XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 40 di Mercoledì 20 ottobre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Ufficio parlamentare di bilancio sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Zanardi Alberto , consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 
Perosino Marco  ... 9 
Ruggiero Francesca Anna (M5S)  ... 10 
Turri Roberto (LEGA)  ... 10 
De Menech Roger (PD)  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 11 
De Menech Roger (PD)  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 
Zanardi Alberto , consigliere dell'Ufficio Parlamentare di bilancio ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione presentata dall'Ufficio Parlamentare di bilancio ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Ufficio parlamentare di bilancio sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 comma 5 del regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione di rappresentanti dell'Ufficio parlamentare di bilancio sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. In rappresentanza dell'Ufficio parlamentare di bilancio interviene in audizione il professor Alberto Zanardi, componente del Consiglio, che la Commissione ha già avuto modo di audire in precedenti occasioni.
  Come è noto, l'Ufficio parlamentare di bilancio secondo quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera f della legge costituzionale 1 del 2012 e dall'articolo 16 della legge 243 del 2012 è un organismo indipendente per l'analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica, per la valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio, con sede presso le Camere.
  Alla luce dell'importante funzione assegnata all'Ufficio parlamentare di bilancio, il contributo fornito nel corso dell'audizione odierna acquista una particolare valenza, non solo ai fini della ricognizione del grado di attuazione del dettato normativo della legge 42 del 2009, ma anche nell'ottica dell'approfondimento delle diverse questioni aperte in ordine all'assetto e l'evoluzione della finanza territoriale.
  Ricordo che i componenti della Commissione – in virtù di quanto stabilito dalla Giunta per il regolamento della Camera nella riunione del 4 novembre del 2020 – possono partecipare alla seduta anche da remoto.
  Considerato che l'assemblea del Senato è convocata alle ore 9 per le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, in vista del Consiglio europeo del 21 e 22 ottobre del 2021, faccio presente che – secondo le intese intercorse – dopo lo svolgimento della relazione introduttiva da parte del professore Zanardi il dibattito sarà limitato a un oratore per gruppo, per poi lasciare spazio alla replica. Invito, pertanto, a far pervenire alla Presidenza le richieste di iscrizione a parlare, raccomandando ai colleghi di contenere la durata degli interventi.
  A questo punto do il benvenuto al professor Zanardi, che ringrazio a nome di tutta la Commissione per avere accettato l'invito, cedendogli la parola. Prego.

  ALBERTO ZANARDI, consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Grazie presidente e grazie alla Commissione per l'invito. Nella mia presentazione io farò riferimento a una memoria che è stata depositataPag. 4 e quindi lascio a disposizione della Commissione. Dati anche i limiti di tempo, accennerò fondamentalmente ai punti che vorrei presentare e quindi farò numerosi rimandi alla documentazione che è stata depositata. Nella presentazione io vorrei – seppure molto rapidamente – toccare quattro punti.
  Il primo è quello di una qualche valutazione sullo stato di attuazione della riforma del federalismo fiscale, soprattutto nel comparto comunale. Il secondo è qualche valutazione sui possibili riflessi che il disegno di legge delega sulla riforma fiscale recentemente approvato dal Governo, potrebbe avere sul sistema di finanziamento degli enti decentrati, attraverso ovviamente la revisione di alcuni tributi locali. Il terzo punto riguarda una nostra valutazione sul coinvolgimento, sul ruolo che gli enti decentrati potrebbero giocare come soggetti attuatori nell'ambito nella realizzazione del PNRR. Infine, farò qualche valutazione, se ci sarà tempo, sull'obiettivo collegato, ma distinto del PNRR rispetto a quello del coinvolgimento degli enti decentrati, che è quello della riduzione dei gap infrastrutturali tra i vari territori, quindi il problema della perequazione infrastrutturale.
  Il primo punto è quindi lo stato di attuazione della riforma del federalismo fiscale. La nostra valutazione è che, nonostante i pesanti condizionamenti determinati dalla crisi COVID-19, che hanno in qualche misura coinvolto in termini emergenziali il sistema di finanziamento negli enti decentrati del nostro Paese, nell'ultimo biennio noi abbiamo registrato tutta una serie di innovazioni che costituiscono significativi passi avanti sulla via dell'attuazione completa e compiuta della riforma del federalismo fiscale. Sono passi avanti fatti nel comparto della finanza comunale, nulla è stato di fatto realizzato nell'ambito della finanza regionale, però ricordo che il PNRR considera il completamento della riforma del federalismo fiscale – in modo particolare della componente regionale entro il primo semestre del 2026 – come una riforma abilitante per il PNRR. Finora marginali sono stati i passi avanti per quanto riguarda province e città metropolitane, nel 2022 ci sarà la fiscalizzazione dei trasferimenti e l'attivazione dei due fondi perequativi distintamente di province e città metropolitane. Con riferimento al comparto che ha registrato le maggiori innovazioni, quello comunale, quali sono i principali avanzamenti su cui abbiamo una valutazione positiva? Innanzitutto è stato cambiato l'impianto della perequazione comunale, nel senso che al termine del periodo di transizione – relativamente lungo, fino al 2030 – il Fondo di solidarietà comunale sarà basato integralmente sulla componente perequativa che passa attraverso fabbisogni standard e capacità fiscali standard. È stato abbandonato, almeno in prospettiva, ogni riferimento al criterio storico, facendo saltare questo target perequativo del 50 per cento che stava nell'impianto originario. In secondo luogo, è stato avviato un processo di revisione della metodologia dei fabbisogni standard ai fini della perequazione, a risorse date, con l'obiettivo di sganciarli dal riferimento dei livelli di servizio storicamente forniti dai vari comuni e di collegarli, invece, in modo più chiaro e saldo a dei livelli di servizio standardizzati. La prima operazione è stata fatta a risorse standard e quindi ha comportato una qualche misura di ridistribuzione tra enti con servizi di livello elevati a enti con livelli bassi di servizio. Nel 2019 si è intervenuti sugli asili nido, nel 2020 sul comparto multieterogeneo dei servizi sociali, legando il fabbisogno standard dei comuni a livelli di servizi in termini quantitativi e qualitativi per gli enti più virtuosi. Forse l'elemento innovativo più importante però è stato il riconoscimento di risorse aggiuntive a favore dell'insieme dei comuni.
  La legge di bilancio del 2021 ha consentito, attraverso trasferimenti verticali dallo Stato, un innalzamento dei livelli minimi di alcuni comparti – asili nido e servizi sociali – ancora garantiti a tutti i comuni, rafforzando ancora, anche per questa via, l'aggancio ai livelli di servizio standardizzati in una chiara prospettiva di convergenza e quindi attribuendo queste risorse aggiuntive soltanto ai comuni con livelli di servizi insufficienti. Di nuovo i due comparti interessati sono stati i servizi sociali, da un Pag. 5lato, e gli asili nido. In modo particolare, per quanto riguarda gli asili nido, i fondi aggiuntivi – che, sottolineo, sono di parte corrente, poi c'è tutta la questione dei fondi di natura infrastrutturale – sono attribuiti solo ai comuni, con tassi di copertura inferiori alla media delle fasce demografiche a cui appartengono i singoli comuni, di nuovo con chiare finalità di convergenza verso livelli di servizio uniformi tra i vari enti.
  Collegato a questo, un'altra innovazione, credo, di un certo rilievo è l'introduzione di sistemi di monitoraggio. Per evitare che queste risorse aggiuntive siano utilizzate dai comuni beneficiari per altre finalità, cioè impiegati in altri settori che non siano quelli che si vogliono specificamente rafforzare, è stato introdotto – per ora soltanto nella funzione servizi sociali, in prospettiva anche per gli asili nido – un meccanismo di monitoraggio e di sanzione, nel senso che se i comuni mancano di impiegare questi fondi aggiuntivi in questi settori che si vogliono sostenere, dovranno restituire i fondi aggiuntivi al Fondo di solidarietà comunale. Anche per questa via un rafforzamento del legame tra attribuzione di risorse finanziarie e livelli di servizio standardizzati. Tutte innovazioni, queste, che rendono più concreto uno degli obiettivi fondamentali della riforma del federalismo fiscale, cioè costruire un sistema perequativo che garantisca a tutti i comuni livelli di servizio, non risorse, ma innanzitutto livelli di servizio standardizzati a favore dei propri cittadini e delle imprese.
  Ci sono alcuni punti critici che necessitano una azione di finalizzazione, di completamento che sono ancora da affrontare. Il primo riguarda la questione annosa di una chiara definizione dei LEP (Livelli essenziali delle prestazioni) per i servizi comunali, che garantisca un ancoraggio solido ai fabbisogni standard. Per le prestazioni comunali che riguardano diritti civili e sociali, la standardizzazione dei fabbisogni richiede l'ancoraggio a specifici livelli di servizio definiti in termini quantitativi e qualitativi, i quali devono fare riferimento necessariamente a dei LEP esplicitamente fissati dal legislatore. Oggi il quadro della determinazione normativa dei LEP per le funzioni comunali è lacunoso, soprattutto in ambiti complessi, perché articolati, differenziati come è l'ambito dei servizi sociali, in parte del TPL (Trasporto pubblico locale). Talvolta questi indicatori, questi LEP fissati normativamente, sono di fatto inutilizzabili ai fini del calcolo della determinazione dei fabbisogni standard, perché mancano di una adeguata specificazione quantitativa. Certamente ci sono dei passi avanti, nell'ultima NADEF (Nota di aggiornamento al DEF) era risultato in modo positivo il fatto che ci sia una indicazione di una possibile definizione di LEP sugli asili nido, sui servizi di trasporto per gli studenti disabili e per quanto riguarda anche i servizi sociali. Però non bisogna cadere nella retorica dei LEP. I LEP vanno fissati normativamente, ma tenendo sempre conto delle compatibilità di finanza pubblica, ovviamente. D'altra parte può essere molto difficile in alcuni ambiti, una volta fissati, la loro traduzione operativa in termini di fabbisogni standard, soprattutto in quegli ambiti di intervento pubblico a livello decentrato in cui sono coinvolti diversi livelli di Governo, penso soprattutto, per esempio, al TPL.
  Una seconda linea di intervento da completare, sempre coerentemente con questa idea di un rafforzamento del legame fra risorse e specifici livelli di servizi assicurati ai cittadini, è il rafforzamento della componente verticale del Fondo perequativo comunale, attraverso trasferimenti verticali dal bilancio dello Stato. In questo modo si rafforzerebbe la riconoscibilità del ruolo centrale del Governo, dello Stato, nella garanzia dei diritti sociali e di cittadinanza, che necessariamente è di competenza del Governo centrale. Il rafforzamento di questa componente verticale potrebbe essere una sorta di sottoprodotto, anche un esito specifico dell'applicazione della legge delega di revisione dei tributi, perché si aprono degli spazi sui trasferimenti verticali, nella misura in cui ci può essere un eventuale parziale arretramento dei tributi locali o, ovviamente, se ci fossero trasferimenti verticali aggiuntivi rispetto alle risorse esistenti.Pag. 6
  C'è ancora una questione annosa che è la riconduzione nel perimetro della capacità fiscale standard, quindi nella perequazione di alcune componenti di risorse che affluiscono ai comuni. Penso soprattutto ai ristori per i tagli, le riduzioni di gettito sulla tassazione immobiliare che sono attribuiti ai comuni fuori perequazione, quindi attribuiti sulla base storica.
  C'è poi un problema critico, io credo, che è quello del rafforzamento necessario del coordinamento tra le nuove dotazioni infrastrutturali che saranno attribuite ai comuni attraverso l'attuazione del PNRR e degli altri programmi di infrastrutturazione e dall'altra parte le risorse di parte corrente che servono per il funzionamento di queste nuove strutture e che consentono a queste strutture di diventare strumenti di offerta, di fornitura di servizi a favore dei cittadini e delle imprese. È un problema che si pone in termini macrofinanziari, in termini di comparto, bisogna assicurare al comparto dei comuni risorse sufficienti. Ma si pone anche in termini «micro», nel senso che bisogna poi attribuire queste risorse di funzionamento di parte corrente in modo coerente con quelle che sono le allocazioni delle risorse nuove infrastrutturali che saranno attribuite ai singoli comuni in relazione, tendenzialmente, a obiettivi di convergenza e di coesione.
  Secondo punto che vorrei trattare riguarda – come dicevo – i possibili riflessi che la legge delega sulla riforma del sistema fiscale potrebbe avere sul sistema di finanziamento degli enti decentrati, attraverso la revisione dei tributi locali. Le indicazioni che possiamo trarre dal disegno di legge delega su questo punto riguardano fondamentalmente tre blocchi. L'IMU (Imposta municipale unica) attraverso la riforma del catasto, gli interventi sulle addizionali IRPEF (L'imposta sul reddito delle persone fisiche), sia comunali, che regionali di cui si annuncia la trasformazione in sovraimposte e poi l'IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive), di cui si prevede l'abolizione. Va detto che questi interventi impattano su un quadro generale dei tributi locali che oggi è stato fortemente distorto dagli interventi che negli ultimi dieci, quindici anni sono stati attivati dal Governo centrale per esigenze nazionali di stabilizzazione macroeconomica, di risanamento dei conti pubblici. L'obiettivo anche della riforma fiscale dovrebbe essere quello di ristabilire coerenza tra il sistema dei tributi locali e i principi della riforma sul federalismo fiscale, quindi favorire una maggiore autonomia, una maggiore responsabilizzazione nelle decisioni tributarie dei decisori locali. Però questa prospettiva di ridare coerenza tra il sistema dei tributi locali e i principi del federalismo va vista in una prospettiva corretta, che deve tenere conto del fatto – come abbiamo detto prima – che oggi e anche soprattutto in prospettiva i sistemi perequativi diventeranno sempre più pervasivi. È ovvio che i tributi locali, i gettiti e le aliquote standard dei tributi locali entrano nella capacità fiscale standard e sono perequati dai sistemi perequativi. Vuol dire che i gettiti ad aliquota standard, anche quando subiranno eventualmente variazioni a causa di interventi di riforma, saranno comunque perequati all'interno del Fondo di solidarietà comunale. Quello che sta fuori perequazione sarà, invece, la componente dei tributi locali che effettivamente potrà subire gli effetti di eventuali interventi di riforma attuati dalla legge delega. L'obiettivo, il punto di attenzione quando andiamo a considerare i possibili riflessi che la legge delega potrà avere sulle imposte locali, riguarda in che misura l'attuazione della delega consentirà di preservare e forse, meglio rafforzare gli spazi di autonomia che gli enti decentrati possono esercitare sui loro tributi. Quindi è l'ambito dello sforzo fiscale che è rilevante e non l'ambito dei gettiti ad aliquota standard che sono totalmente in prospettiva perequati attraverso i sistemi di equalizzazione a livello locale.
  Nella memoria trovate qualche evidenza quantitativa – lo riassumo molto velocemente – sul fatto che ad oggi gli spazi in sforzo fiscale, soprattutto in ambito comunale, sono fondamentalmente esauriti per molti comuni, sia sul lato dell'IMU, sia sul lato dell'addizionale comunale all'IRPEF. Quindi una ricostituzione di questi spazi di autonomia potrebbe essere uno degli obiettiviPag. 7 importanti nella prospettiva della finanza locale dell'attuazione della legge delega.
  Per le Regioni il quadro è diverso, è più variegato, perché c'è una chiara evidenza del fatto che la leva fiscale, lo sforzo fiscale è utilizzato prevalentemente nelle Regioni sottoposte a piani di rientro dei disavanzi sanitari e quindi nelle altre Regioni, soprattutto nelle Regioni a statuto speciale rimangono ancora spazi di autonomia utilizzabili.
  Detto ciò, quali sono le linee di intervento che sono prospettate dalla legge delega? Il primo punto riguarda la tassazione immobiliare che è qui rilevante perché è fondamentalmente attribuita agli enti locali. Come sapete, la legge delega affronta il tema della revisione delle rendite catastali su due fronti. Il primo è un fronte, come dire, immediatamente operativo e consiste in una correzione puntuale dei classamenti degli immobili a struttura estimativa invariata, quindi a parità di calcolo e di determinazione dei valori catastali.
  Il secondo fronte, più di prospettiva, è quello che riguarda l'avvio di una procedura complessa di stima di indicatori che sono collegati ai valori di mercato, però senza prevederne ad oggi, nell'immediato, una diretta applicazione nell'ambito della tassazione.
  Non ho tempo di andare nei dettagli, ma i messaggi fondamentali che possiamo ricavare dalla nostra analisi direi che sono due. Il primo riguarda gli immobili non iscritti al catasto. Nel passato abbastanza recente, l'Agenzia del territorio ha proceduto a vaste operazioni di individuazione di immobili non censiti. C'è da domandarsi che cosa resti effettivamente ancora da fare emergere, nel senso che lo stock di immobili non censiti è stato fondamentalmente individuato e ci si può domandare se operazioni aggiuntive di emersione di immobili non censiti possano portare, in termini di tassazione, a risultati consistenti.
  Sull'altro punto – quello di una costruzione di un nuovo catasto basato su valori più vicini a quelli di mercato – certamente è stato utilizzato dalla legge delega un approccio pragmatico, nel senso che si è intervenuti su un tema molto delicato, separando l'aspetto tecnico della complessa procedura di valutazione dei nuovi estimi catastali basati su valori di mercato, rispetto all'aspetto più politico della sua applicazione. Ci si può domandare se la costruzione di una sorta di catasto parallelo, basato sui valori di mercato, possa contribuire in qualche modo a rimuovere gli ostacoli di carattere politico all'introduzione di questa riforma. La disponibilità di queste stime in modo estensivo e capillare su singoli immobili, potrebbe contribuire a dare una misura della reale portata di questo intervento, facendo capire che non ci sono soltanto perdenti, ma ci sono anche soggetti che si avvantaggeranno dal nuovo sistema. Va detto che la simmetria della distribuzione degli scostamenti tra valore patrimoniale e valore catastale evidenziano che c'è una certa concentrazione di queste sperequazioni, di queste differenze su segmenti specifici circoscritti degli immobili. Questo sembra suggerire che – a parità di gettito, ovviamente – il numero di coloro che saranno avvantaggiati in termini di contribuenti potrà essere superiore al numero di coloro che saranno svantaggiati e questo potrebbe costituire una sorta di pubblica opinione che potrebbe sostenere questa riforma.
  Una parola sulle addizionali comunali e regionali all'IRPEF. Come sapete oggi le addizionali comunali e regionali all'IRPEF vengono applicati con regimi estremamente eterogenei, diversificati soprattutto dai comuni. Il passaggio da addizionali a sovraimposte avrebbe il vantaggio di evitare il sovrapporsi di differenti strutture di progressività sui contribuenti residenti in diverse aree del Paese, lasciando solo a livello centrale l'esclusività nella determinazione del sistema delle aliquote e degli scaglioni. Il costo, ovviamente, è che rispetto ad un addizionale c'è una limitazione degli spazi di autonomia e di libertà per gli enti territoriali, perché tutto ciò che sta a monte della determinazione del gettito erariale – quindi della base imponibile della sovraimposta – è determinato unicamente dal Governo centrale.Pag. 8
  Un punto che vorrei sottolineare molto rapidamente, riguarda il fatto che il disegno di legge delega fornisce indicazioni diverse per questa trasformazione da addizionale in sovrapposte distintamente per le Regioni da un lato, e i comuni dall'altro. Per le Regioni direi che il problema è semplice, nel senso che l'addizionale regionale all'IRPEF ha una sua aliquota di base (1,23 per cento), quindi la trasformazione da addizionale in sovrapposte verrebbe fatta sulla base di una garanzia di gettito della nuova sovraimposta che dovrebbe essere uguale al gettito che attualmente si ottiene ad aliquote base per l'addizionale. Nel caso dei comuni la faccenda è un pochino più complicata, perché il disegno di legge delega dice che l'introduzione della sovraimposta dovrebbe essere determinata – per quanto riguarda i suoi limiti di manovrabilità – in modo da garantire ai comuni nel loro complesso un gettito corrispondente a quello attualmente derivante dall'applicazione dell'aliquota media all'addizionale. Questo vorrebbe dire che ci potrebbe essere una perdita di possibilità di raccolta in termini di gettito per i comuni che attualmente tirano l'aliquota dell'addizionale su livelli molto elevati. Noi abbiamo fatto qualche stima sui dati di reddito 2020, e risulta che il gettito di questa futura sovraimposta, applicando l'aliquota massima, sarebbe inferiore a quello attuale dell'addizionale per almeno il 50 per cento dei comuni e questi comuni che perderebbero – anche sforzandosi al massimo con la nuova sovraimposta – corrispondono al 66 per cento della popolazione, perché fra questi comuni potenzialmente penalizzati troviamo molte grosse città.
  Un flash soltanto sull'IRAP. La legge delega prevede il superamento graduale dell'IRAP, non individua specificamente alternative di entrata. Oggi l'IRAP fornisce un gettito – per quanto riguarda la parte privata, l'aliquota standard – pari a poco meno di 14 miliardi. Come sapete si è acceso un dibattito sulle possibili ipotesi di tributi sostitutivi, che siano in grado di garantire gettiti analoghi, ma anche spazi di manovrabilità, perché come dicevo prima questo è il senso di un tributo locale.
  Nell'ambito di questo dibattito è emersa la possibilità di introdurre una addizionale all'IRES (Imposta sul reddito delle società) da attribuire alle Regioni. Vanno attentamente valutate le differenze tra queste due imposte in termini di ampiezza della platea dei contribuenti, in termini di definizione delle basi imponibili – che sono diverse, da un lato profitti e interessi passivi, dall'altro soltanto i profitti – e in termini anche di distribuzione della base imponibile. Ricordiamo che una eventuale trasformazione ad aliquote standard andrebbe nel sistema perequativo, quindi sarebbe compensata, ma la parte di sforzo non sarebbe perequata.
  Un accenno riguarda il terzo tema che vorrei trattare, il ruolo degli enti decentrati nella gestione del PNRR. Ci aspettiamo ovviamente che gli enti decentrati, Regioni, province e comuni siano fortemente coinvolti nell'attuazione del PNRR. Ricordo che tra il 2010 e 2019 ben il 60 per cento della spesa per investimenti fissi è stata erogata dalle amministrazioni locali. Noi abbiamo cercato di stimare qual è la dimensione finanziaria del coinvolgimento degli enti locali nella gestione del PNRR, andando ad analizzare gli allegati del PNRR – quello che è stato mandato all'Unione europea, le famose 2.400 pagine degli allegati – andando a cercare tracce di quelli che sono i meccanismi di attuazione previsti per le singole linee di intervento, e valutando – all'interno di ogni singola linea di investimento o di riforma – quale potesse essere il ruolo, come soggetto attuatore, degli enti locali. I risultati li trovate nella tabella 5, in cui per ragioni comunicative abbiamo compattato le 190 linee di intervento soltanto nelle missioni e nelle componenti del dispositivo di ripresa e resilienza. Quello che viene fuori è fondamentalmente che gli enti decentrati dovrebbero gestire – come soggetti attuatori, quindi come responsabili diretti della realizzazione degli interventi – un ammontare di spesa che va tra i 66 e i 71 miliardi. In termini percentuali, dei 191 miliardi del dispositivo di ripresa e resilienza, una forchetta che sta tra il 35 e il 37 per cento. Ci sono degli intervalli, perché per alcune linee di intervento abbiamo dei Pag. 9dubbi su quale effettivamente sia la portata del ruolo degli enti locali.
  Ovviamente la distribuzione per missioni riflette le competenze che l'ordinamento attuale attribuisce agli enti locali. Per esempio, la Missione 6 «Salute» è praticamente interamente gestita dagli enti decentrati, ma quote molto importanti riguardano, per esempio, la Missione 5 «Inclusione e Coesione», in cui le Regioni sono i realizzatori degli interventi sulle politiche del lavoro e i comuni quelli delle politiche sociali. Abbiamo anche cercato di fare un'analisi sulla tempistica, anno per anno, di realizzazione degli interventi in cui gli enti decentrati sono coinvolti come soggetti attuatori, per avere un'idea di massima di quale potrebbe essere la pressione sugli enti locali in termini di carichi organizzativi, tecnici, amministrativi, in vista, appunto, della realizzazione del Piano. I risultati li trovate nella tabella 6 a pagina 23. Qui non ho tempo di andare nei dettagli; il messaggio è fondamentalmente che una buona parte della finalizzazione dei programmi, in termini di erogazione effettiva delle spese, si concentra soprattutto nella seconda parte dell'orizzonte temporale coperto dal Piano, perché circa il 45 per cento della spesa è collocato temporalmente nel biennio 2024 – 2025. Questo 45 – 46 per cento degli esborsi, valutato in termini di flussi finanziari, vale 16 miliardi, di fatto 12, al netto dei programmi già in essere. Dodici miliardi annui in più da gestire nel biennio 2024 – 2025, sono una sorta di misura del carico aggiuntivo che si concentra particolarmente in questi anni. Sono tanti, sono pochi? Gli enti territoriali riusciranno a reggere questo carico di tipo organizzativo, tecnico, amministrativo? Non è facilissimo valutarlo, però qualche considerazione si può fare. Questi 11 – 12 miliardi rappresentano il 40 per cento in più, in termini annui, di quanto è stata la spesa in conto capitale effettuata dalle amministrazione locali tra il 2018 e il 2020. Nel 2020 sappiamo che la spesa in conto capitale è aumentata a circa 31 miliardi, a causa della gestione del COVID-19. Ci si domanda se un ulteriore aumento della gestione di queste spese di oltre 10 miliardi annui nel triennio 2024 – 2025, possa essere sostenuto in termini di strutture coinvolte nella realizzazione degli interventi. Certo se guardiamo al passato la risposta sarebbe positiva, perché se guardiamo al periodo 2000 – 2008, gli enti locali gestivano circa 50 miliardi di spesa in conto capitale. Però nel frattempo c'è stato un indebolimento progressivo della dotazione di personale dell'amministrazione locale, che può avere ridotto le capacità potenziali di attivazione della spesa da parte di queste strutture.
  Ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. So che la materia è complessa e difficilmente riassumibile, però i tempi sono questi. La ringrazio per l'esauriente relazione. Ha chiesto di intervenire il senatore Perosino, prego.

  MARCO PEROSINO. Grazie, presidente. Grazie, dottor Zanardi. Mi riferisco alla riforma fiscale per quanto riguarda gli enti locali – come da lei accennato – sui tre temi IMU, IRPEF e IRAP. Premetto che avevo sentito in Commissione VI l'audizione del professore ed ex Ministro Tremonti, il quale aveva detto che bisogna fare attenzione a toccare il fisco, andare con cautela, che forse il sistema più rapido era quello di incidere sulle aliquote, perché la struttura nell'insieme era buona. Ma esamino quello che il Governo propone, la riforma nel catasto. Alcuni valori catastali dipendono dal periodo in cui è stato effettuato l'accatastamento, ci sono delle discrepanze a seconda dei periodi per lo stesso tipo di immobili e per lo stesso tipo di comuni. Ci sono ancora troppi fabbricati non censiti, ma questo non credo si potrà fare con la riforma, qualcosa si è fatto con gli aerofotogrammi a suo tempo – dieci anni fa circa – ma dipende molto anche dal sistema di controllo degli enti locali che per recuperare gettito hanno la possibilità di scovare – con più facilità rispetto allo stesso ente statale – quelli che sono non censiti. Il valore di mercato è delicato, perché io penso di interpretare la situazione in questo modo. È notorio che i centri storici hanno aumentato il valore Pag. 10degli immobili, alcuni centri turistici lo stesso, ma che ci siano delle realtà in cui quando si vedono dieci cartelli «vendesi» di seguito, facendo un chilometro di strada, più quelli che sono all'asta per decisione bancaria, credo che dare dei valori in certe zone sia molto delicato rispetto al mercato. Per cui se andiamo a impelagarci – è un mio giudizio – in questa riforma che è avversata politicamente, credo che non sia facile.
  Sull'IRPEF non facciamo altro che fare un maquillage, la trasportiamo da una parte all'altra. Invece di essere una addizionale, è una sovraimposta, perché quando non si sa che cosa fare si dice «ricorriamo alla fiscalità generale». Se non è zuppa, è pan bagnato. Però i comuni da questa operazione – dice la sua relazione – perderebbero gettito. Dall'addizionale IRPEF i comuni hanno una entrata significativa nel bilancio, che hanno usato e sulla quale hanno fatto delle scelte politiche dal minimo al massimo dell'aliquota consentita, quindi una riforma che incide poco.
  L'IRAP abolita sarebbe bello, ma anche lì è fiscalità generale. Mi preoccupa il fatto che la riforma fiscale in realtà sia solo un sistema per cambiare le carte. Ultima domanda finale: tutti i comuni possono partecipare ai benefici del PNRR? Possono partecipare ai contributi e progettare? Anche quelli di piccole dimensioni?

  FRANCESCA ANNA RUGGIERO. Grazie, presidente. Buongiorno, dottor Zanardi. Rilevo molto positivamente tutti i punti che lei ha evidenziato del cambio di rotta dell'impianto della perequazione, del lavoro che abbiamo fatto in questi due anni, che ci porta veramente a rivedere tutto l'assetto e soprattutto a dare servizi sul territorio.
  Un po' di domande. Noi abbiamo la riforma fiscale, che prevederà una ripartizione differente dei fondi che arriveranno ai comuni e in più anche i fondi del PNRR, i fondi europei, tutti quelli che abbiamo sempre avuto e che restano. Abbiamo dei sistemi di monitoraggio, a prescindere dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, su tutti gli altri fondi per cui riusciamo a seguire e fare in modo che non vengano dissipati? Leggevo nella relazione della preoccupazione delle risorse al sud del 40 per cento, per cui i soggetti attuatori potrebbero anche non essere del sud, quindi di fatto quelle risorse non restano, se non nell'opera che è stata realizzata. Cosa ne pensa delle centrali di committenza che sono utilizzate dalla Guardia di finanza per espletare l'acquisto di beni e servizi? Sempre tra le preoccupazioni, la necessità di veicolare le risorse liberate, perché se è vero che andiamo a finanziare con i fondi del PNRR progetti cantierabili che in realtà erano già previsti, quelle risorse che vengono liberate devono essere comunque allocate nello stesso territorio per fare in modo che – come afferma anche lei nella relazione – il PNRR sia veramente qualcosa di aggiuntivo e non di sostitutivo. Abbiamo bisogno di questo sistema di monitoraggio che vada a realizzare una fotografia completa di tutti i fondi che abbiamo – europei, nazionali, le risorse regionali che vengono allocate e anche gli impegni dei bilanci comunali – e capire proprio come vengono gestiti e quali amministrazioni, quali enti investono in quali settori e quali invece no, nonostante abbiano quelle risorse da spendere.
  Poi, un ultimo quesito. Noi abbiamo un problema legato ai ritardi dei pagamenti delle Regioni nei confronti dei comuni delle quote di cofinanziamento dei progetti. Questo porta i comuni ad avere l'obbligo di pagare tempestivamente i fornitori di quel progetto, quindi ad accedere all'anticipazione di tesoreria per rispettare le norme, ma al tempo stesso, purtroppo, l'anticipazione di tesoreria produce la letterina da parte della Corte dei conti che non ammette questo meccanismo per colmare queste problematiche. Voi come Ufficio parlamentare di bilancio avete evidenziato questa problematica, e avete pensato a come aiutare i comuni affinché i progetti vengano fatti? Le Regioni in qualche modo pagano in anticipo o pagano nei tempi previsti le quote di cofinanziamento, oppure bisogna trovare un altro modo per ascriverlo nel bilancio. Grazie.

  ROBERTO TURRI. Grazie, presidente. Ringrazio il professor Zanardi. Io devo dire Pag. 11che le maggiori risorse che sarebbero arrivate ai comuni per il sociale, scuole materne e asili nido – io faccio l'amministratore locale in Provincia di Verona – non si sono percepite, non sono arrivate, forse perché da noi le scuole materne e gli asili nido sono gestiti da soggetti privati e sono molto capillari, quindi immagino che le risorse andranno in un'altra parte del Paese.
  Poi devo dire la verità, sono scettico rispetto a quello che lei diceva, che a breve saranno stabilite delle risorse, la fiscalità comunale degli enti territoriali, in particolare dei comuni. Faceva cenno al passato, quando nel 2014 – il professore diceva per problemi di finanza nazionale – sono state distratte delle somme, in particolare anche ricordo IMU, TARI e TASI. Vista questa operazione, sono scettico rispetto a quello che si dovrà fare nel prossimo futuro, perché secondo me è sbagliato proprio al principio. In un momento di difficoltà a maggior ragione sarebbero utili gli enti territoriali per ridurre queste difficoltà, perché ricordo allora che i comuni e le Regioni hanno risparmiato, ma il debito pubblico è aumentato e quindi di fatto questo sforzo dei comuni non è servito per ripianare o risolvere le situazioni a livello nazionale. Quindi legandomi anche alla riforma del catasto, io faccio presente che prima di inoltrarsi nel cambiare il presupposto dal valore catastale al valore di mercato dell'immobile, bisognerebbe veramente fare emergere quelle situazioni in cui non sono accatastate. Nel mio comune, un comune virtuoso, nel 2014 ho provveduto a inserire le aree fabbricabili che non erano ancora previste e su cui il comune non percepiva nulla, quindi è evidente che i comuni oggi sono in grande difficoltà, fanno fatica a gestirsi, perché non hanno risorse. Se fossero messi nelle condizioni di farlo, potrebbero sistemare – solo il comune può farlo – queste situazioni e recuperare risorse, prima di andare a modificare. Secondo me, è necessario che si proceda per fare emergere quelle situazioni che in alcuni comuni – nel nord, secondo me, sono state anche risolte – siano ancora in una situazione abbastanza precaria, e secondo me si dovrebbe procedere in questo senso. Grazie.

  ROGER DE MENECH. Buongiorno e grazie per la relazione. Parto da alcune considerazioni, anche da quelle fatte dal collega Turri in precedenza.

  PRESIDENTE. Le raccomando la brevità, perché tra sei minuti al massimo devo chiudere.

  ROGER DE MENECH. Il Paese è estremamente diverso nelle sue varie località geografiche, è stato citato l'esempio degli asili. È vero, c'è un pezzo del Paese, soprattutto il nord, dove questa funzione è stata ricoperta da un punto di vista storico dalle cosiddette scuole paritarie, quindi spesso in convenzione con i comuni, spesso in linea con il sistema scolastico di quei territori. Su questo noi una riflessione dobbiamo farla perché quel sistema è sicuramente in difficoltà e se i finanziamenti che arrivano, giustamente, aggiuntivi sono e riguardano esclusivamente la parte pubblica, un sistema come quello del nord Italia, in particolare delle nostre Regioni, va in difficoltà.
  Il secondo punto è la riforma del catasto. Se ho capito bene, l'obiettivo è quello – e deve essere molto chiaro – di portare a giustizia sociale e ad equità il sistema del catasto in tutto il territorio nazionale. Però è importante mettere in salvaguardia il tema del risultato positivo per i contribuenti che già oggi sono in linea con la posizione catastale, e che non sono in grado nemmeno di sopportare nessun tipo di aumento.
  Ultimo punto riguarda più in generale il PNRR – è stato anticipato da alcuni colleghi – e la capacità progettuale anche dei comuni piccoli del nostro territorio, quindi la domanda è se dobbiamo individuare delle aree omogenee che possano partecipare ai bandi del PNRR, con progetti di sviluppo anche di area vasta – quindi di unioni di comuni sul livello della provincia, per esempio – perché è impensabile, lo dico in maniera molto chiara, che un pezzo del Paese come i piccoli comuni possano Pag. 12essere completamente tagliati fuori dalle dinamiche del finanziamento del PNRR. Su questo una grande riflessione va fatta, perché le aree interne sono quelle che hanno anche più bisogno di investimenti, e quindi dobbiamo considerarle e fare in modo che a quei bandi possa aderire anche quel pezzo di Paese che spesso nel passato è stato dimenticato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Prego, professore, per la replica. Le chiedo cortesemente di contenere in pochi minuti, perché purtroppo per le 9 devo chiudere, grazie.

  ALBERTO ZANARDI, consigliere dell'Ufficio Parlamentare di bilancio. Reagisco in termini generali ad alcune sollecitazione che sono pervenute dai vari interventi.
  Sulla riforma fiscale e in modo particolare sulla questione degli interventi sull'IMU e la revisione del catasto, io ho cercato di evidenziare soprattutto quali potrebbero essere gli effetti sul finanziamento dei comuni che questa riforma potrebbe determinare, separando quella componente di aliquota standard rispetto alla manovrabilità.
  Il problema del catasto è fondamentalmente il problema della disomogeneità territoriale tra Regioni, tra ambiti urbani, centro e periferia, degli scostamenti tra i valori catastali e i valori di mercato. Non è tanto un problema di livello che è una scelta di politica fiscale che potrà essere fatta, ovviamente in ambiti diversi, indipendentemente da quella che è la valutazione della base. Il problema che si deve risolvere, io credo, è che c'è una forte eterogeneità dei rapporti tra valori catastali e valori di mercato. Qui ci sono delle evidenze quantitative disponibili che sono interessanti, nel senso che se più o meno in Italia il valore di mercato stimato è di tre volte in media quello catastale, attorno a questo c'è una variabilità molto ampia tra Regioni, tra ambiti urbani, tra centro e periferia. È un problema perequativo quello che si deve affrontare. Però, ripeto, gli effetti sulla finanza comunale sarebbero relativamente limitati, sarebbero effetti sui contribuenti, c'è il problema fondamentalmente della condizione di parità di gettito.
  Una serie di altre sollecitazioni riguardano la questione della partecipazione al PNRR, se aperta anche ai comuni di piccole dimensioni. Questo è un grosso problema, io credo, nel senso che una parte importante di quelle risorse che ho illustrato prima che dovrebbe andare ai comuni e alle Regioni come soggetti attuatori andrà attraverso i bandi; il modo con cui verranno scritti questi bandi è fondamentale, e il modo con cui le singole amministrazioni comunali saranno in grado di rispondere a questi bandi – con le loro capacità amministrative e tecniche – sarà decisivo per due aspetti fondamentali. Il primo aspetto è la capacità di realizzare effettivamente gli obiettivi che i diversi interventi infrastrutturali si pone, nel senso che se, per fare il solito esempio degli asili nido, i problemi di divari territoriali, i ritardi nella dotazione di posti di asili nido riguardano determinate tipologie di comuni, e sono quei comuni che dovrebbero rispondere in modo relativamente più ampio ai bandi. Quindi bisogna essere sicuri che abbiano le capacità tecniche.
  L'onorevole De Menech ricordava la questione della possibilità che i comuni si aggreghino per costituire massa, allo scopo di rispondere più adeguatamente a questi bandi. Credo che sia una prospettiva di grande interesse, anche tenendo conto che molte di queste infrastrutture hanno una dimensione minima di scala che è tecnicamente imprescindibile. Non possiamo pensare di costruire un asilo in tutti gli 8000 comuni di Italia, quindi si tratta di andare a costruire delle aggregazioni, degli ambiti che sappiano sfruttare adeguatamente le economie di scala e le economie di scopo.
  L'altro punto fondamentale riguarda anche la capacità di fare perequazione tra diversi territori, sempre attraverso la capacità dei comuni di rispondere a questi bandi.
  Sull'emersione degli immobili non censiti, al di là delle considerazioni che si facevano sull'effettiva potenzialità in termini di recupero di gettiti è fondamentale la partecipazione dei comuni, il sistema di incentivi che i comuni devono avere per poter in qualche modo riuscire a riportare Pag. 13nei bilanci comunali una parte di quello che ha recuperato. Se i sistemi perequativi sono talmente pervasivi da fare sì che ogni aumento di base imponibile recuperata poi vada a finire in perequazione, questi incentivi non esistono e quindi ci sarà una spinta relativamente limitata dei comuni a impegnarsi in queste attività di riclassamento.
  Per rispondere alla deputata Ruggiero, non abbiamo fatto analisi particolari sui ritardi di pagamento delle Regioni sulle quote di cofinanziamento a favore dei comuni, ma potrebbe essere un punto di riflessione che ci ripromettiamo di sviluppare.

  PRESIDENTE. Grazie professore, per il suo intervento. Dispongo che la documentazione consegnata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.

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