XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 53 di Mercoledì 13 aprile 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ, Adriano Giannola, sull'assetto della finanza territoriale e sulle linee di sviluppo del federalismo fiscale:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Giannola Adriano , Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ ... 4 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 10 
Perosino Marco  ... 10 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 11 
Ferrero Roberta  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 
Presutto Vincenzo  ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 
Giannola Adriano , Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante il resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ, Adriano Giannola, sull'assetto della finanza territoriale e sulle linee di sviluppo del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, del Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ, Adriano Giannola, sull'assetto della finanza territoriale e sulle linee di sviluppo del federalismo fiscale. Come è noto, la SVIMEZ è un'associazione senza scopo di lucro che si occupa, conformemente a quanto indicato nel suo statuto, di promuovere, nello spirito di una efficiente solidarietà nazionale e con visione unitaria, lo studio particolareggiato delle condizioni economiche del Mezzogiorno d'Italia, al fine di proporre concreti programmi di azioni e di opere intese a creare e a sviluppare l'attività industriale nelle regioni meridionali. Alla luce delle finalità cui è orientata l'attività della Svimez, l'intervento del Presidente Giannola concorrerà certamente ad arricchire ed affinare il lavoro di approfondimento che la Commissione sta conducendo sullo stato di avanzamento del federalismo fiscale, sull'assetto dei rapporti finanziari tra i livelli di governo e sulle dinamiche evolutive che interessano la finanza regionale e locale. Il perimetro del dibattito è, quindi, destinato potenzialmente ad allargarsi a tutti i temi connessi alla piena realizzazione del disegno tracciato dalla legge n. 42 del 2009, anche nel quadro degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché del percorso di attuazione del regionalismo differenziato. Tra le questioni sulle quali potrà svolgersi il confronto, cito solo a scopo esemplificativo quelle riguardanti la valorizzazione dei principi di autonomia e responsabilità finanziaria degli enti decentrati, il definitivo superamento del criterio della spesa storica nella distribuzione delle risorse, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, un coerente ed efficace coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario, il potenziamento dell'efficienza dell'azione amministrativa e il miglioramento della qualità dei servizi resi al cittadino, la promozione dello sviluppo, l'attenuazione degli squilibri sociali ed economici in ossequio ai principi di solidarietà e coesione, la riduzione dei divari tra le diverse aree geografiche, anche tramite l'implementazione della perequazione infrastrutturale, nonché il sostegno alle realtà svantaggiate. Ricordo che i componenti della Commissione, in virtù di quanto stabilito dalla giunta per il Regolamento alla Camera nella riunione del 4 novembre 2020, possono partecipare alla seduta anche da remoto. Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori, faccio presente che, in conformità a quanto Pag. 4convenuto in sede di Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nonché alla prassi già seguita in occasione delle precedenti sedute di audizioni, dopo la relazione introduttiva da parte del professor Giannola darò la parola ad un oratore per gruppo. Conclusa questa fase della discussione si potrà valutare, in considerazione del tempo disponibile, se procedere a un'eventuale ulteriore serie di interventi, lasciando comunque lo spazio necessario per la replica. Nel raccomandare ai colleghi di contenere la durata degli interventi, invito a far pervenire alla presidenza le richieste di iscrizione a parlare. A questo punto rinnovo il benvenuto al professor Giannola, che ringrazio a nome di tutta la Commissione per aver accettato l'invito, e gli cedo la parola. Prego.

  ADRIANO GIANNOLA, Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ. Grazie dell'invito, Presidente, e della possibilità di dare, sia pure molto sinteticamente, il contributo della SVIMEZ all'analisi di un tema che continua a essere oggetto di considerazioni, proposte e attività in vista di una proposta risolutiva, almeno per quello che riguarda il tema dell'autonomia e, quindi, dell'applicazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione che noi continuiamo sempre a precisare nel rispetto del dettato dell'articolo 119 del Titolo quinto riformato. Ora, la SVIMEZ ha lasciato una memoria che, sostanzialmente, risale alla partecipazione ai lavori della Commissione presieduta dal professor Caravita che ora non c'è più, e che aveva, appunto, il compito di collaborare con la Ministra per la eventuale ipotesi di proposta per un ritorno alla riflessione sul tema dell'autonomia in un'ottica operativa di proposta di legge. Quella relazione finale di quella Commissione esiste, però noi non abbiamo, poi, più avuto occasione di parlarne e discuterne perché non mi sembra che stia circolando. Oggi si parla di un altro disegno di legge o di un disegno di legge che farà riferimento anche a quello da parte della Ministra Gelmini. Quindi vorrei semplicemente fare un brevissimo excursus.Il tema dell'autonomia rafforzata emerge in un modo molto preciso nel 2017, in occasione delle cosiddette pre-intese che il Governo Gentiloni aveva siglato con le regioni Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia. Poi sappiamo, nel 2018, il primo Governo «giallo-verde», come viene definito, pone nel suo contratto, e questa è una novità importante, come obiettivo, per così dire, prioritario l'avvio del cosiddetto regionalismo a geometria variabile. Sappiamo, poi, le vicende di quel Governo e nel 2018, con il nuovo Governo, chiamiamolo «giallo-rosso», il tema dell'autonomia riparte con una ipotesi di legge quadro dell'allora Ministro per le autonomie regionali che intendeva intervenire sui precedenti dibattiti e anche sul confronto abbastanza acceso che vi era stato nel precedente Governo «giallo-verde» sul tema, creando una legge quadro che in, qualche modo, desse al Parlamento un ruolo che fino a quel momento era rimasto molto defilato. È caduto anche quel Governo, e oggi il tema della legge quadro sembra riproporsi, appunto, con l'annuncio che la Ministra per le autonomie regionali dà dell'imminenza di questo accordo. Probabilmente, in questa nuova legge quadro, i risultati anche di quella Commissione Caravita, alla quale la SVIMEZ fu chiamata a dare un contributo di parere, saranno ripresi. Ora qual è la nostra visione sul tema? La nostra visione è che, in questo momento, è molto importante coordinare le posizioni e le proposte in tema di federalismo fiscale e attuazione dell'articolo 116, in conformità all'articolo 119, alla novità, assolutamente importante, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, perché quel piano, a nostro avviso, è un piano di intervento straordinario nell'economia italiana e nella società italiana che, diversamente dal passato, rappresenta un intervento straordinario su tutto il Paese e non sul Mezzogiorno. Laddove, però, nelle condizionalità che l'Europa pone a quella condivisione del debito pubblico europeo – che assegna all'Italia 209 miliardi e passa e tutte le altre cose connesse – l'Europa ci chiede esplicitamente la riduzione delle disuguaglianze e un'attenzione alla coesione sociale che, diciamo, evidentemente l'Europa vede molto a rischio, e credo anche noi vediamo molto a rischio. Quindi, evidenzioPag. 5 questo tema del coordinamento con l'intervento straordinario, che riprende una fase storica degli anni Cinquanta in modo assolutamente diverso, rivolto non a una parte del Paese ma al Paese. E, quindi, oggetto del salvataggio, tra virgolette, è l'Italia non il Mezzogiorno, con il suo problema storico che fu l'oggetto del primo intervento straordinario. Quindi questo è un accento importante per capire anche la natura del PNRR e per valutarne metodi, obiettivi e strategie. Nella memoria che lasciamo agli atti, c'è una dettagliata identificazione dei vari problemi che condizionano questa procedura verso le autonomie rafforzate e delle condizioni di operabilità che, almeno a livello costituzionale, consentiranno di procedere. A nostro avviso, appunto, il tema dell'autonomia rafforzata non ci trova assolutamente contrari. Quello che noi riteniamo è che occorre guardare allo stato dei fatti e, quindi, trattare quel tema in coerenza e in aderenza alla Costituzione che prevede forme che vengono, poi, contrattate bilateralmente tra regioni e Stato – e riteniamo corretto che il Parlamento abbia una qualche forma di coinvolgimento generale nel regolare questa relazione bilaterale – e soprattutto, come dice l'articolo 116, in coerenza alla riforma del Titolo V. Vista la lontananza nel tempo, sono 20 anni che quella riforma è stata attuata, occorre ricordare: che proprio la legge cosiddetta Calderoli n. 42 del 2009 esplicitò il modello di attuazione di quel famoso articolo 119, che è richiamato nell'articolo 116. Quindi, dal nostro punto di vista per andare avanti e per definire, occorre essere coerenti con questo percorso. Ovviamente, un percorso complesso, che oggi è ancor più complesso e, per certi versi, più facile, nella misura in cui ragioniamo coerentemente sul PNRR. Qual è l'obiettivo del PNRR? Quali sono le condizionalità che l'Europa pone per l'uso efficace di quelle risorse? Poi, come fare a renderlo efficace è una responsabilità nostra, difficilmente eludibile. E su questo poi dirò qualcosa – le istruzioni per l'uso del PNRR attengono a noi e me sembra che ci stiamo complicando enormemente il problema o per ideologia o per fuga dalle responsabilità del Governo – magari alla fine lo accennerò, lì è scritto. I cosiddetti bandi competitivi sono o illegittimi o inutili o dannosi e questa, purtroppo, è la scelta che sembra che sia stata fatta per una buona quota delle risorse del PNRR, proprio quelle risorse che sono le più delicate per valutare gli spazi per l'autonomia rafforzata, cioè i diritti di cittadinanza, scuola, salute e mobilità locale. Andare a fare bandi competitivi sui diritti di cittadinanza, a mio avviso, è un errore madornale che complicherà la vita e che ci espone anche a tutti i ricorsi possibili, perché è una contraddizione in termini mettere in competizione i diritti di cittadinanza garantiti dalla Costituzione. Oggi stiamo andando avanti così, sugli asili, le premialità. Questo, a mio avviso, è una fuga dalle responsabilità del Governo. Allora, il problema della autonomia è, molto banalmente, un problema di applicare coerentemente il modello di federalismo che è implicito nella riforma del Titolo V che è, poi, esplicitato nella legge n. 42. La legge n. 42 ci ha visto partecipi, a suo tempo, con tutti i nostri distinguo, perché noi la Commissione del federalismo la costituimmo in SVIMEZ proprio nel 2001 per affrontare il tema, e capimmo subito che il tema era di grandissimo rilievo e arrivammo alla «legge Calderoli», anche proponendo correttivi che trovarono spazi. Noi riteniamo che quella legge è un'equilibrata interpretazione di un modello di federalismo che non è solidarietà. La solidarietà, secondo noi, è un concetto che non deve entrare nel discorso del federalismo, casomai c'è il problema dell'equità e, da questo punto di vista, la legge n. 42 ha lo spirito, a nostro avviso, di un modello federale il più liberale possibile, il modello di Buchanan, che è accademicamente uno dei punti di riferimento. Il modello di Buchanan è molto semplice: un cittadino italiano, in questo caso, deve essere indifferente a dove risiedere una volta che lui sa che il suo reddito, dovunque sia, viene tassato nello stesso modo, che sia in Calabria o che sia in Lombardia. In secondo luogo, i servizi che in base alla mia capacità, come dire, fiscale contribuisco a finanziare da parte dello Stato – Pag. 6alcuni quindi sono i servizi di cittadinanza nazionale – sono gli stessi sia che io stia in Lombardia o in Calabria o in Sicilia o in Piemonte. Questo, a nostro avviso, è il faro di riferimento per una autonomia costituzionalmente seria, responsabile e utile. Il tema della utilità viene sollevato dall'Ufficio parlamentare del bilancio che dice: «Voi chiedete tutte le funzioni, ma c'è una dimostrazione che ognuna di queste è, come dire, espletata meglio in autonomia?». Tutto questo è un tema su cui noi, adesso, non vogliamo entrare, ma chiaramente è un tema da porre, e qui il Parlamento dovrebbe avere una voce in capitolo, perché la semplice contrattazione tra un governo e una regione, che poi non può essere cambiata, una volta che faccio le intese sinceramente è un po' estrema come visione. Comunque, a parte il tema se affidare il governo degli aeroporti alle regioni come funzione, temo che sia qualcosa di non proprio efficiente ed efficace, a livello nazionale. Il problema fondamentale è che ci sia questo concetto di federalismo che si invera con l'autonomia meglio che senza autonomia, dove il concetto è quello, un cittadino deve essere indifferente a dove sta. Questo anche per chiarire un aspetto, l'aspetto dei cosiddetti residui fiscali, che per lungo è stato il meccanismo con il quale una parte del Paese... io me lo ricordo, tanti anni fa, proprio in Senato ci fu un convegno a cui partecipai, e sentii l'allora assessore all'Economia della Lombardia che apriva il discorso dicendo: «Noi siamo oggetto di un'ingiustizia fiscale, perché diamo di più di quello che noi riceviamo». Io gli dissi: «Guardi che questa non è nessuna ingiustizia fiscale, questa è l'applicazione del concetto di federalismo fiscale. Tu sei tassato sulla base di una legge progressiva e hai diritto ai servizi che lo Stato può dare con il ricavato di tutte quelle cose, esattamente come un soggetto che è tassato con la stessa legge ma ha un reddito inferiore ha diritto. Questa è la Costituzione, non è né giustizia, né ingiustizia. È una regola, la vogliamo cambiare? Cambiamola, ma prima cambia la regola e poi parla di giustizia e ingiustizia, se la regola è applicata bene o male». Qui c'è questo grosso equivoco, e ho visto che ultimamente, lo stesso presidente Bonaccini – se non sbaglio in un'intervista – ha detto di non parlare più dei residui fiscali, perché abbiamo dimostrato, anche come SVIMEZ, che quei residui fiscali non esistono, perché loro sono titolari del debito pubblico, ricevono gli interessi del debito pubblico e se uno conta gli interessi come entrata e tasse non pagate – perché di questo si parla – è un rimborso delle tasse – quel residuo scompare. Quindi stiamo attenti anche a trattare bene i concetti tecnici di questa cosa. Oggi sarebbe molto più complicato con il ruolo che ha avuto la Banca centrale europea e gli interessi negativi. Insomma, i temi sono estremamente complicati e, infatti, il problema del residuo come ingiustizia sembra sia scomparso: questo è già un grande risultato, e c'è una discussione più seria. Sul tema dell'autonomia siamo rimasti convinti favorevolmente dalle dichiarazioni della Ministra per il Sud e la coesione territoriale fatta in Parlamento, credo in risposta ad una interrogazione, dove lei ha detto con molta chiarezza che sulle condizioni per l'autonomia non vi è nulla in contrario, purché siano rispettati i principi: su questo siamo allineati col Governo. Non sappiamo il tenore del progetto di legge quadro a cui sta lavorando la Ministra Gelmini, ma speriamo che sia coerente al modello di federalismo che la «legge Calderoli» incarna. Qui veniamo al punto: noi critichiamo questa fuga in avanti di tre regioni che fanno di tutto per dimenticarsi dell'ultimo pezzo dell'articolo 116, cioè della coerenza con l'articolo 119. Detto in altre parole, della abrogazione della spesa storica e della sperequazione crescente che c'è nell'uso delle risorse pubbliche tra i territori, esattamente al contrario del dettato costituzionale. Detto in modo secco, noi siamo fuori dalla Costituzione e dalla legge, quindi non si può parlare di 116, comma terzo, senza dire qual è il percorso di rientro al rispetto della Costituzione e della legge di attuazione della Costituzione, la n. 42. Questo per noi è il prerequisito per discutere di autonomia. Le due cose non possono essere separate, a meno che non vogliamo aderire Pag. 7al fatto molto comodo che, senza riforme costituzionali, stiamo trasformando la revisione del Titolo quinto – che mai parla di federalismo ma che viene interpretata col modello del federalismo nella legge n. 42 – in una silente trasformazione del «sistema Italia» in un sistema confederale che è quello vigente attualmente, quindi fuori dalla legge e dalla Costituzione, per essere espliciti. Rileviamo che ormai è certificata la cosiddetta sperequazione tra i conti pubblici territoriali, che sono fonte autentica di statistiche e che vanno all'Unione europea, quindi non sono conti di parte, sono una fonte ufficiale che certifica che pro capite, in tutte le cose, c'è una sperequazione. Ciò è contrario esattamente alla legge n. 42 sui diritti di cittadinanza, poi in altre cose ci può essere sperequazione massima, però c'è, come dire, una trincea entro la quale tutti i cittadini devono sostanzialmente accedere agli stessi servizi, dovunque essi siano, nella misura in cui sono responsabili di pagare le stesse imposte dovunque essi siano, in base al reddito e in base a un regime progressivo che anche quello è costituzionalmente garantito. Questo è il discorso fondamentale, e quindi andare avanti nella accelerazione sull'autonomia senza voler guardare al tema della perequazione che l'Europa, nel darci 209 miliardi, mette in primo piano dicendo: «State attenti. Voi siete fuori dalla vostra Costituzione, dalle vostre leggi, ma soprattutto state attenti, vi state spaccando», vuol dire che nei fatti l'Italia è un Paese spaccato. Che poi socialmente sia ancora capace di stare assieme è un discorso a termine, ma è un rischio effettivo. È un Paese spaccato, e la missione della SVIMEZ non è guardare al Mezzogiorno, la SVIMEZ non nasce per il Mezzogiorno, nasce per l'unità economica della Nazione. Nel 1946 il primo Presidente della SVIMEZ è il capo dei partigiani del Nord, che si raccorda a grandi manager, tipo Menichella dell'IRI, per fare un discorso di unificazione nazionale perché, senza quello, l'Italia era spacciata. Quindi oggi è il momento di ricordarsi di quella cosa, a mio avviso, perché noi, in questo momento, uniti abbiamo un incredibile potere contrattuale in Europa. Spaccati verremo commissariati come la Grecia. Questo è il messaggio subliminale che, a mio avviso, emerge. Sulla perequazione, io non entro nel merito delle singole cose che, se avete la bontà di leggere, sono abbastanza dettagliatamente sollevate nelle due note, una sul 40 per cento: i rischi ci sono e anche lì non entro nel merito. Non è una critica al Governo, è un fatto oggettivo, tanto più che se usiamo i criteri competitivi che in modo assurdo, a mio avviso, per tirare fuori delle proprie responsabilità, si stanno imponendo su temi che riguardano i diritti di cittadinanza – lì non ci può essere competizione, lì ci poteva essere solo responsabilità e controllo di efficienza. Il problema della perequazione è ben noto, è il problema del passaggio da un criterio della spesa storica a un criterio, che la legge n. 42 definisce molto chiaramente, di livelli essenziali delle prestazioni limitatamente ad alcuni diritti basilari: salute, istruzione e mobilità locale, mobilità in generale ma soprattutto locale. Chiaramente, i diritti fondamentali, in qualche modo, gestiti anche territorialmente in modo più autonomo, devono essere garantiti con standard uguali dappertutto. E qui vengo a un problema che, in parte, la Ministra Carfagna ha detto di affrontare con riferimento ai LEP per gli asili nido, per l'assistenza, che sono un micro pezzo del problema. Il problema vero sono la salute, l'istruzione e la mobilità, ben altro che l'asilo-nido, che però è fondamentale perché noi siamo in crollo demografico. Basta leggere cosa prevedono le prospettive della Banca d'Italia e dell'Istat per l'Italia nel 2070, quindi sono temi delicatissimi che vanno affrontati. Perché si continua con la spesa storica? Lo sapete meglio di me, si continua perché non c'è volontà, capacità. Io ho partecipato alla alta Commissione per il federalismo fiscale che si deve preoccupare anche dei LEP, ed è una selva complicatissima. Allora, io penso che in situazioni di stress e di emergenza come queste l'Europa ci salva, perché sia chiaro, il PNRR non è filantropia; è un interesse dell'Europa salvare l'Italia, perché così salva l'Europa. L'Italia non è la Grecia, che pur merita attenzione perché è la madre di tutta la parte della Pag. 8civiltà occidentale. L'Italia è costituita da 60 milioni di persone, è la seconda manifattura d'Europa, che non ha bisogno di altro che di essere mantenuta sana e robusta perché l'Italia è integrata con la Germania e, se saltano i conti pubblici italiani, salta qualcosa di più di un partecipante, di un fondatore. Quindi c'è un'enorme attenzione a questo discorso e allora vogliamo affrontarlo questo tema della perequazione che è diventato un drammatico tema? Noi da anni, dal 2010 almeno, non parliamo del rapporto Nord e Sud. Il nostro rapporto è Nord, Sud, Europa. E cosa emerge da tutto questo? Che il vero problema è il Nord, nel senso che il Nord – che è il meglio della manifattura europea – non regge i ritmi con conseguente bassa produttività, bassi salari, disoccupazione strutturale, mezzo Paese chiuso nelle regole della cosiddetta coesione, che per noi è una iattura; non è vero che è coesione, è il contrario, e questo è legato al tema del governi regionali. Quindi sono cose enormi che dovremmo affrontare e non le affrontiamo con l'autonomia. L'autonomia è un modo per distaccarsi dal problema, illudersi che io risolvo il mio problema e per gli altri sono fatti loro. Questo è un rischio grosso, perché non si è ancora capito che il problema del Nord è il crollo del Sud, e il crollo del Sud è il problema del Nord, se io distruggo il mio mercato interno per estrarre risorse... Boccia in una audizione – non mi ricordo se era in Commissione Finanze – finalmente prendendo atto dei nostri dati, disse che ogni anno mancano 60 miliardi a un'ipotetica perequazione. Alla lunga, questo ammazza mezzo Paese e siccome quello è il mercato fondamentale dell'altro mezzo Paese, quest'ultimo può esportare quello che vuole, ma alla fine fa i conti con questo che gli sta crollando. Allora, bisogna capire che non è un tema di confronto ma un tema di trovare quello che fu trovato negli anni Cinquanta e Sessanta, che portò al miracolo economico, e oggi il PNRR, in qualche modo, ti apre uno spazio enorme per ragionare in questi termini. Prima di tutto, ti apre uno spazio per dire: «Sì, mettiamo le carte sul tavolo e facciamo un progetto di perequazione, perché questo rafforza il mercato». È chiaro che ognuno ha degli interessi contrapposti che vanno controllati e qui ci vuole uno Stato capace di fare queste cose, perché ogni regione, da sola, non lo farà mai. Andiamo verso il confederalismo, dove ognuno garantisce i diritti ai propri cittadini, e allora la «triplice del nord» è già una confederazione, che si illude che è bravissima e che è il meglio della amministrazione dei territori. Io penso all'Emilia-Romagna, in particolare, e il Veneto. Insomma, sono dinamiche virtuose che uno Stato, anche forte, deve trasferire altrove. La Germania così ha fatto – la Germania dell'ovest con quella dell'est –, poi ci può piacere o non ci può piacere, ma in Italia c'è un tema di coesione nazionale importantissimo, in questa fase. Venendo nello specifico al tema dei LEP, la mancanza dei LEP è l'alibi per continuare con la spesa storica, questo credo sia chiaro a tutti, basta leggere anche i verbali delle Commissioni sul federalismo fiscale per capire che questo è un alibi. La «legge Calderoli» lo dice molto chiaramente: ci vuole il fondo perequativo. Ma è stato adesso con la NADEF che si mette dentro l'autonomia, come ripresa, diciamo, di un tema politico importante. Nella legge di bilancio, per la prima volta, c'è un accenno al fondo perequativo: 4 miliardi in dieci anni, legato all'articolo 22 della «legge Calderoli» che è la perequazione infrastrutturale. Quindi i segnali ci sono. Allora occorre chiarire: i LEP sono un concetto metafisico inesistente, inattuabile. Qual è il livello delle prestazioni essenziali? Può essere 10, può essere 100. Il concetto di essenziale è un concetto tutto qualitativo e legato a che cosa? Alle risorse che ho, tant'è vero che poi, nei fatti, alla sanità viene dato il fondo, poi quel fondo viene ripartito, eccetera, eccetera. Quindi la spesa storica poi determina le sperequazioni. Allora, oggi il concetto dei LEP va surrogato da un concetto molto semplice, il concetto di una tendenziale parificazione delle risorse pro capite destinate ai servizi legati ai diritti fondamentali di cittadinanza, il che vuol dire che se c'è il Nord che ha pro capite di più del Sud dobbiamo togliere o no? No, dobbiamo semplicemente dire, anche grazie al Pag. 9PNRR, grazie all'impatto infrastrutturale che questo può avere, che tutto quello che è in più, che si può allocare, ospedali, scuole e così via, in gran parte sarà destinato ad aumentare la dotazione e quindi il pro capite dei soggetti che hanno di meno, fermo restando che non possiamo togliere, a chi ha di più quei diritti che in modo efficiente sta governando. Quindi è una cosa molto pratica, da gentlemen agreement, in una fase di transizione in cui abbiamo un'enorme quantità di risorse che non sappiamo neanche come spendere e come spendere bene. E qui lo Stato ha un compito fondamentale, e le regioni dovrebbero avere un compito costruttivo fondamentale di interazione e di sussidiarietà anche tra di loro, per affrontare questo che è il problema di fondo di coesione sociale, e quindi, anche di recupero di una prospettiva di sviluppo. Dopodiché, noi diciamo che oggi quello che manca al PNRR è l'anima, essendo un piano di 2.000 progetti chiamati dal Governo e che il Governo sta mettendo assieme e bandendo. Ora, è chiaro che le grandi reti infrastrutturali saranno affidate a FS, a ENEL, a ENI e lì possiamo stare tranquilli. Per il resto vi è un rischio molto forte, quello cioè di curare il tema dei fabbisogni essenziali in modo cosiddetto competitivo. Faccio l'esempio del Ministero dell'istruzione che alloca le risorse tra le regioni in modo molto oculato sulla base di parametri, quindi sulla base della conoscenza dei fabbisogni dei singoli comuni e, poi, mette a bando queste risorse. Io dico, veramente volete complicarvi la vita e nascondervi dietro un dito? Voi sapete di cosa ha bisogno il comune di Casavatore, quindi voi dovete dire al comune di Casavatore: «Io ti alloco queste risorse per fare questa cosa, la scuola». La risposta è: «Ma questi sono incapaci oppure fanno dei progetti che non sono accettabili». Anche qui, detto in soldoni, questo è nascondersi dietro un dito. Quell'intervento straordinario degli anni Cinquanta fu fatto da 300 ingegneri che dovevano capire qual era il problema, ed è quello che oggi i Ministeri dovrebbero sapere, capire qual è il problema – ospedali, scuole, area dei diritti di cittadinanza che sono fondamentali per il discorso dell'autonomia – e quindi essere capaci di allocare le risorse in base ai bisogni: che sia il 40, il 60, il 20, a me sinceramente non importa. Il problema è il concetto. Io offro servizi, che sono diritti di cittadinanza, evidentemente cercando di aumentare molto l'ingresso ai diritti di quelle popolazioni che non hanno quei diritti, ed è così, e quindi dando le risorse. Poi dicono: «Sì, ma non c'è la progettualità di quei territori». Verissimo, però abbiamo messo in Costituzione due articoli, il 118 e il 120, che sono quello della sussidiarietà orizzontale e della sussidiarietà verticale. Sono concetti europei, dell'Unione europea, che noi abbiamo recepito nel modello di federalismo. Ora, la sussidiarietà che cos'è? Che certe cose vengono soddisfatte da chi è più vicino alla cittadinanza, e quando questa cosa non c'è – faccio l'esempio delle fondazioni bancarie che nel sud non ci sono e che nel nord hanno un enorme ruolo in termini di sussidiarietà – interviene lo Stato, perché lui è il responsabile di quei diritti. Ed è quella la sussidiarietà verticale, l'articolo 120, che non è sostituzione e punizione, è il contrario. Deve essere formazione, responsabilizzazione e affiancamento delle autorità locali, perché noi i diritti non li diamo alle autorità, ma diciamo che l'istituzione calabrese non è in grado di farlo, ma il cittadino calabrese ha diritto, come il lombardo, ad avere la scuola, la sanità e la mobilità. Quindi, in questo momento noi abbiamo una enorme opportunità di fare questa perequazione, purché tutti siano responsabili nelle loro funzioni, nella misura in cui sappiamo. Dobbiamo essere in grado di offrire, come faceva la Cassa per il Mezzogiorno, la strada, la scuola, l'ospedale e oggi, anche se questo strumento (la Cassa) non c'è più, abbiamo una quantità molto rilevante di capacità tecniche nelle università, nei politecnici, negli enti di ricerca che hanno, per Statuto, la cosiddetta Terza missione. La Terza missione è la cura del territorio, quindi non nascondiamoci dietro l'alibi che l'amministrazione del Sud è molto mal ridotta e non c'è stato il ricambio. Abbiamo gli strumenti per fare un intervento che è, nello Statuto, un doverePag. 10 di quelle Istituzioni che esistono e che sono il surrogato moderno della Cassa su tutto il territorio, che sia nella zona interna della Lombardia, o che sia nella zona urbana di Napoli, tanto per capirci. Quindi il problema, a mio avviso, è un problema di atteggiamento, di prospettiva, di strategia sapendo qual è il tema fondamentale. Noi dobbiamo ricostruire una coesione sociale per un'alleanza sullo sviluppo. Non pensiamo che la ripresa con l'autonomia porti la Lombardia, il Veneto e l'Emilia a invertire le tendenze. Se andiamo a vedere i numeri, la Lombardia, il Veneto e l'Emilia sono le regioni che hanno – rispetto a quelle del Sud – perso più in graduatoria all'interno delle regioni europee, anche se sono ancora al di sopra del reddito medio europeo. Quindi, se vogliamo invertire queste tendenze, dobbiamo ricostruire un sistema che sia veramente adeguato. Un'ultima cosa riguarda questa prospettiva che noi definiamo la prospettiva euromediterranea, che è qualcosa di diverso da quello che dice la Bocconi, che sostiene che o si investe tutto su Milano, anche a costo di lasciare indietro Napoli, oppure l'Italia va a ramengo: articolo sul «Foglio» del 2019 del rettore della Bocconi. Noi diciamo che questo è il suicidio del Paese Italia, se non capiamo che il Mediterraneo è la prospettiva del futuro per l'Europa e noi, unico grande Paese mediterraneo, siamo il pivot di questa prospettiva e nel Sud, a quel punto, diventa fondamentale la Sicilia, il centro del Mediterraneo. Il ponte è importante, bonificare il porto di Augusta è fondamentale. Se vogliamo possiamo contare tutti i porti del Mezzogiorno per arrivare fino a Genova e Trieste; e qui possiamo entrare in discorsi tecnici interni al PNRR, che è assolutamente sordo da questo punto di vista. Se non capiamo questo, lo sviluppo necessario per equilibrare i diritti e per ricostruire una coesione sociale ce lo sogniamo. Dobbiamo tornare ad avere tassi di sviluppo dopo vent'anni di stagnazione assoluta e anche di decrescita, dobbiamo riprendere a crescere, e questo è possibile – a nostro avviso – interpretando in modo sinergico quelle che, fino adesso, sono delle contraddizioni che ci hanno bloccato.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Passiamo ora agli interventi dei colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni. È iscritto a parlare il senatore Perosino. Prego, ne ha facoltà.

  MARCO PEROSINO. Grazie, Presidente. Farò delle osservazioni costruttive seppure, magari, non perfettamente allineate su quanto Lei ha detto, ma dandoci degli spunti molto interessanti e molto concreti. Credo che uno dei drammi del Sud, del divario, sia il fatto di non avere sempre capito, o praticato, la differenza, fra spesa corrente e spesa in conto capitale. Allora, la mentalità è stata: dobbiamo pagare degli stipendi, dobbiamo mantenere una simile occupazione in tutti gli enti, soprattutto quelli pubblici foraggiati dallo Stato. Tanta spesa corrente e la spesa in conto capitale è stata decisamente inferiore, non sufficiente a garantire le infrastrutture, non comprendendo che, secondo me, ma è secondo scuole economiche, il conto capitale, l'investimento è quello che porta al progresso perché crea manutenzione, uso, entrate e crea delle prospettive. Poi Lei ha accennato alla questione che le norme devono essere indifferenti rispetto al cittadino, cioè la tassazione uguale da Nord a Sud per semplificare, ma c'è anche da tenere presente che comunque, per una serie di fatti e di fattori, il costo della vita è diverso tra Nord e Sud e, quindi, chi guadagna mille euro al Sud può vivere anche dignitosamente, chi guadagna mille euro a Milano fa la fame. Poi c'è un altro concetto, che Lei ha accennato, che è sotteso e che, comunque, mi sia permesso dire, in maniera così costruttiva: ci sono delle concezioni, ma soprattutto delle applicazioni delle leggi che sono diverse e richiedono una cultura civica che nelle zone interne del Mezzogiorno c'è, nelle zone di città o della costa, a mio avviso, un po' meno. Lei poi ha detto dell'Europa: «Si è forti in Europa se si è uniti, disuniti si è commissariati». Mi preoccupa, perché allora a questo punto penso che il commissario ce l'abbiamo già, ma è italiano. La politica deve prendersi il suo spazio, ed essere forti in Europa richiederebbe un altro approccio. Soprattutto in momenti Pag. 11come questo in cui i problemi sono molto più seri e dove da parte di qualcuno tipo Borrell, Commissario ai rapporti internazionali, si dichiara: «Dobbiamo fornire solo armi e decido io quali dare». Noi abbiamo votato, chi ha votato, di dare le armi senza sapere quali. L'Europa legifera sui salumi che fanno male, sui vini che fanno male, adesso vorrebbe legiferare sulle Igp, su tutte quelle normative che hanno aiutato l'Italia. Quindi, c'è qualcosa che non quadra. Chiudo dicendo una battuta: un fondo perequativo, secondo me, in senso lato è il reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza è un fondo perequativo, perché è percepito di più in certe regioni, vuoi per il reddito, vuoi per tanti motivi. Il PNRR ha un grosso vantaggio, cui Lei ha accennato, non c'è cofinanziamento che era il dramma dei fondi strutturali che dovevano essere cofinanziati in percentuali diverse – il 20 per cento mediamente – e per il sud era un problema, ma lo era anche per il nord. Poi ha detto, se ho capito bene, che al PNRR manca l'anima; e questo è certo, perché io penso che non debba essere l'assalto alla diligenza dove io devo fare comunque qualcosa. Quando faccio qualcosa poi devo pensare che lo devo manutenere, mi deve servire, deve in parte finanziarsi e deve corrispondere a delle reali esigenze, perché sennò faccio degli sprechi e delle cattedrali nel deserto. Ma l'anima è quella di realizzare quelle opere che non abbiamo mai potuto realizzare, che sono intercomunali, interprovinciali, che risolvono i grandi nodi strutturali; e bisogna su questo insistere tutti insieme – Parlamento e Governo – e le forze politiche devono essere d'accordo. Ecco, diamo un'anima e facciamo le scelte che sono veramente di progresso. Se però per il ponte di Messina che era già progettato, successivamente si è bloccato – perché alcune forze politiche avevano convinto l'opinione pubblica che non doveva essere fatto, quando invece lo volevano già fare i greci e i fenici – e adesso lo rifinanziamo con 50 milioni per cambiare quel progetto a campata unica che era stato fatto dai governi Berlusconi sostituendolo con un progetto a tre campate, secondo me è un modo per dire: «Non lo facciamo, è dannoso». Meriterebbe la gogna chi predica queste cose perché è di tutta evidenza che il ponte sarebbe lo sviluppo della Sicilia e anche delle zone che collegherebbe dopo, Calabria, Campania, eccetera. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei. Ricordo a tutti che sono tenuto a interrompere i lavori alle 9.30, perché iniziano i lavori dell'Aula della Camera. Prego, senatrice Ferrero.

  ROBERTA FERRERO. Ringrazio per la relazione. Ho ascoltato davvero con interesse quello che c'è stato riportato, ma diciamo che io non vedrei così la spaccatura Nord-Sud, sicuramente non dei cittadini. Sono le responsabilità della politica, e quello che si vuole con il federalismo, è una responsabilità. Una responsabilità delle regioni nel soddisfare le esigenze dei cittadini, quindi la spaccatura io la vedrei in questo, proprio nelle responsabilità della politica. Mi associo a quello che è stato appena detto dal collega Perosino. È vero, abbiamo anche situazioni diverse per quanto riguarda i salari, per quanto riguarda la spesa, cioè le capacità di spesa sui territori, abbiamo anche conformazioni diverse. Noi sappiamo benissimo, l'Italia è varia, le regioni italiane sono molto varie, io che abito in Piemonte non posso pretendere di avere il mare, tanto per semplificare. Quindi, voglio dire, porti piuttosto che infrastrutture, ci sono esigenze completamente diverse da regione a regione ed è in questo che si vorrebbe attuare un federalismo, proprio per responsabilizzare la politica delle varie regioni, così la vedo io. Però, al di là di questo, al di là dei discorsi teorici, io che sono un imprenditore del Piemonte vedo le cose un po' più nella concretezza e, quindi, mi chiedo: le risorse del PNRR sono state attribuite in larga parte, comunque, al Sud, una buona parte al sud. Io vorrei capire, secondo voi, secondo il vostro ente, se realmente queste risorse riusciranno a essere allocate, cioè se riusciranno a partire i progetti, se queste risorse verranno realmente utilizzate, perché io leggo già qua, nella vostra relazione, che si mettono un po' le mani avanti nel senso che, per Pag. 12quanto riguarda gli asili nido, che è uno dei temi molto discussi, il 50 per cento delle risorse sembra che sia possibile allocarlo, ma poi, alla fine, c'è un'insufficiente capacità progettuale, come già accennava prima. Mi piacerebbe un attimino avere qualche parola in più su questo argomento, quindi asili nido, e poi si parla di inefficienze delle capacità progettuali per poi finire con una frase un po' sibillina: «Un rischio che va scongiurato, sarebbe davvero paradossale sacrificare l'equità in nome dell'efficienza per rispettare i tempi di attuazione di un piano». Però non abbiamo molte scelte, perché il piano è così, l'Europa ce l'ha accordato così, quindi i tempi sono quelli, dobbiamo stare lì dentro e dobbiamo arrivare alla realizzazione delle opere in quei tempi. Quindi mi piacerebbe sentire un po' più di concretezza. Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, senatore Presutto.

  VINCENZO PRESUTTO. Buongiorno Presidente, buongiorno professore Giannola. La ringrazio per la sua relazione, con la quale ha illustrato in maniera dettagliata e articolata il concetto di autonomia, anche le stesse finalità del PNRR. Ho molto apprezzato l'idea dell'assenza dell'anima, quindi effettivamente è l'elemento, probabilmente, portante, che va oltre la coesione e la solidarietà rispetto all'attuazione di questi due provvedimenti, uno a carattere costituzionale, come quello delle autonomie, e l'altro, invece, per recuperare trent'anni di mala politica che ha visto l'Italia arretrata nella sua interezza, con le spaccature territoriali. Italia che oggi, di fronte a due tragedie come la pandemia e la guerra in Russia-Ucraina con tutti i risvolti geopolitici, vede impegnati noi attualmente a rincorrere, appunto, trent'anni di cattiva politica, con tutta una serie di problematiche. Allora, io vorrei sottolineare questo, al di là del fatto che, ripeto, condivido tutto quello che Lei ha detto, anche nelle virgole. Allora, l'assenza dello Stato. Io ritengo che l'elemento che più di ogni altro è venuto meno negli ultimi tempi, proprio negli ultimi vent'anni rispetto alle autonomie, è proprio lo Stato, perché effettivamente su questo tema, che va a rivedere la riorganizzazione del Paese, eliminare appunto queste discrepanze che, spesso e volentieri, vengono subite anche per scelte sbagliate a livello centrale e nazionale, ecco credo che la necessità delle autonomie debba essere più sentita dallo Stato che dalle regioni. E quindi non bisogna farla diventare una spinta territoriale piuttosto che una esigenza a carattere nazionale, anche perché effettivamente dobbiamo finalmente eliminare queste divisioni, che già a livello territoriale nazionale ci creano problemi, a livello europeo, in previsione di quello che accadrà nei prossimi anni, ancora peggio. Quindi, non potremo mai parlare di un'Unione europea compatta nel momento in cui abbiamo divisioni micidiali tra Nord e Sud, spesso e volentieri indotte anche da scelte sbagliate. La domanda è questa, professore: di fronte a una eventuale futura, anzi, sicura legge quadro, secondo lei quali sono i passi più importanti che lo Stato italiano deve fare, al di là di quelle che possono essere le richieste legittime delle regioni? Io credo che sia lo Stato il vero regista di questa operazione. E quali sono, proprio da un punto di vista operativo-esecutivo, i passi che lo Stato italiano deve fare rispetto alla legge quadro e rispetto all'attuazione di un federalismo che risponde a questi criteri di unità nazionale, che mai come in questo momento sono salvifici per il nostro Paese e, probabilmente, anche per l'Unione europea? Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei. Sono così terminati gli interventi, do quindi la parola al professor Giannola per la replica. Prego.

  ADRIANO GIANNOLA, Presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno – SVIMEZ. Più che una replica farei delle precisazioni, anche perché molte delle osservazioni che mi sono state fatte sono concretamente fondate, forse è il modo di leggere quelle cose che può essere oggetto di riflessione e, quindi, anche di correzione. Parto proprio per schemi, il senatore Perosino parla del costo della vita come, oggettivamente, un motivo di Pag. 13differenziazione e io metterei accanto a quel costo della vita l'accesso ai diritti, che è un costo, forse anche più pesante, che viene, come dire, spacciato per compensazione. Sì, è vero, voi pagate di meno gli affitti, le cose, i parcheggi, la illegalità diffusa di un certo tipo e, in compenso, non avete l'ospedale, non avete la medicina di base e così via. No, questo non è, dico, ma nei fatti quello è. Poi il costo della vita non comprende il ruolo, il valore di questi servizi, quindi stiamo attenti perché non è un vantaggio. Io vivo a Napoli, quindi so la differenza tra stare a Milano e stare a Napoli, dal punto di vista dei servizi, delle cose, che è un costo che poi va in quella categoria «Costo della vita». Quindi in questo sono d'accordo su un fatto, che l'efficienza della gestione di quei servizi che devono essere diritti di cittadinanza è largamente più inefficiente al Sud che al Nord e questa è una responsabilità, sono perfettamente d'accordo, che deve essere organizzata e, quando si dice: «Applicazione 116, comma terzo, nel rispetto del 119» si dice: «Responsabilità e diritti». Quindi, quando dico: «abroghiamo la spesa storica e passiamo a un criterio perequativo, graduale», ciò implica anche un criterio di controllo, di efficienza e di sanzioni sull'uso delle risorse perequative. Quindi in questo noi siamo perfettamente allineati e consapevoli, ma anche consapevoli che c'è un meccanismo che, se si mette in moto, è virtuoso. Però dire che questa situazione va bene così perché voi avete il costo della vita, non è la soluzione, cioè è una osservazione giustissima che porta ancor di più a dire: «Quali sono le regole? Applichiamole nei diritti e nei doveri». Questo è perfettamente il costo standard, perché questo poi prevede, tra l'altro, la Costituzione. Sulla spesa corrente e sulla spesa in conto capitale, qui sarebbe un discorso complicatissimo. La spesa in conto capitale nel Mezzogiorno non è che dipende solo dall'incapacità delle regioni di usare i fondi della coesione. I fondi della coesione in conto capitale, anche mettendocene l'80 per cento, non raggiungono il conto capitale che, in teoria, il Mezzogiorno dovrebbe avere, 40 per cento ma da vent'anni. L'ultimo è del Governo Ciampi e poi dopo ci si è scordati. Nel 2017 è stata fatta la legge che porta al 34 per cento, obbligatoriamente, le spese pubbliche in conto capitale che devono essere localizzate nel Mezzogiorno. Quella percentuale non è mai stata raggiunta, siamo al 20 e prima eravamo anche a meno. Quindi diciamo che, nel discorso che facevo prima, Nord e Sud, questa inefficiente simbiosi tra un Nord in declino, perché questo è, e un Sud in fallimento perché questo è, l'idea che se io, invece di dargli il 34, gli do il 28 e questo resto me lo tengo per aiutare la mia economia, l'idea del salvarsi in forme separate è il modo perché tutti e due andiamo a fondo. Questo vorrei chiarire. Non è una rivendicazione, cioè ci sono delle regole costituzionali e legali, cioè la legge n. 42. Dove è il fondo di perequazione? «Eh, ma non abbiamo le risorse». Ecco, oggi siamo messi in grado di fare un discorso, iniziare un discorso di riequilibrio territoriale sano, con i controlli, efficienza e tutto quello che anche la senatrice diceva. Qui, poi, vediamo, la responsabilità delle regioni, cioè l'Italia diversissima. Sono d'accordo, noi non siamo particolarmente regionalisti, ma capiamo perfettamente il ruolo dell'autonomia, che penalizzare l'Emilia-Romagna, la Lombardia o il Veneto in nome di una omogeneità con la Calabria, eccetera, eccetera, non per dare giudizi ma, nella realtà, vedere le cose, sarebbe controproducente a livello nazionale, ma le regole... torniamo alle regole. La Sicilia, che è la regione più autonoma del mondo, perché la Sicilia ha un trattato, addirittura prima della Costituzione ha avuto il suo Statuto regionale. La Sicilia è quasi uno Stato. Siamo d'accordo che occorre renderlo efficiente, ma è chiaro che se poi in tutto un sistema ognuno fa, diciamo, la sua versione, abbiamo 21 piccoli Stati, ognuno dei quali pretende, magari, di governare le sue autostrade, ma è una follia. Ecco, allora se l'autonomia chiede anche quello, e lo chiede, quello per noi è una follia. Cioè, spezzettare la gestione dell'Autostrada del Sole, in funzione del pezzo che sta in Lombardia avrà manutenzioni diverse, è una follia. Ora sul PNRR e le scelte, Lei dice: «Siete Pag. 14astratti». Non è proprio così. Noi riteniamo, come SVIMEZ che il discorso dell'anima è importante, che dare un'anima al PNRR non vuol dire... noi siamo, devo dire, molto di supporto del Ministro per il Sud e la coesione territoriale che in Parlamento ha detto: «Signori, ci sono delle regole. Prima di parlare di autonomia, parliamo di come ci si arriva in modo fisiologico». E noi siamo perfettamente in linea. E ha ribadito il 40 per cento delle risorse vanno al Sud. Il problema però, secondo noi, è che tu puoi dare anche il 50 per cento al Sud, ma se glieli dai senza una visione, senza una strategia, per l'Italia non per il Sud... Il nostro sforzo da dieci anni è di dire: «Guardate che l'Italia va a fondo se non considera il rapporto Nord-Sud in modo che si apra un nuovo motore del Paese». Se noi facciamo il PNRR, come mi sembra che stia emergendo, come una grande manutenzione del sistema Italia, straordinaria, che sicuramente fa bene, ovviamente, tipo industria 5.0, noi non andiamo da nessuna parte. Rimaniamo a galla, questo sì. Quello che dobbiamo fare è che l'Italia diventi da un Paese in via di sottosviluppo, perché questo siamo, con problemi di ritardato sviluppo... guardiamo ai salari, al Nord, non dico quelli del sud, guardiamo la produttività al Nord, non quella del Sud, rispetto alla Germania, alla Francia e vediamo che sta aumentando e noi siamo nelle catene del valore loro, comandano loro, non noi. Noi dove possiamo comandare, tra virgolette, e dire: «Guardate in Europa l'Italia serve ed è fondamentale»? Nella transizione energetica, oggi qui dovremmo discutere e abbiamo enormi spazi che non vedo nel PNRR. Con la transizione ecologica, con la transizione energetica noi siamo in grado di fare una transizione ecologica molto più rapida che l'Europa 2030 e 2050 e quindi di dettare noi delle regole su quella transizione e non vedo quello nel PNRR. E questa come la facciamo? Guardiamo al Mediterraneo, al ruolo nel Mediterraneo dell'Italia. Rispetto a che cosa? Rispetto ai mercati del futuro, che sono l'Africa, il Medio Oriente. Allora, questa visione geopolitica è molto semplice, abbiamo otto zone economiche speciali, non ne è partita una. La Polonia, con quattordici zone economiche speciali, sta superando il reddito pro capite dell'Italia. Il Mezzogiorno, ormai, se l'è lasciato dietro da dieci anni. Voi trovate una idea strategica dell'uso dei porti italiani per costruire una potenza mediterranea, che controlli il Mediterraneo, in nome e per conto nostro e dell'Europa? No. Trovate una politica per i porti strategica? No. Trovate una missione delle zone economiche speciali, delle zone doganali intercluse, che sono fondamentali per dare spazio nel mercato? No. Ma allora io dico, che PNRR è questo? Quindi non è una questione astratta, è una questione concreta. Quello che dovrebbe esserci è un'Autorità sulle zone economiche speciali, che le chiama tutte e dice: «Voi siete il nucleo del nuovo motore per il Mezzogiorno». E sa cosa vuol dire collegare le otto zone economiche speciali? Risolvere il problema delle zone interne e della desertificazione demografica, perché la ferrovia Napoli-Bari passa per il Sannio, per il Beneventano e per le Murge – cioè zone delle due principali regioni del Mezzogiorno – e la Taranto-Potenza passa per Matera. Ora, se non facciamo queste cose e creiamo un corpo organico nel Mezzogiorno, noi possiamo fare quello che vogliamo, ma il Mezzogiorno sarà sempre una disperazione. Lì è la nostra potenza economica in prospettiva: le catene del valore, il reshoring, quando si parla della nuova globalizzazione. Il Mediterraneo è il 30 per cento di tutto questo e noi siamo ospiti nel Mediterraneo, comandano i russi e i turchi. Sul ruolo dello Stato – lo evidenziava il senatore Presutto – è molto semplice, e lo dico con uno slogan. Da vent'anni ad oggi per motivi ideologici lo Stato deve essere un arbitro, non deve intervenire. I risultati sono questi, per cui chi comanda sono, casomai, più le regioni che lo Stato, lo Stato va in Conferenza Stato-regioni, prende la delibera all'unanimità, la porta in Parlamento e il Parlamento approva. Vi sembra che il modello della Costituzione italiana sia di questo genere? Dopodiché oggi, lo Stato, deve fare il regista. Il Piano nazionale si chiama appunto nazionale. Io ho detto qual è la Pag. 15soluzione, è la Terza missione. Il Politecnico di Torino potrebbe fare progetti per tutta l'Italia. La Cassa del Mezzogiorno, con 300 ingegneri, ha trasformato il Mezzogiorno in dieci anni e noi diciamo che abbiamo problemi di progetti, anche se le amministrazioni sono allo sfacelo? Va bene, questa è la sussidiarietà, ricostruire una struttura e abbiamo tutte le competenze per farlo, ma che questo non sia neanche all'orizzonte del PNRR, non so se sia insipienza, detto in modo molto gentile, o ideologia. Credo ci sia molta ideologia sul fatto che lo Stato non debba essere un regista, che debba essere un regolatore del traffico, cioè un arbitro. Ciò, in questa fase, è un errore che può essere pagato molto caro. Grazie di nuovo dell'ospitalità.

  PRESIDENTE. Siamo noi che ringraziamo Lei, Presidente, per la relazione. Dispongo che la documentazione consegnata sia allegata al resoconto stenografico della seduta e dichiaro conclusa l'audizione. Grazie a tutti.

  La seduta termina alle 9.30.

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