XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 28 ottobre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO.

Audizione di Pietro Curzio, Primo Presidente della Corte di Cassazione, e Giovanni Salvi, Procuratore generale della Corte di Cassazione.
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Curzio Pietro , Primo Presidente della Corte di Cassazione ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 4 
Cassano Margherita , Presidente aggiunto della Corte di Cassazione ... 4 
Perantoni Mario , Presidente ... 8 
Salvi Giovanni , Procuratore generale della Corte di Cassazione ... 8 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 
Vitiello Catello (IV)  ... 13 
Perantoni Mario , Presidente ... 14 
Vazio Franco (PD)  ... 14 
Perantoni Mario , Presidente ... 15 
Curzio Pietro , Primo Presidente della Corte di Cassazione ... 15 
Perantoni Mario , Presidente ... 15 
Cassano Margherita , Presidente aggiunto della Corte di Cassazione ... 15 
Perantoni Mario , Presidente ... 18 
Salvi Giovanni , Procuratore generale della Corte di Cassazione ... 18 
Vazio Franco (PD)  ... 20 
Salvi Giovanni , Procuratore generale della Corte di Cassazione ... 20 
Vitiello Catello (IV)  ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 
Vitiello Catello (IV)  ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 
Vitiello Catello (IV)  ... 21 
Perantoni Mario , Presidente ... 21 

ALLEGATO: Documentazione depositata da Giovanni Salvi, Procuratore generale della Corte di Cassazione ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 19.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Pietro Curzio, Primo Presidente della Corte di Cassazione, e Giovanni Salvi, Procuratore generale della Corte di Cassazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Pietro Curzio, Primo Presidente della Corte di Cassazione, accompagnato dalla Presidente aggiunto, dottoressa Margherita Cassano, e di Giovanni Salvi, Procuratore generale della Corte di Cassazione.
  Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione. Chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento in circa quindici minuti ciascuno, in modo da dare spazio ai quesiti che eventualmente i commissari vorranno rivolgere, ai quali seguirà la replica degli auditi, che potranno comunque inviare, qualora non l'avessero già fatto, alla segreteria della Commissione un documento scritto. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati e resa loro disponibile attraverso l'applicazione GeoCamera. Do quindi la parola al dottor Pietro Curzio, Primo Presidente della Corte di Cassazione. Prego, dottore.

  PIETRO CURZIO, Primo Presidente della Corte di Cassazione. Grazie dell'invito, che ci fa molto piacere. Io ho pregato la dottoressa Cassano, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione, di accompagnarmi. Se io sono il Presidente civilista, lei è la Presidente con particolari competenze in diritto penale. Ho preferito che fosse lei a esporvi direttamente il punto di vista di noi giudici della Cassazione, avendo meglio di me il polso della situazione concreta del processo penale, che io ho trattato per alcuni anni. La situazione della giustizia e del diritto in generale si modifica in continuazione ed è dunque importante avere una valutazione estremamente aggiornata.
  Noi apprezziamo l'impegno nel rendere più razionale ed efficiente il sistema nel pieno rispetto dei diritti della difesa, che sono diritti delle persone sottoposte alle indagini ma anche delle persone offese dai reati. È quindi fondamentale che i tempi di indagine e di decisione siano ragionevoli. A questo proposito le riforme normative e i cambiamenti delle norme hanno indubbiamente rilievo, però hanno altrettanto peso le dotazioni di personale e di mezzi. Non è questo un elemento di contorno.
  Una prima riflessione che vi sottoponiamo riguarda il fatto che, come dotazione di personale, la riforma prevede assunzioni a termine per massimo ventiquattro mesi, quindi fondamentalmente si tratta di ricorso al lavoro precario. Crediamo che un sostegno alle riforme debba essere realizzato Pag. 4 attraverso la via del lavoro a tempo indeterminato.
  Noi siamo cresciuti spesso imparando da cancellieri e da segretari degli uffici giudiziari che avevano una lunga storia. Inserire nel sistema giustizia e nel meccanismo del processo persone con un rapporto di lavoro che dura massimo ventiquattro mesi non è utile nella prospettiva di un corretto funzionamento del sistema. E vi segnaliamo che il sistema della giustizia – ma penso che questo valga anche per altri mondi – si sta progressivamente svuotando.
  Essendo stati bloccati per decenni i concorsi, anche in Cassazione abbiamo un'elevata età media. E connessi a tale elevata età media vi sono una serie di problemi in termini di assenze dal lavoro, non per assenteismo, ma perché, se ci collochiamo sui 55-56 anni di età media, la possibilità di ragioni serie di assenze dal lavoro sussiste.
  Poi abbiamo avuto tutta una serie di altri elementi che hanno costituito un incentivo a lasciare il lavoro, per cui siamo di fronte a un vero e proprio esodo del personale.
  Non ultimi, ci sono i problemi relativi al Covid e alla scelta di molti di evitare rischi inutili, ricorrendo al pensionamento, magari grazie ad una delle vie privilegiate che sono state introdotte negli ultimi anni.
  Dotazione di mezzi significa informatizzazione del processo. In questo disegno di legge vi sono elementi relativi al deposito degli atti e dei documenti in via telematica che ci sembrano molto interessanti. Segnaliamo la necessità che lo sforzo di informatizzazione anche del processo penale sia molto consistente per mettere la giustizia italiana al passo con i tempi.
  Una seconda considerazione di carattere generale riguarda il rapporto tra diritto processuale e diritto sostanziale. Una riforma del processo ha la sua premessa in una riforma sostanziale concernente i reati, e quindi nei casi immessi nella macchina nel processo. È necessaria una revisione del sistema dei reati del codice penale e soprattutto delle innumerevoli norme penali extracodicistiche.
  Il penale deve tornare a essere il campo in cui si reprimono i fenomeni gravi; il resto deve essere affidato alle sanzioni amministrative, alla giustizia civile, a un sistema coerente di depenalizzazioni. I fatti penali di particolare tenuità dovrebbero essere trattati dal punto di vista processuale in modo, forse, più razionale. Sul punto la dottoressa Cassano svolgerà una riflessione molto interessante.
  È questa una scelta culturale di fondo che la Cassazione vi propone. Non si risolvono tutti i problemi per la via del diritto penale. Questo è un fatto culturale ma è anche una necessità, perché, se si intasano i canali del processo penale, si riduce l'efficienza del sistema laddove l'intervento penale dovrebbe essere necessario e tempestivo.
  Se per tutto si ricorre al diritto penale, poi i temi che invece dovrebbero essere oggetto di sanzione penale sono esposti a una minore efficacia del sistema, costretto a confrontarsi con un numero di casi eccessivo rispetto alle possibilità di trattazione in tutte le fasi, dalle indagini alla decisione, all'esecuzione della pena. Mi fermo qui e affido la parola alla mia collega per valutazioni puntuali e specifiche sul disegno di legge, ringraziandovi ancora per l'invito.

  PRESIDENTE. Grazie, Presidente Curzio. Presidente Cassano, prego.

  MARGHERITA CASSANO, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione. Grazie anche da parte mia per questa utilissima occasione di confronto e di esposizione di alcune problematiche di natura squisitamente tecnica, che però hanno indubbie ricadute di sistema.
  L'intervento riformatore contenuto nel disegno di legge si muove lungo tre direttrici essenziali: il perseguimento dell'efficienza del processo penale; il contenimento della sua durata; la definizione dell'arretrato penale presso le Corti d'appello.
  Con riferimento al primo obiettivo, vale a dire all'efficienza del processo penale, paiono condivisibili tre punti in particolare. Il primo, cui ha già fatto riferimento Pag. 5il Presidente Curzio, riguarda la possibilità di deposito telematico obbligatorio o facoltativo degli atti e la semplificazione, nel rispetto delle garanzie di effettiva conoscenza, delle notificazioni all'imputato, in particolar modo nel caso di nomina di un difensore di fiducia e nel caso di impugnazione proposta dall'imputato.
  Rimane aperta, anche rispetto al tema del deposito delle notificazioni in forma telematica, la questione di amplissima portata, alla luce della legge 28 aprile 2014, n. 67, sul processo in absentia, delle notificazioni al difensore d'ufficio di persona irreperibile per varie ragioni.
  È una riflessione molto ampia, che forma oggetto anche dell'evoluzione del diritto vivente della Corte di Cassazione e che àncora il problema dell'effettiva conoscenza della pendenza del processo alla valutazione del successivo comportamento dell'imputato e alla conoscenza dell'accusa cristallizzata nel provvedimento di vocatio in iudicium, contestualmente all'esercizio dell'azione penale e non prima; ma che ha dirette ricadute sulla tenuta del sistema, perché la nostra esperienza pratica evidenzia che c'è una fetta consistente di processi che si celebrano nei confronti di persone che in definitiva non ne hanno alcuna conoscenza effettiva e che correttamente dopo fanno ricorso al rimedio introdotto nell'ordinamento, all'articolo 629-bis del codice di procedura penale sulla rescissione del giudicato, tesa a rimuovere una sentenza di condanna cui non abbia potuto far seguito la possibilità di impugnazione dell'imputato per il semplice fatto che non aveva avuto alcuna conoscenza effettiva. Faccio questo riferimento che può sembrare un'apparente digressione, ma tale non è perché incide direttamente sui tempi e sull'efficienza di un processo penale, impegnato in larga misura nella celebrazione dei processi destinati poi a sfociare in pronunce inutili o comunque in pronunce adottate all'esito di un processo che non sia pienamente garantito.
  Il secondo aspetto che ci pare positivo è la reintroduzione della previsione che il difensore possa impugnare la sentenza di primo grado solo se munito di specifico mandato a impugnare rilasciato dall'imputato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. Parlo di «reintroduzione» perché in realtà l'articolo 571 del codice di procedura penale ha registrato interventi successivi da parte del legislatore: originariamente la norma conteneva tale previsione, poi la legge 16 dicembre 1999, n. 479, la abolì. Ora opportunamente viene reintrodotta. Dico ancora una volta «opportunamente» perché ciò si ricollega sempre al problema dell'effettività della conoscenza. Soltanto un imputato che è realmente a conoscenza del processo è in grado di maturare una decisione informata, con l'aiuto del difensore tecnico, sulla sussistenza dei presupposti per impugnare.
  Un terzo punto assolutamente condivisibile è la previsione, quale remissione tacita della querela, dell'ingiustificata mancata comparizione del querelante all'udienza dibattimentale cui sia stato citato in qualità di testimone; come pure condivisibile, è la nuova disciplina sanzionatoria delle contravvenzioni prevista nell'articolo 10. Per ragioni di brevità non entro in dettaglio.
  Veniamo, invece, agli aspetti su cui si registrano criticità. Cito, prima di tutto, la proposta di modifica della normativa con la possibilità di celebrazione dell'udienza penale in appello da parte del giudice monocratico. Tale soluzione è assolutamente non condivisibile. Mettiamo da parte tutte le considerazioni sull'indubbia compressione delle garanzie difensive in appello dopo che molto spesso, soprattutto per alcune tipologie di reati in primo grado, abbiamo l'intervento di un magistrato onorario. Non possiamo dimenticare la realtà dei fatti. Prevedere che in appello ci sia un giudice monocratico può porre seri problemi di effettività del diritto di difesa. Ma a prescindere da questo aspetto, noi facciamo un rilievo molto più pragmatico. Se si introducesse questa norma prescindendo dalle condizioni dell'edilizia giudiziaria, noi andremmo non verso l'accelerazione dei tempi del processo ma verso la totale paralisi, perché l'attuale assetto dell'edilizia giudiziaria in tutte le parti d'Italia non è tale da consentire la contemporanea celebrazione Pag. 6 in appello di tante udienze da parte dei giudici monocratici. Se venisse introdotta questa disposizione, arriveremmo al risultato paradossale di celebrare un numero di udienze inferiori rispetto alle attuali, soprattutto per i processi aventi a oggetto i reati più gravi che sono di competenza collegiale, perché delle due l'una: l'assenza di aule porterebbe inevitabilmente a una cernita. Questa previsione non è realistica, anche perché si stanno ponendo problemi seri di reclutamento dell'organico. È stato approvato il provvedimento che aumenta la pianta organica della magistratura, ma la particolare situazione epidemiologica non consente di svolgere con regolarità i concorsi. In questo momento abbiamo i concorsi bloccati e quindi siamo nell'impossibilità di disporre di nuove energie; quindi, ancora di più si porrebbe un problema di effettività di risorse. Infine, facciamo un'altra considerazione pragmatica: i processi richiedono, in caso di celebrazione, sia da parte del giudice monocratico che collegiale, l'assistenza degli assistenti di udienza; scusate il gioco di parole. Noi in questo momento, come ha molto bene riferito il Presidente Curzio, siamo di fronte a una scopertura drammatica degli organici del personale amministrativo. Soltanto negli ultimi due o tre anni – dopo vent'anni di blocco – è stato rimesso in moto il difficile iter di svolgimento della selezione del personale amministrativo, che si sta nuovamente bloccando a causa dell'emergenza epidemiologica. Questa è una sottolineatura cui attribuiamo particolare valenza perché è nostro intendimento, a nome anche di tutti i colleghi, fare al meglio e nella maniera più intensa possibile il nostro lavoro, e questo lo rallenterebbe.
  Per ragioni di tempo, dico semplicemente che non hanno una valenza risolutiva, ma sono soltanto rielaborazioni terminologiche, le previsioni in tema di regole di giudizio sull'archiviazione e sulla sentenza di non luogo a procedere e via dicendo, che non sono destinate a incidere sui tempi del processo; come pure le previsioni in tema di patteggiamento – seleziono gli argomenti di maggiore interesse – non paiono destinate ad avere un'efficacia effettivamente decisiva, perché quella prevista nel disegno di legge sarebbe la terza forma di patteggiamento, oltre alla forma del patteggiamento base per i reati minori e a quello cosiddetto allargato. Già il patteggiamento allargato introdotto nel 2003 ha avuto un ridottissimo ambito di applicazione, quindi con un'incidenza percentuale assolutamente irrilevante. Ampliare ulteriormente il tetto di patteggiamento con riguardo all'ambito della pena non è destinato ad avere significato, per una ragione molto chiara: l'imputato non ha interesse a chiedere l'applicazione di una consistente pena detentiva da più di due anni fino a cinque, che sarebbe in breve tempo chiamato a scontare, senza tra l'altro potere accedere agli altri benefici tradizionali del rito che sono riservati dalla legge soltanto al patteggiamento minore. Quali sono questi benefici? L'esclusione della condanna alle spese, l'applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza esclusa la confisca. Quindi per l'imputato è sicuramente preferibile non accedere a questa forma di patteggiamento; al più, se lo ritiene, potrà accedere al rito abbreviato. Mi rifaccio, invece, ad altre tre considerazioni velocissime. La prima riguarda le previsioni in tema di giudizio di primo grado con introduzione di una sorta di udienza preliminare alla celebrazione del dibattimento vero e proprio, in vista di una pronuncia di sentenza di non luogo a procedere in tutto analoga a quella adottabile all'esito dell'udienza preliminare e per le richieste di patteggiamento e di giudizio abbreviato. È un appesantimento inutile. Introduce una sede ulteriore e per giunta è foriera di gravissime ricadute disfunzionali perché determina, ai sensi dell'articolo 34 del codice di procedura penale, l'incompatibilità tra i giudici. Siccome la geografia giudiziaria italiana evidenzia che la maggior parte dei tribunali è di dimensione medio-piccola, introdurre questa previsione significa ancora una volta portare a un sistema di incompatibilità che determina a sua volta la paralisi.
  Veniamo alla considerazione sui nuovi termini di durata delle indagini e di durata Pag. 7del processo. Le nuove previsioni sulla durata delle indagini – il Procuratore generale sicuramente si soffermerà su questo punto, che io propongo dal punto di vista della magistratura giudicante – non hanno sullo sfondo soltanto i problemi di sistema che molto opportunamente il Presidente Curzio ha rappresentato. Per incidere efficacemente sul sistema processuale, c'è bisogno che gli interventi sul codice di procedura penale vadano di pari passo con la riflessione sul diritto penale sostanziale e sui beni meritevoli di tutela, alla luce della mutata sensibilità. Queste nuove previsioni rischiano di essere prive di effettività, perché la minaccia della sanzione disciplinare nei confronti del pubblico ministero che non dovesse concludere le indagini in tempo rischia di produrre un effetto paradossale di ulteriore ingolfamento della giustizia a dibattimento, cioè rischia di incentivare una mentalità assolutamente burocratica nel pubblico ministero che si vede spinto a compiere gli atti di indagine, a raccogliere elementi a favore anche della persona indagata, a fare indagini complete, per il timore di andare incontro a responsabilità disciplinari. Paradossalmente ciò può portare a un fenomeno di esercizio di azione penale rispetto a processi sostanzialmente inutili. Dico questo perché prima di svolgere la funzione attuale ero Presidente della Corte d'appello a Firenze. E i dati statistici, che potreste verificare perché sono particolarmente interessanti, evidenziano che in tutte le Corti d'appello si registra una percentuale di assoluzioni in primo grado, soprattutto nel giudizio monocratico penale, che oscilla fra il 30 e il 35 per cento, cui non segue l'impugnazione del pubblico ministero, vale a dire del medesimo soggetto che ha esercitato l'azione penale. Questo è un campanello d'allarme di quali possono essere le ricadute assolutamente negative nel favorire possibili visioni burocratiche del lavoro del pubblico ministero, che invece è fondamentale per il corretto esercizio dell'azione penale e per far sì che l'azione penale si carichi di quei giudizi e di quelle valutazioni prognostiche che sono indispensabili per la successiva tenuta del processo. Mi sembra assolutamente problematica e fonte di ulteriori rallentamenti anche la previsione di questa sorta di contraddittorio sulla data di acquisizione della notizia di reato, quando forse sarebbe molto più semplice indicare il termine entro cui si deve iscrivere, ovviamente con la precondizione che ci siano risorse di personale di magistratura e di personale amministrativo adeguate. Faccio un ultimo accenno alla prescrizione del reato così come contenuta nel disegno di legge. Anche in questo caso vorrei sgombrare il campo da alcuni luoghi comuni. I reati che si prescrivono non sono quelli che attirano l'attenzione mediatica. Quelli non si prescrivono mai, perché tenuto conto del tetto massimo per i fatti interruttivi e dei tre anni di sospensione introdotti dalla cosiddetta «riforma Orlando» – faccio degli esempi per intenderci – la corruzione si prescrive in 18 anni; l'associazione mafiosa da 40 anni e 6 mesi a 68 anni; l'omicidio stradale da 20 anni e 8 mesi a 33 anni; le violenze sessuali non aggravate in 28 anni; l'omicidio volontario non aggravato in 33 anni; la bancarotta fraudolenta non aggravata in 15 anni e 6 mesi; i furti in abitazione, gli scippi aggravati, i furti pluriaggravati in 15 anni e 6 mesi; le rapine e le estorsioni da 15 anni e 6 mesi a 28 anni. Questa è la necessaria premessa per evitare di drammatizzare il problema. I fatti che si prescrivono sono quelli dei quali la pubblica opinione di regola non si occupa, ma che interessano soprattutto coloro che li subiscono o chi li commette. I veri grandi numeri della giustizia sono costituiti da questi reati. Sono truffe, appropriazioni indebite, minacce, violenze, lesioni personali volontarie, i falsi nelle loro molteplici declinazioni. A fronte di questa premessa, l'articolo 14 del disegno di legge introduce una disciplina differenziata in tema di – la potremmo chiamare – prescrizione del processo che fa da contrappeso alla prescrizione del reato, stabilendo tempi predeterminati di celebrazione dei processi, con una scansione diversa a seconda delle varie previsioni, e soprattutto il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, che continua a essere bloccata qualora intervenga la conferma in appello e successivamente. Io mi Pag. 8permetto, e concludo, di sottoporre alla vostra attenzione queste considerazioni. Come può conciliarsi con un giusto processo e con la sua ragionevole durata una paventata ma inevitabile dilatazione dei tempi, conseguente alla sospensione della prescrizione dopo la sentenza di condanna in primo grado? Ciò dal mio punto di vista avrà un effetto disincentivante per l'impegno dei giudici nel definire celermente i processi nei gradi successivi, sapendo che non c'è più il cosiddetto «pericolo della prescrizione». In secondo luogo, è da chiedersi quali siano le effettive possibilità del diritto alla controprova e dell'introduzione di prove a discarico da parte dell'imputato se il processo di secondo grado verrà celebrato a distanza di tanti anni dal fatto. La questione è di particolare rilievo perché il giudizio d'appello, con la riforma e con l'ampliamento dei casi di riapertura dell'istruttoria dibattimentale in appello a seguito di impugnazione, diventa un giudizio in cui a differenza di prima si ampliano i casi di assunzione di prove dichiarative. Allora quale attendibilità potranno avere queste prove se assunte a distanza di tanti anni dal fatto? Si pongono problemi di frizione con l'articolo 27 della Costituzione, perché non possiamo sottacere le drammatiche conseguenze sociali provocate dalla pendenza per lunghissimi anni di un processo che rende l'uomo unicamente un imputato, in palese contrasto con la presunzione costituzionale di non colpevolezza. Si pongono problemi di compatibilità con i princìpi più volte affermati anche dalla Corte costituzionale in tema di reinserimento. Per concludere, e vi ringrazio dell'attenzione, probabilmente si sdrammatizzerebbero i problemi legati, da un lato, alla prescrizione del reato e, dall'altro, alla prescrizione del processo, non soltanto se si facessero interventi sul diritto penale sostanziale e sul sistema delle sanzioni – la Commissione presieduta dal professor Palazzo ha a lungo lavorato su questo tema – ma se si intervenisse soprattutto sulle dotazioni del personale di magistratura e anche del personale amministrativo. Ricordo su questo punto, perché ha formato oggetto della mia esperienza concreta, che in Corte d'appello, quando sono arrivata a Firenze, ho trovato 13 mila sentenze penali di cui dovevano essere curati gli adempimenti post dibattimentali. È chiaro che vi siano questi numeri, in assenza di personale che se ne occupi. È stato adottato un piano di rientro, abbiamo recuperato l'arretrato. Questa è la situazione di tutte le corti d'appello d'Italia non per neghittosità, ma per oggettiva impossibilità dello scarno personale amministrativo di effettuare gli adempimenti post dibattimentali. Fa sempre parte della mia esperienza il fatto che, sulla base della verifica effettuata, taluni tribunali nello stesso distretto toscano – che pure ha tanti pregi – impiegavano anche cinque o sei anni per trasmettere gli atti dal primo al secondo grado. Sono questi i problemi connessi con gli adempimenti amministrativi, nemmeno particolarmente complessi. Dovendo scegliere, si dava precedenza ad altre incombenze. Vi ho voluto fare esempi concreti per farvi capire che drammaticamente i tempi della giustizia sono interessati da questi aspetti.

  PRESIDENTE. Grazie, Presidente Cassano. Do la parola al dottor Salvi, Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Prego.

  GIOVANNI SALVI, Procuratore generale della Corte di Cassazione. Grazie. Mi fa molto piacere poter rappresentare l'opinione della Procura generale. Noi abbiamo predisposto anche un documento per metterlo a disposizione degli onorevoli parlamentari (vedi allegato); e ho già indicato come è possibile acquisirlo informaticamente. Sintetizzerò alcuni aspetti che per la verità viaggiano in parallelo con ciò che è stato detto dal Primo Presidente e dalla Presidente Cassano.
  In particolare, partendo proprio dalle ultime considerazioni, che sono poi quelle da cui sarei partito anch'io nel mio intervento, ho apprezzato molto che nel disegno di legge si cerchi – e non è frequente nelle tematiche della giustizia – di avere un approccio complessivo, vale a dire di vedere il processo come un tutto, evitando interventi che riguardino solo un aspetto o Pag. 9l'altro sotto la spinta delle urgenze e delle necessità. Ho apprezzato, inoltre, che in questo contesto si consideri anche il profilo organizzativo, non soltanto con riguardo alle misure di incremento del personale e dei mezzi, ma anche dal punto di vista del tentativo di individuare i punti dolenti del flusso procedimentale.
  Questo è un approccio che a me piace molto e che tuttavia può comportare anche alcuni rischi. Il rischio maggiore è che, una volta individuati gli snodi principali, l'intervento non tenga conto delle ragioni che li hanno determinati. Alcuni aspetti sono stati già ben evidenziati dalla collega Cassano; non ci ritorno, anche per farvi guadagnare tempo. Mi riferisco all'idea di un giudice d'appello monocratico che, anche solo dal punto di vista dell'organizzazione, senza pensare ai profili, che pure sono molto importanti, della collegialità nel grado di appello, è ingestibile sia per la mancanza di personale sia per la mancanza delle aule.
  Io voglio farvi solo un esempio. E ci tengo a farlo perché riguarda proprio la città di Roma. Ero allora Procuratore generale della Corte d'appello. Io e gli altri dirigenti degli uffici giudiziari con grande difficoltà riuscimmo a ottenere dal Ministero della difesa e dal Ministero della giustizia la consegna della Caserma Manara per il completamento del Polo civile, in maniera da rendere possibile la celebrazione di udienze penali, che già ora – con il giudice collegiale – non si possono celebrare per la mancanza di aule, nel numero che sarebbe necessario. Purtroppo da più di due anni i lavori appaltati sono bloccati per il fatto che il tribunale militare non intende cedere i locali per consentirne lo svolgimento. Io credo che ci saranno anche profili di responsabilità contabile per questo. Da più di due anni i lavori appaltati sono fermi perché il tribunale militare – per carità, io ho grandissimo rispetto per la giustizia militare, ma il suo numero di fascicoli non è lontanamente comparabile con i quasi 80 mila procedimenti della Corte d'appello penale di Roma – blocca la possibilità, per non so quanti anni ancora, di avere le aule che ci consentirebbero di celebrare qualche processo in più. Ci sono dunque anche problemi concreti e pratici, ma non è su questo che voglio concentrarmi.
  Passo all'individuazione dei problemi: la prescrizione, in primo luogo. Si dice, e ve ne è evidente traccia nelle scelte che sono state fatte nel disegno di legge, che la maggior parte delle prescrizioni si verifica durante le indagini preliminari. La conseguenza di questo fatto sono la riduzione del periodo delle indagini preliminari e la previsione di misure disciplinari come risposta alla loro eccessiva durata. Ma sarebbe sufficiente esaminare il significato reale delle statistiche per accertare che il punto di intoppo non è il pubblico ministero ma il tribunale in composizione monocratica, perché la verità è che il tribunale in composizione monocratica non è in grado in questo momento di ricevere, non dico «di fissare», gli atti che vengono completati dal pubblico ministero. Solo a Roma ci sono circa 30 mila procedimenti per i quali è già stata chiesta la fissazione dell'udienza, cosa che però il tribunale non è in grado di fare, con la conseguenza che, non essendo la richiesta di fissazione dell'udienza considerata esercizio dell'azione penale, questi sono considerati procedimenti che pendono nelle indagini preliminari, ma in realtà sono procedimenti per i quali le indagini sono finite. La conseguenza di questo è che, se noi acceleriamo la fase delle indagini preliminari, oltre al giustissimo rilievo della collega Cassano, vale a dire al fatto che andiamo verso una logica burocratica di eliminazione immediata del processo senza alcun approfondimento, intasiamo ancora di più il tribunale, perché il problema è che il tribunale non è in grado di ricevere il processo, e non che il pubblico ministero non è in grado di farlo. La risoluzione non è l'azione disciplinare. Io sono titolare dell'azione disciplinare. Ho allegato alla mia relazione i dati delle azioni disciplinari di questi anni, perché è ora di sfatare il mito. Per la verità ormai l'abbiamo sfatato tante volte, ma ripetere le cose a volte le fa diventare vere, anche se tali non sono. Basterebbe guardare gli atti della nostra disciplina, per capire che è una delle più rigorose del settore pubblico, per non parlare Pag. 10 poi di quello privato. È questo il meccanismo che può accelerare il processo? È il fatto di sottoporre ad azione disciplinare chi ritarda, magari in maniera più intensa? Già adesso i casi di ritardo e di condanne sono molti; ma non può essere questa la soluzione, anche perché non è più efficace. Se si aumenta il numero delle procedure disciplinari con riferimento a queste situazioni, perde anche di efficacia la sanzione, perché diventa prevalente il profilo dell'esame delle condizioni di lavoro che portano a quella situazione.
  Chiedo scusa, ma prima di procedere devo fare soltanto una correzione importante a ciò che ha detto la collega Cassano. Purtroppo, anche a proposito del rapporto tra le sentenze di assoluzione e le sentenze di condanna in grado di appello, ci sono delle imprecisioni che abbiamo cercato di chiarire. Trovate i dati sul sito della Procura generale della Cassazione, nella relazione per l'anno passato. In realtà il rapporto è molto più basso: il numero di assoluzioni «vere» ammonta all'incirca al 20 per cento del totale dei processi. Potrebbe ritenersi una percentuale elevata: tuttavia se le assoluzioni fossero inferiori al 20 per cento, poi si direbbe che il giudice si appiattisce sul pubblico ministero. Direi che si tratta di una percentuale fisiologica di assoluzioni: che fossimo al 50 per cento o, come si è detto, al 35-40 per cento, allora si tratterebbe di numeri molto elevati. Se invece siamo intorno al 20 per cento, credo che si tratti del livello fisiologico delle assoluzioni.
  Le prescrizioni – come giustamente ha detto la collega – colpiscono non i reati di allarme sociale, ma proprio quei reati che costituiscono la base del principio di legalità e sono quelli più avvertiti dai cittadini, come costituenti il fondamento della convivenza civile. I reati che ha citato la collega affliggono la cittadinanza, perché una truffa via Internet spinge anche a meccanismi di insicurezza che non devono essere lasciati senza punizione.
  Dunque, il disegno di legge prevede e disciplina i criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale e nell'avvio verso il dibattimento. È giusto, perché in questa maniera si disciplina almeno quella che altrimenti è una discrezionalità di fatto priva di qualunque regola. Ma questo va bene se è un meccanismo eccezionale che risponde ad una situazione di particolare difficoltà, come è stato a Roma per i 30-40.000 (adesso sono diminuiti, erano arrivati quasi a 50.000) procedimenti che non riuscivano ad essere fissati. Allora, per risolvere questo problema si fa ricorso ai criteri di priorità; ce li siamo un po' inventati e il Consiglio superiore della magistratura ha fornito una copertura attraverso la disciplina dei criteri individuati dai procuratori in accordo con i tribunali. Ma se istituzionalizziamo ciò, senza che vi siano le misure adeguate per far sì che questi processi si trattino e arrivino alla discussione, noi di fatto eliminiamo una fascia consistente di reati dalla concreta possibilità di essere perseguiti, creando quindi la percezione di una giustizia che non funziona, che non dà risposte ai cittadini. E questo è molto, molto grave, a mio parere. Vi sono poi aspetti significativi in positivo, certamente. Mi riferisco alla previsione di tempi certi – rimango sempre alla fase delle indagini preliminari – azionabili dalle parti dopo la fase di cui all'articolo 415-bis del codice di procedura penale, che adesso non è disciplinata e quindi lascia la possibilità, dopo l'avviso di conclusione delle indagini, di attendere per mesi o per anni senza che siano assunte determinazioni. Un altro aspetto riguarda l'annoso problema del controllo sui tempi e sui modi delle iscrizioni. In questo caso però ho qualche dubbio sulla soluzione adottata, anche se nel disegno di legge si è compreso il problema e si è cercato di porvi rimedio. Se noi spostiamo da quella che è attualmente la decisione da parte del Procuratore della Repubblica sul modo e sui tempi di iscrizione della notizia di reato verso la controllabilità del giudice ai fini della successiva valutazione dell'inutilizzabilità degli atti per il superamento del termine, corriamo il rischio di innescare un meccanismo di contenzioso perché l'inutilizzabilità è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio. Questo consentirebbe un continuo contenzioso sull'origine del procedimento, cosa che non è Pag. 11sempre facile da stabilire. Quando una notizia di reato è complessa, possono esservi opinioni diverse sul momento in cui avrebbe dovuto essere iscritta. Si rischia pertanto di determinare un contenzioso. Il disegno di legge contrasta questo rischio indicando un termine ultimo per eccepire la questione, che se non ricordo male, cade prima che siano compiute alcune formalità. Ora non ricordo esattamente qual è il termine, comunque è stabilito un termine molto anticipato. Immagino già le questioni che saranno poste circa il momento in cui è divenuto possibile conoscere l'esistenza della possibilità di un'iscrizione diversa. Ma lasciamo perdere questo aspetto. A mio parere il punto è che la strada seguita in precedenza è la più corretta, che non modifica dal punto di vista dei rapporti tra fasi processuali il controllo sulla notizia di reato: mi riferisco all'attribuzione al procuratore generale di appello della vigilanza, non solo ai fini disciplinari, su come viene gestito il registro delle notizie di reato. Però questa scelta è rimasta incompleta, perché in realtà il procuratore generale è privo di effettivi poteri di controllo sul registro delle notizie di reato e sul contenuto della notizia di reato, se non per interrogazioni puntuali. Egli è praticamente privo di qualunque effettivo strumento di verifica. Pertanto questa norma, che a mio parere era significativa e importante, è rimasta un po' sulla carta, portando, come conseguenza ovvia, allo spostamento verso il controllo giurisdizionale. Ci si sposta dunque da quello che dovrebbe essere l'alveo effettivo di verifica, che è quello dello stesso ufficio del pubblico ministero, sia pure in forma gerarchica o para gerarchica, verso il giudice, con i problemi che vi ho accennato.
  Un tema per me importante è quello relativo alle notificazioni. Io credo che nessuno abbia voglia di ritornare al processo contro gli irreperibili: è un processo assurdo, assolutamente in contrasto con i principi del processo accusatorio, cosiddetto adversarial system. Anche se in verità anche il processo contumaciale è in contrasto con questi principi, perché nel processo accusatorio l'imputato teoricamente deve essere presente, non se ne può andare a spasso e poi quando può bloccare lo sviluppo del processo eccepisce il legittimo impedimento, anche se prima è stato sempre assente e lo sarà anche dopo. Nel processo accusatorio dunque l'imputato deve essere presente davanti al giudice. Ma lasciamo stare, il processo contumaciale è una garanzia in più, non è un elemento – all'estero qualche volta non si comprende – di identificazione con il processo in assenza. Il processo in assenza contro l'irreperibile, per così dire, in realtà è un processo che non ha senso in un sistema come il nostro, però ciò non ha niente a che vedere con il principio di responsabilità, anche questo, a mio parere, strettamente correlato con il processo accusatorio. Se la persona indagata è informata in maniera corretta e puntuale dell'esistenza della fase delle indagini e delle conseguenze che da questo avvio di procedimento possono derivare, il principio di responsabilità indica che sarà suo onere quello di informarsi dello sviluppo del procedimento. Si può inserire, anche per seguire il diritto vivente, un momento ulteriore di scansione, che è quello della formulazione precisa della contestazione nella fase che apre il giudizio, ma questi due momenti sono gli unici, a mio parere, in cui deve essere richiesta una forma di notificazione «aggravata», che dia certezza della consapevolezza. Ho fatto riferimento alla seconda notifica, per avvicinarmi a quelle interpretazioni. Tuttavia, francamente ritengo che una volta che un soggetto è stato informato con precisione della necessità che venga dato corso ad un processo penale, credo che sia suo onere quello di continuare ad informarsi. Non è un processo contro l'irreperibile; è un processo contro un soggetto che si sottrae al procedimento, quindi simile al processo contro il latitante che – anche secondo la giurisprudenza della Corte europea – è ammissibile nel momento in cui il latitante ha avuto conoscenza del procedimento e si è volontariamente sottratto. Qui manca l'atto di apprensione, vale a dire la misura cautelare, ma in realtà se il soggetto è a conoscenza piena del procedimento, la sottrazione rientra nel principio di responsabilità che non ha nulla a che vedere con il Pag. 12processo contro l'irreperibile. È un processo contro una persona reperita che si sottrae al processo. Su questo aspetto abbiamo fornito alcune indicazioni nel nostro documento.
  Svolgo ancora poche notazioni che riguardano il processo d'appello e per certi aspetti anche il processo in Cassazione. Anch'io sono convinto che il processo d'appello debba rimanere collegiale, non soltanto per le questioni organizzative che pure sono importanti. Io credo nella collegialità e nell'importanza del giudizio corale, quando questo giudizio è effettivamente richiesto. È ovvio, per esempio, che tutte le volte che è necessaria un'assunzione della prova, non può che esserci un'assunzione collegiale in un processo che assicuri l'effettiva discussione su questo aspetto. Mi chiedo però se tutte le ipotesi in cui invece il processo si basa su tecnicalità, come molto spesso avviene nel giudizio di Cassazione, e non vi è un problema di riassunzione della prova, non vi è la necessità di una discussione sul merito, ma si tratta di una discussione tecnica sulle ragioni dell'appello, non possano essere assicurate – mi riferisco ad una situazione come quella appena descritta – attraverso il ricorso ad un contraddittorio scritto più ampio rispetto a quello attuale. Si potrebbe quindi riservare il contraddittorio nella forma orale ai casi che veramente lo meritano, in maniera da far sì che esso si svolga in tempi brevi, davanti a un giudice non oberato di mille altri procedimenti che riguardano, per esempio, la determinazione della pena, la sussistenza di un'aggravante, la sua comparazione, la qualificazione giuridica del fatto sotto il profilo meramente tecnico e che non richiedono alcuna nuova rivalutazione o riacquisizione della prova. Questo sarebbe molto importante, perché consentirebbe di dare vero valore all'oralità e alla collegialità.
  Vorrei citare un ultimo aspetto, se volete marginale, ma che a me sembra importante per dare il senso della sistematicità dell'intervento. Non è previsto nel disegno di legge, e riguarda l'appello incidentale del pubblico ministero. L'abrogazione dell'appello incidentale è stata del tutto asistematica, perché mentre veniva abrogato l'appello incidentale contestualmente veniva introdotto uno strumento negoziale in appello, che è il concordato in appello. Da un lato il pubblico ministero è privato di uno strumento molto importante, se ben utilizzato, per assicurare l'uniformità nell'interpretazione e nell'applicazione della legge e soprattutto con effetti di valutazione deflattiva. Dico questo perché io posso avere una sentenza che mi soddisfa entro certi limiti, ma che magari ha visto un'applicazione di attenuanti generiche che potevano non essere riconosciute; l'imputato ha avuto il pieno riconoscimento delle sue richieste, ciò nonostante fa appello sulla determinazione della pena: la possibilità dell'appello incidentale ha un effetto sia deflattivo, sia di uniformità dell'applicazione della legge. Perché dico che si è trattato di un'abolizione asistematica? Perché il concordato in appello fa esattamente la stessa cosa. E funziona, o almeno ha funzionato laddove è stato applicato correttamente, cioè attraverso criteri omogenei di applicazione. Fa esattamente la stessa cosa. Alla rovescia, ma è esattamente la stessa cosa: il pubblico ministero rinuncia a una parte, per esempio, della pretesa punitiva perché – anche se giusta in prospettazione – va bilanciata con i tempi del processo e con la possibilità di non aggravare ulteriormente il giudizio d'appello. In tutte le nostre impostazioni, a mio parere, bisogna essere coerenti. E dico di più. Si potrebbe perseguire una reale riforma dell'appello, che lo riducesse effettivamente a un giudizio rescindente, a seguito del quale si rifà il processo e non ci si limita a guardare le carte. È del tutto asistematico, rispetto al processo accusatorio orale, il fatto che si guardino le carte e si decida se aveva ragione il pubblico ministero o il difensore. Nella prospettiva di una radicale rivisitazione del giudizio di appello, io credo che si possa anche restringere di molto l'appello del pubblico ministero e ridurlo ai casi in cui vi sia stata o una grave inosservanza nell'acquisizione della prova o la violazione di principi di diritto significativi. Quindi si potrebbe arrivare a una soluzione di questo genere, ma laddove invece non si bilanciano – come, a Pag. 13mio parere, non avviene ancora in questo disegno di legge – i termini complessivi di un giudizio, si corre il rischio di squilibrare i poteri di impugnazione e quindi lo stesso giudizio di appello. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO. Grazie, presidente. Ho ascoltato gli auditi con estremo interesse perché ci hanno fornito spunti di riflessione importanti, se non fondamentali rispetto a ciò che in questo momento ci approntiamo a licenziare. L'unico dispiacere è che l'Aula dei gruppi sia semivuota, perché avrebbero dovuto ascoltarvi con interesse tutti i protagonisti di questa Commissione che dovranno decidere come affrontare la delega in esame. E io spero che almeno vi leggano.
  Detto questo, ho poche domande. Si è fatto riferimento, soprattutto all'inizio, nell'intervento del presidente Curzio, a un problema anche di diritto penale minimo. Io sono legato a questa idea che purtroppo è diventata sempre più una chimera, perché ce ne siamo sempre più allontanati. Invece che raggiungere il diritto penale minimo, ce ne siamo allontanati sempre di più nel corso delle legislature. Si è dunque fatto riferimento alla depenalizzazione. Rivolgo la domanda a tutti e tre i presidenti. Ritenete che, anche rispetto a quello che sarà l'impatto di una qualsiasi riforma del processo penale, volta a rendere più efficiente il sistema, sia doveroso fare una riflessione in termini di amnistia e indulto? Ve lo chiedo perché la Presidente Cassano ha fatto riferimento – tra le macro aree critiche cui si è riferita – allo smaltimento degli arretrati. Al punto numero tre, si è riferita allo smaltimento degli arretrati. Rispetto all'impatto che qualsiasi riforma – buona, cattiva o virtuosa – avrà, sarà necessario fare anche una riflessione su tutti i procedimenti vecchi, antichi, dal minimo impatto sociale, dal minimo disvalore penale, in termini auspicabilmente diversi rispetto al 2006? Passo alla seconda domanda. Quanto alla regola di giudizio, secondo la Presidente Cassano ciò non incide sui tempi. L'altro giorno abbiamo ascoltato parte dell'accademia. Vi chiedo di aiutarci almeno in questo senso. Uno dei professori che abbiamo ascoltato ha sostenuto che probabilmente sarebbe più saggio modificare l'articolo 417 del codice di procedura penale per rendere più attuale l'idea di udienza preliminare. In quali termini? Considerato che ai sensi della lettera c) del comma 1 dell'articolo 417, la richiesta di rinvio a giudizio contiene l'indicazione delle fonti di prova, non sarebbe il caso di legare in maniera non formale tale indicazione agli elementi costitutivi del reato, in modo da dare una sponda al giudice dell'udienza preliminare per valutare la sostenibilità a giudizio dell'accusa stessa? Quanto alla terza domanda, si è fatto riferimento alla prescrizione in più passaggi delle vostre relazioni. Prescindendo dalle modalità su cui si calcolano i recuperi, a seconda che la sentenza sia di assoluzione o di condanna, come vedete l'idea di introdurre nel nostro ordinamento la soluzione adottata nel sistema tedesco, vale a dire quella di influire sulla dosimetria della pena, allorquando si sforano i termini di prescrizione? Mi sembra un meccanismo che, da un lato, assicura la condanna e, dall'altro, garantisce almeno un minor peso rispetto a quello che l'imputato ha dovuto subire per la lungaggine del processo, posto che sono sempre dell'idea che il processo è la prima pena, almeno in questa prospettiva.
  Passo alla quarta domanda. Non avete fatto riferimento – probabilmente troveremo traccia nei vostri scritti – a un tema che vi riguarda, anche per la vostra esperienza attuale, vale a dire la sentenza Bajrami e l'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Io ritengo che l'articolo 190-bis debba considerarsi sempre e comunque un'eccezione, una deroga: il doppio binario esiste perché c'è quello principale, immagino. Vi chiedo pertanto cosa pensate rispetto alla proposta di riforma dell'articolo 190-bis, perché nel disegno di legge delega ci sarebbe la volontà di far diventare strutturale il principio stabilito con la sentenza Bajrami, quando in realtà ritengo – e spero di avere un conforto in voi – che bisognerebbe incidere sui collegi, Pag. 14vale a dire sul giudicante, impedendo che si possa modificare in corso d'opera il collegio o comunque il giudice monocratico in corso d'opera, soprattutto nei processi più importanti.
  La quinta domanda riguarda le regole di priorità. Chiederei agli auditi una riflessione sull'articolo 112 della Costituzione. Chiedo se a loro parere sia il momento o meno di incidere su un aspetto che probabilmente andava modificato quando è stato introdotto il modello accusatorio: una delle maggiori distorsioni del sistema risiede nel fatto che parliamo di modello accusatorio in un sistema costituzionale che presuppone l'obbligatorietà dell'azione penale, che ritengo presidio dell'uguaglianza. Ci mancherebbe altro. Mi chiedo comunque quale sia il pensiero degli auditi in merito.
  Nonostante io nella vita faccia l'avvocato, la soluzione del contraddittorio scritto in appello non mi dispiace, quando si basa esclusivamente su tecnicalità, come è stato detto dal Presidente Salvi. Però le chiedo, Presidente Salvi, se non sarebbe comunque il caso di presupporre, anche in questa ipotesi, delle vie di fuga dal contraddittorio scritto, quando la situazione è particolarmente complessa, o quando è lo stesso collegio a richiedere la presenza fisica per la specificazione di un determinato aspetto dei motivi d'appello che può suggerire una alternativa. Io ritengo che il contraddittorio scritto in appello possa rappresentare una soluzione deflattiva. Ma non è il caso comunque di evidenziare la volontà di costruire assieme la famosa «triade dei giudicanti», dando un ruolo di responsabilità al difensore e al magistrato giudicante in appello? Mi fermo qui, presidente. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, collega Vitiello. Onorevole Vazio, prego.

  FRANCO VAZIO. Grazie, presidente. Noi ci avviamo ad esaminare un disegno di legge piuttosto complicato, e anche molto articolato. Le audizioni che abbiamo fatto, e che si sono svolte anche nella giornata di ieri, ci hanno fornito sicuramente elementi molto significativi. Il fatto che voi possiate lasciarci anche una nota scritta è particolarmente utile: ascoltare e prendere appunti è importante, ma lo sviluppo del ragionamento che voi avete fatto affonda nella parte scritta, che è la parte più rilevante.
  Io non posso negare che nelle vostre parole vi siano aspetti abbastanza critici rispetto ad alcuni temi, e su questi noi faremo una profonda riflessione. Ci sono un paio di questioni sulle quali mi verrebbe da chiedere non una spiegazione, perché siete stati molto chiari, ma quasi un contraddittorio virtuale con quello che è emerso nella giornata di ieri. Una delle critiche – che peraltro si lega abbastanza con la vostra visione, soprattutto con quella della Presidente Margherita Cassano – ha riguardato quella sorta di udienza filtro prognostica, dibattimentale e monocratica, dove si dovrebbe celebrare una fase preliminare del processo. Mi pare sia stata oggetto di critiche importanti. Ieri i professori universitari che abbiamo audito, tra i quali il professor Spangher, ci hanno detto che si genererebbe inevitabilmente una sorta di giudizio prognostico di condanna, nel momento in cui venisse adottata tale soluzione, soprattutto in quei tribunali particolarmente contenuti di dimensione, dove si passa da una stanza all'altra. Quindi, chiedo se questo aspetto rappresenta anche per voi una preoccupazione.
  Viene sollevato un tema che il sottoscritto, svolgendo anche in altre circostanze la funzione di relatore, così come questa volta, ha provato a introdurre nel dibattito, peraltro con scarsi risultati. Mi riferisco ad una riforma più profonda e anche più attuale, rispetto a censure che ci possano provenire anche dall'esterno dei confini nazionali, vale a dire dalla Corte di giustizia europea, in tema di misure cautelari reali e misure di prevenzione. Rispetto a questi temi nel disegno di legge del Governo non c'è traccia. Mi domando se, al pari dei professori che abbiamo audito, anche voi riteniate che questo sia un tema da affrontare.
  L'ultima questione riguarda la prescrizione, che anche voi condite di preoccupazioni e perplessità, per certi versi. Domando se non sia una soluzione quella che Pag. 15ci è stata rappresentata nella giornata di ieri. Si è proposto di distinguere prescrizione dell'azione, prescrizione del processo, prescrizione del reato e tempi di efficienza del processo, per evitare strani algoritmi di andata e ritorno della disciplina della prescrizione, così come viene definita. Traducendo in maniera brutale, se si ritiene che le indagini preliminari debbano durare «x» anni, il processo in primo grado «x» anni e il processo di secondo grado «x» anni, a seconda della gravità del reato, l'interruzione della prescrizione si deve produrre quando si sta all'interno di queste fasce temporali, e non quando esse vengono sforate per diverse ragioni, per evitare, da un lato, gli effetti perversi cui faceva riferimento la Presidente Margherita Cassano e, dall'altro, per non incorrere nella possibile violazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e, quindi, della garanzia della presunzione di innocenza della quale più volte sia è parlato.

  PRESIDENTE. Bene, se non vi sono altri colleghi che intendono intervenire, chiederei la cortesia di procedere con le risposte. Potremmo seguire l'ordine iniziale, se ritenete. Prego, Presidente Curzio.

  PIETRO CURZIO, Primo Presidente della Corte di Cassazione. Dico una cosa minima perché preferisco che parlino gli specialisti di cose così specialistiche. Mi complimento per le domande che mi sono sembrate estremamente interessanti.
  Faccio solo due considerazioni su amnistia e indulto. Sono tanti anni che non opero nell'ambito penale, ma di esperienze sulle amnistie ne ho fatte. Ho passato anni da pretore, chiuso in ufficio a lavorare sulle amnistie. Evidentemente quel sistema, che poi è stato messo da parte, non funzionava se a distanza di qualche anno il sistema riaccumulava il suo arretrato. Francamente recuperare questo strumento mi suscita forti perplessità. Sappiamo che è uno strumento che innesca meccanismi di protrazione, con tutti i mezzi del processo, in attesa della prossima amnistia.
  Quanto all'oralità in primo grado, e le forme scritte in secondo grado, credo rappresentino una contraddizione tipica del nostro sistema. Anche nel mondo civilistico abbiamo questo problema. Siamo «chiovendiani» in primo grado, poi nel secondo grado il rapporto di immediatezza, nel senso non di mediazione, ma di visione diretta del testimone e della fonte di prova, sparisce, proprio nella fase in cui la riflessione diventa più importante e la decisione più rilevante, avvicinandosi alla definitività. Credo che il sistema italiano soffra di questa contraddizione. Sicuramente c'è una tensione tra il processo accusatorio e l'obbligatorietà dell'azione penale che è un principio costituzionale: quindi, l'accusatorio ha delle difficoltà in un sistema in cui la Costituzione ha posto questo fondamento. È un lusso difficile da permettersi in un sistema che si basa su questi principi, per cui si entra ineluttabilmente in difficoltà.
  Questo dovrebbe farci riflettere. Mi fermo a questa riflessione di sfondo. Credo che il sistema processuale penale dovrebbe essere fortemente semplificato e con una riflessione molto più organica di quella che oggi oggettivamente, storicamente, siamo in grado di fare. Affido le risposte più specifiche alla collega Cassano.

  PRESIDENTE. Grazie, Presidente Curzio. Prego, Presidente Cassano.

  MARGHERITA CASSANO, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione. Ringrazio anch'io per le domande che sono molto stimolanti e che meriterebbero l'approfondimento di un'intera giornata. Quindi mi scuso per la banalità delle risposte.
  Rispetto alle domande dell'onorevole Vitiello, si possono collegare quelle relative all'archiviazione e ai criteri di priorità in rapporto all'articolo 112 della Costituzione. Penso anch'io – lo sta facendo la dottrina, stiamo esaminando anche noi la questione nell'ambito dei seminari di studio – che forse sarebbero maturi i tempi per una riflessione molto pacata, non ideologica, ma di sistema, su un'interpretazione dell'articolo 112 della Costituzione che sia ancorato ad un principio di legalità penale sostanziale. Quindi, si tratterebbe di leggere Pag. 16 l'articolo 112 della Costituzione nella chiave del principio di legalità penale sostanziale, con conseguenti riflessi su un'azione penale «temperata», ma temperata dai princìpi del diritto penale. Basterebbe forse questa cornice di riferimento per avviare una riflessione seria, riflessione tanto più seria perché si intreccia con la collocazione costituzionale della magistratura. Noi abbiamo una legittimazione soltanto tecnico-professionale, non possiamo sostituirci al legislatore nella scelta dei beni giuridici meritevoli di tutela e nelle linee della politica giudiziaria. Noi siamo tecnici del diritto, abbiamo questa legittimazione ed espanderci al di fuori di essa creerebbe seri problemi di rispetto e di compatibilità costituzionale. È un tema che sento molto e che merita opportuna riflessione.
  Molto interessante è il riferimento al sistema tedesco che riconosce o un risarcimento o una corrispondente riduzione di pena nei confronti della persona condannata, qualora la durata del processo non sia quella prevista. Il sistema tedesco non conosce – come quasi tutti i sistemi europei – la prescrizione del reato, ma conosce la prescrizione del processo correlata alla diversa gravità dei reati. Sicuramente il riferimento al sistema tedesco è molto interessante; è proposto anche da una parte della dottrina italiana e non mi trova pregiudizialmente contraria.
  Per quanto riguarda le riflessioni su amnistia e indulto, ho vissuto anch'io l'indulto quando ho lavorato come consigliere della prima sezione penale della Corte di Cassazione che è competente proprio in materia di esecuzione penale. Posso assicurare che gli interventi normativi in materia di amnistia e indulto, lungi dall'avere un effetto deflattivo, aggravano ulteriormente il carico del lavoro giudiziario, perché inevitabilmente comportano l'instaurazione di incidenti di esecuzione per valutare se sussistono o meno i presupposti per applicare l'indulto, l'opposizione alla decisione e il ricorso per cassazione. Sono interventi emergenziali che non risolvono le questioni in una prospettiva di sistema, anzi aggravano ulteriormente la tenuta complessiva.
  Sono d'accordo con l'onorevole Vitiello circa le possibili criticità che possono derivare dall'articolo 190-bis del codice di procedura penale. È un tema caro al professor Spangher, che quindi penso abbia fatto riferimento a questo istituto che sicuramente può porre problemi di compatibilità con i principi del sistema accusatorio, soprattutto in quelle sedi giudiziarie in cui è più alto l'avvicendamento dei magistrati e la celebrazione dei processi non è concentrata. Si rischia davvero di arrivare ad un simulacro di giudizio accusatorio in quanto c'è l'oggettivo rischio che la prova venga assunta da un giudice, la successiva prova dichiarativa in caso di lungo rinvio da un altro giudice e così via, e la decisione poi sia rimessa nelle mani di un terzo o di un quarto giudice che non ha mai partecipato direttamente. Noi dobbiamo dare effettività ai principi di un processo tendenzialmente accusatorio qual è il nostro, quindi o garantiamo questo, vale a dire la concentrazione, l'assunzione della prova e la decisione da parte del giudice dinanzi a cui si è formato, o rischiamo di andare in rotta di collisione con i principi costituzionali.
  Per quanto riguarda il giudizio di appello, gli interventi contenuti nel disegno di legge forse dovrebbero inquadrarsi nell'ambito di una riflessione più ampia e organica, che tenga conto della struttura del processo di appello, che sicuramente è connotata da forte ambiguità, e anche da una riflessione sul giudizio di Cassazione. Il disegno di legge non si occupa minimamente del giudizio di Cassazione. Rimetto la questione alla valutazione di coloro cui spetta istituzionalmente vedere se tutto questo possa essere oggetto di una riflessione un po' più di sistema. Però è imprescindibile il problema di metodo. Non ha senso porre mani a un intervento del processo penale se non si riattivano e non si dà nuova vitalità alle riflessioni sul diritto penale che hanno formato oggetto, negli ultimi anni, di numerose commissioni ministeriali, presiedute da fior di professori universitari ed espressioni dei diversi punti di vista. È urgente non soltanto in materia di selezione dei beni giuridici, ma anche in Pag. 17tema di sanzioni. Non ho avuto tempo di dirlo prima, lo accenno come tema di riflessione: è urgente una rivisitazione in chiave più ampia del concetto stesso di sanzione e della tipologia delle sanzioni. Noi continuiamo a ragionare in termini di dicotomia, tra sanzioni detentive e sanzioni pecuniarie. Invece alcuni provvedimenti normativi che meritano di essere approfonditi stanno ampliando il ventaglio di possibilità. Nella nostra esperienza noi vediamo che le uniche forme di sanzioni che stanno effettivamente funzionando sono i lavori di pubblica utilità, la messa alla prova, e tutte le nuove prospettive offerte da una giustizia riparativa. Bisogna avere il coraggio di riprendere in mano le proposte che vengono dalla parte più avvertita dell'accademia, altrimenti c'è il pericolo che una delle cause di ineffettività del sistema derivi da questa fortissima dicotomia che esiste tra: sanzione penale, astrattamente minacciata, con tendenza del legislatore a innalzare progressivamente i tetti di pena massima; pena che viene concretamente applicata dal giudice; in un terzo momento, pena che è effettivamente eseguita. Noi abbiamo una scissione tra questi tre momenti che contribuisce a dare fortissime ineffettività al sistema. Tutti questi piani di lavoro dovrebbero procedere parallelamente.
  L'ultima domanda dell'onorevole Vitiello riguardava la regola di giudizio per l'archiviazione. La mia non è una critica. Dico solo che gli stessi principi che sono contenuti, mi sembra, nell'articolo 3 del disegno di legge, sono già presenti, sotto altra forma lessicale, nel codice di procedura penale. Ed è fondamentale che la norma sia correttamente applicata sia dal pubblico ministero che dal giudice. Abbiamo l'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Già quella è la base per consentire una valutazione prognostica sull'utilità o meno dell'esercizio dell'azione penale e sul passaggio alla fase dibattimentale.
  Sono d'accordo con l'onorevole Vazio sulla necessità – non è questa forse la sede, però dal punto di vista degli operatori pratici e anche degli studiosi ciò sarebbe fondamentale – di porre mano ad una riflessione ampia sul sistema delle misure di prevenzione. Dico solo che la tendenza evidenziata negli ultimi anni dal processo penale è che maggiore è l'ineffettività del processo penale e della sanzione penale, maggiore è l'enfatizzazione del sistema delle misure di prevenzione che è un sistema assolutamente meno garantito. Il sistema delle misure di prevenzione sta diventando una sorta di elemento di compensazione di tutte le forme di inefficacia del processo penale, con le conseguenze critiche che ne derivano. Sono d'accordo sul punto, sulla necessità di una risistemazione della categoria complessiva delle misure cautelari reali, così come pure – giacché ne parliamo – anche delle misure di sicurezza. Pensiamo alla gamma infinita delle tipologie di confisca che ci sono nel nostro sistema e che talvolta è difficile ricondurre ad unità. Sull'udienza filtro, non temo i pericoli a cui faceva riferimento l'onorevole Vazio: ogni giudice è libero nel suo foro interiore. Ritengo che questa norma amplifichi i problemi che derivano dal sistema delle incompatibilità delineate dall'articolo 34 del codice procedura penale. C'è il rischio che per ovviare a questa incompatibilità si debba fare ricorso a provvedimenti di supplenza da parte di altri tribunali vicini.
  Infine sono d'accordo con l'onorevole Vazio che occorre concettualmente tenere distinti i due temi, il tema della prescrizione del reato e il tema della prescrizione processuale. Hanno fondamenti costituzionali – qui sarebbe troppo lungo il discorso – completamente diversi. Sicuramente la dilatazione dei tempi processuali rappresenta la negazione del giusto processo e soprattutto dell'effettività dei diritti di difesa nei gradi successivi di giudizio. Penso all'appello che sta mutando enormemente la sua fisionomia a seguito della modifica dell'articolo 603, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che implica un'attività istruttoria, in passato sconosciuta a questo giudizio, connotato soprattutto in maniera cartolare. Ora non è più così e noi dobbiamo assolutamente confrontarci con questo problema se vogliamo garantire effettivamente i diritti di difesa dell'imputato.

Pag. 18

  PRESIDENTE. Grazie, Presidente Cassano. Prego, Procuratore Salvi.

  GIOVANNI SALVI, Procuratore generale della Corte di Cassazione. Grazie. Il problema è che se uno cerca di trovare strumenti per far funzionare il processo, almeno in fase minima, rischia di fare brutta figura, perché è chiaro che se uno non ha una responsabilità in questo senso o non se la assume, nessuna norma che in qualche maniera cerchi di bilanciare interessi diversi può trovare applicazione. Mi riferisco per esempio all'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Si fa brutta figura a dire che tale articolo può creare un bilanciamento tra le esigenze dell'oralità e una situazione di fatto che è quella che è, e che è stata adesso ricordata. Si fa migliore figura nel dire che l'oralità va sempre e comunque rispettata, e che va sempre ricostruita la prova.
  Per me va bene, però la conseguenza deve essere chiara, se non si interviene contestualmente sulle cause indicate dal Presidente Cassano, sull'impossibilità di gestire in moltissimi uffici giudiziari la concreta situazione di fatto. La durata del processo in sé, la durata della fase procedimentale, determina l'alta probabilità del mutamento del collegio. È un cane che si morde la coda. A me che vivo tutti i giorni questi problemi sembrano cose ovvie. Se io devo fissare un'udienza dopo sei mesi per poter assumere la seconda prova, perché ho tutte le altre udienze occupate, avrò una buona probabilità dopo sei mesi di non essere lì per qualche ragione. Le scelte vanno fatte tenendo conto di questa situazione. Prendiamone atto. Però dopo non scarichiamo la responsabilità di questo sui magistrati che gestiscono i processi. Sono scelte politiche, ma di cui deve essere chiara la responsabilità. E lo stesso vale per altre questioni.
  Vediamo un tema che si collega a questo, che è quello relativo alla questione dell'udienza filtro. È molto interessante. Il tentativo dell'udienza filtro è quello di sopperire alla mancanza del giudice per l'udienza preliminare nei processi a citazione diretta e di consentire l'immediato proscioglimento di coloro che, per errore del pubblico ministero, per le ragioni che qui sono state dette mille volte, ha esercitato l'azione penale senza il controllo del giudice. È chiaro che se si separa la funzione del giudice che fa il filtro dal giudice che poi deciderà il processo, si determina la situazione – soprattutto nei tribunali medio-piccoli – del moltiplicarsi del numero di giudici che sono necessari per trattare il giudizio monocratico. Noi vi abbiamo già detto che in molte sedi non si riescono a trattare i monocratici perché non c'è un numero sufficiente di giudici e di aule corrispondente al numero di procedimenti. Se poi addirittura per ogni processo dobbiamo avere due giudici, è chiaro che ci sarà una moltiplicazione. Quindi non avremo 30.000, ma 60.000 procedimenti che non si riusciranno a trattare, a meno che non si ritenga che la possibilità del filtro, che va in favore dell'imputato, possa essere fatto dallo stesso giudice. Esiste davvero un'incompatibilità costituzionale da questo punto di vista? Io non credo, perché il tema dell'ingenuità non è un tema garantito costituzionalmente, non incide sulla terzietà al punto tale, a mio parere, da violare – e questo l'abbiamo scritto nel nostro appunto – i principi dell'articolo 111 della Costituzione. Se l'udienza filtro deve esserci, deve avvenire ad opera dello stesso giudice. Certo ci sarà la prevedibilità di una condanna, ma non la necessità di una condanna, perché il giudice farà un primo esame valutativo. La conclusione è chiara. A mio parere la prima ipotesi non è praticabile, perché vuol dire moltiplicare il numero dei giudici per via dell'incompatibilità, e noi non siamo in grado di garantirlo. Se si vuole seguire la strada dell'udienza filtro, bisogna valutare con attenzione se vi è un profilo di incostituzionalità, derivante dal fatto che lo stesso giudice faccia un primo filtro immediato di insussistenza degli elementi che possano portare alla necessità di formare la prova orale del dibattimento, con tutto il costo che questo comporta. È a favore dell'imputato, perché non può portare ad una conclusione negativa, può portare soltanto a un immediato proscioglimento. Pag. 19
  Quanto all'obbligatorietà dell'azione, la questione si collega anche alla regola di giudizio. Anche qui, a mio parere, lo sforzo che viene fatto dal disegno di legge è giusto, io lo comprendo fino in fondo. È lo sforzo sia di spingere il giudice dell'udienza preliminare ad esercitare con più coraggio il suo ruolo – e io lo condivido pienamente – sia di costringere il pubblico ministero a un esercizio dell'azione non soltanto in maniera più consapevole, ma anche secondo criteri più rispondenti alle indicazioni che già esistono e che si ricavano non soltanto dall'obbligo della contestazione di un fatto che costituisce reato in tutti i suoi elementi oggettivi e costitutivi, ma anche da tutte le norme che prevedono la correlazione della sentenza al fatto. Adesso non entro nel merito, ma da tutto questo deriva che la contestazione è il cuore del processo e deve essere assolutamente precisa sia in tutti i suoi elementi di fatto, sia in quegli elementi contestativi che hanno riflessi in diritto. Ma questo è già scritto. A mio parere è giusto lo sforzo di indurre ancora di più pubblico ministero e giudice a fare quello che già sarebbe previsto. Io spero che questo possa avere qualche effetto, non ne sono sicuro per le ragioni che ci siamo detti.
  Regole di priorità, articolo 112 della Costituzione e obbligatorietà dell'azione penale. Io non credo che uno debba fare le battaglie nominalistiche. Basta intenderci su cos'è l'obbligatorietà dell'azione penale. Il principio di obbligatorietà è soltanto un principio di distribuzione della responsabilità, non è altro che questo. È chi decide sul non esercizio dell'azione. La discrezionalità non è arbitrio, la discrezionalità vuol dire che si decide secondo altri criteri a cui corrispondono altri decisori. Se si sceglie la discrezionalità nell'esercizio dell'azione, chi decide sul non esercizio non è il giudice, è qualcun altro. Potrebbe essere il procuratore generale, il Ministro della giustizia, ma non è il giudice. L'elemento discretivo è che nell'obbligatorietà dell'azione penale il controllo sul non esercizio viene effettuato secondo criteri legali, predeterminati da parte di un giudice. Questo vuol dire che non è necessario che si proceda per tutti i reati, non è questo il significato di obbligatorietà dell'azione. Inoltre non vuol dire che non sia possibile prevedere casi in cui non si esercita l'azione penale. Sono già previsti, si tratta di tutti i casi di minore rilevanza del fatto. Di per sé la previsione di criteri di priorità non mi scandalizza, e nemmeno il fatto che ci sia un controllo del Consiglio superiore della magistratura. Quello che mi preoccupa – come cercavo di dire prima – è che questo criterio di priorità diventi un criterio di fatto per il non esercizio, perché a quel punto non c'è più il controllo del giudice sul non esercizio. E c'è una violazione di quel principio di fatto per mancanza del controllo del giudice. Quando io ho 30.000 procedimenti che dovrei mandare al monocratico con citazione diretta e il giudice non è in grado di riceverli, io aspetto quattro anni che si prescriva e poi lo mando al giudice per le indagini preliminari perché ne dichiari la prescrizione: quello non è più il controllo del giudice sul non esercizio dell'azione. Il controllo del giudice è soltanto sul fatto già prescritto. Non può diventare il meccanismo ordinario. Va bene in via eccezionale per la situazione drammatica che abbiamo, ma quello a cui noi dobbiamo puntare è che in realtà il giudice sia in grado di intervenire su questo. Ritorno a quello che dicevo all'inizio, con riguardo alla prescrizione. Anche in questo caso ha perfettamente ragione il Presidente Cassano. Ormai i reati di una certa gravità non si prescrivono più; si prescrivono tanti altri reati, tutti quelli che interessano di più ai cittadini e di cui si è parlato prima. Come si è determinata questa situazione? Noi lo dobbiamo capire per evitare che si possa riproporre in futuro. Si è creato un circolo vizioso tra l'aspettativa della prescrizione o comunque della durata talmente lunga del processo da non avere efficacia effettivamente deterrente e il mancato funzionamento dei riti differenziati. Noi avevamo immaginato il processo accusatorio, con il 90 per cento e oltre dei casi – come Pag. 20avviene in altri Paesi – definiti con i riti differenziati. Invece avviene il contrario. Il 90 per cento di processi con il dibattimento orale non si possono fare. Non c'è niente da fare, non si possono svolgere, a meno che non si reclutino non il doppio, ma il triplo dei magistrati e il quadruplo, anzi il quintuplo del personale amministrativo. Perché il rapporto è anche squilibrato: bisogna mettere i giudici e i pubblici ministeri in condizioni di lavorare, e lavorano solo se c'è un'assistenza adeguata che è rappresentata non da mezzo assistente giudiziario, ma da un'intera struttura che funziona. Ma questo è un altro discorso. Lo ripeto, dovete voi del Parlamento – non devo io – trovare il bilanciamento tra questi aspetti. Non dovete scaricare il problema su di me, pubblico ministero o giudice come invece avviene adesso. E avviene per senso di responsabilità, perché altrimenti si direbbe: «Ma a noi che importa? Noi seguiamo l'ordine, mandiamo 30-40.000 processi in tribunale. Che poi li debbano fissare nel 2030 a noi non interessa, abbiamo fatto il nostro lavoro». Non può più essere così.
  Passiamo alla disciplina dell'udienza e alla cartolarità in appello.

  FRANCO VAZIO. Scusi, Presidente. Quindi? Io capisco l'analisi. E quindi?

  GIOVANNI SALVI, Procuratore generale della Corte di Cassazione. Io ho chiarito il «quindi», l'ho anche scritto. Si può ricorrere per esempio alla previsione dell'udienza filtro, per uno dei casi citati prima, con lo stesso giudice. Si può per esempio mantenere l'articolo 190-bis del codice di procedura penale, così come è previsto nel disegno di legge. Alcune indicazioni mi sembra di averle date. Le ripeto, non tocca a me fare questo. E credo sia sbagliato porre a me la domanda. Io devo porre il problema.
  L'onorevole Vazio ha detto una cosa che mi convince molto, è molto giusta. Forse ne ha parlato l'onorevole Vitiello, non riesco a ritrovare l'appunto. Mi riferisco alla questione dell'udienza cartolare, nella quale però sia possibile ricorrere al giurisdizionale. Mi sembra giustissimo, ed è anche molto importante che si possa concentrare l'oralità dove è richiesta. A mio parere ciò può essere previsto, se si accetta il principio della disciplina dell'udienza da parte del giudice, vale a dire dell'oralità governata. Questo vuol dire che in un processo di meri profili tecnici giuridici, in cui sorgano problemi da approfondire, come avviene in molti altri ordinamenti, il giudice rivolge domande alle parti, quali per esempio: «Voi avete posto questo problema, come ritenete che si debba risolvere? Questo problema nel vostro ricorso non è chiaro», disciplinando l'udienza, anche concentrandola, senza che questo implichi un'anticipazione di giudizio. Ciò vuol dire semplicemente interloquire con la parte per chiarire i termini della questione da decidere.
  L'ultima questione su cui volevo intervenire è quella relativa a misure cautelari reali e misure di prevenzione. È vero, è assolutamente necessario, a mio parere; ma mi sembra che la questione non sia affrontata nel disegno di legge di cui stiamo parlando. Credo che l'intervento sia necessario, perché effettivamente le misure di prevenzione – credo sia un discorso diverso per le misure cautelari reali e le misure di sicurezza della confisca – corrono il rischio di svolgere una funzione di supplenza. Esse hanno un'importantissima funzione se riescono ad essere ricondotte nell'alveo dell'area che non è quella della insufficienza di prove per la condanna nel processo penale, ma è quella della individuazione di un'effettiva pericolosità che abbia – come la Corte di Cassazione ha ormai chiarito in maniera molto netta, anche sulla base della giurisprudenza europea – una sua piena prova per ciò che concerne i fatti che integrano la pericolosità sociale. Anche se recentemente con il codice delle misure antimafia si è fatto un intervento molto chiaro, probabilmente c'è ancora bisogno di tempo per maturare quelle riforme e per evitare, sulla base di tale maturazione, di intervenire con troppa frequenza Pag. 21su una materia che ha bisogno di sedimentarsi, rilevato peraltro – ha ragione la dottoressa Cassano – che il sistema delle pene è già rivisto. In realtà a fianco della pena detentiva e della pena pecuniaria, esiste già una vastissima area di misure alternative alla detenzione. Ci sono tuttavia problemi applicativi. Faccio qui un esempio, e con questo concludo. In questo momento ci sono circa 3.000 detenuti che non possono essere posti a misure alternative alla detenzione, pur avendone in astratto titolo, perché non hanno un domicilio. Sono persone senza fissa dimora, persone che non possono tornare in famiglia perché lì hanno commesso reati o perché le famiglie non le vogliono. Si tratta di immigrati che non hanno permesso di soggiorno, né un luogo dove possano andare. Sono persone che in questo momento affollano inutilmente le carceri, e che creano un problema in periodo di Covid. Se si riuscisse, con un intervento normativo, a far sì che il sistema degli enti locali potesse mettere a disposizione luoghi dove fosse possibile – in maniera non detentiva, senza obblighi di custodia da parte di chi mette a disposizione le strutture –, noi avremmo la possibilità di rendere effettive anche per questi soggetti marginali, per questi ultimi, le misure alternative che già in astratto sarebbero previste.

  CATELLO VITIELLO. Presidente, mi concede trenta secondi? Il confronto è stimolante.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Vitiello, le do la parola nonostante l'ora.

  CATELLO VITIELLO. Lo so, mi rendo conto. Però vorrei intervenire, un po' per l'interesse del confronto, un po' per la passione per questa materia.

  PRESIDENTE. Ci mancherebbe. Credo che i nostri ospiti possano pazientare qualche altro minuto.

  CATELLO VITIELLO. Vorrei confrontarmi con il Procuratore generale. Secondo me, dai confronti e dagli scontri derivano cose che possono essere positive. La prima questione riguarda l'articolo 34 del codice di procedura penale. Mi consenta, in maniera molto sommessa, di dirle che forse è l'unico articolo del codice di procedura penale che ha più note che commi, e quelle note fanno riferimento alla Consulta. È improponibile l'idea che non ci sia una incompatibilità, secondo me; anche se si prevedesse, per assurdo, in maniera specifica, certamente si andrebbe a pungolare la Consulta che direbbe inevitabilmente che il giudice si è già espresso. Secondo me su questo aspetto c'è poco da fare.
  Quanto all'articolo 190-bis del codice di procedura penale, Procuratore, lei guarda tutto dal punto di vista patologico. E io lo capisco. Ciò è anche dovuto al fatto che la sua esperienza e le sue funzioni la portano a vederlo in quel modo. Io parto dallo studio del processo penale, neanche da avvocato. A me piace l'idea che il processo sia accusatorio, e per renderlo accusatorio inevitabilmente l'oralità non può essere deprezzata, non può essere mortificata. Deve essere un'eccezione e ce l'abbiamo, è l'articolo 111, quinto comma, della Costituzione. Non ce n'è un'altra. L'articolo 190-bis del codice di procedura penale risponde ad un'eccezione che deriva da un allarme sociale elevatissimo. Se invece rinviamo tutto all'articolo 190-bis o comunque consideriamo tutto quale doppio binario, come per la sentenza Bajrami, secondo me decretiamo il fallimento il processo penale. Torniamo indietro, torniamo al dibattimento cartolare, dove tutti venivano a confermare quello che avevano già dichiarato. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Bene, ringraziamo l'onorevole Vitiello per queste sue considerazioni finali, ma principalmente i nostri ospiti che ringrazio doppiamente, sia per i contributi di altissimo livello che ci hanno concesso, sia per aver pazientato fino a quest'ora ed essere stati disposti a venire in un'ora non usuale. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata da Giovanni Salvi, Pag. 22Procuratore generale della Corte di Cassazione. Mi auguro che i nostri ospiti possano tornare presto per dare altri contributi alla Commissione; come sanno, affronteremo, tra le altre, anche la questione del Consiglio superiore della Magistratura. Auspico che la Commissione possa sfruttare le loro cognizioni e competenze. Ringrazio molto gli auditi e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 21.30.

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