XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 47 di Mercoledì 23 marzo 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione della professoressa Livia Salvini, coordinatrice della Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di federalismo fiscale insediata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, sull'assetto della finanza territoriale e sulle linee di sviluppo del federalismo fiscale:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Salvini Livia , coordinatrice della Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di federalismo fiscale insediata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri ... 4 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 8 
Perosino Marco  ... 8 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 
Salvini Livia , coordinatrice della Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di federalismo fiscale insediata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri ... 10 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 10 

ALLEGATO: Relazione consegnata dalla professoressa Livia Salvini ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante il resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della professoressa Livia Salvini, coordinatrice della Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di federalismo fiscale insediata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, sull'assetto della finanza territoriale e sulle linee di sviluppo del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, della professoressa Livia Salvini, coordinatrice della Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di federalismo fiscale insediata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, sull'assetto della finanza territoriale e sulle linee di sviluppo del federalismo fiscale.
  Questa mattina diamo avvio, sulla base delle determinazioni assunte dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, a un nuovo ciclo di audizioni, che, con riferimento al tema di cui sopra, impegnerà l'attività della Commissione per le prossime settimane. Nella prima fase della richiamata attività conoscitiva, dopo l'audizione della professoressa Salvini che si terrà oggi, saranno auditi anche componenti di altre due Commissioni insediate presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero la Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di ordinamento di Roma Capitale, la cui audizione è già convocata per domani, e la Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di autonomia differenziata, la cui audizione è prevista per la prossima settimana.
  Si tratta di audizioni che, unitamente alle altre che sono in programma, forniranno certamente una preziosa occasione per raccogliere elementi di valutazione sui diversi temi che riguardano la finanza territoriale e l'evoluzione del sistema dei rapporti finanziari tra i livelli di governo, nel quadro del processo volto alla piena attuazione del federalismo fiscale, anche in relazione al regionalismo differenziato di cui articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Proprio sulla materia del federalismo fiscale è incentrato l'ambito di competenza della Commissione coordinata dalla professoressa Livia Salvini che potrà quindi offrire sull'argomento il proprio autorevole contributo.
  Ricordo che i componenti della Commissione, in virtù di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento della Camera nella riunione del 4 novembre 2020, possono partecipare alla seduta anche da remoto. Faccio presente da ultimo che l'Assemblea della Camera dei deputati è convocataPag. 4 alle ore 9 per le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2022. Conseguentemente, secondo le intese raggiunte nella riunione dell'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi del 10 marzo scorso, la Commissione è chiamata a concludere i propri lavori entro tale ora. In ragione di ciò e in conformità alla prassi già seguita in precedenti sedute di audizioni, avverto che dopo la relazione introduttiva da parte della professoressa Salvini darò la parola a un oratore per gruppo per poi lasciare spazio alla replica. Nel raccomandare ai colleghi di contenere la durata degli interventi, invito a far pervenire tempestivamente alla Presidenza le richieste di iscrizione a parlare. A questo punto rinnovo il benvenuto alla professoressa Salvini, che ringrazio a nome di tutta la Commissione per aver accettato l'invito, e le cedo la parola. Prego.

  LIVIA SALVINI, coordinatrice della Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di federalismo fiscale insediata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie a voi per questo invito e per l'audizione. La Commissione per il federalismo fiscale, che è stata istituita dalla Ministra Gelmini, ha avuto dalla Ministra l'incarico di occuparsi prioritariamente della questione del finanziamento del regionalismo differenziato, proprio in relazione ai lavori che sono stati svolti contemporaneamente dalla apposita Commissione. È proprio su questo aspetto che la Commissione ha finora focalizzato la sua attenzione e su questo intenderei riferire in questa sede. Ho anche trasmesso il testo più ampio della mia relazione e faccio a questo riferimento dal momento che, come ha fatto presente il presidente, i tempi saranno abbastanza ristretti.
  D'altra parte, affrontare il tema del finanziamento del regionalismo differenziato prima, nell'ordine dei vostri lavori, rispetto all'audizione dell'apposita Commissione ha un senso, perché noi ci siamo occupati di questo tema, a completamento dei lavori della Commissione Caravita, in modo astratto, ovvero prescindendo dall'individuazione delle specifiche funzioni che saranno oggetto o potranno essere oggetto di devoluzione. Evidentemente, il tema delle funzioni oggetto di devoluzione è un tema politicamente, e anche tecnicamente, totalmente aperto; quindi abbiamo cercato di affrontare il tema del relativo finanziamento prescindendo dalle funzioni che saranno attribuite.
  Ora è noto che rispetto alle ipotesi di devoluzione, ex articolo 116, vi sono due prospettive: una prospettiva macro, che è la prospettiva di devoluzione di funzioni, le quali richiedono importantissimi impegni di spesa, e in primis l'istruzione, e una prospettiva micro, nell'ambito della quale naturalmente tutti i problemi si riducono di importanza relativa e assoluta, in cui invece la devoluzione riguarda, perlomeno in prima battuta, delle funzioni che non ricomprendono l'istruzione e quindi non ricomprendono importantissimi volumi di spesa.
  Sappiamo bene che il trasferimento del personale scolastico nella devoluzione dell'istruzione è un'ipotesi che allo stato attuale, anche in base alle indicazioni della relativa Commissione, non sembra proponibile. Tuttavia, tutte le regioni hanno richiesto la devoluzione della materia istruzione. È chiaro che questa è un'ipotesi che va considerata.
  Il punto di partenza è che l'articolo 116 della Costituzione fa riferimento all'articolo 119; quindi, tutte quante le relative regole devono applicarsi anche nell'ottica del regionalismo differenziato. In primis, evidentemente, la regola per cui alla devoluzione delle funzioni alle regioni che lo hanno richiesto deve corrispondere un impegno dello Stato ad assicurare il perdurante svolgimento di queste funzioni attraverso un adeguato finanziamento. Ma naturalmente il tema è assolutamente speculare rispetto all'impegno di finanziamento che lo Stato ha nei confronti delle altre regioni che non hanno richiesto il regionalismo differenziato. Si tratta di assicurare con dei mezzi di non facile individuazione l'equilibrio e il fatto che le altre regioni non vengano ingiustificatamente depauperate Pag. 5delle risorse che sono tuttora affidate in maniera rilevante, come è ben noto, a trasferimenti statali.
  Il secondo punto, che ci sembra anche derivare dall'articolo 119 della Costituzione, è che il finanziamento da parte di risorse statali lato sensu intese delle funzioni devolute debba essere un finanziamento assicurato sia in sede di devoluzione sia in sede successiva, quindi sia in una prospettiva di inizio statica sia in una prospettiva dinamica.
  Uno dei temi, in particolare, è quello di assicurare o non assicurare la dotazione iniziale delle risorse in dipendenza della fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Il fatto di determinare e individuare i livelli essenziali delle prestazioni è il convitato di pietra di tutto il tema, come a voi è perfettamente noto, del federalismo fiscale e anche del finanziamento del regionalismo differenziato.
  Dovendosi porre sul tavolo il tema del regionalismo differenziato nella perdurante non determinazione dei costi standard e dei livelli delle prestazioni, sembra che per quanto riguarda la dotazione iniziale da conferire alle regioni non possa che farsi riferimento al costo storico delle funzioni devolute. Purtroppo è una soluzione tecnicamente minimale, però sembra politicamente imprescindibile nel momento attuale.
  Tuttavia, il fatto che non siano ancora stati determinati i livelli essenziali delle prestazioni e i costi standard non esclude che le regole per il finanziamento delle funzioni devolute debbano o possano essere diverse per le funzioni LEP e per le funzioni non LEP, proprio perché con riferimento alle funzioni LEP lo Stato ha un compito e un onere di finanziamento che non esiste per quanto riguarda le funzioni non LEP.
  Va fatta un'altra precisazione: nel momento in cui si individuano le funzioni da devolvere, il costo e quindi il finanziamento delle funzioni devolute potrebbe non essere a saldo zero rispetto alle rimanenti funzioni statali. Lo Stato, che deve continuare ad assicurare le funzioni e lo svolgimento delle funzioni nei confronti delle altre regioni, quelle non differenziate, non automaticamente risparmia tutte le risorse che sono collegate, invece, alle funzioni devolute, perché nello svolgere le funzioni per l'intero comparto delle regioni lo Stato può conseguire delle economie di scala che vengono meno nel momento in cui esso continua a svolgere quelle determinate funzioni per tutto il restante complesso delle regioni. Anche questo fatto che non c'è un saldo zero, cioè non c'è un automatismo tra il costo delle funzioni devolute e il restante costo che resta a carico dello Stato, dovrebbe essere considerato nel momento in cui si andasse a determinare nel dettaglio il costo delle funzioni devolute.
  Ci siamo posti il tema se l'individuazione dei LEP e degli obiettivi di servizio debba essere preliminare rispetto alla devoluzione delle funzioni alle regioni, ex articolo 116, proprio perché alcune bozze d'intesa prevedevano che ci fosse una pregiudizialità della definizione dei LEP rispetto alla devoluzione, ma ci sembra dal punto di vista del dettato costituzionale – oltre che dell'opportunità politica, ma questo non ci riguarda – che non ci sia questo obbligo di definizione dei LEP prima di procedere alla devoluzione. Ecco quindi che si pone il tema della devoluzione delle funzioni e del finanziamento con riferimento alla spesa storica e non con riferimento a una valutazione puntuale dei costi delle funzioni che verranno trasferite.
  Uno dei temi che si è posto, anche in relazione a precedenti audizioni tenute da questa Commissione, è se all'atto della regolamentazione normativa della devoluzione delle funzioni si debba o non si debba fare riferimento alla legge n. 42 del 2009 e ai relativi principi che vengono da essa posti. Ci sembra anche questa una questione della quale si discute più che altro sotto il profilo politico, perché dal punto di vista giuridico, dal punto di vista costituzionale, non ci sembra dubbio che il richiamo operato dall'articolo 116 all'articolo 119 comporti anche il richiamo alla legge n. 42 del 2009, che dell'articolo 119 è attuazione, e ai relativi principi che regolano la finanza territoriale.Pag. 6
  L'articolo 14 della legge n. 42 del 2009 fa riferimento espressamente all'articolo 116 e alla devoluzione, ex articolo 116, prevedendo che all'atto della devoluzione, ex articolo 116, si provveda all'assegnazione delle necessarie risorse finanziarie in conformità all'articolo 119. Questo dimostra che la legge n. 42 del 2009 deve essere richiamata e contiene un principio valevole anche con riferimento al regionalismo differenziato. È vero, tuttavia, che se non fosse richiamata dalle norme in materia di devoluzione, è chiaro che questa legge n. 42 con tutti i suoi principi continuerebbe ad applicarsi, perché essa si applica in generale a tutte quante le regioni, sia ad autonomia differenziata che ordinarie. Il richiamo di questa legge, pur se opportuno dal punto di vista tecnico, può ritenersi non necessario, perché tanto dovrebbe continuare ad applicarsi.
  In particolare, quello che rileva nell'ambito della legge n. 42 e dovrebbe continuare a rilevare è il principio di cui all'articolo 8 della legge, che attiene le diverse modalità di finanziamento delle spese LEP e non LEP. Ribadiamo che, a nostro avviso, questa distinzione delle funzioni LEP e non LEP e delle relative modalità di finanziamento debba essere conservata anche in sede di devoluzione.
  Come ho accennato, per quanto riguarda la dotazione iniziale delle risorse, allo stato attuale non sembrano esserci alternative a fare riferimento al costo storico. La base del costo storico dovrebbe essere osservata sia per le eventuali funzioni LEP che fossero devolute sia per le funzioni non LEP, proprio perché l'articolo 116 e l'articolo 119 della Costituzione, così come poi esplicitato dall'articolo 14 della legge n. 42, prevedono la necessità che le regioni vengano dotate delle risorse che servono per svolgere le funzioni che sono devolute.
  Quali strumenti di finanziamento potrebbero essere previsti per dotare le regioni delle necessarie risorse? Il primo riferimento è all'articolo 119, però tra le forme di finanziamento e gli strumenti di finanziamento previsti all'articolo 119 sembra di primo acchito che ce ne siano almeno due, che non sono utilizzabili nel caso in esame. Non sono utilizzabili, ma non per motivi tecnici. Non sono utilizzabili i tributi propri. Non si può richiedere alle regioni a statuto differenziato di istituire dei tributi propri per finanziarli, perché sarebbe anche poi in contrasto col principio per cui è lo Stato che deve assicurare le necessarie risorse, a parte tutti i motivi politici che lo sconsiglierebbero. Nello stesso modo molto probabilmente lo Stato non dovrebbe istituire dei tributi propri derivati, da attribuire alle regioni a statuto differenziato, per gli stessi motivi per cui non si può far carico alle regioni dell'onere, anche sulla base di una normativa derivata, di istituire dei tributi nuovi per finanziare le funzioni che sono devolute.
  Quello che resta oggettivamente come strumento utilizzabile è lo strumento della compartecipazione. Lo strumento della compartecipazione può essere declinato in diversi modi. Quello che è avvenuto, soprattutto con riferimento al finanziamento del regionalismo differenziato, è l'utilizzo dello strumento della riserva di aliquota. La riserva di aliquota si deve intendere, all'interno della disciplina standard di un tributo – naturalmente un tributo nazionale, erariale – come la riserva implicita a una determinata regione, con riferimento ai presupposti che si verificano sul suo territorio, un'aliquota implicita. L'aliquota Irpef è del 23 per cento; una parte di quell'aliquota, il 2 per cento di quell'aliquota del 23 per cento, viene riservata alla regione di residenza della persona. È un mero esempio. Alla regione stessa deve essere attribuita coerentemente anche una facoltà di manovrare, entro determinati limiti, questa aliquota, al limite anche di ridurla per i soggetti residenti nella propria regione o anche eventualmente di aumentarla, ma sempre all'interno di un gettito che formalmente risulta attribuito dallo Stato all'interno di un'aliquota che è uguale per tutto il territorio nazionale.
  Questo strumento della riserva di aliquota, quindi riserva implicita, si differenzia dall'addizionale, essendo invece l'addizionale un'aliquota esplicita che si aggiunge a quella già prevista a livello erariale. Qual Pag. 7è la differenza in concreto? La differenza in concreto della disciplina, che potrebbe essere prevista dalla legge, è che l'addizionale, essendo una maggiorazione del tributo erariale, risente del livello del tributo erariale. Se il tributo base, l'aliquota, diminuisce, diminuisce anche il gettito dell'addizionale. Per quanto riguarda, invece, la riserva di aliquota, se l'aliquota a livello nazionale diminuisce, rimane ferma – a meno che non ci siano diverse intese, diversi accordi – la parte di quel gettito che è riservata alla regione.
  Questa differenza sostanziale fa sì che, a quanto risulta, le regioni interessate ritengano sicuramente preferibile lo strumento della riserva di aliquota piuttosto che l'addizionale, sia perché la riserva di aliquota non risente delle variazioni previste da aliquota a livello nazionale, sia perché è una sorta di prelievo implicito. Non viene manifestato come una specifica addizionale.
  Questo tema della riserva di aliquota oppure dell'addizionale come strumento prescelto è particolarmente delicato e dovrebbe essere anche considerato nel momento in cui, come l'attuale, si sta ragionando su una riforma delle aliquote dell'Irpef e quindi su una riduzione in generale dell'onere, del peso, dell'Irpef su determinate categorie soprattutto. Sapete bene che attualmente è presente un disegno di legge delega in materia fiscale che prevede una sostanziale riforma dell'Irpef, per cui riteniamo che non si debba ragionare a compartimenti stagni. Nel momento in cui si pensa di riformare l'Irpef, si dovrebbe idealmente, possibilmente – non mi pare che si faccia – tenere presente anche che c'è quest'altro tema, il tema del finanziamento del regionalismo differenziato, che può impattare notevolmente con questo sistema di finanziamento o eventualmente con la riforma.
  Ci siamo posti anche il tema, ma è un tema direi più che altro teorico, se la riserva di aliquota rientri nel concetto di compartecipazione prevista all'articolo 119 della Costituzione. La risposta è sì, perché è una forma sui generis di compartecipazione.
  Qual è il tema politicamente delicato sotto questo profilo? È soprattutto il profilo dinamico, perché una volta che si è determinato l'iniziale gettito, l'iniziale ammontare del finanziamento delle funzioni devolute, la dinamica del gettito come impatta rispetto ai costi che la regione che ha ottenuto la devoluzione sostiene per finanziare e per svolgere quella determinata funzione? Il profilo dinamico è molto importante; ci risulta che sia molto controverso nella dialettica tra Governo e regioni interessate, proprio per il fatto che innanzitutto gli strumenti, riserva di aliquota o compartecipazione, impattano anche sulla dinamica, nel senso che la riserva di aliquota è sicuramente più stabile e quindi comporta un'invarianza di gettito in favore della regione devoluta rispetto all'addizionale che, come abbiamo detto, può aumentare o diminuire a seconda del gettito e del livello di aliquota previsto a livello statale.
  Più la devoluzione viene attuata con strumenti tecnicamente rigidi, come potrebbe essere la riserva di aliquota, e più si pongono i problemi dell'eventuale surplus e dell'eventuale deficit, quindi del fatto che ci sia, per esempio, un residuo fiscale, e quindi un eccesso di risorse devolute, rispetto al finanziamento della funzione.
  Ma questo, attenzione, non solo perché ci potrebbero essere state delle imprecisioni in fase devoluzione; non è questa la cosa principale da considerare. È il fatto che la regione, svolgendo autonomamente la funzione, potrebbe conseguire delle economie – quindi per un fenomeno virtuoso – e a un certo punto verificarsi un eccesso di risorse attribuite compartecipate rispetto alla spesa effettiva sostenuta dalla regione stessa; così come per difetto si potrebbe verificare il fenomeno opposto, e quindi in fase dinamica le risorse trasferite attraverso la compartecipazione risultano insufficienti per finanziare le funzioni devolute.
  Che cosa può accadere in questi casi? È chiaro che le regioni tendono, e lo hanno affermato espressamente, una volta ottenuto un determinato ammontare di gettito per finanziare la funzione devoluta, a trattenerlo nonostante conseguano delle economie,Pag. 8 il che può essere positivo, perché le economie vanno anche premiate. È anche una funzione di efficientamento che lo Stato deve promuovere. È chiaro però che, se si manifestasse una palese eccedenza di risorse trasferite, questo si potrebbe risolvere ovviamente, data la finitezza delle risorse statali trasferibili al complesso delle regioni, in un pregiudizio per le regioni a statuto ordinario, le regioni non differenziate.
  D'altra parte c'è anche l'altro tema. Che succede se le risorse trasferite non sono sufficienti a finanziare le funzioni, o perché ci sono stati degli errori in sede di attribuzione o perché i costi si sono rivelati maggiori, al limite anche per inefficienza della regione nello svolgere le funzioni trasferite? Le regioni tendono a dire politicamente: «Se siamo efficienti ci tratteniamo il maggior gettito. Se le risorse trasferite non sono sufficienti, lo Stato si deve fare carico di coprire la differenza, perché l'articolo 116 e il 119 richiedono evidentemente questo finanziamento integrale delle funzioni trasferite».
  Questo è il nodo, forse più politico che tecnico, che abbiamo messo sul tavolo, rispetto al quale si possono solo ipotizzare delle soluzioni. È chiaro che è tutta una contrattazione politica. È chiaro che la riserva di aliquota è un sistema un po' più rischioso, un po' più aggressivo di finanziamento, nell'ambito del quale si potrebbe anche prevedere politicamente che resta il sovragettito, il surplus fiscale sul territorio della regione, però la regione si accolla anche un ragionevole rischio di un'insufficienza di risorse.
  Il sistema, invece, dell'addizionale e delle compartecipazioni classiche è un sistema più soft, nell'ambito del quale potrebbe essere anche prevista una ragionevole sovvenzione ulteriore dello Stato e quindi una copertura del deficit da parte dello Stato, a fronte però di un riversamento del surplus. Questo è l'ultimo tema delicato da affrontare, perché se lo Stato deve farsi carico delle inefficienze dell'«eccedenza di costo», dovrebbe anche rientrare in possesso dell'«eccedenza di risorse» che invece risultassero trasferite attraverso la compartecipazione. Da questo punto di vista, un'ipotesi che si potrebbe fare è quella della devoluzione di questa eccedenza, di questo surplus fiscale, a un fondo perequativo orizzontale.
  L'idea che si potrebbe mettere in campo è quella della creazione di un fondo orizzontale, come quello attualmente previsto per i comuni, non senza polemiche, in cui il surplus venga riversato e quindi poi vengano, queste risorse, poste a disposizione delle restanti regioni.
  Tutti questi discorsi, e qui concludo rifacendomi a quello che ho detto all'inizio, cambiano molto se ragioniamo nella prospettiva macro della devoluzione di funzioni particolarmente costose, e quindi è un grande ammontare di somme trasferite, e sono estremamente meno rilevanti nella prospettiva micro di funzioni che non richiedono un rilevante conferimento di finanziamenti a favore delle regioni, ex articolo 116. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei, professoressa. Prego, senatore Perosino.

  MARCO PEROSINO (FIBP-UDC). Grazie, presidente. Professoressa, Lei ha fatto un excursus generale da cui si evince, come anche da altre relazioni, che è molto difficile attuare il federalismo, perché solleva delle problematiche enormi. Poi, il sistema centrale è un po' allergico al delegare queste funzioni. C'è una specie di avversione, che è in parte tecnica e in parte politica. Io riconosco sulla base della mia modesta esperienza quelli che sono i pro e i contro. Abbiamo visto che nella materia della sanità c'è stato qualche problema quando le regioni hanno voluto andare un po' per proprio conto e su questioni peraltro molto delicate. Poi ci sono stati i referendum, che chiedevano a furor di popolo un maggiore passaggio di funzioni. Lei ha citato quello che era l'oggetto della discussione a quel tempo, la questione dell'istruzione. La vedo un po' complicata, non solo dal punto di vista finanziario, che genera i problemi che Lei ha evidenziato, ma anche dal punto di vista dei contenuti. Forse si potrebbe attuare un regionalismo differenziato su questioniPag. 9 meno impattanti, più pratiche, più pragmatiche.
  Io sono anche della teoria, provenendo dalla Prima Repubblica, che si debba far funzionare quello che c'è e che può funzionare. Secondo me potremmo andare bene lo stesso, perché tante scelte fatte al tempo si sono rivelate successivamente molto equilibrate. Certo, è cambiato il mondo, è cambiata la società, però con qualche piccolo adeguamento e sano realismo si possono far funzionare le regole che ci sono con le leggi che ci sono. C'è la questione dei costi standard e del costo storico, a cui si è aggiunta la questione dei LEP. Sono stati calcolati in parte su alcune funzioni; su altre sono anche di difficile calcolo. Questa è la questione delle questioni, perché le risorse sono sempre quelle.
  Tra l'altro, trovo molto interessante quello che Lei ha citato a pagina 8 della sua relazione, paragrafo 6. Si pone il problema, per le funzioni devolute, della loro dinamica nel tempo sotto il profilo dell'eccedenza e della carenza. Normalmente è carenza. Io Le faccio alcuni casi che ho conosciuto nella mia attività amministrativa. Ai tempi, alla regione Piemonte si era passata la funzione dell'agricoltura, di alcune parti dell'agricoltura, alle province. Sarebbero diventati degli stipendi inferiori quelli delle province. Allora ci furono assemblee a non finire, proteste, documenti eccetera. Io ho sempre detto: «Lasciamo perdere tutte le nostre idee, facciamo i conti, vediamo come e se si può». Allora non si fu precisi in quell'ambito sotto l'aspetto finanziario, che poi alla fine è quello che conta parecchio.
  È successo che i dipendenti della regione sono diventati dipendenti provinciali. La regione si impegnò per un importo che era quello dell'epoca. Dopo dieci anni gli stipendi erano aumentati del 5-10 per cento annessi e connessi e la provincia li doveva finanziare. Non sono nate discussioni che nel frattempo è subentrata la legge n. 56 e ha fatto ritornare questo personale alla regione, ma distaccato in alcuni casi presso le province; quindi lo paga la regione che lo dà alla provincia e la provincia è tornata a pareggiare. Le ho fatto un esempio, ma vale lo stesso per le guardie venatorie e le guardie forestali, quelle che hanno competenze miste regione-provincia, ma poi se ne potrebbero fare un sacco. Io ho conosciuto un dipendente delle Ferrovie che era diventato dipendente di un comune, e si lamentava. Adesso è pure in pensione, ma poteva lamentarsi in comune, perché poi le ferrovie trasferivano lo stipendio di allora, e dopo vent'anni era ben cambiato. Siamo di fronte a un argomento difficile. Chiudo, presidente.
  Anche la questione delle addizionali rispetto ad altre forme di perequazione o di trasferimento è delicato. Lei ha fatto cenno che la riforma è oggetto di tante discussioni, soprattutto a riguardo della questione del catasto, ma quella delle addizionali è delicatissima, perché secondo me nella versione vigente, le addizionali entro un limite o un massimo fissato dalla legge nazionale, fanno la politica, perché la regione o il comune può applicare dal-al, e il cittadino contribuente ed elettore può giudicare sulla base dei risultati raggiunti; per quello Le dicevo della Prima Repubblica.
  Stiamo discutendo da anni su questo tema, con avanti tutta e indietro tutta in certi casi, perché da quando è iniziato il lavoro della Commissione sono cambiate le situazioni. Ora certi concetti non si usa più esprimerli. Invece, io penso che, se ciò è affrontato con realismo e su alcune funzioni, se ne possa parlare.
  Chiudo dicendo che seguo le dinamiche e i problemi dei comuni. Riguardo alla questione del costo storico rispetto ai costi standard, invito la Commissione a dire che qualcosa bisognerebbe fare, perché effettivamente, se prendiamo enti di pari popolazione, di pari superficie – anzi, il criterio dovrebbe essere misto, superficie e popolazione – si vedono delle differenze che sono macroscopiche. Adesso si tende a sostituire tutto ciò con la capacità fiscale. Scusi l'espressione, ma i pro e i contro mi sanno un po' di fregatura, ma fa parte delle cose che sono miste tra amministrazione e molta politica. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei. Prego, professoressa Salvini.

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  LIVIA SALVINI, coordinatrice della Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di federalismo fiscale insediata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, mi sembrano considerazioni condivisibilissime e nessuna replica. Lei giustamente mette l'accento, tra l'altro, anche sulla dinamica di lungo periodo. Prendo l'esempio da Lei fatto degli aumenti salariali. Sono stabiliti dall'ente al quale è stata devoluta la funzione. Non può non farsene carico poi alla fine. È chiaro che non si può richiedere allo Stato un impegno permanente.
  Altro aspetto sul quale Lei giustamente mette l'accento è proprio questa interrelazione, che anch'io in parte ho evidenziato, tra la riforma del sistema fiscale statale e la finanza locale. Lei adesso ha anche ampliato il discorso sul federalismo. È chiaro che la prevista revisione del sistema catastale, fondandosi le entrate degli enti locali sulla fiscalità immobiliare, dovrebbe avere un effetto, salvo che poi il disegno di legge-delega e il Governo assicurino che non ci sarà nessun riflesso di questa riforma sul gettito. Però, non c'è dubbio che una fiscalità locale che si regge sugli immobili non possa prescindere da una corretta determinazione della base imponibile.
  Queste sono delle banalità, delle ovvietà. Il mandato della Commissione era quello di occuparsi del federalismo fiscale in generale. Questo lavoro è stato un po' sospeso perché, fino a che non c'è la determinazione dei LEP e dei costi standard, siamo veramente in una situazione in cui non si può far altro, come fa del resto il legislatore, che perpetuare il sistema attuale dei trasferimenti. Si andrà avanti all'infinito. Però, è chiaro pure che una fiscalità locale efficiente non potrebbe che fondarsi in buona parte sulla fiscalità immobiliare che per tantissimi motivi politicamente e socialmente non è accettata. I temi sono effettivamente molto aperti.

  PRESIDENTE. Se non vi sono altri colleghi che intendono intervenire, ringrazio nuovamente la professoressa Salvini per la sua esauriente relazione. Dispongo che la documentazione consegnata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione. Grazie.

  La seduta termina alle 8.40.

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