XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori

Resoconto stenografico



Seduta n. 36 di Martedì 10 maggio 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 

Audizione del maresciallo capo Giuseppe Milano:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 4 
Cavandoli Laura , Presidente ... 8 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 8 
Cavandoli Laura , Presidente ... 9 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 9 
Cavandoli Laura , Presidente ... 9 
Cantone Carla (PD)  ... 9 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 10 
Cantone Carla (PD)  ... 11 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 11 
Cavandoli Laura , Presidente ... 11 
Giannone Veronica (FI)  ... 11 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 11 
Giannone Veronica (FI)  ... 11 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 12 
Cavandoli Laura , Presidente ... 12 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
Fiorini Benedetta (LEGA)  ... 13 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 13 
Fiorini Benedetta (LEGA)  ... 13 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
Fregolent Sonia  ... 14 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 14 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
Ascari Stefania (M5S)  ... 14 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 14 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 15 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 15 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 15 
Cavandoli Laura , Presidente ... 16 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 16 
Cavandoli Laura , Presidente ... 16 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 16 
Cavandoli Laura , Presidente ... 17 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 17 
Cavandoli Laura , Presidente ... 18 
Giannone Veronica (FI)  ... 18 
Milano Giuseppe , maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia ... 18 
Cavandoli Laura , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA CAVANDOLI

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del maresciallo capo
Giuseppe Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del maresciallo capo Giuseppe Milano, del nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. L'audizione del maresciallo Milano si ricollega a quelle che abbiamo già svolto della dottoressa Salvi, PM (pubblico ministero) del «caso Bibbiano» presso il tribunale di Reggio Emilia e di Luca Ponzi, giornalista Rai dell'Emilia Romagna e ci riporta sullo specifico della vicenda di Bibbiano, sulla quale ci sono ormai alcuni punti fermi sul piano giudiziario.
  Le audizioni che abbiamo svolto ci hanno dato un quadro anche più ampio di disfunzioni sia ordinamentali che procedurali che possono non essere reati, ma che comunque evidenziano un quadro preoccupante. Per questo motivo mi è sembrato opportuno acquisire anche la testimonianza del maresciallo Milano che conosce bene questa vicenda e che ne è stato molto coinvolto.
  Tra i punti che chiederei al maresciallo di approfondire c'è quello dell'origine delle indagini. Ricordo a questo proposito che la dottoressa Salvi ci aveva ricordato come esse fossero nate di iniziativa sulla base di una serie di discrasie emerse, ma non considerate dai tribunali per i minorenni come, per esempio, il numero abnorme di allontanamenti in Val d'Enza, le discrasie di anomalie nei fascicoli, la difformità fra quanto segnalato dai servizi sociali e le conclusioni che avevano portato ad archiviazioni o assoluzioni.
  Un secondo elemento che chiederei di approfondire riguarda gli elementi emersi in corso di indagine, quali le dinamiche in relazione in relazione agli affidi e naturalmente gli aspetti anche economici delle vicende.
  Vorrei che il maresciallo ci aiutasse ad approfondire le difficoltà delle attività investigative a causa della polverizzazione della normativa fra norme nazionali e regionali, linee guida, codici etici e deontologici. In questo ambito si collocano non da ultimo le differenti valutazioni dell'autorità giudiziaria minorile che aveva inconsapevolmente avallato le impostazioni date dai responsabili dei servizi sociali territoriali della procura, che ha, invece, evidenziato l'esistenza di veri e propri reati.
  Su questo va naturalmente considerato che la vicenda ha evidenziato una forma di cointeressenza tra pezzi di amministrazione locale e altri soggetti, psicologi, operatori, associazioni e sostenitori anche di teorie pseudoscientifiche che giustificavano procedure di allontanamento. Da quello che si capisce dai media e dagli atti che abbiamo visto, si trattava di un gruppo di potere abbastanza coeso, influente e combattivo soprattutto a livello locale.
  Ricordo a tale proposito e senza avanzare alcuna valutazione sulla sussistenza di fatti penalmente rilevanti che, ancora poco prima che la vicenda venisse alla luce, le Pag. 4valutazioni erano tutte a favore di quello che veniva celebrato come un modello. Lo stesso sindaco di Bibbiano, audito dalla Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza insieme a Federica Anghinolfi il 14 luglio 2016, aveva presentato le vicende che sono poi emerse nelle indagini come un insieme di buone pratiche da valorizzare ed estendere a livello regionale e nazionale.
  Chiedo al maresciallo delle valutazioni su questi aspetti anche per capire se le indagini siano state in qualche modo ostacolate dagli imputati ed eventualmente anche da altri soggetti non imputati appartenenti all'amministrazione locale, all'associazione o alla politica.
  Infine, chiediamo al maresciallo di darci, sempre in relazione in relazione alla sua esperienza, una testimonianza e una valutazione sugli aspetti che può avere incrociato. Mi riferisco alle lacune dei sistemi degli affidi che secondo lei, a suo giudizio, potrebbero aver favorito le condotte illecite riscontrate nel giudizio del tribunale di Reggio Emilia, come, ad esempio, l'identità tra il ruolo di tutore e quello di funzionario dei servizi sociali, il mancato intervento diretto della magistratura minorile e dell'autorità garante e l'eccessiva dipendenza delle valutazioni dall'inquadramento compiuto dal personale dei servizi sociali. Sono tante riflessioni, ma se non saranno comprese nella sua relazione, ci riserviamo di fare domande in seguito.
  Lascio quindi la parola al maresciallo Giuseppe Milano, chiedendogli la disponibilità di rispondere a delle domande in seguito alla sua relazione e avverto l'audito che, se ritiene che alcune parti dell'audizione debbano svolgersi in seduta segreta, procederemo in tal senso. Grazie.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Buongiorno a tutti. Sono il maresciallo capo Giuseppe Milano e svolgo servizio presso il nucleo investigativo carabinieri di Reggio Emilia. Ho svolto dall'inizio questa indagine coordinato dalla procura di Reggio, dalla dottoressa Salvi unitamente a due colleghi, il maresciallo Gandolfi e l'appuntato Domenico Paciolla. Attualmente il procedimento è stato definito nella fase del rinvio a giudizio: sono stati rinviati a giudizio 17 imputati su 22 richiesti dal pubblico ministero per un complessivo di 97 capi di imputazione rispetto ai 100 per i quali era stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio.
  In sede di giudizio abbreviato richiesto da due imputati, una assistente sociale è stata prosciolta, mentre è stato condannato lo psicoterapeuta dottor Claudio Foti, che è socio della Sie srl, la società Sviluppo Intelligenza Emotiva e anche direttore scientifico della Onlus Hansel e Gretel. La sua condanna è stata quattro anni di reclusione per i reati di lesioni gravissime e concorso in abuso di ufficio, ma è stato, invece, prosciolto dall'accusa di frode processuale per difetto dell'elemento soggettivo. Si è ritenuta sussistente la condotta frodatoria, ma si è ritenuto difettante la volontà, la finalità richiesta dalla norma dall'articolo 374 del codice penale necessario per attribuire rilevanza penale a quella condotta.
  Precedentemente era già stata condannata con sentenza di patteggiamento un'altra assistente sociale, la quale già nella fase delle indagini preliminari aveva fornito ampia confessione sui fatti, in particolare su alcuni delitti di falso. Ne ricordo uno in particolare: in fase di allontanamento di due minori – un bambino era molto piccolo, aveva solo 18 mesi, e la sorellina aveva 5 anni – indicò come totalmente fatiscente l'immobile da lei visionato, mentre in sede di indagini ammise e confessò di non essere mai entrata in quella abitazione.
  La condanna di Claudio Foti è anche una condanna sia per le lesioni gravissime subite da un minore sia per il concorso in abuso d'ufficio, ma è stata percepita dall'imputato, come ha più volte rilevato durante le sue difese, come un vero e proprio processo alla psicoterapia. Ci tengo a dire che né l'indagine né il processo hanno a oggetto la scienza o la psicoterapia in quanto tale – fisiologicamente la scienza è un bene costituzionalmente protetto e nessuno si sognerebbe mai di elevarlo a oggetto d'inchiesta –, né però possiamo pretendere di coprire sotto l'egida della psicoterapia delle Pag. 5condotte penalmente rilevanti e ritenere la psicoterapia un elemento scriminante di quella condotta.
  Si è trattato di una attività che ha richiesto una preparazione intensa soprattutto nella fase iniziale, anche in itinere, perché si tratta di materie desuete per l'Arma dei carabinieri. Inoltre, ad esempio, il reato di depistaggio era stato introdotto nell'ordinamento giuridico soltanto a luglio del 2016. C'è stata anche una grande difficoltà da parte della procura nel valutare i fatti e anche nel poterli inquadrare giuridicamente.
  I reati che abbiamo accertato partono dalla visione di alcuni fascicoli, che ci è stata delegata da parte della procura, in cui erano state notate delle anomale cadenze temporali. In sostanza ci si trovava davanti ad allontanamenti ai sensi del 403 del codice civile, la maggior parte delle volte, e altri eseguiti direttamente su decreto del tribunale ai sensi della legge 184 del 1983. In queste situazioni si apriva contemporaneamente dopo l'allontanamento un procedimento penale, quasi sempre avente a oggetto presunti maltrattamenti e abusi sul minore, notando però che in prossimità di momenti giudiziali importanti, come poteva essere l'audizione del minore oppure la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, perveniva una nuova dichiarazione con un nuovo dichiarato del bambino.
  Una tra le prime anomalie che ho colto nelle relazioni che mi sono state portate in visione sta in quelli che sono i virgolettati. I virgolettati sono i due punti e le virgolette, dove viene indicata la frase che il minore avrebbe – utilizzo il condizionale – riferito al terapeuta. È ovvio che una frase, per essere virgolettata rispetto a una sintesi, è una frase importante nel contesto della relazione, perché spesso e volentieri è proprio la frase dove il bambino cita l'abuso e il maltrattamento.
  Noi carabinieri siamo abituati a fare intercettazioni e per poter trascrivere una telefonata anche di soli 10 minuti a volte occorre mezz'ora, perché occorre scrivere parola per parola, indicando anche il senso e le pause. A quelle relazioni, invece, non era allegato nessun audio, eppure spesso e volentieri ci trovavamo davanti anche a decine di righe di virgolettato, il che era una tra le prime anomalie notate.
  Sulla base di questo è stata fatta un'intensa attività sia di tipo intercettivo sia di acquisizione documentale. Dopodiché sono stati sentiti decine, ma credo anche centinaia, di testimoni su ogni singola circostanza storica indicata in quelle relazioni. Spesso abbiamo notato che queste relazioni erano intrise di percezione o valutazioni soggettive degli assistenti sociali, che con tutta oggettività non abbiamo mai contestato, nel senso che abbiamo cercato di distinguere quella che era la ricostruzione storica di un fatto rispetto alla valutazione di quel fatto.
  Faccio un esempio per intenderci, perché lo ricordo perfettamente. In una relazione viene indicato che un minore davanti all'assistente sociale si era masturbato su un pouf, su un divanetto presente in una sala di attesa. In quel caso il concetto di masturbazione postula un fatto storico che è un movimento, cioè lo strofinare i genitali su un divanetto. Io non posso accertare se il bambino in quel momento si stava masturbando o meno, perché quello rientra nella percezione della valutazione dell'assistente sociale e quindi, a nostro parere, non era assolutamente valutabile perché fa parte delle sue valutazioni. Quello che abbiamo cercato di accertare è il fatto storico sotteso a quella valutazione, cioè il bambino strofinava o meno la parte genitale sul divanetto a destra, a sinistra, avanti o dietro? Questo lo abbiamo fatto attraverso le intercettazioni o l'ascolto di persone che avevano assistito a quel singolo fatto storico. Questo lo dico per fare comprendere quanto radiografico il più possibile si è cercato di fare diventare questa attività, proprio per evitare che diventasse una guerra tra «bandiere», cioè una guerra tra un orientamento psicoterapeutico e un altro, cosa che assolutamente fin dall'inizio non voleva essere.
  I bambini, dopo essere stati allontanati, venivano portati alla psicoterapia della ONLUS Hansel e Gretel. La Hansel e Gretel era una ONLUS che si occupava di psicoterapiaPag. 6 del trauma e all'interno di queste sedute psicoterapeutiche questi minori risultavano spesso – così emergeva dalle relazioni – ricordare eventi che probabilmente la loro mente aveva censurato nel passato. Ovviamente nessuno fino a quel momento conosceva quali erano le modalità con cui questi ricordi erano emersi durante le sedute psicoterapeutiche ed è per questo che a partire da un disegno, le cui connotazioni sessuali risultavano essere state oggetto di consulenza da parte del pubblico ministero ed erano risultate una falsificazione del disegno originario, si è partito con le attività intercettive.
  È emersa una modalità di seduta terapeutica inducente, suggestiva – questo lo hanno sottoposto al vaglio i consulenti tecnici del pubblico ministero –, anche se il concetto di suggestione prima ancora di essere un concetto terapeutico è un concetto giuridico. Faccio un esempio concreto: basti considerare che alla domanda suggestiva proposta in sede di esame durante un processo, il giudice non chiede a un consulente se la domanda era suggestiva o meno, ma decide direttamente se la domanda era ammissibile o meno in quanto suggestiva o meno.
  È molto importante l'aspetto della frode processuale perché rappresenta, insieme al reato di depistaggio, il cuore portante dell'attività, poiché ci troviamo davanti a una totale alterazione dello stato mnestico ed emotivo di minori che erano stati allontanati rispetto al nucleo familiare d'origine. Uno stato mnestico, che come hanno spiegato i consulenti tecnici del pubblico ministero e come sarà al vaglio del dibattimento, dove gli imputati avranno modo anche di potersi confrontare con l'impostazione e con le valutazioni accusatorie, è irreversibile.
  Ricordo una sorta di confronto che c'è stato con alcuni consulenti, i quali ci hanno fatto capire e spiegato come la memoria non sia un processo riproduttivo. Quando ricordiamo un evento, non stiamo rappresentando l'evento così come esso è avvenuto. Quando noi raccontiamo un evento, stiamo resocontando l'evento semplicemente come noi lo abbiamo vissuto, come noi lo abbiamo immagazzinato e come noi in quel momento, sottoposti a una serie di variabili, abbiamo deciso di raccontarlo.
  Non è più possibile recuperare il ricordo originario. Il bambino che cristallizza in sé il ricordo di essere stato abusato, vero o falso che questo ricordo fosse, non è più in grado di stabilire in futuro se quel ricordo che è venuto fuori fa parte di un ricordo originario o meno.
  Qui c'è tutto il dramma dell'indagine, un dramma giudiziario perché dietro il processo penale prosegue poi il processo civile, perché dietro la lungaggine del procedimento penale in tema di abuso si appoggia anche il procedimento civile. Questo è ovvio, poiché ci si trova davanti a genitori formalmente indagati o imputati per reati sessuali sui minori.
  Tuttavia, ci sono anche danni estremi al bambino perché, come abbiamo detto, l'alterazione dello stato mnestico porterà quel bambino a ricordare per sempre quell'abuso. Oggi i bambini di Bibbiano sono tutti tornati dalle rispettive famiglie dopo la fase cautelare o in prossimità della fase cautelare.
  Ricordo, però, un esempio che mi ha molto colpito di una bambina rientrata in famiglia che ancora oggi afferma di essere stata stuprata violentemente dal padre quando una visita ginecologica ne ha attestato l'integrità. Dico questo per fare capire come l'alterazione dello stato dei ricordi di un minore possa poi impedire a quel minore di poter effettivamente recuperare la verità storica dei fatti.
  Questa è un'importante criticità perché nel momento in cui un bambino viene allontanato vi è un aspetto sanitario da considerare. Questo è emerso anche nel confronto dialettico che vi è stato con le difese sia durante le indagini in alcuni interrogatori, sia anche nella fase successiva. Nel momento in cui viene allontanato, il bambino ha bisogno di cure e di un sostegno psicoterapeutico. Se il sostegno psicoterapeutico ha a oggetto la rielaborazione del trauma e quel trauma coincide con il fatto oggetto del processo, ci troveremo in futuro davanti a un processo costruito sul recupero di quel ricordo e questoPag. 7 avviene soprattutto in tutte quelle violenze sessuali che sono avvenute senza che una analisi medica lo possa attestare. Tutte quelle tipologie di abusi dove il ricordo del bambino e la sua attendibilità è la fonte probatoria della colpevolezza sostanzialmente vengono definitivamente compromesse da quel tipo di approccio terapeutico che lo psicoterapeuta decide di avere con quel singolo minore.
  In questo caso c'è un conflitto tra la psicologia clinica e la psicologia forense, perché la psicologia forense ha un dettato normativo a cui si avvicina maggiormente – parlo della Carta di Noto e del Protocollo di Venezia –, mentre la psicologia clinica è un po' più libera e un po' più sciolta dalle regole. Nel caso di Bibbiano abbiamo notato che, invece, utilizzando metodiche senza dubbio opinabili – questo l'hanno detto i consulenti del pubblico ministero –, si è poi preteso di utilizzare gli esiti di quel recupero all'interno dei processi.
  Occorre anche dire che Bibbiano nasce con una presenza dell'articolo 403 del codice civile previgente e non nego che l'attuale formulazione dell'articolo 403 ha sicuramente risolto alcune delle criticità che anche noi come investigatori avevamo notato. Attualmente l'articolo 403 attribuisce una cadenza temporale precisa alle fasi del procedimento e indica un elemento importante nella fase dell'allontanamento che è l'urgenza, mentre prima l'urgenza di provvedere non era presente nella fattispecie del 403. Sono stati introdotti sette commi importanti dove è stato previsto un primo vaglio giurisdizionale innanzitutto dal pubblico ministero e successivamente anche da parte del tribunale per i minorenni. Inoltre, cosa importantissima, è stata ammessa anche una forma di impugnazione per i genitori.
  Quando le indagini di Bibbiano vengono effettuate, i genitori si trovano davanti a un decreto, a un allontanamento di cui vengono secretati gli atti, quindi non sanno il motivo per cui i loro figli sono stati allontanati, e spesso anche con situazioni paradossali. Per esempio, famiglie che avevano tre bambini sono state ritenute inadeguate esclusivamente per uno dei tre e non per gli altri due, quando magari gli altri due avevano la medesima età di quello allontanato. Successivamente, sempre grazie alla riforma del 403, questo mezzo di impugnazione ha consentito oggi ai genitori di potersi rivolgere a un organo terzo, addirittura la Corte d'appello e neanche una sezione diversa del medesimo tribunale con importanti ripercussioni in termini di garanzia per quei genitori.
  Occorre dire che anche in quelle poche situazioni dove i genitori riuscivano ad acquisire gli atti, hanno tentato di rivolgersi più volte, poiché abbiamo riscontrato in atti numerosi ricorsi a garanti dell'infanzia, ma diventano un cane che si mordeva la coda, in quanto il garante per l'infanzia non ha fatto altro che rivolgersi agli assistenti sociali per chiedere una relazione e gli assistenti sociali hanno riprodotto il contenuto delle relazioni che oggi sono oggetto di falso e quindi sostanzialmente quei genitori non hanno avuto un effettivo e concreto sostegno da parte del garante per questa motivazione.
  Come diceva prima lei tra i vari quesiti, non voglio dire che vi è una acquiescenza delle decisioni del tribunale per i minorenni – non mi permetterei mai –, ma sicuramente abbiamo notato una sorta di equazione che nei fatti viene fatta, cioè che l'assistente sociale sta al tribunale minorenni come la PG (Polizia giudiziaria) sta al PM. È un'equazione matematicamente distonica per evidenti ragioni. Innanzitutto la PG si può considerare una sorta di longa manus rispetto al pubblico ministero, ma sono la medesima parte processuale. Gli assistenti sociali e il tribunale per i minorenni assolutamente no, poiché il tribunale per i minorenni ha funzioni, come sappiamo, giudicanti.
  In secondo luogo non compete agli assistenti sociali ricostruire fatti reato. Un'importante problematica che effettivamente emerge è cosa si deve intendere per indagine psicosociale, perché è questa che poi le procure minorili e i tribunali per i minorenni delegano agli assistenti sociali, cioè le indagini psicosociali. L'unico dato che posso riferire sull'argomento è che nelle relazioni Pag. 8di cui ho preso lettura vi era una ipotesi sui fatti che erano avvenuti.
  In molte relazioni abbiamo rinvenuto connotati quasi medioevali, in cui spesso veniva riportato la vox populi. Ho letto personalmente relazioni dove si indicava «voci di paese». Riporto testualmente: «per voci di paese la bambina risulta prostituirsi presso la casa dei genitori». È ovvio che ci ha stupito un simile approccio a una ricostruzione storica dei fatti, poiché quella fonte non risulta neanche citata, quindi non si consente l'individuazione di essa e di ricostruire da parte dell'organo competente o la PG o la procura.
  Tutto questo porta a uno squilibrio processuale, poiché se gli assistenti sociali vengono considerati al tribunale per i minori come la PG al PM, è vero che nel procedimento minorile in realtà non ci sono parti processuali, ma ce ne è solo una ed è il supremo benessere del minore, però è anche vero che quando ci si trova davanti a un servizio sociale che segnala per un allontanamento, sostanzialmente si viene di fatto a creare una situazione di conflitto, in cui da una parte ci sono i segnalanti e dall'altra parte i genitori. La possibile vicinanza degli assistenti sociali al tribunale per i minori potrebbe potenzialmente creare uno squilibrio.
  Io non avrei altro. C'è forse un'ultima parte che avevo segnato. È un tema delicato che mi limito a indicare senza esprimere alcuna valutazione, ovvero la potenziale strumentalizzazione dell'affido sine die. Lo riferisco perché è un tema emerso, per quanto sia delicato ed è l'affidamento di bambini a coppie omosessuali. Tutti sanno che è preclusa da un punto di vista normativo, eccetto ipotesi della stepchild adoption, l'adozione da parte di bambini a coppie omosessuali. Lo preciso perché il tema è delicato e non intendo assolutamente fornire alcuna valutazione sull'opportunità o meno, ma sto riferendo quello che è emerso durante le indagini, ovvero la potenziale strumentalizzazione di un istituto, che è quello dell'istituto sine die. Sappiamo che in base alla legge n. 184 del 1983 l'affido dovrebbe durare massimo due anni eccetto ipotesi di proroga. Questa proroga, nell'ipotesi di permanenza di pregiudizio all'interno del nucleo familiare, potrebbe portare l'affido a prolungarsi anche fino alla maggiore età. Il problema è accentuato poiché sappiamo anche che nel 2015 è stata introdotta la legge n. 173 in tema di continuità affettiva che ha maggiormente rafforzato il legame tra l'affidatario e il bambino. Pongo all'attenzione la questione che l'istituto sine die potrebbe diventare almeno potenzialmente uno strumento elusivo della preclusione legislativa di adozione con due conseguenze: la prima in re ipsa è la violazione in sé, mentre la seconda è da un punto di vista economico perché l'adozione tronca definitivamente il sostenimento da parte dell'ente pubblico, laddove, invece, l'affido sine die garantisce che il minore sia ancora in carico economicamente alla famiglia affidataria.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il maresciallo Giuseppe Milano per questa relazione molto chiara e molto schematica. C'è qualcuno che vuole intervenire per le domande? La parola all'onorevole D'Arrando da remoto.

  CELESTE D'ARRANDO. Sì, grazie, presidente. Sarò molto breve perché sono in treno, quindi ho paura che si perda la connessione. Intanto ringrazio il maresciallo, perché secondo me ha dato delle informazioni molto utili anche a comprendere meglio alcuni aspetti. Ho tre domande molto sintetiche. Ho sentito parlare di approccio psicoterapeutico, ma le chiedo se può spiegare meglio questa parte, anche perché da addetta ai lavori l'approccio psicoterapeutico si può distinguere solo in quello che riguarda l'approccio in termini teorici, ma di fatto non cambia quello che poi è l'obiettivo della psicoterapia. Ciò che cambia sono le modalità e il punto di vista di indagine chi si utilizza nel momento in cui si fa la psicoterapia. Volevo capire meglio questo aspetto che ha detto all'inizio della sua relazione.
  Mi ha incuriosito la differenza che lei poneva tra la psicologica clinica e la psicologia forense. Mi corregga se sbaglio ma mi è parso di capire che la psicologia Pag. 9clinica sia più libera rispetto alla psicologia forense. In realtà non è che si tratta di libertà – adesso vorrei capire in che termini lei lo intendeva –, però la psicologia clinica si basa su un codice deontologico e su una serie di protocolli che devono essere seguiti e che, come qualsiasi percorso psicoterapeutico, di indagine, di cure e di diagnosi in ambito psicologico, è molto difficile andare a definire se quel tipo di relazione, nell'ambito della psicoterapia e del colloquio psicologico, si stia svolgendo correttamente, perché molto spesso la psicologia, la psicoterapia si basa sulla relazione.
  L'ultima domanda che le faccio riguarda la figura degli assistenti sociali. Mi è parso di capire, ma mi corregga anche qui se sbaglio, che nel caso specifico che stiamo trattando oggi ci sia stata una modalità di elaborare le relazioni non propria di quella è la figura dell'assistente sociale. Avrebbero dovuto essere delle relazioni tecniche, ma invece si utilizzava un linguaggio poco tecnico e anche poco specifico, oltre che non supportato da reali fatti. Penso di essere stata chiara, ma nel caso sono qui per chiarirle le mie domande.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole D'Arrando. Se il maresciallo è d'accordo, la faccio rispondere subito. Prego.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Quando parlavo di approccio, parlavo di modalità in realtà. Utilizzavo un termine atecnico, ma lo indicavo come sinonimo di «modalità». La psicoterapia, per quello che è emerso durante le intercettazioni, era semplicemente uno strumento per indagare sul fatto reato relativo all'abuso con una serie di domande e anche di risposte – parliamo di domande chiuse e prive di alcuna possibilità di spaziare sull'argomento – secondo modalità che sono state dettagliatamente indicate dai consulenti del pubblico ministero, ovvero dalla dottoressa Scali e dalla dottoressa Rossi, in particolare sulla tematica delle lesioni.
  Per quanto riguarda le modalità di relazione, l'oggetto di investigazioni non è la modalità con cui un assistente sociale deve redigere una relazione né tantomeno di un processo. Abbiamo semplicemente evidenziato che all'interno di alcune relazioni dei servizi sociali sono stati omessi dei fatti veri che erano noti agli assistenti sociali e il cui inserimento nella relazione avrebbe quantomeno fornito una versione alternativa dei fatti che la magistratura avrebbe potuto valutare e sono anche stati inseriti dei dati non reali. Per esempio ricordo il caso in cui laddove si indicava che una bambina aveva ripetutamente ribadito di non volere rientrare presso l'abitazione e dei genitori, in realtà le copie prove forensi dei cellulari hanno dato ampia prova di messaggistica dove la bambina addirittura scriveva sulla lavagna presente su un muro «Io voglio tornare a casa». Questo dato è un dato che non è mai stato fornito alla magistratura. Probabilmente la magistratura avrebbe comunque deciso quello che ha deciso, ma la frode processuale è un reato di pericolo. Non è un reato che si consuma nel momento in cui viene viziata la decisione, ma nel momento in cui si inquina il procedimento che approda a quella decisione.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Cantone.

  CARLA CANTONE. Anche io ringrazio il maresciallo per l'ottima esposizione, ma soprattutto per l'importante lavoro che lei con i suoi colleghi e tutto il suo staff avete fatto di un caso importantissimo di cui si è parlato e si è discusso molto, in cui non solo sono entrati nel merito i cosiddetti «addetti ai lavori», ma anche la politica. È stato un caso molto particolare e delicato nel nostro Paese. Quindi la ringrazio per come lei in modo molto sintetico, ma chiaro, senza nessuna venatura di parte – questo è importante proprio per il ruolo che lei svolge – ci ha dato.
  Ho due considerazioni, una considerazione e una domanda breve, perché in parte ha già risposto, ovvero la differenza che c'è fra lo psicologo, lo psicoterapeuta, lo psicopedagogista e la psicoterapia medica. Il confine è molto labile. Sono una Pag. 10psicopedagogista, ho lavorato in un ospedale e mi occupavo delle famiglie dei bambini malati di leucemia. Era un approccio assolutamente diverso, ma lo voglio dire perché queste quattro aree di professionalità interagiscono fra di loro, ma purtroppo la legislazione italiana non è in ancora riuscita a mettere in insieme una legislazione che tenta di mettere insieme le varie operazioni e i vari interventi. Questo è fondamentale per evitare il ripetersi di indagini e perché bisogna capire bene il significato che c'è fra una psicoterapia medica e quello che si legge sui trattati. Io mi auguro che magari il lavoro di questa Commissione possa anche aiutare a fare un po' di chiarezza su questo per il futuro. Anche per questo davvero la ringrazio.
  Ho un'altra cosa da chiedere e chiudo. Ho capito, ma sapevo anche leggendo un po' la cronaca di questi eventi che ci hanno tenuti impegnati per mesi e mesi non solo sulla stampa, il protagonismo forte del ruolo degli assistenti sociali non solo nel caso dei bambini. Noi ci occupiamo di bambini, ma sarebbe sbagliato occuparsi del ruolo degli assistenti sociali per gli anziani? Mi fermo, non è oggetto della nostra discussione.
  So che c'è un lavoro straordinario che fanno gli assistenti sociali, però proprio per quello che è successo e per i due casi che lei ci ha segnalato – uno che è stato assolutamente assolto e l'altro, dopo avere spiegato perché aveva mentito, poi si è ripreso e poi ha rispiegato – quale verifica e controllo di lavoro in questo caso che lei ha seguito c'è stato verso gli assistenti sociali all'interno del servizio sociale del comune? Questo vale anche dei comuni che usufruivano di tutti questi servizi, perché un assistente sociale a volte, se il comune è piccolo, si occupa non solo di quel comune, ma anche di altri piccoli comuni. A me interessa capire questo: quale ruolo ha svolto la dirigenza all'interno dei servizi sociali? Gli assistenti sociali a chi rendevano conto del lavoro che è stato fatto? Questo è fondamentale perché è una professione così importante e delicata che c'è anche una verifica di controllo, non perché non ci si fida, ma proprio la delicatezza del lavoro. Questo è importante, specialmente quando si tratta di bambini. Grazie.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Oggetto delle indagini non sono gli assistenti sociali, oggetto delle indagini sono state le condotte di singole persone che svolgevano il ruolo di assistente sociale. Aggiungo che molti assistenti sociali della Val d'Enza hanno fornito un importante collaborazione durante le indagini sia con noi carabinieri che con la procura e hanno svolto un lavoro straordinario nella fase successiva alla misura cautelare, quando questi bambini dovevano rientrare a casa.
  Come avviene quando – purtroppo capita – viene arrestato un carabiniere, ci si sente a volte correi mediaticamente di quella condotta, ma questo non è il caso, perché oggetto del processo sono le condotte di singole persone. Mediaticamente è ovvio che si dice «I fatti di Bibbiano», ma oggetto del processo non è Bibbiano che è fatto di persone assolutamente oneste che abbiamo anche in maniera incidentale sentito durante le indagini.
  Per rispondere alla sua domanda, rispondo che non compete ai carabinieri svolgere un controllo su un servizio di assistenza sociale. Il compito dei carabinieri è verificare se esistevano dei fatti potenzialmente delittuosi e comunicarli alla procura e questo è stato fatto. Anzi, sottolineo con onestà intellettuale che soprattutto nella fase posteriore, quella cautelare, quando «il caos è scoppiato», sono stati quegli stessi assistenti sociali ad aiutare e contribuire la magistratura minorile a vederci chiaro su quelle situazioni nominando una CTU (consulente tecnica d'ufficio) e restituendo quei bambini alle famiglie, tra l'altro bambini che non vedevano a volte i genitori anche da diversi anni. Ho citato prima l'esempio del bambino di 18 mesi che, quando è tornato a casa, aveva quasi quattro o cinque anni, quindi il papà non l'aveva sostanzialmente mai vissuto e lascio a voi immaginare la traumaticità di quell'incontro.

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  CARLA CANTONE. La ringrazio molto. Lei è stato più che puntuale e chiaro, ma proprio perché lei ha fatto un ragionamento del ruolo dell'assistente sociale post, ovvero quando scoppia il caso e loro si mettono a disposizione, io chiedevo il pre, quindi il momento precedente.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Tutti gli assistenti sociali che non sono oggetto dell'attuale indagine nelle relazioni, che sono state radiograficamente passate al setaccio, non hanno commesso alcuna attività delittuosa.

  PRESIDENTE. Onorevole Giannone e poi l'onorevole Fiorini.

  VERONICA GIANNONE. Io la ringrazio, maresciallo Milano. In realtà volevo fare una domanda specifica su un termine che spesso sentiamo utilizzare – non parlo adesso del caso da lei citato e per il quale ha seguito l'indagine – in generale in modo molto ampio a livello nazionale. Si utilizza il termine «reset» che assomiglia molto a quello che lei ha descritto non soltanto nei casi che ci ha citato come esempio, ma proprio questa impossibilità di ritornare anche a ricordare in futuro quello che è il ricordo originario, non trasformato, ma quello che nella realtà è successo. Sentiamo spesso da centinaia di segnalazione che arrivano, ma a volte leggiamo anche in forma scritta, questa parola «reset» che immagino rientri proprio nell'ambito psicologico. Non sono una psicologa, ma da quello che leggo è una sorta di psicoterapia che serve proprio a resettare – purtroppo il termine è questo, è bruttissimo, ma reale – il pensiero e ciò che prova il bambino per reindirizzarlo in altro senso.
  Faccio un esempio anche io. Nelle separazioni che a oggi vengono definite costantemente conflittuali che portano a un allontanamento del bambino non attraverso un 403 ma attraverso quella che è la legge, il decreto del giudice, i minori vengono poi inseriti in struttura per avviare una sorta di reset, portando questo bambino, ad esempio, ad avere a che fare con il genitore che magari non voleva frequentare o del quale aveva paura, riprogrammandolo per iniziare una nuova vita. In questo reset non è previsto né di vedere, né di sentire l'altro genitore dal quale in qualche modo deve essere allontanato addirittura per mesi o anni, come stava dicendo anche lei prima. Le è mai capitato di trovare o di sentire anche dalle intercettazioni, in questo caso questa tipologia definita in tramite questo reset?

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. No, nell'indagine di Bibbiano il termine «reset» non è emerso, ma è emersa la paralisi completa dei rapporti tra il genitore e il sospetto abusante, che si è protratta anche ben oltre l'archiviazione del presunto abusante, a totale discapito sia del diritto del bambino, sia di quello alla genitorialità.

  VERONICA GIANNONE. Poi avevo anche da chiederle delle cose a cui non so se può rispondere o se può rispondere magari in forma segreta. La prima cosa riguarda i vari nuclei. A livello nazionale tra di voi nei diversi nuclei regionali avete la possibilità di confrontarvi anche su casi che non riguardano in questo caso la regione dalla quale lei arriva, ma che comunque vi porta a poter valutare se questo sistema, questo modus operandi, se così vogliamo definirlo, avviene anche in altre regioni? Se sì, siete al corrente di altri casi o di altre indagini in corso relative a sistemi simili a quello da lei descritto, che ha portato all'indagine svolta negli anni passati? Perché sarebbe importante capire anche quanto è grande questo sistema – uso questo termine che forse non è neanche quello più adatto – e le sue potenzialità.
  In tutte le segnalazioni che mi sono pervenute, che sono centinaia, io ritrovo tantissimo delle sue descrizioni sia dell'operato del servizio sociale, che non è generico, ma di alcuni che ne fanno parte – il bene e il male si trova dappertutto –, sia di quelli che sono i consulenti tecnici d'ufficio che vengono nominati dai giudici e Pag. 12che purtroppo a volte relazionano diversamente rispetto a quanto poi magari ritroviamo nei video che dopo anni si riesce a reperire attraverso gli avvocati e neanche nell'immediato per potere contestare subito o anche nel fatto che, così come era stato detto anche qui in Commissione dalla presidente della magistratura italiana nazionale, un giudice non può discostarsi da quello che viene relazionato, perché non essendo il giudice stesso ad avere nell'immediato questo confronto e questo rapporto con il bambino o con i genitori che devono avere anche la possibilità di difendersi, si ritrova a doversi rifare a quello che viene descritto all'interno delle relazione del servizio sociale o della CTU. Discostarsi da quello che viene scritto diventa impossibile per il giudice perché deve dare per buono quello che a loro viene scritto. Questo diventa un problema, perché, come diceva lei, così come avete constatato che in questi casi vi erano dei falsi, io le assicuro che leggendo e guardando i video, molte volte mi è capitato di ritrovare dei falsi che poi mi hanno portato anche a fare degli esposti. Sarebbe importante capire quanto tra di voi nuclei differenti nelle varie regioni d'Italia riuscite a parlare per comprendere la gravità di questa situazione.
  Non so se può rispondere così o in forma segreta, non vorrei creare problemi, magari ci sono indagini in corso. Mi piacerebbe capire questo, anche per capire come possiamo essere d'aiuto a livello legislativo in modo tale da cercare di eliminare questa situazione che non è accettabile proprio in virtù di quello che è l'interesse supremo del minore. Grazie.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Mi sento di risponderle in forma libera. Tra le peculiarità dell'Arma vi è la capillarità sul territorio anche degli strumenti di comunicazione interna, con cui sicuramente dialoghiamo a distanza dalla Valle d'Aosta alla Calabria in maniera veramente molto celere.
  Non parlerei di sistema. Il rischio di Bibbiano, su cui in numerosi briefing con il Pubblico Ministero, con la dottoressa Salvi e anche con la mia scala gerarchica abbiamo più volte riflettuto, è che all'interno di questo grande calderone dell'indagine Bibbiano rientrano casi dove avevamo reali abusanti e dei reali maltrattamenti, che esistono. Discernere il reale abusante e il reale maltrattante è di competenza delle singole magistrature spesso a distanza di tempo, far rientrare poi ex post ciò che lei mi chiede sia valutabile ex ante è sostanzialmente impossibile.
  Credo che un protocollo che garantisca una criticità in Bibbiano è stata questa. Se il motivo dell'allontanamento o con il 403 o con l'articolo 24 del n. 184 del 1983 è il fatto reato, se è solo ed esclusivamente quello, ci siamo più volte sorpresi che prima di iniziare l'incidente probatorio, il bambino sia stato sottoposto a una psicoterapia di rielaborazione del trauma. Noi stessi ci siamo domandati: ma se il trauma corrisponde al ricordo dell'evento doloroso e l'evento doloroso ancora non è stato accertato, quale trauma andiamo a rielaborare? Perché se andiamo a rielaborare un trauma che è di competenza della magistratura penale poi il cortocircuito tra i due sistemi ci sarà, perché da una parte andremo a garantire un sostegno psicologico e psicoterapeutico al minore, ma dall'altro non faremo altro che andare non a preconfezionare una testimonianza, però sicuramente a rendere quella testimonianza meno genuina di quello che quello stesso narrato del bambino sarebbe stato, se il bambino non fosse stato sottoposto a psicoterapia prima di arrivare all'incidente probatorio. Ovviamente è una scelta legislativa stabilire, per esempio, le tempistiche come un po' si è fatto con il codice rosso, però la mia è solo una riflessione. Certo è che l'auspicio è che un bambino arrivi all'incidente probatorio «vergine», cioè con un dichiarato che è esattamente identico a quello dell'allontanamento. Penso che questo sia un auspicio di tutti.

  PRESIDENTE. Benissimo. Le faccio una domanda. Che cosa si fa in caso di sospetto abuso sessuale in famiglia nella vostra prassi? Normalmente cosa succede, se viene segnalato dai servizi sociali o se voi avete Pag. 13notizia di un abuso sessuale nei confronti di minori in famiglia?

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Se la segnalazione avviene direttamente durante l'accesso ospedaliero, vi è un protocollo con le ASL (Azienda sanitaria locale), che è un protocollo che prevede in quello stesso momento l'attivazione sia dei carabinieri, sia della magistratura minorile, sia degli assistenti sociali. Se è una segnalazione che avviene in maniera estemporanea, come un dichiarato di un bambino a scuola alla maestra, in questo caso a seguito della denuncia, essendo un reato che consente l'attivazione immediata del pubblico ministero, ci si rivolge direttamente al pubblico ministero per avere le direttive. È ovvio che la messa in protezione è immediata, però veramente dipende dalla concretezza del caso, poiché spesso l'attivazione è partita dall'interpretazione di un disegno. A volte bisogna anche stare attenti a cosa intendiamo per attivazione.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Fiorini.

  BENEDETTA FIORINI. Intanto volevo ringraziare il maresciallo fatto in tutti questi ultimi anni e approfitto per ringraziare di nuovo anche la dottoressa Salvi. Le faccio solo una domanda, un approfondimento. Lei ha parlato di un'equazione importante che secondo me è anche emersa da altre audizioni nel corso del nostro lavoro in Commissione. Poi ha anche riferito il fatto che probabilmente non c'è stato un effettivo aiuto da parte del garante dei minori. Le chiedo se mi può spiegare meglio questa cosa e se anche durante le indagini c'era stata la consapevolezza da parte degli altri addetti, quindi degli altri assistenti sociali, che stava succedendo qualcosa di sbagliato, che si stava lavorando male. Purtroppo noi lo abbiamo chiamato «sistema malato», ma bisogna anche avere la forza di raccontare e di dire ciò che avviene e soprattutto di limitare a chi ha sbagliato. Io dico sempre che le mele marce vanno gettate in qualsiasi ambiente e in qualsiasi classe professionale. Grazie.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Per quanto riguarda l'equazione, ciò che ho detto prima è il rischio che una vicinanza eccessiva degli assistenti sociali rispetto al tribunale per i minori vada a destrutturare l'equidistanza che le parti devono avere rispetto al giudicante. Questa è una sorta di struttura piramidale, che è nel processo penale, nel processo minorile. Non abbiamo delle vere e proprie parti; non abbiamo assistenti sociali, genitori e giudice, ma abbiamo una sola parte che è il benessere del minore.
  Dato che la maggior parte delle volte in caso di segnalazione si crea una situazione di estrema conflittualità tra gli assistenti sociali e i genitori e dato che il tribunale per i minori per procedere e per andare avanti necessita delle relazioni dei servizi, questa eccessiva vicinanza rischia di allontanare la terzietà rispetto all'altra parte che si viene a creare di fatto, cioè i genitori.
  Per il ruolo del garante, i garanti si sono attivati, nel senso che hanno formalmente richiesto una relazione e la relazione che gli è stata fornita ha il medesimo contenuto di quelle che sono oggetto delle imputazioni per falso, di cui ribadisco che... Non lo dico perché non creda in quell'impostazione accusatoria, perché ho svolto le indagini e credo nella serietà di quello che è stato fatto e anche nella totale asetticità di come sono state fatte le indagini...

  BENEDETTA FIORINI. Mi scusi, c'è stata forse della superficialità da parte del garante.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Io le ricostruisco il fatto storico, l'etichetta al fatto storico la lascio dare a voi. Il garante ha ricevuto la segnalazione dei genitori e ha chiesto ai servizi sociali competenti un'informazione sui fatti che gli è stata fornita. Questo è il fatto avvenuto. Per quanto riguarda il ruolo degli altri assistenti sociali, Pag. 14sicuramente il clima era noto a tutti ed è emerso da numerosi elementi investigativi. Tuttavia, questa consapevolezza non si è ritenuta sufficiente a elevarla a corresponsabilità poi nelle singole condotte criminose, perché le relazioni hanno una firma, un autore, che diventa responsabile di quello che scrive.

  PRESIDENTE. Abbiamo da remoto prima la senatrice Fregolent e poi l'onorevole Ascari. Prego, senatrice Fregolent.

  SONIA FREGOLENT. Grazie, presidente. Ringrazio anche il maresciallo. Siccome quando si sente parlare di questi fatti, per quanto noti, si rimane sempre particolarmente attoniti e ci si chiede come si sia potuto fare quello che si è fatto a questi bambini e soprattutto come poi questi bambini semmai supereranno il danno che hanno subito, volevo capire da lei se potevano esserci dei controlli sull'operato degli assistenti sociali che si potevano fare o che si possono introdurre per il futuro. Spesso e volentieri nelle varie audizioni che abbiamo avuto e a cui abbiamo potuto partecipare è emerso in modo abbastanza chiaro che talvolta i servizi sono i controllori, ma non sono controllati. Non c'è nessuno che controlla quello che fa il servizio sociale. Per la sua esperienza e per ciò che lei ha potuto notare in questa indagine, secondo lei ci sono dei controlli o degli strumenti che potrebbero essere applicati per garantire la correttezza del lavoro degli assistenti sociali, fermo restando che poi ce ne sono sicuramente che lavorano secondo i principi di eticità? Se il tribunale prende per buona la relazione dei servizi sociali e il garante prende per buona la relazione dei servizi sociali, se i servizi sociali che relazionano sono quelli in mala fede o che comunque non si stanno comportando in modo corretto, forse come sistema dovremmo introdurre degli strumenti che ci permettano di controllare i servizi sociali. Spero di essermi spiegata. Grazie.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Sul meccanismo dei controlli gli assistenti sociali sono componenti dell'ente locale al pari di altri servizi. Fanno parte della struttura tecnico amministrativa e quindi hanno già in sé strumenti e mezzi di controllo. Poi che questi siano efficienti o meno non dipende da noi. Credo che sia possibile avvicinare una percezione diretta con il minore da parte della magistratura prima dell'adozione di determinati provvedimenti limitativi, nel senso che talvolta soltanto gli over 12 vengono sentiti da parte delle magistrature minorili anche per una indicazione legislativa in tal senso, anche se la legge apre alla possibilità di poter sentire le persone infradodicenni nel caso in cui abbiano delle capacità di discernimento. Spesso il magistrato, il tribunale si interfaccia direttamente con il consulente tecnico d'ufficio, che ovviamente fornisce una sua valutazione dei fatti. L'unico strumento che mi sento di fornire è una maggiore vicinanza rispetto al singolo minore e avere anche una sua opinione diretta dei fatti senza la mediazione di soggetti terzi, però questa è ovviamente una mia riflessione.

  PRESIDENTE. Grazie. Sempre da remoto, la parola all'onorevole Ascari.

  STEFANIA ASCARI. Sì, grazie. Ringrazio il contributo del maresciallo. Vorrei, se è possibile, porre delle domande. La prima è se nel corso delle sue attività ha potuto verificare se le condizioni di accudimento delle vittime minorenni fossero periodicamente verificate dalla procura minorile o dal tribunale minorile. La seconda domanda è: chi accedeva ai luoghi di vita dei minorenni al fine di controllare le condizioni di vita? Le chiedo se gli accessi svolti avvenivano a sorpresa o venivano preannunciati, se sono state svolte dalle autorità minorili verifiche preventive in altri luoghi di accoglienza per minorenni e se ha avuto modo di constatare se strutture od operatori riguardati dalle indagini siano rimasti attivi e abbiano ricevuto altri incarichi. Grazie.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando Pag. 15provinciale di Reggio Emilia. A gestire la fase del controllo sulle modalità di affido erano gli assistenti sociali che comunque, almeno dalle maniere incidentali emerse nelle indagini, lo facevano in maniera costante, quindi si interfacciavano con gli affidatari e non solo in prima persona ma anche attraverso gli educatori. Nel caso della Val d'Enza era un servizio appaltato all'esterno, a un'altra società. Gli educatori avevano dei rapporti costanti e frequenti con gli affidatari e a volte si recavano anche presso il domicilio del bambino. Non ho, invece, effettuato nessun accesso controllo per quanto riguarda le comunità.

  PRESIDENTE. Grazie. La parola all'onorevole Bellucci da remoto.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Grazie, presidente. Ringrazio l'audito per la puntualità della sua relazione e anche per la chiarezza dei temi trattati. Nello specifico in un passaggio lei ha detto che tutti erano a conoscenza di ciò che stava accadendo, dei fatti. Potrebbe essere così cortese da declinare quei tutti? Chi era a conoscenza anche dei rispettivi ruoli nelle rispettive competenze di ciascuno?
  Ho un'altra domanda. Rispetto alla figura del tutore o del curatore del minore, volevo sapere se erano stati nominati per tutti i minori, per cui avete avuto l'opportunità di attuare delle indagini, che tipo di comportamento avevano tenuto e soprattutto se i curatori, per quello che voi avete potuto appurare, avevano avuto incontri con minori stessi, avendo potuto seguire il minore attraverso un ascolto in presenza.
  Infine, lei parlava dell'età proposta dalla legge italiana per quanto riguarda i 12 anni dell'ascolto del minore e poi si è capaci di discernimento sotto i 12 anni. Volevo soltanto precisare che questo è un punto di caduta drammatico in Italia, dal momento che la Convenzione internazionale sui diritti dei bambini ratificata dall'Italia non dà il limite di età rispetto a quel diritto che è il diritto di ascolto e di poter partecipare attivamente e consapevolmente a tutti i provvedimenti che lo riguardano. La riflessione che lei faceva è assolutamente congrua dal momento che certamente per decidere su di un minore bisognerebbe ascoltare e incontrare il minore da parte dell'autorità che è preposta poi a prendere delle decisioni o attraverso dei decreti o attraverso delle sentenze. Ringrazio ancora e attendo una risposta.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Sulla prima domanda, quando ho parlato di «altri», parlo degli altri assistenti sociali che componevano il servizio sociale. Per quanto riguarda il ruolo del tutore, è effettivamente una criticità la circostanza che il ruolo di tutore fosse in capo al medesimo dirigente del servizio sociale. Purtroppo questo provoca un difetto di terzietà nelle valutazioni di provvedimenti a tutela del bambino, perché mi sembra ovvio che se un dirigente nell'esercizio delle sue funzioni ritenga tutelante per il minore allontanare quel minore dal nucleo familiare, non è che nel momento in cui si spoglia dal ruolo di dirigente e si mette i panni del tutore adotta una decisione differente. Per esempio, alcuni comuni, come quello di Reggio Emilia, con cui mi sono interfacciato per vicende vicine a quelle di Bibbiano hanno un tutore esterno all'amministrazione, il che consente un confronto dialettico meno di parte rispetto alle decisioni che vengono adottate da quel servizio sociale. Abbiamo potuto notare che questo è sicuramente proficuo per le scelte che poi vengono adottate.

  PRESIDENTE. Benissimo. Io ho alcune domande, se mi permette, maresciallo, che sono in realtà residue rispetto a quelle molto precise già fatte dalle mie colleghe. La domanda è anche una curiosità. I servizi sociali hanno un fascicolo – immagino che voi che avete fatto le indagini siate andati negli uffici dei servizi sociali, quantomeno a Bibbiano – per ciascuno minore o per ciascuna famiglia? In questo fascicolo è riportata almeno una relazione delle sedute di psicoterapia?

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando Pag. 16provinciale di Reggio Emilia. Il servizio sociale ha un fascicolo per ogni minore, al cui interno vi sono tutte le relazioni. Il problema è che nel caso dell'indagine sui fatti di Bibbiano quel famoso appalto relativo al servizio psicoterapeutico in realtà era una sorta di affidamento sine titolo, cioè non esiste un formale atto di affidamento del servizio. Agli atti raramente abbiamo trovato relazioni degli psicoterapeuti dell'Hansel e Gretel. Non è certo che l'esatta composizione del fascicolo acquisito sia esattamente il contenuto che quel fascicolo aveva prima dell'acquisizione, perché abbiamo alcuni elementi investigativi, che saranno poi sottoposti al vaglio dibattimentale insieme alle responsabilità degli imputati, che ci fanno pensare che alcuni documenti siano stati sottratti e tolti dal fascicolo prima dell'acquisizione.

  PRESIDENTE. Grazie. Io le faccio una serie di domande ma sono più o meno tutte connesse. Una riguarda quello che ci ha illustrato nel caso di sospetto abuso sessuale di famiglia. In questi casi, quando c'è stata una denuncia da parte dei servizi sociali nei confronti dei genitori, non c'è stata alcuna indagine delle forze dell'ordine o, come giustamente ci ha consigliato prima, un incidente probatorio prima dell'allontanamento? È bastato il fatto che i servizi sociali riscontrassero il sospetto di un abuso in famiglia per procedere all'allontanamento del bambino?

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Ovviamente andrebbe distinto caso di minore per caso di minore. Erano famiglie con degli elementi di fragilità, ma cito un dichiarato di una testimone che indica che all'interno delle relazioni si doveva dare l'idea che esistesse l'abuso, alludendo al concetto di abuso per mettere nelle condizioni l'interlocutore magistrato di adottare il provvedimento. Questo è avvenuto nel singolo caso affrontato da parte di questa operatrice.
  Quando vi è la segnalazione di un abuso e vi è l'allontanamento di un minore, si attivano contemporaneamente due procedimenti: si attiva il procedimento minorile – ne sto parlando in una fase storica dove il 403 non era quello che è oggi – e poi si attiva il procedimento penale.
  Nella vicenda Bibbiano sono stati svolti accertamenti a volte anche allo stesso incidente probatorio del bambino, tant'è che in prossimità degli incidenti probatori con estrema coincidenza perveniva una relazione sul dichiarato del bambino. Questi procedimenti si sono chiusi con l'archiviazione, ma questo non fa venir meno il procedimento civile e talvolta, non sempre, proprio perché nel frattempo nel bambino si sedimenta comunque l'idea dell'abuso. Il paradosso che abbiamo notato in Bibbiano è che ci si trova davanti a due genitori che sono innocenti come lo siamo tutti noi, per qualsiasi responsabilità, ma sono comunque dei sospetti abusanti perché il bambino continua a ribadire l'accusa nei loro confronti, soprattutto durante il percorso di psicoterapia. Ho fatto l'esempio di quella minore che anche posteriormente è convinta di essere tornata a casa solo per avere perdonato il padre. È come incistare il ricordo di un fatto mai avvenuto o che comunque nessuno potrà mai provare di essere avvenuto e nello stesso tempo per il minore quel fatto è come se fosse esistito.

  PRESIDENTE. Certo. Ci ha chiarito veramente una cosa molto importante, cioè il rapporto che c'è fra il giudizio penale e il giudizio davanti al tribunale dei minorenni. Effettivamente non si capisce perché un allontanamento o un provvedimento preso dal tribunale dei minorenni per un abuso che poi viene archiviato o comunque smentito – mi perdoni la atecnicità – non ha nessun effetto sul provvedimento del tribunale dei minorenni. Le faccio molte domande, ma è per chiarire. Il provvedimento di archiviazione viene trasmesso al tribunale dei minorenni, quindi il giudice dovrebbe recepirlo o quantomeno leggerlo.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Assolutamente sì, però l'archiviazione non è una Pag. 17decisione nel merito. Quando parliamo di archiviazione, parliamo dell'assenza di presupposti da parte del pubblico ministero per poter sostenere concretamente un'accusa nel giudizio. Questo non toglie che il tribunale abbia un oggetto di valutazione diverso. Quando si aprono questi due procedimenti l'oggetto di valutazione diventa diverso: alla procura penalmente interessa esclusivamente il fatto penalmente rilevante che Tizio abbia stuprato Caio, mentre all'autorità giudiziaria minorile sul tema della responsabilità genitoriale non interessa solo questo aspetto, ma va ad approfondire tutte le tematiche che possono anche essere semplicemente di contorno come, per esempio, se il genitore non presunto abusante ha vigilato abbastanza per impedire all'altro di abusare, sempre che l'abuso vi fosse stato nel caso di riferimento. È proprio l'oggetto del procedimento che cambia.
  Questo provoca dei cortocircuiti, a maggior ragione nella vicenda di Bibbiano dove, dopo un'archiviazione a febbraio del 2017, ci troviamo a inizio 2019 ancora con bambini presso la famiglia degli affidatari, con atti ancora secretati nel procedimento minorile, nonostante le continue sollecitazioni che questa famiglia ha fatto non solo al garante ma anche alla stessa amministrazione comunale e al sindaco, perché non solo non ha mai saputo il motivo per cui il bambino era stato allontanato, se non percependolo attraverso il procedimento penale che poi era stato archiviato, ma di fatto gli era stato precluso anche qualsiasi tipo di rapporto con il minore. Il cortocircuito è evidente e si rende concreto nel momento in cui vi è un'archiviazione da parte della magistratura penale e una magistratura civile che comunque, rispetto ad altri elementi, continua a ritenere quei genitori ancora non idonei.

  PRESIDENTE. Perfetto. Io ho ancora qualche domanda. Lei ha detto una cosa molto importante, ovvero che di fatto per vedere gli atti degli assistenti sociali, prima della riforma del 403, occorreva un'istanza di accesso agli atti al comune oppure una richiesta al tribunale dei minorenni, se questi poi erano depositati. Alla luce di questo, ci sono stati dei genitori nel caso Bibbiano e, se lei ha notizia, anche in altri casi in tutta Italia che hanno fatto un esposto o una denuncia per violazione – lo dico da avvocato – del principio di contraddittorio o per violazione del loro diritto a essere genitori? Ha notizia se hanno fatto un esposto nei confronti degli assistenti sociali, del servizio degli assistenti sociali, del comune a cui faceva riferimento o dell'Unione dei comuni?
  Le chiedo anche il numero dei bambini che sono stati allontanati e poi riportati a casa nell'ambito dell'indagine sulla Val d'Enza. Se ne vuole parlare, le chiedo anche gli aspetti economici della vicenda e se ci sono stati gravi ostacoli alle indagini.

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. Sulla denuncia fatta dai genitori rispetto alla condotta dell'amministrazione, mi risulta di sì, ma non ne conosco gli esiti, né gli sviluppi. È vero che oggi il 403 del codice civile consente attraverso una procedura più trasparente un'immediata percezione del motivo per cui viene tolto un figlio, ma è anche vero che potenzialmente questa trasparenza potrebbe essere strumentalizzata in ambito penale, perché l'accesso agli atti relativi all'allontanamento rischia di anticipare la presa di conoscenza del procedimento a suo carico eventualmente da parte del genitore nell'ambito penale. Effettivamente attualmente si è sicuramente risolto una problematica, però c'è uno spazio dove potenzialmente una criticità c'è: il genitore va a fare accesso agli atti per il 403, anzi con la nuova formulazione deve ricevere la notifica sia del ricorso che del decreto e così scopre le accuse eventualmente mosse dal figlio. Probabilmente un coordinamento tra le procure potrebbe evitare questo, però non conosco le modalità con cui poi si darà attuazione a questo aspetto.
  Sul procedimento, i minori sono tutti rientrati e, andando a memoria, credo fossero una decina. Alcuni sono rientrati anche già poco prima della misura cautelare del giugno del 2019 per motivazioni comunque relative alle indagini che in quel momento erano in atto e se non relative, Pag. 18perlomeno connesse da un punto di vista oggettivo alle indagini che erano in atto. Si tratta di minori che sono rientrati poiché il tribunale per i minorenni, dopo la misura cautelare, ha deciso di prendere in mano questi fascicoli, li ha revisionati e ha affidato il caso a una CTU, li ha tolti dal servizio sociale a cui erano stati affidati prima, cioè quello della Val d'Enza. È stato sicuramente confortante per chi ha investigato e ci ha colpito anche umanamente che in pochi mesi o in un anno di valutazione quei genitori, che per diversi anni erano stati dipinti come mostri, cambiato servizio sociale attraverso una CTU sono risultati genitori assolutamente idonei.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Giannone.

  VERONICA GIANNONE. Grazie. Mi è venuta in mente un'altra cosa. Vi è mai capitato di trovare dei collegamenti magari con consulenti tecnici d'ufficio nominati che avessero collegamenti non tanto con i servizi sociali, ma più che altro con cooperative dove molte volte, attraverso quelle che sono le perizie poi depositate in tribunale, inviano i minori e anche i genitori a fare dei percorsi psicologici o dei percorsi per recuperare la capacità genitoriale, che però comunque in qualche modo hanno a che fare con quelle cooperative o che magari risultano essere collegate attraverso la gestione di quella cooperativa oppure avendo dei parenti all'interno? Vi è mai capitato di trovare questo tipo di conflitto di interessi? Non so adesso se riguarda principalmente la parte di Reggio Emilia, ma in generale lei sa di queste cose?

  GIUSEPPE MILANO, maresciallo capo presso il nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Emilia. No, non mi è mai capitato.

  PRESIDENTE. Benissimo. Se non ci sono altri quesiti, chiudiamo l'audizione e ringraziamo ancora il maresciallo Giuseppe Milano per la disponibilità.

  La seduta termina alle 14.50.