cui si individueranno i criteri di priorità, e si dirà quali sono i reati prioritari rispetto ad altri, secondo voi che cosa accadrà ai reati non prioritari? Quando si arriverà al processo per i reati non prioritari? Nella fisiologia ci sarà spazio per i reati non prioritari all'interno delle procure, prima, e nei dibattimenti, dopo, posto che comunque nell'ordine di priorità si parla non di colpevolezza o meno, ma in astratto di reati che devono comunque essere perseguiti in qualche misura? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello. Non essendoci altri colleghi che intendono intervenire, do la parola al dottor Bruti Liberati per rispondere alle sollecitazioni dei deputati. Prego, dottore.

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  EDMONDO BRUTI LIBERATI, già procuratore della Repubblica di Milano (intervento da remoto). Rispondo prima del collega Russo, come si faceva al liceo, secondo l'ordine alfabetico. Vengo interrogato per primo. Ringrazio per le domande e le richieste di precisazioni. Per quanto riguarda il primo punto, quello relativo alla regola sulla richiesta di archiviazione e sulla conseguente decisione, ci si domanda in che modo ciò influirà sulle fasi successive. Teniamo conto che già ora l'articolo 129 del codice di procedura penale, relativo all'obbligo di immediata declaratoria di cause di non punibilità o di non procedibilità, spesso riguarda questioni tutt'altro che semplici e automatiche. Anche il non avere dichiarato l'esistenza immediata di una condizione, per esempio, di improcedibilità influisce sul giudizio successivo? È un pre-giudizio? Il problema è indubbiamente delicato, ma io credo che possa essere superato con una visione realistica del concetto della verginità e dell'ingenuità del giudice. Io credo che il giudice, il buon giudice – ma mi auguro tutti i giudici e anche i pubblici ministeri – sia in grado di liberarsi, di fronte al processo e al momento del contraddittorio, delle eventuali pre-concezioni. Noi parliamo dell'ingenuità del giudice. Pensiamo tuttavia ai processi che hanno avuto una grande rilevanza pubblica sulla stampa e di cui siano state pubblicate intere ordinanze, per esempio in materia cautelare. Io credo che qui bisogna scommettere sulla fiducia nel contraddittorio. Tutti dobbiamo essere capaci di cambiare la nostra opinione. Da procuratore spesso mi è capitato di discutere con colleghi sullo svolgimento di indagini e di fare la parte del diavolo, dicendo: «Tu sostieni questa tesi e io ti faccio le obiezioni». Ragionando insieme, già in quella fase senza il contributo essenziale della difesa, dobbiamo essere capaci di cambiare opinione. Io credo che non bisogna enfatizzare oltre i limiti l'idea della verginità del giudice. Dobbiamo affidarci alla professionalità e alla capacità di introiettare la regola del contraddittorio e dell'acquisizione della prova in udienza.
  Passo al secondo punto, relativo alle priorità. Io ho utilizzato il termine «priorità» per il semplice motivo che così è scritto nel disegno di legge. In tutte le relazioni annuali che ho svolto negli anni in cui ho retto la Procura di Milano, ho accuratamente evitato di usare il termine «priorità», perché è un terreno molto scivoloso. È chiaro che il problema si porrebbe esattamente negli stessi termini, e io lo dicevo, quand'anche sia il legislatore, come il Governo prima e il Parlamento poi, a indicare le priorità. Che succede di quello che non è prioritario? Se il Parlamento indica le priorità significa che il resto lo si butta nel cestino o lo si lascia lì? Evidentemente il problema esiste ed esiste ovunque. In Francia le priorità sono dettate da indirizzi del Ministro della giustizia e da circolari che vengono diffuse in via gerarchica dai procuratori generali ai procuratori della Repubblica. Anni fa, nelle mie frequentazioni soprattutto nella scuola francese della magistratura, chiedevo quali fossero le ultime circolari sulle priorità. Fino a circa quindici d'anni fa ciò non era di moda in Francia. Negli ultimi anni, quando ho chiesto, mi dissero che non se lo ricordavano neanche più. Io ho insistito, e mi permetto di insistere sul punto che il problema fondamentale non è indicare ad un procuratore della Repubblica quali indagini farà prima e quali indagini farà dopo. Tra l'altro i procuratori della Repubblica ovviamente farebbero molto volentieri a meno dell'onere di indicare le priorità, che li responsabilizza e li rende ovviamente bersaglio di critiche da una parte e dall'altra. Io credo - e insisto - che il problema fondamentale è la trasparenza delle scelte organizzative. Se il procuratore della Repubblica di Milano concentra le sue indagini su alcuni tipi di reati che sono i meno rilevanti in quel momento specifico e in quel circondario non opera adeguatamente. L'importante è che queste scelte siano trasparenti. Noi valuteremo se il procuratore della Repubblica di Milano ha costruito il pool per i reati economici e finanziari in modo efficace, oppure se in quel settore le indagini sono inefficaci, i magistrati addetti non hanno sufficiente esperienza, la polizia Pag. 24giudiziaria addetta non è adeguata. Io credo che il tema è essenzialmente quello del trasparente e responsabile utilizzo delle risorse. Il problema è altrimenti insolubile per le ragioni che d'altronde sono state evidenziate.
  Credo di aver detto quasi tutto. Quanto al rito camerale in appello, risponderà il collega Russo che ha molta più esperienza di me. Io ho avuto esperienza come pubblico ministero, come sostituto procuratore generale in udienza d'appello per diversi anni. Ricordiamo che in questo caso il rito camerale sarebbe richiesto dallo stesso imputato o dal suo difensore e, non essendoci rinnovazione del dibattimento, si potrebbe ottenere una notevole economia senza alcuna lesione.
  Concordo molto infine sui problemi posti dal collega Russo con riguardo al patteggiamento in relazione alla posizione della parte offesa. Questa va tenuto in conto, e qui si concretizza anche un grande ruolo per il pubblico ministero. Nella prima fase del patteggiamento in appello – parlo della seconda metà degli anni novanta – a me è capitato anche in qualche processo di assise, quindi per reati gravi, di proporre un patteggiamento, previa interlocuzione con la difesa e spesso con le parti civili presenti in aula, per indicare quanto e come tale soluzione avrebbe potuto significare anche una posizione di maggiore ristoro complessivo per le difese. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Bruti Liberati. Prego, dottor Russo, a lei la parola per la replica. Grazie.

  NICOLA RUSSO, consigliere della Corte d'Appello di Napoli, già componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura (intervento da remoto). Grazie, presidente. Andrò per sintesi secondo l'ordine cronologico dei quesiti che sono stati posti.
  È stato chiesto se fosse possibile ipotizzare un giudizio abbreviato condizionato al risarcimento in favore della persona offesa. La risposta netta – che viene non da me, ovviamente, ma dalla struttura del rito – è negativa, perché quello abbreviato è un rito che potremmo definire «a partita aperta», nel senso che può condurre tanto alla conferma dell'ipotesi accusatoria tanto all'assoluzione dell'imputato. Porre come condizione di ammissione al rito il risarcimento del danno significherebbe obbligare l'imputato a un'ammissione di responsabilità, perché il risarcimento del danno prevede una responsabilità da fatto illecito che ovviamente non potrebbe essere prevista, così come non potrebbe essere prevista come condizione successiva di applicazione della riduzione di un terzo della pena all'esito del giudizio abbreviato, perché in questo caso la disponibilità – passatemi il termine – dell'imputato ad accettare un giudizio sugli atti, verrebbe poi sconfessata da una condizione successiva e non prospettabile in ragione dell'esito del procedimento.
  L'altra questione relativa ai riti alternativi è se sia compatibile con il sistema processuale e anche con le coperture costituzionali l'ipotesi del parere della persona offesa – che ipotizzo non vincolante – con riguardo al patteggiamento, nel caso si tratti di reati di cui al cosiddetto codice rosso o comunque di reati nei quali vi sia una persona offesa da coinvolgere. In questo caso a mio giudizio la risposta è positiva, vale a dire che tale ipotesi è praticabile. Teniamo anche conto che un sistema assimilabile – non identico, ma assimilabile – è previsto dall'articolo 299 del codice di procedura penale, allorquando prevede la comunicazione alla persona offesa e al suo difensore delle richieste di revoca o sostituzione di misura cautelare emessa nei confronti di un soggetto sottoposto a questa misura per i reati del cosiddetto codice rosso. In quel caso è prevista un'interlocuzione preventiva della persona offesa non vincolante, che quindi in maniera analoga potrebbe essere prevista anche con riguardo al patteggiamento. Si potrebbe anche prevedere, ad esempio, che questo parere venga espresso dalla persona offesa in sede di richiesta di applicazione della pena con successiva estromissione dal giudizio, quindi consentendo un intervento preventivo ai fini della valutazione sul rito da parte del giudice. Il parere dovrebbe valutarsi in termini di congruità della pena, nel Pag. 25senso che l'interlocuzione dovrebbe servire a far comprendere al giudice se la pena proposta dalle parti sia congrua rispetto alla gravità della condotta.
  Con riguardo alla regola di giudizio nell'udienza preliminare – da ultimo mi soffermerò sull'appello – l'onorevole Vitiello ha fatto riferimento al giudicato cautelare e all'incidenza che una regola di giudizio così penetrante, espressa nell'udienza preliminare, avrebbe poi nel dibattimento. Distinguo i due profili. Attualmente nell'opinione collettiva – ma non nella volontà del legislatore – il dibattimento, se si accogliesse la prospettiva della riforma, dovrebbe sostanzialmente servire a confermare una condanna e perderebbe la funzione di momento di accertamento del fatto: dobbiamo infatti ricordare che il processo penale serve ad accertare una responsabilità per un reato e non ha la funzione esclusiva di applicazione di una condanna. Nel momento in cui un giudizio così penetrante sulle prospettive del procedimento fosse affidato al giudice dell'udienza preliminare, si finirebbe per togliere senso al dibattimento quale luogo di accertamento della responsabilità; si collegherebbe l'accertamento ad una modalità cartolare, sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero ed eventualmente degli atti di investigazione difensiva; si perderebbe anche la pubblicità, che è un connotato di controllo collettivo sul processo, perché tutta la valutazione verrebbe rimessa a un momento esclusivo e concluso, quale è l'udienza in camera di consiglio svolta dal giudice dell'udienza preliminare. Quindi, personalmente, da ex giudice dell'udienza preliminare nutro alcune perplessità. Non credo che un problema di incidenza di valutazioni da parte del giudice del dibattimento vi sarebbe laddove si mantenesse la scelta di non richiedere la motivazione per il trasferimento del processo alla fase dibattimentale, perché il decreto che dispone il giudizio ha questa forma, pur essendo all'esito di un confronto tra le parti, proprio perché il legislatore lo ha voluto non motivato. E lo ha voluto non motivato per non creare un pregiudizio per il giudice del dibattimento. Se l'avesse voluto motivare, avremmo avuto l'ordinanza che dispone il giudizio, che è un provvedimento post contraddittorio con motivazioni. Per quanto riguarda i reati non prioritari, io non ho mai fatto il pubblico ministero, quindi purtroppo non ho l'esperienza del procuratore Bruti Liberati. Posso dire – e mi sia consentita la battuta – che il problema della giustizia oggi proprio non si pone con riguardo ai reati non prioritari, perché abbiamo difficoltà già nel celebrare i procedimenti per i reati prioritari. Io che sono in Corte d'appello, e che adesso ho la possibilità di sperimentare un panorama diverso da quello che avevo come giudice di primo grado, mi rendo conto che la situazione della definizione dei processi in secondo grado è drammatica, è veramente drammatica. La relazione allegata al disegno di legge in esame fornisce alcuni dati che sono estremamente preoccupanti, perché l'appello è ormai la strettoia del processo penale. Per questo – e rispondo alla richiesta di fare alcune osservazioni sull'articolo 7 – credo che la proposta di riforma contenuta nel disegno di legge non colga affatto quelle che sono le direttrici di intervento necessarie. Una prima direttrice di intervento riguarda l'adeguamento delle piante organiche delle Corti di appello, quindi non la copertura di vuoti di organico, ma l'adeguamento delle piante organiche. Una Corte di appello riceve tutte le sentenze di tutti i giudici di primo grado del distretto, di tutti i giudici per le indagini preliminari e dell'udienza preliminare per le sentenze di non luogo a procedere, dei giudici monocratici e collegiali di tribunale, dei giudici della Corte d'assise. Vi faccio soltanto un brevissimo esempio numerico perché possiate cogliere il dato. In Corte di appello a Napoli i giudici penali sono attualmente 70. Questo dato mi è utile anche per rispondere all'ipotesi del giudizio monocratico di appello. Soltanto l'ufficio del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli prevede 45 magistrati, ripeto 45 magistrati, ciascuno dei quali emette sentenze di giudizio abbreviato. Pag. 26 A questi aggiungiamo i giudici del Tribunale di Napoli, monocratici e collegiali, i giudici della Corte d'assise, i giudici di tutti i tribunali del distretto, monocratici e collegiali. A fronte di tutte queste sentenze ci sono 70 giudici di appello. La situazione non cambia se questi giudici valutano le sentenze di primo grado da giudice monocratico o da componenti del collegio, perché non è il tempo della decisione ciò che incide sul processo, tanto più che molto spesso il tempo della decisione è accelerato proprio dal confronto tra i giudici del collegio sulle questioni che vengono proposte e non è invece accelerato dalla decisione monocratica. Teniamo anche conto che ciò che bisogna rompere è l'equazione: una sentenza, un'impugnazione. Tutte, o quasi tutte, le sentenze di condanna emesse in primo grado vengono impugnate in appello, ed è questa la situazione che crea la paralisi della giustizia nel grado di appello e che porta a un'esecuzione lontanissima – in alcuni casi alla mancata esecuzione – delle sentenze di condanna. Il legislatore della riforma intende intervenire sull'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento che sono un'infinitesima parte delle sentenze impugnate in appello; per la maggior parte si tratta di sentenze di condanna, quindi intervenire dichiarando l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento non serve a nulla. Ad esempio, una scelta potrebbe essere quella di introdurre, anziché il giudizio di appello monocratico, un giudizio di appello cartolare, senza partecipazione necessaria del pubblico ministero e della difesa, in caso di impugnazione delle sentenze di condanna provenienti da citazione diretta. Lo so che questo è un tema sul quale l'avvocatura ha posizioni differenti. Ho letto stamattina un intervento profondamente critico del presidente dell'Unione camere penali, avvocato Caiazza, sulla previsione della legislazione di emergenza che prevede tale soluzione. Tuttavia, eliminare il momento dell'udienza, tranne nei casi in cui venga richiesta la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, tranne nei casi nei quali sia impugnata la sentenza per travisamento del fatto, significherebbe accelerare i tempi. Tra l'altro le soluzioni tecnologiche attuali prevedrebbero la possibilità di depositare, oltre alle conclusioni scritte, anche file audio protetti che consentono di riproporre in via orale la discussione. Tra l'altro, il principio del contraddittorio e il principio di oralità presiedono alla formazione della prova, non alla fase di discussione, quindi non vi sarebbe un contrasto nemmeno con la norma costituzionale di riferimento, vale a dire con l'articolo 111 della Costituzione, che è l'articolo di riferimento per il processo civile e per il processo penale. E nel processo civile le conclusioni scritte sono previste dal codice di procedura civile.
  Mi permetto di avanzare un'ulteriore proposta, decisamente incisiva – me ne rendo conto – ma che non contrasta con il sistema: mi riferisco all'inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali sia stato previsto il beneficio della sospensione condizionale della pena, o quantomeno di quelle sentenze nelle quali sia stato reiterato il beneficio della sospensione condizionale della pena. Questa soluzione, da un lato, eserciterebbe una spinta nei confronti dell'imputato a contenere i suoi comportamenti antisociali, dall'altro, sarebbe uno stimolo per il giudice di primo grado a concedere, laddove possibile, il beneficio della sospensione condizionale della pena. In un'ottica di riabilitazione questo è possibile perché, se l'imputato non commette altri reati, nei cinque anni successivi il reato si estingue.
  Da ultimo – e ho veramente concluso – vi sarebbe la possibilità di prevedere che quello di appello sia un giudizio strettamente devolutivo, che si pronunci sui motivi di impugnazione con un catalogo di situazioni di inammissibilità simili a quelle previste per l'accesso al ricorso per Cassazione, sia pure nell'ottica diversa del giudizio di appello. Aggiungo inoltre la previsione di una semplificazione delle sentenze di appello che possano non più integrare la sentenza di primo grado, ma pronunciarsi in maniera concisa sui motivi di appello. Ho concluso, signor presidente.

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  PRESIDENTE. Dottor Russo, io la ringrazio moltissimo, così come ringrazio il dottor Bruti Liberati, per i vostri interventi assolutamente utili ai fini del prosieguo dei lavori di questa Commissione. Io vi saluto e vi ringrazio di nuovo. Nell'autorizzare la pubblicazione della documentazione depositata dal dottor Russo in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.

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