XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Giovedì 28 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALE C. 1585 COST. APPROVATA DAL SENATO, E C. 1172 COST. D'UVA, RECANTI «MODIFICHE AGLI ARTICOLI 56, 57 E 59 DELLA COSTITUZIONE IN MATERIA DI RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI» E DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1616, APPROVATA DAL SENATO, RECANTE «DISPOSIZIONI PER ASSICURARE L'APPLICABILITÀ DELLE LEGGI ELETTORALI INDIPENDENTEMENTE DAL NUMERO DEI PARLAMENTARI»

Audizione del professor Daniele Porena, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Perugia, e del dottor Gabriele Natalizia, Ricercatore di scienza politica presso l'Università di Roma «La Sapienza».
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Porena Daniele , Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Perugia ... 3 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7 
Natalizia Gabriele , Ricercatore di scienza politica presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 7 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 9 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 9 
Magi Riccardo (Misto-+E-CD)  ... 9 
Prisco Emanuele (FDI)  ... 10 
Ungaro Massimo (PD)  ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 
Ungaro Massimo (PD)  ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 
Porena Daniele , Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Perugia ... 10 
Natalizia Gabriele , Ricercatore di scienza politica presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 12 

Audizione della professoressa Anna Maria Poggi, Professoressa di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Torino:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 12 
Poggi Anna Maria , Professoressa di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Torino ... 12 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 14 
Magi Riccardo (Misto-+E-CD)  ... 14 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 14 
Poggi Anna Maria , Professoressa di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Torino ... 14 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 15 

Allegato 1: Memoria presentata dal professor Daniele Porena ... 16 

Allegato 2: Memoria presentata dal dottor Gabriele Natalizia ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Daniele Porena, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Perugia, e del dottor Gabriele Natalizia, Ricercatore di scienza politica presso l'Università di Roma «La Sapienza».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione del professor Daniele Porena, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Perugia, e del dottor Gabriele Natalizia, Ricercatore di scienza politica presso l'Università di Roma La Sapienza.
  Ringrazio il professor Porena e il dottor Natalizia per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo loro di contenere l'intervento in circa dieci minuti, in modo da consentire ai commissari di porre eventuali domande.
  Do la parola al professor Porena per lo svolgimento della sua relazione.

  DANIELE PORENA, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Perugia. La ringrazio, presidente, e ringrazio tutta la Commissione per l'invito che mi è stato rivolto a partecipare all'audizione di quest'oggi.
  La proposta di legge costituzionale C. 1585 reca modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, mentre la proposta di legge C. 1616 introduce disposizioni per assicurare l'applicabilità della legislazione elettorale indipendentemente dal numero dei parlamentari. Io mi dedicherò prevalentemente alla proposta di legge costituzionale, riservando solo alcuni cenni alla proposta di legge C. 1616 e soltanto nei limiti in cui in concreto il tempo me lo consenta.
  Sul piano strettamente testuale non mi sembra in effetti possibile muovere rilievi di ordine critico alla proposta di legge costituzionale. Infatti, c'è un contenuto molto asciutto e puntuale dei quattro articoli che la compongono, tale per cui mi pare difficile svolgere delle osservazioni di tecnica normativa. Sicché, ogni riflessione, in realtà, non può che essere rivolta per lo più alla ratio che sarebbe alla base della previsione di un numero più o meno ampio di rappresentanti nell'ambito delle assemblee legislative, nel quadro di un disegno costituzionale.
  Chiarisco il mio pensiero su questo punto da subito. Io non credo che sul piano dei rapporti tra le istituzioni politiche la questione del numero dei rappresentanti possa essere derubricata a fattore meramente neutro o comunque irrilevante. Infatti, a mio parere, in generale una composizione numericamente ampia delle assemblee legislative Pag. 4 tende a favorire un rapporto più diretto e più efficace tra il rappresentante e il rappresentato. In altri termini, quanto più ridotto è il numero dei rappresentanti parlamentari, tanto meno diretto e continuativo finisce per essere il rapporto tra questi ultimi e gli elettori.
  Credo, però, che l'ipotesi di una riduzione del numero dei parlamentari imponga anche ulteriori considerazioni. In particolare, la proposta di cui si discute sembra sia idonea a produrre effetti significativi, non soltanto nella fase di esercizio del mandato parlamentare, ma anche nella delicata fase che precede l'esercizio del mandato parlamentare, ovverosia la fase elettorale.
  È del tutto evidente che, indipendentemente dal sistema elettorale utilizzato, la riduzione del numero dei seggi è destinata a riverberarsi sull'estensione dei collegi e delle circoscrizioni elettorali, fino a includere un numero di elettori pari al nuovo rapporto tra rappresentanti e popolazione. Infatti, in base alle proiezioni che sono già disponibili, i nuovi collegi uninominali della Camera arriverebbero a comprendere in media 400.000 cittadini a fronte dei 250.000 attuali, mentre per l'elezione del Senato si passerebbe dalla popolazione media di 500.000 cittadini fino a oltre 800.000 cittadini. Addirittura, in casi non isolati, si arriverebbe a oltre 1,2 milioni di cittadini.
  A me sembra che questa constatazione sia foriera di due possibili conseguenze. La prima ipotesi è che questa circostanza produca effetti non trascurabili sia sul piano dei meccanismi di comunicazione impiegati dai candidati nel corso delle rispettive campagne elettorali sia sul piano del necessario approvvigionamento, da parte dei candidati medesimi, delle risorse economiche sufficienti a far fronte alla necessità di impiegare strumenti di comunicazione massiva resi indispensabili dalle circostanze.
  Nell'ipotesi prospettata mi sembra possa scorgersi il rischio di assistere all'irruzione nella fase elettorale, con forme ancora più pervasive, penetranti e condizionanti di quelle già note, di gruppi, corporazioni e centri di interesse economico capaci in qualche modo di selezionare il candidato e di favorire un candidato piuttosto che un altro.
  La seconda ipotesi sul piano delle verosimili conseguenze è in parte alternativa alla prima. In questo secondo caso la tendenza delle campagne elettorali potrebbe essere quella di favorire fenomeni di sradicamento del candidato dalla circoscrizione elettorale, assecondando in altri termini le esigenze di un voto sempre più di opinione, che, come tale e come è noto, tende a essere più distante dalle istanze rappresentate dai territori e più marcatamente condizionato dalle scelte operate dai vertici di ciascuna formazione politica.
  In questa seconda ipotesi la riduzione del numero dei parlamentari finirebbe, quindi, per determinare conseguenze rilevanti anche sul piano della stessa organizzazione dei partiti. In particolare, l'impressione che ne traggo è che ne possa uscire favorito un fenomeno di ulteriore verticalizzazione del sistema politico o, in altre parole, un rafforzamento delle leadership politiche, a scapito della stessa identificabilità da parte dell'elettore di quel rappresentante che egli ha contribuito a eleggere.
  In entrambe le ipotesi prospettate la compressione della rappresentanza parlamentare rischierebbe di semplificare eccessivamente, a mio parere, i meccanismi del confronto, dell'elaborazione e della successiva comunicazione della proposta politica, fino a comprimerne e impoverirne oltre misura i contenuti.
  A quanto osservato aggiungo un ulteriore rilievo. La riduzione della rappresentanza, in modo tendenzialmente indipendente dalla formula elettorale utilizzata, comporterebbe verosimili forme di compressione in danno delle formazioni politiche minori. Si introdurrebbe, di fatto, una soglia di sbarramento implicita per alcuni aspetti, ipoteticamente fino alla perdita della stessa rappresentanza parlamentare per le formazioni politiche minori.
  Io credo che questa sia una circostanza meritevole di approfondimento. Come tutti sappiamo, la nostra Carta costituzionale non opera alcuna preferenza in favore di questa o quella legge elettorale. Tuttavia, la rappresentatività dell'assemblea parlamentare Pag. 5 è un principio coessenziale al sistema; per alcuni aspetti è implicito, cioè è una logica precondizione di funzionamento del sistema stesso, e, per altri aspetti, addirittura espresso, se si considera quanto disposto dall'articolo 49 della Costituzione, ai sensi del quale tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale.
  Un'eccessiva riduzione dell'ampiezza delle assemblee rappresentative, con l'impossibilità evidente di dotare di tutela costituzionale qualsiasi tipo di minoranza, rischia di manifestarsi in danno di un pur essenziale diritto di tribuna, che nella tradizione parlamentare preserva quantomeno l'emersione di interessi meritevoli di apprezzamento e di valutazione, che, viceversa, rischiano di rimanere esclusi dal processo normogenetico.
  Alcuni dei rischi ai quali ho fatto cenno, con necessaria brevità, potrebbero essere corretti tramite adeguati interventi di bilanciamento e riposizionamento di istituti, attribuzioni e rapporti all'interno della complessiva architettura costituzionale.
  Non è un caso, a questo proposito, che le varie proposte di riduzione del numero dei parlamentari che si sono susseguite nel corso del tempo fossero per lo più contestualizzate nell'ambito di ipotesi di intervento tendenti a incidere, tra l'altro, sul sistema del bicameralismo paritario, sull'elezione del Presidente della Repubblica, oppure, in termini organici, sul rapporto tra Stato e regioni.
  Difatti, è nell'ottica di più ampi disegni di riforma istituzionale che la riduzione del numero dei parlamentari sembra trovare una collocazione più convincente, ma non come punto di partenza, come perno o come cardine del sistema, ma, semmai, come un adeguato corredo di complemento. Isolatamente considerata, mi sembra che, invece, questa riduzione possa non essere così utile.
  Tra le altre cose, gli intendimenti dichiarati alla base di questa proposta di legge costituzionale, e non solo di questa, muovevano dalla ragionevole e, per quanto mi riguarda, condivisa opportunità di una portata puntuale delle revisioni da apportare alla Carta. Limitati interventi consentono al cittadino, laddove chiamato al referendum costituzionale, di esprimere il proprio voto senza quelle forme di compressione che inevitabilmente deriverebbero dall'inclusione in uno stesso quesito di un'eccessiva pluralità di norme.
  Mi sembra, però, che questa proposta abbia perso di vista la necessità che un intervento di questo genere richiede di essere preceduto perlomeno da una revisione, anch'essa da lungo tempo attesa, quantomeno del sistema del bicameralismo paritario.
  In altri termini, la mera riduzione dei parlamentari, operata a prescindere da una più diffusa revisione dei meccanismi di produzione legislativa o a prescindere quantomeno da una palesata strategia di più ampia revisione costituzionale, ancorché opportunamente distribuita e graduata per importanza lungo più occasioni di intervento, rischia di produrre conseguenze che di per sé ritengo non siano del tutto appaganti.
  Un'altra questione che è stata un po’ oggetto del dibattito, e che forse è una delle ragioni che hanno introdotto il dibattito stesso, è quella dei risparmi di spesa. Mi sembra di capire che i risparmi di spesa che deriverebbero dall'approvazione della riforma di cui si discute siano ipotizzabili nell'ordine degli 80-100 milioni di euro l'anno, che è una cifra ragguardevole, ma che va messa a confronto con un bilancio dello Stato che, per voci di spesa, registra ogni anno oltre 600.000 milioni di euro. Mi fermo qui. Semplicemente valuterà il Parlamento se questi risparmi di spesa possano considerarsi apprezzabili rispetto alle implicazioni istituzionali che possono derivare.
  Comunque, credo giovi constatare che i risparmi di spesa che ne deriverebbero, pur con qualche approssimazione, dovuta anche al fatto che non sono un economista né un matematico, mi sembra si aggirino in concreto intorno allo 0,01 per cento.
  Quanto poi alla questione, in astratto considerata, relativa alla definizione del numero dei parlamentari, il criterio che mi Pag. 6sembra più persuasivo è quello rappresentato dal rapporto tra rappresentanti e popolazione rappresentata. A questo proposito, l'unico elemento al quale poter attingere credo sia l'esperienza comparatistica, che nel quadro di sistemi istituzionali ormai largamente collaudati consente di reperire indicazioni utili a ogni opportuna valutazione.
  Sotto questo profilo, riterrei di sottolineare che l'attuale ampiezza delle Camere di cui si compone il Parlamento italiano appare tutt'altro che sovrabbondante rispetto a quella prevista negli altri Stati membri dell'Unione europea.
  Noi abbiamo adesso per la Camera dei deputati un rapporto di un deputato ogni 96.000 cittadini. In base a questo rapporto, la Camera dei deputati italiana, in realtà, ha una dimensione tutto sommato contenuta rispetto alle altre Camere basse di altri Stati dell'Unione europea. In particolare, sono 23 le Camere basse su 28 Stati presi in considerazione che, per ampiezza, in rapporto alla popolazione sono superiori a quella italiana, che, viceversa, finirebbe per essere di gran lunga la meno numerosa, laddove venisse approvata questa riforma. Il confronto è meno agevole per il Senato, perché sono tredici nell'Unione europea i Parlamenti bicamerali, con i quali è in astratto possibile un confronto, un paragone reso peraltro ancor più aggravato dalla diversa metodologia di composizione delle diverse Camere alte. Tuttavia, è un ragionamento in qualche modo non così distante.
  Arrivo velocemente alle conclusioni. Il dibattito, sempre in chiave comparatistica, mi sembra si sia soffermato anche sulle esperienze extraeuropee. Sovente è stato evocato un paragone con la struttura parlamentare degli Stati uniti d'America, in particolar modo. Io terrei a dire che trovo questo paragone del tutto incongruo e del tutto inappropriato. Anche a prescindere dall'ovvia constatazione circa la diversa struttura costituzionale statunitense, dove il Governo opera al di fuori di un meccanismo fiduciario con il Parlamento e dove quest'ultimo viene rinnovato ogni due anni, quello che non mi sembra persuasivo di questo paragone, sul quale vorrei insistere, è che la pur consistente differenza nel numero dei parlamentari si colloca nel quadro di un'ossatura costituzionale d'impronta autenticamente federalista.
  Nel Congresso statunitense ci sono 100 senatori e 435 rappresentanti, ma questa fisionomia parlamentare trova alloggio all'interno di un edificio costituzionale nell'ambito del quale la ripartizione delle competenze tra Stato federale e Stati federati risulta assai più favorevole verso questi ultimi rispetto a quanto il nostro ordinamento non preveda in favore delle regioni. Basta fare un solo e noto esempio: la materia penale, che è in larghissima prevalenza di competenza degli Stati membri.
  Peraltro, a queste considerazioni circa l'incongruenza del paragone si aggiunge il fatto che i singoli Stati membri (50) sono dotati di propri Parlamenti, spesso, da quel che mi risulta, bicamerali, con un ragguardevole numero di membri. Nello Stato di New York sono 150 deputati e 63 senatori, nel Wyoming, che è molto piccolo e ha poco più di 500.000 elettori, abbiamo un Parlamento bicamerale con numeri ragguardevoli. Insomma, è un paragone che non regge, perché lì la rappresentanza autenticamente parlamentare di cui godono i cittadini è formata in realtà da diverse migliaia di parlamentari.
  Allo stesso modo, trovo siano non persuasivi anche altri esempi fatti. Si è parlato dell'esperienza dello Stato indiano, che è Stato federale, con 28 Stati, con propri Parlamenti, con propri Governi, ma è chiaro che è una situazione completamente diversa dalla nostra, quindi non è un paragone utile al nostro discorso.
  Arrivo alle conclusioni, perché forse ho abusato del tempo a mia disposizione. La mia impressione, onorevoli, è quindi che la proposta in discussione apparirebbe più persuasiva laddove fosse contestualizzata nell'ambito di un piano di riforme, che (perché no?), tenendo anche conto dell'esperienza comparatistica, si facesse però carico di intervenire in primo luogo su ben più rilevanti meccanismi istituzionali. Ribadisco che il primo pensiero corre alla struttura bicamerale del Parlamento, al bicameralismo Pag. 7 paritario, che da qualche tempo a questa parte, per una sorta di pudore, definiamo in questo modo, utilizzando un'espressione forse nata in ambito accademico, visto che è difficile in effetti rintracciare quel riflesso di perfezione nell'attuale struttura parlamentare.
  Vi ringrazio per la pazienza.

  PRESIDENTE. Grazie a lei per il suo contributo. Do ora la parola al dottor Natalizia.

  GABRIELE NATALIZIA, Ricercatore di scienza politica presso l'Università di Roma «La Sapienza». Egregio presidente, onorevoli deputati, desidero innanzitutto ringraziarvi per l'invito a intervenire ai lavori della vostra Commissione. D'altronde la possibilità di esprimere un parere sulla proposta di riforma costituzionale rappresenta un onore, ancor più se su un tema così rilevante come quello della riduzione del numero dei parlamentari.
  Il mio contributo non vuole rappresentare né una critica, né un sostegno alla proposta di modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, bensì fornire alcuni spunti di riflessione per i lavori della vostra Commissione. La relazione che segue, quindi, cercherà di mettere in luce gli effetti attesi e le possibili criticità, derivanti dall'attuazione della riforma in oggetto.
  Come è noto, nella versione trasmessa dal Senato della Repubblica, il testo prevede una significativa riduzione del numero dei parlamentari, che richiederebbe anche un adeguamento della legge elettorale attualmente in vigore. Una riflessione preliminare da effettuare è quella sul rapporto tra cittadini e parlamentari in chiave comparata con gli altri Stati europei, così come ha fatto il collega che mi ha preceduto.
  Ragionando in termini assoluti, ossia guardando soltanto al numero complessivo dei parlamentari dei Paesi UE, se la riforma fosse approvata, l'Italia passerebbe dall'essere il secondo Paese per numero di parlamentari dopo il Regno Unito a occupare la sesta posizione in questa speciale classifica, dopo Francia, Germania, Spagna e Polonia. Tuttavia, per cogliere appieno i possibili effetti della riforma, appare molto più opportuno ragionare in termini relativi.
  Come ben noto al dossier predisposto dagli uffici, questo significa che, se la proposta di riforma si trasformasse in legge, ogni deputato rappresenterebbe circa 151.000 cittadini e ogni senatore circa 300.000.
  Ai fini di una comparazione il più rigorosa possibile, tuttavia, si deve rivolgere l'attenzione alle Camere basse, per l'omogeneità tra le loro modalità elettive e quella prevista per la Camera dei deputati. Si ricorda, infatti, che, diversamente da quanto accade per le Camere alte, queste sono sempre caratterizzate dall'elezione diretta dei propri membri.
  In tale prospettiva, si ritiene opportuno confrontare il dato italiano anzitutto con quello di quelli che potremmo definire i grandi Stati europei per ampiezza del territorio, numero della popolazione e anche per il peso geopolitico all'interno dell'Unione. Come si evince dai dati, se la riforma fosse approvata, l'Italia diverrebbe, tra i grandi Stati europei, quello con la Camera bassa meno rappresentativa.
  Il nostro Paese inoltre avrebbe il più alto rapporto tra deputati e cittadini dell'intera Unione per quanto riguarda le Camere basse, un dato che appare tanto più significativo se comparato con quello dei Paesi dotati di un Parlamento bicamerale, che, come dicevamo prima, sono 13. Ad ogni modo, il rapporto tra cittadini e deputati costituisce un dato di per sé neutro, come il caso degli Stati Uniti ben illustra. Nella più grande democrazia del mondo, infatti, questo ammonta a 0,1 membri della Camera dei Rappresentanti per ogni 100.000 abitanti. Non bisogna dimenticare che i cittadini americani tuttavia trovano un altro strumento rilevante di rappresentanza nelle Camere basse degli Stati federati.
  Per quanto riguarda invece gli effetti attesi della diminuzione del numero dei parlamentari, è possibile individuarne principalmente quattro, di cui tre espliciti e uno implicito. Parto da quest'ultimo, che a mio modo di vedere comunque è particolarmente significativo, ossia l'approvazione Pag. 8della proposta in esame potrebbe costituire un fattore di rilancio del processo di riforma della Costituzione italiana, che altrimenti rischia di versare per un tempo indefinito in quella situazione di stallo, in cui è ricaduto dopo il referendum del dicembre 2016.
  Passando agli effetti espliciti della riforma, quello su cui si è posta maggiore enfasi nel dibattito pubblico è la riduzione dei costi della politica. Questo dato sembra evidente, tuttavia, per comprenderne la reale portata soprattutto in termini materiali, l'effetto deve essere messo in relazione e al bilancio generale dello Stato e ai possibili costi immateriali della riforma.
  Il secondo risultato atteso della riforma è quello della maggiore stabilità di Governo, di cui sempre si sente parlare, come conseguenza della minore frammentazione partitica, attesa dalla riduzione del numero dei parlamentari.
  Il conseguimento di tale risultato tuttavia non appare scontato, in quanto all'origine dell'instabilità politica non è tanto il numero dei seggi del Parlamento, quanto una combinazione di fattori eterogenei come la cultura politica nazionale, il sistema elettorale vigente, la possibilità di formazione di alleanze in Parlamento.
  Un terzo risultato, sempre di ordine esplicito, è costituito dal mutamento del ruolo dei parlamentari che seguirebbe alla loro scelta di autoridursi. Mentre risulta nitido il meccanismo che porta all'incremento del peso politico dei singoli parlamentari sia all'interno delle Camere di appartenenza sia all'interno dei partiti di appartenenza, non lo è altrettanto quello relativo al rapporto tra la loro diminuzione e il loro prestigio.
  Se è verosimile che nel breve termine l'autoriduzione comporterebbe una rilegittimazione del ruolo, che è stato intaccato negli ultimi anni da lunghe e laceranti polemiche, che naturalmente non sto qui a ricordare, nel medio termine non è da escludere che il minor numero dei parlamentari presenti almeno due controindicazioni.
  Da un lato potrebbe indebolire il rapporto di rappresentanza, a causa dell'ampliarsi delle distanze non solo fisiche, ma anche sociali, tra rappresentanti e rappresentati, dall'altro potrebbe alimentare nuovamente tra i cittadini la percezione della carica parlamentare come una carica inaccessibile, nei termini anche di una minor probabilità di poterla ricoprire nel corso di una vita, e pertanto riservata solo a quelli che sono stati chiamati nel dibattito pubblico «i professionisti della politica».
  Agli esiti attesi della presente proposta di riforma fanno da contraltare non solo le osservazioni appena presentate, ma anche una serie di criticità derivanti dall'aumento del rapporto numerico tra cittadini e parlamentari. Queste prenderebbero forma in tre fasi distinte, quella pre-elettorale, quella elettorale e quella post-elettorale.
  Nella fase pre-elettorale potrebbero innanzitutto diminuire le contaminazioni alle liste elettorali da parte di candidati esterni alla politica, come espressione delle realtà locali, del mondo delle professioni e dei movimenti sociali. Più basso il numero dei possibili eletti, infatti, più la distanza tra candidati e territorio è destinata ad aumentare e l'accessibilità agli organi di rappresentanza a restringersi.
  Anche questo dato comunque non costituisce in sé un male, ma da un lato appare in controtendenza rispetto alla diffusa richiesta di una maggiore influenza degli elettori sulla formazione delle liste elettorali, dall'altro rischia di alimentare una nuova disaffezione tra cittadini e quei corpi intermedi, ossia i partiti, che costituiscono la struttura portante della democrazia.
  Nella stessa fase, inoltre, la maggiore ampiezza delle circoscrizioni elettorali potrebbe generare un altro effetto indesiderato: innanzitutto l'aumento dei costi delle spese elettorali per i singoli candidati, che costituisce una soglia implicita per l'accesso alla politica; in secondo luogo un rapporto più sfumato tra elettori e candidati, soprattutto in assenza di una modifica della legge elettorale. I candidati, infatti, avrebbero minori opportunità di raccogliere le istanze degli elettori, condividere con questi la propria visione della cosa pubblica e discutere con essi il programma Pag. 9elettorale. Tale dinamica risulterebbe tanto più enfatizzata nell'ambito dei collegi esteri.
  Nella fase elettorale, invece, la principale criticità va ricercata nella necessità di unire all'interno di un'unica circoscrizione territori estremamente eterogenei, o, al contrario, di dividere territori omogenei per integrarli in circoscrizioni più ampie. Ne potrebbe seguire una sottorappresentanza o un'assenza di rappresentanza di realtà territoriali anche significative, che finirebbero per percepirsi come penalizzate o escluse. Un caso estremo sarebbe quello dei collegi esteri per il Senato, poiché la riforma, allo stato attuale, richiederebbe l'unione di almeno due continenti.
  Infine, nella fase post-elettorale sono individuabili almeno tre effetti, che operano a velocità diversa. Il primo, di breve termine, è la maggiore difficoltà per l'eletto, nell'ambito di circoscrizioni più ampie, di tenere in conto le proposte ricevute dagli elettori e al tempo stesso rendere conto agli elettori del proprio operato. Come nelle fasi precedenti, la criticità in questione risulterebbe massimamente esasperata nel caso degli eletti all'estero, rischiando addirittura di svuotare di senso la funzione di rappresentanza.
  Il secondo effetto, di medio termine, è il rischio di tener fuori dal Parlamento partiti e movimenti che, in presenza di determinate condizioni economiche e sociali, potrebbero concorrere a innescare e/o inasprire il conflitto politico. Le richieste di questi attori, viceversa, potrebbero risultare più facilmente moderabili e quindi potrebbero essere riassorbite in un confronto pacifico, se canalizzate all'interno di una cornice istituzionale come il Parlamento.
  Il terzo effetto è invece quello di lungo periodo: come conseguenza della maggiore distanza tra cittadini ed eletti presso le due Camere, il Parlamento potrebbe essere gradualmente percepito come un'istituzione distante dalle esigenze, dalle aspirazioni e dai problemi che emergono di volta in volta dai territori. La sua percezione di simbolo, ma anche di luogo della rappresentanza e della coesione nazionale, si potrebbe dunque affievolire.
  In questa funzione il Parlamento potrebbe essere soppiantato da altri organi di rappresentanza e in particolare dalle regioni, i cui poteri sono aumentati negli anni e che, soddisfacendo più efficacemente la naturale domanda di rappresentanza, alimenterebbero anche la necessità di modifica dell'assetto istituzionale complessivo del Paese.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO CECCANTI. Grazie, Presidente. Mi chiedevo se, a parità di altri fattori, non si ingeneri anche una maggiore difficoltà di avere maggioranze omogenee tra i due rami del Parlamento, perché, ad esempio, un partito del 10 per cento, che alla Camera nella parte proporzionale prende poco più del 10 per cento dei seggi (perché contribuisce anche a prendere i seggi di coloro che non superano la soglia di sbarramento), si ritrova al Senato, dove le circoscrizioni sono regionali e c'è uno sbarramento implicito molto alto, a non prendere seggi in molte regioni.
  La scelta di non introdurre modifiche alla legge elettorale oltre a quelle previste dalla proposta di legge C. 1616 può determinare, con la riduzione del numero degli eletti, sbarramenti di fatto molto elevati al Senato, aumentando la possibilità di maggioranze divaricate.

  RICCARDO MAGI. Al di là dei problemi di rappresentanza, che sono a mio avviso cruciali e che sono stati oggi ben ricostruiti ed esposti, tra gli obiettivi che si pongono i colleghi che hanno proposto questa riforma costituzionale si cita, nella relazione, quello di favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere.
  A me non pare che oggi siamo di fronte a dei problemi attinenti al processo decisionale delle Camere – sotto il profilo della qualità del lavoro, della velocità dell'esame dei provvedimenti o dell'esercizio delle prerogative dei parlamentari – che siano riconducibili al numero dei deputati; piuttosto Pag. 10 a me pare che ci sia il problema, su diversi atti (lo abbiamo vissuto anche in questa legislatura), di garantire tempi adeguati per l'esame. Su questo vorrei conoscere il parere degli auditi. Grazie.

  EMANUELE PRISCO. Brevemente, pongo due questioni. Una è stata appena accennata nella relazione del professor Porena, che faceva riferimento al rapporto tra elettore ed eletto, da considerare anche rispetto al divieto costituzionale di vincolo di mandato. Se è vero che c'è un ampliamento e quindi una maggiore difficoltà a raggiungere l'elettore, è vero anche che c'è una previsione costituzionale di cui bisogna tenere conto.
  La seconda domanda è relativa agli effetti ordinamentali della riduzione dei parlamentari. A livello comparatistico è stato fatto riferimento ad altri Stati, ma in tali casi vi sono funzioni diverse nelle due Camere, perché il bicameralismo perfetto all'italiana è sostanzialmente un unicum presente solo nel nostro ordinamento, e spesso, laddove vi sono rappresentanze parlamentari minori, vi è un altro modello organizzativo, per esempio quello presidenziale. Nel nostro ordinamento la riduzione del numero di parlamentari potrebbe avere degli effetti anche sul peso dei rappresentanti regionali, aspetto emerso in più interventi. Vorrei conoscere il loro giudizio su questo. Grazie.

  MASSIMO UNGARO. Molto brevemente, intanto ringrazio per la relazione il dottor Natalizia e chiedo se sarà disponibile un contributo scritto.

  PRESIDENTE. La memoria scritta inviata dal dottor Natalizia è stata già resa disponibile.

  MASSIMO UNGARO. Sulla base di quello che ha detto, soprattutto in merito alla circoscrizione Estero, e delle problematiche che lei ha sollevato, dall'accesso alle competizioni elettorali facilitato per chi dispone di mezzi maggiori, al fatto che si svilisce il rapporto tra eletti ed elettori, mi chiedo se possano emergere dubbi di costituzionalità per quanto riguarda la riforma, in particolare per come trasformerà la circoscrizione Estero. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  DANIELE PORENA, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Perugia. Mi sembra che l'ultima domanda sia specificamente rivolta al collega, quindi mi limito ai primi tre interventi.
  L'onorevole Ceccanti ha fatto presente il possibile rischio di un'asimmetria in termini di maggioranza tra Camera e Senato, ponendo una domanda, ma dando anche una risposta che personalmente condivido. È chiaro che è un rischio evidente, che può forse essere mediato, temperato dalla legislazione elettorale, però è del tutto evidente che se il collegio rappresentato dal Senato subisce una riduzione di seggi più robusta, anche se proporzionalmente identica, lì è più difficile l'accesso per le minoranze, che invece potrebbero trovare spazio alla Camera e generare quindi delle asimmetrie in termini di composizione.
  A questo peraltro si aggiunge – «intercetto» una parte dell'ultima domanda dell'onorevole Prisco – che la riforma di cui all'articolo 3 della proposta di legge C. 1585, relativa alla questione del numero dei senatori di nomina presidenziale, scritta in maniera assolutamente chiara e condivisibile (mi permetto di dire che nel merito condivido anche la scelta intrapresa, quella di chiarire che sono cinque effettivi), non mi sembra però tener conto del fatto che se il contingente dei senatori elettivi varia in diminuzione, probabilmente una riflessione analoga andrebbe fatta anche per il contingente dei senatori di nomina presidenziale. Altrimenti questi ultimi, evidentemente, eserciterebbero un peso ancora più condizionante di quanto non sia accaduto fino adesso e di quanto l'esperienza, anche recente, ci ha illustrato, creando un ulteriore elemento di possibile asimmetria nella composizione delle maggioranze.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Magi, che ringrazio perché mi dà Pag. 11l'opportunità di affrontare un argomento che ho sviluppato anche nella mia relazione (che consegno alla Presidenza), in effetti una delle ragioni che sono state dichiaratamente collocate alla base di questo intervento è la funzionalità delle Camere: ne dovrebbe emergere un migliore funzionamento delle Camere. Devo dire che, più che un migliore esercizio delle funzioni, mi sembra che la questione si riduca a un'accelerazione dei lavori. È chiaro che, se chi parla passa da 630 a 400 membri, ci sarebbero 400 interventi potenziali anziché 630, ci sarebbero meno emendamenti, ci sarebbe dunque una riduzione dei tempi: è su questo che in realtà si può guadagnare qualcosa.
  Allora mi chiedo: è strettamente indispensabile questo? Non vi sono già adesso degli strumenti parlamentari alternativi, che in luogo del procedimento ordinario consentono comunque di raccogliere magari le ragioni di urgenza, che di tanto in tanto possono emergere, in relazione ad una proposta di legge (procedimento abbreviato e procedimento misto)? In ipotesi, la stessa decretazione d'urgenza, laddove sussistano anche le ragioni di necessità, oltre che di urgenza, non priva il Parlamento delle proprie prerogative, che vengono esercitate in sede di conversione.
  La mia impressione è che il costituente, quando ha realizzato questa struttura parlamentare, lo ha fatto pensando ad una meccanica del processo legislativo ordinario articolata lungo i tempi più distesi consoni all'approfondimento, non lungo quelli accelerati che sovente determinano approssimazioni. Quindi sicuramente ci saranno tempi più spediti, ma non so quanto la cosa sia indispensabile o preferibile.
  D'altro canto, però, bisogna anche considerare un fattore: rimanendo, in ipotesi, immutata l'organizzazione delle Commissioni parlamentari, si può porre un problema di rappresentatività. In particolar modo al Senato ci troveremmo con Commissioni permanenti che in sede deliberante avrebbero un quorum funzionale di cinque senatori o giù di lì, se ho fatto bene il conto, cioè cinque senatori che approvano la legge. Su questo mi permetto di esprimere qualche ulteriore dubbio per quanto concerne la rappresentatività.
  Venendo all'ultima questione, sollevata dall'onorevole Prisco, vale a dire la questione del rapporto tra eletto ed elettore, ringrazio anche l'onorevole Prisco, perché mi consente di chiarire il mio punto di vista e di sgombrare, per quanto sarò in grado di fare, la questione da un equivoco: non è che l'assenza del mandato imperativo esclude la sussistenza di un rapporto politico tra l'eletto e l'elettore; il divieto di mandato imperativo canonizza l'assenza di un rapporto giuridico, cioè di un rapporto giuridicamente canonizzato, tra elettori e partiti, da un lato, ed eletto, dall'altro. In altri termini, l'eletto non è destinatario di istruzioni che è chiamato ad ottemperare né da parte degli elettori, né da parte dei partiti di appartenenza, né può essere revocato da questi ultimi. Si tratta, cioè, di una questione di tipo strettamente giuridico.
  Il rapporto politico però, che è una cosa completamente diversa, non è che si sospende il giorno delle elezioni per essere ripreso dopo cinque anni, al rinnovo delle Camere; è un rapporto continuativo, che non condiziona l'esercizio della funzione parlamentare, ma che rappresenta un'importante forma di partecipazione, capace di orientare il parlamentare, di consentirgli di raccogliere delle esperienze e delle sensibilità.
  Sono quindi due cose diverse, non si può dire che il rapporto (politico) tra eletto ed elettore sia estraneo allo spirito della nostra Costituzione (ci mancherebbe altro).
  Un'ultima questione è quella relativa all'elezione del Presidente della Repubblica. È chiaro che in questo caso cambiano le proporzioni. La circostanza sul piano tecnico non è censurabile, l'importante è esserne avvertiti: il collegio che elegge il Presidente della Repubblica avrà meno parlamentari, mentre i delegati regionali rimangono gli stessi, quindi cambiano le proporzioni, l'importante è esserne ben consapevoli.

  GABRIELE NATALIZIA, Ricercatore di scienza politica presso l'Università di Roma Pag. 12«La Sapienza». Grazie, Presidente, ringrazio gli onorevoli per le osservazioni
  Quanto all'intervento dell'onorevole Ceccanti, riporto il caso della Spagna, in cui vi è un rapporto tra cittadini ed eletti di 0,8 eletti per 100 mila cittadini, mentre in Italia con la riforma andrebbe allo 0,7: in Spagna abbiamo circa dodici partiti presenti in Parlamento, di cui nove hanno almeno nove seggi, e sappiamo che nei tempi più recenti la Spagna non è proprio un esempio di Paese facilmente governabile o caratterizzato da maggioranze stabili.
  Per quanto riguarda invece l'osservazione dell'onorevole Magi, naturalmente sapete meglio di me quali sono le difficoltà e le possibilità dei lavori in Commissione, però reputo che, se la riforma costituzionale andasse in porto, una revisione dei Regolamenti parlamentari per quanto concerne le Commissioni sarebbe a quel punto necessaria.
  Se da un lato è vero che probabilmente con meno parlamentari si decide più facilmente, bisogna anche pensare che però quel numero di parlamentari dovrebbe farsi carico della stessa mole di lavoro che aveva il Parlamento precedente, perciò si determinerebbe un aumento anche da quel punto di vista, più lavoro per tutti può rendere, come conseguenza inattesa, maggiori i tempi del lavoro parlamentare.
  Per quanto riguarda invece la domanda dell'onorevole Ungaro, non sono un costituzionalista, quindi mi tengo lontano da una risposta puntuale, in quanto faccio il politologo. Va comunque detto che probabilmente, nel momento in cui la riforma va ad inficiare il criterio di rappresentanza, probabilmente la Corte costituzionale potrebbe muovere delle osservazioni in merito.
  Quanto all'osservazione dell'onorevole Prisco, concordo con lui sul tema del peso delle rappresentanze regionali, che riportavo anche nella mia relazione, rappresentanze che inevitabilmente finirebbero per assumere un peso, un carico, un'importanza non solo in termini numerici, ma anche politica, maggiore rispetto al periodo pre-riforma, se questa andasse in porto. Grazie.

  PRESIDENTE. Avverto che il professor Porena e il dottor Natalizia hanno messo a disposizione della Commissione delle memorie, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
  Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione della professoressa Anna Maria Poggi, Professoressa di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Torino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D'Uva, recanti «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», e della proposta di legge C. 1616, approvata dal Senato, recante «Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari», l'audizione della professoressa Anna Maria Poggi, Professoressa di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Torino.
  Anche alla professoressa Poggi, ringraziandola, chiedo di contenere il suo intervento in circa dieci minuti. Prego, a lei la parola.

  ANNA MARIA POGGI, Professoressa di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Torino. Buongiorno a tutti. Ho preparato un intervento che sta nei dieci minuti, anche perché ho visto che la mia audizione segue altre audizioni, quindi in qualche misura faccio anche un po’ di richiami a quelle precedenti per evitare di dire cose che probabilmente avete già sentito più volte.
  Ho preparato delle osservazioni che riguardano alcuni aspetti specifici. Il primo aspetto concerne la questione della diminuzione proporzionale dei parlamentari in uguale misura tra Camera e Senato.
  Pur premettendo che è indubbiamente la soluzione più asettica, tuttavia, come probabilmente già avete sentito dire da Pag. 13altri colleghi che sono stati auditi, e mi riferisco in particolare alle audizioni del professor Troilo e del professor Curreri, qualche problema sul Senato, anzi più di un problema, questo tipo di riduzione lo pone, e in particolare quello della rappresentatività dei singoli territori. Possiamo infatti già sapere in anticipo che comporterà dei problemi rispetto alla rappresentatività dei territori, in quanto la diminuzione del numero dei senatori – anche se rimane comunque un numero minimo per ogni regione, che scende da sette a tre – comporta degli squilibri tra i territori dal punto di vista della rappresentatività.
  L'aspetto più rilevante, a mio avviso, riguarda il gap che si verrebbe a creare tra alcune regioni e altre. Per la Basilicata e per l'Umbria, per esempio, ci sarebbe una diminuzione del 60 per cento rispetto ad altre regioni, come il Trentino-Alto Adige, che avrebbe invece un certo vantaggio, perché avendo comunque la garanzia di tre senatori per ciascuna provincia autonoma, si troverebbe ad averne comunque almeno sei, e naturalmente in relazione alla popolazione questo crea indubbi squilibri rispetto ad altre regioni.
  È un aspetto rilevante nella misura in cui rimangono identiche le funzioni del Senato. Se le funzioni del Senato fossero diverse, questo tipo di problema non si porrebbe. A funzioni diverse, si può anche immaginare di slegare l'elezione dalla questione della rappresentatività territoriale.
  Inoltre, l'effetto distorsivo maggiore deriverebbe dall'applicazione al Senato del «Rosatellum», che, com'è noto, è adattato dalla proposta di legge C. 1616: si renderebbe infatti sostanzialmente impossibile, o comunque fortemente problematico, il collegamento tra elettori ed eletti. Il rapporto tra elettori ed eletti, soprattutto al Senato, infatti, diminuirebbe o aumenterebbe – dipende dai punti di vista – in maniera molto sensibile. Al Senato passa da un parlamentare ogni 188 mila abitanti a un parlamentare ogni 302 mila abitanti. Perché questo aspetto è problematico? La sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, non va dimenticato, ha posto la questione, in questi tipi di sistema, del rapporto all'interno dei collegi tra il numero degli abitanti e i parlamentari eletti.
  Gli effetti sui collegi, poi, sempre con riferimento al Senato, sarebbero ugualmente impattanti: dal punto di vista del numero di abitanti i collegi si differenzierebbero moltissimo. Nei collegi plurinominali, poi, aumenterebbe il numero di voti necessari per conseguire un seggio, con aumento presumibile dei costi delle campagne elettorali (ma qui ognuno poi può fare i suoi conti). L'aspetto dal punto di vista costituzionale più problematico, tuttavia, è dato dall'introduzione di una soglia di sbarramento implicita più elevata di quella attuale (che è del 3 per cento). Questo, ovviamente, rileva dal punto di vista della legge elettorale.
  Ponendosi dal punto di vista della proposta, se non si vuole modificare il numero di 200, bisognerebbe modificare le circoscrizioni regionali per il Senato, quindi bisognerebbe modificare l'articolo 57, sicuramente al primo comma, perché fa riferimento alla dimensione regionale, e poi bisognerebbe operare sulle circoscrizioni regionali. In alternativa, si può fare un'altra operazione, che però si allontana dalla proposta di revisione costituzionale in esame, riducendo la portata della diminuzione del numero dei senatori. Se si prevedesse – come ha scritto un collega – un numero di senatori pari a 250, anziché 200, probabilmente quell'effetto distorsivo sarebbe meno rilevante, e lo stesso vale per la Camera. In alternativa, si potrebbe aumentare la percentuale di seggi assegnati nei collegi uninominali e introdurre il voto disgiunto per i due tipi di collegi, così da consentire un effettivo collegamento tra elettori ed eletti nei collegi uninominali. In sostanza, è il numero di 200 che già oggi, facendo delle proporzioni e delle proiezioni, crea tutti questi problemi (ripeto, se le funzioni del Senato rimangono identiche a quelle della Camera).
  Ci sono poi altre due più brevi riflessioni che vorrei fare sulle conseguenze relativamente all'organizzazione interna delle Camere. Tre, al momento, sono i deputati richiesti per essere autorizzati dal Presidente della Camera a costituire una componente Pag. 14 politica del Gruppo Misto. In questo caso, se diminuisse il numero, bisognerebbe ridurre tale soglia a due o forse addirittura a uno, ma uno vuol dire una componente «monocellulare».
  Poi ci sono le conseguenze sui lavori parlamentari, che riguardano soprattutto il Senato. Questa diminuzione dei numeri è, infatti, problematica soprattutto con riguardo al Senato, e in particolare alla distribuzione dei parlamentari tra le Commissioni. Alla Camera, dove non si può far parte di più di una Commissione, il problema non si pone.
  Bisogna infatti tenere conto dell'articolo 82 della Costituzione, per cui le Commissioni devono essere composte in maniera da garantire la rappresentatività politica della Camera. Anche se si diminuisce il numero a 200, l'articolo 82 va rispettato, e quindi ogni Commissione deve essere composta in maniera da garantire la rappresentatività politica dell'intera Camera.
  Per spiegare questo a lezione ai ragazzi, diciamo che ogni Commissione è una piccola Camera o un piccolo Senato, questo va garantito: o si cambia l'articolo 82 o va garantito. Per garantirlo, con il numero di 200 è evidente che ogni senatore dovrebbe far parte di un numero più ampio di Commissioni. Questo è un effetto di cui bisogna tener conto. Si possono poi modificare, ma comunque l'articolo 82 va rispettato. Se diminuisce il numero, è chiaro che quel numero di senatori deve comunque andare a comporre le Commissioni in maniera proporzionale.
  Se poi si volesse applicare, invece, la regola della Camera, cioè si volesse cambiare e, per evitare tutti questi problemi, modificare il Regolamento del Senato e renderlo uguale a quello della Camera, in modo che il senatore può far parte solo di una Commissione, in quel caso il rischio che si potrebbe correre è quello di penalizzare le forze politiche minori. Insomma, è necessario trovare forme di contemperamento delle diverse esigenze.
  Ho concluso, credo di essere stata nel tempo che lei, presidente, mi ha assegnato.

  PRESIDENTE. È stata perfetta. La ringrazio davvero.
  Abbiamo soltanto pochi minuti per le domande. Do quindi la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAGI. Sarò brevissimo. Vorrei porre la questione dei senatori a vita e della loro incidenza in proporzione. Su un plenum dell'Assemblea, considerando i cinque senatori a vita, saremmo al 4 per cento, praticamente un gruppo consistente, su 200. Abbiamo già vissuto in altre stagioni politiche una fase in cui erano determinanti per la maggioranza, questo sarebbe ancora più ricorrente. Non so su questo quali siano le sue riflessioni.
  Pongo, inoltre, un'altra questione, sulla quale precedentemente ho richiamato l'attenzione anche dei suoi colleghi. Siccome uno degli obiettivi della legge è quello di migliorare il processo decisionale – così viene detto – al di là degli aspetti legati all'organizzazione delle Commissioni, quindi al fatto di poter eventualmente prevedere che ogni deputato o senatore partecipi a un numero maggiore di Commissioni o una riduzione delle Commissioni, a me non sembra che attualmente abbiamo dei problemi, sull’iter dei provvedimenti, legati al numero dei parlamentari. Ci sono meccanismi di contingentamento dei tempi. Casomai, abbiamo il problema di avere tempi adeguati per un esame approfondito dei provvedimenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola alla professoressa Poggi per la replica.

  ANNA MARIA POGGI, Professoressa di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Torino. Infatti non è che il problema della celerità dei procedimenti si risolva così, la diminuzione del numero dei parlamentari si pone da un altro punto di vista, che è quello, come evidenziato anche nella relazione della 1ª Commissione permanente del Senato, di allineare il nostro Paese al numero dei parlamentari presente in sistemi simili al nostro, che è anche uno dei temi che giustamente si potrebbero porre. Pag. 15
  Sicuramente, però, non si incide sulla celerità dei lavori, neppure riducendo il numero dei componenti di una Commissione. Forse si potrebbe ipotizzare l'accorpamento delle Commissioni, ma attenzione: l'accorpamento delle Commissioni può essere problematico rispetto alla simmetria dei ministeri, e anche quindi alla funzionalità dei passaggi.
  L'ultima cosa che vorrei dire, mi scusi, che non ho detto, su cui invece porrei un po’ di riflessione, riguarda l'elezione del Presidente della Repubblica: 58 delegati su più di mille componenti sono una cosa; 58 delegati su 600 sono quasi il 10 per cento. Su quello, secondo me, un po’ di riflessione è necessaria.
  Se si vuole condurre in porto questa riforma, bisognerebbe quantomeno cautelativamente adottare una norma transitoria e mettersi nell'ottica di modificarne altre, di norme costituzionali, ad esempio quelle che riguardano le funzioni del Senato. Questa dell'elezione del Presidente della Repubblica è, dal mio punto di vista, una questione particolarmente problematica, lo dico con franchezza: sul fatto che ci sia un'incidenza così forte del numero dei delegati rispetto al numero dei parlamentari nell'elezione della più alta carica dello Stato, farei una riflessione.

  PRESIDENTE. La ringraziamo davvero per questo suo contributo e la salutiamo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.

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ALLEGATO 1

Memoria presentata dal professor Porena

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ALLEGATO 2

Memoria presentata dal dottor Natalizia

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