XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Giovedì 14 aprile 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Melilli Fabio , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Melilli Fabio , Presidente ... 3 
Carlino Guido , Presidente della Corte dei conti ... 3 
Melilli Fabio , Presidente ... 13 
Fassina Stefano (LeU)  ... 13 
Melilli Fabio , Presidente ... 13 
Carlino Guido , Presidente della Corte dei conti ... 13 
Flaccadoro Enrico , Presidente di Sezione coordinamento presso le Sezioni riunite in sede di controllo ... 14 
Melilli Fabio , Presidente ... 14 
Flaccadoro Enrico , Presidente di Sezione coordinamento presso le Sezioni riunite in sede di controllo ... 14 
Carlino Guido , Presidente della Corte dei conti ... 14 
Melilli Fabio , Presidente ... 14 

(La seduta, sospesa alle 14.55, riprende alle 15.05) ... 14 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Melilli Fabio , Presidente ... 14 
Blangiardo Gian Carlo , presidente dell'ISTAT ... 14 
Pesco Daniele , Presidente ... 20 
Ferro Massimo  ... 20 
Fassina Stefano (LeU)  ... 20 
Pesco Daniele , Presidente ... 20 
Blangiardo Gian Carlo , presidente dell'ISTAT ... 21 
Savio Giovanni , Direttore della Direzione centrale per la contabilità nazionale ... 21 
Rapiti Fabio , Direttore della Direzione centrale per le statistiche economiche ... 21 
Bacchini Fabio , Dirigente del Servizio per l'analisi dei dati e la ricerca economica, sociale e ambientale ... 21 
Pesco Daniele , Presidente ... 22 

(La seduta, sospesa alle 15.40, riprende alle 15.45) ... 22 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Pesco Daniele , Presidente ... 22 
Balassone Fabrizio , Capo del Servizio struttura economica della Banca d'Italia (intervento da remoto) ... 22 
Pesco Daniele , Presidente ... 26 
Modena Fiammetta  ... 26 
Fassina Stefano (LeU)  ... 26 
Pesco Daniele , Presidente ... 27 
Balassone Fabrizio , Capo del Servizio struttura economica della Banca d'Italia (intervento da remoto) ... 27 
Pesco Daniele , Presidente ... 28 

(La seduta, sospesa alle 16.15, riprende alle 16.30) ... 28 

Audizione della presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Melilli Fabio , Presidente ... 28 
Cavallari Lilia , Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 28 
Melilli Fabio , Presidente ... 33 
Pesco Daniele , presidente della 5 ... 33 
Cavallari Lilia , Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 33 
Pesco Daniele , presidente della 5 ... 34 
Cavallari Lilia , Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 34 
Melilli Fabio , Presidente ... 34

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Europa Verde-Verdi Europei: Misto-EV-VE;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea: Misto-M-PP-RCSE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
FABIO MELILLI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti
della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Corte dei conti.
  Nel ringraziare gli auditi per la partecipazione alla seduta odierna, avverto che sono presenti Guido Carlino, Presidente della Corte dei conti, Carlo Chiappinelli, presidente di Sezione coordinamento presso le Sezioni Riunite in sede di controllo, Enrico Flaccadoro, presidente di Sezione coordinamento presso le Sezioni Riunite in sede di controllo, Vincenzo Chiorazzo, consigliere, Angelo Maria Quaglini, consigliere, Massimo Romano, consigliere, Stefano Gruppioni, funzionario responsabile dell'Ufficio stampa, Francesca Muccio, funzionaria dell'Ufficio stampa, e Andrea Petrella, funzionario dell'Ufficio stampa. Do la parola al Presidente Carlino, ringraziando la Corte dei conti.

  GUIDO CARLINO, Presidente della Corte dei conti. Intanto rinnovo i miei saluti ma soprattutto il mio ringraziamento a lei e al presidente Pesco per avere voluto convocare in audizione la Corte dei conti su questo importante Documento presentato dal Governo.
  Il Documento propone un quadro macroeconomico complessivamente prudente, che resta esposto, cionondimeno, a rischi al ribasso connessi con la forte incertezza circa l'evoluzione del conflitto. Sulla scorta di un'analisi che sconta le tensioni in atto e il non ancora definitivo superamento della pandemia, lo scenario descrive un'economia che, dopo aver chiuso il 2021 con una prestazione migliore del previsto, è stata colpita dallo scoppio della guerra in una fase già resa complessa dall'interazione della quarta ondata del coronavirus con le marcate pressioni inflazionistiche.
  In tale ambiente sembrano due gli elementi chiave su cui ruota la revisione del quadro previsionale: il primo, positivo, è costituito dal favorevole lascito del 2021 all'anno in corso, con 2,3 punti di trascinamento dovuti all'elevata velocità con la quale la macchina produttiva è entrata nel corrente esercizio; il secondo, negativo, è l'arretramento congiunturale del PIL già messo in conto per il primo trimestre del 2022 e stimato in circa mezzo punto percentuale.
  Secondo il Documento, gli avversi sviluppi della congiuntura internazionale e il conseguente raffreddamento di un sistema produttivo messo a dura prova dagli straordinari rincari delle materie prime energetiche hanno significativamente alterato il percorso ritenuto possibile solo alcuni mesi Pag. 4fa. Ora, in assenza di interventi discrezionali si valuta che il PIL crescerebbe in media del 2,9 per cento quest'anno e poi a tassi via via più contenuti. Nel 2025 convergerebbe verso l'1,5 per cento, il valore della crescita potenziale. Confrontate con quelle programmatiche della NADEF, tali stime evidenziano un impatto frenante della crisi di 1,8 punti sul 2022 e di un ulteriore mezzo punto sul 2023. Lo shock sarebbe, invece, sostanzialmente riassorbito a partire dal 2024.
  La perdita cumulata di prodotto, pari nel biennio 2022-2023 a 40 miliardi di euro a prezzi costanti, dovrebbe trovare una leggera mitigazione grazie ad interventi di bilancio espansivi da attuare nelle prossime settimane. Secondo il DEF, l'eccezionale crisi in atto, esacerbando preesistenti tensioni nei prezzi, fiaccherebbe la ripresa su molti fronti. Nel 2022 i consumi delle famiglie, penalizzati dalla rilevante compressione del reddito disponibile, crescerebbero di 2,1 punti in meno e le esportazioni di 1,6 punti in meno. Gli effetti negativi attraverso il canale estero risentono del complessivo peggioramento delle variabili esogene internazionali.
  Scontando il calo già osservato nei dati più recenti, il Documento incorpora una revisione al ribasso di 2,8 punti del commercio internazionale. Nel DEF si stima che i negativi effetti della crisi sull'export non si traslino interamente sulla bilancia dei pagamenti anche a riflesso del contestuale minore incremento delle importazioni in un contesto di riduzione della domanda interna.
  Sul fronte dei prezzi all'import, oltre alla considerevole revisione circa le quotazioni del petrolio in dollari, la previsione sconta un indebolimento dell'euro contro il dollaro nell'ordine del 5,5 per cento. Proprio in ragione dei fattori inflazionistici sottostanti allo shock in atto, gli impatti degli avversi sviluppi congiunturali si presentano di dimensioni più modeste quando esaminati con riferimento alle grandezze nominali. Dato un deflatore del PIL previsto in crescita del 3 per cento, il PIL nominale subisce una revisione molto inferiore a quella del PIL reale, contenuta nello 0,4 per cento. In definitiva la natura dello shock, tendenzialmente monetaria almeno nel primo impatto, porta a prefigurare conseguenze più sostenute sul piano dell'economia reale e delle condizioni dei bilanci privati e meno significative su quello del bilancio pubblico, il quale sconta un'espansione delle basi imponibili e gli effetti positivi della tassa da inflazione.
  Il notevole rialzo delle quotazioni delle materie prime, soprattutto, ma non solo, energetiche, e la conseguente spinta sull'inflazione effettiva ha generato impulsi notevoli sulle stesse aspettative di inflazione, con tensioni importanti sui mercati finanziari, sull'orientamento delle banche centrali e sui tassi di interessi sui titoli pubblici. Mentre per la componente a breve termine continuano a scontarsi per l'anno in corso tassi negativi, il tasso a lungo termine risulta più elevato di circa un punto rispetto allo scorso settembre, quando era posto pari allo 0,9 per cento.
  Si ipotizza che le tensioni permangano nei prossimi anni, pertanto sul mercato dei titoli a dieci anni il rendimento delle obbligazioni pubbliche passerebbe dall'1,8 per cento in media nel 2022 al 2,3 nel 2023 e fino al 2,5 nel 2025. La maggiore inflazione ha riflessi sulla spesa per interessi non solo per gli effetti sui tassi di nuova emissione, ma anche, e considerevolmente, sugli esborsi connessi agli oneri sui titoli indicizzati, che alla fine del 2021 rappresentavano una quota dell'11 per cento sul complesso dei titoli del debito pubblico in Italia. Il riflesso di tale doppio canale di influenza trova evidente esplicitazione nelle grandezze finanziarie presentate nel Documento, soprattutto laddove si prospetta, per l'anno in corso, una leggera risalita del costo medio implicito del debito pubblico, pur a fronte di tassi marginali che nel quadro delle ipotesi adottate resterebbero comunque significativamente al di sotto del valore medio implicito del 2021.
  Il quadro macroeconomico prospettato dal DEF appare quindi coerente con le informazioni congiunturali. La previsione di crescita per l'anno in corso si colloca su livelli inferiori a quelle formulate dai previsori privati professionali, ma va comunquePag. 5 rimarcata l'estrema volatilità delle stime formulate nelle scorse settimane.
  L'aggiornamento del quadro macro porta il Governo a rivedere al ribasso le prospettive del mercato del lavoro. Il numero degli occupati cresce del 2,5 per cento a fronte del 4,1 prima stimato. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, il cui profilo sconta naturalmente anche le decisioni circa la partecipazione al mercato del lavoro, gli effetti della crisi sarebbero nel complesso moderati: dopo un calo di circa 2 punti nel 2021, esso continuerebbe a ridursi nel 2022 all'8,7 per cento nel quadro tendenziale e di un ulteriore decimo di punto nel quadro programmatico, per poi scendere sotto l'8 per cento nel 2025.
  In conclusione, lo scenario macroeconomico delineato dal Documento appare condivisibile e ben disegnato, ma esposto a ulteriori e considerevoli rischi. Se si dovessero materializzare, richiederebbero un'appropriata ricalibratura delle scelte di bilancio. L'approfondita analisi congiunturale sottostante alla definizione delle principali grandezze economiche ha suggerito di porre particolare cura nell'esplorare i possibili effetti di scenari alternativi. Implicitamente, mentre nello scenario di base alla caduta del prodotto prevista per il trimestre trascorso seguirebbe una ripresa, nei due scenari avversi, entrambi costruiti sotto l'ipotesi di interruzione delle forniture di gas russo, si sconta una recessione tecnica che in entrambi i casi non si manifesterebbe in termini di variazione annua del prodotto, la quale, grazie al «cuscinetto» ereditato nel 2021, resterebbe positiva.
  Passando alle previsioni di finanza pubblica a legislazione vigente, il DEF presenta un quadro di finanza pubblica mutato rispetto a quello riportato nella nota tecnica illustrativa alla legge di bilancio per il 2022. Esso sconta, da un lato, la revisione operata in base ai risultati di consuntivo del 2021 e, dall'altro, tiene conto della revisione in senso sfavorevole del quadro macroeconomico. Nel 2021 l'indebitamento netto si è ridotto di 2,4 punti percentuali di PIL, collocandosi al 7,2 per cento. Il disavanzo primario fa registrare una contrazione di ampiezza sostanzialmente analoga. Tale evoluzione positiva riflette, in particolare, l'espansione delle entrate complessive, che ha superato il tasso di crescita della spesa e quello del prodotto nominale. Aumenta, quindi, la pressione fiscale di 0,7 punti, collocandosi al 43,5 per cento.
  Nell'anno in corso l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche si riduce ulteriormente, collocandosi al 5,1 per cento del prodotto, 2,2 punti percentuali in meno del 2021. La dinamica positiva è dovuta alla forte crescita attesa delle entrate, valutate in più 56 miliardi di euro, che supera il trend espansivo della spesa sia primaria, a causa della progressiva rimozione delle misure straordinarie di sostegno all'economia, sia per interessi. Sulla contrazione dei rapporti tra i saldi e il PIL incide, inoltre, la crescita nominale del prodotto, che supera il tasso di incremento delle entrate tributarie. Conseguentemente, si riduce di 4 decimi di punto la pressione fiscale, che scende al 43,1 per cento.
  Nel triennio successivo, a legislazione vigente, proseguirebbe il riequilibrio della finanza pubblica e si assisterebbe a una flessione dell'indebitamento per ulteriori 2,3 punti percentuali su base cumulata, consentendo di raggiungere un livello di disavanzo del 2,7 per cento nel 2025. Parimenti, il saldo primario migliorerebbe progressivamente, tornando a evidenziare una situazione di avanzo nel 2025. Tale risultato positivo è consentito da una crescita delle entrate più intensa di quella delle spese, ma comunque inferiore al tasso di espansione del prodotto nominale nel triennio. In particolare, il gettito tributario in rapporto al PIL si riduce progressivamente e ciò è prevalentemente il riflesso della riforma dell'IRPEF avviata dalla legge di bilancio. La medesima tendenza caratterizza le entrate contributive, le quali, seppure in crescita costante nel triennio, per effetto del miglioramento del quadro economico e dei rinnovi contrattuali rimangono sostanzialmente stabili in rapporto al PIL. La pressione fiscale flette di ulteriori 8 decimali di punto, attestandosi al 42 per cento alla fine del 2025.Pag. 6
  La dinamica della spesa evidenzia un riallineamento ai livelli di incidenza precedenti la crisi finanziaria, grazie al progressivo superamento delle misure emergenziali. La spesa corrente primaria torna alla soglia del 42 per cento del PIL, in riduzione di oltre 6 punti rispetto al picco del 2020; anche la spesa per interessi è stimata in discesa, passando dal 3,5 per cento del 2022 al 3 per cento del 2025.
  L'evoluzione della spesa in conto capitale risulta più articolata: da un lato, si riduce di circa 5 decimi di punto l'incidenza sul prodotto dei contributi agli investimenti e delle altre spese, che hanno accolto finora le risorse di molte misure di sostegno all'economia; dall'altro, gli investimenti mantengono un'intonazione positiva, salendo al 3,6 per cento del PIL alla fine dell'arco di previsione, dal 3,1 per cento del 2022.
  Le previsioni di spesa, in particolare di quella per gli investimenti, riflettono le ipotesi tecniche adottate dal Governo in relazione alla programmazione temporale dei flussi riconducibili al programma Next Generation EU e alla suddivisione delle risorse tra contributi a fondo perduto, prestiti sostitutivi e additivi. Al riguardo, il DEF contiene un aggiornamento del quadro di utilizzazione dei fondi del Dispositivo di ripresa e resilienza rispetto a quanto prefigurato nella NADEF. A fronte di una stabilità dei fondi complessivi di cui si prevede l'utilizzo fino al 2024, si assiste a un rinvio di spesa per oltre 8 miliardi di euro nel 2021, con progressivo recupero nei successivi due esercizi.
  Per gli investimenti fissi lordi il posponimento della spesa del 2021 ammonta ad oltre 5 miliardi di euro, ma l'accelerazione impressa nei successivi tre esercizi non ne consente il riassorbimento integrale a fine 2024.
  Quanto al percorso programmatico, rispetto all'andamento più favorevole delineato dallo scenario tendenziale, gli obiettivi programmatici vengono rivisti in senso peggiorativo. Con la Relazione contestualmente presentata al Parlamento, il Governo richiede l'autorizzazione a confermare gli obiettivi di finanza pubblica fissati nella NADEF, comportanti un maggiore indebitamento di 0,5 punti percentuali per il corrente anno e di ulteriori 0,2 e 0,1 punti, rispettivamente, nel 2023 e nel 2024. Al termine dell'arco di previsione, l'obiettivo di deficit è posto a 2,8 punti percentuali, anche in questo caso con un peggioramento di 0,1 punti rispetto al tendenziale.
  La scelta in tema di revisione del piano di rientro verso l'Obiettivo di medio termine appare coerente con l'impostazione di fondo della politica di bilancio, già espressa in occasione del Documento programmatico di bilancio per il 2022, tesa a mantenere un'intonazione espansiva fino al recupero della perdita di prodotto legata alla pandemia e della relativa mancata crescita. Tuttavia, non può non osservarsi come l'avanzo primario rimanga su valori negativi in tutto l'arco della previsione per raggiungere lo 0,2 per cento nell'anno terminale. I margini di bilancio resi disponibili dal più graduale sentiero di rientro verranno destinati, da un lato, a ripristinare i fondi ministeriali temporaneamente congelati per dare parziale copertura agli interventi in materia energetica, dall'altro, per disporre ulteriori interventi.
  Dovranno, altresì, trovare copertura le spese relative alle politiche invariate, in misura pari a 0,2 punti percentuali di PIL nel 2023 e a 0,3 punti nelle successive due annualità. Ai fini della relativa copertura, il DEF prevede il riavvio della procedura di spending review, attraverso la quale le amministrazioni centrali dovranno garantire risparmi che raggiungeranno nel triennio 2023-2025 i 3 miliardi di euro, ripartiti annualmente secondo un profilo gradualmente crescente.
  Per quanto riguarda le regole europee e la valutazione della fiscal stance, mi riporto alla nostra nota scritta, poi vedrete voi.
  Mi avvio a parlare del debito. Dopo l'eccezionale incremento registrato nel 2020, nel 2021 il rapporto tra debito e PIL ha invertito la tendenza al rialzo, segnando una riduzione molto marcata e superiore alle attese. Il miglioramento è da ricondurre sia alla minore crescita dello stock di debito, a seguito di un minor deficit, sia al più pronunciato aumento del prodotto nominale.Pag. 7 Contabilmente i 4,4 punti percentuali di riduzione rappresentano il risultato netto di apporti di segno contrapposto: positivi e pari a 6,8 punti per quel che riguarda il differenziale – cosiddetto snowball effect – tra costo medio del debito e PIL nominale e a 1,3 punti per quanto riguarda i cosiddetti «fattori sotto la linea»; negativi, per 3,7 punti, nel caso del saldo primario che, pur attenuandosi, è comunque rimasto in disavanzo.
  Nonostante per il 2022-2025 si sconti già un discrezionale aumento dell'indebitamento netto rispetto al tendenziale, il Documento prospetta, sulla scia dei buoni risultati del 2021, la continuazione della discesa del rapporto debito/PIL a ritmi importanti: 3,8 punti quest'anno e quasi 2 punti nel triennio 2023-2025. A fine periodo il rapporto si collocherebbe sul 141,4 per cento e risulterebbe di 13,9 punti inferiore rispetto al picco del 2020. Due terzi dell'incremento registrato nell'anno della pandemia risulterebbero così riassorbiti. Tale riduzione è strettamente correlata al buon andamento della crescita nominale del PIL e, segnatamente, allo scarto tra il costo medio del debito e la variazione del prodotto interno lordo. Il calo del rapporto debito/PIL per 9,4 punti sarebbe, infatti, la risultanza di spinte di segno opposto: vi contribuirebbero positivamente la crescita reale e l'inflazione, entrambi per circa 12,5 punti di prodotto, oltre ai fattori sotto la linea e di aggiustamento stock-flussi per 3 decimi di punto; eserciterebbero, viceversa, una spinta al rialzo il costo medio del debito per 12,6 punti e il saldo primario per 3 punti.
  Il Documento, nel far cenno agli sviluppi in materia di governance europea e ricordare la vigenza della General escape clause, descrive in dettaglio il posizionamento dei conti pubblici dell'Italia rispetto sia alla regola della spesa sia a quella del debito. Quanto alla seconda, viene riconosciuto che, nonostante i notevoli progressi segnati nel 2021 e i rilevanti obiettivi posti per quest'anno e il successivo triennio, le traiettorie del rapporto debito/PIL si discostano marcatamente, tanto nel quadro tendenziale quanto in quello programmatico, dalle previsioni del Fiscal compact. Sulla velocità con la quale proseguire lungo il percorso di discesa del rapporto debito/PIL intrapreso nel 2021, e prima di quando fosse stato inizialmente previsto, nel prossimo futuro sarà opportuno muoversi in linea con le indicazioni della Commissione europea e nella consapevolezza di definire il giusto bilanciamento tra l'esigenza di sostenere per il tempo necessario il sistema produttivo e le famiglie e quella di garantire un graduale allentamento della morsa dell'indebitamento, specie alla luce della prevedibile normalizzazione del quadro monetario e finanziario in un contesto di strutturale risalita dell'inflazione e, conseguentemente, dei tassi di interesse.
  Da tale punto di vista va apprezzato per le prospettive degli equilibri e della sostenibilità della nostra finanza pubblica l'impegno che il Governo assume nel Documento a un consolidamento pluriennale che, combinato con gli investimenti e le riforme strutturali definite nel PNRR, mira a sostenere il potenziale di crescita dell'economia e migliorare la sostenibilità del debito pubblico.
  In un momento in cui gli effetti economici e sociali della pandemia si uniscono a quelli della guerra, appare appropriato che il bilancio pubblico sia pronto a fornire eventuali apporti anche tenendo conto che il rialzo dell'inflazione erode il valore reale del debito.
  Quanto alla politica delle entrate, va osservato che nel biennio di previsione le entrate correnti sono stimate in aumento di 44,2 miliardi di euro per il 2022 e di 83,6 miliardi di euro per il 2023; quelle in conto capitale sono in crescita di 11,8 miliardi di euro nel 2022, in seguito al contributo straordinario sugli extraprofitti delle imprese operanti nel settore dell'energia previsti dal decreto-legge n. 21 del 2022, e di 17,7 miliardi di euro nel 2023. La pressione fiscale si riduce di quasi 0,4 punti percentuali nel 2022, sino a raggiungere il 42,2 per cento nel 2025. I contributi sociali in rapporto al PIL sono previsti in crescita di 0,2 punti percentuali nel 2022, costanti nel 2023 e in diminuzione nel biennio successivo.Pag. 8
  Il DEF collega direttamente alla manovra di bilancio 2023-2025 la riforma fiscale, che costituisce misura di accompagnamento al PNRR, ciò per il rilievo che dovrebbero assumere l'adozione di un modello effettivamente duale, la revisione del prelievo patrimoniale immobiliare, oggi incoerente – sia per difetto che per eccesso – con i reali valori economici, l'organica revisione delle innumerevoli agevolazioni e la complessiva semplificazione del sistema. L'auspicio è quello che l'iter parlamentare del disegno di legge di delega possa concludersi al più presto, ponendo i presupposti per il superamento delle distorsioni e delle iniquità che caratterizzano l'attuale ordinamento.
  L'obiettivo di migliorare la struttura del prelievo, incentivando la tax compliance e contrastando l'evasione fiscale, caratterizza la riforma dell'amministrazione fiscale prevista dal PNRR, che viene richiamata nel Documento. Si tratta di misure già da tempo in preparazione ad opera dell'amministrazione fiscale, come nel caso della dichiarazione IVA precompilata, ovvero interessata da travagliati iter legislativi, come è accaduto per le norme finalizzate alla migliore utilizzazione delle banche dati concernenti le fatture elettroniche e l'archivio dei rapporti finanziari, che, dopo l'emanazione della legge di bilancio per il 2020, sembrerebbero ormai utilizzabili per le analisi di rischio allo scopo di far emergere posizioni da sottoporre a controllo e incentivare l'adempimento spontaneo. Sono misure che certamente possono contribuire al contenimento dell'evasione e all'innalzamento della tax compliance, a condizione che ad esse se ne accompagnino altre allo stato non presenti nella strategia delineata.
  I risultati più significativi e strutturali dovrebbero conseguirsi se alla predisposizione della dichiarazione si affiancasse un utilizzo preventivo delle altre diverse banche dati, allo scopo di segnalare tempestivamente ai contribuenti in modo preventivo e non conflittuale possibili incoerenze e illogicità rispetto ai dati contabili. Si tratterebbe di un approccio effettivamente innovativo, volto a realizzare un'interlocuzione proattiva con il contribuente già nel momento dell'adempimento.
  Le analisi di rischio basate sull'impiego di banche dati, come quelle dei dati descrittivi delle fatture elettroniche e quelle dei rapporti finanziari, è indubbio che possono accrescere l'efficacia della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo, ma è evidente che senza un reale potenziamento della capacità operativa dell'amministrazione fiscale - potenziamento che appare strettamente collegato alle risorse umane disponibili - non potrà aversi un accresciuto effetto di deterrenza sui comportamenti fiscali.
  Una precondizione perché tali obiettivi possano essere perseguiti è quella dell'adeguatezza numerica e qualitativa delle risorse umane impegnate nelle diverse attività. Come recentemente si è avuto modo di osservare, l'attuale previsione di 4.113 assunzioni entro il 2023 nell'Agenzia delle entrate non è sufficiente neppure a bilanciare le 5.267 unità di personale che lasceranno il servizio attivo entro lo stesso anno. È necessario quindi un piano di reclutamento straordinario per colmare i vuoti e, a regime, prevedere modalità automatiche e tempestive di reintegro del turnover.
  Infine, come più volte ha ricordato la Corte, la riscossione dei tributi costituisce il momento decisivo per il corretto funzionamento dell'intero sistema. Il permanere del rilevante fenomeno dell'evasione da riscossione – questo è fondamentale –, l'elevato numero dei controlli positivi che non viene né contestato né definito bonariamente e le gravi difficoltà esistenti nella riscossione coattiva dei crediti pubblici suggerirebbero un'organica riflessione in materia, anche al fine di valutare l'estensione dello strumento della ritenuta d'acconto ad opera degli intermediari finanziari, l'individuazione di misure atte a contenere l'interposizione societaria formale, il cui costante incremento negli ultimi decenni si è rivelato spesso strumentale alla commissione di frodi o a forme di insolvenza preordinata, e, più in generale, la rimozione degli ostacoli giuridici che attualmente si frappongono alle procedure di riscossione coattiva.Pag. 9
  Quanto alla spesa di personale tralascio i numeri, rilevando tuttavia che il DEF del 2022 interviene sulla diversa collocazione temporale della spesa, ma conferma l'andamento complessivo a regime già programmato. Nella fase attuale va sottolineata la necessità che l'autonomia collettiva dia concreta prova di saper coniugare le legittime aspettative del personale dipendente con le esigenze organizzative e funzionali delle amministrazioni pubbliche. Diviene quindi sempre più impellente, da un lato, rafforzare le componenti variabili della retribuzione, privilegiando istituti contrattuali incentivanti e premiali, dall'altro, attuare un graduale superamento delle differenze retributive tuttora presenti nei trattamenti accessori tra i vari enti confluiti nei nuovi comparti di contrattazione. Si tratta, poi, di mettere in atto efficaci politiche di reclutamento di nuovo personale destinato a colmare le consistenti riduzioni determinate dai vincoli sul ricambio generazionale imposti dalla crisi iniziata nel 2008.
  La Corte, a tal proposito, auspica che le nuove assunzioni avvengano in misura mirata agli effettivi fabbisogni, che siano fortemente selettive e, in special modo, individuino nuove figure professionali maggiormente utili alle mutate esigenze delle singole amministrazioni che possano favorire il processo di digitalizzazione dei servizi.
  Venendo alla spesa per previdenza e assistenza, con riferimento alla spesa pubblica destinata alle prestazioni sociali il Documento disegna un quadro che sconta, da un lato, le rilevanti scelte fatte dal legislatore all'inizio del 2019, tra «quota 100» per la previdenza e il reddito di cittadinanza per l'assistenza, dall'altro, le risposte della politica di bilancio alla crisi pandemica e allo shock geopolitico e inflazionistico ora in atto.
  Complessivamente pari prima della pandemia a 361 miliardi di euro, la spesa ha sfiorato i 400 miliardi di euro nel 2021 e dovrebbe attestarsi sui 402 miliardi di euro nell'anno in corso, anno in cui sarebbe sospinta da fattori reali ma soprattutto monetari. Secondo le proiezioni tendenziali raggiungerebbe poi 447 miliardi di euro nel 2025.
  I profili previsti dal Documento per le due componenti di spesa, quindi pensioni e altre prestazioni, trovano le loro prevalenti determinanti in fattori diversi, più normativi e strutturali nel primo caso, più legati ad esigenze di intervento ciclico nel secondo.
  Per quanto riguarda la spesa pensionistica, essa - dopo essersi ragguagliata a 287 miliardi di euro nel 2021 - rimarrebbe sostanzialmente stabile durante l'arco di previsione. Sul dato di consuntivo e sugli andamenti in corso giova ricordare alcuni elementi messi in luce dai dati più recenti, che descrivono un quadro in cui convivono impulsi al rialzo e al contenimento.
  Le prospettive di breve termine sono maggiormente condizionate, per quel che riguarda l'andamento nominale della spesa, dalla fiammata inflazionistica in corso, con effetti che per il meccanismo di indicizzazione si manifestano a partire dal 2023, anno nel quale le prestazioni cresceranno, secondo il DEF, del 7,4 per cento. Va anche osservato che, data una crescita del deflatore del PIL in accelerazione ma inferiore a quella dell'inflazione al consumo, il meccanismo di indicizzazione porta a una crescita del peso della spesa pensionistica sul prodotto.
  Oltre che dell'inflazione la spesa pensionistica risente e risentirà, in misura e direzione diversa, anche di effetti direttamente o indirettamente correlabili alla pandemia e alla conseguente marcata recessione macroeconomica, tra cui l'eccesso di mortalità e la rivalutazione dei montanti contributivi. Infine, giocheranno un ruolo le misure introdotte con l'ultima legge di bilancio, in particolare «quota 102», la proroga di opzione donna, l'estensione dell'APE sociale alle categorie di lavori gravosi, nonché i provvedimenti previdenziali conseguenza degli effetti che la crisi pandemica ha prodotto sul tessuto delle piccole e medie imprese. In materia pensionistica resta però fondamentale ridare caratteristiche di certezza e stabilità al quadro normativo, dopo gli interventi temporanei degli ultimi anni.
  Con riguardo all'orientamento espresso nel Documento di trovare soluzioni che Pag. 10consentano forme di flessibilità in uscita e un rafforzamento della previdenza complementare e di approfondire le prospettive pensionistiche delle giovani generazioni, la Corte non può che confermare tanto le esigenze di dare solidità strutturale alla previdenza obbligatoria, quanto quella di spingere più significativamente sulla previdenza integrativa e di secondo pilastro.
  Sul primo aspetto la pandemia ha certamente esaltato l'esigenza di disporre di strumenti di flessibilità in materia di passaggio tra stato di lavoro e stato di quiescenza. Vanno nella direzione auspicata misure recenti come la proroga dell'anticipo pensionistico sociale, attraverso un allargamento della platea. Sotto il profilo strutturale, resta da affrontare il tema di come garantire una maggiore flessibilità in uscita preservando le caratteristiche proprie del sistema contributivo, il quale allinea le prestazioni ai contributi e determina l'importo in funzione della speranza di vita.
  Come rimarcato dalla Corte in altre occasioni, andrebbe considerata l'ipotesi di convergere gradualmente, ma in tempi rapidi, verso un'età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro. Sia per ragioni di equilibri finanziari che per equità ciò andrebbe fatto prevedendo una correzione attuariale anche sulla componente retributiva dell'assegno, in analogia a quanto avviene per la componente contributiva.
  Per quel che riguarda la componente di spesa per prestazioni sociali diverse dalle pensioni, che pesa il 25 per cento del totale, va innanzitutto ricordato che su di essa si sono riversate negli ultimi anni risorse di straordinaria entità sia per il sostegno dei redditi dei lavoratori, sia per aiutare le famiglie in stato di povertà. Ciò ha portato ad una spesa che è pari nel 2018 a 80 miliardi di euro, ha toccato i 118 miliardi di euro nell'anno della pandemia e si attesta ora sui 112 miliardi di euro. Risentendo dei fattori congiunturali oltre che delle importanti e già richiamate scelte in materia di reddito di cittadinanza, l'aggregato è previsto convergere su livelli meno condizionati dall'emergenza, ma tali da assorbire nel 2025 più del 5 per cento del prodotto interno.
  Le previsioni scontano importanti rimodulazioni delle voci di spesa. Nel 2021, oltre alla diminuzione della spesa per il venir meno delle indennità una tantum corrisposte a tutti i lavoratori per il primo lockdown del 2020 e del reddito di emergenza alle famiglie, si registra a consuntivo una diminuzione della spesa del 4,7 per cento, associata all'aggiornamento del tiraggio dei trattamenti di integrazione salariale. Dal 2022 la spesa registra il riassorbimento del bonus fiscale ai lavoratori dipendenti, istituto connotato come spesa fiscale e che grava sulla spesa assistenziale, nell'ambito della riforma IRPEF operata dalla legge di bilancio per il 2022, con una riduzione di spesa valutata nell'ordine di 9 miliardi di euro annui. Si aggiunge, dal mese di marzo del 2022, l'erogazione dell'assegno universale per le famiglie con figli, che assorbe precedenti istituti, con una maggiore spesa valutata, secondo le indicazioni del DEF, in 3,7 miliardi di euro per il 2022 e in oltre 6 miliardi di euro dal 2023.
  Di rilievo sono poi le modifiche ed estensioni del sistema degli ammortizzatori sociali operate dalla legge di bilancio per il 2022, con una spesa in termini di indebitamento di 2,6 miliardi di euro nel 2022, 2,3 miliardi di euro nel 2023 e 1,6 miliardi di euro nel 2024. Si sconta, altresì, il rifinanziamento del reddito di cittadinanza disposto dalla legge di bilancio per il 2022, che aggiunge oltre un miliardo di euro dal 2022 alla componente strettamente assistenziale dell'aggregato.
  Con riguardo allo strumento universale di contrasto alla povertà, è importante correggere alcuni elementi di inefficiente funzionamento, sulla scia di quanto già iniziato a fare con la legge di bilancio per il 2022.
  Per quanto riguarda la spesa sanitaria, nel 2021 essa è cresciuta del 4,2 per cento, un aumento inferiore a quello scontato nei preconsuntivi della NADEF. Nell'anno la spesa raggiunge i 127,8 miliardi di euro, segnando un aumento cumulato nel biennio della crisi di oltre 19 miliardi. In terminiPag. 11 di prodotto, pur in flessione rispetto al picco del 2020, è risultata ancora superiore di 8 decimi di punto ai livelli pre-crisi. Com'era da attendersi, pur con il riavvio dell'attività economica che ha consentito una flessione delle altre spese correnti legate all'emergenza, il prolungarsi della pandemia ha incrementato l'assorbimento di risorse per il settore. Gli esborsi per redditi di lavoro, che nel 2020 erano cresciuti dell'1,4 per cento, registrano un'ulteriore crescita del 2,2 per cento, un incremento essenzialmente dovuto all'aumento degli oneri relativi all'utilizzo di personale destinato al rafforzamento delle strutture per contrastare la pandemia. Aumenta di un ulteriore 10 per cento la spesa per consumi intermedi, che già nel 2020 aveva registrato un incremento consistente, una variazione riconducibile soprattutto alle misure gestite dal Commissario per l'emergenza che, pari a 1,1 miliardi di euro nel 2020, sono imputate nel 2021 per quasi 3,2 miliardi di euro soprattutto alla fornitura di vaccini. Limitato è, invece, il contributo attribuito agli acquisti di prodotti farmaceutici, il cui importo risente del meccanismo di rimborso da parte delle aziende farmaceutiche.
  I dati relativi al payback desumibili dai conti economici sanitari segnalano, al riguardo, un forte incremento, con entrate per oltre 1,7 miliardi di euro, quasi raddoppiate rispetto all'esercizio 2020.
  Le spese per le prestazioni sociali in natura, corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market, è in aumento rispetto al 2020. Sostanzialmente invariata è la spesa per la farmaceutica convenzionata, mentre flette quella per l'assistenza medico-generica che, nonostante il maggiore ricorso nelle attività di contrasto all'epidemia, aveva risentito dell'inclusione degli arretrati, relativi al rinnovo delle convenzioni del triennio 2016-2018. Crescono, invece, in misura significativa le altre prestazioni che, con un aumento del 3,5 per cento rispetto al 2020, si collocano poco oltre i 27 miliardi di euro.
  Al riguardo va osservato come gli andamenti delle entrate relative alle prestazioni erogate in regime di intramoenia e per le compartecipazioni, se confrontate con quelle percepite prima della pandemia, rappresentano, per altri versi, un indicatore del recupero della funzionalità delle strutture: gli importi intramoenia hanno recuperato oltre il 90 per cento del livello raggiunto nel 2019, mentre quelli per ticket per prestazioni specialistiche si fermano a poco più del 70 per cento. Sono risultati che, nel complesso, segnalano positivamente un parziale ritorno alla normalità nella gestione anche per il 2021. Per il 2022 è previsto un ulteriore incremento del 3 per cento, che porta la spesa a 131 miliardi di euro, in flessione di 2 decimi di punto in termini di prodotto. Sulla previsione incidono soprattutto gli oneri connessi al rinnovo del trattamento economico del personale e alle nuove assunzioni, nonché la crescita delle spese farmaceutiche sia per somministrazione diretta, sia per quella convenzionata. Più limitata è invece, per il 2022, l'incidenza degli oneri correnti per l'attuazione del PNRR.
  Nel triennio 2023-2025 la spesa sanitaria è prevista decrescere a un tasso medio annuo dello 0,6 per cento. Il rapporto tra spesa sanitaria e PIL si porta, quindi, a livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi finanziaria già dal 2024. Si tratta di un quadro che dovrà confrontarsi con i fabbisogni per la riduzione delle liste di attesa e con quelli connessi al recupero dei livelli di qualità nella garanzia dei LEA segnati dalla crisi sanitaria.
  Come emerge dai primi dati relativi al monitoraggio degli indicatori del core del nuovo sistema di garanzia relativamente al 2020, per 12 indicatori su 20 monitorati si registra un peggioramento dei risultati in oltre il 70 per cento delle regioni, mentre per 8 di essi il livello registrato è inferiore alla soglia di sufficienza.
  Per quanto riguarda gli interventi per i settori produttivi, va rilevato che nel quadro di finanza pubblica continua a rivestire importanza il tema del sostegno agli operatori economici alla luce dell'evoluzione congiunturale. Nella programmazione 2022 rimane rilevante la dimensione finanziaria dell'intervento pubblico attraverso le varie forme di trasferimenti alle imprese, in lineaPag. 12 di continuità con la crescita registrata nei precedenti due esercizi, per i quali si conferma il trend espansivo dei contributi agli investimenti.
  Diversamente, sono attese in forte flessione le altre spese in conto capitale, per effetto della progressiva rimozione delle consistenti misure di ristoro legate alle restrizioni delle attività economiche.
  Mi avvio ora alle conclusioni. Il quadro entro cui sono delineate le scelte del Governo per l'anno in corso e per il prossimo triennio è soggetto a spinte e tensioni diverse, che si aggiungono a quelle geopolitiche. È opportuna quindi la scelta di ritagliare nei conti pubblici spazi per intervenire sulle maggiori criticità, pur rimanendo entro i margini già previsti con la NADEF. In attesa di definizione sono le regole che vorrà assumere l'Unione europea in termini di bilancio, mentre si stanno costruendo i limiti entro cui dovrà muovere la politica energetica nazionale e quella comunitaria.
  In tale quadro, non può che essere visto con favore il rinvio di un eventuale ricorso a margini di sostegno ulteriori a dopo che saranno sciolti alcuni di questi nodi che incidono sulla leggibilità del quadro complessivo. È necessario guadagnare margini di manovra, procedendo speditamente nell'attuazione del Piano di ripresa e resilienza.
  La scelta di puntare su un'azione a largo spettro, che il Governo ha fatto con il PNRR, è ben evidenziata dai tanti ambiti coperti dalle riforme e dagli investimenti programmati: uno spettro largo che è esso stesso testimone della volontà di costituire condizioni per una crescita più solida e dello sforzo richiesto alle amministrazioni in termini gestionali. Oggi, a fronte della nuova crisi che ci investe, è indispensabile poter contare sugli effetti di tale Piano sia diretti, ossia in termini di impatto, che indiretti, nella misura in cui le iniziative poste in essere avranno successo e genereranno effetti di retroazione in termini di maggiore crescita e quindi di minor deficit e debito. Ciò dipenderà naturalmente anche da qualità, dimensione e timing degli interventi. Rileva la programmazione finanziaria sull'intero periodo, e ciò per l'influenza sulle aspettative degli operatori. Dal 2022 ci si attende un'accelerazione, con una spesa annua programmata che raggiungerebbe i 30 miliardi di euro, per crescere ancora significativamente nel triennio successivo.
  Anche in tale ottica sono fondamentali strutture amministrative adeguate, una capacità progettuale elevata in grado di assistere e guidare i soggetti attuatori, un efficace coordinamento tra livelli di governo e un quadro regolamentare chiaro, efficace e snello.
  Su tali fronti, pur registrandosi segnali positivi, persistono tuttavia lentezze nell'attuazione. Ancora preliminari sono i passi compiuti nell'avvio di riforme da cui si attendono risultati di rilievo nel prossimo futuro: dalla riforma dell'amministrazione finanziaria e da quella fiscale, una maggiore equità e un miglioramento della competitività del sistema produttivo; dalla riforma del quadro di revisione della spesa pubblica, il recupero di margini di risparmio utili ad un rientro dai livelli di spesa legati alla fase emergenziale.
  Il processo di aggiornamento della normativa degli appalti si sta svolgendo nei tempi previsti e sono consistenti anche i progressi maturati nel campo delle misure di semplificazione. Ci si è mossi con decisione per il rafforzamento della capacità amministrativa attraverso i piani di assunzione specificamente previsti dal decreto-legge n. 80 del 2021.
  Più lenta di quanto auspicabile, invece, è l'implementazione delle strutture tecniche di coordinamento, così come ancora limitata è quella di sostegno delle capacità progettuali delle amministrazioni territoriali, capacità quest'ultima non surrogabile, pena la perdita dei fondi o la necessità di riprogrammare gli interventi, con il ricorso a quote di riserva. In questo senso, si muove nella giusta direzione la recente istituzione di uno specifico Tavolo tecnico di coordinamento.
  Gli sviluppi degli ultimi mesi hanno una portata tale da mettere potenzialmente a rischio qualsiasi piano di programmazione. Nel quadro delineato, fermo restando l'auspicioPag. 13 che le tensioni geopolitiche trovino presto una loro ricomposizione a livello diplomatico, è fondamentale accrescere il potenziale di sviluppo dell'economia, rimuovendo gli annosi ostacoli che lo hanno limitato nei decenni che ci stanno alle spalle.
  Signori presidenti, signori senatori e signori deputati, questa è la sintesi del documento che stamane è stato approvato dalle sezioni riunite della Corte dei conti ed elaborato dai colleghi che oggi mi hanno accompagnato in audizione. Nel documento troverete altresì, poiché penso che possano anche essere di vostro interesse, una serie di riquadri in cui abbiamo fatto delle considerazioni su questioni specifiche di interesse ai fini dell'esame del DEF. Vi ringrazio per l'attenzione e mi scuso se sono stato un po' prolisso.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Carlino, la materia da trattare era certamente estesa. Do la parola ai deputati e ai senatori che intendono intervenire.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il presidente della Corte dei conti per l'esposizione e per i documenti sempre interessanti che sottopongono alla nostra attenzione. Ho una domanda, ma non so se è possibile avere una risposta già ora o magari successivamente con un testo.
  Tra di noi, in questa Camera ma anche al Senato, c'è una discussione in corso sulla possibilità di innalzare il contributo straordinario sugli extraprofitti, ma rispetto a questo obiettivo si segnalano problemi di costituzionalità. Volevo capire se voi avete qualche indicazione da poterci fornire per orientarci rispetto a una vicenda che è ovviamente molto complessa. Siamo consapevoli dei problemi, però sarebbe utile avere una vostra valutazione sulla praticabilità, non necessariamente dell'algoritmo che è stato adesso utilizzato, che si potrebbe anche affinare, anche nell'ottica di prevedere eventualmente una estensione della platea di riferimento. Sostanzialmente, se ci fosse qualche indicazione sulle modalità per poter provare a incidere in misura un po' più significativa su questi extraprofitti, sarebbe per noi molto utile.

  PRESIDENTE. Io vorrei solo un piccolo chiarimento, se posso. Come la Corte dei conti ha ribadito, noi abbiamo avuto un indebitamento netto, almeno nelle previsioni tendenziali 2022-2025, pari al 5,1 per cento per quest'anno. Il Governo in un passaggio del DEF afferma che, rispetto alle entrate in conto capitale e a quelle non tributarie, questo andamento positivo del calo dell'indebitamento riflette anche la dinamica delle sovvenzioni legate al programma Next Generation EU. Come è noto, il Governo, il nostro Paese, all'inizio hanno in parte fatto un'operazione di sostituzione dei finanziamenti attingendo ai fondi del Next Generation EU, utilizzando bandi o procedimenti già avviati rispetto a spese già previste nel tendenziale. Ad esempio, abbiamo discusso a lungo in Commissione bilancio sulla diversità tra spese aggiuntive e spese sostitutive.
  Io ho visto la relazione sullo stato di attuazione del PNRR molto ponderosa e molto opportuna che la Corte dei conti, ai sensi della normativa vigente, ci ha trasmesso. Volevo capire se la Corte – magari è presto, ma naturalmente rifletteremo anche sulla seconda Relazione semestrale sullo stato di attuazione del PNRR che ci consegnerà il Governo – avesse già fatto una valutazione sul montante, cioè su qual è stata la dimensione degli interventi sostitutivi, che naturalmente hanno inciso in maniera positiva sull'indebitamento, rispetto, invece, agli interventi aggiuntivi del PNRR. Era una mia curiosità e forse è troppo presto, ma se ci fosse una riflessione della Corte dei conti al riguardo è bene saperlo. Grazie. Do la parola al presidente Carlino per la replica.

  GUIDO CARLINO, Presidente della Corte dei conti. Grazie a lei, presidente. Intanto, per quanto riguarda la questione degli extraprofitti, che è una questione di rilevante impatto tecnico, credo che la Corte possa riservarsi di produrre un appunto da trasmettere alle Commissioni bilancio oggi riunite, valutando in maniera più approfondita le richieste che sono state testé formulate. Ci riserviamo, quindi, di farvi avere un appunto su questo.Pag. 14
  Per quanto riguarda, invece, la questione della dimensione degli interventi sostitutivi, richiamata dal presidente Melilli, darei la parola al presidente di sezione Flaccadoro, anche se mi rendo conto che si tratta di una valutazione che potremo fare in maniera più approfondita solo successivamente, in progress, perché probabilmente è ancora presto per poter dare delle valutazioni che siano soddisfacenti e significative.

  ENRICO FLACCADORO, Presidente di Sezione coordinamento presso le Sezioni riunite in sede di controllo. Diciamo che in questo momento è ancora presto per capire quanti sono stati gli investimenti sostitutivi concretamente effettuati. Come avrà visto, nella nostra relazione sottolineavamo come, in questo momento, anche gli investimenti in essere che sono stati «shiftati» non sono stati ancora individuati contabilmente. Ci sono una serie di problemi di verifica dei progetti già in essere passati nel finanziamento del PNRR, perché in questi mesi sono state fatte verifiche sulla conciliabilità di questi investimenti con i criteri di base del PNRR.
  Mi spiace dover rinviare la risposta, ma in questo momento non siamo ancora nella condizione di dire quanti interventi sostitutivi siano già stati fatti.

  PRESIDENTE. Certo, la mia era più una sollecitazione a verificarlo quando sarà il momento, perché si tratta naturalmente di un dato non irrilevante.

  ENRICO FLACCADORO, Presidente di Sezione coordinamento presso le Sezioni riunite in sede di controllo. È stata anche una nostra sollecitazione rivolta alla Ragioneria generale dello Stato. Sicuramente è un aspetto molto importante e nella prossima relazione, che dovrebbe riguardare proprio i singoli interventi, una volta che anche l'archivio ReGis diventerà attivo, sarà quindi possibile farlo. Adesso come adesso, la faccenda è solo ancora molto provvisoria.

  GUIDO CARLINO, Presidente della Corte dei conti. Presidente Melilli, ovviamente noi la ringraziamo per la sua sollecitazione. Nei prossimi rapporti semestrali sullo stato di attuazione del PNRR che siamo tenuti a presentare al Parlamento sarà nostra cura approfondire anche questo aspetto.

  PRESIDENTE. Bene, molte grazie. Nel ringraziare ancora il Presidente della Corte dei conti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 14.55, riprende alle 15.05.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'ISTAT.
  Nel ringraziare gli auditi per la partecipazione alla seduta odierna, avverto che sono presenti Gian Carlo Blangiardo, presidente dell'ISTAT, Cristina Freguja, direttore della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare, Giovanni Savio, direttore della Direzione centrale per la Contabilità Nazionale, Fabio Rapiti, direttore della Direzione centrale per le statistiche economiche, Davide Colombo, direttore della Direzione centrale per i rapporti esterni, le relazioni internazionali, l'ufficio stampa e il coordinamento del Sistan, e Fabio Bacchini, dirigente del Servizio per l'analisi dei dati e la ricerca economica, sociale e ambientale.
  Do la parola al presidente dell'ISTAT, Giancarlo Blangiardo, per la sua relazione.

  GIAN CARLO BLANGIARDO, presidente dell'ISTAT. In questa mia audizione io vorrò fare sostanzialmente una sintesi del documento che abbiamo trasmesso alle Commissioni, come facciamo abitualmente, senza soffermarmi troppo nella presentazione dei dati, che nel documento, invece, troverete illustrati in maniera più puntuale.Pag. 15
  Parto da qualche considerazione di carattere generale. Siamo in una fase di incertezza con spinte inflazionistiche e rischi di natura geopolitica, ma in qualche modo tutti sappiamo cosa sta succedendo.
  Faccio una riflessione di carattere generale sul contesto internazionale. Dopo un'intensa fase di ripresa osservata nel 2021 rispetto alle principali economie mondiali, il 2022 si è aperto con una stabilizzazione del commercio mondiale. Il purchasing managers index (PMI) globale sui nuovi ordinativi dell'export di marzo è sceso sotto la soglia di espansione, segnalando una possibile contrazione della domanda mondiale nei prossimi mesi. Quindi questo è un primo segnale.
  Le tensioni nei mercati delle materie prime hanno continuato ad accelerare, soprattutto a marzo, il prezzo del gas europeo e, in misura minore, quelli del petrolio e dei beni alimentari.
  Nel corso del 2021 l'accelerazione dell'inflazione si è manifestata prima e in misura più accentuata negli Stati Uniti, sospinta dalla forte ripresa economica, ma dalla fine dello scorso anno l'aumento dei prezzi si è diffuso velocemente anche nell'area dell'euro, alimentando una forte risalita delle quotazioni del gas sul mercato europeo. Anche in Cina c'è stata una ripresa dell'inflazione. A marzo anche i prezzi cinesi al consumo hanno registrato un aumento significativo, passando a un più 1,5 per cento tendenziale dal più 0,9 per cento di febbraio. L'apprezzamento del dollaro, il cui cambio a metà marzo era pari in media a 1,10 dollari per euro, a febbraio era pari a 1,13, quindi c'è stata una variazione anche rispetto ai cambi.
  Nell'area dell'euro le vendite al dettaglio in volume sono cresciute dello 0,3 per cento congiunturale e tutte le principali componenti di spesa hanno superato i livelli pre-COVID con esclusione di carburante e abbigliamento.
  Il tasso di disoccupazione è sceso al 6,8 per cento, poiché a gennaio era al 6,9 per cento. I giudizi degli operatori sulle prospettive dell'area euro hanno subìto, comunque, un peggioramento. Infatti, l'indicatore del clima di fiducia economica (ESI) prodotto dalla Commissione europea a marzo è tornato sotto il valore registrato ad aprile 2021. Questo è il quadro generale.
  Relativamente all'economia italiana, nel 2021 la crescita dell'economia del nostro Paese è stata robusta, registrando un più 6,6 per cento, e alla fine dell'anno il PIL in volume è quasi ritornato al livello dell'ultimo trimestre del 2019. Tra le maggiori economie dell'area dell'euro l'entità del recupero dell'Italia è stata seconda solo a quella francese, mentre in Germania e in Spagna il livello è risultato ancora nettamente inferiore ai valori pre-crisi. In tutti e quattro i Paesi la ripresa è stata guidata sia dai consumi interni sia dagli investimenti.
  La buona performance dell'economia italiana nel 2021 è stata anche sostenuta dalla dinamica dell'export di beni che, dopo la caduta del 2020, quando era al meno 9 per cento in valore, ha registrato una crescita considerevole, un più 18,2 per cento, superiore sia a quella dell'area dell'euro nel suo insieme sia a quella di Germania e Francia.
  Come per gli altri Paesi l'andamento dell'economia nel corso dell'anno ha tuttavia risentito dell'emergere di nuove difficoltà dal lato dell'offerta, dell'interruzione della catena di fornitura occasionale, delle strozzature del sistema dei trasporti, di ulteriori misure di contenimento sanitario disposto in alcuni Paesi e di una veloce diffusione delle pressioni inflazionistiche generate dalla salita delle quotazioni delle materie prime.
  Le informazioni relative ai primi mesi del 2022, seppure ancora riferite prevalentemente al periodo precedente al conflitto in Ucraina, segnalano, nel complesso, un rallentamento dei livelli di attività. A febbraio l'indice della produzione industriale destagionalizzata ha registrato un deciso rimbalzo congiunturale, arrivando al più 4 per cento, che segue la caduta del mese precedente, quando era pari a meno 3,4 per cento rispetto a dicembre. Tuttavia, nella media del periodo dicembre-febbraio l'indicatore ha mostrato una diminuzione dello 0,9 per cento rispetto ai tre mesi precedenti.Pag. 16
  A gennaio le esportazioni di beni in valore hanno registrato un ulteriore progresso del 5,3 per cento. Le importazioni, sebbene in calo rispetto al mese precedente, hanno comunque segnato, nel periodo tra novembre e gennaio, una dinamica più vivace, registrando un più 11,1 per cento. Nello stesso mese, il forte rialzo delle quotazioni delle materie prime ha indotto una robusta crescita dei prezzi all'import dei prodotti energetici, che ha registrato una variazione tendenziale dei valori medi unitari pari a più 124,9 per cento, e dei beni intermedi con un più 31,8 per cento. I rallentamenti si sono riflessi negativamente sul saldo commerciale italiano. A febbraio i dati relativi agli scambi extra-UE hanno evidenziato una dinamica positiva per entrambi i flussi, con un aumento congiunturale più marcato per le importazioni rispetto alle esportazioni.
  Infine, a gennaio l'indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni ha segnato una modesta flessione dopo la robusta fase espansiva dei mesi precedenti.
  La relazione che abbiamo depositato agli atti delle Commissioni contiene anche alcuni focus e uno di questi riguarda l'interscambio commerciale tra l'Italia, la Russia e l'Ucraina, di cui illustro gli aspetti principali. Nel 2021 le importazioni italiane di merci dalla Russia hanno raggiunto il valore di 17,6 miliardi di euro, con un ampio disavanzo commerciale pari a 9,9 miliardi di euro. Le importazioni italiane di merce dall'Ucraina, nello stesso periodo, sono ammontate a 3,3 miliardi di euro, con un disavanzo commerciale di 1,2 miliardi di euro. Sottolineo come, in particolare, viene dalla Russia oltre il 25 per cento dalle importazioni italiane di greggio e gas naturale.
  Quanto all'esportazione, nel 2021 le esportazioni italiane di merci verso la Russia ammontavano a 7,7 miliardi di euro e riguardavano per oltre 2,1 miliardi di euro la vendita di macchinari e apparecchiature, a cui seguono le esportazioni di articoli di abbigliamento e di prodotti chimici. L'export verso l'Ucraina, invece, era pari a 2,1 miliardi di euro, di cui il 22,1 per cento realizzato da vendite di macchinari e apparecchiature.
  Un altro focus che abbiamo messo in evidenza riguarda i cambiamenti delle catene di fornitura. Uno dei principali effetti della crisi indotta dalla pandemia, che ha impresso shock differenziati tra Paesi e settori, è stato quello di ostacolare il funzionamento in maniera temporanea o permanente delle catene internazionali di valore. A gennaio 2022 un'indagine ad hoc presso un campione di imprese di manifattura e servizi che partecipano alle rilevazioni mensili sui climi di fiducia ha messo in evidenza come oltre la metà delle unità internazionalizzate abbia rilevato problemi di approvvigionamento e vendita, senza distinzione di rilievo tra classi dimensionali, ma con un'elevata eterogeneità settoriale. La diffusione è maggiore nei settori delle apparecchiature elettriche, dell'elettronica, dei macchinari, della gomma e della plastica. Per più di un terzo delle imprese la natura di tale difficoltà è percepita come temporanea, tanto da non richiedere alcuna strategia di reazione. Un ulteriore terzo ha, invece, modificato sia i volumi acquisiti sia il numero dei fornitori, in particolare nei settori dell'alimentare, dell'automotive, della chimica e della farmaceutica.
  Il tema degli effetti sul turismo del conflitto ucraino è piuttosto importante. Nel 2021 i flussi turistici di tutti i Paesi europei hanno mostrato segnali di ripresa rispetto all'anno precedente, come ben sappiamo. Il recupero del nostro Paese ha avuto intensità analoghe nel comparto alberghiero e in quello extralberghiero. Il numero di presenze totali in Italia, pari a poco più di 280 milioni di notti nel 2021, risulta tuttavia ancora notevolmente inferiore ai livelli registrati nel periodo prepandemico. Infatti, la diminuzione è del 36 per cento circa rispetto al 2019 ed è vicina a valori che non si osservavano dalla metà degli anni Novanta.
  Mentre l'attenuarsi dell'emergenza pandemica lasciava presagire un possibile consolidamento della ripresa nel settore, gli effetti del conflitto in Ucraina potrebbero ulteriormente ripercuotersi sul comparto. Pag. 17La prima crisi ucraina, quella del 2014, con le sue conseguenze di sanzioni economiche e la svalutazione del rublo, aveva infatti provocato un calo delle presenze dei russi in Italia che, però, a partire dal 2017 erano tornate a crescere sino a circa 6 milioni nel 2019. Con gli effetti dell'emergenza sanitaria le presenze sono crollate a circa un milione nel 2020 e hanno avuto un ulteriore calo nel 2021. L'inevitabile azzeramento di questa domanda, che deriverà dal conflitto, avrà un importante impatto sui ricavi del turismo, poiché i turisti russi sono da tempo quelli con la maggior capacità di spesa e sono quelli più inclini a privilegiare le strutture alberghiere di lusso.
  Un altro tema che vogliamo mettere in evidenza è quello delle famiglie, ossia della posizione economica all'interno delle famiglie. Nel quarto trimestre del 2021 il reddito disponibile e i consumi delle famiglie consumatrici hanno registrato aumenti congiunturali di intensità simile, pari, rispettivamente, a più 1,3 e a più 1,2 per cento, con un lieve aumento della propensione al risparmio. Nel complesso in media d'anno il reddito disponibile dal 2021 è comunque aumentato del 3,8 per cento e il potere di acquisto del 2,1 per cento, mentre la propensione al risparmio delle famiglie è scesa al 13,1 per cento dal 15,6 per cento del 2020, restando tuttavia ancora notevolmente superiore a quella pre-crisi, poiché nel 2019 era pari all'8 per cento. I dati relativi ai primi mesi del 2022 sembrano mostrare un'attenuazione nella fase di miglioramento dei consumi.
  I segnali sul mercato del lavoro sono rimasti positivi e, rispetto a gennaio, è aumentata l'occupazione ed è diminuito il numero di persone in cerca di lavoro. Nel confronto con i livelli pre-pandemia del febbraio 2020, il numero di occupati a febbraio 2022 risulta inferiore di solo 90.000 unità, quindi con un recupero tutto sommato quasi totale nell'ultimo anno di circa 800.000 occupati. Tuttavia, i segnali di miglioramento del mercato del lavoro si scontrano con il forte aumento del numero dei lavoratori a termine e la contemporanea riduzione del numero dei lavoratori permanenti.
  Quasi di riflesso o, comunque, in parallelo vi è il tema della povertà assoluta, rispetto al quale abbiamo fornito recentemente le prime anticipazioni. Le famiglie in povertà assoluta sono il 7,5 per cento, mentre l'anno scorso erano il 7,7 per cento, però in termini di individui si tratta di 5,6 milioni di persone, pari al 9,4 per cento, e questo è rimasto un valore sostanzialmente fermo anche nel 2021.
  L'evoluzione del processo inflazionistico nel 2021 ha avuto un impatto maggiore sulle famiglie meno abbienti che destinano una quota di spesa più elevata del loro bilancio ai beni energetici e a quelli alimentari. Segnalo che l'ISTAT diffonderà domani i dati aggiornati al primo trimestre del 2021 delle misure dell'inflazione per classi di spesa delle famiglie e con questi dati saranno misurati gli effetti dell'ulteriore accelerazione dei prezzi nei primi mesi dell'anno corrente.
  Un altro focus della nostra relazione riguarda l'indagine sui consumi energetici delle famiglie nel 2021, anch'esso un tema piuttosto centrale. A questo proposito, come facciamo periodicamente, abbiamo svolto un'indagine basata su un campione di 54.000 famiglie, che è rappresentativo a livello nazionale e regionale. I risultati dell'indagine sono in fase di elaborazione e a maggio e a luglio è prevista l'uscita di due pubblicazioni al riguardo. Si mettono in evidenza le caratteristiche dei consumi di tipo energetico all'interno delle famiglie e, per darvi un'idea, il metano è utilizzato da circa due terzi delle famiglie e si conferma la fonte di alimentazione energetica più utilizzata per il sistema di riscaldamento prevalente dell'abitazione. Segnalo una diminuzione rispetto al 2013 delle fonti di alimentazione energetica tradizionali e non rinnovabili (come metano, gasolio e GPL) e questa diminuzione è andata a vantaggio principalmente dell'energia elettrica. L'elettrificazione degli impianti termici è, infatti, uno dei principali target per la riduzione di emissioni di CO2.
  Aggiungo ancora un dettaglio. Nel 2021 quasi una famiglia su due aveva un sistema di condizionamento, con un forte incremento rispetto al 2013: si passa, infatti, dal Pag. 1829,4 per cento del 2013 al 48,8 per cento del 2021.
  Riguardo al tema dei prezzi, a marzo, in base alla stima preliminare, la variazione tendenziale dell'indice per l'intera collettività è risultato pari al 6,7 per cento, mentre a febbraio era al 5,7 per cento, determinando un ulteriore aumento dell'inflazione acquisita per il 2022, che dal 4,3 per cento di febbraio è salita nella stima al 5,3 per cento a marzo.
  I prezzi della componente dell'energia hanno segnato un incremento tendenziale del 52,9 per cento e anche i beni dei prezzi alimentari hanno subìto un'accelerazione, passando a un più 5,5 per cento dal più 4,6 per cento di febbraio.
  L'evoluzione dell'inflazione di fondo, nell'accelerazione che include gli energetici e gli alimentari freschi, ha mostrato un ulteriore rialzo del 2 per cento dall'1,7 per cento di febbraio, con i primi segnali di diffusione delle spinte inflazionistiche nel sistema.
  L'andamento dell'inflazione italiana ha continuato a risentire delle spinte dal lato dei costi, dovute agli aumenti dei prezzi delle materie prime, in particolare del gas naturale, dei recenti apprezzamenti del cambio dollaro-euro e delle strozzature dell'offerta in alcuni comparti strategici per l'industria italiana.
  Il perdurare della fase di aumento dei prezzi si riflette nelle attese di consumatori e imprese: a marzo nel settore manifatturiero gli imprenditori che producono beni destinati al consumo hanno visto un rialzo delle aspettative di inflazione, mentre dal lato dei consumatori, le cui attese si spingono a un orizzonte temporale più lontano, è tornata ad aumentare la quota di coloro che si aspettano momenti più o meno intensi.
  Passando alle prospettive a breve termine, l'impatto del conflitto in Ucraina si innesta all'interno di una fase caratterizzata da un'economia che ha perso slancio nell'ultimo trimestre del 2021, ma che mostra ancora un alto livello del tasso di investimento e un miglioramento delle condizioni sul mercato del lavoro. A marzo, l'indice di fiducia dei consumatori è sceso di circa 12 punti rispetto al trimestre precedente, condizionato dai giudizi negativi sul clima economico e su quello futuro. Tra le imprese l'andamento della fiducia è differenziato tra i comparti: la fiducia nell'ambito delle costruzioni è salita ulteriormente, mentre è diminuita quella delle imprese manifatturiere e dei servizi.
  Il 29 aprile l'ISTAT diffonderà la stima preliminare del PIL riferita al primo trimestre e il 7 giugno l'aggiornamento del quadro previsivo sulle prospettive per l'economia italiana nel biennio 2022-2023.
  Considerando l'insieme delle indicazioni dei primi tre mesi dell'anno, si giunge a un risultato coerente con una variazione congiunturale del PIL moderatamente negativa nel primo trimestre dell'anno.
  Quanto agli scenari macroeconomici prospettati dal DEF, in presenza del mantenimento dei prezzi dei beni energetici sugli elevati livelli del periodo per tutto l'anno in corso, il PIL italiano risulterebbe nel 2022 inferiore di 0,7 punti percentuali rispetto a quello stimato in uno scenario base in cui le quotazioni dei beni energetici rimanessero sui livelli di inizio anno. Questo risultato è in linea con i valori indicati nel DEF.
  Ulteriori shock negativi sull'economia italiana potrebbero, tuttavia, derivare da una più severa riduzione del commercio internazionale rispetto a quella presentata nel quadro tendenziale, ovvero a un ulteriore apprezzamento del dollaro nei confronti dell'euro. Una riduzione del commercio internazionale nel 2022 pari a circa 3 punti rispetto all'ipotesi dello scenario base del DEF comporterebbe una riduzione aggiuntiva del PIL pari a 0,7 punti percentuali, mentre un ulteriore apprezzamento di 10 centesimi del dollaro nei confronti dell'euro causerebbe come effetto principale un'ulteriore pressione sul livello del deflatore dei consumi pari a 0,5 punti percentuali.
  In conclusione, nello scenario più avverso da noi stimato con i modelli che abbiamo messo a punto, l'impatto sul prodotto del 2022 sarebbe inferiore di 1,4 punti percentuali rispetto allo scenario base.
  La relazione che abbiamo depositato poi mette anche in evidenza gli aspetti Pag. 19relativi al monitoraggio del PNRR tramite gli indicatori per lo sviluppo sostenibile (SDGs). Non mi dilungherò su questo aspetto. Si tratta di un'attività che è stata richiesta all'ISTAT e che stiamo svolgendo e che andremo a svolgere anche nei prossimi mesi.
  Mi soffermo ancora sugli obiettivi di finanza pubblica. Nel 2021 l'indebitamento netto dell'amministrazione pubblica è diminuito di 2,4 punti percentuali del PIL, passando dal 9,6 al 7,2 per cento, a seguito della riduzione del disavanzo primario da meno 6,1 a meno 3,7 per cento. Il valore dell'indebitamento netto è risultato di oltre due punti percentuali meno negativo della stima indicata nei precedenti documenti programmatici, essendo al 9,4 per cento nella NADEF e nel Documento programmatico di bilancio. Il quadro più favorevole è ascrivibile principalmente a un andamento delle entrate tributarie e contributive migliore delle previsioni. Nel complesso la pressione fiscale si attesta al 43,5 per cento, oltre 1,5 punti superiore alle previsioni.
  Il DEF oggi in esame aggiorna le previsioni di finanza pubblica per il triennio 2022-2024 e presenta quelle per il 2025 alla luce delle nuove prospettive macroeconomiche. Nel quadro tendenziale del DEF, che include l'effetto degli interventi già attuati alla data di chiusura della previsione, quindi a marzo 2022, la crescita del PIL nominale è pari al 6 per cento nell'anno in corso, mentre era al 6,4 per cento nella NADEF, mentre l'indebitamento a legislazione vigente si attesta al 5,1 per cento del PIL, migliore di 0,5 punti percentuali rispetto allo scenario programmatico della NADEF, che indicava il 5,6 per cento.
  Riguardo all'indebitamento nel quadro programmatico, nell'anno in corso l'indebitamento netto in rapporto al PIL passa dal 7,2 per cento nel 2021 al 5,6 per cento nel 2022. Per gli anni successivi si prefigura un graduale miglioramento, arrivando al 3,9 per cento nel 2023, al 3,3 per cento nel 2024 e al 2,8 per cento nel 2025. Il saldo primario programmatico, dopo il sensibile miglioramento del 2021, passato da meno 6,1 per cento a meno 3,7 per cento, conferma il cambio di tendenza, risalendo a meno 2,1 per cento nel 2022 per tornare poi gradualmente su valori positivi nel 2025.
  L'incidenza sul PIL programmatico del debito pubblico è prevista in discesa per tutto il periodo in esame e quest'anno si ridurrebbe di quasi quattro punti percentuali, passando dal 150,8 per cento nel 2021 al 147 per cento e attestandosi, alla fine dell'orizzonte di programmazione, al 141,4 per cento del PIL. Anche dopo questa sensibile riduzione, nel 2025 l'incidenza del debito sul PIL rimarrebbe comunque oltre 6 punti percentuali sopra il valore del 2019, che era pari al 134,6 per cento.
  Infine, svolgo un'ultima considerazione relativamente allo scenario demografico. La pandemia ha esercitato effetti negativi anche sul piano demografico nel 2021, anche se un po' più attenuati rispetto all'anno precedente. La popolazione complessiva è di 58.983.000 unità, ma nell'arco degli ultimi otto anni abbiamo perso 1.363.000 residenti. Naturalmente ciò è soprattutto dovuto all'effetto negativo del saldo naturale, poiché vi sono più morti che nati. Tanto per intenderci, nel 2021 i morti sono stati 310.000 in più rispetto al totale dei nati.
  È chiaro che l'intensa caduta della natalità è una delle cause prevalenti di questa dinamica demografica. Basti tenere presente che è dal 1977 che il numero medio di figli per donna in Italia è inferiore alla soglia che garantisce il ricambio generazionale. Inoltre, aumenta l'età al parto delle donne, poiché dai 30 anni del 2002, nel 2021 siamo arrivati già a 32,4 anni, quindi tale media è aumentata di oltre due anni.
  C'è però un segnale positivo e concludo, quindi, con qualche osservazione confortante. I dati più recenti relativi al bimestre dicembre 2021-gennaio 2022 fanno segnare una lieve ripresa sul fronte della natalità, ma si tratterà di vedere se questa tendenza prosegue nel tempo o se, invece, si tratta di un fuoco di paglia.
  Un altro aspetto importante è l'allungamento della sopravvivenza, che va di pari passo anche con l'invecchiamento della popolazione e con tutte le conseguenze che naturalmente ciò potrà determinare. Dal Pag. 20fronte demografico provengono segnali di un problema importante che prosegue da tempo e rispetto al quale si rendono necessari interventi in diverse direzioni, dal rilancio della natalità alla valorizzazione di alcune componenti del mercato del lavoro, come donne e giovani, o alla possibilità di dare più riconoscimento, vitalità e valorizzazione alla componente meno giovane ma ancora attiva e utile al sistema Paese.
  Concludo qui la mia relazione. Nel documento che abbiamo depositato troverete in maniera più analitica e più dettagliata ciò che vi ho esposto sinteticamente.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO
DELLA REPUBBLICA DANIELE PESCO

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati e ai senatori che intendono intervenire.

  MASSIMO FERRO (intervento da remoto). La mia è una domanda molto banale, non vorrei abbassare il livello della discussione. Rispetto ai dati anticipati e pubblicati, il dato reale che emerge è di una situazione inflattiva un po' diversa. Cosa ci può dire da questo punto di vista? Come ricorderà il presidente Pesco, la domanda è analoga a quella che ho posto anche in un precedente incontro informale.

  STEFANO FASSINA. La ringrazio, presidente Blangiardo, la sua relazione e i dati che l'ISTAT ci fornisce sono sempre interessanti. Le pongo una domanda analoga a quella che ho posto prima ai rappresentanti della Corte dei conti. Sia in questo ramo del Parlamento che nell'altro siamo molto attenti alla variabile genericamente definita «extraprofitti». Mi interesserebbe capire se l'ISTAT è in grado di avere una qualche definizione ragionevole e una qualche quantificazione relativa al periodo considerato dalla norma contenuta nel decreto-legge in materia di energia e crisi ucraina, che ora è all'esame del Senato, cioè l'ultimo trimestre 2021 e il primo trimestre 2022. Vorremmo un aiuto da voi per individuare in modo ragionevole una variabile in tal senso. So bene che la categoria è sfuggente e si presta a grande ambiguità e a essere molto arbitraria e molto discrezionale, però se con il vostro lavoro ci aiutaste ad avere un po' di ragionevolezza nella definizione e nella quantificazione di questa variabile, certamente sarebbe utile.

  PRESIDENTE. Vorrei porle una domanda sui contratti e sull'indice dei prezzi al consumo armonizzato. Dal 2009, con l'accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali, l'adeguamento degli stipendi all'inflazione avviene attraverso l'indice dei prezzi al consumo armonizzato al netto del prezzo dei prodotti energetici importati. Poiché l'attuale impennata dell'inflazione è per lo più attribuibile ai prodotti energetici ed essi sono ancora in gran parte importati, si viene a creare, forse per la prima volta da quando è stato introdotto questo meccanismo, che ha sostituito il tasso di inflazione programmata e, ancora prima, la scala mobile, un gap significativo tra l'inflazione tout court e l'indicatore utilizzato per la rivalutazione degli stipendi. Da quanto sta emergendo sembrerebbe esistere una differenza sostanziale tra il prezzo pagato all'importazione, soprattutto per il gas, e quello applicato all'utente finale, tanto che il legislatore ha pensato di tassare gli extraprofitti sotto forma di contributo straordinario.
  Vorremmo capire se l'ISTAT, nella diffusione a breve delle nuove stime dell'indice dei prezzi al consumo armonizzato al netto degli energetici importati, terrà in considerazione questa situazione e se sta riconsiderando la metodologia di calcolo. Vorremmo altresì conoscere se le cause che hanno portato a sottostimare il valore dell'import del gas naturale nel secondo semestre 2021 sono state pienamente individuate e rimosse e, quindi, se ci può rassicurare sul fatto che quel tipo di errore non si potrà più ripetere in futuro. Relativamente all'indice dei prezzi al consumo armonizzato, con la diffusione dei nuovi dati sarebbe utile avere anche una nota metodologica.
  Do, quindi, la parola al presidente Blangiardo per la replica.

Pag. 21

  GIAN CARLO BLANGIARDO, presidente dell'ISTAT. Per quanto riguarda la prima domanda, cioè quella legata all'inflazione, nella vita di tutti noi c'è un'inflazione percepita, perché ovviamente vivendo consumiamo e consumando spendiamo dei soldi e valutiamo i prezzi, però naturalmente ciò che andiamo a percepire dipende anche un po' dai nostri comportamenti. Quello che l'ISTAT fa abitualmente, tradizionalmente da sempre e direi in maniera assolutamente riconosciuta dal punto di vista qualitativo anche dai nostri partner europei, è adottare una metodologia che è scientifica, che è sperimentata e che arriva a determinare la variazione oggettiva del costo della vita. Direi che da questo punto di vista, se mi consentite un po' di presunzione, non abbiamo nulla di cui pentirci, nel senso che questa è la metodologia, l'abbiamo usata ed è stata usata in passato. È chiaro che poi rispetto a ciò che ciascuno percepisce può capitare pure che ci siano delle differenze, però non credo ci siano elementi critici da rilevare da questo punto di vista.
  Per quanto riguarda gli aspetti relativi agli extraprofitti, io credo che il direttore Savio forse è in grado di dire cosa stiamo facendo. Riuscire a misurare, quantificare e valutare correttamente un fenomeno che esiste è un auspicio ed è importante che si riconosca tale fenomeno anche nella sua caratterizzazione.

  GIOVANNI SAVIO, Direttore della Direzione centrale per la contabilità nazionale. Chiaramente dal lato della contabilità nazionale abbiamo un concetto di markup che è il concetto di profitto. Su questa parte dell'extraprofitto effettivamente occorrerebbe combinare, come si chiedeva in altra sede, i dati all'importazione con quelli effettivamente praticati sul mercato. Occorre combinare più fonti e cercare di capire a quanto ammonta questo extra confrontato con il markup tradizionale delle imprese per prodotto o per specifico settore. Questa è chiaramente una indicazione che accoglieremo e che cercheremo di capire.
  Sui prezzi all'importazione, mi sentirei di dare la parola al direttore Rapiti, però posso dire che abbiamo fatto tutto quello che si doveva fare per correggere la situazione che si era creata.

  FABIO RAPITI, Direttore della Direzione centrale per le statistiche economiche. Confermo quello che ha detto il mio collega. C'è stata la necessità di rivedere i dati. Vi era, infatti, un problema legato a una procedura semiautomatica che corregge gli outlier, quindi siamo dovuti intervenire su questa procedura. Il tempo che ci è voluto è legato anche a tutte le procedure del commercio estero che sono un po' complesse. Infatti, quando si parla di commercio estero, si parla di migliaia, migliaia e migliaia di beni, ognuno con la sua classificazione, e centinaia e centinaia di Paesi ogni mese, con tante ulteriori classificazioni. Quindi questa procedura richiede un po' di tempo dal punto di vista informatico. Tutto è stato sistemato e il problema riguardava una sottostima del valore delle importazioni.

  FABIO BACCHINI, Dirigente del Servizio per l'analisi dei dati e la ricerca economica, sociale e ambientale. Come ricordava il presidente Pesco l'indice dei prezzi al consumo armonizzato nasce nel 2009 grazie a un accordo tra le parti sociali. La metodologia inizialmente è stata sviluppata dall'Istituto di studi e analisi economica e poi è stata ereditata dall'ISTAT quando tale istituto è entrato a far parte dell'ISTAT. Già diverse associazioni di categoria ci hanno chiamato per capire se ci sarà una revisione della metodologia. Stiamo affrontando il tema internamente e stiamo valutando se cambiare la metodologia e quanta della metodologia è in parte integrata con il nostro modello macroeconomico, che è quello sulla base del quale il presidente Blangiardo ha presentato le simulazioni di impatto. Dobbiamo valutare i cambiamenti che faremo da qui al mese di maggio, in vista dell'uscita, ai primi di giugno, dell'aggiornamento delle previsioni per il 2022 e per il 2023.
  Valuteremo insieme al presidente e agli uffici preposti, nel caso di modificazioni sostanziali nella metodologia, quale sarà lo Pag. 22strumento migliore per la comunicazione del lavoro che stiamo svolgendo, perché, come sottolineava lei, l'impatto non è banale. Infatti, ci troviamo in una situazione storicamente particolare, in cui il risultato del calcolo impatta significativamente sulla contrattazione. Faremo del nostro meglio per rivedere la metodologia, per documentarla e per comunicarla nel miglior modo possibile.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i rappresentanti dell'ISTAT e il presidente Blangiardo. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 15.40, riprende alle 15.45.

Audizione di rappresentanti
della Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Banca d'Italia.
  Ringrazio Fabrizio Balassone, Capo del Servizio struttura economica della Banca d'Italia, che interviene da remoto, per avere accolto l'invito delle Commissioni e gli do la parola per la sua relazione.

  FABRIZIO BALASSONE, Capo del Servizio struttura economica della Banca d'Italia (intervento da remoto). Vi ringrazio per avere invitato la Banca d'Italia a questa audizione nell'ambito dell'esame del Documento di economia e finanza. Nel mio intervento mi soffermerò inizialmente sul quadro macroeconomico, poi passerò all'andamento dei conti pubblici e ai programmi di finanza pubblica per i prossimi anni. Credo che siamo tutti consapevoli – dopo questa serie di audizioni iniziata da qualche giorno, ma anche da prima – che la guerra in Ucraina è un fattore di eccezionale incertezza, che si è inserito in uno scenario macroeconomico internazionale che era già offuscato da strozzature settoriali, pressioni inflazionistiche e, più di recente, dal riacutizzarsi della pandemia. L'invasione dell'Ucraina è avvenuta dopo mesi di tensioni al confine orientale e ha indotto una larga parte della comunità internazionale a rispondere rapidamente con l'inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia, che hanno raggiunto una severità senza precedenti. Le ripercussioni sull'attività economica globale di questa situazione dipenderanno in larga misura dall'evoluzione del conflitto. Finora si sono principalmente riflesse sui marcati rialzi dei prezzi delle materie prime rispetto alle quali la Russia detiene una quota rilevante del mercato mondiale. Le conseguenze del conflitto potranno essere più accentuate per le economie europee che intrattengono rapporti commerciali relativamente più intensi con la Russia, soprattutto per quanto riguarda le forniture energetiche. Anche i Paesi emergenti e quelli meno sviluppati, però, sono esposti a strozzature nell'offerta, in particolare per le materie prime alimentari e per i connessi rincari di prezzo. I principali organismi internazionali sanno rivedendo al ribasso le valutazioni sulle prospettive di crescita.
  Nell'area dell'euro le tensioni connesse con la guerra hanno contribuito a innalzare l'inflazione, che a marzo ha raggiunto il 7,5 per cento e hanno causato una caduta del clima di fiducia delle famiglie e, seppure in misura minore, delle imprese. Questi sviluppi potrebbero ulteriormente indebolire l'attività economica, che risultava già frenata nei primi mesi dell'anno dalle preesistenti difficoltà di approvvigionamento di materie prime e beni intermedi, oltre che dalla diffusione delle varianti del COVID-19.
  In queste circostanze le previsioni economiche, oltre a soffrire di margini di incertezza molto ampi, possono invecchiare in tempi molto rapidi. A marzo, in uno scenario che ipotizzava la rapida risoluzione del conflitto, le previsioni della BCE indicavano un'espansione del prodotto dell'area del 3,7 per cento nel 2022, del 2,8 per cento nel 2023 e dell'1,6 per cento nel 2024, con una previsione al ribassoPag. 23 delle stime precedenti, già pari a mezzo punto percentuale per l'anno in corso e a oltre un punto per il prossimo. La BCE segnalava, inoltre, che in scenari avversi, resi poi più probabili dagli eventi successivi, l'impatto del conflitto avrebbe potuto sottrarre alla crescita all'incirca un ulteriore punto percentuale in media nel biennio 2022-2023. L'aggiornamento di queste stime è previsto per il mese di giugno.
  A fronte di queste significative ripercussioni economiche il Consiglio direttivo della BCE ha ribadito, nella riunione appena conclusa, che adotterà tutte le misure necessarie per garantire la stabilità dei prezzi e quella finanziaria. Il Consiglio ha anche sottolineato la necessità che la politica monetaria prosegua la sua normalizzazione in maniera graduale e aperta a diverse opzioni sulla base dell'evoluzione del quadro macroeconomico. Prima dello scoppio del conflitto ci attendevamo che in Italia l'attività economica si sarebbe riportata al livello precedente alla pandemia intorno alla metà di quest'anno. Questo traguardo si è ora allontanato. La guerra ha peggiorato decisamente un quadro che già nei primi mesi del 2022 si era andato deteriorando. Valutiamo ora che la produzione industriale sia diminuita nel primo trimestre, risentendo degli effetti dei maggiori costi e delle difficoltà di approvvigionamento degli input, e che la spesa delle famiglie si sia indebolita, penalizzata dal rialzo dei contagi, dalla perdita di potere di acquisto e dal deterioramento del clima di fiducia che ho appena richiamato. Nel complesso, sulla base delle informazioni finora disponibili, stimiamo che nei primi tre mesi dell'anno il PIL possa essersi ridotto di poco più di mezzo punto percentuale.
  Naturalmente il conflitto modifica le prospettive anche oltre il breve periodo. Il quadro macroeconomico potenziale presentato nel Documento di economia e finanza prevede una crescita del PIL del 2,9 per cento nell'anno in corso e del 2,3 per cento nel 2023. Si tratta di stime riviste al ribasso rispetto a quelle della Nota di aggiornamento del DEF, rispettivamente, di quasi due punti e di circa mezzo punto percentuale, e che, tuttavia, presuppongono che gli effetti più rilevanti della guerra in Ucraina si manifestino nella prima metà dell'anno e che il prodotto torni a espandersi rapidamente già dopo l'estate, quando recupererebbe i livelli pre-pandemia. Questa prospettiva dipende in misura cruciale da una risoluzione del conflitto in tempi relativamente brevi, che consenta il contestuale netto ridimensionamento delle tensioni che vi sono associate. Su entrambi questi elementi evidentemente l'incertezza è al momento elevatissima.
  Nel quadro tracciato dal Governo, che è simile allo scenario denominato favorevole nel bollettino economico della Banca d'Italia di pochi giorni fa, i rischi sono orientati considerevolmente al ribasso. Lo conferma anche il confronto con le indicazioni fornite da altri previsori, in alcuni casi formulate nella prima metà di marzo. Le stime del DEF sono accompagnate, poi, da analisi di scenario che evidenziano come ulteriori forti rincari dei prezzi delle materie prime ed eventuali riduzioni nelle forniture energetiche del Paese possano avere effetti molto rilevanti, comprimendo la crescita del PIL fino a tassi appena positivi. Qualitativamente queste valutazioni non sono dissimili da quelle contenute negli altri scenari ipotizzati nel bollettino economico, che pure se ne discostano per stime puntuali che non escludono sviluppi ancora più sfavorevoli.
  Lo scorso anno la forte ripresa dell'economia e il connesso aumento delle entrate, che sono cresciute di oltre il 9 per cento, hanno consentito un notevole miglioramento dei conti pubblici. Questo è avvenuto nonostante la crescita delle spese al netto degli interessi, che sono comunque aumentate di più del 4 per cento. Il disavanzo primario è sceso al 3,7 per cento del PIL dal 6,1 per cento del 2020 e l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è sceso al 7,2 per cento del PIL dal 9,6 per cento dell'anno precedente. Dopo la crescita di oltre 20 punti percentuali nel 2020, lo scorso anno il rapporto tra il debito e il PIL si è ridotto di quasi quattro punti e mezzo, collocandosi poco sotto il 151 per cento. Questa dinamica ha riflesso soprattutto l'effetto del differenziale eccezionalmentePag. 24 favorevole tra tasso di crescita del prodotto nominale e onere medio del debito, che ha più che compensato il disavanzo primario.
  È proseguita la crescita dell'ammontare delle garanzie pubbliche, che, in quanto passività potenziali, non sono incluse nel debito. Alla fine dell'anno scorso ammontavano a quasi il 16 per cento del PIL, dal 13 per cento del 2020. L'indebitamento netto in rapporto al PIL è stato anche inferiore di oltre due punti percentuali rispetto alle stime contenute nella NADEF dello scorso settembre. Grazie proprio all'effetto di trascinamento, soprattutto grazie all'effetto di trascinamento dei risultati del 2021, le nuove previsioni a legislazione vigente, in particolare quelle per l'anno in corso, sono più favorevoli rispetto ai programmi dello scorso autunno, nonostante il peggioramento del quadro macroeconomico e l'aumento delle previsioni della spesa per interessi per via dei tassi attesi più elevati e della rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione. L'indebitamento netto si collocherebbe quest'anno, nel quadro tendenziale, al 5,1 per cento del PIL, mezzo punto percentuale al di sotto di quanto programmato lo scorso autunno, e continuerebbe poi a diminuire negli anni successivi fino al 2,7 per cento nel 2025.
  Il saldo primario, che nel 2022 viene previsto in disavanzo per 1,6 punti percentuali del PIL, migliorerebbe ogni anno fino a tornare in avanzo nel 2025, riflettendo principalmente il graduale esaurimento degli effetti delle misure di sostegno approvate nell'ultimo biennio e la crescita attesa dell'economia, che comunque in questo quadro rimane sostenuta. In rapporto al prodotto la spesa primaria corrente, dopo il picco del 2020, convergerebbe nei prossimi anni verso il livello prepandemico. Tra il prossimo anno e il 2025 gli investimenti pubblici si collocherebbero intorno al 3,5 per cento del PIL, superando i livelli osservati prima del 2008. Gli investimenti pubblici, infatti, continuerebbero a crescere a tassi molto sostenuti sia quest'anno sia il prossimo, con una crescita, rispettivamente, nell'ordine del 15 per cento e del 20 per cento, per poi rallentare nel biennio successivo. Questi andamenti naturalmente presuppongono una tempestiva e piena attuazione dei programmi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  A fronte del miglioramento del quadro tendenziale dei conti pubblici che ho appena descritto il Governo ha deciso di confermare gli obiettivi di disavanzo fissati lo scorso settembre. Il quadro programmatico, quindi, presenta per l'indebitamento netto valori più elevati di quelli tendenziali: l'obiettivo è pari al 5,6 per cento del PIL quest'anno e al 3,9 per cento l'anno prossimo. L'indebitamento, poi, si riduce di circa mezzo punto all'anno nel biennio successivo, per arrivare al 2,8 per cento nel 2025, quando la differenza rispetto al quadro tendenziale è solo di un decimo di punto. Come nel quadro tendenziale, il saldo primario migliorerebbe gradualmente fino a tornare in leggero avanzo alla fine dell'orizzonte previsivo.
  Il Governo ha annunciato di voler intervenire già nelle prossime settimane con un provvedimento d'urgenza volto principalmente a ripristinare gli stanziamenti di bilancio dei Ministeri che erano stati ridotti per finanziare il decreto-legge in materia di energia dello scorso marzo e a varare ulteriori misure per attenuare l'impatto sull'economia dei rincari dei prezzi energetici e delle materie prime. In un contesto di ampia incertezza sulle prospettive macroeconomiche, il Governo ha scelto di disporre nuove misure di sostegno mantenendo, tuttavia, un orientamento volto al graduale consolidamento della finanza pubblica. Su questi programmi gravano principalmente i rischi connessi con il conflitto in Ucraina e con le conseguenti tensioni sui mercati energetici e, più in generale, delle materie prime. Sono sviluppi i cui effetti non sono omogenei né tra individui né tra settori produttivi.
  Al fine di contenere le ripercussioni sui conti pubblici occorrerà rendere i prossimi interventi di sostegno all'economia selettivi, indirizzandoli soprattutto a favore delle famiglie più bisognose e delle imprese più colpite dai rincari e dalle limitazioni imposte al commercio con la Russia. Escludendo misure straordinarie eventualmente Pag. 25imposte dall'emergenza, la situazione dei conti pubblici richiede che, coerentemente con i programmi del Governo, qualsiasi altro nuovo intervento trovi un'adeguata copertura finanziaria.
  Nel quadro programmatico il rapporto tra il debito pubblico e il PIL scende di quasi 4 punti percentuali quest'anno e poi di quasi 2 punti percentuali in media all'anno nel triennio successivo, collocandosi al 141,4 per cento nel 2025. A fronte di un saldo primario che è in graduale miglioramento, ma comunque in avanzo lieve solo nell'ultimo anno di programmazione, questo risultato sarebbe raggiunto grazie a un tasso di crescita nominale dell'economia ancora superiore al costo del debito. Nella media del periodo tra il 2022 e il 2025 la differenza sarebbe di 2,3 punti percentuali. Ricordo che negli anni successivi all'avvio dell'unione economica e monetaria il tasso di crescita del PIL nominale è stato sempre inferiore all'onere medio del debito fino al 2020. La differenza prima della crisi pandemica è stata pari in media a quasi 2 punti percentuali. Nel 2020 si è portata su valori straordinariamente alti, oltre i 10 punti percentuali, per via della recessione. Solo con la ripresa economica del 2021, la situazione si è rovesciata e il tasso di crescita è risultato superiore all'onere medio per quasi 5 punti percentuali. I nuovi obiettivi per il debito sono migliori di quelli della NADEF dello scorso settembre essenzialmente in virtù del più basso livello di partenza del 2021. Come in autunno, infatti, il Governo programma per il 2024 una riduzione del peso del debito pari a più di 7 punti percentuali. Entro il termine dell'orizzonte di programmazione sarebbero riassorbiti quasi due terzi dell'ampio aumento del rapporto registrato nel 2020. Il Governo ha anche confermato l'obiettivo del ritorno dell'incidenza del debito sul PIL a livelli prepandemici entro la fine del decennio.
  Nel breve termine, la vita media residua del debito, che è salita a 7,6 anni, contiene l'effetto sull'onere medio di eventuali aumenti dei tassi di mercato. I rischi per i programmi di riduzione del rapporto tra il debito e il PIL sono quindi connessi, in primo luogo, con quelli relativi alle previsioni di crescita. Su orizzonti più lunghi, tuttavia, la protezione fornita dalla vita media residua del debito si riduce. Con la normalizzazione delle condizioni finanziarie e di crescita, per assicurare una discesa continua e significativa dell'incidenza del debito pubblico, la politica di bilancio dovrà garantire un adeguato miglioramento del saldo primario, che tenga conto anche delle pressioni esercitate sulle finanze pubbliche dall'invecchiamento della popolazione. Lo sforzo sarà tanto minore quanto maggiore sarà la crescita dell'economia e, a questo riguardo, un contributo importante dovrà derivare dalla piena realizzazione dei programmi di riforma e investimento previsti dal PNRR. Segnalo che, secondo le simulazioni presentate nel DEF, anche raggiungendo gli obiettivi fissati per il periodo tra il 2022 e il 2025, in assenza della successiva correzione dei conti, il rapporto tra debito e prodotto tornerebbe ad aumentare e si collocherebbe al 150 per cento nel 2033. Nello stesso anno, invece, il rapporto sarebbe più basso di circa 20 punti percentuali nel caso in cui, tra il 2026 e il 2033, il disavanzo strutturale si riducesse gradualmente.
  Mi avvio a concludere riassumendo i principali punti che ho illustrato. Le prospettive macroeconomiche sono caratterizzate da un'estrema incertezza e le previsioni di crescita del DEF, pure inferiori rispetto all'autunno scorso, sono soggette a significativi rischi al ribasso. Ciò nonostante, le previsioni per i conti pubblici sono migliorate grazie ai risultati del 2021, che sono stati più favorevoli delle attese. Questo quadro del Governo mira a contenere gli effetti negativi del rincaro dei prezzi delle materie prime, in particolare di quelle energetiche, e conferma gli obiettivi di disavanzo indicati lo scorso autunno, prevedendo ulteriori misure espansive che verranno definite con un prossimo provvedimento d'urgenza. Verrebbe comunque mantenuto l'orientamento a un graduale consolidamento della finanza pubblica: nel 2025 sarebbe conseguito un avanzo primario e l'indebitamento netto sarebbe inferiore al 3 per cento del PIL. Nel 2025 il Pag. 26rapporto tra debito e PIL sarebbe di poco superiore al 141 per cento e il Governo ha confermato l'obiettivo del ritorno sui livelli prepandemici entro il 2030. Il divario tra crescita e onere medio del debito resterebbe positivo lungo il periodo di programmazione, ma su orizzonti più lunghi la politica di bilancio dovrà garantire un adeguato avanzo primario. Una crescita dell'economia più elevata potrà facilitare il conseguimento di questo obiettivo e sarà per questo cruciale il buon esito dei programmi del PNRR.
  Come per il quadro macroeconomico, anche per la finanza pubblica i rischi principali sono connessi con la guerra in Ucraina e con le tensioni sui mercati energetici e delle materie prime, che non colpiscono in maniera omogenea né le persone né i settori produttivi. Al momento l'incertezza sull'evoluzione del conflitto è troppo ampia per una previsione affidabile su eventuali ulteriori necessità di intervento. Le misure di sostegno all'economia dovranno essere indirizzate a favore delle famiglie più bisognose e delle imprese più colpite dai rincari e dalle limitazioni al commercio. Come ho sottolineato, escludendo interventi straordinari dettati da condizioni di emergenza, la situazione dei conti pubblici richiede che qualsiasi altra nuova misura trovi adeguata copertura.
  Alla sfida posta dalla guerra l'Unione europea sta cercando di fornire una risposta comune, questa potrà, tuttavia, avere conseguenze molto diverse sui singoli Paesi membri. La situazione attuale, così come in precedenza la pandemia, evidenzia la necessità di dotare l'Unione europea di un bilancio comune di dimensioni e flessibilità adeguate. In ogni caso e soprattutto in attesa della convergenza degli intenti su questo fronte, i Paesi con spazi di bilancio più limitati non potranno non tenere conto delle proprie condizioni di finanza pubblica nell'affrontare questa fase difficile.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati e ai senatori che intendono intervenire.

  FIAMMETTA MODENA(intervento da remoto). Volevo avere dei dati. Nel corso delle varie audizioni e comunque nelle analisi svolte ovviamente si parte dal presupposto che c'è stata la pandemia e ci sono state una serie di problematiche. In questi due anni e mezzo lo Stato è intervenuto con tutta una serie di bonus e di aiuti di vario genere. Tant'è che oggi si dice che c'è stata una specie di narcolessia generale poiché appena c'è una difficoltà si chiedono aiuti pubblici oltre quello che potrebbe essere consentito. Le chiedo, quindi, se sono stati condotti degli studi con riferimento all'effettivo utilizzo dei vari aiuti messi in campo da quando è scoppiata la pandemia e, poi, successivamente di quelli che si stanno mettendo in campo per la crisi ucraina, al fine di comprendere come lo Stato può intervenire effettivamente a tutela di chi si trova in difficoltà.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il dottor Balassone per la sua relazione. Ho alcune domande. La prima riguarda i tassi d'interesse sui titoli di Stato: è vero, come è stato ricordato nell'introduzione, che si è allungata la vita media dei titoli, ma abbiamo emesso anche titoli indicizzati all'inflazione e il DEF prevede 9 miliardi di euro in più di spesa per interessi soltanto nel 2022, cioè nei prossimi otto mesi. Volevo capire in che misura questo dato rileva. Prima il presidente della Corte dei conti ci ha detto che si tratta di circa l'11 per cento dello stock, quindi una quota significativa. Ritengo che questo sia un punto da tener presente.
  La seconda questione è più generale e di carattere macroeconomico. Mi pare che vi sia larga condivisione nel considerare l'inflazione in corso come inflazione da offerta, ma, nonostante questo, sembra che la Banca centrale europea si muova come se si trattasse di inflazione generata da cause interne, con la prospettiva di interventi che non tengono conto di questo dato, mentre, a mio avviso, è molto rilevante. Forse dovremmo tutti cercare di capire come evitare che quell'inflazione da offerta si trasmetta in modo sistematico attraverso aumenti dei salari. Però non possiamo limitarci a scaricare sui lavoratori il costo in termini reali della mancata indicizzazione; dovremmo, invece, attuare una politica dei Pag. 27redditi sostenuta da misure sulla tassazione. Quindi, in termini di protezione del potere d'acquisto, quello che i lavoratori non ottengono per via contrattuale lo possono raggiungere per via fiscale attraverso misure sulle contribuzioni o altri interventi. Sotto questo aspetto c'è un'altra questione. Infatti, se tutto ciò deve avvenire a invarianza di indebitamento, come mi pare lei dicesse verso la fine del suo intervento, vuol dire che dobbiamo trovare fonti di copertura. Forse, se dobbiamo rispettare questi vincoli, ci vorrebbe un po' più di coraggio sugli extraprofitti, altrimenti il rischio vero è che alla fine chi paga questa fiammata d'inflazione sono i lavoratori in termini reali e, in termini di consumi, la collettività più in generale, con conseguenze molto negative sulla crescita.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Balassone per la replica.

  FABRIZIO BALASSONE, Capo del Servizio struttura economica della Banca d'Italia (intervento da remoto). Vi ringrazio per le vostre domande. Vado a ritroso, comincio dalle domande poste dall'onorevole Fassina. La prima è quella sui titoli indicizzati all'inflazione. L'Italia emette i titoli indicizzati all'inflazione ormai fin dal 2003, quindi sono quasi vent'anni, ed è vero che sono adesso poco più di un decimo del totale dei titoli del debito pubblico. Sono titoli utilizzati da molti altri Paesi avanzati: sono utilizzati sicuramente negli Stati Uniti, nel Regno Unito e anche in Francia. Un emittente sovrano generale, ma soprattutto un emittente con grandi necessità di rifinanziamento deve cercare di coprire il maggior numero di segmenti di mercato e offrire un ventaglio completo di strumenti. In linea di principio, non considerare il mercato dei titoli indicizzati, che interessa tipicamente investitori che cercano una protezione contro l'inflazione, ad esempio le famiglie o anche i fondi pensione, sarebbe un errore. Direi che le scelte di emissione relative ai vari strumenti utilizzati per finanziare il debito pubblico vanno valutate su un orizzonte di medio termine. Peraltro, la fiammata inflazionistica attuale è di natura assolutamente imprevista e imprevedibile. Credo che almeno questo dobbiamo riconoscerlo.
  Sull'inflazione, si è appena conclusa la riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea e poco prima di questa audizione ho fatto appena in tempo a capire cosa cambiava rispetto al comunicato di un mese fa. In proposito direi che la Banca centrale europea è molto prudente. Si parla, infatti, di un percorso di normalizzazione basato sulla verifica dei dati man mano che si rendono disponibili. Si parla anche di flessibilità e, quindi, non condivido il giudizio di un atteggiamento non coerente con la natura dello shock inflazionistico, che è uno shock da inflazione importata.
  Per quanto riguarda il sostegno ai redditi, la materia è ovviamente complessa e delicata. Ci sono diverse possibilità attraverso le quali si può perseguire l'obiettivo di sostenere il reddito delle fasce più deboli della popolazione. Questo può avvenire con gli strumenti che finora ha utilizzato il Governo, cioè con bonus destinati a compensare la spesa per i beni energetici, che sono quelli che hanno determinato gran parte dell'aumento dei prezzi, in quanto circa metà dell'inflazione che sperimentiamo è dovuta all'aumento del prezzo delle materie prime energetiche. Si può anche intervenire sui mercati delle materie prime energetiche, cercando di incidere sia sugli extraprofitti sia sui prezzi all'ingresso nel mercato italiano delle materie prime. Sono tutte opzioni che anche la Commissione europea sta valutando nella comunicazione REPower EU, che contiene un lungo elenco di possibili soluzioni. Sono soluzioni che ovviamente hanno dei pro e dei contro e andranno valutate con estrema attenzione.
  Per quanto riguarda la questione della copertura finanziaria ho tenuto a precisare che l'emergenza ha sicuramente reso necessari interventi e nell'emergenza gli interventi sono stati effettuati in gran parte aumentando il disavanzo o utilizzando risorse che erano disponibili nel bilancio, il che vuol dire rinunciando a un miglioramento dei conti pubblici. Questo è andato bene finora, si potrà fare ancora e il GovernoPag. 28 ha già deciso di portare nel programmatico il livello dell'indebitamento al 5,6 per cento, mentre nel tendenziale era previsto al 5,1 per cento. Il senso della mia affermazione era che a un certo punto dovremo fare più attenzione.
  Concludo con la questione degli interventi bonus adottati nell'ultimo biennio, quello della pandemia. Ci sono evidenze sull'utilizzo dei bonus: ci sono sia dati forniti dall'INPS che dal Ministero dell'economia e delle finanze. Anche come Servizio struttura economica della Banca d'Italia abbiamo svolto delle analisi in tal senso, ma in questo momento non ho i dati precisi. Provvederò ad inviare una comunicazione scritta per integrare la mia relazione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Balassone. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 16.15, riprende alle 16.30.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
FABIO MELILLI

Audizione della presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2022, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, della presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Lilia Cavallari, che ringrazio. Avverto, inoltre, che sono presenti anche Giampaolo Arachi, componente del Consiglio dell'UPB, e Flavio Padrini, direttore del servizio finanza pubblica dell'Ufficio stesso. Do quindi la parola alla presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari.

  LILIA CAVALLARI, Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Grazie, presidente Melilli, e buonasera a tutti. In questa audizione naturalmente parleremo del nostro ruolo di validazione delle previsioni contenute nel Documento di economia e finanza. Validiamo sia il quadro tendenziale, quindi le previsioni contenute nel Documento che riguardano l'andamento dell'economia a legislazione vigente, cioè in assenza di intervento, sia le valutazioni del quadro programmatico, vale a dire dopo l'intervento e dopo la manovra programmata. L'esercizio di validazione e le previsioni fatte dal Governo scontano uno scenario economico globale che è in forte deterioramento rispetto a quanto stimato e registrato nell'esercizio precedente.
  Questo peggioramento delle prospettive economiche globali nei nostri modelli e nel modello di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è catturato dalle variabili esogene. La principale deviazione rispetto alle attese riguarda i prezzi delle materie prime e dell'energia, che sono fortemente rincarati, e nel modello ciò è catturato dal prezzo del petrolio e da quello del gas, i cui valori sono indicati sulla base di una media sia dei prezzi spot che dei prezzi future all'inizio del mese di marzo, che già scontavano gli effetti della guerra in Ucraina. La seconda variabile riguarda il commercio internazionale, il commercio globale, anch'esso previsto in ribasso, soprattutto per quanto riguarda i mercati di interesse per le esportazioni italiane.
  Le previsioni del Ministero dell'economia e delle finanze scontano anche un andamento meno favorevole dei tassi di cambio, con un apprezzamento del dollaro che aumenta il prezzo dei beni importati, in particolar modo dell'energia, e con un andamento meno favorevole dei tassi di interesse, legato a un progressivo orientamento della politica monetaria verso un rialzo dei tassi medesimi.
  Questo è il quadro delle variabili esogene che è stato formulato circa un mese fa, ma che risulta robusto anche a tutt'oggi, nel senso che ci sono stati elementi di incertezza ulteriori. C'è stato, ad esempio, un peggioramento del clima di fiducia soprattuttoPag. 29 tra le famiglie, meno pronunciato invece per quanto riguarda le imprese, ma i valori delle variabili esogene sono in linea con le aspettative più recenti e con i prezzi di mercato più recenti, anche per quanto riguarda il petrolio e il gas.
  Veniamo al quadro tendenziale. Chiaramente fare previsioni è sempre un compito piuttosto complicato e in queste condizioni è un compito particolarmente complicato, perché, come sapete, vi sono elementi di estrema incertezza.
  Il quadro previsionale contenuto nel Documento sconta sostanzialmente una durata relativamente breve della guerra, ma c'è a tutt'oggi una forte incertezza sulla durata del conflitto, con tutte le conseguenze che ne derivano.
  Per quanto riguarda il quadro tendenziale, gli elementi che lo caratterizzano sono due profonde revisioni. La prima è la revisione al ribasso della crescita del PIL reale al 2,9 per cento rispetto al 4,7 per cento previsto nella Nota di aggiornamento del DEF dello scorso autunno. Questa revisione al ribasso è particolarmente significativa per l'anno in corso, è nell'ordine di 0,5 punti percentuali per l'anno successivo e si stabilizza nell'orizzonte di previsione, fino a raggiungere, al termine dell'orizzonte di programmazione, un valore di crescita vicino al tasso di crescita potenziale dell'economia italiana. Chiaramente, questa forte revisione al ribasso è legata in misura maggiore all'aumento dei prezzi dell'energia e in misura molto minore alla diminuzione del commercio e agli altri elementi che ho ricordato prima. Alludo, come in precedenza detto, al profilo meno favorevole dei tassi di interesse, ma la lion's share, la componente principale proviene sicuramente dal rincaro dei prezzi energetici.
  L'altro elemento di forte devianza è rappresentato dal rialzo dell'inflazione. Il Documento prevede un'inflazione al 5,8 per quanto riguarda il deflatore dei consumi, in forte rialzo rispetto alla previsione dell'autunno scorso, quando si prevedeva per il corrente anno un incremento dell'1,6. Questa previsione di inflazione persiste in una misura molto ridotta nell'anno successivo, nel 2023, e poi gradualmente si va ad allineare verso valori vicini all'obiettivo del 2 per cento. È dunque una dinamica sostenuta dell'inflazione nell'anno corrente, anch'essa alimentata dal rincaro dei prezzi energetici.
  Su questo quadro, insiste quindi la manovra. L'UPB ha validato il profilo tendenziale lo scorso 24 marzo e lo ha fatto perché, se guardate le nostre previsioni, lo scenario ipotizzato dal Documento di economia e finanza converge su di esse. Abbiamo uno sforamento marginale solamente nel 2022 per quanto riguarda il PIL reale, nel senso che il valore del 2,9 per cento è superiore di un decimo rispetto al massimo dell'intervallo delle previsioni del panel, ma rimane comunque all'interno delle previsioni del panel, quindi vicino alla mediana delle previsioni, lungo tutto l'orizzonte di programmazione. Per tale motivo, è una previsione che riteniamo coerente rispetto alle indicazioni che provengono dal nostro panel.
  Vi ricordo che il quadro tendenziale contenuto nel Documento è anche il risultato di un processo di interazione e di interlocuzione con l'Ufficio parlamentare di bilancio. Noi abbiamo espresso dei rilievi su una precedente versione provvisoria, che sono stati inglobati e considerati nella versione attuale.
  Analogamente, per quanto riguarda il PIL nominale c'è un sostanziale allineamento alle previsioni del panel lungo tutto l'orizzonte di programmazione. Nell'anno corrente il dato sul PIL nominale si colloca all'estremo superiore, mentre nell'arco dell'orizzonte si colloca ben all'interno dell'intervallo di previsione del panel. Quindi, abbiamo convenuto di validare queste previsioni.
  Chiaramente, rimane un quadro sottoposto a un'incertezza davvero importante. Se noi guardiamo agli ultimi dati, c'è un allargamento delle previsioni fatte dagli analisti a indicazione di una forte eterogeneità.
  L'ultimo dato di consenso è uscito veramente da poco, mi è stato comunicato proprio adesso tramite messaggio sul cellulare. Il Consensus Report è una media delle previsioni di 20 analisti principali, che Pag. 30per l'Italia stimano un tasso di crescita del 2,7 per cento per quest'anno. La previsione non sconta l'impatto della manovra, ma mostra come questo quadro tendenziale sia sostanzialmente ancora solido, nonostante l'incertezza enorme che grava su tali previsioni. Sulla previsione tendenziale, si innesta quindi la manovra.
  Mentre lo scenario economico globale e le previsioni macro tendenziali sono in forte ribasso, sul lato della finanza pubblica il tendenziale va decisamente meglio del previsto. Infatti, come sapete, il 2021 si è chiuso con una performance dell'economia decisamente migliore del previsto, con una crescita del 6,6 per cento. Il quadro tendenziale di finanza pubblica sconta dei saldi decisamente favorevoli e presenta un risultato migliore rispetto al previsto, poiché l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è stato nel 2021 pari al 7,2 a fronte di un 9,4 per cento previsto nella NADEF, con un disavanzo tendenziale del 5,1 per cento per il 2022 a fronte di un disavanzo più alto previsto per lo stesso anno nella NADEF. Tale risultato è sostanzialmente legato a un ridimensionamento del disavanzo primario, trainato per 0,9 punti percentuali dalle maggiori entrate – soprattutto dalle imposte indirette, e tra queste, in modo prevalente dall'IVA – e da minori uscite per 1,5 punti percentuali, trainate queste ultime soprattutto dalle spese primarie correnti. C'è quindi un miglioramento del saldo primario legato al migliore andamento sia delle entrate che delle spese e si registra, altresì, una buona composizione qualitativa, nel senso che sono stati preservati gli investimenti.
  La finanza pubblica ha avuto dunque un quadro tendenziale decisamente più favorevole del previsto e su questo insiste la manovra del Governo. Come sapete, il Governo ha deciso di mantenere gli obiettivi programmatici di disavanzo, pari al 5,6 per cento per quest'anno, liberando risorse per 0,5 punti di PIL, equivalenti a circa 10,5 miliardi di euro per l'anno in corso, e per 0,2 punti per il 2023 e 0,1 punti per gli altri anni. La manovra viene quantitativamente rappresentata da questi numeri e qualitativamente è indirizzata a proseguire nello sforzo di contenere gli effetti economici legati all'aumento dei prezzi dell'energia e delle materie prime, di fronteggiare l'aumento dei costi per la realizzazione delle opere pubbliche, di sostenere le spese per la pandemia e le esigenze sanitarie, nonché di favorire la liquidità delle imprese, in particolare tramite il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.
  Complessivamente, il Documento prevede che questa manovra abbia un impatto espansivo sull'economia pari a 0,2 punti percentuali, quindi il tasso di crescita del PIL reale andrebbe al 3,1 per cento a fronte del 2,9 previsto per quest'anno, e al 2,4, ovvero un decimo di punto in più rispetto al tendenziale, per l'anno successivo, con un effetto che sostanzialmente si esaurisce negli ultimi due anni dell'orizzonte temporale considerato nel DEF.
  Abbiamo valutato anzitutto l'impatto di una manovra con queste caratteristiche attraverso i nostri modelli e attraverso i modelli del nostro panel di previsori. Come potete vedere, anche le previsioni sono in linea con quelle del nostro panel: il PIL reale si colloca all'estremo superiore dell'intervallo dei valori di previsione del panel nell'anno corrente, mentre si colloca vicino alla mediana per gli anni successivi dell'orizzonte di programmazione e un discorso analogo vale per il PIL nominale, che si colloca all'estremo superiore dell'intervallo di previsione per l'anno corrente e intorno alla mediana per gli anni successivi. Anche la stima del delta, cioè la stima dell'impatto aggiuntivo, questo 0,2 per cento stimato dal Governo, è assolutamente in linea con quanto previsto dal panel, sebbene alcuni dei nostri «panelisti» prevedono addirittura uno 0,3 per cento in più.
  Per questi motivi, abbiamo quindi validato anche il quadro programmatico, sebbene anche per quest'ultimo permane comunque la cautela che indicavo prima rispetto al quadro tendenziale, poiché l'incertezza è elevata e concerne soprattutto la durata della guerra, considerato che queste previsioni sono elaborate scontando una durata relativamente breve del conflitto.
  Noi abbiamo fatto un esercizio – vi anticipo un risultato che poi sarà divulgato Pag. 31nella nota congiunturale che pubblicheremo alla fine del mese – per capire qual è l'impatto di un trimestre in più di durata della guerra, nell'ipotesi quindi sostanzialmente che la guerra duri fino a tutto il secondo semestre e che la normalizzazione postbellica occupi tutta la seconda parte dell'anno. Questo scenario è catturato nel modello attraverso diversi canali di trasmissione, tra cui l'aumento dei prezzi energetici, la persistenza dell'aumento dei prezzi, un calo della fiducia e un decremento degli scambi commerciali. Lo abbiamo fatto utilizzando un modello multi-Paese per vedere le differenze tra le diverse aree del mondo ed emerge che l'economia italiana avrebbe un impatto relativamente più alto, poiché siamo nell'ordine di 1,5 punti di PIL in meno nel biennio e di 2,5 punti di inflazione in più. È un impatto relativamente più alto rispetto a quello, per esempio, dell'intera Europa e l'Europa a sua volta presenta un impatto più alto rispetto all'economia mondiale. Permangono, quindi, sicuramente condizioni di estrema incertezza.
  Nella validazione abbiamo anche considerato la Relazione che il Governo ha presentato al Parlamento per chiedere la revisione del piano di avvicinamento all'Obiettivo di medio termine. In proposito, la questione è che, anche se la finanza pubblica ha avuto un profilo più favorevole del previsto, i saldi strutturali presentano un profilo meno favorevole del previsto, quindi si prevede per il 2022 un disavanzo strutturale del 5,9 per cento, che è più alto di quanto previsto, sostanzialmente a motivo di un forte ricorso a misure una tantum sia dal lato della spesa, sia dal lato delle entrate. Per farvi un esempio, le entrate una tantum sono quelle derivanti dagli extraprofitti energetici, che non vengono considerate nel saldo strutturale.
  La richiesta di discostarsi dal sentiero di aggiustamento verso l'obiettivo intermedio è giustificata alla luce delle condizioni effettivamente emergenziali che si sono verificate a partire dal 2020, tant'è che siamo di fronte all'applicazione della clausola di salvaguardia, vale a dire alla sospensione delle regole del Patto di stabilità e crescita.
  Guardando con un po' più di attenzione ai saldi di finanza pubblica e alla manovra, abbiamo detto che l'indebitamento netto programmatico è rimasto quello della NADEF, quindi il disavanzo è al 5,6 per cento per l'anno corrente, al 3,9 per cento per il 2023 e al 3,3 per cento per il 2024, mentre sarà inferiore al 3 per cento alla fine dell'orizzonte di programmazione, precisamente attestandosi al 2,8 per cento. Questo scenario disegna una manovra che abbiamo interpretato come una manovra di pragmatica prudenza, nel senso che è una manovra prudente e la prudenza è considerata pragmatica in queste condizioni di estrema incertezza. Perché è giustificata una manovra di questo tipo?
  Perché è importante assicurare continuità nella programmazione, soprattutto dei saldi di finanza pubblica, cioè una continuità nel profilo di graduale riduzione del disavanzo e di graduale riduzione del rapporto debito/PIL. Questo è importante in condizioni di incertezza ed è tanto più importante in condizioni quali quelle che prevediamo lungo tutto l'arco di programmazione, ossia in condizioni finanziarie meno favorevoli di quelle che si sono verificate fino ad oggi. Ma perché le condizioni finanziarie si presentano meno favorevoli? Perché chiaramente c'è un rialzo dell'inflazione, quindi un orientamento delle politiche monetarie verso una normalizzazione e un graduale rialzo dei tassi di interesse.
  Quanto siano importanti le condizioni finanziarie per l'economia italiana è insito nel fatto di avere un debito elevato, ma per avere una quantificazione abbiamo fatto un esercizio di simulazione su cosa succederebbe alla spesa per interessi se ci fosse un aumento dell'1 per cento dei tassi di interesse sui titoli. Come vedete, uno shock permanente di 100 punti base ai tassi di interesse porta un aumento via via crescente nel tempo della spesa per interessi rispetto a quella che è già iscritta a bilancio e che già paghiamo, nell'ordine di 2,5 miliardi di euro nel 2023, di 6,7 miliardi di euro nel 2024 e 10,1 miliardi di euro nel 2025. Siamo dunque di fronte a una spesa aggiuntiva di circa 20 miliardi di euro solo Pag. 32in forza di un aumento dei tassi di interesse di un punto percentuale. Se a questo aggiungiamo un rialzo dell'inflazione che duri non solo nel 2022 ma anche nel 2023, l'aumento di spesa risulterebbe ulteriormente incrementato e se ipotizziamo che questo aumento di inflazione lungo l'orizzonte temporale in parte si trasferisca, come è presumibile, sui rendimenti del debito, questo comporterà un'ulteriore maggiorazione della spesa per interessi. C'è quindi una forte sensibilità non solo della spesa per interessi, ma di diverse componenti del bilancio, alle condizioni di inflazione e alle condizioni finanziarie.
  L'altro elemento di cautela è che una parte dell'impulso espansivo proviene dal PNRR. La manovra sconta un effetto importante della tempestiva e puntuale attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quindi diventa cruciale non solo monitorare il raggiungimento degli obiettivi quantitativi, cioè i vari traguardi e obiettivi intermedi, ma anche l'attuazione effettiva della spesa. Già nelle precedenti audizioni e in alcuni nostri lavori abbiamo segnalato l'esistenza di difficoltà organizzative e amministrative. Su questi elementi è importante tenere alta l'attenzione, perché una buona parte dell'impulso espansivo che deriva dalle manovre di bilancio è veicolata attraverso il citato Piano. Per questo motivo, è importante che il Piano sia attuato con la massima efficienza.
  Un ulteriore elemento da segnalare è il contesto europeo. Oggi questa manovra sconta anche un'incertezza su quale sarà – se vi sarà – una risposta europea alla crisi energetica, nonché riguardo alle regole di bilancio.
  Abbiamo partecipato a un'audizione sulla governance europea e sulle sue prospettive di sviluppo, giacché le conseguenze che una revisione delle regole del Patto di stabilità e crescita, e in generale della governance, possono avere sulla dinamica della finanza pubblica italiana sono veramente importanti. Ad oggi, è importante considerare anche questi elementi di incertezza.
  L'ultima cosa su cui mi soffermo riguarda la dinamica del debito, perché quando parliamo di sostenibilità della finanza pubblica abbiamo tutti in mente la riduzione del rapporto debito/PIL e la sostenibilità del debito. Al riguardo, la manovra sconta una graduale riduzione del rapporto debito/PIL, quindi già quest'anno il dato è sicuramente positivo. Il 150,8 per cento realizzato quest'anno, a seguito dell'aumento più che notevole del PIL nel 2020-2021, è un dato in forte diminuzione rispetto a quanto previsto per l'anno precedente.
  Lungo l'arco di programmazione del DEF continua questa graduale discesa del rapporto debito/PIL: l'ultimo valore è intorno al 141,4 per cento nel 2025, quindi la riduzione complessiva attesa è nell'ordine di 9,4 punti percentuali di PIL. Si tratta dunque di un percorso apprezzabile di graduale miglioramento, in vista della continuità dell'obiettivo di riportare il debito a livello prepandemico alla fine di questo decennio.
  Anche a tale proposito, per darvi un'idea dell'importanza delle condizioni globali, quale, ad esempio, l'orientamento della politica monetaria, la Banca centrale europea ha annunciato la conclusione del programma di acquisti straordinari pandemici, ossia del Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), così come la graduale conclusione del programma di acquisti straordinari dell'Asset Purchase Programme (APP).
  Guardando alle esigenze connesse alle nuove emissioni dei titoli del debito pubblico per quest'anno, noi abbiamo stimato qual è l'ammontare delle emissioni lorde dei titoli di Stato per il 2022, e siamo nell'ordine di 450 miliardi di euro. Se guardiamo alle emissioni nette, cioè al netto della ricapitalizzazione dei titoli in scadenza nel portafoglio della Banca centrale europea, ipotizzando che la BCE rifinanzi tutti i titoli che ha in portafoglio una volta venuti a scadenza, stimiamo le emissioni nette di titoli per quest'anno, al netto cioè anche dei programmi di acquisto che comunque continuano, perché già nei primi mesi di quest'anno la BCE ha comprato ingenti quantità di titoli pubblici italiani, intorno a 21 miliardi di euro. Questo significa che questi 21 miliardi di euro di Pag. 33nuove emissioni dovranno essere finanziati sul mercato e sul mercato è ragionevole assumere che le condizioni siano sensibili a quello che succede nei mercati. Occorre dunque fare attenzione alle condizioni nelle quali disegniamo questa manovra.
  Per concludere, noi abbiamo fatto anche delle simulazioni stocastiche per mostrare il rischio che il debito si allontani dal sentiero programmato. Si tratta di un rischio non trascurabile, poiché siamo tra il 20 e il 30 per cento di probabilità che in qualcuno degli anni considerati il debito possa aumentare anziché ridursi, però vi è anche il 70 o 80 per cento di probabilità di riduzione del rapporto debito/PIL di anno in anno.
  Abbiamo prima definito «pragmatica» la cautela, perché, così come nel Documento, anche il Ministro Franco nel corso della sua audizione ci ha spiegato che la situazione è di una tale incertezza che quando questa incertezza prenderà forma, cioè quando si avranno degli elementi sostanziali, non si esclude alcun tipo di intervento. In questo senso, ci sembra sostanzialmente una manovra equilibrata.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati e ai senatori che intendono intervenire. Prego, presidente Pesco.

  DANIELE PESCO, presidente della 5a Commissione del Senato della Repubblica. Innanzitutto ringrazio e auguro buon lavoro all'Ufficio parlamentare di bilancio per questa prima esperienza di analisi del DEF, nonché, naturalmente, per gli anni a seguire. Volevo porvi il seguente interrogativo. Noi siamo in un clima di elevatissima incertezza, con una spesa pubblica alimentata anche dal PNRR, nel senso che, come ci ha correttamente ricordato prima il presidente Melilli, buona parte di queste risorse aiutano la nostra spesa pubblica, però abbiamo ancora una spesa chiamata «non buona», che è sempre stata oggetto della famosa spending review che tuttavia, a mio avviso, non è stata mai attuata in modo concreto.
  Ho posto la stessa domanda ai sindacati e non mi sono attirato le loro grazie, ma poiché, grazie al PNRR, sicuramente avremo la possibilità di attuare un rinnovamento in senso migliorativo di buona parte della nostra pubblica amministrazione, puntando in particolare sulla digitalizzazione, non può essere questa l'occasione per riuscire effettivamente a concentrarci sulla riduzione della spesa poco «fruttifera» per la stessa pubblica amministrazione? Non è forse giunto il momento di concentrarci in maniera efficace al fine di liberare risorse utili a fare delle cose su cui siamo invece ancora molto indietro a livello internazionale, come, ad esempio, sul piano degli aiuti alle persone portatrici di disabilità o della lotta alla povertà? Anche sul versante della spesa sociale sappiamo che spendiamo molto ma che c'è ancora molto da fare. Secondo voi, ci sono le possibilità per riuscire a migliorare la nostra spesa pubblica da questo punto di vista?

  LILIA CAVALLARI, Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. La qualità della spesa è un elemento qualificante anche alla luce dei principi in base ai quali la Commissione europea valuta gli indicatori di bilancio. Sicuramente, intervenire sulla qualità e sulla composizione della spesa è importante.
  Nel Documento di economia e finanza è contenuta un'indicazione circa l'utilizzo delle risorse derivanti dalla revisione della spesa, con indicazioni anche quantitative: 0,8 miliardi di euro per quest'anno, 1,5 miliardi di euro, se non sbaglio, per l'anno successivo e così via per finanziare le cosiddette «politiche invariate», cioè quelle poste di bilancio che dipendono automaticamente, per esempio, dai rinnovi dei contratti della pubblica amministrazione e dalla partecipazione alle missioni internazionali. Mi sembra che nel Documento ci sia un impegno ad utilizzare la revisione della spesa almeno per finanziare le politiche invariate. Detto questo, margini di revisione, anche al di là delle politiche invariate, penso che ci siano.
  Sul collegamento tra la spesa e il PNRR, un altro tema a mio avviso sensibile e importante è quello delle spese di attuazione del PNRR. Secondo me, in questi interventi di potenziamento della qualità Pag. 34della spesa è bene che ci siano anche le spese funzionali all'attuazione del PNRR.

  DANIELE PESCO, presidente della 5a Commissione del Senato della Repubblica. Incluse le risorse umane, ovviamente.

  LILIA CAVALLARI, Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Senz'altro.

  PRESIDENTE. Pur nella speranza, che non abbandoniamo, che le spese del PNRR possano contribuire a diminuire qualche gap in questo Paese, qualche dubbio comunque resta. Ringrazio la presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.05.