XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 45 di Mercoledì 10 novembre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione della professoressa Floriana Margherita Cerniglia, ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e del professor Paolo Liberati, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Cerniglia Floriana Margherita , ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 8 
Liberati Paolo , ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre ... 8 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 13 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 14 
Turri Roberto (LEGA)  ... 14 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 14 
Cerniglia Floriana Margherita , ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ... 14 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 15 
Liberati Paolo , ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre ... 16 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Documentazione presentata dalla professoressa Floriana Margherita Cerniglia e dal professor Paolo Liberati ... 19

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione della professoressa Floriana Margherita Cerniglia, ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e del professor Paolo Liberati, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione della professoressa Floriana Margherita Cerniglia, ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, e del professor Paolo Liberati, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  L'audizione, che si inserisce nel quadro di un'ampia attività conoscitiva svolta dalla Commissione, consente di raccogliere l'apporto di studiosi particolarmente esperti sui temi del federalismo fiscale, allo scopo di approfondire numerose e complesse questioni connesse all'autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali, all'interno di un modello coordinato di finanza pubblica fondato sui principi di responsabilità, trasparenza, efficienza, solidarietà e coesione sociale.
  Ricordo che i componenti della Commissione, in virtù di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento della Camera il 4 novembre 2020, possono partecipare alla seduta anche da remoto. Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori, avverto che secondo le intese intercorse, in conformità alla prassi già seguita nella precedente seduta di audizioni, dopo le relazioni introduttive da parte degli auditi darò la parola a un oratore per gruppo. Conclusa questa fase della discussione si potrà valutare, in considerazione del tempo disponibile, se procedere a un'eventuale ulteriore serie di interventi, lasciando comunque lo spazio necessario per le repliche. Invito pertanto a far pervenire alla Presidenza le richieste di iscrizione a parlare, raccomandando ai colleghi di contenere la durata degli interventi.
  A questo punto do il benvenuto ai nostri ospiti, che ringrazio a nome di tutta la Commissione per aver accettato l'invito, cedendo la parola alla professoressa Floriana Margherita Cerniglia. Prego.

  FLORIANA MARGHERITA CERNIGLIA, ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Buongiorno. Grazie, presidente, per l'invito. Nel tempo che ho a disposizione per affrontare il tema che è stato assegnato a questo ciclo di audizioni, che è lo stato di attuazione del federalismo e le prospettive Pag. 4con riferimento al PNRR, io mi concentrerò su pochissime questioni che toccano soprattutto il tema delle Regioni. Poi farò qualche considerazione finale di prospettiva, che ha a che fare con il tema del nuovo disegno di Governo multilivello che si potrebbe prospettare in Italia a seguito del PNRR.
  Devo procedere per punti, per sintesi. È un discorso più articolato e presente invece nel testo scritto che ho consegnato. Per cominciare, voglio ribadire una cosa che è nota ma è meglio riprenderla, cioè sono passati tanti anni dalle riforme, sono passati tanti anni dal 2001 e dal 2009, e sono state moltissime le sfaccettature critiche di questa riforma che nel suo svolgimento ha avuto diversi elementi di spinosità.
  Certamente la complicata gestione della crisi, in conseguenza della diffusione del Coronavirus, ha messo in luce ancora una volta un'articolazione dei poteri tra centro e periferia in parte disfunzionale. Tra le tante narrazioni che sono emerse durante la pandemia, abolire le Regioni è stato anche uno slogan ricorrente da alcune parti. Ora, però, questo tema del rapporto tra livelli di Governo non può essere, credo, affrontato emotivamente sotto l'effetto di una contingenza temporanea, cioè la pandemia, ma è un tema che va studiato alla luce dell'esperienza sin qui acquisita e delle analisi oggettive approfondite, e credo sia proprio questo il senso di questo ciclo di audizioni. Anche se ci sono state molteplici difficoltà in questo percorso di decentramento, che non possono essere disconosciute nemmeno dopo la pandemia, certamente il primo modello pluralistico voluto dalla nostra Costituzione, che ha tra i suoi principi l'articolo 5, non può essere accantonato.
  Fra le questioni spinose in questi anni di attuazione della riforma, probabilmente quella più complessa e più delicata è stata quella dell'autonomia finanziaria dei Governi locali. Ma attenzione: questo tema dell'autonomia finanziaria dei Governi locali è diventato un tema ancora più difficile dopo la crisi del 2009, perché ci sono stati vincoli esterni, perché ci sono stati interventi di consolidamento che hanno ridotto gli spazi di autonomia e hanno reso molto fragili e molto delicati i rapporti tra livelli di Governo, a fronte però di un'investitura diretta che hanno avuto i sindaci, i presidenti delle Regioni, che al contempo hanno chiesto al Governo centrale, con sempre più forza, poteri e competenze sia di spese sia di entrata. Ma non solo: dopo la crisi, e non solo dopo la crisi, è cresciuto enormemente il divario territoriale, sono aumentati i divari di cittadinanza, e i vincoli di bilancio che hanno morso sul fronte della perequazione e sul fronte del riequilibrio verso un sentiero di convergenza hanno esacerbato un conflitto redistributivo tra i territori e certamente non hanno aiutato nel percorso di federalismo fiscale.
  Ora, però, questo percorso di federalismo fiscale in qualche modo deve essere concluso, perché il completamento del federalismo fiscale è incluso tra le riforme abilitanti del PNRR e si deve perfezionare entro il primo quadrimestre del 2026. A che punto siamo in questo percorso per avvicinarci a questo completamento? Vado per punti.
  Per i comuni, come è stato detto nelle audizioni che ci sono state nelle settimane scorse, c'è stata certamente un'accelerazione negli ultimi due anni. Io non mi soffermo molto sul tema del fisco comunale, che è stato dettagliatamente affrontato nelle altre audizioni, però rispetto al tema del fisco comunale mi voglio soffermare su alcune novità di rilievo importanti e positive che sono state fatte negli ultimi due anni, e cioè che dal 2030 la perequazione del Fondo di solidarietà comunale sarà al 100 per cento, cioè sarà tutta effettuata sulla base dei fabbisogni e delle capacità fiscali; sui fabbisogni la Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha proceduto a una revisione delle stime di fabbisogno per alcune funzioni allo scopo di riconoscere un livello minimo di servizi. Quindi in alcuni comparti, sociale e asilo nido, i fabbisogni standard non sono più ancorati ai livelli effettivi di servizi offerti.
  Un'altra novità importante e positiva è che adesso il Fondo di solidarietà comunale si arricchirà anche di una componente verticale, perché fino ad ora questo Fondo Pag. 5ha avuto semplicemente una componente orizzontale. Sono praticamente risorse aggiuntive che sono state previste dalla legge di bilancio per il 2021, e sono risorse aggiuntive che andranno per gli asili nido e per il sociale.
  Altra novità importante è che, a seguito dell'assegnazione di queste risorse sul sociale, ci sarà un monitoraggio ex post. Tuttavia, nonostante queste novità secondo me di rilievo sul fronte del fisco comunale, non bisogna dimenticare che manca ancora un tassello molto importante affinché davvero la transizione ordinata verso un percorso di fisco comunale sia conclusa. Il tassello che manca sono i LEP (livelli essenziali delle prestazioni), e quindi ancora la standardizzazione dei fabbisogni non è ancorata a dei LEP che devono essere fissati dal legislatore.
  Tratto ora più approfonditamente il tema del fisco regionale, perché il tema del percorso di fisco regionale adesso si dovrà legare giocoforza alla questione della delega fiscale che impatta anche sul fisco regionale. Il quadro sul fisco regionale è completamente diverso rispetto a quello del fisco comunale, nel senso che per le Regioni la transizione verso il federalismo è del tutto inattuata. Lo sappiamo; i riferimenti normativi sono il decreto legislativo n. 68/2011, che è stato poi modificato recentemente dalla legge n. 176 che rinvia alcuni termini del federalismo fiscale.
  Cosa diceva questo decreto legislativo? Il finanziamento delle funzioni LEP e non LEP deve avvenire con entrate proprie, contributi e con fondi perequativi. Cerco di sintetizzare al massimo e mi concentro su due nodi fondamentali, che sono due nodi che vanno sciolti per cominciare questo percorso di federalismo regionale. Quali sono questi due nodi che devono essere sciolti proprio per cominciare un percorso?
  Il primo tema è quello della fiscalizzazione dei trasferimenti statali destinati alle Regioni a statuto ordinario. Era quello che prevedeva l'articolo 7 del decreto legislativo n. 68, quindi fiscalizzazione dei trasferimenti statali alle Regioni a statuto ordinario, e di parte corrente e in conto capitale, ove non finanziati con il ricorso all'indebitamento, con – attenzione – fiscalizzazione che deve comportare la relativa rideterminazione dell'aliquota di base dell'addizionale regionale Irpef e l'articolo 2 del decreto legislativo n. 68. Questo per garantire alle sole Regioni a statuto ordinario un gettito equivalente e trasferimenti soppressi.
  Attenzione: questa rideterminazione dell'addizionale regionale deve essere associata alla riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale al fine di garantire inalterato il carico complessivo sui contribuenti.
  Un altro nodo è quello che ha a che fare con l'istituzione di due fondi perequativi: il primo verticale e alimentato da una compartecipazione all'IVA che deve finanziare i LEP, e poi un altro orizzontale, alimentato dalle Regioni che hanno più capacità fiscale, che deve garantire un grado di perequazione sulle funzioni non LEP.
  Di questi due snodi in questo momento si sta occupando un tavolo tecnico istituito presso il MEF, che ha proprio messo in evidenza le questioni tecniche che devono essere risolte se vogliamo partire con questo percorso di fisco regionale. Qual è la questione tecnica? Ha a che fare con la conseguente riduzione dell'aliquota Irpef di competenza statale, quando vado ad aumentare l'addizionale regionale Irpef per coprire questi trasferimenti fiscalizzati. Però attenzione: questa necessità di ridurre le aliquote Irpef di competenza statale porta dei problemi, perché a questo punto avremmo due regimi di aliquote Irpef erariali per i contribuenti, in regime per i contribuenti delle Regioni a statuto ordinario e in regime per i contribuenti delle Regioni a Statuto speciale.
  Ma una modifica in questa direzione non è probabilmente possibile, perché andrebbe a violare il principio di uguaglianza tributaria al quale si deve informare tutto il sistema tributario nazionale. Questa questione dell'addizionale regionale all'Irpef e dei due eventuali doppi binari di aliquote nazionali si va a intersecare adesso con la questione del disegno di legge delega per la riforma fiscale, che è sostanzialmente sul Pag. 6fronte del fisco regionale in parte sotto due profili: il graduale superamento dell'IRAP, che oggi concorre a finanziare la sanità, e la sostituzione dell'attuale addizionale con sovraimposte al gettito Irpef erariale.
  Mi soffermo su quest'ultimo profilo per capire se questa modifica dell'addizionale e della sovraimposta ha elementi positivi e negativi in questo eventuale futuro percorso di fisco regionale. Quello che succede attualmente è che le Regioni, con riferimento all'addizionale Irpef, applicano un'aliquota bassa, dell'1,23 per cento, incrementabile fino al 2,1 per cento, con la possibilità – questa è una grande questione – di diversificare per scaglioni gli stessi dell'imposta erariale e poi possono anche definire soglie di esenzione e detrazioni.
  Il quadro è molto variegato tra le Regioni con riferimento allo sforzo fiscale. Invece il DL delega indica alcuni criteri e principi per il passaggio a questo nuovo regime di sovraimposta. Cosa si prevede nell'articolo 7 della delega fiscale? Si prevede che bisogna sostituire l'addizionale regionale all'Irpef con una sovraimposta sull'Irpef, la cui aliquota di base può essere aumentata o diminuita dalle Regioni entro limiti prefissati. La sostituzione deve ovviamente garantire che, con l'applicazione di questa nuova aliquota di base della sovraimposta, le Regioni nel loro complesso ottengano lo stesso gettito che avrebbero acquisito applicando l'aliquota di base dell'addizionale regionale all'Irpef stabilita dalla legge statale.
  Provo a riflettere su questo passaggio dall'addizionale alla sovraimposta cercando di capire i punti di forza rispetto all'attuale sistema e i punti di debolezza. Uno dei difetti dell'attuale sistema di addizionali Irpef regionali e comunali è stato quello di aver reso poco trasparente il prelievo complessivo sui redditi; e questo in assoluto contrasto ai dettami del federalismo fiscale, perché è stato difficile per il contribuente distinguere gli effetti delle decisioni prese dall'uno o dall'altro livello di Governo, in quanto poi si aggiunge anche l'addizionale comunale. Ma non solo: il fatto che ci sia questa addizionale all'Irpef sugli scaglioni e la possibilità anche in capo agli enti di stabilire esenzioni e detrazioni ha fatto sì che la decisione sulla progressività del sistema tributario nazionale, che deve essere prerogativa del sistema centrale, di fatto è stata influenzata anche dalle decisioni prese a livello locale. Pertanto il passaggio del prelievo aggiuntivo delle Regioni al gettito debito d'imposta avrebbe il vantaggio – e questo è un vantaggio non da poco – di lasciare inalterato il grado di progressività che viene deciso dal livello centrale, a cui spetterebbe il compito di determinare il sistema delle aliquote sugli scaglioni. Di contro, ovviamente, le Regioni avrebbero minori gradi di libertà perché, sulla base delle indicazioni della legge delega, lo Stato deve determinare questa nuova aliquota di base e poi le Regioni possono solo intervenire aumentando o diminuendo l'aliquota di base. Quindi c'è un elemento positivo del passaggio dalla sovraimposta: la progressività del sistema tributario viene deciso una volta per tutte dal legislatore centrale.
  Ma a mio modo di vedere – questa è una mia riflessione – ci sarebbe un ulteriore elemento positivo che andrebbe considerato, perché consentirebbe di superare quell'impasse, di cui dicevo prima, del doppio binario delle aliquote nazionali Irpef. Come ho detto prima, questo tavolo tecnico che ha fiscalizzato questi trasferimenti ha messo in evidenza che si creerebbe un doppio regime di aliquote Irpef erariali. Invece, il passaggio al sistema della sovraimposta al gettito di fatto non inficerebbe il principio di uguaglianza tributaria che deve esserci nelle aliquote erariali, giacché questa sovraimposta all'aliquota di base obbligatoria e uguale per tutte le Regioni può essere di fatto vista come anche una forma di compartecipazione al gettito. In questa ipotesi lo Stato, quindi, fiscalizzando i trasferimenti, semplicemente attribuirebbe al complesso delle Regioni a statuto ordinario una compartecipazione al gettito Irpef, che è pari all'applicazione della così determinata aliquota di compartecipazione obbligatoria.
  Detto in altri termini, a me pare che questa soluzione eviterebbe il problema del doppio binario delle due scale di aliquote Pag. 7sul territorio, una per le Regioni a statuto ordinario e una per le Regioni a statuto speciale, dato che la compartecipazione ai tributi erariali è già prevista nelle modalità di finanziamento delle Regioni a statuto speciale.
  Ci sono altri temi che sono emersi quando questo tavolo tecnico ha fatto l'analisi della fiscalizzazione dei trasferimenti, e qui vado molto velocemente ma lo voglio dire perché anche questa è una questione importante. Quando guardiamo questa tabella sulla fiscalizzazione dei trasferimenti – e questa tabella ad esempio è presente nell'audizione che la Viceministra Castelli
  ha fatto in questa Commissione – quello che vediamo è che la quota principale di questi trasferimenti che devono essere trasferiti sono i trasferimenti sul trasporto. I trasferimenti erariali complessivi che devono essere fiscalizzati sono 7 miliardi, e di questi quasi cinque provengono dal Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale.
  Anche qui secondo me si apre un nodo che andrebbe sciolto ma, attenzione, è un nodo politico e non tecnico, perché in questo momento, stante la normativa – l'articolo 14 del decreto n. 68 eccetera – il trasporto pubblico locale non è considerato LEP. Quindi il trasporto pubblico locale non è LEP se non per la parte in conto capitale. Pertanto questo trasporto pubblico locale di parte corrente non dovrebbe far parte della spesa LEP perequabile. Detto altrimenti – è importante dirlo più volte – il trasporto pubblico locale per la parte corrente non farebbe parte di diritti civili e sociali, e le Regioni dovrebbero finanziare eventualmente questo servizio con la capacità fiscale propria.
  Ma prime simulazioni fatte da questo tavolo tecnico, che sono anche riportate nell'audizione della Viceministra Castelli, indicano che ci sarebbero Regioni che non recupererebbero, con la propria capacità fiscale, risorse pari ai trasferimenti fiscalizzati. Cioè, si potrebbe paventare la possibilità di un sottofinanziamento di parte corrente in questo comparto per alcune Regioni. Mi pare sia urgente, quindi, una riflessione su questo tema. La domanda è: il trasporto pubblico locale deve essere un LEP? Il trasporto pubblico locale deve essere garantito con livelli grosso modo uniformi su tutto il territorio nazionale? Ed è questo, per esempio, quello che sembra suggerire la Commissione di studio sul trasporto pubblico locale presieduta dal professor Mattarella, che appunto proprio afferma che il trasporto pubblico locale fa parte dei diritti individuali eccetera.
  Credo mi rimanga pochissimo tempo. Ci sono altre questioni sulle quali ho riflettuto e che offro alla vostra attenzione, ma sono nel testo che qui consegno. Uno dei temi è il perimetro dei fabbisogni per le Regioni. In questo momento i fabbisogni per le Regioni non ci sono. La Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha cominciato a lavorare su questo tema, ed entro dicembre è prevista una prima riflessione sulla proposta di fabbisogno in istruzione. Ma c'è anche il tema di definire il perimetro di questi fabbisogni perché, per esempio, come ho detto prima, un tema è se il trasporto pubblico locale deve far parte o non deve far parte dei LEP.
  Dopodiché un'altra questione cruciale è quella della perequazione infrastrutturale, o meglio, una questione che è stata cruciale e che non è stata mai risolta, nel senso che un'altra cosa abbastanza «bizzarra» di questi anni è che si è sempre parlato del problema dell'autonomia finanziaria delle Regioni, o meglio, della mancata autonomia finanziaria dei Governi locali, ma non si è mai parlato del comma 5 dell'articolo 119, non si è mai parlato dell'articolo 22 della legge delega del 2009, e non si è mai parlato del decreto legislativo sulla perequazione infrastrutturale. Sostanzialmente in questi anni – fatemelo dire in una battuta – la perequazione infrastrutturale è stata tabù. Non se ne è mai parlato, non si è mai partiti con la stima dei gap infrastrutturali.
  Però l'attuale quadro normativo sembra andare in una direzione diversa, positiva, di discontinuità rispetto al passato, perché ci sono ovviamente le risorse del PNRR ma ci sono anche altri fondi che serviranno a colmare questo gap infrastrutturale, e qui mi riferisco al Fondo di sviluppo e coesione,Pag. 8 al Fondo europeo di sviluppo eccetera. Sostanzialmente, dai dati che ha portato il professor Alberto Zanardi in Commissione qualche settimana fa, sono circa 156 miliardi di risorse che nei prossimi anni possono andare per la riduzione dei divari infrastrutturali. Sono stanziamenti senza precedenti, anche se qui ci sono vari temi che a questo punto bisognerebbe affrontare, in quanto la messa a terra di questi progetti dovrebbe comportare un monitoraggio continuo fra tutti i livelli coinvolti. E poi c'è tutto il tema di come coordinare la spesa corrente con la spesa in conto capitale, nel senso che queste risorse che si concretizzeranno in interventi infrastrutturali poi dovranno essere raccordate con impegni di spesa per la gestione corrente delle suddette infrastrutture.
  Mi avvio alla conclusione facendo qualche considerazione di prospettiva su quello che secondo me cambia con il PNRR rispetto al tema del rapporto fra Stato e Governi locali, rispetto cioè a quanto abbiamo visto nel passato. Secondo me il PNRR segna, per il nostro assetto futuro di Governo multilivello, un passaggio decisivo sotto molti profili. Badate bene, non è soltanto una questione di risorse, perché è indubbio che le risorse e gli interventi previsti se avranno pieno successo potranno colmare i gap eccetera, ma non è solo questo. C'è un altro profilo che andrebbe considerato più attentamente, perché ha che fare con il tema più generale dello svolgimento delle politiche pubbliche, cioè chi fa che cosa in un Governo multilivello. Ed è utile per capire il senso di questo cambiamento fare qualche passo indietro.
  Devo tralasciare una quantità di dettagli, ma quello che voglio dire è che il contesto storico ed economico che plasma tutto il tema, tutto il percorso del decentramento, che plasma il tema dei rapporti fra Stato ed enti territoriali agli inizi degli anni Novanta, è un contesto economico e storico completamente diverso rispetto a quello che stiamo vivendo adesso. E soprattutto molto è cambiato dopo la crisi 2008-2009 e dopo la lezione che abbiamo imparato dagli errori che sono stati commessi durante quella crisi. Cosa voglio dire? Voglio dire che in questo momento è ritornato in primo piano il ruolo della politica fiscale anticiclica, ma mi pare anche che sta tramontando l'idea che lo Stato debba limitarsi a pochi ruoli, cioè quello di regolatore e fornitore di servizi pubblici essenziali. Invece lo Stato deve intervenire con varie forme e con vari strumenti per fronteggiare le grandi trasformazioni che stanno cambiando il mondo, ad esempio la trasformazione digitale e la questione ambientale. Secondo me questo è il senso delle grandi missioni e degli obiettivi.
  Negli anni Novanta il contesto era totalmente diverso. C'era l'idea dei mercati efficienti, c'era l'idea che lo Stato doveva semplicemente limitarsi a far funzionare bene i mercati. Le Regioni dovevano essere messe in competizione tra di loro e le politiche pubbliche che partivano dal basso – dalle Regioni – avrebbero creato la convergenza e la crescita.
  Adesso il PNRR fa un totale capovolgimento. È un piano declinato per missioni che toccano materie della competenza delle Regioni e quindi, e concludo, nei prossimi anni le politiche pubbliche nazionali non sono più, come è stato all'inizio, una sommatoria con l'azione di politiche pubbliche decise dalle singole Regioni, ma dovrebbe essere il risultato di un coordinamento tra livelli di Governo su grandi missioni il cui disegno parte dal livello centrale. Ed è secondo me questa la prospettiva nuova che il PNRR offre a tutto il tema del rapporto fra Stato e Governi locali nei prossimi anni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do ora la parola al professor Paolo Liberati per la sua relazione. Prego.

  PAOLO LIBERATI, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre. Grazie molte, presidente, per questo invito e per l'opportunità di discutere su un tema così importante. Io farò una sintesi della mia relazione che ho consegnato e che lascio in deposito agli atti.
  La mia sintesi si baserà proprio su alcune questioni che ritengo essenziali. C'è Pag. 9un punto generale che vorrei fare prima di illustrare le questioni specifiche del federalismo. Mai, forse, come in questo momento sarebbe importante che la ripresa di un percorso di federalismo fiscale si coniughi con una visione relativamente più unitaria del sistema tributario e dei meccanismi di spesa. Si badi bene: quando parlo di visione unitaria non parlo assolutamente di visione centralistica, anzi il contrario. Una visione unitaria in questo momento consiste nella necessità che le soluzioni su cui si basa il funzionamento dei diversi livelli di Governo siano coordinate per evitare, come è accaduto negli anni passati, che si provveda a soluzioni piuttosto parziali, che hanno dimostrato anche dubbia efficacia – questo è accaduto sia a livello centrale sia a livello locale – e credo che questa esigenza è tanto maggiore quanto più si consideri che l'impianto del federalismo fiscale, se partiamo dalla riforma del Titolo V, ormai risale a 20 anni fa. La legge n. 42/2009 risale a 11 anni fa e il decreto legislativo n. 68/2011 ha ormai più di dieci anni, nonostante in questo periodo poi si siano fatti parziali passi avanti in qualche direzione.
  Per stare sul tema del federalismo, io credo che ci siano due questioni principali da valutare: la prima riguarda alcune difficoltà che io vedo nella struttura interna del federalismo, cioè così come è stato pensato e in parte così come finora è stato realizzato; la seconda riguarda il fatto che ci sono alcune influenze esterne specifiche del periodo, che riguardano in particolare il disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale e la possibilità dei fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  Parto dalle difficoltà che io vedo nella struttura interna, che sono difficoltà attuali, ma che in parte però risalgono anche al modo in cui forse è stato concepito questo schema di federalismo. Distinguerò queste difficoltà per il livello regionale e per il livello comunale.
  Dal punto di vista regionale io credo che la questione principale che non è mai stata risolta compiutamente riguardi un po' la questione sanità e dei fabbisogni sanitari. Come ben sapete, la sanità occupa il 75-80 per cento in media dei bilanci regionali; quindi pensare che un livello di Governo regionale possa funzionare senza aver trovato un assetto definitivo a questa questione credo sia abbastanza illusorio. Credo che questo sia forse il momento per discutere alcuni di questi problemi di impianto.
  Io credo che ci sia una questione molto importante, che riguarda forse più che questioni tecniche anche decisioni politiche: c'è un sostanziale disallineamento tra bisogni sanitari e fabbisogni sanitari. Questo ha significato nel tempo che le risorse destinate alla sanità siano state in qualche modo determinate dalle disponibilità finanziarie annuali, e questo ovviamente si può capire. Però è un po' il problema della doppia coerenza che era introdotta e segnalata nell'articolo 26 del decreto legislativo n. 68/2011, quando si diceva che bisogna essere coerenti con il quadro macro economico e con i vincoli di finanza pubblica, però anche coerentemente poi con i bisogni sanitari. Questa doppia coerenza sostanzialmente funziona poco, e io credo che ci sia e continui a esserci un sostanziale disallineamento tra bisogni e fabbisogni, e di questo nella mia relazione do anche qualche indizio, una mia interpretazione. Però bisogna pensare che tra le Regioni italiane ci sono ancora elevati livelli di mobilità sanitaria, e questa mobilità sanitaria ovviamente si muove dal Sud verso il Nord, e ci sono ancora problemi di deficit sanitari e piani di rientro che interessano nuovamente molte Regioni del Sud.
  Direi che una riflessione sul modo in cui questi fabbisogni sono determinati forse è opportuno farla, perché si riesce molto difficilmente a comprendere quanta parte di questo disallineamento dipenda da insufficienze delle risorse centrali e quanta parte di questo disallineamento invece possa dipendere dal comportamento delle Regioni. Anche ai fini di una migliore attribuzione delle responsabilità, di una distinzione delle responsabilità, che in un modello di federalismo è essenziale affinché funzioni, credo che sia opportuno riflettere su questo.
  Credo che parte di questa confusione che riguarda il fabbisogno sanitario dipendaPag. 10 un po' anche dal modo in cui si è inteso finanziare il fabbisogno sanitario regionale. Quel finanziamento impiega contemporaneamente una compartecipazione IVA e tributi teoricamente propri regionali, cioè l'addizionale Irpef e l'IRAP, valutati tra l'altro ad aliquota base, quindi indipendentemente dalle politiche tributarie effettivamente eseguite dalle Regioni. Io credo che rispetto ai livelli essenziali questo sia un po' un elemento di confusione che in qualche modo coinvolge anche il livello comunale. Se ci sono livelli essenziali, ammesso che i livelli essenziali vengano quantificati correttamente e che siano in grado di limitare gli elementi di inefficienza e spreco che hanno caratterizzato l'impiego della spesa storica in passato, io credo che una volta determinati i fabbisogni essenziali e quindi i fabbisogni sanitari regionali questo finanziamento debba interamente provenire dal Governo centrale, proprio per evitare questa commistione.
  Anche lì mi riesce difficile sapere quanta parte della manovra dei tributi regionali è dovuta a inadempienze che riguardano i livelli essenziali e invece politiche tributarie autonome. Bisogna fare un po' di distinzione su questo. Prendo il caso del Lazio, in cui le aliquote dell'addizionale Irpef, per esempio, subiscono l'incremento obbligatorio per i piani di rientro. Questo significa sostanzialmente che l'autonomia tributaria di una Regione, in occasione di questi eventi, è completamente sterilizzata. Quelli sono tributi propri che corrispondono a devoluzione di gettito da parte del Governo centrale, ma che impediscono questa separazione di responsabilità che io ritengo molto opportuna. In prospettiva consiglierei di separare il finanziamento dei livelli essenziali a valere su risorse centrali e lasciare i tributi propri o propri devoluti alle Regioni, in modo tale che questi siano riconducibili invece a meccanismi autonomi delle Regioni, in particolare per finanziare le spese autonome. Questo discorso in parte, come riprenderò dopo, vale anche per i comuni.
  Su questo meccanismo di finanziamento poi si innesta anche questo uso nozionale della compartecipazione IVA, perché la compartecipazione IVA assolve a una funzione che è esattamente la funzione di un trasferimento; però, siccome il Titolo V impedisce di far ricorso a trasferimenti generali e ci consente solo di far riferimento a trasferimenti perequativi, questa compartecipazione IVA è strutturata in modo tale da alimentare nozionalmente un fondo perequativo facendo in modo che poi, alla fine, per tutte le Regioni sia garantito il finanziamento integrale dei fabbisogni sanitari. Ma questo, come dimostrato nel testo, è equivalente a un trasferimento dalla compartecipazione IVA ad aliquote differenziate nelle Regioni, perché ovviamente in presenza di fabbisogni diversi ogni Regione avrà bisogno di un certo ammontare di IVA per coprire il fabbisogno sanitario.
  Ci sono altri due punti critici a livello regionale. Uno è che è vero che la sanità occupa gran parte dei bilanci regionali, ma è anche vero che è l'unico caso in cui sono stati definiti dei livelli essenziali. Per il resto c'è una totale assenza di definizione dei livelli essenziali per funzioni extra sanitarie. Anche questo è un punto che bisognerebbe risolvere, secondo me ancora più grave poi nel caso comunale.
  Poi c'è la questione della sostituzione dei trasferimenti. Qui c'è tutta la sensazione che vi ho detto prima, cioè che quella modalità ipotizzata per sostituire i trasferimenti regionali attraverso l'addizionale Irpef sia fuori tempo massimo, perché l'addizionale Irpef a causa dell'intreccio con la legge delega non sarà più un'addizionale ma sarà una sovraimposta. Tornerò dopo sulle conseguenze di questo; ma soprattutto, secondo il disegno di legge di revisione del sistema fiscale, il prelievo sui redditi si sta avviando verso un sistema compiutamente duale. Mi debbo chiedere a livello regionale su quale base imponibile e su quale gettito si intende insistere con l'addizionale Irpef per finanziare i servizi regionali, al cui finanziamento dovrebbe partecipare, in omaggio alle teorie del decentramento, una parte molto ampia della popolazione.
  Questi secondo me sono i punti principali di criticità regionale. Dal lato comunale ci sono analoghi punti critici. Uno Pag. 11riguarda, anche qui, la totale assenza della definizione dei livelli essenziali delle funzioni fondamentali. È pregevole il lavoro svolto dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, che quantifica i fabbisogni. Manca di un aggancio essenziale, perché se non si definiscono i livelli essenziali, ammesso che si vogliano definire, la stima dei fabbisogni è parzialmente incompiuta perché non ho un aggancio. Devo utilizzare altri indicatori quantitativi. È chiaro che posso usare le best practices, posso usare obiettivi di servizio, ma se si intende avere a livello comunale dei livelli essenziali di servizio questi livelli prima o poi dovranno essere definiti, e credo che questo sia molto importante farlo.
  Dal mio punto di vista, questa mancanza dal lato comunale di interpretare nel modo migliore quali siano i fabbisogni, e di conseguenza anche i livelli essenziali, ha portato nel tempo anche un po' al funzionamento piuttosto confuso del Fondo di solidarietà municipale, non perché si sia voluto che sia confuso, ma perché combina elementi di integrazione verticale di fabbisogni e di perequazione delle capacità fiscali che, di nuovo, non aiutano molto a distinguere i flussi di risorse che arrivano poi direttamente ai comuni.
  Come è stato ricordato prima, l'alimentazione del Fondo di solidarietà municipale continua a essere insistente sull'imposta municipale, sull'IMU, per una percentuale, destinando una frazione di questo tributo, obiettivi redistributivi, quando quel tributo è molto opportuno per gli enti locali per finanziare le risorse proprie. Sarebbe ovviamente oggetto di perequazione delle capacità fiscali, ma non oggetto di integrazione verticale. Credo che da quel punto di vista sia lo stesso ragionamento che ho fatto per le Regioni. Distinguere bene le fonti di finanziamento in base alle spese che si vogliono finanziare è opportuno anche in questo senso, perché attualmente i comuni versano nel Fondo di solidarietà municipale il 22,43 per cento dell'IMU: una cifra che viene restituita poi in sede di assegnazione del Fondo, ma ovviamente quando viene restituita viene restituita ai comuni in base ad altri parametri, quindi in modo diverso da come i comuni hanno effettivamente contribuito.
  Credo che il processo di federalismo di Regioni e comuni che è andato avanti finora, per i vincoli che tutti conosciamo, anche dovuti alle crisi economiche, sia un processo piuttosto frammentato, ed è la ragione per cui richiamavo all'inizio una visione relativamente più unitaria. Questo è anche abbastanza preoccupante, secondo me. La sistemazione di questo assetto, che io definisco «assetto ordinario del federalismo», potrebbe essere molto importante anche per incentivare, stimolare e rendere utili le istanze di federalismo, anche differenziato, che sono state presentate dalle Regioni qualche anno fa con le bozze d'intesa, e poi anche questo processo si è sostanzialmente fermato. Quel federalismo differenziato, affinché esplichi le sue potenzialità, dovrebbe poggiarsi su un assetto strutturale definitivo sia del finanziamento regionale e sia del finanziamento comunale, affinché questa differenziazione non serva a scappare in avanti rispetto a differenziazioni che in parte già esistono.
  Ci sono poi due influenze esterne sull'assetto del federalismo, che ritengo fondamentali. La prima l'ho accennata prima: è l'esistenza di questo disegno di legge di revisione del sistema fiscale. Qui ci sono tre questioni importanti. La prima è la trasformazione delle addizionali in sovraimposta. Non si tratta ovviamente di una scelta tecnica, e questo ovviamente impedisce che le Regioni applichino scale di progressività diverse da quelle che sono state definite a livello centrale. Però, per esempio, se riprendo il fatto che prima per l'abolizione dei trasferimenti si prevedeva l'uso delle addizionali Irpef e la contestuale riduzione delle aliquote a livello centrale, questo quando ho davanti una sovraimposta è un po' più difficile, perché ovviamente la sovraimposta insistendo sul gettito e non sulla base imponibile rende molto più difficile ridurre in modo equivalente l'Irpef centrale, perché non ho più la base imponibile di riferimento ma ho il gettito, ho il debito d'imposta individuale.
  Qui sarebbe anche opportuno capire – io non ho trovato informazioni ma può Pag. 12darsi che sbagli io – se si tratta di applicare la sovraimposta al debito d'imposta lordo, quindi all'imposta lorda, o all'imposta netta, quindi dopo l'applicazione delle detrazioni, perché anche questo ovviamente fa la differenza. La sovraimposta in linea di principio, essendo una sovraimposta Irpef, espone questo meccanismo ancora di più alle variazioni eventualmente decise a livello centrale, perché mentre con l'addizionale le uniche variazioni che si trasmettono dal Governo centrale alle Regioni e ai comuni sono le modifiche della base imponibile, quando utilizzo la sovraimposta ci sono altri meccanismi che si trasmettono. Per esempio, se lo Stato decidesse di modificare l'assetto delle detrazioni e la sovraimposta si applicasse sull'imposta netta, ovviamente questo significherebbe per le Regioni e per i comuni una modifica della loro possibilità di prelievo senza che abbiano deciso nulla. Si tratta di un'esposizione forse ancora maggiore rispetto al caso precedente, perché ciò che influenza la sovraimposta non è soltanto la modifica della base imponibile a livello centrale, ma anche la modifica del calcolo dell'imposta.
  Poi qui, come accennato prima, c'è la questione che il sistema va verso un sistema duale; così sembrerebbe dalla delega. Un sistema duale per quello che leggo io significa – siccome saranno fuori tutti i redditi che derivano da capitale immobiliare, tutti i redditi che derivano da attività finanziarie, tutti i redditi che derivano dall'impiego di capitale di lavoro autonomo o d'impresa – che la base imponibile Irpef si restringe a una platea di contribuenti che dovrebbe essere chiamata allo stesso tempo anche a finanziare i servizi regionali e comunali il cui finanziamento dovrebbe essere relativamente più diffuso.
  Sono molto scettico, in questo momento storico, sul fatto che si possa continuare a fare affidamento sull'Irpef anche in ragione dell'elevato grado di evasione di questo tributo, ma questo è un fatto storico italiano; però sono molto scettico per questo intreccio secondo cui l'Irpef possa continuare a essere una buona fonte di finanziamento per Regioni e comuni, soprattutto se con quell'imposta abbiamo intenzione ancora, a livello regionale, di coprire una parte dei livelli essenziali.
  C'è poi un secondo aspetto, la prevista abolizione dell'IRAP. Se ne prevede un graduale superamento. Non mi sembra che ci sia notizia nel disegno di legge delega del tributo che dovrà sostituirla, ma qui si pongono tutti i problemi del caso, perché ovviamente l'IRAP finanzia la sanità, è comunque un'imposta regionale, e quindi bisognerà attentamente valutare le modalità di sostituzione di questa imposta.
  Poi a latere – anche se il disegno di legge delega è molto preciso sul tema di non utilizzare la riforma del catasto a fini di determinazione dell'imponibile – c'è comunque un elemento che riguarda la revisione del catasto ed eventualmente poi i meccanismi di tassazione immobiliare. Questo di nuovo conferma i motivi per cui ho detto all'inizio che abbiamo bisogno, forse più che mai in questo periodo rispetto al passato, di considerare il sistema tributario e il sistema di spesa nelle loro articolazioni tra diversi livelli di Governo in maniera unitaria. «Unitaria» significa anche armonica, per evitare soluzioni parziali e soluzioni specifiche per specifici livelli di Governo che possano intrecciarsi in maniera complessa con il resto del sistema.
  Vado infine alla questione del PNRR, perché questa è l'altra influenza esterna di cui è molto difficile capire la portata. Contabilmente se ne capisce la dimensione, perché ci saranno numerosi miliardi a disposizione in vari stanziamenti. Io ho cercato di fare una ricognizione per missioni, nella mia relazione, su quali potrebbero essere gli impatti per gli enti locali. Qui poi bisognerà distinguere anche il ruolo degli enti locali, perché per molti di questi progetti gli enti locali saranno soggetti attuatori, mentre per altri progetti saranno enti che partecipano a bandi ministeriali, quindi vi è l'interesse centrale. Anche qui bisognerà quindi distinguere effettivamente il ruolo e l'impatto che queste risorse potranno avere sul territorio.
  C'è un fatto importante: siccome la maggior parte di questi investimenti ha una connotazione infrastrutturale – e qui di nuovo c'è bisogno di una visione unitaria – Pag. 13questo potrebbe cambiare i termini proprio di quella perequazione infrastrutturale che, come è stato ricordato prima, è stata sostanzialmente sospesa e trascurata per molti anni. È molto importante questo punto perché bisogna tener conto che il differenziale di dotazione delle infrastrutture influenza anche i livelli di servizi forniti all'interno di Regioni e comuni, e quindi è una perequazione infrastrutturale che in un certo senso potrebbe avere impatto anche sulla perequazione ordinaria, dal lato ordinario delle risorse. Questo è un punto di cui bisognerà ovviamente tenere conto nella gestione dei fondi del PNRR, gestione che dovrà essere garantita anche da un adeguato piano di spesa corrente.
  Le infrastrutture quando sono fatte vanno mantenute e vanno utilizzate al pieno delle loro potenzialità. Questo significa che da un certo punto in poi Regioni ed enti locali dovranno in qualche modo provvedere a piani di spesa corrente, e quindi a risorse adeguate, affinché le infrastrutture sviluppate possano effettivamente essere di ausilio alla fornitura di beni e servizi.
  In tutto questo c'è nel PNRR un potenziale impatto positivo, che è anche la quota di risorse del 40 per cento, che idealmente dovrebbe essere destinata alle Regioni del Mezzogiorno, anche se qui i termini, le procedure e i progetti che dovranno essere finanziati non sono ovviamente ancora specificati.
  Ci sono numerose influenze esterne, oltre a difficoltà di struttura interna della parte ordinaria del federalismo che vanno risolte. È necessario che si recuperi questa visione unitaria, anche perché i tempi che il federalismo si è dato sono di nuovo slittati; in alcuni casi per le Regioni fino al 2023 ma, come è stato ricordato prima, per il Fondo di solidarietà municipale affinché svolga le sue funzioni perequative complessive il termine è stato prorogato al 2030. Su questi termini bisogna fare molta attenzione.
  Ricordo che quando fu introdotto il decreto legislativo n. 56/2000, che introdusse la compartecipazione IVA e quindi tutto un meccanismo nuovo di determinazione dei fabbisogni sanitari, il regime transitorio era previsto terminasse nel 2013. Bisogna un po' fare attenzione, secondo me, anche in futuro a un ordinato sviluppo di questi meccanismi e anche al rispetto dei tempi che ci si propone. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Passiamo ora agli interventi dei colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni. È iscritto a parlare l'onorevole Fragomeli. Prego, ne ha facoltà.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Grazie, presidente. Io ho dei quesiti da porre a entrambi gli auditi. Sono tre quesiti. La prima questione, giustamente introdotta dalla professoressa Cerniglia, riguarda un FSC che torna a essere verticalizzato in quanto vengono inserite le risorse. Io vorrei capire, rispetto a quello che sarà prima o poi – speriamo, almeno per i comuni – un effetto LEP vero, quanto può diventare reale una quantificazione della verticalizzazione dell'FSC. Oggi abbiamo messo delle risorse che oggettivamente non possono rispondere ai reali bisogni, per rendere meno sperequata quella che oggi è la funzione che svolge il Fondo di solidarietà comunale. Vorrei capire se secondo voi c'è la possibilità anche di fare delle previsioni rispetto alle risorse che servirebbero a un FSC per funzionare meglio; risorse statali chiaramente.
  Un'altra questione che mi preoccupa molto rispetto alla base imponibile e che ho sentito in tutti e due gli interventi è quella del passaggio dall'IRAP a una sovraimposta, a un'Ires potenziata. È evidente che la base imponibile è molto diversa, e noi sappiamo che l'IRAP aggrediva una determinata base molto più statica di quella dell'Ires. Con questo intendo dire che ci possono essere delle variazioni molto più forti rispetto al pagamento dell'Ires, mentre sul pagamento dell'IRAP no. Questo mi preoccupa oggettivamente, essendo l'IRAP un'imposta che finanzia il sistema sanitario regionale. Speriamo che la pandemia si superi presto, ma rimane un problema evidente.
  Noi non possiamo permetterci di avere delle riduzioni delle risorse importanti rispettoPag. 14 al fatto che dicevo poc'anzi, e cioè di una strutturazione diversa delle due imposte.
  Volevo capire da voi se c'è una certa preoccupazione nel passaggio da due imposte che hanno basi imponibili diverse, e che potrebbero non arrivare al medesimo gettito se non con un incremento molto più alto dell'aliquota Ires di quello che invece potrebbe essere nominale.
  L'ultima questione che volevo porre è come risolviamo, però, anche la riforma fiscale e un sistema duale, perché il professor Liberati giustamente ci richiamava al fatto della restrizione del perimetro della base imponibile dell'Irpef e conseguentemente di qualsiasi tipo di addizionale. Anche qui c'è una certa preoccupazione. È chiaro che altri regimi forfettari o altre cose io non so fino a che punto, se continuiamo a essere federalisti, possano contemplare un inserimento dell'addizionale Irpef. Non so come, non so come strutturarla, ma è evidente che il tema federalista non può essere di una parte della popolazione, di chi svolge un'attività da lavoratore dipendente rispetto all'universo dei redditi che ci sono sul territorio. Anche qui bisogna capire se ci sono delle prospettive per costruire un perimetro idoneo dell'addizionale Irpef che possa mantenere quello che è il federalismo fiscale e alcune voci di spesa importanti a livello regionale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do ora la parola all'onorevole Turri. Prego.

  ROBERTO TURRI. Grazie, presidente. Buongiorno. Ringrazio gli auditi, e ho visto che alla Commissione sono arrivati contributi scritti da entrambi i professori. Ho sentito che entrambi hanno confermato le difficoltà che ci sono nella questione del federalismo fiscale. Per quanto riguarda i comuni, negli ultimi anni c'è stata un'accelerazione e, invece, per quanto riguarda le Regioni siamo ancora fermi e quindi praticamente è inattuata.
  Mi riallaccio all'ultimo passaggio che ha fatto la professoressa Cerniglia. Mi pare di avere capito che lei diceva che la crisi del 2008-2010 e la crisi COVID hanno un attimo ribaltato quelle che erano le considerazioni sull'importanza che si dava al decentramento, al dare maggiore autonomia agli enti territoriali, e si sarebbe ritornati invece a considerare l'importanza dello Stato centrale, quindi di riappropriarsi di quelle che invece erano delle funzioni che sembrava che potessero essere attribuite agli enti territoriali per migliorare i servizi.
  Io su questo sinceramente sono convinto dell'esatto contrario. Intanto la crisi del 2008-2010, ma soprattutto la crisi COVID, a mio avviso, dimostrano proprio il contrario e invece occorrerebbe, anche per attuare finalmente il federalismo fiscale e anche l'autonomia differenziata, dare maggiori poteri alle Regioni e agli enti territoriali, che possono sicuramente essere, anche nell'attuazione del PNRR, utili alla realizzazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Conclusi gli interventi, do quindi la parola alla professoressa Cerniglia per la replica. Prego.

  FLORIANA MARGHERITA CERNIGLIA, ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Con riferimento all'onorevole Fragomeli voglio dire che il tema che ha toccato, quello della componente verticale del Fondo di solidarietà comunale, è un tema cruciale per i prossimi anni. Il tema che io in parte avevo cercato di riaccennare è il tema del coordinamento fra la spesa corrente e la spesa in conto capitale. Per far capire meglio cosa questo significa, faccio un esempio che è il presidente Arachi ha portato qui in Commissione: il PNRR prevede un impegno di risorse sugli asili nido per la creazione di 176 mila nuovi posti. Questo è l'impegno del PNRR.
  Però attenzione: sulla base della metodologia che è stata approvata dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, il costo standard per un bambino è circa 6.900 euro. Se noi moltiplichiamo 6.900 euro per questi 176.000 nuovi posti, quello che succede è che la gestione corrente dei nuovi posti, quindi la spesa corrente, ammonterebbe a circa 1,2 miliardi. Invece i fondi stanziati a regime poi, a decorrere Pag. 15dal 2026 per il Fondo di solidarietà comunale, sono 300 milioni. Qui vediamo proprio questa discrasia, che in qualche modo si dovrà risolvere nei prossimi anni su come coordinare la gestione corrente della spesa a seguito di questi interventi strutturali.
  Voglio adesso dire qualcosa rispetto all'ultimo punto evidenziato dall'onorevole Turri, cioè il problema del rapporto fra Stato e Regioni, e cosa cambia dopo il PNRR. Sono andata di fretta e probabilmente non è stato del tutto chiaro quello che io volevo dire. Il punto non è semplicemente una mera questione di poteri, di competenze eccetera. Il punto è perché si disegna un assetto istituzionale in un modo piuttosto che in un altro. Quando si decide di disegnare un assetto istituzionale, c'è sempre un contesto economico, storico, culturale di riferimento, che guida un po' il disegno delle istituzioni.
  All'inizio degli anni Novanta, quando è stato anche disegnato il processo di integrazione europea, e quando parallelamente parte il processo di decentramento in Italia, il paradigma economico dominante era quello dei mercati efficienti. Era questo il punto. Lo Stato non doveva intervenire dando grandi obiettivi, grandi missioni, facendo politiche pubbliche nazionali di lungo periodo. Lo Stato doveva semplicemente limitarsi a regolare i mercati, a rendere i mercati efficienti, perché poi i mercati da soli portavano più crescita economica. Come diciamo noi economisti, sono i mercati che portavano l'equilibrio economico di lungo periodo.
  Questo humus culturale informa anche il tema dei rapporti fra Stato e Regioni, perché il tema dei rapporti, declinato a livello territoriale, è visto come una questione di dare giusti incentivi ai territori. Per fare cosa? Per crescere di più. La crescita non viene decisa attraverso grandi politiche pubbliche nazionali, ma lo Stato deve dare gli incentivi giusti alle Regioni, deve dare poteri di spesa, deve dare poteri di entrata. Poi queste Regioni messe in competizione tra di loro crescono, e questa crescita che parte dal basso crea la convergenza. Lo Stato non ha più quei grandi obiettivi di redistribuzione e perequazione che aveva prima degli anni Novanta.
  Ora è chiaro che però bisogna un po' interrogarsi se questa ricetta ha funzionato, se effettivamente ha portato più convergenza, più crescita, se ha ridotto la disuguaglianza. A me pare di no, ma questo non è un problema soltanto italiano. È un problema europeo, dove le divergenze fra centro e periferia sono aumentate. Non a caso Next Generation EU e il nostro PNRR mettono al centro della crescita l'inclusione sociale che, declinata sul piano dei territori, significa che nessun territorio deve essere lasciato indietro.
  Il PNRR non è una questione di più potere o meno poteri. Il problema è che cambia, capovolge la prospettiva, nel senso che si parte da un'idea che queste grandi missioni, questi grandi obiettivi sono decisi dal livello centrale, e poi è previsto un forte meccanismo di coordinamento fra i Governi locali di cooperazione. Ovviamente le Regioni sono in campo, sono soggetti attuatori, partecipano a questi obiettivi, a queste missioni più di lungo periodo. In questo senso, secondo me, con il PNRR nei prossimi anni – io me lo auguro – le politiche pubbliche nazionali non saranno una sommatoria di politiche che sono decise dalle Regioni. Pensiamo, ad esempio, a tutte le politiche attive sul lavoro. Sono le Regioni che decidevano e poi alla fine era un po' una collazione di quello che succede a livello di territori. Secondo me questa volta, ripeto, anche per la lezione che abbiamo imparato dopo la crisi, invece c'è un cambio di prospettiva, ma questo non è un cambio di prospettiva e di paradigma economico. Ripeto, non è una questione soltanto italiana, come non fu una questiona soltanto italiana il passaggio verso il decentramento agli inizi degli anni Novanta, ma fu un fenomeno che riguardò moltissimi Paesi. Secondo me questo cambio di prospettiva sul tema del rapporto centro-periferia è un po' un cambiamento che secondo me, anche a livello di Unione europea, sta prendendo corpo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professoressa. Prego, professor Liberati.

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  PAOLO LIBERATI, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre. Grazie. Rispondo prima all'onorevole Fragomeli. Io credo che la confusione a cui facevo riferimento prima del Fondo di solidarietà comunale, è che quel Fondo unisce due cose che dovrebbero essere in fondi diversi. Un fondo dovrebbe essere destinato a compensare i differenziali di risorse necessarie per fornire i livelli essenziali che mancano, e un fondo dovrebbe essere destinato a perequare le capacità fiscali sui tributi di competenza comunale.
  Siccome non sono stati definiti i livelli essenziali, quei due fondi originariamente previsti sono confluiti in un unico fondo che, come ho detto prima, rende molto difficile distinguere le componenti verticali e orizzontali anche in ragione di questa alimentazione mista. È chiaro che, se avessi un fondo per compensare gli squilibri verticali, tendenzialmente lo dovrei alimentare con risorse centrali. Quando il fondo è di perequazione delle capacità fiscali, ovviamente misuro le capacità fiscali dei singoli comuni e perequo le differenze, in una visione strettamente orizzontale.
  Quanto sia in termini di dimensioni, di necessità, anche questo è difficilmente prevedibile, perché finché non definisco i livelli essenziali non so di quante risorse avrò bisogno, perché le risorse di cui avrò bisogno dipendono dalla possibilità di definire i livelli essenziali, se si vogliono definire. Altrimenti la misurazione dei fabbisogni prende un'altra strada, che è quella che in parte già ha preso necessariamente, in assenza di livelli essenziali. L'ammontare di risorse dipende da ciò che si vuole garantire sul territorio.
  In assenza di questa definizione di livelli essenziali, io vedo complesso definire anche quali saranno le risorse in prospettiva. Di sicuro penso che, se si definiscono i livelli essenziali, io avrei bisogno di risorse centrali per finanziare questi livelli essenziali, un po' analogamente a quanto accade in parte in sanità per le Regioni. Quindi bisognerà mettere in campo delle risorse, ma su questo le previsioni sono piuttosto difficili. Ma, ripeto, il processo è inverso: devo capire quali sono i fabbisogni da garantire e poi posso eventualmente stimare le risorse; e compatibilmente, come ho detto prima, in coerenza con i vincoli, con il quadro macro economico eccetera, posso fare degli aggiustamenti. Ma devo ancorare la quantificazione delle risorse a una stima di qualche livello essenziale minimo adeguato da garantire.
  Su questo, soprattutto sui livelli essenziali, mi sembra che sui comuni si sia molto indietro; anche perché, come ho detto in conclusione, il PNRR dovrà a mio avviso generare – e genererà sicuramente – un flusso maggiore di spesa corrente necessario per mantenere, usare, utilizzare nel pieno delle potenzialità le infrastrutture che saranno garantite da quegli investimenti. Non possiamo pensare di costruire infrastrutture e poi non fornire la spesa corrente – che può essere quella del personale, attrezzature eccetera – affinché queste infrastrutture siano adeguatamente utilizzate per la fornitura di beni e servizi. Su questo, con il tempo che abbiamo a disposizione, sarebbe opportuno iniziare a riflettere.
  La seconda domanda riguardava la base imponibile IRAP e l'addizionale Ires. Le proposte che circolano di addizionale Ires secondo me sono un po' più complicate dell'IRAP, ma per una precisa ragione. Anche qui, prima di capire con che cosa devo sostituire l'IRAP, sarebbe opportuno capire che cosa devo fare con le imposte che introdurrò in sostituzione dell'IRAP, perché se devo svolgere la stessa funzione dell'IRAP – e secondo me non dovrebbero più svolgere quelle funzioni, cioè la copertura dei livelli essenziali in sanità – vedo un po' difficile che le Regioni si facciano concorrenza applicando addizionali diverse dell'imposta sulle società. Questo mi sembra abbastanza complicato. Per cui forse la strada migliore in quel caso sarebbe un'addizionale proporzionale uniforme sul territorio nazionale, ma questo come capite bene equivale a una compartecipazione dell'Ires; il che, nella prospettiva di bilanciare il contributo che lavoratori dipendenti, pensionati, lavoratori autonomi e altri soggetti Pag. 17danno al finanziamento delle spese regionali, potrebbe anche essere opportuno.
  Vi ricordo che, con tutte le imperfezioni del caso, quando nel 1998 sono state introdotte l'addizionale Irpef e l'IRAP, un certo senso di generalità nel finanziamento delle spese regionali – della sanità in particolare – c'era; perché avevo l'addizionale Irpef che colpisce prevalentemente, anche se non esclusivamente, lavoratori dipendenti e pensionati, e avevo l'IRAP che era un'imposta strutturata sulla parte professionale, di lavoro autonomo e di impresa. La platea era relativamente ampia, come è giusto che sia di fronte alla necessità di contribuire alle spese regionali.
  Ovviamente, se abolisco l'IRAP e mi trovo solo con l'addizionale Irpef, è la ragione per cui prima sostenevo che secondo me se rimaniamo con l'addizionale Irpef non andremo molto lontano ai fini del finanziamento di Regioni e comuni. Quella è un'imposta che per come si sta sviluppando, a mio modo di vedere, dovrebbe essere dimenticata se non applicata in forma di compartecipazione diretta all'Irpef, allo stesso modo in cui viene applicata la compartecipazione all'imposta sul valore aggiunto.
  Questo si collega alla terza domanda dell'onorevole Fragomeli, che è il sistema duale. È proprio qui il problema. La restrizione del perimetro Irpef è esattamente questo. Se restringo il perimetro Irpef, non posso poi usare quell'Irpef per compensare i differenziali di capacità fiscale, o per sostituire i trasferimenti soppressi. L'impianto della legge n. 42/2009 è vecchio, perché nel frattempo sono intercorse numerose modificazioni e interverranno ulteriori modificazioni all'Irpef, e le modificazioni che sono intervenute in questi anni rispetto all'Irpef sono state tutte modificazioni rivolte a restringere il campo di applicazione di quell'imposta.
  È la ragione per cui sostengo da tanto, anche in altre sedi, che forse sarebbe opportuno, ai fini del finanziamento, recuperare un po' quel meccanismo di separazione delle fonti. Capisco che questo sia molto difficile, però la separazione delle fonti implica che bisognerebbe cercare, per quanto possibile, di dare a Regioni e comuni imposte che non siano usate contemporaneamente dal Governo centrale. L'IRAP rispondeva a questo principio ma poi, essendo stata usata per fini di politica economica nazionale, il suo compito è stato un po' compresso nel tempo.
  Mi permetto un cenno anche all'osservazione dell'onorevole Turri, anche se la domanda era rivolta alla professoressa Cerniglia. Personalmente io non vedo questa contrapposizione tra dimensione territoriale e dimensione centrale. Non penso che il COVID abbia ristabilito la superiorità di un sistema centralizzato rispetto a un sistema decentrato. Questa superiorità nella teoria economica si basa e viene valutata rispetto a numerosi parametri, anche perché è difficile valutare la superiorità di un sistema rispetto a un altro in una situazione emergenziale. Credo che questi confronti vadano sempre fatti in situazioni ordinarie e non emergenziali.
  Quel che posso dire è che questa situazione di emergenza ha reso forse un po' più evidenti i difetti strutturali del meccanismo che io ho elencato nella relazione e in questa presentazione. Li ha resi più evidenti, nel senso che quando c'è una situazione emergenziale, se c'è qualcosa che non funziona, viene evidentemente subito allo scoperto. Ci sono state, da questo punto di vista, probabilmente anche debolezze di un certo grado di coordinamento, che pure era previsto in tutte le leggi di attuazione del federalismo fiscale.
  Però le difficoltà dell'impianto federalista e della realizzazione che c'è stata in questi anni secondo me prescindono dal COVID. Sono solo state rese più evidenti, ma esistevano già. Se non si prende una strada in questa direzione, continueranno probabilmente a esistere senza che il federalismo sia realizzato in maniera compiuta. Ripeto, questo è molto importante anche in vista delle esigenze, manifestate da alcune Regioni, di procedere a meccanismi di federalismo differenziato. Questo è molto più semplice e condivisibile – anche dal punto di vista politico ritengo – una volta che la base ordinaria del federalismo sia stata Pag. 18sistemata in maniera soddisfacente. Mi sono permesso questa riflessione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente la professoressa Cerniglia e il professor Liberati per il loro contributo e la loro relazione. Dispongo che la documentazione consegnata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione. Grazie.

  La seduta termina alle 9.30.

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