XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 12 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI POLITICHE DELL'IMMIGRAZIONE, DIRITTO D'ASILO E GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani.
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Decaro Antonio , presidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani ... 3 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8 
Boldrini Laura (LeU)  ... 8 
Bordonali Simona (LEGA)  ... 9 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 
Magi Riccardo (Misto-+E-CD)  ... 10 
Berti Francesco (M5S)  ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 
Decaro Antonio , presidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 12 

Audizione di Tatiana Esposito, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13 
Esposito Tatiana , capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 13 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 17 
Calabria Annagrazia , Presidente ... 17 
Esposito Tatiana , capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 17 
Calabria Annagrazia , Presidente ... 20 
Boldrini Laura (LeU)  ... 20 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 21 
Magi Riccardo (Misto-+E-CD)  ... 21 
Calabria Annagrazia , Presidente ... 22 
Esposito Tatiana , capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 22 
Boldrini Laura (LeU)  ... 23 
Esposito Tatiana , capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 23 
Calabria Annagrazia , Presidente ... 23 

Allegato 1: Documentazione presentata dall'ANCI ... 24 

Allegato 2: Documentazione presentata dal capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 37

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva in materia di politiche dell'immigrazione, diritto d'asilo e gestione dei flussi migratori, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani.
  Saluto Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell'ANCI, nonché la delegazione che lo accompagna, e lo ringrazio per aver accolto il nostro invito.
  Do la parola al presidente Decaro per lo svolgimento della sua relazione.

  ANTONIO DECARO, presidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani. Grazie, presidente. Buonasera a tutti.
  Il decreto-legge n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132 del 1° dicembre 2018, ha modificato la tipologia dei beneficiari che accedono al sistema di accoglienza dei comuni e anche le modalità di accesso e la sua denominazione. Lo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) oggi viene denominato SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), la cui natura è però perfettamente sovrapponibile come tipologia allo SPRAR, di cui conserva le caratteristiche fondamentali, innanzitutto la titolarità pubblica dei progetti, che rimangono nella competenza dei comuni, in forma singola o in forma associata; il partenariato, che giudichiamo strategico come comuni, con il terzo settore; una vocazione orientata a facilitare i processi di autonomia dei beneficiari, perseguita anche attraverso un modello di accoglienza, che abbiamo sempre chiamato accoglienza diffusa, con piccoli numeri distribuiti sul territorio nazionale; l'alto livello di assistenza tecnica, di monitoraggio e di controllo, garantito dal servizio centrale, che è stato affidato dal Ministero dell'interno direttamente all'ANCI.
  Abbiamo detto che c'è stata una modifica sostanziale nella tipologia dei beneficiari. Possono accedere al sistema, adesso, soltanto i titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati. Possono essere accolti anche i cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno per casi speciali. Non c'è più, quindi, il cosiddetto «permesso umanitario», ma ci sono i casi speciali (ad esempio permessi per vittime della tratta, vittime di violenza domestica, di grave sfruttamento dal punto di vista lavorativo, ovvero per cure mediche, per calamità, per atti di particolare valore civile).
  Fatti salvi i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria attualmente presenti nelle strutture, ai quali le norme transitorie permettono ancora di restare in accoglienza fino alla scadenza del progetto in corso, i richiedenti asilo non possono più accedere al sistema dei comuni, ma permangono nel circuito della prima accoglienza, che fa capo alle prefetture, quindi parliamo dei CAS (Centri di accoglienza Pag. 4straordinaria), mentre in alcuni comuni sono rimaste ancora le strutture che prendono il nome di CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo). Per i titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari che non sono stati accolti nella rete prima dell'emanazione del decreto-legge n. 113 del 2018 non è prevista alcuna tipologia di accoglienza.
  Alla luce dei cambiamenti che sono stati introdotti con il decreto-legge n. 113 del 2018 si è resa evidente la necessità di riformare il vecchio decreto del Ministro dell'interno del 10 agosto 2016, che disciplinava le modalità di accesso degli enti locali ai finanziamenti del fondo e anche il funzionamento dello SPRAR. Il Ministero dell'interno ha costituito un gruppo di lavoro con l'ANCI. Tra l'ANCI e il Ministero dell'interno c'è su questo tema un'interlocuzione permanente e proficua. È stata avviata una procedura specifica che consente ai 400 comuni i cui progetti sono in scadenza alla fine di quest'anno di dichiarare già da ora la volontà di proseguire l'attività nel prossimo triennio.
  Nella definizione del nuovo assetto regolamentare del sistema sarà di grande importanza la definizione certa dei tempi di erogazione dei finanziamenti. Purtroppo, non avendo tempi certi per il finanziamento, abbiamo un duplice problema: non riusciamo a offrire i servizi previsti dallo SPRAR a tutti i beneficiari e abbiamo difficoltà nel pagamento degli stipendi degli operatori degli SPRAR, che a volte ne vedono l'accredito dopo diversi mesi rispetto al periodo in cui è stata erogata la prestazione.
  Prima di fornire dei dati, che ovviamente metteremo a disposizione della Commissione, vorrei rilevare alcune specificità nella modifica della norma e anche alcune criticità che abbiamo già sollevato. Quanto all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, oggi è l'unico sistema per l'accoglienza dei minori e non si introduce una vera e propria novità dal punto di vista legislativo, perché il sistema era già previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ma il decreto n. 113 del 2018 ne amplifica la portata e stabilisce un percorso per il quale i minori stranieri non accompagnati possono andare soltanto nell'ex SPRAR, che adesso prende il nome di SIPROIMI. Questo consente di ricomporre i servizi in favore dei minori stranieri non accompagnati in un'unica filiera di accoglienza, con una sequenza di interventi che vanno dalla prima accoglienza fino alla progressiva acquisizione della completa autonomia dei giovani ospiti. Tutte queste attività vengono inserite in un processo unico.
  La prima criticità è che i comuni hanno a disposizione un fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, ma è previsto un rimborso pari a 45 euro per giorno di accoglienza. Quando non sono nel SIPROIMI, ma sono ancora all'interno dei centri per i minori – noi comuni abbiamo l'obbligo di seguire i minori, e lo facciamo con i centri per i minori – e quindi, ripeto, quando il beneficiario, il minore straniero non accompagnato, è accolto all'interno di una struttura per minori, una struttura generica della gestione comunale, c'è un rimborso di soli 45 euro come retta giornaliera. In realtà, è molto meno di quello che un comune spende. A seconda delle regioni, per le strutture di accoglienza dei minori ci sono dei requisiti legati alla presenza dei servizi sociali, alle attività sanitarie, a percorsi, a laboratori, a tante attività che portano, a seconda della regione, che legifera in maniera autonoma rispetto allo Stato, a costi superiori. Cito l'esempio della mia regione – vi sono diversi centri per i minori nella mia città, la città di Bari – e in Puglia si spendono circa 85 euro a minore. Lo Stato non rimborsa la differenza tra 85 e 45 euro, quindi a carico del comune ci sono 40 euro al giorno per ogni minore straniero non accompagnato accolto nella rete dei centri per i minori che non hanno a che fare con il SIPROIMI. Nella rete ex SPRAR, invece, siccome si presenta un progetto e viene pagato a rendicontazione, il costo è coperto completamente dallo Stato.
  Siccome non ci sono tutti gli SPRAR necessari per i minori stranieri non accompagnati, molte prefetture, molti tribunali per i minori assegnano i minori stranieri Pag. 5non accompagnati nei centri per i minori, e quindi i comuni sopportano delle spese in più, che ovviamente ricadono sul bilancio. Era stata proposta una norma al riguardo da parte del relatore durante la discussione sulla legge di bilancio, quindi anche in modo pubblico, poi non ne abbiamo avuto più contezza, è sparita «nella notte». Aveva un impatto non eccessivo sul bilancio dello Stato, ma tale proposta, volta a riconoscere ai comuni il costo complessivo, e non più solo 45 euro al giorno, non c'è più. È una richiesta che abbiamo fatto più volte al Governo – in attesa che tutta l'accoglienza avvenga attraverso il SIPROIMI – quella della possibilità di ottenere il rimborso del costo complessivo. Questa differenza di costo è stata anche espressamente individuata da alcune relazioni della Corte dei conti.
  Gli strumenti di monitoraggio e di assistenza tecnica del SIPROIMI sono due aspetti distintivi che hanno procurato riconoscimenti molto positivi allo SPRAR in Italia e in Europa, tant'è vero che da diversi Paesi sono venuti a visitare i progetti SPRAR per comprendere meglio l'approccio del nostro Paese a questo sistema e a questo modello. Sono venuti da Spagna, Grecia, Norvegia, Regno Unito, Germania, Svizzera, Turchia, Marocco, Nigeria. Sono tanti i Paesi che hanno voluto verificare le attività all'interno degli SPRAR in Italia. Abbiamo procedure e strumenti di monitoraggio puntuali, mutuati anche da altre articolazioni dello Stato. Faccio riferimento, per esempio, a quello che è accaduto con la protezione civile qualche anno fa, in particolare con l'emergenza del Nord Africa. Abbiamo l'intesa con il Ministero dell'interno, e adesso c'è stata una revisione del modello organizzativo del servizio centrale, per ottimizzarlo, in particolare per attivare interventi ad hoc dedicati alla prevenzione del rischio. Parliamo di risk management a tutela sia dei beneficiari, sia dei comuni che erogano il servizio, sia, soprattutto, del Ministero, che finanzia queste attività.
  Veniamo ad alcune criticità. Una prima criticità, oggetto anche di tante polemiche tra i comuni e il Governo qualche mese fa, è l'iscrizione anagrafica. Come è noto, l'articolo 13 del decreto n. 113 del 2018 dispone che il permesso di soggiorno rilasciato all'immigrato che ha presentato la richiesta di asilo, fino a quando la richiesta non sia stata accolta, non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica. Dal punto di vista tecnico – rappresento 8 mila comuni, quindi 8 mila sindaci, che hanno posizioni diverse sull'immigrazione – abbiamo sollevato alcuni temi già nel passato.
  I temi erano sostanzialmente due. Il primo, fermo restando l'obbligo per un sindaco di offrire servizi agli immigrati anche non in possesso del permesso di soggiorno, è costituito dalla necessità per un sindaco di conoscere la platea degli arrivi nel sistema di accoglienza, perché devi offrire dei servizi. Provo a fare un esempio. Mentre nel mio comune, un comune di 320 mila abitanti, dove a oggi credo ci siano 600 persone ospitate nel CARA, non è un grosso problema organizzare la mensa per i bambini e il trasporto scolastico, per un comune come Cona, dove, a fronte di 3 mila abitanti, in una caserma c'erano 1.500 immigrati, credo che il sindaco abbia il diritto di conoscere il numero delle persone, la distinzione tra uomini e donne, l'età delle persone che ci sono, soprattutto se ci sono bambini, per organizzare i servizi sul territorio. All'epoca, ferma restando la norma, se non la si voleva cambiare, chiedemmo almeno di dare una sorta di domicilio, e quindi l'obbligo da parte della prefettura di comunicare al sindaco le generalità delle persone presenti all'interno delle strutture CAS o delle strutture CARA a gestione prefettizia.
  Il secondo tema è quello dell'assistenza sanitaria. È vero che c'è una norma nazionale che prevede la presenza di una sorta di sportello sanitario per gli immigrati, però non tutte le ASL hanno uno sportello efficiente ed efficace. Non trovando assistenza sanitaria attraverso lo sportello, non potendo fruire – in quanto non hanno l'iscrizione anagrafica – del medico di base, molti immigrati si presentano al pronto soccorso per avere cure mediche (ovviamente, il pronto soccorso li prende in carico). Vi sono leggi diverse nelle regioni; Pag. 6nella mia regione, per esempio, c'è una norma che non fa distinzione tra chi ha il permesso di soggiorno e chi non ce l'ha, una norma vecchia, di dieci anni fa, e quindi il problema non è stato vissuto. In altre regioni, invece, il problema dell'affollamento al pronto soccorso è stato vissuto. A oggi, alcuni problemi si sono risolti. Non avevamo chiesto nemmeno un cambio della norma, ma l'emanazione di circolari, che non ci sono state, ma devo dire che con delle risposte a delle FAQ sul sito del Ministero siamo riusciti a chiarire alcune di tali questioni ai comuni e ai funzionari comunali.
  Restano alcuni problemi. A oggi, c'è un forte smarrimento degli uffici dell'anagrafe, con interpretazioni applicative tra loro difformi. Tra l'altro, da ultimo ci sono state anche sentenze degli organi giudiziari, ci sono tre tribunali, se non ricordo male (Firenze, Bologna e Genova) che sostengono un'interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale i richiedenti asilo, una volta che abbiano presentato la domanda di protezione internazionale, in quanto regolarmente soggiornanti sul territorio, possono iscriversi all'anagrafe utilizzando ogni documentazione diversa dal permesso di soggiorno. In quei comuni stanno facendo l'iscrizione anagrafica, perché c'è una sentenza che lo impone. Negli altri comuni, non c'è una sentenza, però alcuni si orientano con l'iscrizione anagrafica, altri invece non lo fanno.
  In secondo luogo, il contesto della normativa anagrafica applicabile o non applicabile in alcuni territori sta determinando un generale irrigidimento operativo. È colpa nostra, è colpa dei comuni e delle interpretazioni, ma c'è un irrigidimento. Sto parlando di segnalazioni che arrivano dal territorio, da tutti i comuni. Ci sono comuni in cui i funzionari negano l'iscrizione anagrafica anche in situazioni che non hanno nulla a che fare con la riforma sull'iscrizione anagrafica. Arrivano all'ANCI segnalazioni di mancate iscrizioni anagrafiche di minori stranieri non accompagnati, di titolari di protezione internazionale, persino di titolari di permessi di soggiorno per lavoro. Non li iscrivono all'anagrafe, proprio perché c'è una confusione, che dovremmo cercare per primi, noi comuni, di risolvere.
  Il terzo tema è la difforme applicazione sul territorio della cosiddetta clausola di salvaguardia, prevista dal comma 3 dell'articolo 5 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, come sostituito dall'articolo 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, in virtù del quale «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2». Di fatto, però, ANCI riceve molteplici segnalazioni riferite a difficoltà per i richiedenti asilo di accedere ai servizi territoriali, in particolare con riguardo all'accesso ai servizi bancari, rendendo di fatto impossibile l'apertura di conti correnti, e quindi anche la sottoscrizione di contratti di lavoro e, in diversi casi, come ho già detto in precedenza, determinando difficoltà di accesso ai servizi sanitari. Noi crediamo sia necessario un intervento, con una circolare che possa dirimere tali questioni.
  Quanto al tema della prima accoglienza di persone non prese in carico dai sistemi nazionali, cioè che non sono né nel SIPROIMI né nel CAS, la norma, per come definita, non consente l'accesso al sistema delle persone vulnerabili o fragili in quanto tali, bensì delle persone cui sia stato rilasciato un permesso di soggiorno idoneo ad accedere al sistema. Ci sono persone che escono dal sistema di protezione. Mentre prima comunque rientravano nel sistema di protezione, all'interno del quale i costi erano a carico dello Stato, oggi quelle persone che non ottengono il permesso di soggiorno e non possono stare né nel SIPROIMI né nel CAS, non è che spariscano dal territorio fino a quando non vengono rimpatriate. Cito al riguardo un caso che conosco bene, quello di un cittadino marocchino di 49 anni. Questa persona vive a Perugia e ha un permesso di soggiorno. Scade il permesso di soggiorno e il questore di Perugia adotta nei suoi confronti un provvedimento di espulsione, a seguito del quale finisce all'interno del CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio) della mia Pag. 7città, dove resta sei mesi, terminati i quali il questore della città di Bari gli fa un decreto di espulsione e gli dice, per usare un aneddoto che poi diventa simpatico: te ne vai con le gambe tue, nel senso che rimpatri per i fatti tuoi, visto che sei uno che ha lavorato per un periodo nel nostro Paese. C'è un piccolo particolare: questa persona non ha le gambe, è sulla sedia a rotelle. Viene identificata dalla Polfer – quindi questore e Ministero dell'interno – la quale Polfer, non sapendo che cosa fare, scrive al comune. Credo che questa persona nemmeno sapesse dell'esistenza del comune di Bari, ma è arrivata lì con un decreto di espulsione all'interno di un CPR. Questa persona arriva dunque, attraverso la Polfer, ai servizi sociali del comune, che dovevano decidere se lasciarlo lì, davanti alla stazione, senza l'utilizzo delle gambe – lo sto dicendo qui, non lo sto portando fuori, non sto facendo polemica, è una cosa che è successa da diverso tempo, però credo sia giusto spiegare al Parlamento queste questioni – e oggi è a carico del mio comune. Non so nemmeno se sto facendo bene, se sto facendo un danno erariale, ma i funzionari del mio comune giustamente non se la sono sentita di lasciare una persona per strada, e costa 70 euro al giorno nel servizio socio-assistenziale a cui è stato affidato, che ha una convenzione con il comune.
  Alla luce delle segnalazioni che abbiamo fatto al Ministero quando siamo andati in delegazione dal presidente Conte, il Ministero ha messo a disposizione dei fondi, 30 milioni di euro, per le persone che hanno una particolare fragilità e che oggi sono uscite dal sistema di protezione. Il tema è che i comuni hanno fatto domanda per 75 milioni di euro, quindi più del doppio. Molti comuni si sono caricati di un servizio che prima invece era comunque a carico dello Stato. Adesso, è a carico del bilancio comunale.
  A questo si aggiungono altre fragilità, che prima erano coperte dal sistema SPRAR, quelle per esempio legate al disagio psichico all'interno di un CAS – parliamo di persone ancora in attesa di ottenere un permesso di soggiorno – quindi all'interno di una struttura di protezione a gestione prefettizia. La persona ha diritto di stare lì dentro, riceve il vitto e l'alloggio, ma non ha nessun tipo di protezione dal punto di vista assistenziale. Mentre prima, in una sorta di modus operandi nei rapporti tra l'associazione dei comuni, i comuni, i servizi sociali dei comuni e i CAS, le prefetture, quelle persone venivano accompagnate nello SPRAR, che adesso si chiama SIPROIMI, dove c'è un'attività di carattere socio-assistenziale anche dal punto di vista sanitario, dal punto di vista medico, e veniva tutto rimborsato nel progetto che pagava il Ministero, oggi queste persone, non potendo accedere a quel sistema SIPROIMI ex SPRAR, restano nella competenza del comune, che ovviamente deve attivarsi, anche qui, economicamente, in un rapporto con le ASL. Abbiamo chiesto al Ministero della salute di fare un accordo tra la ASL, il SIM (Servizio igiene mentale) e i comuni per dare assistenza a queste persone, che ovviamente creano problemi – all'interno del centro CAS o quando escono dal CAS – a loro stessi, alla popolazione e alle persone con cui interagiscono.
  Fornisco alcuni dati sulla rete SPRAR, oggi SIPROIMI, e sui beneficiari che sono stati accolti nel 2018. Nel 2018, abbiamo progetti finanziati pari a 877, di cui 54 per persone con disagio mentale, 144 per minori stranieri non accompagnati e 681 per richiedenti e titolari di protezione internazionale delle categorie ordinarie. Quanto agli enti locali che hanno partecipato ai progetti SPRAR, abbiamo 104 province su 107; il sistema SPRAR è presente in tutte le regioni d'Italia; 754 sono gli enti locali titolari di progetto, di cui 657 comuni, 19 province, 28 unioni di comuni e 50 altri enti, fondamentalmente i consorzi intercomunali. I comuni direttamente coinvolti nel sistema sono 1.189, in quanto sono comuni titolari del progetto o sono sede di una struttura SPRAR, che può essere gestita da un comune, ma può avere una sede anche in un comune limitrofo. I 1.189 comuni citati rappresentano il 14 per cento dei 7.960 comuni italiani; quasi il 42 per cento dei comuni coinvolti è costituito da piccoli comuni; tutte le città metropolitane fanno Pag. 8parte della rete SPRAR. Al 31 dicembre 2018, i progetti finanziati hanno reso disponibili 35.881 posti in accoglienza; i beneficiari accolti nei progetti sono 41.113 (36.313 nei progetti per accoglienza ordinaria; 923 nei progetti per disabili e disagio mentale; 3.877, quasi il 10 per cento, nei progetti per minori stranieri non accompagnati).
  Chiedo l'autorizzazione a depositare una tabella per mostrare l'evoluzione sia dei posti sia dei beneficiari, vale a dire delle persone accolte nello SPRAR, oggi SIPROIMI, negli anni tra il 2003 e il 2018. Nel 2003, avevamo 1.365 posti, 2.013 accolti; nel 2013, dopo dieci anni, 10.381 posti e 12.631 accolti; nel 2018, abbiamo 35.881 posti e 41.113 persone accolte: l'anno precedente, per una verifica da un anno all'altro, i posti erano 31.340 e gli accolti erano 36.995. Quanto alla modalità di ingresso nel nostro Paese, è lo sbarco sulle coste italiane, fondamentalmente, pari al 76 per cento. I beneficiari che sono stati accolti nel 2018 provengono da 89 Paesi, in prevalenza africani e asiatici. Le dieci nazionalità più rappresentate sono: Nigeria, Gambia, Mali, Pakistan, Senegal, Guinea, Costa d'Avorio, Somalia, Ghana e Siria.
  Chiedo l'autorizzazione a depositare anche un grafico che evidenzia sia le percentuali delle provenienze dai diversi Paesi – in prevalenza, come ho detto, africani – sia la distinzione per età. Gli uomini singoli in giovane età sono ancora i più rappresentati tra i beneficiari della rete. La percentuale di donne che giungono in Italia in cerca di protezione, spesso sole, è in progressiva crescita. L'incidenza sul totale degli accolti risulta essere del 16,47 per cento, pari a tre punti percentuali in più rispetto all'ultimo biennio. Nel 2018, le fasce d'età maggiormente rappresentate sono quelle che vanno dai 18 ai 25 anni, che rappresentano il 52,5 per cento, e dai 26 ai 30 anni, che rappresentano il 16 per cento.
  Quanto al 2019, nei primi cinque mesi, tra gennaio e maggio, la rete SIPROIMI è composta da 875 progetti – 671 ordinari, 155 per minori stranieri non accompagnati e 49 per persone con disagio mentale o disabilità – per un totale di 35.650 posti, finanziati dal Ministero, di cui 31.216 per la categoria ordinaria, 704 per disagio mentale o disabilità e 3.730 per minori stranieri non accompagnati.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA BOLDRINI. La ringrazio, signor Presidente, ringrazio il presidente dell'ANCI, non solo per essere qui in Commissione a riferire, ma anche per il lavoro che l'ANCI sta facendo, con non poche difficoltà, da quello che ci ha detto.
  Chiaramente, ci sono disagi rispetto alle modifiche normative apportate recentemente allo scopo di rimettere in discussione un sistema che – lei lo ha detto – funzionava bene. Mi permetto di dire anche che è stato un progetto tra i meglio riusciti, probabilmente, nel nostro Paese, quello dello SPRAR, che mi sono pregiata di aver collaborato a costruire, quando lavoravo all'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, insieme all'ANCI, al Ministero dell'interno e a molte associazioni che operano in questo ambito.
  Aver rimesso le mani in questo sistema a mio avviso è stato proprio voler andare a rimettere in discussione una possibile integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel nostro Paese. Quello era l'unico sistema che garantiva un livello di integrazione, proprio perché basato su un'accoglienza diffusa, come lei ci ha ricordato, e proprio perché destinatario di servizi ad hoc, che garantivano quindi un ottimo livello di assorbimento del richiedente asilo e dei rifugiati nel tessuto sociale. Aver rimesso in discussione questo, a mio avviso, ha come obiettivo quello di non voler lavorare nell'ambito dell'integrazione, ma di rendere più precaria la presenza dei beneficiari di protezione internazionale.
  Lei ci ha parlato anche di sentenze di diversi tribunali (Firenze, Bologna e Genova) rispetto all'iscrizione anagrafica, vorrei capire come si deve procedere. È evidente che l'iscrizione anagrafica serve ai sindaci per riuscire ad avere contezza della Pag. 9presenza sul proprio territorio, al fine di organizzare i servizi e anche di avere un quadro in termini di sicurezza. È sempre bene sapere chi c'è sul territorio, anziché volerlo ignorare per oscuri motivi.
  Faccio fatica, quindi, a capire la logica che sta dietro a questa interdizione all'iscrizione anagrafica. È nell'interesse dei comuni e della collettività fare in modo che queste persone siano conosciute sul territorio e che si sappia dove stanno. L'attuale normativa rende la vita molto più problematica per tutti e impedisce anche che ci sia la fruizione dei servizi. Come lei ci ha fatto presente, ci sono soggetti totalmente titolati che oggi si vedono rifiutare l'iscrizione anagrafica proprio perché c'è una confusione e non si sa più bene chi è titolare e chi non è titolare.
  Le chiederei quindi, presidente Decaro, che cosa lei consiglia a questa Commissione, che cosa può andare incontro alle esigenze dei comuni per quanto riguarda i richiedenti asilo e il loro soggiorno sul territorio, sia per una migliore gestione dell'erogazione dei servizi sia per riuscire ad avere un quadro più completo della loro presenza nelle aree di competenza dei comuni stessi. Potrebbe darci qualche suggerimento, oltre a evidenziare le criticità, di cui siamo più o meno a conoscenza, ma è bene ed è importante che sia lei a evidenziarle, per il ruolo che riveste. Vorremmo, però, anche sapere in che modo come legislatori possiamo riuscire a venire incontro alle sue istanze, cercando di formulare un correttivo a quanto oggi è in vigore.

  SIMONA BORDONALI. Ringrazio dell'illustrazione e vorrei svolgere alcune considerazioni. La prima riguarda i nuovi SPRAR – che continuiamo a chiamare SPRAR per semplicità – ribadendo, come è stato detto, e mi fa piacere che venga riconosciuto, che effettivamente gli SPRAR ci sono ancora. Un certo tipo di stampa e anche alcune affermazioni che abbiamo sentito prima tendono ancora a negare il fatto che gli SPRAR siano rimasti, quindi mi fa piacere che se ne sia parlato.
  Diciamo che sono stati meglio regolamentati. Nel momento in cui si parla di interventi anche economici, e ricordiamo che c'è la compartecipazione dei comuni al sistema SPRAR, laddove i comuni versano spesso ancora in difficoltà economica, il fatto di partecipare economicamente a un'accoglienza diffusa è sicuramente importante, ma lo è nel momento in cui si va verso l'integrazione. E gli SPRAR sono il punto decisivo per questa integrazione, perché c'è il lavoro fondamentale, essenziale, dei comuni, delle amministrazioni, dei servizi comunali, delle associazioni comunali, che partecipano a questo momento di integrazione.
  Perché oggi gli SPRAR sono rivolti esclusivamente a coloro che hanno ricevuto risposta positiva alla richiesta di protezione internazionale? Perché si può raggiungere l'integrazione solo nel momento in cui abbiamo la certezza che queste persone possono fermarsi sul territorio. Perché investire su un percorso di integrazione quando non ho la certezza che le persone che hanno fatto la richiesta di protezione internazionale vedano una risposta positiva? Ritengo che, soprattutto per le amministrazioni comunali, che devono investire su questo aspetto in termini economici, ma anche con interventi sotto tutti i punti di vista, con questa norma si giungerà veramente ad affrontare la questione dell'integrazione.
  Voglio anche credere al presidente sull'effetto delle nuove politiche, che hanno portato a una forte riduzione degli arrivi, e quindi a una distribuzione minore dei richiedenti asilo sul territorio, effetti che ritengo siano stati visti positivamente dalle amministrazioni comunali. Ero assessore regionale negli anni più difficili, nel 2015 e nel 2016 (che è stato l'anno peggiore), e i sindaci si ritrovavano spesso sul proprio territorio, soprattutto per quanto riguarda i CAS, la presenza di numerose persone a volte senza nemmeno esserne informati, non per cattiva volontà dei prefetti – tengo a sottolinearlo – ma perché non c'era nemmeno il tempo per gli stessi prefetti di redistribuire queste persone e trovare all'ultimo momento alloggi che potessero accoglierli.
  Ritengo che per i sindaci del nostro territorio questa diminuzione di arrivi abbia Pag. 10 costituito comunque un momento di sollievo, per le problematiche che si dovevano trovare ad affrontare tutti i giorni sotto tutti i punti di vista. Lei ci ha parlato soprattutto dei soggetti deboli. In quegli anni, i soggetti deboli che arrivavano sul territorio e che poi dovevano essere tutelati dall'amministrazione comunale erano in alcuni casi soggetti con disturbi psichici che presentavano notevoli problematiche anche dal punto di vista della sicurezza. Penso che inviteremo a breve anche rappresentanti dell'ospedale Niguarda per capire quante situazioni di pericolosità psichica abbiamo avuto sul territorio, situazioni che dovevano affrontare i nostri amministratori.
  Lei ha citato un caso per il quale va assolutamente trovata una soluzione, ma adesso si parla di casi singoli. Ricordo anni molto più difficili in cui gli amministratori locali dovevano prendere in gestione alcune situazioni di grande difficoltà, e i casi erano veramente numerosi. Non si è arrivati ancora alla perfezione, ritengo, dell'accoglienza, ma credo che siamo assolutamente sulla buona strada.

  PRESIDENTE. Sono previsti ancora due interventi. Vi chiedo la cortesia di essere molto concisi nell'esposizione, perché abbiamo un'altra audizione subito dopo.

  RICCARDO MAGI. Grazie, presidente, grazie per l'audizione. Proprio seguendo il filo logico della collega che mi ha preceduto e provando a togliere di mezzo ogni argomento di carattere politico, a me sembra che, proprio per l'importanza che lo SPRAR riveste nell'attivare quei processi di integrazione, sarebbe cruciale che questo avvenisse nel momento più delicato, cioè quello in cui la persona arriva, piuttosto che dopo un'attesa di mesi. Questo è uno dei motivi per cui in passato abbiamo valutato negativamente le modifiche normative.
  Più in generale, però, i comuni non sono solo degli attori fondamentali nell'integrazione, degli erogatori di servizi importantissimi. Sono anche a presidio delle città, dei comuni, della sicurezza, dell'ordine pubblico, in qualche misura. Ora, con l'aumento oggettivo delle persone irregolari per effetto dell'attuale normativa, ANCI ritiene che ci debba essere un'attenzione, o almeno una riflessione, per nuove forme di regolarizzazione di chi è già qui nel nostro Paese? Anche perché, nonostante i propositi di aumentare il numero di rimpatri, di aumentare il numero di accordi bilaterali, effettivamente nell'ultimo anno, come abbiamo visto, non c'è stato un aumento di questi rimpatri. Penso a modifiche normative che aiutino, rispetto alle persone che già ci sono, a regolarizzare, magari proprio quelle persone uscite da un percorso di formazione, di integrazione, che poi hanno visto un diniego alla richiesta di protezione e che tuttora sono sul nostro territorio.

  FRANCESCO BERTI. Mi scuso per il ritardo, ma ho seguito lo svolgimento dell'audizione tramite la web-tv. Lei, giustamente, ha parlato della differenza della normativa, ma anche della differenza di fondi allocati per quello che era SPRAR, poi SIPROIMI. Si parla spesso di accoglienza e integrazione e, da quello che ho potuto vedere, anche in posti autodefinitisi «università dell'accoglienza», come il CARA di Mineo – poi sappiamo tutti che cosa è successo – la percentuale di persone, di richiedenti asilo che effettivamente frequentavano corsi era inferiore al 50 per cento, dati alla mano. C'è anche la diatriba tra residente legalmente e ingresso legale nel territorio. Sappiamo, infatti, che c'è anche una maniera legale di entrare per i richiedenti asilo, che non è tramite i cosiddetti barconi.
  Ci sono sindaci che evidentemente hanno più necessità di alzare la voce sul tema dal punto di vista politico, che è legittimo. Come sindaco, ma anche come presidente dell'associazione nazionale che mette d'accordo tutti i comuni, ha anche una prospettiva amministrativa della gestione dei flussi migratori: le chiedo in che modo, come sindaci, vi trovate poi a gestire una serie di prospettive politiche che prevedono in astratto un'apertura incontrollata dei porti, se però poi giustamente le persone che entrano nel territorio devono essere anche accolte e integrate nella maniera in Pag. 11cui poi si può prefigurare un'integrazione a misura di uno Stato civile.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Decaro per la replica.

  ANTONIO DECARO, presidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani. Ovviamente, posso riportarvi la posizione unanime dell'Associazione nazionale dei comuni, non posso rappresentare le diverse sensibilità dei diversi sindaci. Siamo 8 mila e ognuno di noi ha una propria posizione politica, perché ha una propria storia politica, ha una propria provenienza geografica e politica. Sono il sindaco della città che ha accolto 20 mila albanesi: come si vede anche dai tratti somatici, miei ma anche del presidente della Commissione, potevano nascere dall'altro lato della costa e non se ne accorgeva nessuno! Io, però, devo portare la posizione degli 8 mila sindaci del nostro Paese.
  Per rispondere alla sollecitazione della presidente Boldrini, sicuramente chiediamo di conoscere, attraverso il domicilio o attraverso un'altra formula che verrà decisa dal Governo o dal Parlamento, le persone che sono presenti sul territorio. I sindaci ne hanno il diritto: io ho il diritto di conoscere le persone che sono sul mio territorio, a maggior ragione se quelle persone sono presenti all'interno di una struttura che viene gestita dal Governo attraverso le prefetture, perché devo organizzare i servizi che sono obbligato a offrire. Questo è un primo tema.
  Il secondo tema è quello dell'assistenza sanitaria. Serve la legge, non serve? Probabilmente non serve, serve una circolare del Ministero, serve un potenziamento, da parte delle regioni dello sportello per gli immigrati, delle ASL, ma sicuramente l'assistenza sanitaria, che è un altro obbligo, va data, e va data, se non si vuol cambiare la norma, con un accordo tra le regioni e il Governo nazionale, in particolare il Ministero della salute. Diversamente, da sindaco, non avendo il potere legislativo, ho un riverbero sul pronto soccorso della mia città, dove magari è andata una persona che si è rotta una gamba e in coda ci sono anche persone che hanno il mal di gola e non hanno la possibilità di avere il medico di base perché lo sportello per gli immigrati non funziona in determinate ore, non è stato attivato dalla ASL, è sottodimensionato. Io cerco di portare i problemi che vivono i sindaci su alcuni temi.
  La terza istanza che posso rivolgere alla Commissione è quella, da un lato, di aumentare i fondi per le persone che hanno un disagio, in particolare un disagio mentale o delle fragilità, e dall'altro lato, in attesa di coprire con il SIPROIMI l'accoglienza di tutti i minori stranieri non accompagnati, che il Governo si faccia carico di quella differenza tra il costo effettivo del minore straniero non accompagnato accolto in una struttura per minori gestita dal privato, dal privato sociale che opera in un comune, e il rimborso attuale di soli 45 euro, visto che facciamo la stessa cosa col SIPROIMI. Nell'ambito del SIPROIMI, a seconda del progetto, il Ministero copre integralmente il costo del minore straniero non accompagnato, non lo pagano i comuni, riceviamo un rimborso da parte del Ministero. Ed è proprio il motivo per il quale quelle persone che prima avevano accoglienza all'interno degli SPRAR, non ricadevano come costi – visto che veniva rimborsato completamente il progetto – sulle casse comunali. Oggi, purtroppo, questo non accade.
  Quando si parlava di sistema di accoglienza diffusa SPRAR, spesso ho spiegato ai diversi ministri che non avevamo l'interesse particolare di gestire, come comuni, lo SPRAR: potevano anche essere i CAS, a gestione prefettizia, a occuparsene, l'importante era l'accoglienza diffusa. A parità di persone accolte nel nostro territorio, una distribuzione sul territorio ovviamente riduceva le tensioni sociali, che sono inevitabili.
  Mi sono precipitato al Ministero e ho chiesto di dare attuazione a quell'accordo che avevamo fatto sugli SPRAR – promosso con il mio predecessore – con il caso di Cona. Il primo problema comincia a Cona, dove c'erano 3 mila abitanti e 1.500 persone accolte in una caserma. Il prefetto, siccome lì c'era spazio, porta altre persone. Pag. 12Non c'è una rivolta solo degli abitanti di Cona, c'è anche una rivolta delle persone, accolte nella caserma, di diverse etnie, che vedevano arrivare altri immigrati all'interno di quella caserma. Ricorderete che c'è stata una stagione di difficoltà, in cui i sindaci si mettevano con l'automobile personale davanti al pullman che accompagnava gli immigrati, che cercavano di barricarsi all'interno degli alberghi. Abbiamo cercato come Associazione nazionale dei comuni, come abbiamo sempre fatto (i sindaci sono pragmatici) di fare dei conti. Il record storico era 180 mila persone: dividemmo 200 mila, approssimando per eccesso, per 60 milioni di abitanti, e il numero era di tre immigrati per ogni mille abitanti. In quella maniera avremmo cercato di evitare tensioni e di parlare di accoglienza e di integrazione.
  È giusto fare accoglienza e integrazione solo per chi deve restare sul nostro territorio? Probabilmente sì, se lo spirito della legge è quello per cui in pochi mesi si definisce il percorso di una persona, ma purtroppo non è così. Non sono né tre né sei mesi: tra quando si esprime la commissione territoriale, il ricorso, la possibilità di opporsi al primo ricorso e di tornare nuovamente nella sede della commissione territoriale in cui la prima volta è stato dato il diniego, quelle persone stanno sul nostro territorio alcune volte anche per più di tre anni (quasi il mandato di un sindaco, che è di cinque anni). È un tempo molto lungo. Se ci sono persone che non conoscono nemmeno la nostra lingua, ovviamente può essere un problema per i comuni e per i sindaci.
  Non abbiamo voluto, però, fare polemiche. È una scelta che fa il Governo, è una scelta che fa il Parlamento. Noi portiamo soltanto le istanze per permettere ai sindaci di risolvere alcuni problemi che viviamo sul nostro territorio. Ovviamente, l'indirizzo politico e le scelte di carattere legislativo spettano al Governo e al Parlamento.
  Quanto a nuove forme di regolarizzazione, anche in tal caso ogni sindaco ha una propria posizione sulla materia. Quello che è certo è che tutti i sindaci hanno la stessa posizione su una cosa: se chiediamo all'Europa di partecipare all'accoglienza, coloro che sono presenti nel nostro territorio sono sicuramente diminuiti – è cominciata la riduzione già da diversi anni – ma è chiaro che una distribuzione più uniforme sul territorio può evitare delle tensioni sociali in alcuni comuni. Purtroppo, invece, notiamo che si stanno chiudendo alcuni CAS, non ci sono più gli SPRAR, e si concentrano nei vecchi CARA, sicuramente con una riduzione, ma se avessimo una distribuzione più equilibrata sul territorio, probabilmente avremmo meno problemi, è un fatto normale.
  Quando andai al Ministero a parlare di Cona, dissi: anche se siamo tutti tranquilli, quanto meno dovete dare i soldi al sindaco per aumentare le panchine, perché ci sono 1.500 persone in più che, quando usciranno dalla caserma, non sapranno dove sedersi. Era una battuta, ma era un modo per spiegare al Ministero dell'epoca che c'era un problema di concentrazione in alcuni comuni piccoli. Le prefetture non avevano il rapporto diretto che hanno i sindaci con il loro territorio, e quindi la casa, la villa, l'alloggio, la piccola struttura alberghiera. Il prefetto faceva la gara e vinceva magari la struttura alberghiera che nel periodo invernale era chiusa e aveva 2.500 posti. Capisco che il prefetto, quando aveva delle emergenze, li concentrava all'interno di quella struttura. Poi, magari, quell'albergo capitava in un comune di 2 mila abitanti, e ovviamente era un problema.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sindaco, presidente dell'ANCI, e tutti voi per aver partecipato a quest'audizione.
  Avverto che l'audito ha messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Tatiana Esposito, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

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  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Tatiana Esposito, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Saluto la dottoressa Esposito, nonché i componenti della delegazione che la accompagna, e la ringrazio per aver accolto il nostro invito. Mi scuso preliminarmente con la nostra ospite, in quanto alle 14.55 dovrò essere sostituito dalla vicepresidente Calabria perché dovrò partecipare allo svolgimento del question-time in Assemblea.
  Do la parola alla dottoressa Esposito per lo svolgimento della sua relazione.

  TATIANA ESPOSITO, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, presidente. Buon pomeriggio a lei e ai membri della Commissione. Sono io a ringraziarvi per questo invito.
  Tenterò di essere sintetica, in maniera da concludere almeno il mio primo intervento nei tempi da lei indicati, visto il suo impegno in Aula. Ho fatto pervenire alla segreteria della Commissione una relazione illustrativa che intendevo dovesse essere sintetica, ma la sintesi è sempre difficile da raggiungere, quindi non la illustrerò nel dettaglio, altrimenti penso che questo occuperebbe sostanzialmente tutto il tempo a nostra disposizione. Senza ulteriori indugi mi accingo a fornire una serie di informazioni.
  Mi concentrerò, nella prima parte, sui due macro-ambiti di intervento che mi sembra emergano dal vostro programma di indagine e che ricadono nelle competenze del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, vale a dire il tema dei flussi per motivi di lavoro e il macro-capitolo dei minori stranieri non accompagnati. Si tratta dei due temi rinvenibili nel vostro programma di indagine, ai quali aggiungerò alcuni altri elementi per darvi un'informazione di prima mano sulle misure politiche rivolte all'integrazione dei cittadini di Paesi terzi nel nostro Paese che il Ministero sta portando avanti.
  Tutto ciò che vi racconterò e molto di più, e lo dico a titolo di premessa, è pubblicamente disponibile sul portale integrazione migranti, un portale inter-istituzionale che curiamo dal 2012. Mi fa piacere dirvelo in apertura, un po’ perché potrete andare a verificare e ad approfondire ulteriormente, un po’ perché il tema della condivisione delle informazioni e della trasparenza è profondamente radicato all'interno della Direzione generale che ho l'onore di guidare in questo momento.
  Partiamo dai flussi e da una piccola fotografia sui pochi dati relativi alla presenza di cittadini di Paesi terzi nel nostro Paese e alla loro partecipazione al nostro mercato del lavoro. Abbiamo circa 3,7 milioni di cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti da noi, che sono mediamente attivi nel nostro mercato del lavoro e mediamente stabilizzati nella loro presenza. Circa il 62 per cento sono detentori di permessi non soggetti a scadenza, quindi di lungo periodo; per quattro delle principali comunità presenti nel nostro Paese, questo tasso supera il 70 per cento. C'è un tasso di occupazione piuttosto elevato, intorno al 60 per cento; un tasso di disoccupazione pari al 14 per cento; un'inattività poco al di sotto. Sono tassi che fanno registrare un mutamento negli ultimi quattro anni: a partire dal 2015 registriamo dei segnali di costante miglioramento in termini di quantità di partecipazione al nostro mercato del lavoro.
  La presenza è sostanzialmente equilibrata da un punto di vista di genere, se teniamo conto di tutte le comunità provenienti dai Paesi terzi complessivamente intese. Ci sono molte differenze se andiamo a guardare dentro le singole comunità: registriamo una netta predominanza della presenza femminile in comunità come quelle ucraina, moldava e filippina e, invece, una scarsa presenza femminile in comunità come quelle egiziana, pachistana e bengalese.
  Si tratta di differenze che è utile guardare anche per poter disegnare delle misure di politica attiva che siano efficaci nei confronti dei diversi gruppi target. Questo è Pag. 14uno dei motivi per cui in maniera costante raccogliamo, rielaboriamo e rendiamo disponibili una serie di rapporti che analizzano, non soltanto il mercato del lavoro da un punto di vista quantitativo e qualitativo, ma anche le quindici principali comunità presenti nel nostro Paese e la presenza migrante analizzata da un punto di vista dell'integrazione territoriale, con un approfondimento specifico sulle aree metropolitane. Vi sono, inoltre, i dati sui minori stranieri, che affronterò tra poco, che vanno ad arricchire questa strumentazione.
  Gli ingressi per motivi di lavoro nel nostro Paese sono andati via via contraendosi negli anni. Se esaminiamo gli ultimi dati di quest'anno, ma anche dell'anno precedente, i nuovi permessi di soggiorno rilasciati per motivazioni connesse al lavoro sono al di sotto del 5 per cento del totale. La prima motivazione di rilascio del permesso di soggiorno in assoluto è quella per ricongiungimento familiare o per motivo familiare, che è anche un indice di radicamento delle comunità nel nostro Paese, mentre quelle per motivi di lavoro sono ridotte al lumicino da diverso tempo.
  Questo è molto connesso alle modalità con le quali il quadro legislativo attuale regola gli strumenti che consentono di disciplinare gli ingressi per motivi di lavoro nel nostro Paese. Vi è noto che il decreto flussi annuale è un decreto flussi che, in assenza del documento programmatico triennale, previsto dal testo unico sull'immigrazione, può essere adottato soltanto in via transitoria. In maniera molto pragmatica significa che il decreto flussi 2019 non può andare oltre le quote previste nel decreto flussi 2018, e così è stato negli ultimi anni, perché la programmazione in via transitoria impone che non si possano prevedere quote in misura maggiore rispetto a quelle previste nel decreto di programmazione precedente. Si può andare in riduzione, ma non si può andare in aumento. L'ultimo decreto flussi che ha previsto delle quote d'ingresso per lavoro subordinato non stagionale risale al 2010, quindi dal 2010 in avanti non è stato possibile introdurre quote di questo genere nei successivi decreti. L'ultimo documento triennale di programmazione risale al 2005 e copriva il triennio 2004-2006.
  Il quadro normativo essendo questo, non è possibile adottare un decreto flussi che introduca maggiori o diverse tipologie di quote d'ingresso nel nostro Paese. L'ultimo decreto flussi adottato, per l'anno 2019 è, quindi, come quello del 2018, con lo stesso numero di quote (30 mila 800 circa). Questi numeri, però, non sono tutti riservati a ingressi nel nostro Paese, perché 12 mila sono sostanzialmente riservati a tipologie di conversione, vale a dire per il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro a persone che sono già nel nostro Paese e detengono un altro titolo di soggiorno per altri motivi (per studio, per tirocinio, per formazione, un permesso per lungo periodo rilasciato da un altro Paese europeo). Pertanto, le quote d'ingresso vere sono soltanto per lavoro stagionale e sono pari a 18 mila permessi, cui si aggiungono 2.400 permessi per lavoro autonomo. Le restanti sono tutte conversioni, tranne piccole casistiche di cittadini stranieri formati all'estero nei Paesi di origine oppure di lavoratori di origine italiana, ma parliamo di poche centinaia.
  È vero che in corso d'anno il Ministero del lavoro, monitorando l'utilizzo delle quote, ha la possibilità di rivedere questa ripartizione, ma comunque all'interno del numero massimo e delle tipologie già previste. Monitoriamo l'utilizzo mediante un sistema informativo, il SILEN (Sistema informativo lavoratori extracomunitari e neocomunitari), che è lo strumento attraverso il quale tra l'altro ripartiamo le quote tra gli uffici territoriali del lavoro e abbiamo la possibilità di vedere in tempo reale le istanze che vengono lavorate dagli sportelli unici per l'immigrazione.
  Per darvi un'idea dell'utilizzo delle quote 2018 – che sono ancora in corso di utilizzo perché non è che al chiudersi dell'anno le quote del decreto 2018 si azzerano, ma possono essere utilizzate anche nei mesi successivi alla chiusura d'anno, purché le istanze siano state presentate nel corso dell'anno di riferimento del decreto – a oggi c'è un utilizzo piuttosto avanzato delle quote per lavoro stagionale: siamo all'85 Pag. 15per cento, complessivamente, considerando quelle già utilizzate e quelle che ci risultano essere in istruttoria negli uffici degli sportelli unici per l'immigrazione.
  Le quote di conversione hanno un utilizzo differenziato a seconda delle tipologie. C'è un utilizzo molto elevato delle conversioni da lavoro stagionale a lavoro subordinato (circa il 75 per cento); seguono le conversioni da studio, tirocinio e formazione verso il lavoro (che sia subordinato o che sia autonomo, c'è comunque una percentuale di utilizzo piuttosto elevata: verso il lavoro autonomo intorno al 70 per cento e verso il lavoro subordinato circa il 55 per cento). Le altre tipologie di quote sostanzialmente hanno un utilizzo molto contenuto.
  Questa è la situazione delle quote d'ingresso previste dal decreto flussi. Ci sono poi altre modalità in cui possono essere accompagnati degli ingressi, anche se non per motivi di lavoro strettamente intesi. Per esempio, sui ricongiungimenti familiari c'è la possibilità di accompagnare i cittadini di Paesi terzi che hanno diritto ad accedere al nostro Paese per un ricongiungimento familiare in un percorso di orientamento e di formazione civico-linguistica pre-partenza, che possa aiutare il percorso d'integrazione nel momento in cui fanno accesso al nostro Paese. Noi lo stiamo sperimentando attraverso una progettazione che abbiamo messo in campo nel 2017 grazie a risorse FAMI (Fondo asilo migrazione e integrazione), di cui siamo autorità delegata. Abbiamo avviato questa progettazione su dieci Paesi che sono nel bacino dei Paesi da cui provengono le comunità più importanti, e anche quelle radicate da più tempo, nel nostro territorio. Abbiamo già intercettato e assistito poco meno di 2 mila persone prima che facessero ingresso in Italia per ricongiungimento familiare.
  Inoltre, abbiamo avviato, all'inizio di quest'anno, una nuova iniziativa che si innesta su questa di cui vi ho appena parlato e che, però, estende il bacino d'intervento non soltanto agli ingressi per ricongiungimento familiare, ma anche agli ingressi per motivi di tirocinio, di formazione e di lavoro subordinato. Infatti, comunque nel decreto flussi c'è quella piccola quota, che ora è di 500 ma che, a seconda dell'utilizzo, delle necessità e anche delle richieste del mondo produttivo nazionale, può essere estesa, ovviamente passando attraverso dei percorsi di formazione pre-partenza.
  A queste quote si aggiungono le quote d'ingresso per tirocinio e per formazione professionale, che danno titolo poi a un permesso di soggiorno, che è convertibile in permesso per lavoro, qualora la persona dovesse poi intrattenere un rapporto di lavoro regolare nel nostro Paese. Le quote d'ingresso per tirocinio e per formazione professionale vengono definite attraverso una programmazione triennale, con un decreto del Ministro del lavoro, di concerto con una serie di altre amministrazioni. Il triennio in corso si chiude alla fine del 2019, perché l'ultimo documento di programmazione triennale risale al 2017 e ha fissato complessivamente in 15 mila gli ingressi per tirocinio e per formazione professionale (7500 per tirocinio e 7500 per formazione). Da un monitoraggio dell'utilizzo realizzato sul 2017 e sul 2018 attraverso informazioni fornite dalla rete delle rappresentanze diplomatiche o consolari – che sono ovviamente nostri partner in tutti questi progetti – risulta che lo strumento dell'ingresso per tirocinio e per formazione non è pienamente utilizzato. Rispetto ai 7.500 ingressi per tirocinio previsti nel primo biennio di vigenza della programmazione ne sono stati utilizzati circa 1.300-1.400 (bisogna tener conto, però, che di solito nell'ultimo anno c'è un'accelerazione). Quanto alla formazione professionale, ne sono stati utilizzati un po’ di più, ma siamo comunque al di sotto dei 2 mila ingressi.
  Con questo concluderei la parte sui flussi, per passare al tema dei minori stranieri non accompagnati. Chiedo, al riguardo, l'autorizzazione a depositare alcune pubblicazioni in materia. Sui minori stranieri abbiamo una competenza specifica che riguarda il censimento e il monitoraggio delle presenze dei minori stranieri non accompagnati nel nostro Paese. Lo facciamo attraverso un sistema informativo nazionale, il SIM (Sistema informativo minori), che è funzionante e già perfettamente in vigore, Pag. 16anche in attuazione delle disposizioni della legge n. 47 del 2017. Grazie alle informazioni che censiamo con il Sistema informativo minori rendiamo noti e pubblici, per chiunque fosse interessato, mensilmente un report statistico sulle presenze dei minori e due volte l'anno un rapporto di monitoraggio un po’ più approfondito, con informazioni di carattere qualitativo. Metto a vostra disposizione l'ultima edizione semestrale, quella al 31 dicembre 2018.
  Le presenze sono in contrazione, in quanto la contrazione generalizzata dei flussi non programmati si riflette anche sulle presenze dei minori. Al 30 aprile sono poco più di 8 mila i minori stranieri non accompagnati in accoglienza nel nostro Paese. Per darvi alcune poche caratteristiche demografiche, sono quasi tutti uomini (il 93 per cento), quasi tutti adolescenti prossimi alla maggiore età (quelli dai sedici ai diciassette anni coprono quasi l'80 per cento delle presenze) e provengono prevalentemente da alcuni Paesi. Le principali nazionalità sono Albania, Gambia e Costa d'Avorio. Da alcuni mesi abbiamo inserito anche un focus di genere nel report che dedichiamo, sia mensilmente sia ogni sei mesi, alle presenze dei minori, con un approfondimento sulle minori non accompagnate, con riferimento alle quali c'è una composizione di provenienze geografiche un po’ diversa: c'è una nettissima maggioranza di minori nigeriane, seguite da minori eritree e ivoriane (queste sono le tre nazionalità prevalenti). I minori (donne e uomini) sono distribuiti in maniera non equilibrata sul territorio nazionale, a differenza di quanto avviene per gli adulti in accoglienza, perché circa il 31 per cento arriva in Sicilia e resta in Sicilia. Arriviamo al 42-43 per cento considerando tutto il Sud. Seguono, ma da lontano, la Lombardia, il Friuli e l'Emilia-Romagna.
  Sul SIM sono accreditati e attivi con una propria utenza oltre 500 enti locali. Abbiamo condotto un'operazione molto onerosa di diffusione dell'utilizzo del sistema informativo presso gli enti locali che hanno in carico i minori non accompagnati. Questi 500 possono sembrare pochi sugli 8 mila comuni italiani, ma sono i 500 comuni in cui è accolto il 90 per cento dei minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro Paese. Sono attivi con una propria utenza sul SIM, così come tredici regioni e 80 prefetture. A partire dal primo trimestre di quest'anno l'erogazione ai comuni del contributo per l'accoglienza dei minori da parte del Ministero dell'interno è agganciata alle giornate di presenza censite sul Sistema informativo minori, il che è un notevole passo avanti sia in termini di trasparenza sia in termini di snellimento delle procedure.
  Attraverso il SIM è possibile anche attivare altre richieste che possono essere rivolte alla direzione generale, come quella di realizzare un'indagine familiare, e che vengono avanzate solitamente dagli enti territoriali che hanno in carico i minori, nonché disegnare al meglio il percorso d'integrazione da offrire a quel minore nel nostro Paese oppure costruire un percorso di rientro volontario assistito verso il Paese di origine, competenza che abbiamo gestito noi, impropriamente, fino alla legge n. 47 del 2017, la cosiddetta «legge Zampa», e che, opportunamente, la stessa legge ha correttamente attribuito al tribunale per i minorenni.
  Attraverso il SIM possono essere anche caricate e inviate all'amministrazione le richieste di parere, ex articolo 32 del testo unico sull'immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, per la conversione del titolo di soggiorno al compimento della maggiore età. Il presidente mi ha anticipato un quesito sull'abolizione del termine di venti giorni per il silenzio assenso in relazione al nostro parere e sul suo impatto rispetto alla procedura. Mi sento di dire che non ha avuto alcun impatto né la presenza né l'assenza di questo limite di venti giorni, perché l'amministrazione era già allineata a tale termine. È vero che in alcuni casi i termini vengono interrotti perché c'è la necessità di richiedere delle integrazioni documentali agli enti che hanno presentato le richieste di parere (in quel caso, ovviamente, i termini si interrompono).
  Ho ricostruito un po’ i numeri per darvi una fotografia: dal 5 ottobre, data di riferimento Pag. 17 in cui è entrata in vigore la nuova normativa, fino alla fine di maggio, noi abbiamo ricevuto circa 1.640 richieste di parere e ci siamo già espressi su 1.570. Siamo in linea con i tempi di un'istruttoria che è piuttosto snella, anche grazie all'uso del SIM.
  Sui minori abbiamo fatto anche un investimento molto importante in termini di accompagnamento al lavoro, soprattutto sui minori over sedici, che sono la stragrande maggioranza dei minori stranieri non accompagnati, attraverso il finanziamento di progettazioni che vanno avanti dal 2016. C'è un progetto, che si chiama «Percorsi», che ha permesso l'attivazione di circa 2 mila percorsi di inserimento lavorativo attraverso una serie di servizi di presa in carico, accoglienza, formazione e svolgimento di un tirocinio formativo. Si tratta di un modello che abbiamo costruito nel tempo attraverso un primo intervento, denominato «Inside», e che abbiamo realizzato insieme allo SPRAR, rivolto ai titolari di protezione internazionale e che abbiamo poi esteso ai minori stranieri non accompagnati e anche ai neomaggiorenni (infatti, il momento di maggiore fragilità del minore è quando compie diciotto anni e, quindi, è proprio in quella fascia che bisogna sostenerlo e accompagnarlo verso un'autonomia che sia vera). Noi siamo convinti che la vera autonomia si raggiunga attraverso il lavoro e attraverso l'occupazione, almeno questo è nel core business delle nostre competenze.
  Ora stiamo estendendo la nostra attività con un nuovo progetto, denominato «PUOI» (Protezione unità obiettivo integrazione), che mira a coinvolgere 4.500 persone, migranti particolarmente vulnerabili, o perché titolari di una forma di protezione o perché ex minori stranieri non accompagnati, attraverso questo percorso, costruito lungo una filiera di servizi e finanziato, per la prima volta, in maniera molto innovativa, in un esercizio di complementarietà operativa tra fondi europei diversi. Infatti, è pagato per metà con il Fondo sociale europeo (FSE), PON «Inclusione», di cui siamo organismo intermedio, e per metà dal FAMI (Fondo asilo migrazione e integrazione), di cui siamo autorità delegata. La complementarietà dei fondi si ricompone sulla testa del singolo beneficiario finale, che non si accorge della differenza, perché lui segue il percorso. Ci siamo fatti carico noi di gestire questa complessità, che non è banalissima, però ci siamo riusciti.
  Gli altri due piccoli cenni...

  PRESIDENTE. Non voglio interromperla e non voglio farla andare di fretta, perché so che ci sono cose molto importanti e di rilievo per i nostri lavori che sono contenute nella sua relazione, quindi lei deve avere tutto il tempo di poterle esporre, anche perché c'è un lavoro sul caporalato molto importante che state facendo e di cui vorrei che si parlasse diffusamente.
  Mi scuso di nuovo per il fatto di dovermi assentare.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ANNAGRAZIA CALABRIA

  PRESIDENTE. Prego la dottoressa Esposito di riprendere con la sua relazione.

  TATIANA ESPOSITO, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Mi avvio alla conclusione, però mi fa piacere menzionare altri due capitoli del nostro lavoro, che ci hanno impegnato molto negli ultimi tempi, e vorrei poter condividere queste informazioni con voi.
  In primo luogo mi riferisco al nostro rapporto e alla nostra collaborazione molto stretta con le regioni, nella consapevolezza che le politiche di integrazione chiamano in causa competenze che sono allocate a diversi livelli di governo. Quando parliamo di integrazione possiamo parlare di formazione professionale, per esempio, possiamo parlare di sanità, possiamo parlare di accesso ai servizi e all'alloggio, di politiche attive del lavoro, e via dicendo. Non tutte queste leve sono nella nostra disponibilità di amministrazione centrale, però abbiamo pensato di poterci mettere a disposizione Pag. 18del livello regionale e di sostenere il livello regionale all'interno di una cornice condivisa di priorità, anche con una leva finanziaria importante. Abbiamo, quindi, invitato le regioni a predisporre dei piani regionali per l'integrazione, che fossero articolati lungo quattro macro-aree di intervento, che in maniera molto sintetica elenco: l'ambito dell'istruzione, l'ambito dell'accesso ai servizi per l'integrazione, l'ambito della comunicazione qualificata e l'ambito dell'animazione e del sostegno all'associazionismo, anche di natura migrante.
  Abbiamo avviato questa operazione nel 2017. È un'operazione che si concluderà alla fine del 2020 e che si è sviluppata secondo due fasi attuative: 2017-2018 e 2019-2020. Sono in corso in questo momento questi piani regionali per l'integrazione, ai quali abbiamo destinato risorse FAMI complessivamente pari a 55 milioni di euro.
  I dettagli sull'attuazione di questi interventi e anche sulle linee, i responsabili, il numero dei beneficiari ipotizzati e raggiunti e le tipologie di azioni sono pubblici e sono rinvenibili nel portale integrazione migranti, dove c'è un'area dedicata alle regioni. Si può entrare all'interno di ciascuna regione, accedere alle informazioni relative ai piani regionali e verificare cosa esattamente si sta realizzando nell'ambito di questi piani regionali per l'integrazione, che sono ovviamente diversi gli uni dagli altri, perché sono diverse le esigenze dei territori, perché sono diversi i livelli di sviluppo dei servizi dei territori e perché sono diverse anche le scelte delle amministrazioni regionali.
  Nel corso del 2018 abbiamo potenziato questo intervento con le regioni, affiancando ai piani regionali per l'integrazione una misura volta al rafforzamento dei servizi per l'accesso al lavoro, vale a dire piani per il rafforzamento dell'inserimento lavorativo dei cittadini di Paesi terzi. A quei 55 milioni, quindi, se ne aggiungono altri 15, che sono connessi a quattordici programmi che ci sono stati sottoposti, che abbiamo valutato positivamente e che abbiamo finanziato. Anche questi si concluderanno alla fine del 2020.
  L'ultimo grosso capitolo tematico che ho il piacere di condividere con voi – lo ha menzionato anche il presidente Brescia – ha a che fare con il tema del caporalato. Come è noto, alla fine del 2018, in sede di conversione del decreto fiscale, vale a dire il decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 219, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, è stato istituito, all'articolo 25-quater, un tavolo operativo di contrasto al lavoro irregolare in agricoltura. È un tavolo che è presieduto dal Ministro del lavoro e che vede la partecipazione di altri soggetti istituzionali, ma anche non istituzionali. Nelle more della formalizzazione del decreto ministeriale che disciplina il funzionamento e l'organizzazione dei lavori del tavolo, però, l'amministrazione non è stata con le mani in mano. Ve ne parlo io, non perché il tema del caporalato riguardi esclusivamente i lavoratori stranieri, ovviamente, anche se c'è un'incidenza importante di lavoratori stranieri, ma perché ci siamo resi disponibili e con piacere ospitiamo la segreteria di questo tavolo e, quindi, ne curiamo e ne seguiamo i lavori. Sono stati costituiti sei gruppi di lavoro tematici, che sono già attivi e si sono già riuniti diverse volte e che stanno elaborando le parti di un prossimo piano triennale di interventi. Questi gruppi di lavoro ricalcano le tematiche che sono emerse come prioritarie in occasione dell'incontro che si è tenuto nel settembre dello scorso anno presso la prefettura di Foggia, presieduto dal Ministro del lavoro, al quale hanno partecipato numerose amministrazioni centrali e regionali, ma anche rappresentanti delle parti sociali e delle organizzazioni del terzo settore maggiormente attive rispetto a questo fenomeno.
  In quell'occasione sono emersi alcuni temi prioritari su cui concentrare gli sforzi di ognuno. I temi sono i seguenti: la vigilanza e la repressione (il gruppo di lavoro è affidato alla presidenza dell'Ispettorato nazionale del lavoro); la filiera dei prodotti agricoli e delle modalità di fissazione dei prezzi dei prodotti agricoli (il gruppo di lavoro è presieduto dal Ministero delle politiche agricole e forestali); l'intermediazione tra domanda e offerta di lavoro (il gruppo di lavoro è presieduto dall'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, agenzia, tra l'altro, con la quale collaboriamo strettamente nell'ambito di un accordo di cooperazione, che trova la sua ragion d'essere nel fatto che il tema del coordinamento Pag. 19 delle politiche attive del lavoro rivolte alla popolazione migrante resta incardinato presso questa direzione generale); i trasporti (la presidenza del relativo gruppo di lavoro è affidata alla regione Basilicata); la problematica relativa agli alloggi e all'allestimento di foresterie temporanee (il gruppo di lavoro è presieduto dall'ANCI); il potenziamento e il rafforzamento della rete del lavoro agricolo di qualità (la presidenza del relativo gruppo di lavoro è affidata all'INPS).
  Ciascuno di questi gruppi è stato costituito con rappresentanti istituzionali e non istituzionali, designati dalle amministrazioni centrali e regionali, dalle parti sociali, dalle organizzazioni del terzo settore. È un esercizio molto partecipato e molto inclusivo, quindi anche un po’ complesso, ma tutti i gruppi di lavoro si sono riuniti più volte e alcuni sono prossimi alla conclusione di questo primo round di riflessione con la produzione di un primo documento. Questi sei contributi poi andranno messi tutti insieme. Ipotizzo la possibilità che nel mese di luglio riusciremo a riunire i coordinatori dei gruppi, per fare emergere da questo confronto una prima traccia di documento di lavoro triennale, che potrà poi essere sottoposto al tavolo per discussione, miglioramento e approvazione, non appena l’iter del decreto ministeriale sarà ultimato, ma siamo veramente prossimi alla conclusione di questo iter.
  Vorrei sottolineare che questo esercizio sta avanzando anche con una messa a disposizione di risorse finanziarie per realizzare interventi concreti, per dare sostanzialmente gambe a quella parte della legge n. 199 del 2016 che è rimasta un po’ più indietro nell'attuazione rispetto alla parte repressiva e sanzionatoria, che invece ha funzionato e sta funzionando sempre meglio. Abbiamo destinato complessivamente circa 36 milioni di euro a questa priorità e altre risorse sono in via di destinazione. In primo luogo, abbiamo emanato a gennaio un avviso pubblico multi-fondo (in parte FAMI e in parte FSE anche in questo caso), però abbiamo utilizzato la complementarietà dal punto di vista geografico, per cui l'FSE interviene nelle regioni in ritardo di sviluppo e in transizione e il FAMI nelle regioni del centro-nord. Abbiamo destinato 23 milioni di euro a interventi di prevenzione e di contrasto del lavoro irregolare in agricoltura, riservando un ruolo di primo piano alle parti sociali (organizzazioni di derivazione sindacale o datoriale sono partner obbligatori).
  Il termine per la presentazione delle progettazioni si è chiuso nel mese di maggio e abbiamo insediato una commissione di valutazione che sta lavorando alacremente, anche perché abbiamo indicato il termine di fine giugno per concludere le valutazioni. Speriamo di farcela, anche perché abbiamo ricevuto una risposta molto importante, che ci ha in parte sorpreso, ma che forse è spiegabile anche in questo esercizio di condivisione che abbiamo fatto nel corso dei mesi, talmente spinto da far precedere la pubblicazione dell'avviso da una consultazione pubblica che abbiamo condotto sul portale integrazione migranti: a fronte di 23 milioni di euro messi a bando, abbiamo ricevuto progettazioni per 115 milioni di euro. Quando la commissione di valutazione avrà concluso i suoi lavori, se dovessimo renderci conto che sono state presentate progettazioni meritevoli da un punto di vista qualitativo, ci riserviamo la possibilità di rifinanziare questo avviso e di scorrere la graduatoria. Abbiamo anche già convenzionato, con le cinque regioni in ritardo di sviluppo, un'altra progettazione per 13 milioni di euro circa di Fondo sociale europeo, con il ruolo di capofila affidato alla regione Puglia.
  Stiamo negoziando – siamo alle battute finali – un ulteriore intervento con l'Ispettorato nazionale del lavoro, che è un'azione di sistema che mira a guardare anche oltre l'ambito agricolo, che si propone di investire sulla rete dell'ispezione, sulla formazione degli ispettori, sull'affiancamento degli ispettori stessi da parte di mediatori culturali preparati, sulla costituzione di task force multi-agenzia e sulla dotazione di strumentazione adeguata a queste task force. Siamo in dirittura finale nella definizione di questa progettazione che verrà realizzata dall'Ispettorato nazionale del lavoro, grazie a risorse del Fondo nazionale politiche migratorie, che abbiamo deciso di investire in questa direzione. Pag. 20
  Possiamo anche contare sull'assistenza tecnica dell'ILO, l'Organizzazione internazionale del lavoro (e mi fa piacere dirlo oggi, nel 2019, anno in cui ricorre il centenario dell'Organizzazione stessa), per curare i lavori del tavolo, la predisposizione del piano e il monitoraggio degli interventi, grazie a un'adesione al Programma europeo di riforme strutturali, che ha visto una valutazione positiva da parte della Commissione europea di questo esercizio così complesso che ci accingevamo ad affrontare e che ci ha consentito un affiancamento da parte dell'ILO grazie a un finanziamento ad hoc.
  Mi taccio, potrei parlare ancora a lungo, però ritengo opportuno lasciare uno spazio a eventuali quesiti.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa, per la sua approfondita relazione.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA BOLDRINI. La ringrazio, signora presidente. Dottoressa Esposito, la ringrazio per quanto ci ha voluto illustrare. Dispiace vedere che sono disponibili ad ascoltarla solo tre deputati e deputate. Stiamo parlando di uno dei temi che riempiono di più il dibattito pubblico e le pagine dei nostri quotidiani, ma poi in sede parlamentare devo prendere atto che per una discussione così interessante ci sono tre esponenti di questo Parlamento. Me ne scuso, perché trovo veramente significativa questa assenza. Si parla di immigrazione e di integrazione senza conoscere nulla, cara dottoressa, senza il benché minimo sentore di quello di cui si parla; c'è un'occasione per capire qualcosa di più e nessuno si presenta.
  Rispetto a quanto da lei esposto vorrei farle alcune domande, che capisco potrebbero essere per lei forse imbarazzanti. La prego di sentirsi libera di rispondere o meno. A me viene in mente il fatto che abbiamo 3,7 milioni di cittadini stranieri che sono attivi nel mercato del lavoro nel nostro Paese e, se ho capito bene, solo il 5 per cento sono i permessi di soggiorno per motivi di lavoro. La mia mente va a qualche numero, nel senso che, visto che ogni giorno percepiamo una presenza di lavoratori e lavoratrici stranieri di una certa consistenza, mi chiedo se questa bassa percentuale sia dovuta al fatto che riducendo totalmente le quote del decreto flussi – dal 2010 non se ne vedono più, se non stagionali – si faccia indirettamente un favore all'immigrazione irregolare: riduciamo le quote regolari, così favoriamo il mercato irregolare, così diamo lavoro a nero, così il sistema Paese si regge.
  Vede, dottoressa, l'unico modo per sconfiggere l'irregolarità è consentire l'accesso legale al territorio, fare in modo che il decreto flussi sia attivo, perché l'esperienza ci porta a dire che, se il decreto flussi è fermo, continuerà comunque l'arrivo sulle nostre coste o nei nostri aeroporti o nelle nostre stazioni ferroviarie – anche su questo ci sono da sfatare un po’ di miti – di persone che arrivano con un permesso di soggiorno diverso, cioè un visto turistico o un visto per altri motivi, per poi, alla scadenza del visto turistico o del visto per altri motivi, essere disponibile come forza lavoro ed entrare nel mercato del lavoro. Sono numeri che a lei non risulteranno mai, perché lei giustamente ha la fotografia della regolarità.
  Penso di avere qualche motivo per intravedere in questo una disfunzione voluta: non si regolarizza il mercato del lavoro di chi viene da altri Paesi, la nostra legge attuale non lo consente. Infatti, la «legge Bossi-Fini» ci consente di dare lavoro solo alle persone che noi chiamiamo direttamente dai Paesi di origine, senza averle mai viste in faccia prima. Sono sicura, dottoressa, che né lei né io né nessuno qua dentro darebbe a queste persone mai viste in faccia prima la cura dei propri bambini o dei propri anziani. Ci troviamo, quindi, di fronte a una legge fatta in modo tale da creare irregolarità, un decreto flussi bloccato dal 2010, un decreto stagionale per 30 mila 800 persone, di cui 12 mila per conversione del titolo di soggiorno, quindi in realtà per 18 mila persone.
  Abbiamo o no il senso della realtà? Che cos'altro si può dedurre, allora, se non un sistema che, anziché favorire la legalità, favorisce l'illegalità? Sta a noi interpretare i numeri che lei ci ha esposto: io mi permetto di interpretarli in questo senso, a me sembra che ci sia tutta un'economia grigia, se non Pag. 21nera, che si basa sull'irregolarità e non si vuole evitare – a livello politico intendo, certamente non a livello amministrativo – di continuare in questo senso.
  A suo avviso, come si potrebbe fare in modo che ci sia più regolarità nel lavoro migrante? È vero che il caporalato fa vittime non solo straniere, ma anche italiane. Nella scorsa legislatura andai al Ministero delle politiche agricole, su invito dell'allora Ministro Martina, a dedicare una sala di quel ministero a Paola Clemente. Lei lo ricorderà. Paola Clemente era una bracciante italiana, morta di fatica per 27 euro al giorno di lavoro. Questa è una piaga che tocca tutti. Quando si comincia con lo sfruttamento dei migranti, state sicuri che nessuno si salva, la china è iniziata e non si ferma più e a farne le spese sono tutti i lavoratori e le lavoratrici.
  Io mi chiedo: come si fa a riuscire ad arginare questo problema? Abbiamo fatto una legge ottima, ma se in campagna non ci sono i controlli, è come se non l'avessimo fatta. Chiedo a lei che si occupa di lavoro, di integrazione e di materie relative a questo ambito di gestione e anche delle politiche sociali: come si fa ad arginare lo sfruttamento? Perché non c'è tolleranza zero in questo? Perché facciamo finta di niente? Perché non consentiamo dei decreti flussi che siano realistici e non arginiamo in questo modo lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù delle persone?
  Noi viviamo in un Paese in cui – glielo dico per esperienza – ci sono regioni dove tutto si regge sulla riduzione in schiavitù dei migranti, ad esempio a Rosarno: ho scritto un libro al riguardo, di cui un capitolo è dedicato a questo. Tutto si basa su quello sfruttamento. Vorrei vedere la tolleranza zero contro chi riduce le persone in condizioni di schiavitù; invece no, il Ministro dell'interno manda le ruspe a spazzare via quel minimo di abitabilità che i migranti si riescono a costruire, che sono delle baracche fetide, ma mai andare a capire chi è che li sfrutta e che le riduce schiavi.
  Ci dia qualche consiglio: cosa può fare il legislatore per fare in modo che ci sia meno vergogna nel nostro Paese e più legalità? Come possiamo aiutare la legalità e cercare di ridurre questa piaga dello sfruttamento nel mondo del lavoro?

  STEFANO CECCANTI. Faccio solo una postilla a quello che diceva la collega Boldrini. Fermo restando che voi vi occupate di attuare leggi esistenti, mi chiedo, dal momento che noi invece ci stiamo occupando di leggi da modificare; il Governo, quando ha approntato il primo decreto sicurezza e ora che sta approntando il secondo decreto sicurezza, vi ha posto dei quesiti? Ha richiesto dati che potevano anche incidere sull'elaborazione dei testi? Questa è la domanda. Ci sentiremmo più rassicurati dal sapere che il Governo acquisisce tali elementi, visto che ci ha messo molto ad approvare entrambi i decreti (sono passate varie settimane, nonostante si tratti di decreti, quindi caratterizzati da necessità e urgenza), ci sentiremmo rassicurati se avesse preso informazioni. Ovviamente un Governo prende le decisioni che vuole, ma per lo meno dovrebbe farlo su una base conoscitiva adeguata. Se, viceversa, non l'ha fatto, c'è qualche problema, perché il nostro timore è quello di un uso un po’ propagandistico dei nuovi strumenti normativi, a prescindere da considerazioni di fatto.

  RICCARDO MAGI. Considerata la fondamentale importanza del lavoro come strumento di inclusione e considerato anche quello che ci ha detto lei in apertura della sua audizione sul fatto che la programmazione e i conseguenti decreti flussi ormai riguardano quel numero limitato che conosciamo, noi, come Commissione, abbiamo appena avviato l'esame di una proposta di legge che intende modificare la normativa sull'immigrazione. Tale proposta, semplificando molto e sintetizzando, prevede in primo luogo uno strumento come quello del permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, un permesso di soggiorno temporaneo con dietro determinate garanzie e con il coinvolgimento di intermediari, di soggetti istituzionali e non, soggetti pubblici e privati, che evidentemente costituirebbe un meccanismo alternativo rispetto a quello del decreto flussi, forse più elastico, per favorire l'incontro della domanda e dell'offerta di lavoro.
  L'altro aspetto che è previsto da questa proposta di legge, che è una proposta di legge Pag. 22d'iniziativa popolare, frutto della campagna «Ero straniero», è quello della regolarizzazione per comprovata integrazione, a fronte di un numero così elevato di presenze. Non ci mettiamo anche qui a discutere delle cifre, 90 mila o 500 mila, i soggetti più accreditati arrivano a prevedere, per la fine del 2020, 700 mila irregolari nel nostro Paese. Si possono ipotizzare delle forme di regolarizzazione su base individuale, ad esempio per chi aveva avviato un percorso di formazione e poi ha ricevuto un diniego rispetto a una richiesta di protezione o comunque per chi ha un datore di lavoro che è disponibile ad assumerlo: sono strumenti che potrebbero funzionare nel mercato del lavoro italiano e nella situazione italiana?

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Esposito per la replica.

  TATIANA ESPOSITO, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Provo a rispondere cumulativamente ai quesiti posti, perché mi sembra che ci sia un tema di fondo ricorrente.
  Partirei da una piccola precisazione sui dati, perché forse nel fornire i numeri si corre il rischio di restituire una fotografia non molto chiara. Ci sono 3,7 milioni di cittadini di Paesi terzi nel nostro Paese, non necessariamente tutti attivi sul mercato del lavoro, perché il tasso di occupazione di coloro che sono in età da lavoro è al 60 per cento, quindi non stiamo parlando di 3,7 milioni di cittadini di Paesi terzi attivi sul mercato del lavoro, ma di molti meno. Quando ho citato il dato del 5 per cento mi riferivo ai nuovi permessi rilasciati di anno in anno, per cui per quanto riguarda i primi rilasci di permessi di soggiorno nel corso del 2018, ad esempio, in meno del 5 per cento dei casi la motivazione del rilascio del permesso di soggiorno era connessa al lavoro (lo preciso per restituire una fotografia più aderente alla realtà).
  Ovviamente il tema degli ingressi per motivi di lavoro e della partecipazione al mercato del lavoro, anche in termini di qualità di questa partecipazione (e la regolarità o non regolarità della posizione lavorativa, ovviamente, incide molto sulla qualità di questa partecipazione), non ha a che vedere con il fenomeno, pur stimato importante, dei cosiddetti overstayers, cui faceva riferimento la presidente Boldrini, ossia coloro che entrano senza visto o con un visto turistico e che alla scadenza semplicemente non vanno via.
  Come rendiamo più legale il nostro mercato del lavoro? Come possiamo incidere in questo senso? Posso dire cosa non possiamo fare e cosa potremmo fare. Dal mio punto di vista – ma credo che sia un'opinione condivisa – tanto maggiore è la vulnerabilità della persona quanto maggiore è il rischio che questa persona possa entrare in un circolo di sfruttamento, nel migliore dei casi. Pertanto, i nostri interventi sono volti a prevenire che la marginalità e la vulnerabilità possano scivolare verso situazioni come quelle che lei ha indicato.
  Occorrerebbe avere a disposizione uno strumento di governo dei flussi d'ingresso per motivi di lavoro, quale che sia: non è il mio lavoro indicare quale strumento è da prediligere rispetto a un altro. In questo esercizio probabilmente sarebbe utile anche un confronto con le parti sociali e con il mondo produttivo, datoriale e sindacale. È un esercizio che noi facciamo in maniera ricorrente tutti gli anni, nella predisposizione del decreto flussi sia a livello centrale sia a livello territoriale, per capire quali sono le esigenze, le modalità e anche il ruolo che le parti sociali possono interpretare in un meccanismo di gestione dei flussi di ingresso.
  Ciò che non si può fare sono le regolarizzazioni di massa. Non si può fare più. C'è una cornice normativa, anche sovranazionale ed europea, che non ci consente di affrontare un'operazione di regolarizzazione di massa, non è più possibile. Il nostro quadro normativo non ha al suo interno una norma che consenta una regolarizzazione su base individuale in questo momento.
  Non sono in grado di esprimermi da un punto di vista tecnico sullo strumento dello sponsor, perché nel nostro Paese è stato in vigore per un periodo veramente molto breve, risalente al 2000-2001, e non abbiamo nella nostra disponibilità dati sull'uso e sull'eventuale abuso che possa essere stato fatto di quello strumento in quella finestra temporale molto stretta, perché quello strumento Pag. 23veniva gestito in quel biennio attraverso le questure.
  Non sono in grado di esprimermi su proposte che sono in discussione in Parlamento. Posso ripetere, come ho detto all'inizio, che noi produciamo molti dati e molte informazioni che sono a disposizione di tutti e che rendiamo pubblici, quindi c'è una base conoscitiva importante, disponibile per chiunque, sui temi che siamo chiamati a gestire.
  Nell'immediato, a normativa invariata, la possibilità di rendere meno asfittico lo strumento del decreto flussi esisterebbe attraverso l'adozione della programmazione triennale, il che è avvenuto l'ultima volta ormai quattordici anni fa. Anche a normativa invariata, azionando quella leva, che comunque è presente nel nostro quadro normativo vigente, sarebbe possibile poter utilizzare in maniera più mirata anche lo strumento del decreto flussi. Spero di avervi risposto.

  LAURA BOLDRINI. Vorrei chiederle una precisazione. Quando parla di stagionali, che durata ha il permesso di soggiorno che viene dato al lavoratore stagionale? Quando scade il permesso di soggiorno, voi avete il sentore di che cosa accada a quel lavoratore stagionale, se rientra nel Paese di origine, perché magari l'anno successivo ritorna e, dunque, non vuole alienarsi la possibilità di accedere di nuovo al decreto flussi, o se, invece, rimane sul territorio e sparisce, rimanendo come irregolare?

  TATIANA ESPOSITO, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il lavoro stagionale si qualifica come lavoro in alcuni settori (agricolo, turistico, alberghiero) e si può svolgere per massimo nove mesi l'anno. Il permesso per lavoro stagionale ha una durata massima di nove mesi nell'arco dell'anno solare e la norma prevede che la persona rientri nel Paese di origine, per poi fare accesso nuovamente l'anno successivo.
  Da un paio d'anni è stata rivista la normativa nazionale, per recepire nel nostro ordinamento la direttiva europea sui lavoratori stagionali, e abbiamo ora anche il permesso di soggiorno stagionale pluriennale, che consente a una persona che abbia fatto accesso negli anni precedenti come lavoratore stagionale nel nostro Paese di poter richiedere questo permesso pluriennale, che gli consente di entrare anche nelle annualità successive.
  Il permesso di soggiorno per lavoro stagionale rientra tra le tipologie di permesso di soggiorno che sono convertibili, quindi può essere convertito in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o lavoro autonomo, nell'ambito delle quote, ed è effettivamente il permesso stagionale quello il cui utilizzo nelle quote di conversione è maggiore, costituendo il 75 per cento dei casi.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora la dottoressa Esposito, capo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche d'integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Avverto che la nostra ospite ha messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.

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ALLEGATO 2

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