XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Giovedì 25 giugno 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vinci Gianluca , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2329 BRESCIA, RECANTE «MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 MARZO 1957, N. 361, E AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 20 DICEMBRE 1993, N. 533, IN MATERIA DI SOPPRESSIONE DEI COLLEGI UNINOMINALI E DI SOGLIE DI ACCESSO ALLA RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA. DELEGA AL GOVERNO PER LA DETERMINAZIONE DEI COLLEGI ELETTORALI PLURINOMINALI»

Audizione in videoconferenza di Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore «Politiche per la partecipazione» della Regione Toscana.
Vinci Gianluca , Presidente ... 3 
Floridia Antonio , direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore «Politiche per la partecipazione» della Regione Toscana ... 3 
Vinci Gianluca , Presidente ... 5 

Audizione in videoconferenza del professor Carlo Fusaro, Professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze:
Vinci Gianluca , Presidente ... 5 
Fusaro Carlo , Professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze ... 5 
Vinci Gianluca , Presidente ... 7 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 8 
Fusaro Carlo , Professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze ... 8 
Vinci Gianluca , Presidente ... 8 

Audizione in videoconferenza di Ksenija Dobrila, Presidente dell'Unione culturale economica slovena:
Vinci Gianluca , Presidente ... 8 
Dobrila Ksenija , presidente dell'Unione culturale economica slovena ... 8 
Vinci Gianluca , Presidente ... 10 

Audizione di Peter Močnik, Presidente della Slovenska skupnost :
Vinci Gianluca , Presidente ... 10 
Močnik Peter , Presidente della ... 10 
Vinci Gianluca , Presidente ... 12 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 12 
Vinci Gianluca , Presidente ... 12 

Audizione di Walter Bandelj, Presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene e di Maurizio Tremul, Presidente dell'Unione italiana:
Vinci Gianluca , Presidente ... 12 
Bandelj Walter , Presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene ... 12 
Tremul Maurizio , Presidente dell'Unione italiana ... 16 
Vinci Gianluca , Presidente ... 17 

Audizione del professor Stefano Passigli, già professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze:
Vinci Gianluca , Presidente ... 18 
Passigli Stefano , già Professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze ... 18 
Vinci Gianluca , Presidente ... 21 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 21 
Vinci Gianluca , Presidente ... 23 
Passigli Stefano , già Professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze ... 23 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 24 
Passigli Stefano , già Professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze ... 24 
Vinci Gianluca , Presidente ... 24 

Allegato 1: Memoria presentata dal direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore «Politiche per la partecipazione» della Regione Toscana, Antonio Floridia ... 25 

Allegato 2: Memoria presentata dal professor Carlo Fusaro ... 56 

Allegato 3: Memoria presentata dal Presidente della Slovenska skupnost, Peter Močnik ... 62 

Allegato 4: Documentazione presentata dal Presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene, Walter Bandelj, e dal Presidente dell'Unione italiana, Maurizio Tremul ... 66

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIANLUCA VINCI

  La seduta comincia alle 15.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione in videoconferenza di Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore «Politiche per la partecipazione» della Regione Toscana.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione in videoconferenza di Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore «Politiche per la partecipazione» della Regione Toscana, al quale chiedo di contenere l'intervento in circa dieci minuti.

  ANTONIO FLORIDIA, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore «Politiche per la partecipazione» della Regione Toscana. Grazie per l'invito, mi riservo di consegnare un testo scritto nel quale articolare meglio tutte le motivazioni del mio intervento. Ho colto l'occasione di questa audizione per proporre un testo che vada oltre l'immediatezza della questione all'ordine del giorno, per ricostruire anche le vicende delle riforme elettorali che in Italia si sono succedute nell'ultimo quarto di secolo, da un particolare punto di vista. Il mio, infatti, non è il punto di vista di un giurista o di un costituzionalista, ma quello di un politologo. La scienza politica ha molte cose da dire, con un suo specifico approccio disciplinare. L'approccio che ho seguito è quello di analizzare le riforme elettorali dal punto di vista delle idee e dei modelli di democrazia che sono stati impliciti in queste riforme, da una prima fase (caratterizzata da una logica maggioritaria temperata, con la legge Mattarella), alle tendenze sempre più apertamente plebiscitarie che si sono manifestate dapprima con la legge Calderoli, e poi con il progetto dell'Italicum, che non ha avuto attuazione, per arrivare all'ultima riforma e alle legge oggi vigente, per la quale, secondo me, non è più nemmeno possibile indicare una particolare ispirazione politico-culturale o normativa ma in cui domina piuttosto, rispetto a quello che Giovanni Sartori definiva ingegneria elettorale, il «bricolage» elettorale, ovvero un assemblaggio contraddittorio di logiche diverse. Dal punto di vista generale, il caso italiano ormai è un caso da manuale, espressione di una sorta di teorema: quando la questione della riforma elettorale rimane per così lungo tempo una issue, una questione politica permanente, questo stesso fatto è un indice del grado di destrutturazione di un sistema politico e della debolezza e dello sfarinamento del sistema dei partiti. Pag. 4
  Alla luce di tutte queste considerazioni, la mia valutazione della proposta di legge C. 2329 Brescia è nella sostanza positiva. Ritengo che si debba dire ad alta voce che il ritorno a un sistema proporzionale non è un ripiego, un «second best» rispetto a un modello ideale di sistema elettorale a cui si dovrebbe o si potrebbe aspirare. Un sistema elettorale proporzionale con una soglia ragionevole di accesso è forse il primo passo da fare per tentare di ricostruire una legittimazione degli eletti, innanzitutto, e del Parlamento nel suo complesso. Dico questo perché i sistemi a premio di maggioranza o i sistemi ibridi, più che misti, come quello previsto dalla legge Rosato, hanno prodotto una commistione di logiche e di comportamenti elettorali: da una parte hanno prodotto coalizioni frammentarie (ed è questa la vera fonte della frammentazione del sistema politico: il potere di coalizione, il potere marginale che viene dato anche a piccoli gruppi o a singoli notabili), e dall'altro un meccanismo che costringe a coalizioni che non sono realmente corrispondenti agli orientamenti dell'opinione pubblica del Paese. Penso che tra gli elementi che occorre richiamare a favore di un ritorno al sistema proporzionale vi sia proprio il fatto che, attraverso un sistema proporzionale, si può ridare la parola alla politica, si permette un meccanismo di articolazione e distinzione tra le diverse famiglie e tradizioni della cultura politica nel nostro Paese, non forzando attraverso meccanismi coatti la formazione di coalizioni che poi durano lo spazio di un mattino. Questo è il punto fondamentale su cui lavorare.
  Penso, quindi, che fondamentalmente sia giusta la strada percorsa. Mi limito soltanto a due brevi osservazioni che riguardano due aspetti della riforma in discussione. Una delle caratteristiche delle ultime riforme elettorali è stata una logica, per così dire, top down, a cascata: si calcolano prima i voti a livello nazionale e poi si mettono in moto meccanismi, a volte complessi e farraginosi, di redistribuzione territoriale dei seggi. Ritengo che si debba provare a ritornare – forse questa è una via che è ancora possibile percorrere – a un meccanismo in cui innanzitutto vengono assegnati i seggi a partire dal livello più basso (collegi plurinominali o circoscrizioni) e poi si ricorre a un collegio unico nazionale solo per l'assegnazione dei seggi non ancora assegnati a livello circoscrizionale. Perché è importante questo? Perché, dovendo anche tener conto delle pronunce della Corte costituzionale, dobbiamo garantire il principio della «conoscibilità» dei candidati, assicurare che l'elettore possa conoscere chi concorre eventualmente a eleggere con il proprio voto. L'idea di avere liste corte, con non più di otto candidati, è positiva, perché permette il rispetto di questo principio, posto che il ritorno al voto di preferenza presenta molti più inconvenienti che non vantaggi. L'idea di puntare su liste corte plurinominali su base territoriale relativamente ristretta, quindi, è positiva. Occorre, però, valutare la possibilità di meccanismi di elezione dal basso e permettere una più diretta connessione tra il luogo della candidatura e l'elezione, anche per evitare i fenomeni, abbastanza spiacevoli, che si sono verificati nelle ultime elezioni, delle cosiddette «liste eccedentarie» o «liste deficitarie», con conseguenti slittamenti degli eletti da una circoscrizione all'altra, e quindi anche con una distorsione della rappresentanza territoriale. L'altro punto su cui si può ragionare – immagino che sia una questione molto controversa – riguarda la soglia di accesso. Ritengo che la soglia del 5 per cento sia troppo elevata. A mio avviso, le fonti della frammentazione sono altre: tali fenomeni, anche trasformistici, nascono da logiche diverse, non dall'esistenza di forze politiche con il 3 per cento, che – faccio osservare – corrisponde a oltre un milione di voti (anche di più nell'ipotesi, peraltro auspicabile, di un aumento della partecipazione al voto). Si tratta di una quota consistente di popolazione, cui sarebbe sbagliato negare una rappresentanza. Quindi, pur comprendendo le ragioni che possono portare alla soglia del 5 per cento, ritengo che una soglia ragionevole possa essere pari al 3 per cento. È vero che la proposta in Pag. 5esame prevede il cosiddetto «diritto di tribuna». Si tratta di una soluzione certamente possibile. Mi permetto di osservare che si potrebbe tornare a valutare un meccanismo che vigeva nella legge elettorale proporzionale con cui si è votato in Italia fino al 1992, vale a dire quella di permettere l'accesso alla ripartizione nazionale dei seggi a tutte le liste che abbiano almeno conquistato un quoziente pieno in una circoscrizione, ma conteggiando poi tutti i voti a livello nazionale in sede di collegio unico nazionale. Si può anche ipotizzare che invece che in una sola circoscrizione ciò debba avvenire in tre circoscrizioni, però penso sia giusto che tutti i voti raccolti da chi abbia superato il 3 per cento siano comunque conteggiati e permettano una ripartizione più equa. Ho fatto alcune simulazioni con i risultati del 2018: una lista che superi di poco il 3 per cento potrebbe ottenere un seggio per il diritto di tribuna solo nelle circoscrizioni più ampie (Emilia-Romagna, Toscana, Puglia, Lombardia 1, Lazio 1 e Campania 1). Quindi un risultato che potrebbe in linea teorica consentire una rappresentanza di una decina di seggi ne comporterebbe solo tre o quattro.
  Rinvio per ulteriori osservazioni al testo scritto, dove, tra l'altro, è presente un'analisi degli effetti della legge Rosato nelle elezioni del 2018, in cui si dimostra il carattere aleatorio, molto casuale e quindi pericoloso dal punto di vista democratico, del rapporto tra effetti maggioritari ed effetti proporzionali. In breve, se nell'attuale Parlamento la distorsione in senso maggioritario è stata modesta – del 5 per cento a favore del centrodestra, di due o tre punti a favore del Movimento 5 Stelle e in modo corrispettivo a danno del PD e di LeU – ciò è accaduto per un puro effetto territoriale, per la distribuzione delle vittorie nei collegi uninominali.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Floridia. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della memoria che il nostro ospite ha messo a disposizione della Commissione (vedi allegato 1).

  Nessuno chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione in videoconferenza del professor Carlo Fusaro, Professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Carlo Fusaro, Professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze, al quale chiedo di contenere l'intervento in circa dieci minuti.

  CARLO FUSARO, Professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze. Ringrazio il presidente della Commissione, in particolare per la possibilità di partecipare da remoto. Ho predisposto un testo che è a disposizione dei membri della Commissione. Mi perdonerete se mi esprimerò in modo molto sintetico. Parto dalla seguente premessa: qualsiasi innovazione legislativa presuppone di avere chiari gli obiettivi, che, a loro volta, derivano dall'analisi delle caratteristiche dei difetti della legislazione vigente. Questi obiettivi vanno poi posti in ordine di priorità. Si deve tenere conto dei vincoli giuridici e politici, ovvero del contesto in cui l'innovazione si colloca, e infine – questo è l'aspetto di cui cercherò di occuparmi più specificamente – della congruità degli strumenti proposti per perseguire i fini prescelti.
  La proposta di legge C. 2329 Brescia si fonda su una valutazione critica della legge n. 165 del 2017, perché non coniugherebbe bene la rappresentatività con l'obiettivo della Pag. 6stabilità. La proposta di legge C. 2329, inoltre, si propone di meglio garantire il pluralismo territoriale e politico della rappresentanza. Lo strumento utilizzato consiste nella trasformazione delle due leggi elettorali gemelle per la Camera e per il Senato da sistemi misti, quali sono attualmente, in sistemi interamente proporzionali. I collegi uninominali maggioritari verrebbero aboliti e con essi la possibilità di apparentamenti fra liste, mentre verrebbero rimodulate in alto – ma con l'introduzione un po' curiosa, in una formula proporzionale, di deroghe per il cosiddetto «diritto di tribuna» – le clausole di sbarramento. Tutto il resto sostanzialmente non viene toccato, incluse le modalità di individuazione degli eletti, a proposito delle quali osservo incidentalmente che vedo non con entusiasmo le liste bloccate, perché sono fautore dei collegi uninominali, ma certamente le preferisco rispetto alle preferenze, in quanto fanno meno danni e permettono di perseguire meglio il riequilibrio di genere.
  Il relatore Fiano ha affermato in Commissione che il sistema proporzionale garantisce il massimo della rappresentatività e perciò appare più adeguato nell'attuale articolato scenario politico, che si caratterizza per una struttura tripolare. L'onorevole Forciniti ha detto, dal canto suo, che in passato i sistemi in prevalenza maggioritari non hanno garantito la stabilità dei governi, e l'ho sentito ripetere, comprensibilmente, questa stessa affermazione nel corso dell'audizione del collega D'Alimonte. Anche il deputato Berti ha evocato criticamente le alleanze senza garanzia di stabilità. Ora, quando si dice che un sistema elettorale deve allo stesso tempo perseguire rappresentatività e stabilità occorre intendersi. Infatti, se per stabilità intendiamo governabilità, si afferma una cosa sacrosanta, che vale in particolare nei regimi parlamentari, nei quali è non solo utile e opportuno, ma a mio avviso è necessario che la legge elettorale, nel combinarsi col sistema politico, persegua non solo l'obiettivo del rappresentare, ma, appunto, anche quello del governare, vale a dire che favorisca l'emergere di maggioranze ragionevolmente omogenee e stabili. Non vi è dubbio che la stabilità, una volta che una maggioranza sia costituita, sia obiettivo degno di essere perseguito. È vero che le leggi elettorali precedenti, tutte miste, non hanno dato risultati del tutto soddisfacenti, ma da dire ciò a liquidare quelle leggi elettorali ne corre, perché comunque esse hanno funzionato molto meglio della proporzionale preesistente. Mi riferisco, in particolare, alle leggi Mattarella e Calderoli, per non parlare dell'Italicum, mai applicata. Queste leggi perseguivano, accanto all'obiettivo della rappresentatività, la governabilità e, prima ancora, la decisività del voto. I dati sono chiarissimi al riguardo: dal 1948 al 1994 abbiamo avuto 45 governi in 44 anni, con una durata media di poco più di 11 mesi ciascuno; dal 1994 al 2018 abbiamo avuto 14 governi in 24 anni, con una durata media di 21 mesi, che salgono a 24 se si considera che nella XIII e XIV legislatura rispettivamente i due Governi D'Alema e i due Governi Berlusconi non furono quattro, ma di fatto furono due.
  Passo al secondo punto. A me pare del tutto improbabile che l'obiettivo della governabilità con stabilità possa essere meglio perseguito attraverso la trasformazione di un sistema elettorale da misto, pur a prevalenza proporzionale, a interamente proporzionale, pur con gli sbarramenti. La presente legislatura a me sembra una parziale riprova di tutto questo, ma sono cose così note alla Commissione che mi permetto di dedurne che i presentatori e i sostenitori della proposta di legge C. 2329 Brescia, della quale si è fatto carico il presidente della Commissione a nome anche di gruppi di maggioranza, pongono come prevalente se non unica priorità, a ben vedere, la rappresentatività, sapendo che una formula interamente proporzionale rende difficile, per non dire impossibile, per qualsiasi forza politica o coalizione, anche pre-elettorale, assicurarsi la maggioranza dei seggi. Questo a me pare il vero scopo della legge: si vuole essere certi che nessuno vinca alle urne. Questa è una ricetta sicura, permettetemi, per defatiganti negoziati in vista della formazione dei governi, Presidenti del Consiglio costretti giorno per giorno a tenere in piedi una Pag. 7maggioranza di cui non sono mai sicuri, esecutivi deboli e dall'azione incerta, forse con più instabilità, ma certamente con più inefficienza e anche, faccio notare, minor legittimazione, cosa molto sentita dal corpo elettorale.
  Il terzo punto è il seguente. Questo progetto si inserisce oggi in un contesto nel quale, lo sapete bene, sono in itinere – ne siete protagonisti – importanti innovazioni di rango costituzionale che sono in grado di condizionare la progettazione legislativa, perché introdurranno nuovi vincoli e al tempo stesso creeranno nuove opportunità. Non mi soffermo sui dettagli, perché non è necessario in questa sede. Mi pare, pertanto, importante attendere l'esito di queste modifiche perché, in particolare, i due interventi sul Senato renderebbero possibili innovazioni della legge elettorale che perseguono meglio gli obiettivi annunciati di stabilità che un sistema interamente proporzionale non può conseguire. In altre parole, si corre il rischio di varare un testo che sia fondato su un contesto costituzionale potenzialmente superato. In particolare, sarebbe possibile perseguire proprio la stabilità e la governabilità. Naturalmente non siamo nel campo delle scienze esatte, nessuno può spacciare possibilità per certezze, però forse varrebbe la pena di provare, in coerenza con un percorso virtuoso, che il nostro ordinamento ha perseguito per circa trent'anni con esiti non disprezzabili. Che cosa si potrebbe fare? Varie cose, allo stato attuale. Intanto, a parte attendere opportunamente l'esito di queste importanti innovazioni costituzionali, mantenere la legge n. 165 del 2017 così com'è, correggendone, magari, alcuni difetti che, per esempio, il collega Floridia ha poc'anzi segnalato. Tra l'altro, ha ragione lui, come ha ragione il collega Tarli Barbieri, che ho pure ascoltato, nel sottolineare che si potrebbe tornare a un sistema di riparto per la parte proporzionale che non scenda dall'alto, ma parta dalle circoscrizioni, risolvendo vari problemi; ma si potrebbe anche mantenere il sistema misto della legge n. 165 del 2017 aumentandone la parte maggioritaria, cioè facendo un'operazione francamente in direzione opposta a quella a cui la proposta di legge in esame punta, soprattutto se si ritenesse che con la riduzione del numero dei parlamentari, una volta decisa definitivamente dal corpo elettorale, troppo limitati collegi uninominali portino a un eccessivo ampliamento della loro base, con i conseguenti effetti controproducenti. Una terza ipotesi importante, a me pare, sarebbe però quella, in coerenza con le tradizioni costituzionali ed elettorali italiane, di vedere se sia il caso, finalmente, di trasferire sul piano nazionale gli ottimi modelli locali e regionali che sono stati sperimentati negli ultimi venticinque anni. Nel rispetto del vincolo costituzionale, si potrebbe immaginare una combinazione della legge Calderoli e dell'Italicum. Il presupposto, naturalmente, sarebbe l'estensione dell'elettorato a tutti i cittadini maggiorenni al Senato, che è in itinere. Si tratterrebbe di tenere conto anche dei vincoli stabiliti dalla giurisprudenza costituzionale, ma soluzioni sono immaginabili e sarebbero associabili a più meccanismi di individuazione degli eletti, a più soluzioni in ordine alle clausole di sbarramento, ove ritenute ancora utili, per perseguire rappresentatività territoriale e politica.
  Ricavate dalle nostre esperienze più virtuose, non da modelli accademici o da modelli esteri, si trovano soluzioni che permetterebbero davvero di perseguire in maniera più credibile gli obiettivi di stabilità che il progetto in esame dice di voler perseguire, proponendo però di farlo, a mio avviso contraddittoriamente, con strumenti che spingono in direzione opposta. Una sola integrazione conclusiva. La soluzione del sistema proporzionale, sostanzialmente integrale, potrebbe essere accettata, potrebbe avere una giustificazione in termini di legittimazione rafforzata del sistema elettorale, ma questo solo se vi convergessero tutte le principali forze parlamentari. In questo caso io mi sentirei in dovere di ritirarmi, rispettoso di un valore e di una priorità che si possono legittimamente considerare prevalenti, ma solo a queste condizioni.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni

Pag. 8

  STEFANO CECCANTI. Lei ha fatto un accenno all'inizio al diritto di tribuna, ma poi non ha sviluppato il ragionamento. Volevo capire qual era il suo giudizio specifico su questo punto.

  CARLO FUSARO, Professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze. Il diritto di tribuna è una formula che è stata pensata, se non ricordo male, per la prima volta in Francia nell'ambito della Commissione Vedel, che Ceccanti, nella sua veste di professore, certamente ricorda, circa venticinque anni fa, e serviva, in un sistema maggioritario uninominale integrale a doppio turno, per attenuare questo elemento maggioritario, permettendo comunque la presenza di forze politiche affermate nel Paese con una certa dimensione, ma non in grado, per via del sistema uninominale a doppio turno, di accedere alla rappresentanza. La proposta di legge C. 2329 Brescia immagina un sistema proporzionale e vi introduce uno sbarramento più alto dell'attuale, ma la cui entità effettiva sarà definita all'esito dell'iter parlamentare, che potrebbe non essere del 5 per cento, ma del 4 per cento o addirittura del 3 per cento: a questo punto, un ulteriore diritto di tribuna francamente a me pare incoerente con una logica proporzionalistica, che, come avete sentito, io considero contraddittoria rispetto all'obiettivo della governabilità e della stabilità; ma una volta compiuta tale scelta non vedo perché sia indispensabile il cosiddetto «diritto di tribuna».

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Fusaro. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della memoria che il professore ospite ha messo a disposizione della Commissione (vedi allegato 2).
  Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione in videoconferenza di Ksenija Dobrila, presidente dell'Unione culturale economica slovena.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione in videoconferenza di Ksenija Dobrila, presidente dell'Unione culturale economica slovena, alla quale chiedo di contenere l'intervento in circa dieci minuti.

  KSENIJA DOBRILA, presidente dell'Unione culturale economica slovena. Spettabile presidente e onorevoli componenti della Commissione, vi ringrazio per la facoltà di poter rappresentare in questa sede le legittime aspirazioni della comunità slovena del Friuli-Venezia Giulia a continuare ad avere anche in futuro la propria rappresentanza politica nel Senato della Repubblica e nella Camera dei deputati e a partecipare in modo attivo alla vita del Paese.
  Sono la presidente dell'Unione culturale economica slovena (Slovenska kulturno gospodarska zveza), una delle due organizzazioni di riferimento degli sloveni in Italia. La nostra Unione rappresenta oltre 320 associazioni, organizzazioni ed enti che operano in vari campi del vivere sociale (cultura, istruzione, imprenditoria, attività sportive, editoria e altro ancora). La comunità slovena è una minoranza nazionale autoctona formatasi a seguito dei processi storico-politici legati alle varie trasformazioni dei confini nel corso dei secoli e rappresenta una parte della popolazione slovena che vive nel territorio dello Stato italiano confinante. Gli sloveni in Italia, fino alla legislatura in corso, hanno fruito della possibilità concreta di eleggere il proprio rappresentante nel Parlamento italiano. In tutti gli ultimi sessant'anni gli abitanti del territorio di insediamento storico della minoranza slovena nella nostra regione hanno avuto un esponente della minoranza eletto nella Camera dei deputati o nel Senato della Repubblica, nonostante la mutevolezza Pag. 9 delle norme in materia elettorale e delle modifiche intervenute nei meccanismi di verifica del consenso espresso dai cittadini. Questa concreta possibilità viene oggi meno a fronte delle proposte di riforma elettorale che prevedono, tra l'altro, una drastica diminuzione del numero dei deputati e dei senatori. Il Parlamento, fulcro della vita democratica dello Stato italiano, si troverebbe conseguentemente privo della voce e della presenza della minoranza linguistica slovena, una presenza che nelle legislature succedutesi ha simbolizzato anche l'alto grado di integrazione attiva della comunità di lingua slovena in Italia nelle istituzioni dello Stato democratico, con un'adesione convinta ai valori e ai princìpi fondamentali dello stesso.
  Da qui la nostra richiesta, come minoranza riconosciuta, tutelata anche in base a norme dei trattati di diritto internazionale, a far sì che con le nuove disposizioni che verranno adottate in materia elettorale sia salvaguardato il diritto della minoranza slovena a partecipare attivamente, ai massimi livelli, alla vita politica italiana eleggendo un proprio esponente nel Parlamento della Repubblica. È una richiesta che trova fondamento nella stessa Costituzione italiana, agli articoli 2, 3 e 6. I princìpi fondamentali del pluralismo sociale, dell'eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini e della tutela delle minoranze linguistiche con azioni positive, sanciti dalla Costituzione, implicano la necessità che nelle leggi di riforma del sistema elettorale sia espressamente affrontata la questione della rappresentanza in Parlamento della minoranza linguistica slovena.
  Al riguardo, va altresì considerato il fatto che tra gli elementi che hanno determinato la specialità della nostra Regione, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, vi è anche quello della presenza sul territorio della minoranza linguistica slovena. Del pari, la specialità della Regione Trentino-Alto Adige, con le province autonome di Trento e Bolzano, e della Regione Valle d'Aosta è determinata in base alla presenza delle minoranze linguistiche rispettivamente tedesca e francese. Del resto, dalle attuali modifiche emerge che, giustamente e doverosamente, in deroga a meri criteri di calcolo matematico riferiti alla consistenza numerica delle popolazioni del Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta, è stato mantenuto il livello di rappresentanza dei territori considerati, proprio in virtù della presenza delle suddette minoranze linguistiche. Invece, nel caso del Friuli-Venezia Giulia e della minoranza slovena non viene esplicitata alcuna deroga o differenziazione di sorta.
  La necessità di disciplinare adeguatamente la questione della rappresentanza della minoranza slovena in Parlamento è esplicitata anche dall'articolo 26 della legge di tutela della comunità slovena nel Friuli-Venezia Giulia, la legge n. 38 del 2001, a norma della quale le leggi elettorali per l'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati dettano norme per favorire l'accesso alla rappresentanza dei candidati appartenenti alla minoranza slovena. Non intendiamo in questa sede suggerire le soluzioni ottimali alle questioni qui poste, ma solo richiamare l'attenzione dei parlamentari su alcune esperienze esistenti nell'ambito italiano e internazionale, che potrebbero essere assunte come base per la ricerca di una soluzione adeguata. Nell'ordinamento giuridico italiano vanno ricordate le disposizioni di cui agli articoli 12, nono comma, e 14, secondo comma, della legge n. 18 del 1979, sull'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, che prevedono una particolare procedura per le liste di candidati eventualmente presentate da partiti o gruppi politici espressi dalle minoranze di lingua francese della Valle d'Aosta, di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia. Un procedimento simile, per favorire l'elezione di rappresentanti della comunità ladina e di candidati della lista di minoranza linguistica è prevista anche dalle leggi elettorali della provincia di Bolzano e della regione Friuli-Venezia Giulia. A livello internazionale, ci è gradito segnalare, in particolare, l'esperienza della Repubblica di Slovenia, che con norma costituzionale garantisce alle comunità nazionali autoctone italiana e ungherese l'elezione diretta nella Camera Pag. 10di Stato. Anche nella Costituzione della Repubblica di Croazia si garantisce ai membri delle minoranze nazionali il diritto particolare a eleggere i propri deputati al Sabor, il Parlamento croato.
  In conclusione, rinnoviamo l'appello a ricercare, nell'ambito della nuova legge elettorale, la soluzione tecnica più opportuna per dare alla minoranza slovena la possibilità concreta di avere un proprio rappresentante al Parlamento italiano, di avere quindi il diritto di tribuna, di concorrere in modo fattivo, e non da meri spettatori, alla vita politica del nostro Paese. Infine, ricordando il principio espresso dall'articolo 28 della citata legge n. 38 del 2001, invitiamo a non ridurre il livello di protezione dei diritti della minoranza slovena che si è affermato negli anni e che include anche il diritto alla propria voce e alla propria presenza nel più alto consesso della democrazia italiana. Vi ringrazio per la vostra attenzione e vi auguro buon lavoro.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Kasenija Dobrila. Nessuno chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Peter Močnik, Presidente
della
Slovenska skupnost.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione di Peter Močnik, Presidente della Slovenska skupnost, al quale chiedo di contenere l'intervento in circa dieci minuti.

  PETER MOČNIK, Presidente della Slovenska skupnost. Grazie, onorevole presidente. Innanzitutto, un ringraziamento per questo invito e per l'opportunità di poter interloquire su una legge che ritengo sia di fondamentale importanza, non soltanto per la vita del Paese, per il Parlamento in primo luogo, ma anche per dare spazio a tutte quelle realtà variegate che nel Paese vivono, operano e sono presenti, e sarebbe veramente un danno non piccolo se dovessero sparire o non avessero una propria rappresentanza. Parlo in questo caso come presidente del partito di raccolta della minoranza slovena in Italia presente nella Regione Friuli-Venezia Giulia e rappresentata nel Consiglio regionale dal suo primo insediamento, nel 1963. La minoranza slovena ha eletto propri rappresentanti anche in Parlamento sia nelle elezioni del 1921 sia in quelle del 1924, quindi in epoca immediatamente successiva alla Prima guerra mondiale, finché il regime non ha eliminato, in pratica, il Parlamento elettivo. Inoltre, non alle prime elezioni del 1948, ma subito dopo, ha nuovamente eletto un proprio rappresentante in Parlamento, e così ininterrottamente fino a oggi, anche in questa legislatura. Perché è importante che la legge tenga conto di questa rappresentanza? Per vari motivi. Innanzitutto, perché è giusto rispettare il diritto, è giusto rispettare le leggi dello Stato e rispettare le norme, soprattutto di rango costituzionale. In questo momento noi abbiamo una legislazione interna, che è seguita all'approvazione della Convenzione-quadro del Consiglio d'Europa per la protezione delle minoranze nazionali del 1995. Il Parlamento italiano, in ossequio a questa Convenzione-quadro, ha approvato la legge n. 482 del 1999, che è la legge quadro sulle minoranze linguistiche in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione italiana, e poi, la legge n. 38 del 2001, che regola e disciplina la tutela della minoranza slovena in Italia. L'articolo 26 della legge n. 38 del 2001 prevede espressamente che le leggi elettorali per l'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati dettano norme per favorire l'accesso alla rappresentanza di candidati appartenenti alla minoranza slovena. Quindi, c'è un obbligo nell'ordinamento interno italiano che impone di realizzare un sistema che garantisca una rappresentanza effettiva Pag. 11 a questa minoranza, che, lo ripeto, ha rappresentanti in Parlamento praticamente dalla nascita della Repubblica italiana, e li ha avuti anche in precedenza.
  Ma oltre alla normativa interna, che ho citato, ci sono anche norme internazionali, europee o conseguenti a trattati internazionali, quindi di rango costituzionale, che impongono di non abbassare il livello di tutela esistente, praticato e regolamentato. Ricordo che, per quel che riguarda la minoranza slovena nel Friuli-Venezia Giulia, dal Memorandum di Londra del 1954 al Trattato di Osimo del 1975, ratificato con legge n. 73 nel 1977 – oltre che dalla giurisprudenza costituzionale italiana e della Corte europea dei diritti dell'uomo – viene imposto che non si deve abbassare il livello di tutela della minoranza rispetto a quello che esiste e che è stato garantito fino a quel momento. Ricordo che la sentenza della Corte costituzionale n. 438 del 1993 afferma che bisogna garantire alla minoranza di esprimere in condizioni di effettiva parità la propria rappresentanza politica. Il professor Matteo Cosulich, docente che si è occupato varie volte di tali questioni, ha commentato questa sentenza nel senso che sono andato a illustrare.
  Non da ultimo, per quel che riguarda i rapporti tra Stati contermini, Italia e Slovenia sono nazioni madre ciascuna per la propria minoranza, quindi l'Italia è nazione madre per la minoranza italiana che vive in Slovenia e in Croazia. C'è il rappresentante dell'Unione degli italiani che seguirà questo mio intervento e potrà confermarlo, ma la Costituzione slovena garantisce l'elezione di un rappresentante della minoranza italiana in Slovenia a prescindere addirittura dal numero di voti che può prendere e dagli elettori che vanno a votarlo. Quindi, un voto garantisce l'elezione di un deputato del Parlamento sloveno, che conta 90 deputati in tutto. Anche in Croazia è così. L'Italia ha anche legiferato, per esempio, per quel che riguarda la minoranza tedesca dell'Alto Adige. Ci sono normative costituzionali, norme attuative dello statuto speciale della Valle d'Aosta, che pure riconoscono e garantiscono questo tipo di rappresentanza. Sarebbe veramente un danno, non solo un peccato, che la legge che si va ad approvare non prevedesse meccanismi che garantiscano, come previsto da norme sia internazionali sia interne, la rappresentanza a una minoranza che è presente da sempre.
  Nell'elaborato che mi sono permesso di trasmettere alla presidenza e alla Commissione ho indicato anche alcune soluzioni che possono essere attuate per realizzare questo impegno che l'Italia si è presa a livello interno e internazionale, dal seggio riservato per i candidati della minoranza slovena all'esenzione dalle quote elettorali, ovvero la riduzione dei quozienti a livelli che siano effettivamente praticabili per la consistenza della minoranza, sino a quello che è il modello seguito nella Regione Friuli-Venezia Giulia e che esiste da molti anni, cioè il modello utilizzato per le elezioni del Parlamento europeo, che garantisce una rappresentanza alle minoranze linguistiche purché raggiungano, anche in questo caso, dei quorum minimali corrispondenti a quelle che sono le loro consistenze sul territorio.
  Purtroppo, quando è stata approvata la riforma costituzionale, che sarà sottoposta a referendum, si è persa forse un'occasione, perché è stata segnalata, anche dal partito che mi onoro di presiedere, la possibilità, per esempio, di aggiungere un senatore o un deputato, a quelli assegnati alla Regione Friuli-Venezia Giulia, che fosse destinato alla minoranza slovena. Ritengo che, quanto meno a livello di legge elettorale, si possa sopperire a questa mancanza, non pregiudicando i diritti garantiti a livello internazionale e di cui la minoranza stessa sta godendo.
  Penso che ci sia spazio perché il Parlamento possa intervenire, secondo quello che sia la dottrina sia la giurisprudenza insegnano. Ho citato anche altre sentenze della Corte costituzionale che trattano la materia. La regione Friuli-Venezia Giulia alla fine ha trovato una soluzione, penso che anche il Parlamento nazionale possa trovare una soluzione al problema di assicurare quella rappresentanza che la legge nazionale prevede e chiede.

Pag. 12

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO FORCINITI. Ringrazio per il contributo, faremo tesoro della sua relazione.

  PRESIDENTE. Mi unisco al ringraziamento. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della memoria che il nostro ospite ha messo a disposizione della Commissione (vedi allegato 3).
  Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Walter Bandelj, Presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene, e di Maurizio Tremul, Presidente dell'Unione italiana.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione di Walter Bandelj, Presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene e di Maurizio Tremul, Presidente dell'Unione italiana.

  WALTER BANDELJ, Presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene. Buongiorno, onorevole presidente e onorevoli commissari, ringrazio per questo invito e ovviamente ringrazio anche Tremul. Oggi siamo insieme in questa veste perché lavoriamo molto sull'ex confine, che ci divide solo con una linea, che era stata fatta tanti anni fa. Ricostruisco anzitutto brevemente il contesto storico: gli sloveni del Litorale – cioè nella parte occidentale del territorio d'insediamento – sono per la prima volta passati sotto l'Italia nel 1866, in occasione del cosiddetto «plebiscito del Veneto». La partecipazione al plebiscito del 1886 della minoranza friulana di lingua slovena, della cosiddetta Benečija o Slavia Veneta, situata oggi nell'odierna provincia di Udine, fu particolarmente significativa. L'impero austriaco, infatti, dopo il trattato di Campoformido, aveva annullato l'autonomia giuridica, linguistica e fiscale un tempo riconosciuta dalla Serenissima alla comunità slovena, la quale, anche per questo motivo, aderì alle idee risorgimentali che andarono ampliandosi sempre di più dopo la breve parentesi del 1848. Il voto antiaustriaco degli sloveni fu unanime su 3.688 votanti; vi fu una sola scheda contraria al Regno d'Italia. Il passaggio al Regno d'Italia comportò molti cambiamenti economici, sociali e culturali per tale territorio, ma iniziò anche una politica di italianizzazione delle Valli del Natisone e del Torre, che nei decenni successivi al plebiscito alimentò un progressivo sentimento di delusione della speranza di riconoscimento di unità slovena. A livello nazionale, la comunità slovena non ebbe alcun rappresentante eletto. Il secondo passaggio all'Italia per la comunità slovena avvenne dopo i trattati di pace che seguirono la fine della Prima guerra mondiale. Questo periodo durò fino all'8 settembre del 1943, quando, a seguito dell'armistizio, il territorio, dove attualmente vive la comunità slovena, fu occupato dalle forze militari della Germania nazista. In questo arco di tempo, al Parlamento del Regno d'Italia furono eletti più rappresentanti della comunità slovena. Qui ricordiamo il 1921, quando furono eletti quattro parlamentari, poi nel 1924 tre parlamentari. Invece nel 1929 la rappresentanza parlamentare slovena cessò a causa della nuova legge elettorale che escludeva la partecipazione dei partiti politici. La rappresentanza parlamentare slovena si rinnovò dopo la Seconda guerra mondiale. Questo avvenne dopo la firma del memorandum di Londra nel 1954, quando il territorio della zona A passò all'Italia. Malgrado l'assenza di una specifica legge che garantisse l'elezione del Pag. 13rappresentante sloveno a partire dalle elezioni politiche del 1963, questi è stato sempre eletto nel Parlamento italiano sulla lista del Partito Comunista (abbiamo avuto dal 1963 al 1992 quattro eletti, dal 1992 al 2006 due eletti, poi dal 2008 fino al 2013 uno). Un tale sistema, tuttavia, è un'arma a doppio taglio perché ha un'intera gamma di condizioni. A causa del profilo ideologico del partito, non tutti gli sloveni hanno votato per il rappresentante sloveno. L'eletto doveva rispettare le disposizioni del partito o del gruppo parlamentare, che non sempre erano in armonia con gli interessi della comunità nazionale slovena del Friuli-Venezia Giulia. Gli sloveni di orientamento cristiano-democratico e liberale hanno tentato più volte di presentare una lista autonoma, specialmente all'inizio, ma non sono riusciti mai a ottenere un numero sufficiente di voti per eleggere almeno un parlamentare. Adesso passo alle altre minoranze linguistiche in Italia. Al Parlamento italiano siedono storicamente rappresentanti di altre minoranze linguistiche, in particolare della minoranza di lingua tedesca della provincia autonoma di Bolzano e della minoranza linguistica francese della regione autonoma Valle d'Aosta. Entrambe sfruttano un sistema elettorale basato specificamente sulla consistenza degli appartenenti alla minoranza linguistica e su accordi internazionali, nonché sugli statuti speciali. Inoltre, è opportuno citare il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 16 dicembre del 1966, articolo 25, col quale veniva riconosciuto alle minoranze linguistiche internazionali il diritto a partecipare, direttamente o attraverso rappresentanti eletti, alle questioni pubbliche che le riguardano. L'Unione europea ha anche preteso, attraverso i princìpi di Copenaghen, che fossero formalmente esplicitati e sostanzialmente garantiti i diritti politici delle minoranze come parte integrante di quei principi di democrazia e di stato di diritto che sono alla base della sua stessa fondazione. Sulla questione della rappresentanza si sono inoltre pronunciate anche la Corte europea dei diritti dell'uomo e la Corte di giustizia dell'Unione europea. In base ai pronunciamenti delle due Corti è stata approvata la convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1995, che agli articoli 7 e 15, garantisce loro, quale forma di tutela, la libertà di riunione pacifica e di associazione e l'impegno di coinvolgerle nel processo di decisione politica nelle materie interessate. La convenzione è stata ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 302 del 28 agosto 1997. Qui posso anche collegarmi alla rappresentanza, sulla quale magari il presidente dell'Unione Italiana, Tremul, sarà un po' più dettagliato. Dopo la Seconda guerra mondiale la minoranza linguistica slovena ha più volte chiesto l'approvazione di una legge di tutela globale. In tale contesto, si è varie volte chiesto di includere nella legge elettorale un sistema che garantisse e agevolasse l'elezione del rappresentante sloveno nel Parlamento italiano. Questa richiesta si è ancora più intensificata dopo l'indipendenza della Slovenia nel 1991. Con la nuova costituzione democratica la Repubblica di Slovenia ha riconosciuto a livello costituzionale, con l'articolo 64 della Costituzione della Repubblica di Slovenia, la minoranza linguistica italiana, riconoscendole il seggio garantito nell'Assemblea nazionale. Infatti, viene precisato che i diritti di entrambe le comunità nazionali, italiana e ungherese, e dei loro appartenenti, sono garantiti indipendentemente dal numero degli appartenenti alle due comunità. L'elezione avviene attraverso l'iscrizione dell'appartenente alla minoranza italiana in un particolare elenco e tramite una circoscrizione elettorale dedicata, che comprende i quattro comuni in cui storicamente è presente la comunità italiana. Non vi è alcuna soglia di sbarramento e viene eletto il candidato più votato. Gli elettori in lingua italiana, che si iscrivono in un particolare elenco, conservano anche il diritto di votare per le liste che si presentano nelle circoscrizioni elettorali ordinarie. Adesso passo ad esaminare la legge n. 38 del 2001 per la tutela della minoranza linguistica slovena del Friuli-Venezia Giulia – questa è la legge più importante per gli sloveni in Italia – entrata in vigore il 23 febbraio 2001. In questa legge vengono per la prima volta inserite delle disposizioni Pag. 14 speciali per l'elezione di un rappresentante sloveno al Parlamento italiano. L'articolo 26 recita: «Le leggi elettorali per l'elezione del Senato e della Camera dei deputati contengono disposizioni che facilitano l'elezione dei candidati appartenenti alla minoranza slovena.» Sfortunatamente questa disposizione fino ad oggi non è stata attuata. La questione della rappresentanza parlamentare della minoranza linguistica slovena non è una questione nuova. Le varie richieste da parte dei rappresentanti sloveni che si sono succedute dal secondo dopoguerra si sono basate innanzitutto su quanto disposto dalla Costituzione della Repubblica italiana, negli articoli 3 e 6, nonché sui trattati internazionali, in primo luogo sul memorandum di Londra del 1954 e sul trattato di Osimo del 1975, che prevede il rispetto del principio di parità di diritti e di trattamento, nonché il mantenimento del livello di protezione dei membri di gruppi etnici, quello sloveno in Italia e quello italiano in Slovenia, allora facente parte della Jugoslavia. A conferma del riconoscimento di forme particolari per la rappresentanza politica vi è la sentenza della Corte costituzionale n. 438 del 1993, parte in diritto, che si esprime a favore della garanzia per la minoranza slovena di esprimere in condizioni di effettiva parità la propria rappresentanza politica. Purtroppo, di quanto esposto sopra, come anche di quanto riportato nel citato articolo 26 della legge 23 febbraio 2001, n. 38, non si è tenuto conto né in occasione dell'approvazione della legge elettorale n. 270 del 2005, cosiddetto «Porcellum», né quando venne votata la legge elettorale n. 52 del 2015, il cosiddetto «Italicum». Inoltre, negli ultimi anni, la mutata situazione politica ha messo fortemente in dubbio la possibilità di eleggere il rappresentante sloveno secondo la tradizionale usanza in vigore dal 1963, in base alla quale il parlamentare della minoranza linguistica slovena veniva eletto grazie alla buona volontà di un partito nazionale. Le mutate condizioni politiche e partitiche negli ultimi anni mettono in forte dubbio la possibilità di eleggere un parlamentare della minoranza linguistica slovena secondo l'usanza fino ad ora in vigore. A prova di ciò è importante considerare il risvolto delle ultime due elezioni politiche. In entrambi i casi l'elezione del rappresentante sloveno è stata determinata da circostanze fortunose. Nel 2013 venne eletta alla Camera dei deputati, nella circoscrizione Friuli-Venezia Giulia, la candidata del Partito Democratico, Tamara Blazina al quinto posto sulla lista. L'elezione avvenne in quanto il PD risultò il partito più votato. Diversamente, l'elezione non sarebbe avvenuta. Nel 2018 viene eletta al Senato della Repubblica Italiana, nel collegio plurinominale Friuli-Venezia Giulia, la candidata del Partito Democratico Tatjana Rojc, al secondo posto nella lista. L'elezione poté avvenire solo in quanto il primo candidato della lista, Tommaso Cerno, venne eletto contemporaneamente anche nel collegio n. 1, Milano, e optò per l'elezione in questo ultimo collegio. Sempre per quel che riguarda le elezioni politiche del 2018, fu molto lontano dall'elezione il candidato sloveno della lista «Liberi e uguali» per la Camera dei deputati nel collegio di Gorizia. Il collegio è disegnato su un'area dove risiede la minoranza linguistica slovena, ma tale area non comprende tutti i trentadue comuni in cui è riconosciuta la presenza storica della minoranza e dove viene attuata la legge n. 38 del 2001. Tutto ciò a dimostrazione che l'attuale presenza del rappresentante sloveno nel partito italiano è dovuta in primis unicamente alla buona volontà dimostrata da un partito nazionale, fatto sicuramente da apprezzare, ma molto lontano da una soluzione normativa a garanzia delle elezioni del rappresentante sloveno e della reciprocità, considerato quanto previsto dalla Repubblica di Slovenia in favore della rappresentanza parlamentare della minoranza linguistica italiana. La situazione del Friuli-Venezia Giulia: nel consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia c'è sempre stata la presenza dei consiglieri regionali di lingua slovena a partire dalle prime elezioni regionali del 1964. L'elezione avveniva tramite candidatura in una delle liste dei partiti nazionali oppure sulla lista «Slovenska Skupnost», partito di riferimento della minoranza slovena. Quest'ultima, in occasione dell'approvazione Pag. 15 della nuova legge elettorale regionale, ha proposto l'inserimento del cosiddetto «modello europeo». Tale modello per il Friuli-Venezia Giulia prevede che una lista di espressione della minoranza linguistica slovena possa eleggere un proprio consigliere regionale se la lista ottiene l'1 per cento o più dei voti validi oppure se il candidato con il maggior numero di preferenze sulla lista della minoranza linguistica slovena ottiene nei cinque collegi la migliore percentuale. Per poter beneficiare delle sopraelencate agevolazioni la lista di espressione della minoranza linguistica slovena deve sottoscrivere un accordo di apparentamento con un'altra lista di candidati che elegge almeno un consigliere regionale. Questo modello, che è stato introdotto con l'articolo 23 della legge elettorale regionale n. 17 del 2007, ha fino ad ora sempre garantito l'elezione del rappresentante sloveno. Ne ha usufruito solamente il partito della Slovenska Skupnost in occasione delle elezioni regionali del 2008, 2013 e 2018, sottoscrivendo l'accordo di apparentamento col Partito democratico.
  Le proposte: il partito Slovenska Skupnost ha più volte presentato degli emendamenti che favorissero l'elezione del rappresentante sloveno in Parlamento. Anche prima dell'approvazione dell'ultima legge elettorale i rappresentanti della Slovenska Skupnost, con l'aiuto del gruppo parlamentare per le autonomie al Senato, hanno presentato due proposte che avrebbero consentito l'elezione del parlamentare sloveno. In un caso, si elegge il parlamentare sloveno tra una lista di candidati, in un collegio dedicato che comprende l'intera regione del Friuli-Venezia Giulia, se raggiunge l'1 per cento dei voti validi a livello regionale; nell'altro, si elegge il parlamentare sloveno tra una lista di candidati se raggiunge almeno il 7 per cento, in uno speciale collegio che è determinato sulla base della delimitazione di cui all'articolo 10 della legge n. 38 del 2001. Sfortunatamente queste due proposte sono state respinte e la legge n. 52 del 2015 è stata approvata con la sola raccomandazione al Governo che sia necessario facilitare l'elezione degli sloveni. A quel tempo il Governo ha ritenuto di aver ottemperato a questa raccomandazione, includendo l'intero territorio insediativo della minoranza slovena, 32 comuni, in un unico collegio elettorale per quanto riguarda il Senato della Repubblica. Concludo descrivendo la situazione attuale: con la riforma costituzionale approvata dal Parlamento italiano per la riduzione del numero dei parlamentari, su cui è stato indetto il referendum confermativo, che presumibilmente si terrà a settembre, la situazione riguardante l'elezione del rappresentante parlamentare della minoranza linguistica slovena si viene a complicare ulteriormente. La riduzione del numero dei senatori da 315 a 200 e quella dei deputati da 630 a 400 rende in pratica impossibile il mantenimento della rappresentanza parlamentare della minoranza linguistica slovena. Il progetto di legge C. 2329 del 14 gennaio 2020 prevede una diminuzione della percentuale dei voti validi per le liste rappresentative di minoranza linguistica. La diminuzione dimostra l'impegno nel recepire il problema della rappresentanza politica della minoranza linguistica slovena, ma non ne risolve il problema. Il 15 per cento risulta ancora una percentuale proibitiva per l'attuale condizione della minoranza linguistica slovena del Friuli-Venezia Giulia. Conclusioni: vista la lunga tradizione politica di partecipazione al Parlamento italiano della minoranza linguistica slovena che, seppur con un unico parlamentare per legislatura, ha comunque dato nella storia della Repubblica un importante contributo politico che attesta il valore della qualità democratica, determinata anche dal sistema elettorale, considerando inoltre l'evoluzione dei principi di rappresentanza e la normativa nazionale ed internazionale riguardo alla tutela delle minoranze linguistiche e ritenendo che sarebbe molto opportuno recepire anche a livello di rappresentanza parlamentare la reciprocità, considerato quanto in vigore nella vicina repubblica slovena, in cui vive la minoranza linguistica italiana, invitiamo calorosamente i signori deputati e senatori a verificare la situazione normativa in materia elettorale al fine di garantire quanto stabilito dall'articolo Pag. 16 26 della legge del 23 febbraio 2001 n. 38. Certamente, ringrazio tutti voi e specialmente, come ho anticipato all'inizio, il presidente dell'Unione Italiana, con cui in tutti questi anni ho lavorato per il bene delle due minoranze, che si trovano sull'ex confine tra l'Italia e la Slovenia.

  MAURIZIO TREMUL, Presidente dell'Unione italiana. Buongiorno a tutti, gentile presidente, gentili membri della Commissione. Ringrazio per aver accolto la nostra richiesta di poter essere ascoltati da questa Commissione su questo tema, che per noi è molto importante. Cercherò di delineare brevemente alcune questioni in maniera sintetica, anche perché vi lascerò poi un promemoria un po' più ampio in cui potrete, se ne avrete il tempo, approfondire alcune questioni. Mi soffermo, anzitutto, sull'assetto giuridico-costituzionale della Slovenia e della Croazia, perché dovete sapere che l'Unione Italiana è l'organizzazione unitaria rappresentativa di tutti gli italiani di Croazia e Slovenia, cioè di chi rimase in quei territori dopo la Seconda guerra mondiale e dei loro discendenti. È l'organizzazione che si occupa di mantenere viva la lingua, la cultura e l'identità italiana in Istria, Fiume, Quarnero e Dalmazia. Dicevo, l'assetto giuridico costituzionale della Slovenia e della Croazia è sostanzialmente molto elevato. Sicuramente è molto elevato quello della Slovenia, che prevede una serie di diritti specifici tra le comunità nazionali. Quello che poi viene effettivamente attuato è molto di meno di ciò che sta scritto, però non è questo il tema che vorrei affrontare oggi. La Slovenia ha un Parlamento di 90 parlamentari, 88 eletti sulla lista dei partiti. Due sono i seggi assicurati alle due comunità minoritarie che in Slovenia si chiamano «comunità nazionali», che la Costituzione riconosce. La Slovenia riconosce due comunità nazionali: la comunità nazionale italiana e la comunità nazionale ungherese e riconosce alcuni diritti dei rom. I due parlamentari vengono eletti dagli appartenenti alla comunità nazionale italiana e ungherese, sulla base di elenchi elettorali specifici. Chi va a votare il giorno delle elezioni politiche riceve due schede, una per votare il proprio rappresentante parlamentare e una per votare i partiti che gli sono più congeniali. I deputati eletti hanno gli stessi diritti, gli stessi doveri e gli stessi obblighi dei loro colleghi, senza nessun tipo di distinzione. Hanno in più il diritto di veto sulle normative specifiche che riguardano la materia delle comunità nazionali, quindi non su articoli di legge, ma sulle leggi che riguardano e che regolamentano solo i diritti delle minoranze nazionali. La Croazia ha un sistema molto simile. Il Parlamento croato ha dai 100 ai 160 parlamentari. La Croazia riconosce oltre ventidue minoranze nazionali. Ai serbi sono assicurati tre seggi, agli italiani un seggio, agli ungheresi un seggio. Gli altri due seggi garantiti per le minoranze sono assicurati alle altre minoranze riconosciute dalla Croazia. Anche in Croazia vige il sistema per cui c'è un elenco elettorale particolare. Il deputato è espressione di una comunità nazionale, eletto da coloro che si iscrivono volontariamente in questo elenco elettorale. In Croazia devi scegliere se vuoi votare per il partito o votare per il seggio specifico. Non c'è il cosiddetto «doppio voto» o voto aggiuntivo come in Slovenia. In Croazia non c'è il diritto di veto su niente da parte dei deputati delle minoranze. Anche loro hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri dei loro colleghi eletti sulle liste dei partiti. Va detto che siamo riusciti a ottenere come comunità italiana, nel 1992, quando Croazia e Slovenia divennero stati indipendenti e riconosciuti, il seggio specifico anche in Croazia, proprio portando il modello che avevamo in Slovenia, un modello che esisteva già prima nella cosiddetta «Repubblica Socialista di Slovenia», all'interno della «Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia». L'abbiamo ottenuto grazie al concorso dell'Italia, del Governo italiano, che allora pose come una delle condizioni per riconoscere l'indipendenza della Croazia il riconoscimento di un seggio specifico alla comunità nazionale italiana. Quindi io colgo l'occasione per ringraziare ancora una volta l'Italia per il costante sostegno che ci ha sempre dato sulle questioni della comunità nazionale italiana. Esiste una collaborazione tra le due comunità nazionali, quella slovena in Pag. 17Italia e quella italiana in Slovenia e in Croazia, che dura da decenni, che è molto forte, che va dai progetti europei alle iniziative reciproche congiunte, fino anche al sostegno e alla solidarietà reciproca. Per questo motivo ho deciso di chiedere di essere ascoltato per sostenere l'auspicio che, nel processo di riforma giuridico-costituzionale del Parlamento, della Camera, del Senato e della legge elettorale, siano individuati quei meccanismi che poi assicurino l'elezione di un parlamentare espressione della comunità nazionale slovena. Voglio anche ricordare che il 22 aprile 2015, quando il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella si recò in visita di Stato ufficiale in Slovenia e il giorno successivo in Croazia, quindi prima a Lubiana e poi a Zagabria, disse che i rapporti tra Italia e Slovenia sono ottimi, ottimi rapporti che sono stati anticipati da anni di esemplare collaborazione tra le due comunità nazionali slovena e italiana. L'Unione Italiana, che rappresenta tutti gli italiani di Croazia e di Slovenia, ha sempre sostenuto quale imperativo etico le legittime richieste della comunità nazionale slovena, anche per quanto concerne la necessità di una rappresentanza garantita presso il Parlamento italiano e anche presso il Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, come pure la piena attuazione della legge n. 38 del 2001 e delle sue ulteriori implementazioni. Riteniamo fondamentale sia assicurato quindi alle minoranze nazionali riconosciute in Italia il diritto di rappresentanza e di voce presso il massimo organo legislativo del Paese, la Camera dei Deputati e/o il Senato della Repubblica. Nel luogo della democrazia per eccellenza, il Parlamento, deve essere riconosciuta l'opportunità, il diritto e al contempo il dovere di consentire alle comunità minoritarie per numero, ma non certamente per ricchezza e valore che rappresentano, anche per l'Italia, di essere rese attive e partecipi, nell'elaborazione dell'impianto legislativo e costituzionale del Paese. È, ne siamo convinti, una conquista di civiltà. Non compete a noi fare proposte operative concrete su questa tematica comunque così importante anche per la comunità nazionale italiana. Abbiamo troppo rispetto per l'istituzione che ci ospita oggi qui. Auspichiamo e ci appelliamo a voi, spettabili onorevoli deputati, affinché siano individuate nell'ambito dell'assetto giuridico-costituzionale italiano – quella che noi chiamiamo «nazione madre» – le opportune soluzioni legislative e operative che consentiranno alla comunità nazionale slovena il mantenimento della propria rappresentanza nel Parlamento italiano. Siamo convinti che questo diritto di rappresentanza avrà molteplici risultati positivi, perché darà una risposta convinta e giusta alle legittime aspettative della comunità slovena, rafforzerà il pluralismo democratico del Paese, contribuirà a rafforzare il dialogo con la Slovenia, aumenterà il prestigio dell'Italia in Slovenia, che è anche un fattore importantissimo, e avrà sicuramente ricadute positive anche sulla comunità nazionale italiana. È una soluzione che noi auspichiamo e che rappresenterebbe un ulteriore nuovo passo lungo la strada di un'amicizia ancora più forte tra Slovenia e Italia o tra Italia e Slovenia, che vedrà il 13 luglio i due capi di Stato dei due Paesi riconsegnare simbolicamente – non ancora in maniera effettiva e completa – il Narodni Dom alla comunità slovena, nel centenario del suo incendio e li vedrà anche presenti nei due luoghi in cui avvennero alcuni obbrobri del secolo scorso (luoghi di eccidi, totalitarismi e nazionalismi contrapposti); ovvero presso la foiba di Basovizza e presso il monumento dei quattro fucilati della comunità nazionale slovena. Nel ringraziarvi per la vostra attenzione e nell'auspicio che il Parlamento italiano riesca a individuare quelle soluzioni appropriate per consentire la rappresentanza parlamentare della comunità slovena, vi ringrazio e vi consegno una documentazione, che metto a disposizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione che i nostri ospiti hanno messo a disposizione della Commissione (vedi allegato 4).
  Nessuno chiede di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

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Audizione del professor Stefano Passigli, già professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Stefano Passigli, già professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze.

  STEFANO PASSIGLI, già Professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze. Grazie presidente e un saluto a tutti i membri della Commissione. Parlando di corsi e ricorsi, che si applicano anche alle leggi elettorali, ricordo che l'ultima volta che ho partecipato come parlamentare, a questa Commissione (si era nell'undicesima legislatura e, quindi, nella notte dei tempi! Quasi trent'anni fa) era in discussione – dopo il referendum «Segni» – la legge Mattarella, cioè il passaggio dal proporzionale al maggioritario. Oggi stiamo parlando di una proposta di legge che sancirebbe un definitivo ritorno dal maggioritario al proporzionale. Quindi, noi dobbiamo innanzitutto chiederci se vi sia una sostanziale differenza tra il maggioritario e il proporzionale, che rapporto vi sia tra questi due grandi sistemi, ognuno dei quali si declina in sottosistemi, quali siano i legami tra questi sistemi e le funzioni delle leggi elettorali, che assolvono ad una pluralità di funzioni. Le tre grandi funzioni che vengono sempre ricordate sono la rappresentanza del corpo elettorale, la governabilità del Paese e la selezione della classe politica. Vi sono altre funzioni: rappresentazione e partecipazione, ad esempio, non sono sinonimi. La partecipazione è un concetto diverso da quello di rappresentanza, ma è inutile dilungarsi su questo argomenti. Le leggi elettorali hanno anche un significato simbolico; ma restiamo alle due grandi funzioni di rappresentanza e governabilità, con il corollario che comunque eleggere, «eligere», significa scegliere, significa scegliere una classe politica, sia a livello della rappresentanza parlamentare, che a livello di governo, attraverso il circuito dei partiti-Parlamento-Governo. Le leggi elettorali devono assicurare un mix di rappresentanza e governabilità. Quando eccedono in un senso piuttosto che nell'altro sono criticabili. L'optimum sarebbe che garantissero il massimo di rappresentanza senza pregiudicare la governabilità. Vi sono molti luoghi comuni che dobbiamo innanzitutto sfatare in materia di legge elettorale. Importante è capire se agiamo in un certo sistema di democrazia parlamentare, in un sistema presidenziale o semi-presidenziale o altro. È evidente che l'impatto di una stessa legge elettorale è molto diverso a seconda della forma di governo. Comunque quali sono i luoghi comuni da sfatare? Il primo è che il sistema proporzionale porti instabilità. Non è assolutamente vero. Storicamente, se guardiamo i sistemi politici, non è affatto vero che leggi elettorali proporzionali provochino instabilità. L'instabilità viene dalla mancanza di maggioranze omogenee. Dipende dalla struttura di un Paese, dalla sua storia, da tantissimi fattori, anche dalle leggi elettorali, ma il parallelo tra proporzionale e instabilità, tra maggioritario e stabile governabilità è assolutamente falso. In Europa questo è dimostrabile facilmente. La Germania, grazie anche a particolari istituti costituzionali, come la sfiducia costruttiva, è il Paese più stabile, che ha avuto una sola crisi di governo che si è risolta proprio grazie al meccanismo della sfiducia costruttiva; mentre in un Paese considerato fino ad oggi molto stabile, l'Inghilterra, con il suo sistema Westminister, realtà almeno dieci primi ministri sono stati rovesciati dal loro stesso partito (dieci crisi di governo contro una). È molto più stabile la Germania con la sua legge proporzionale che l'Inghilterra con il maggioritario. Il maggioritario sta Pag. 19fallendo anche in Francia, benché a doppio turno. Ricordavo poc'anzi l'esperienza di questa Commissione parlamentare nella XI legislatura, quando si varò la legge Mattarella (Mattarella era membro della Commissione), fino alla fine vi fu incertezza se adottare il turno unico o il doppio turno. Io ero favorevole al doppio turno, ma non riuscii a convincere Segni, che in quel momento aveva una notevole influenza sui lavori della Commissione, ma anche nel Paese, a presentare un emendamento in Commissione. Lo presentò insieme a me in aula, quando ormai era troppo tardi, perché ormai la Commissione aveva già votato per il turno unico. Sia a turno unico sia a doppio turno il maggioritario non garantisce comunque la governabilità: in Francia abbiamo un maggioritario a doppio turno, ma, se andassimo a vedere la situazione nei vari collegi, vedremmo che il doppio turno, in circa la metà dei casi, si tradurrebbe in un confronto tra le due ali estreme, tra Melenchon e Le Pen. Francamente non era questo il portato della teoria del doppio turno. A cominciare dal primo libro scritto in Italia sul doppio turno da Fisichella, tutti i teorici del doppio turno hanno sempre sostenuto che esso favorisse al secondo turno la convergenza verso il centro degli elettori. Questo non è affatto vero in Francia, in questo momento. Quindi, è il contesto storico più che qualsiasi altra cosa che ci dice se una certa legge elettorale ha risultati positivi o no in termini di governabilità. Oltre alla Francia, ho citato l'Inghilterra. Ma anche la stessa Spagna, che ha un sistema falsamente proporzionale – perché il fatto che non vi sia un recupero dei seggi a livello nazionale fa sì che nei piccoli collegi solo i grandi partiti eleggano propri candidati – ha avuto recentemente un cambiamento nel sistema partitico molto forte. Quello che era un sistema apparentemente proporzionale, ma dagli esiti chiaramente maggioritari, è diventato invece un sistema che ha esiti del tutto diversi. Quindi non è vero che il sistema proporzionale produce necessariamente instabilità e il maggioritario necessariamente governabilità. La legge Mattarella ha prodotto in Italia una relativa instabilità, ma soprattutto ha prodotto l'esplosione della frammentazione, perché il turno unico favorisce la nascita di piccoli partiti. Se in un collegio si vince per un solo voto e nazionalmente – esperienza Prodi del 2006 – si vince per poche migliaia di voti, è chiaro che chi possiede in un collegio anche cinquecento voti – o a livello nazionale alcune decine di migliaia di voti – strappa, specie in un sistema di collegi uninominali a turno unico, alcuni collegi sicuri. Quando poi entra in Parlamento sta nel Gruppo Misto o trova aggregazioni per formare gruppi composti in realtà in maniera abbastanza disomogenea. Si determina dunque quello che abbiamo conosciuto sia con i governi Berlusconi sia con i governi Prodi, cioè governi eletti da maggioranze formate da oltre dieci gruppi parlamentari in entrambi i casi. La legge Mattarella non ha quindi prodotto stabilità: ha prodotto frammentazione, rivelandosi così un caso di sistema parzialmente maggioritario in cui la frammentazione non veniva, però, come molti ancora affermano dicono, dal 25 per cento di quota proporzionale, ma piuttosto dal collegio maggioritario a turno unico. Chi sostiene che la frammentazione veniva dal 25 per cento di quota proporzionale chiaramente sbaglia, perché quella quota proporzionale del 25 per cento serviva ai grandi partiti, serviva, con le liste bloccate, alla nomenclatura dei grandi partiti. Non è certo questo che ha prodotto frammentazione! Bisogna scegliere a questo punto quale legge sia migliore nell'attuale contesto italiano, tenendo molto presente le modifiche che sono intervenute nel sistema partitico che per molti decenni era stato molto stabile (con differenze, che malgrado il sistema proporzionale, si traducevano alle elezioni in variazioni di pochi punti percentuali). Con un 2 per cento in più o meno si cantava vittoria o si piangeva una sconfitta. Oggi abbiamo una volatilità che è pari solo a quella dei mercati finanziari. Il mercato politico ha oggi una volatilità immensa. In questo contesto il maggioritario è molto rischioso. È molto rischioso, perché blocca per cinque anni una maggioranza che spesso non è più corrispondente alla maggioranza del Paese. Io diffido molto dei sistemi elettorali che consentano Pag. 20 la formazione di maggioranze, anche attraverso effetti maggioritari, che non corrispondono poi alla reale maggioranza del Paese. È il caso francese. Macron ha una maggioranza in Parlamento, ma non ha la maggioranza nel Paese. Allora si ritrova i gilets jaunes in piazza e nelle strade. Un sistema deve mantenere una qualche flessibilità, se vuole avere un rapporto con l'opinione pubblica, con il Paese, se vuole evitare fenomeni di disaffezione, se vuole evitare quello che i politologi chiamano «l'exit», cioè dopo la partecipazione dopo la contestazione, addirittura il rifiuto del sistema. Noi siamo ormai vicini al rifiuto del sistema. Abbiamo già passato la fase dei partiti che nascevano sulla base di una insoddisfazione sul funzionamento del sistema. Siamo alla vigilia di una possibile contestazione delle istituzioni, soprattutto se la crisi economica si aggravasse, cosa possibile. Quindi, credo che dobbiamo avere un sistema che sia flessibile, che permetta la formazione di maggioranze diverse da quelle che si sono formate il giorno delle elezioni. Il proporzionale assicura questa flessibilità molto più del maggioritario. Vi faccio due esempi; pensate al maggioritario americano. Bush Jr. viene eletto grazie al voto della Florida, ove prevale su Gore: cinquecento voti di differenza in uno Stato chiave ne consentono l'elezione. Bush Jr si imbarca subito in una disastrosa guerra contro l'Iraq. Questa guerra diventa rapidamente impopolare. In un sistema di democrazia parlamentare, il Governo sarebbe indubbiamente caduto; invece l'amministrazione Bush è rimasta in carica per quattro anni. C'è chi sostiene che la sera delle elezioni sappiamo chi vince e governa per cinque anni. Ciò andava forse benissimo nell'Inghilterra dell'Ottocento, ove Bagehot, grande costituzionalista, poteva affermare: «Siamo un Paese talmente unito che possiamo permetterci di dividerci.» Non è il caso nostro oggi; non è il caso delle democrazie europee. Non è il caso del mondo, in un momento di grande variazione, in un momento di contestazione, di crisi economica. Le crisi economiche o le grandi crisi storiche e sociali possono essere fronteggiate solo dando un massimo di rappresentanza alla popolazione e questo lo si fa con un sistema proporzionale e con liste aperte. Uno dei grandi errori del sistema italiano sono le liste bloccate. Io mi chiedo ancora perché un grande partito come il PDS (Partito Democratico della Sinistra) di allora, e un grande sindacato come la CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), dopo aver appoggiato e lanciato una mia proposta di referendum, che aboliva le liste bloccate, l'abbiano poi ritirata, quando oramai stava raccogliendo 10.000 firme al giorno. Dopo appena poche settimane fu fermata per dissensi interni alle due organizzazioni che l'avevano inizialmente appoggiata. Io ho sempre ritenuto – e devo ribadirlo ancora oggi – che le liste bloccate siano una delle maggiori ragioni di insoddisfazione dei cittadini italiani nei confronti della politica. Se non si possono scegliere i propri rappresentanti, diventa molto facile accusare il palazzo e rinfocolare la perenne polemica dell'antiparlamentarismo, che è un tratto della storia italiana: il Paese reale contro il Paese legale. Non riusciamo a liberarci di questa maledizione. Quindi noi dobbiamo tornare – ma non lo vedo in questa proposta di legge – alle liste aperte. Con le liste aperte la selezione della classe politica si fa o col voto di preferenza – che, con tutti i suoi difetti, è comunque preferibile alle liste bloccate – o con il collegio uninominale o ancora con un mix, di collegi uninominali e di collegi plurinominali. Il collegio uninominale consente l'identificazione del candidato. Il collegio plurinominale dà un maggior peso all'organizzazione del partito. Non è un caso che i partiti già in crisi siano poi scomparsi in parallelo con l'adozione delle liste bloccate. Le liste bloccate favoriscono le lotte interne di partito, favoriscono il vincente nella lotta per la segreteria per il controllo del partito, non favoriscono il rapporto con i cittadini. Quindi uno dei punti che mi sentirei di sottolineare e suggerire a questa Commissione è quello di tornare all'etimologia: «eligere» significa «scegliere». Lasciamo il diritto di scegliere ai cittadini. Eliminiamo le liste bloccate e diamo flessibilità con una legge che sia nell'attuale contesto principalmente proporzionale. Pag. 21 Io sono stato per il maggioritario nel 1993. Non me ne pento. Avrei voluto un maggioritario a doppio turno. Vedo oggi che persino il doppio turno in Francia non funziona. Non funziona nel senso in cui l'avevamo teorizzato in scienza politica e nel diritto costituzionale. Quale che ne siano gli effetti, ma l'importante è che i sistemi elettorali non devono diventare una camicia di forza. Devono essere essi stessi flessibili e permettere che le istituzioni si adattino al mutare dei tempi; soprattutto il rapporto Parlamento-Governo, cuore della democrazia parlamentare, deve essere assicurato e mantenuto. La proporzionale lo mantiene più di qualsiasi altro sistema. Un impianto fondamentalmente proporzionale lo mantiene più che una legge di impianto maggioritario, che fotografa in un certo momento la storia di un Paese ma non ne segue i mutamenti. Ripeto, se siamo in un momento di stabilità può andare bene anche il maggioritario. Se siamo in un momento di volatilità politica, come adesso, il maggioritario non va bene. Non va bene, perché noi assistiamo a partiti che oggi sono al 30 per cento e domani al 15, e che dal 15 possono salire al 30 e riscendere al 20. Abbiamo una situazione talmente fragile che persino l'election day diviene pericoloso. Gli election day vanno bene quando ci sono condizioni di stabilità, altrimenti, favorendo una Camera uguale al Senato, e ancor di più se eleggessimo assieme – e sarebbe una vera follia! – regioni, Camera e Senato, lo stesso giorno, avremmo veramente toccato il massimo del rischio, perché una delle ragioni per cui si fanno elezioni in momenti diversi è quello di assicurare una qualche forma di bilanciamento dei poteri. Non è un caso che persino il sistema presidenziale americano preveda le «by-elections», le elezioni cioè di mezzo termine.
  Queste sono le mie principali considerazioni. In conclusione, ci potremmo anche tenere il «Rosatellum», purché con liste aperte, e, per quanto riguarda i collegi uninominali, con primarie, purché regolate per legge, non certo quella farsa che sono state le primarie italiane, dove votava chiunque passasse per una certa piazza in un certo momento, quale che ne fosse l'età o la nazionalità, votando magari anche più volte e per favorire particolari forze e particolari candidati. A queste condizioni, potremmo anche tenerci il «Rosatellum»; meglio invece passare a un sistema interamente proporzionale, eliminando le liste bloccate, mantenendo flessibilità al sistema e permettendo alla democrazia parlamentare di svolgere il suo compito, che è quello di essere flessibile nei momenti di volatilità e di crisi politica. Naturalmente non sono entrato nei dettagli, ma credo discendano da quanto affermato. Sono pronto a rispondere anche sui dettagli della proposta di legge, se lo vorrete.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni. Prego, Forciniti.

  FRANCESCO FORCINITI. Grazie al professore Passigli. Devo dire che ho apprezzato molto le sue osservazioni, tutte volte a sfatare il falso mito, che sta dietro a quel filone di pensiero che propugna soluzioni maggioritarie, secondo cui può esistere una formula magica per ricondurre «a più miti consigli» un sistema che, per sua natura, è complesso e frammentato e riesce a esprimere varie anime e varie sensibilità. Posto che, per quanto mi riguarda, questo non è un problema. Non è un limite, non è una zavorra, anzi è indice, secondo me, di un Paese vivo, di un Paese fervido, di un Paese che riesce comunque anche a esprimere varie sensibilità e quindi a non appiattirsi verso il pensiero unico, verso questi due macroblocchi di pensiero. Ma anche se quello dell'eccessiva frammentazione del nostro quadro politico fosse realmente un problema, è illusoria l'idea, anche secondo me, di poter razionalizzare questo quadro attraverso il grimaldello della legge elettorale, perché, tra l'altro, l'esperienza di questi ultimi venticinque anni ci conferma che anche avere provato soluzioni più o meno maggioritarie non ha poi alla fine limitato quella naturale tendenza del nostro sistema istituzionale alla frammentazione o comunque all'espressione di punti di vista diversi. Questo non deve necessariamente Pag. 22essere visto come una minaccia, come un pericolo o come un potenziale fattore di perdita di competitività del nostro Paese, perché, per quanto mi riguarda, l'idea, che sta dietro a chi propugna soluzioni maggioritarie, di voler cristallizzare un quadro in un certo momento, anche a costo di creare maggioranze artefatte che nel Paese non esistono, per poi lasciarli lavorare per cinque anni, significa anche ridurre il cittadino al ruolo di mero portatore di voti, che firma una delega in bianco, non avendo un controllo intermedio nell'arco di quello che accade durante la legislatura. Ciò invece non accade in un sistema proporzionale, perché il cittadino, attraverso i suoi rappresentanti, può eventualmente anche esercitare una sorta di controllo intermedio su un Esecutivo e questo, per me, non è un male. Anche se può succedere che un Governo non duri cinque anni, chiediamoci se il gioco valga la candela. Vogliamo blindare un Governo per cinque anni e dargli la possibilità di fare qualsiasi cosa? Anche se magari le cose che fa ad un certo punto non sono più le cose che il Paese reale vuole, che il corpo elettorale vuole, che vogliono quelle stesse persone che hanno espresso un consenso a quella forza politica che poi va al governo? Si tratta di trovare un equilibrio, perché da questa parte non si vuole un sistema elettorale che sia puramente proporzionale, perché un minimo di correttivi maggioritari possono essere comunque auspicabili per evitare un'eccessiva frammentazione (quindi una soglia di sbarramento che poi può essere individuata in un certo limite). In questo il lavoro della Commissione sarà fondamentale. Anche la grandezza dei collegi, se vogliamo, costituisce un sistema di sbarramento implicito, perché più il collegio è piccolo, più la soglia di sbarramento diventa implicita, più il quoziente intero diventa difficile da raggiungere. Noi non siamo gli integralisti o i fondamentalisti del proporzionale puro, però è chiaro che in un momento storico come questo, in un momento in cui ci sono anche maggiori richieste di partecipazione da parte dei cittadini, maggiori richieste di essere rappresentati, per quanto ci riguarda, a maggior ragione se si va verso il taglio dei parlamentari, diventa fondamentale garantire una rappresentanza ai cittadini. In questa eterna ricerca di bilanciamento tra rappresentanza e governabilità sicuramente la rappresentanza, in questa fase, è un fattore importante; non che la stabilità non lo sia, ma certamente, non lo sarebbe andare verso certi modelli, che oggi stanno manifestando tutte le loro crepe. Lei faceva l'esempio della Francia. Se si vuole andare verso un sistema presidenziale, è legittimo, lo si dica, ma lo si faccia nella maniera congrua, attraverso una proposta. Si vada dai cittadini proponendo una riforma costituzionale; si dica ai cittadini che si vuole l'elezione diretta del capo dello Stato, ma non lo si faccia in maniera surrettizia attraverso la legge elettorale, propugnando soluzioni maggioritarie. Come diceva lei, Macron al primo turno ha preso il 24 per cento, poi ha vinto il ballottaggio, però è chiaro che, per quanto mi riguarda, ciò vuol dire «blindare» un sistema. Non voglio discutere i sistemi democratici di altri Paesi, però la cultura, la storia dell'Italia, di una repubblica parlamentare, secondo me non si adatta a un sistema più o meno maggioritario, quello per esempio con i collegi totalmente uninominali. Con la frammentazione territoriale, che c'è in questo momento in Italia, è ben possibile, come nel 2018, che possa registrarsi una vittoria del centrodestra al Nord, una del PD al centro, e una del Movimento Cinque Stelle al sud. Di fatto quell'effetto maggioritario di stabilità che si vuole ottenere viene annullato, perché i collegi uninominali si distribuiscono sul territorio in maniera quasi omogenea. Allo stesso modo si è provato anche l'esperimento di dare dei premi maggioritari abnormi, come era l'idea dell'«Italicum», ma la Corte costituzionale chiaramente ha stabilito che il modello del sindaco d'Italia non è un modello che si può traslare anche in un'assemblea rappresentativa di una repubblica parlamentare. Questo è l'equivoco di fondo. Non esiste un sistema elettorale che possa sopperire, ammesso che lo siano, delle lacune di un sistema politico che non riesce a valorizzare l'assemblea elettiva rappresentativa, la Pag. 23capacità di fare sintesi, di fare compromesso (la democrazia ha dei tempi fisiologici che vanno osservati). Sacrificare questi tempi fisiologici, questa lentezza, che a volte è necessaria per prendere decisioni di qualità, decisioni migliori, in nome di un decisionismo che crei delle finte maggioranze in un Paese per blindare qualcuno per cinque anni, è un sistema che anche io ritengo pericoloso. Quindi, penso che andare verso un sistema proporzionale in questo momento storico sia la scelta migliore e sono convinto che la storia ci darà ragione da questo punto di vista. Volevo ringraziarla per le sue osservazioni.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  STEFANO PASSIGLI, già Professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze. Raccolgo solo gli spunti sulla soglia di sbarramento e sulla grandezza dei collegi. Si può reintrodurre dalla finestra il maggioritario anche in un sistema proporzionale, meglio allora farlo esplicitamente, con un premio di maggioranza ragionevole, perché questo almeno è molto chiaro ai cittadini, piuttosto che agire sulla grandezza dei collegi, introducendo collegi troppo piccoli, o con soglie di sbarramento punitive. Nel caso della proposta di legge in questione si prevede una soglia di sbarramento al 5 per cento, che è un livello di per sé ragionevole, anche se, nel caso italiano, abbiamo una storia di piccoli partiti e piccoli movimenti, che sono stati però un tessuto connettivo per la formazione di coalizioni. Bisogna decidere se i piccoli partiti, che messi tutti insieme oscillano tra il 10 e il 15 per cento del voto, servono al formarsi di coalizioni oppure no. Sono forze puramente trasformistiche? Non direi. Duverger parlando di «grandi famiglie spirituali», le identificava come il lascito della liberaldemocrazia, che non si è mai riunita in unico partito. Non era partito nel prefascismo, perché non esistevano i partiti organizzati. Nel postfascismo non è riuscito il Partito d'Azione a diventare un partito di massa; non lo era il Partito Repubblicano; non lo era il Partito Liberale; non lo sono stati i socialdemocratici e così via. Se andiamo a vedere i piccoli partiti di oggi la loro origine tende a venire da quei rami, da quelle piante. Sostanzialmente sono però serviti a formare le coalizioni di governo. Se noi prendessimo oggi i grandi partiti esistenti – e tra questi metto anche Forza Italia, pur con il peso elettorale che ha oggi – se eliminiamo i piccoli partiti – e il 5 per cento rischia di eliminarli interamente (forse andrebbe abbassato un po') – miglioriamo la governabilità o creiamo una situazione in cui tre o quattro grandi forze non riescono a formare coalizioni omogenee? Nel concetto di flessibilità di cui dicevo prima rientra anche l'esistenza di piccole forze non trasformistiche. Il collegio uninominale maggioritario della legge Mattarella aveva portato in Parlamento – il caso è noto perché in seguito oggetto di indagine della nostra magistratura – il sindaco di Taranto del tempo, che fece un suo movimento che raccolse in Puglia alcune decine di migliaia di voti, che furono determinanti in un paio di collegi e che fruttarono un sottosegretariato e due posti sicuri in Parlamento. Quello non era un piccolo partito, non aveva una storia, ma era semplicemente il frutto di un notabilato ben speso, ben gestito nelle trattative con i maggiori partiti. Ciò era sicuramente possibile col maggioritario, non sarebbe stato possibile col proporzionale; con il meccanismo previsto in questa proposta di legge si darebbe rappresentanza a forze che, pur non raggiungendo il quoziente del 5 per cento, abbiano una forte presenza regionale. Il Milazzismo in Sicilia non ha insegnato nulla in questo Paese? Due quozienti nella stessa circoscrizione sono pericolosi; la presenza di una forza politica che abbia solo una presenza circoscrizionale potrebbe concedere molto agli interessi locali; e gli interessi locali, molto spesso nel nostro Paese, non sono nemmeno interessi lontani dalla criminalità organizzata. Quindi, su questo punto avrei qualche riserva. Rivaluterei cioè la rappresentanza di forze minori; il diritto di tribuna lo preferirei alla «Vedel» francese, prevedendo che il 10 per cento o l'8 per cento dei seggi – quale che sia la cifra – sia Pag. 24dedicato in termini di seggi alle forze minori e sia ripartito tra quelle che superano il 3 per cento. Se il quoziente per la rappresentanza piena è il 5 per cento, si avrebbe il diritto di tribuna se si ottiene almeno il 3 o il 2,5 per cento, sottraendo prima un certo numero di collegi dalla ripartizione proporzionale. Se il diritto di tribuna non fosse invece assegnato prima, i collegi che non fossero assegnati perché nessuno avesse raggiunto il 3 per cento, verrebbero riassegnati ai migliori perdenti delle liste che raggiungono il 5 per cento. Se invece stabiliamo che diamo il diritto di tribuna a chi raggiunge due quozienti pieni in una circoscrizione e un terzo quoziente in un'altra, potremmo avere un numero anche abbastanza elevato di seggi da ripartire. Potremmo di conseguenza avere alcuni casi in cui un candidato, che sarebbe stato eletto sulla base del voto riportato da una lista che ha superato il cinque per cento, non venga effettivamente eletto. Avremmo in tal caso una disparità di trattamento incostituzionale, a mio avviso, in quanto un candidato, che avrebbe diritto a essere eletto perché il partito ha raggiunto nazionalmente il 5 per cento – e in quella circoscrizione diritto ad essere rappresentato – non sarebbe eletto perché molte forze si avvalgono del diritto di tribuna. Allora meglio il sistema tedesco, in cui si ricorre ad un numero di deputati in eccesso (però questo richiederebbe una modifica costituzionale). Preferirei assegnare un tot per cento dei quattrocento seggi al diritto di tribuna. Questo lo può fare una legge elettorale, senza modificare la Costituzione; il diritto di tribuna comunque significa che una forza deve essere in qualche misura rappresentativa di una parte del Paese. Quindi non vedrei affatto sbagliato che si dicesse che almeno il 2 o il 3 per cento deve essere raggiunto. Se poche forze raggiungono quella percentuale nazionale, allora i seggi non assegnati con il diritto di tribuna tornerebbero a essere assegnati alle altre forze che hanno superato il cinque per cento. Questa è l'unica osservazione tecnica che farei.

  FRANCESCO FORCINITI. Un flash, quindi da parte sua sarebbe più auspicabile correggere il tiro e migliorare lo strumento del diritto di tribuna oppure lavorare a un abbassamento della soglia di sbarramento al 5? Potrebbe darmi una risposta secca fra queste due soluzioni?

  STEFANO PASSIGLI, già Professore ordinario di scienza della politica presso l'Università di Firenze. Se devo fornire una risposta secca, abbasserei la soglia di sbarramento (non più bassa del 3 per cento, per carità!).

  PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.40.

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