XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori

Resoconto stenografico



Seduta n. 34 di Mercoledì 27 aprile 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti del Forum nazionale delle Associazioni familiari:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 
Orselli Massimo , rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari ... 4 
Cavandoli Laura , Presidente ... 9 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 9 
Cavandoli Laura , Presidente ... 10 
Orselli Massimo , rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari ... 10 
Cavandoli Laura , Presidente ... 11 
Ascari Stefania (M5S)  ... 11 
Orselli Massimo , rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari ... 12 
Cavandoli Laura , Presidente ... 13 
Orselli Massimo , rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari ... 13 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA CAVANDOLI

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti del Forum nazionale delle Associazioni familiari.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza di Massimo Orselli, in rappresentanza del Forum nazionale delle Associazioni familiari. Il Forum delle Associazioni familiari è attivo da ormai quasi trent'anni su molteplici tematiche riguardanti la famiglia e tra le sue varie attività ha promosso il progetto «Confido», che ha l'obiettivo di promuovere e diffondere la conoscenza delle pratiche di adozione e affido sul territorio nazionale, creando un ponte tra le famiglie affidatarie, le comunità, gli operatori e i servizi sociali territoriali.
  Il dottor Orselli è impegnato da molto tempo su questi temi, e lo scorso 23 febbraio è stato recentemente eletto presidente della Consulta della regione Marche per la famiglia, un organo propositivo e consultivo istituito con la legge regionale 30 del 1998.
  Con questa audizione riprendiamo un confronto con le realtà associative che avevamo avviato sin dalle prime sedute con l'audizione delle associazioni partecipanti al tavolo nazionale affido. Per la Commissione si tratta, innanzitutto, di acquisire una valutazione di associazioni impegnate nella promozione della famiglia, nella promozione dell'affido e dell'adozione sul funzionamento complessivo del sistema e anche sulle riforme in atto, come quella sulla riforma del processo civile.
  Sotto questo punto di vista, i dati acquisiti nel corso dell'inchiesta evidenziano numerose criticità e anche una certa schizofrenia. Da un lato infatti nel dibattito si valorizza, sulla base delle previsioni normative, il valore sociale dell'affido, specialmente familiare, per il superiore interesse del minore; dall'altro, nel concreto funzionamento del sistema, assistiamo alla collocazione, talora forzosa e in qualche caso persino vessatoria, di minori fuori dalle famiglie di origine con procedimenti che conducono più verso strutture comunitarie che verso famiglie affidatarie e che talora portano a collocazioni ingiustificatamente lunghe, aggiungo anche distanti dal punto di vista territoriale.
  Talora le stesse famiglie affidatarie si trovano a subire le conseguenze di progetti elaborati in maniera sommaria e gestiti in maniera superficiale, come emerge anche in alcuni esposti rivolti alla Commissione. Né mancano casi di progetti di affido familiare interrotti sulla base di decisioni dei servizi sociali che appaiono, sotto vari aspetti, arbitrari e probabilmente non corrispondenti all'interesse del minore.
  Il Forum delle Associazioni familiari ha, in diverse occasioni, sottolineato il valore dell'affido, invitando le istituzioni a distinguere tra vicende criminali, come quella di Bibbiano, e la complessa realtà dell'affido. Allo stesso tempo non ha fatto mancare proposte di riforma, in particolare per la creazione di comunità che siano realmente Pag. 4di tipo familiare. Il tema è importante anche rispetto a una denunciata crisi dell'affido familiare, che talora viene attribuita alle conseguenze della vicenda Bibbiano, ma che forse ha più a che fare con un modus operandi del circuito dei servizi sociali, tribunale dei minorenni, che porta spesso a privilegiare un approccio burocratico-coercitivo, più che una progettualità orientata ai minori e alle famiglie.
  Lascio ora la parola al dottor Orselli per la sua relazione, chiedendo come di consueto la disponibilità a rispondere ai quesiti che le verranno proposti al termine della relazione, anche magari in forma scritta qualora necessitassero di un'istruttoria e un approfondimento ulteriore. Prego, dottor Orselli.

  MASSIMO ORSELLI, rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari. Ringrazio la presidente per l'introduzione e ringrazio tutti voi per la possibilità che viene data a me come rappresentante del Forum delle Associazioni familiari per sviluppare questo argomento così importante che ci sta particolarmente a cuore. Io mi presento, sono Massimo Orselli, sono ingegnere, con una formazione che va al di là degli aspetti psicologici e sociali, ma per esperienza vivendo da oltre trent'anni l'esperienza delle associazioni famiglia per l'accoglienza, di cui sono il Vicepresidente nazionale, sono legato alla vita del Forum delle Associazioni dei familiari e porto avanti la delega all'interno del Forum per quanto riguarda la tematica dell'affido e dell'adozione.
  Nel Forum ci sono sette associazioni, che sono contraddistinte dal tema della accoglienza in generale, e tutte hanno una significativa presenza di famiglie che accolgono dei minori in affido nelle proprie case o che hanno dato vita a diverse strutture di accoglienza come case famiglia. Mi sembra utile nominare queste associazioni, che oggi sono chiamate a rappresentare la loro partecipazione al Forum, perché le associazioni che hanno esperienza ormai di oltre trent'anni sono quel tessuto che nella realtà opera quotidianamente per il bene dei minori che sono costretti a essere allontanati dalle loro famiglie. Queste associazioni sono AIBI (Associazione amici dei bambini), Associazione comunità Papa Giovanni Ventitreesimo, Associazione Fraternità, Associazione per famiglie nuove, Cometa, Famiglie per accoglienza e Progetto famiglia.
  Chiaramente, con tutti i vincoli di tempo che ha ricordato la presidente, io cercherò di evidenziare alcune questioni secondo due filoni comunque legati tra loro. Il primo è l'esperienza dell'affido familiare; il secondo riguarda le comunità di tipo familiare che accolgono minori, con cui è stata costruita la presente Commissione come elemento centrale.
  Perché vorrei sviluppare entrambi questi due punti? Perché sono legati fortemente tra loro. Primo filone: affido familiare. L'affidamento familiare è un'esperienza di accoglienza in cui un bambino, un ragazzo, che è l'elemento centrale della sua storia, della sua famiglia, ha la possibilità di ricevere in via temporanea, e sottolineo questo aspetto temporaneo, cure, affetto o attenzioni per essere aiutato, fare un'esperienza di riconoscimento del valore di sé, per vivere fino in fondo quello per cui quel bambino, quel ragazzo, è stato generato e ha la necessità di sviluppare. Talvolta questo, per diverse possibilità, non può accadere.
  Partiamo dal riconoscimento che ogni famiglia ha il compito di educare e curare il proprio figlio, ma sappiamo – come accennavo – che alcune famiglie sono fragili, con difficoltà di espressione della capacità genitoriale ed educativa – quando parlo di famiglie fragili non parlo dal punto di vista economico – famiglie con possibili situazioni di disagio sociale, familiare, psicologico e talvolta conseguentemente anche di carattere economico.
  Un importante compito educativo e di cura va quindi riconosciuto a quella che è la famiglia che sostiene la famiglia in difficoltà, cioè la famiglia affidataria, quando la situazione la rende necessaria in base a un progetto elaborato dal servizio sociale, che vede la famiglia come un progetto, una risorsa significativa che va coinvolta, informata e interpellata in tutte le fasi di attuazione del progetto stesso.Pag. 5
  Pertanto ci sembra importante riconoscere questo ruolo alla famiglia affidataria, un ruolo centrale per l'aiuto e il sostegno temporaneo del minore finché non possa ritornare il bambino presso la propria origine, come è necessario che questo accada. Da oltre quarant'anni, nelle esperienze di accoglienza familiari, sono nate associazioni e rete di famiglie affidatarie che hanno maturato negli anni un importante esperienza di accompagnamento, una significativa riflessione culturale e alcune buone pratiche, con una forza consapevolezza dei propri bisogni, richieste e proposte che possono essere condivise tra tutti i soggetti implicati nel complesso processo dell'affido, perché, e vorrei sottolineare questo punto, il processo dell'affido coinvolge soggetti diversi con natura diversa, coinvolge le famiglie, le associazioni dei familiari, gli operatori, il sistema giudiziario, i servizi territoriali a diversi livelli.
  L'esperienza delle associazioni familiari, che collaborano con l'ente pubblico, si attua da sempre su un preciso spazio di collaborazione tra questo, l'ente pubblico, le reti e le associazioni familiari, gruppi e famiglie volontarie aggregate caratterizzate dalla spinta dell'accoglienza di un bambino in difficoltà e al sostegno della famiglia, che possono essere strutturate in varie forme. Questo è uno degli elementi delle linee guida, delle linee di indirizzo per l'affidamento familiare del 2013.
  L'associazionismo svolge un ruolo importante nel sostegno alle famiglie, che sia vicino alla esperienza dell'affido familiare; per cui ci sentiamo di ribadire l'importanza, la bellezza dell'accoglienza affidataria e il valore sociale e relazionale che le famiglie affidatarie esprimono nell'accoglienza, un valore inestimabile e non mercificabile. Sia per noi l'esperienza dell'accoglienza dell'affido un'esperienza propositiva e una proposta da fare a tutti.
  L'intuizione di quando hanno proposto e normato l'affido – ormai parliamo di oltre 40 anni – aveva l'obiettivo di evitare che i bambini, a fronte delle difficoltà e dei limiti della propria famiglia, dovessero vivere in un istituto, riconoscendo che per un bambino nulla può sostituire l'esperienza di poter crescere in una famiglia; per cui, secondo quanto indicato nelle linee di indirizzo dell'affidamento familiare, si dice: «L'affidamento familiare si fonda su una visione positiva della possibilità di cambiamento delle persone, e in particolare dei bambini, che possono far fronte in maniera positiva a eventi traumatici di varia natura e intensità, quando sono sostenuti da una rete sociale all'interno della quale si sviluppano relazioni interpersonali significative e di effettivo sostegno alla crescita», questo sempre nelle linee di indirizzo che citavo in precedenza sull'affidamento familiare.
  Questa è l'esperienza di affido che nel tempo tante famiglie hanno vissuto e stanno ancora vivendo. Si pensi, a titolo di esempio, dai dati che abbiamo a disposizione che risalgono ad alcuni anni fa, che i minori fuori famiglia risultavano 26.615, e di questi 14.012 erano in affido familiare, mentre 12.603 bambini erano nelle istituzioni. Questa è una fonte dello studio docente di Firenze della ricerca sociale. Questo testimonia il valore dell'affidamento familiare e l'importanza di poterlo promuovere e incrementare.
  Per tutto questo, come associazioni, ci sentiamo di non mettere sotto accusa l'istituto dell'affido familiare; anzi, diciamo che va ulteriormente promosso e proposto proprio attraverso l'osmosi e l'esempio dell'esperienza positiva che tante famiglie vivono.
  In precedenza la presidente aveva citato il progetto Confido, un progetto finanziato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, promosso dal Forum, che in piena situazione di pandemia in dieci regioni ha sviluppato un percorso di dieci incontri in ogni regione, in cui sono stati coinvolte oltre mille famiglie interessate all'affido familiare e pronte a valutare eventuali proposte da parte dei servizi. Potremmo portare tanti esempi, partendo da questo percorso come Confido, ma come tante altre realtà in cui vengono promosse azioni di informazione e formazione riguardo all'affido familiare.
  Sicuramente la legge n. 184/1983 – ormai parliamo di quaranta anni – è perfettibile,Pag. 6 ma nel suo complesso, se interamente e correttamente applicata, sarebbe un ottimo punto di ripartenza. L'indicazione della priorità dell'accoglienza in famiglia è spesso trascurata a causa dell'emergenza degli interventi, della scarsità e precarietà delle risorse, sia economiche che di personale, e dei tempi definiti dal progetto di affido non rispettati, dalla nomina – se necessaria – del tutore dei minori, mentre noi dobbiamo lavorare tutti insieme per far sì che il bambino, il minore possa crescere nella propria famiglia oppure in chi si può prendere cura di lui. Già l'applicazione di questa e altre indicazioni di legge potrebbero migliorare il sistema, in tutto questo, come sempre ricordato dalle linee guida, pure ribadendo che la titolarità della promozione e della gestione dell'affidamento familiare all'ente pubblico prevede un preciso spazio di collaborazione tra questo, le reti e le associazioni familiari.
  Gruppi di famiglie volontarie aggregate, caratterizzate dalla spinta all'accoglienza del bambino in difficoltà e a sostegno della famiglia, che possono essere strutturate in varie forme. Purtroppo tante volte la collaborazione con l'associazionismo è poco sfruttata e nemmeno valorizzata, mentre c'è la possibilità di una forte collaborazione, come ci accorgiamo che accade, tra i soggetti del privato sociale con le associazioni e la realtà pubblica. Su questo filone il Forum ha portato già il suo contributo nell'ambito della discussione delle proposte di modifica della legge n. 184/1983, partecipando il 15 giugno a un'audizione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati, come ha voluto anche contribuire – purtroppo senza essere adeguatamente ascoltati come tante altre realtà – al dibattito che si è avviato sulla riforma del codice civile, in particolare sui punti che hanno portato alla previsione del tribunale per le persone, per i minorenni, per le famiglie.
  Il Forum ha inviato, il 29 ottobre, un proprio contributo alla Commissione della Camera sul decreto-legge n. 102/1989, che poi è diventata legge nel novembre del 2021. Su questa modifica che è stata apportata del codice civile, con la modifica relativa ai tribunali e all'applicazione a livello regionale, sentiamo ancora la necessità di dare il nostro contributo per le sue attuazioni, perché quella del tribunale per i minorenni è una ricchezza che non va sperduta, ma è un sostegno utile per le famiglie in difficoltà.
  Passo ora al secondo filone che mi ero promesso, che avevo annunciato all'inizio, sulle strutture di accoglienza. Questo in coerenza con quanto già detto, perché mi sembra importante portare il nostro specifico contributo, che è anche il tema specifico di questa audizione. Occorre partire dalla considerazione che, a distanza di oltre venti anni dall'entrata in vigore della legge n. 149/2001 sul diritto dei minori ad avere una famiglia che vada a integrarsi con la n. 183/1984, sono ancora migliaia in Italia i bambini – i numeri che davo in precedenza lo dicono – i ragazzi che vivono in strutture di accoglienza, che non sono specificatamente familiari. La mia non è un'accusa rispetto alle strutture di accoglienza, assolutamente no. È un capire un percorso che dobbiamo fare insieme.
  Strutture di accoglienza dove sono presenti operatori validi dal punto di vista professionale, ma che non rispondono pienamente ai bisogni di relazioni familiari di cui necessitano molti dei bambini e dei ragazzi allontanati temporaneamente dalle loro famiglie di origine. Il problema è che la legge n. 184/1983, poi modificata con la n. 149/2001, articolo 2, comma 2, definisce genericamente tutte le strutture come comunità di tipo familiare, non distinguendo tra quelle che sono davvero organizzate come una famiglia, con un papà e una mamma presenti a tempo pieno, e comunità gestite da educatori a turno, definiti più precisamente dalla legge n. 149/2001 come istituto di assistenza pubblico privato.
  Il risultato di questa carenza di precisione legislativa è che molti bambini sono collocati in comunità educative pure avendo bisogno della presenza stabile di figure genitoriali che offrano loro le relazioni familiari fondamentali in una fase delicata del loro sviluppo per la costruzione delle Pag. 7relazioni affettive e della loro personalità. Il Forum nazionale delle Associazioni familiari ritiene opportuno che il ruolo della famiglia come migliore risposta possibile per molti dei bambini che devono essere allontanati dalla loro famiglia di origine venga riconosciuto anche nella normativa, distinguendo con precisione le diverse tipologie di strutture di accoglienza.
  La famiglia è in grado di accogliere bambini e adolescenti non solo offrendo tutte le cure e gli interventi previsti dalle norme, ma soprattutto offrendo ciò che appartiene alla famiglia, l'amore tra i coniugi e tra essi e i loro figli. L'unità tra i coniugi come elemento fondativo della famiglia stabilisce nel matrimonio una relazione che trae la sua forza dall'amore reciproco che coinvolge tutte le persone che vivono l'appartenenza alla famiglia stessa, pure a diverso titolo, genitori, figli biologici e figli affidati.
  Questa ricchezza costituisce un fattore nutritivo in grado di restituire al minorenne accolto la dignità di figlio. Se accolto raccogliendo l'unità affettiva e morale della famiglia, può essere messo nella condizione di potersi riaffidare alle relazioni familiari alimentando così dentro di sé nuova speranza per il suo futuro.
  Il grado di familiarità deve essere il criterio che porta alla definizione delle diverse tipologie di strutture di accoglienza – Questo è un punto importante che a noi sta a cuore – eliminando così l'ambiguità che nasce dal definire genericamente comunità di tipo familiare qualsiasi struttura, fermo restando che la dimensione e il modello educativo debbano essere in stile familiare in tutte le strutture di accoglienza.
  Nello stesso modo bisogna tenere presente, come previsto dalla normativa, che la prima risposta per ogni bambino allontanato dalla famiglia di origine deve essere una famiglia affidataria. Solo qualora non sia possibile l'inserimento in una famiglia affidataria si deve, in seconda istanza, pensare a una struttura di accoglienza.
  Pertanto, alla luce di queste considerazioni, il Forum propone la seguente classificazione che, oltre a portare un sostanziale contributo con un chiarimento tra le diverse tipologie di strutture di accoglienza, vuole suggerire anche un criterio di priorità. Qualora un minorenne non possa permanere nella sua famiglia, valutata l'impossibilità a praticare un affido familiare, perché molte volte c'è questa difficoltà per diversi motivi, si procederà, innanzitutto, con il considerare l'ipotesi di inserimento in casa famiglia, e ove non possibile si penserà all'inserimento in una comunità familiare; solo laddove anche questo non possa essere attuato, si penserà all'inserimento in una comunità educativa.
  Sono tre livelli che ora voglio sinteticamente descrivere, che sono prioritariamente importanti per la vita di ogni bambino secondo le proprie caratteristiche. Poi vorrei indicare, secondo la nostra esperienza, come possono essere classificate le diverse realtà. La casa famiglia: è un presidio di solidarietà sociale condotto da una famiglia, costituita da due persone adulte, uomo e donna coniugati, con o senza figli, che pongono stabile dimora nella casa famiglia. In essa lo svolgimento delle funzioni genitoriali prevalente è a carico della coppia, benché possono essere previsti supporti di tipo educativo anche in base al numero e alla tipologia degli accordi. Infatti è opportuno, secondo noi, che ogni casa famiglia definisca la tipologia degli accordi, tenendo conto anche delle normative locali.
  Tale disponibilità all'accoglienza può comprendere, oltre ai minorenni, anche le mamme o padri con bambino, adulti in difficoltà o disabili, dal punto di vista del decreto ministeriale n. 308, in cui rientrano in case famiglia multiutenza complementare. Ogni nuova accoglienza, qualunque essa sia, viene valutata sulla base della possibilità di inserimento sereno ed efficace, tenendo conto del benessere di quanti sono già parte della casa famiglia stessa.
  Seconda possibilità: la comunità familiare è caratterizzata da una forma di familiarità attenuata. In essa almeno un adulto stabilmente residente svolge le funzioni genitoriali prevalenti. Anche qui possono essere previsti supporti educativi in base al numero e alla tipologia degli accordi, seguendoPag. 8 gli stessi criteri indicati per la casa famiglia.
  Un terzo tipo di struttura, che noi sentiamo di proporre in base all'esperienza, è la comunità educativa. Tale comunità educativa è caratterizzata dalla presenza di educatori professionali presenti con modalità a rotazione. La dimensione professionale dell'équipe educativa si esprime nella cura, nell'accompagnamento e nella crescita del minorenne. Inoltre l'organizzazione della vita della comunità si esprime necessariamente attraverso funzioni e azioni educative e di cura nella quotidianità da parte degli educatori coinvolti.
  Il Forum nazionale delle Associazioni familiari chiede inoltre quanto segue: che la famiglia che conduce una casa famiglia ha competenze relazionali e gestionali specifiche che non sono assimilabili a quelle di un educatore professionale. Ne consegue che, qualora ci sia la libertà di scelta della famiglia, il coniuge che si dedica prevalentemente all'accoglienza mantenga il suo impegno lavorativo al di fuori della casa famiglia e che debba avere diritto alle previdenze previste dalla legislazione, in particolare alle aspettative e ai congedi parentali. Quindi devono poter essere fruiti per l'interesse del minore accolto tra il diritto di godere della completa presenza a casa di almeno di uno dei genitori della casa famiglia mediante l'istituto della maternità.
  Due: le case famiglia, come qualsiasi altra famiglia, spesso hanno bisogno di supporti, ad esempio l'aiuto di volontari per la realizzazione di alcune attività, l'aiuto da parte di educatori professionali, un sostegno nei confronti dei ragazzi con bisogni più gravosi. Il ricorso alle figure professionali deve essere consentito e talvolta necessario, ma non deve costituire standard per tutte le case famiglie. Quindi deve essere reso obbligatorio anche dove non sia necessario. Si ritengono, inoltre, opportuni i supporti periodici ed esterni alla struttura, che offrono alla famiglia possibilità di confronto e verifiche.
  Tre: non si ritiene necessario che la famiglia che conduce la casa famiglia debba essere in possesso dei titoli professionali specifici, ma di un curriculum di formazione e di esperienze di accoglienza pregresse riconosciuto positivamente dall'ente pubblico territorialmente competente. È auspicabile, anche, che per le famiglie di casa famiglia vengano messi a disposizione percorsi di formazione permanenti che possono essere attivati dalle associazioni di riferimento o da enti pubblici, o ancora in collaborazione tra i due soggetti.
  Quattro: gli edifici che ospitano le case famiglia, come giustamente prescrivono varie normative nazionali e regionali, devono soddisfare i requisiti della civile abitazione. Stante poi il carattere familiare, deve essere riconosciuto che non siano applicabili delle norme che regolano la produzione dei pasti per terzi, come il decreto n. 81 del 2008, e le norme di prevenzione CE. Si applicano invece tutte le agevolazioni generalmente previste per la famiglia e ci si oppone a tutto quello che snatura l'identità dell'essere famiglia.
  Per tutto questo ci sentiamo di avanzare anche in questa sede le seguenti istanze. Uno: la legge n. 184/1983 deve essere modificata eliminando l'impropria definizione di «comunità di tipo familiare», distinguendo con chiarezza le varie tipologie di strutture di accoglienza come sopra indicate. Possono essere indicate casa famiglia, strutture di accoglienza come la casa famiglia, di tipo familiare, comunità educativa, prevedendo, inoltre, che i minori allontanati dalla famiglia di origine possano essere collocati in una famiglia affidataria, in una struttura familiare gestita da una coppia di coniugi, casa famiglia, ove non possibile da almeno una figura adulta che svolge la funzione paterna o materna, e presente a tempo pieno, unità familiare, oppure in comunità educative.
  Un secondo aspetto importante riguarda i minori sotto i tre anni, la loro accoglienza, compresi i neonati o bambini piccolissimi, per i quali le istituzione talvolta propongono e prevedono il cosiddetto «affido ponte», in attesa di fare i necessari approfondimenti. In questo caso deve essere disposto che questa accoglienza possa avvenire solo nelle famiglie affidatarie o in case famiglia. Per i bambini dai tre ai sei anni si Pag. 9ammette anche l'inserimento in comunità familiare. Per noi questo è un punto centrale che va assolutamente tenuto presente nel percorso che si è avviato.
  Terzo, e concludo: l'attuazione dell'articolo 3 della legge n. 149/2001, il comma 2, per cui la conferenza permanente dei rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano definiscono gli standard minimi dei servizi di assistenza, standard che dovranno essere applicati in maniera omogenea da tutte le regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano per le case famiglie, le comunità familiari e le comunità educative sulla base delle disposizioni stabilite. Vanno riviste tutte queste modalità.
  Questo è il contributo che come Forum delle Associazioni familiari ci sentiamo di dare a nome di tutte le associazioni che partecipano al Forum, ma anche tenendo conto di tante realtà che sul territorio, in maniera capillare, operano quotidianamente a favore dei minori e delle famiglie in difficoltà.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, ingegnere Orselli. Avremmo qualche domanda, alcune ne ho io, però do subito la parola all'onorevole D'Arrando da remoto. Prego, onorevole D'Arrando.

  CELESTE D'ARRANDO. Grazie, presidente. Io ringrazio il dottor Orselli e ringrazio per la relazione. Ci dà un quadro rispetto a un'altra parte importante di quello che è l'oggetto di questa Commissione. Vado alle domande in modo sintetico, auspicando di essere chiara, laddove qualora gliele ripeto. Intanto mi ha colpito una sua affermazione, ma giusto per capire anche la ratio che sta dietro a questa affermazione, rispetto alla promozione e alla proposizione dell'esperienza dell'affido. Vorrei capire la vostra posizione, dato che quando si fa un allontanamento di un minore dalla famiglia di origine è un'esperienza traumatica per tutti i componenti della famiglia di origine e sicuramente comunque coinvolge emotivamente anche la famiglia affidataria, in modo particolare perché le dinamiche che stanno all'interno di una famiglia affidataria non sono le stesse che stanno all'interno di una comunità per affidi, per fare un esempio proprio specifico. Proprio per queste motivazioni, ritiene opportuno che si investa anche in quella che è una rete sociale e socio sanitaria? Perché noi andiamo sì a parlare di affido, ma parliamo anche dell'aspetto sanitario, perché quando si vivono certi tipi di traumi la psiche comunque può comportare anche delle conseguenze in termini di salute. Le chiedo se come Forum ritenete opportuno anche che ci sia questo investimento e potenziamento, anche alla luce di quelli che sono stati gli investimenti fatti in legge di bilancio, in termini anche di definizione dei livelli essenziali di prestazioni e soprattutto del fatto che si sta andando nella direzione di potenziare la presenza degli assistenti sociali.
  La seconda domanda: se può chiarirci l'aspetto della modifica alla n. 183/1984 inerente alla parte dei tribunali dei minorenni, che lei ha accennato, ma non ho compreso chiaramente qual è la criticità. Le chiedo se ci può chiarire meglio questo aspetto.
  La terza: voi fate un distinguo tra, poi mi corregga se sbaglio, famiglia affidataria, casa famiglia, comunità familiare e comunità educativa. Per me la comunità educativa ha tutto un altro ruolo che nella situazione dell'affidamento diventerebbe un po' critico da gestire, ma al netto di questo la domanda che mi sorge spontanea è: qual è la differenza tra una famiglia affidataria e una casa famiglia? In entrambi i casi è comunque una coppia e non capisco quale sarebbe la differenza nella sostanza, oltre a se intendete anche prevedere o che comunque si preveda a livello normativo una sorta di accreditamento di quelle che possono essere le strutture, anche perché una volta che tu crei la categorizzazione delle strutture, mi passi il termine, di categorizzazione, è ovvio ed è normale che ci debba essere anche una sorta di vigilanza e di controllo che può essere possibile solo attraverso un processo di accreditamento o regionale o in un'altra fattispecie.Pag. 10
  Quarta e penultima domanda: come ritiene, e se ritenete ovviamente come Forum, ma mi rivolgo a lei in quanto presente come audito, opportuno avere la figura dello psicologo sin dall'inizio della presa in carico dei servizi sociali. Questo perché la figura dello psicologo non serve solo per il minore, che è al centro di quello che dovrebbe essere un progetto, e soprattutto è colui che deve essere tutelato in primis, proprio perché è per questo che esiste questa istituzione dell'affido; e se ritiene opportuno anche il potenziamento della figura dell'assistente sociale in termini di quello che abbiamo detto un po' prima, dei livelli essenziali delle prestazioni, e quindi una presenza più massiccia proprio per garantire quello che voi un po' avete, passi il termine, denunciato, della necessità di garantire meno precarizzazione degli interventi sociali in materia di affido e anche una continuità di quella che è poi l'istituzione dell'affido.
  Ultima domanda: sui minori sotto i tre anni, io la vedo molto critica, lo dico da neo mamma. Il pensiero che mia figlia, mai succeda nella vita, vada in un'altra famiglia, a me come madre mi sconquasserebbe, detto proprio in maniera molto chiara.
  Perché questa distinzione? Glielo chiedo perché secondo me è opportuno sapere qual è la motivazione e la ratio che è dietro le vostre istanze. Sotto i tre anni, ci sono degli studi o avete fatto degli approfondimenti che ci danno delle indicazioni chiare sulla necessità di un istituto, tipo quello familiare o comunque della casa famiglia rispetto ad altre, per certe fasce di bambini e di minori, c'è una sorta di appoggio anche per capire da dove nasce questa vostra distinzione dal punto di vista tecnico? Ciò anche per avere un maggiore chiarimento in merito a questo.
  Io la ringrazio della sua relazione e spero di essere stata chiara nelle mie domande.

  PRESIDENTE. Direi che facciamo rispondere. Poi abbiamo un'altra domanda dall'onorevole Ascari. Prego, ingegnere Orselli.

  MASSIMO ORSELLI, rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari. Spero di riuscire a rispondere a tutto. Se ho perso qualcosa, caso mai mi interrompa tranquillamente.
  Innanzitutto, partiamo dall'ultima questione che è stata posta. Perché diciamo che varrebbe la pena coinvolgere i minori al di sotto dei tre anni in una famiglia? Perché è una famiglia ponte, usando il termine, in attesa che venga definito qual è il percorso per questo minore di tre anni. Molte volte noi ci troviamo a vivere in condizioni tali che l'ente, che è il soggetto tutelante, in questo caso il tribunale, prende delle decisioni, per motivi vari su cui noi non possiamo e non vogliamo entrare, di allontanamento del minore e di collocamento del minore presso la struttura. Secondo la nostra esperienza, avendo chiaro che è un collocamento ponte, la struttura migliore è una famiglia, la famiglia che sa che quel minore è da loro per due, tre mesi, quattro mesi, fino a quando non sia definito quello che può essere il percorso del minore stesso. In questo caso potrebbe essere una sua ricollocazione nella famiglia di origine, perché sono state portate a compimento tutte le azioni per far recuperare la capacità genitoriale alla famiglia d'origine. Può essere l'avvio di un processo adottivo, qualora ci siano le condizioni. Ma nel frattempo il minore, il bambino è presso una famiglia. Questo secondo noi è un elemento decisivo per un minore fino ai tre anni. Deve essere chiaro che è una famiglia ponte, è un passaggio da-a. Ad esempio, io non darei mai un bambino in queste condizioni a una famiglia che non ha figli, oppure a una famiglia che ha avviato il percorso adottivo. Questo è un primo aspetto, perché ci sembra importante perseguire, fare questo percorso.
  L'altro aspetto importante è la questione della legge n. 183/1984 sulla casa famiglia, sull'accreditamento. Noi non crediamo ci possa essere un criterio unico di rispondere al bisogno che viene fuori nei minori. Ci sono diverse possibilità per rispondere al bisogno dei minori: c'è l'affido familiare; oggi è sempre più forte l'esperienza di un appoggio alla famiglia per poter far recuperarePag. 11 la sua capacità genitoriale; c'è la possibilità dell'affido diurno, di un affido part-time; sono tante le forme che oggi ci sembra possa essere utile mettere in campo.
  Quello che a noi sta a cuore, come è nello specifico la legge n. 184 e poi anche nella n. 149, è il minore, la tutela del minore, perché possa crescere secondo la sua natura, le sue caratteristiche. Per questo un'esperienza che sta sempre più prendendo piede, che è assai più importante, è quella di accompagnare con un affido diurno i minori, quando questo è consentito, quando c'è questa possibilità. Ovviamente questo comporta un impegno grosso da parte dei servizi, e riprendo un altro aspetto che lei ha domandato, che devono essere quell'elemento di coordinamento tra il bisogno della famiglia in difficoltà, con il minore in difficoltà, e la risorsa della famiglia di appoggio, della famiglia destinataria, della famiglia di sostegno del minore, ma anche della famiglia in difficoltà.
  In questo senso a me sembra importante la questione della necessità di investire sui servizi sociali. I servizi sociali hanno un ruolo importante in tutto il percorso. Purtroppo la nostra esperienza fa dire che i servizi sociali vivono una forte precarietà: precarietà di formazione, precarietà di impegno di lavoro. Talvolta è più stabile la famiglia affidataria, che l'assistente sociale che ne ha la responsabilità.
  In questo la figura dello psicologo, le figure degli esperti sono figure importanti, che vanno sostenute e sulle quali le famiglie affidatarie devono fare conto, perché sono soggetti importanti in tutto il percorso dell'affido.
  Altro aspetto fondamentale: io nella mia elencazione ho parlato delle case famiglia. La cosa importante è che ogni realtà sia riconosciuta secondo dei criteri oggettivi che le realtà locali, essendo di competenza regionale, individuino, nel senso: la casa famiglia è fatta da due genitori che decidono di aprire la loro casa, ma non a uno, a due, a tre bambini, bensì a un numero superiore. In molte normative regionali c'è un numero massimo di minori che possono essere accolti. C'è la possibilità di accogliere mamme con bambino. Sono tante e diverse le forme di accoglienza. Per questo e secondo la nostra esperienza, la casa famiglia è una casa che ha la famiglia al centro dell'esperienza di chi accoglie; è la famiglia il centro dell'esperienza di accoglienza, che è diversa dalla comunità familiare, in cui invece sono coinvolti anche gli operatori, e dalla comunità educativa.
  Ognuna di queste tre realtà che io prima ho elencato ha una sua funzione. Io sono il primo a dire che per ogni bambino va individuata la struttura adeguata. Non c'è un format che si può replicare in maniera indistinta. Ogni bambino ha la sua storia e ogni bambino ha bisogno della sua specifica risposta.
  Non so se ho risposto.

  PRESIDENTE. Grazie, ingegnere Orselli. Onorevole Ascari da remoto, prego.

  STEFANIA ASCARI. Grazie, presidente. Ringrazio anche il dottor Orselli per l'importante contributo. Vorrei porre alcuni quesiti. Qual è la vostra posizione circa la necessità stabilita dalla legge, dalla Costituzione, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo che le famiglie in difficoltà vengano aiutate in via consensuale prima di subire interventi autoritativi? Vi risulta, poi, che per i minorenni in affidamento o sottoposti a trattamenti vengano costantemente predisposti progetti dettagliati per il recupero dell'autonomia familiare?
  Terza domanda: per quanto vi risulta, come e con che frequenza viene garantita la frequentazione tra i minorenni in affidamento e i loro familiari? Vi risulta che le famiglie affidatarie siano istruite al fine di segnalare prontamente gli stati di sofferenza dei minorenni affidati, dovuti alla lontananza dai loro affetti? Se sì, quali iniziative avete assunto o condiviso per stimolare e favorire la collocazione tra genitori e affidatari, al fine di consentire il pronto rientro in famiglia del minorenne affidato? Secondo quali criteri vi risulta che siano scelte le famiglie presso cui vengono collocati i minorenni a rischio di adottabilità? Vi risulta che queste famiglie siano istruite, formate sulla necessità di considerare come obiettivo prioritario, prima Pag. 12dell'eventuale passaggio in giudicato della pronuncia di adottabilità, il reinserimento del minorenne nella sua famiglia?
  Ultima domanda: qual è la vostra posizione rispetto alla necessità di contrastare l'indebito utilizzo della qualificazione di casa famiglia da parte di strutture comunitarie, che nulla hanno dell'organizzazione su base familiare, spesso simulata attraverso la gestione apparente da parte di prestanome? In merito potete indicare iniziative che riteniate utili per un migliore supporto alle famiglie in condizioni di disagio e a quelle che offrono il proprio aiuto per l'accoglienza di minorenni? Grazie mille.

  MASSIMO ORSELLI, rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari. Ringrazio per le tante domande. Spero di essere in grado di rispondere all'onorevole Ascari. Già più volte c'è stata occasione di capire, di cogliere il suo interesse per questo aspetto.
  Se dimentico qualcosa, sono pronto a integrare; chiedo scusa da subito. Io partirei da quest'ultimo aspetto, a partire dalla questione delle case famiglia. Quello che ho cercato di dire all'inizio della mia introduzione era proprio il tentativo di distinguere quello che noi vorremmo che venisse fatto anche a livello normativo, le varie strutture di accoglienza, su quella che è una casa famiglia, quella che è la comunità di tipo familiare e quella che è una comunità educativa, che ognuno di questi tre soggetti di cui accennavo nella mia introduzione ha una sua funzione, ma ognuno di questi soggetti è diverso dall'altro, sia per compiti, sia per struttura, sia per responsabilità, secondo la nostra esperienza.
  Se ho capito bene, la casa famiglia è la struttura di tipo familiare che ha come centro e come nucleo responsabile una famiglia, una famiglia che fa questa scelta, una famiglia in cui uno dei due coniugi continua magari la propria attività lavorativa, ma che diventa l'elemento di accoglienza centrale di questi ragazzi che vengono accolti; ragazzi con diverse problematiche, ragazzi con diversa età, ragazzi che debbono essere aiutati a ritornare poi nel tempo presso le loro famiglie. Questo mi sembra un elemento importante da evidenziare, un elemento che contraddistingue la possibilità di creare un ambito in cui i ragazzi possono vivere un ambiente familiare.
  Il primo aspetto importante mi sembra che sia che il ragazzo, che il bambino, che il minore possa vivere nella propria famiglia. Questo lo lego alla domanda iniziale posta dall'onorevole Ascari per quanto riguarda le relazioni che devono crearsi tra il minore, la famiglia d'origine e la famiglia affidataria, o la struttura di comunità familiare. Perché è importante questo? Il bambino, che è al centro dell'interesse, non può essere l'oggetto di contesa tra la famiglia di origine e la famiglia affidataria. La famiglia affidataria ha il compito di aiutare il bambino a crescere perché possa ritornare il prima possibile presso la sua famiglia di origine.
  A questo punto c'è tutta la problematica di come sostenere la famiglia di origine a recuperare la sua capacità di essere famiglia e di essere la sua capacità genitoriale. Qui entra in gioco tutto il sistema dei servizi territoriali, dei servizi locali, dei servizi che devono investire sul recupero della famiglia di origine, in attesa che il bambino possa ritornare, come è per sua natura, presso la sua famiglia originaria.
  Questo è tutto un percorso che va condotto, che va portato, su cui occorre investire risorse a tutti i livelli. Purtroppo l'esperienza ci fa dire che non sempre c'è questo investimento sul recupero della famiglia di origine. Questo mi sembra un elemento importante, come mi sembra importante tutta la dunque relativa ai criteri sull'adottabilità, che vanno completamente rivisti, perché non può essere – condivido le sottolineature che faceva l'onorevole Ascari – che l'adottabilità venga definita solo in base a certi aspetti prevalentemente di carattere economico, di povertà educativa, quando invece l'adottabilità è una preoccupazione, una scelta che va fatta quando ci sono veramente le condizioni per cui quel minore non può, presso la propria famiglia naturale, trovare il sistema adeguato per la sua crescita.
  Un altro aspetto negli appunti che ho preso: che cosa è importante per il minorePag. 13? Per il minore è importante cogliere di avere un luogo in cui può crescere in maniera organica, armoniosa. Il minore deve cogliere questo nella propria famiglia d'origine innanzitutto ma, qualora ci sia la necessità che venga allontanato dalla famiglia di origine, deve cogliere questo nella famiglia affidataria, ma famiglia affidataria che non può mai mettersi contro la famiglia di origine. La famiglia affidataria deve accompagnare il minore a valorizzare, per quello che è possibile, la sua famiglia di origine verso la quale il minore è chiamato a tornare.
  Spero di avere toccato i punti e le domande che l'onorevole Ascari ha posto, ma sono disponibile eventualmente a fare ulteriori approfondimenti. Chiedo scusa se non ho risposto a tutto.

  PRESIDENTE. Grazie, ingegnere. Io avrei veramente minime domande. Intanto ho apprezzato molto la sua relazione anche in relazione ai servizi che lei, giustamente, ha individuato per ausilio al minore. Giustamente lei ha parlato di «affido part-time», quindi affido non residenziale, affido diurno, e quindi tutti i servizi che di fatto non comportano un allontanamento anche permanente del minore dalla famiglia, ma comunque comportano quella attività di ausilio alla crescita del minore e permettono – almeno dovrebbero permettere – quel parallelo investimento per recuperare la famiglia di origine, la disfunzionalità della famiglia di origine. E questo, anche dal punto di vista delle risorse economiche, comporta sicuramente un risparmio.
  Così come lei giustamente ci ha illustrato, la vostra proposta per quello che riguarda anche una formazione professionale per quelli che sono gli operatori delle famiglie affidatarie, case famiglie, comunità familiare e comunità educativa, una formazione che lei ha definito anche «permanente». Secondo me questo è molto importante proprio perché, nell'ambito del percorso di affido familiare, sorgono spesso problematiche per cui la casa famiglia non può essere lasciata sola. Quindi un confronto da parte delle istituzioni, lei giustamente ha detto dalle associazioni, da chi ha quindi un'esperienza anche pregressa di affidamento, e questo credo che sia un tratto assolutamente importante proprio per evitare di formare, come giustamente lei ha detto, la cultura dell'affido familiare, ma poi lasciare le famiglie con un minore in affido, e lasciarle però sole. Questo ovviamente non va nell'interesse del minore. Però lei in quella distinzione – e qui vengo alla domanda brevissima – che fa ovviamente de iure condendo, si innesta la nuova riforma del processo civile che vede la presenza del tutore, ma anche del curatore del minore. Su questo, nel caso di casa famiglia e di comunità familiare, io le chiedo se avete una idea, una proposta di come venga a rapportarsi il cosiddetto «curatore» del minore nei confronti delle comunità o delle famiglie che hanno in affidamento questo minore. Grazie.

  MASSIMO ORSELLI, rappresentante del Forum nazionale delle Associazioni familiari. Io provo a rispondere per quanto riguarda gli aspetti che la presidente ha indicato. Innanzitutto occorre riaffermare che l'esperienza dell'affido familiare è un'esperienza comunitaria, nel senso che vede in atto soggetti diversi che insieme, pur nella loro diversità ma ognuno con la sua specificità, ha un compito in tutta l'esperienza dell'affido familiare e dell'accoglienza.
  Perché dico questo? Perché non è pensabile per il bene del bambino, perché un conto è il bene del bambino, che un'unica realtà possa aiutare a percorrere l'interesse del bene del bambino. In questo senso è fondamentale l'esperienza della famiglia di origine, che di fatto ha dato origine a questo bambino, e quindi che va mantenuta come punto di origine. È fondamentale l'esperienza della famiglia affidataria, che accompagna il bambino per un periodo breve, che dovrebbe essere breve ma purtroppo non lo è – questo poi è un altro aspetto – che accompagna il bambino affinché possa crescere in modo tale che l'allontanamento dalla sua casa non sia pregiudizievole per la sua crescita e in modo tale che possa ritornare presso la propria famiglia di origine; e qui si apre tutto un altro aspetto del lavoro che si fa per recuperare la famiglia di origine.Pag. 14
  L'altro elemento importante che a me sembra di dover sottolineare è proprio il ruolo dei servizi, che è un ruolo fondamentale se è fatto con stabilità. Noi, lo Stato, le istituzioni dobbiamo investire sui servizi, perché i servizi possano stabilmente realizzare azioni e operazioni che consentano questa permanenza della cultura dell'accoglienza, dell'affido e soprattutto consentano ai minori di poter ritornare con rapidità presso la propria famiglia di origine.
  In questo senso la questione del curatore o del tutore diventa fondamentale in quanto diventa il garante della crescita del bambino, sia rispetto alla famiglia di origine, sia rispetto alla famiglia affidataria. Ossia deve esserci una sinergia forte tra le istituzioni, in questo caso il tutore e i servizi, e le famiglie che sono in gioco nell'aspetto della crescita del bambino, in particolare per un periodo che viene normato dalla legge da parte della famiglia affidataria.
  Per sintetizzare, l'attività di ausilio che la famiglia affidataria può fare è un'attività di sostegno per la crescita del minore per un periodo in cui è costretto a stare lontano dalla propria famiglia di origine. Non so se sono stato chiaro, presidente.

  PRESIDENTE. La ringrazio, è chiarissimo. Se non ci sono altre richieste di intervento da parte dei commissari, chiudiamo l'audizione ringraziando l'ingegnere Orselli per la disponibilità e il Forum nazionale delle Associazioni familiari.

  La seduta termina alle 14.40.