XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (III-IV Camera e 3a-4a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Martedì 24 agosto 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, e del Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sulla situazione in Afghanistan (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Fassino Piero , Presidente ... 3 
Di Maio Luigi (M5S) , Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale ... 5 
Fassino Piero , Presidente ... 11 
Guerini Lorenzo (PD) , Ministro della Difesa ... 11 
Fassino Piero , Presidente ... 17 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 17 
Fassino Piero , Presidente ... 18 
Picchi Guglielmo (LEGA)  ... 18 
Fassino Piero , Presidente ... 19 
Alfieri Alessandro  ... 19 
Fassino Piero , Presidente ... 20 
Gasparri Maurizio  ... 20 
Fassino Piero , Presidente ... 22 
Garavini Laura  ... 23 
Fassino Piero , Presidente ... 23 
Rauti Isabella  ... 24 
Fassino Piero , Presidente ... 25 
Romani Paolo  ... 25 
Fassino Piero , Presidente ... 27 
Palazzotto Erasmo (LeU)  ... 27 
Fassino Piero , Presidente ... 29 
Casini Pier Ferdinando  ... 29 
Fassino Piero , Presidente ... 30 
Silli Giorgio (CI)  ... 30 
Fassino Piero , Presidente ... 31 
Monti Mario  ... 31 
Fassino Piero , Presidente ... 31 
Monti Mario  ... 31 
Fassino Piero , Presidente ... 32 
Aresta Giovanni Luca (M5S)  ... 32 
Fassino Piero , Presidente ... 33 
Ferrari Roberto Paolo (LEGA)  ... 33 
Fassino Piero , Presidente ... 34 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 34 
Fassino Piero , Presidente ... 35 
Valentini Valentino (FI)  ... 35 
Fassino Piero , Presidente ... 37 
Delmastro Delle Vedove Andrea (FDI)  ... 37 
Lupi Maurizio (Misto-NcI-USEI-R-AC)  ... 38 
Migliore Gennaro (IV)  ... 39 
De Petris Loredana  ... 40 
Fassino Piero , Presidente ... 41 
Cabras Pino (Misto-L'A.C'È)  ... 41 
Borghi Enrico (PD)  ... 42 
Fassino Piero , Presidente ... 42 
Deidda Salvatore (FDI)  ... 42 
Tripodi Maria (FI)  ... 43 
Fassino Piero , Presidente ... 43 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 43 
Fassino Piero , Presidente ... 43 
Tondo Renzo (Misto-NcI-USEI-R-AC)  ... 43 
Napoli Osvaldo (CI)  ... 43 
Fassino Piero , Presidente ... 43 
Guerini Lorenzo (PD) , Ministro della Difesa ... 44 
Di Maio Luigi (M5S) , Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale ... 47 
Fassino Piero , Presidente ... 50

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA III COMMISSIONE DELLA
CAMERA DEI DEPUTATI
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione televisiva sui canali satellitari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e la trasmissione diretta sulle web-tv della Camera e del Senato.

Audizione del Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, e del Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sulla situazione in Afghanistan.

  PRESIDENTE. Come sapete, oggi noi abbiamo la riunione congiunta delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera e del Senato per esaminare la situazione in Afghanistan con l'audizione dei Ministri Guerini e Di Maio. Anche a nome dei presidenti Pinotti, Petrocelli e Rizzo, ringrazio tutti i deputati e senatori delle Commissioni, nonché molti altri parlamentari che hanno voluto assistere ai nostri lavori, una parte in presenza e circa novanta parlamentari collegati da remoto, quindi con un'attenzione che segna la volontà del Parlamento di seguire in modo adeguato gli eventi afgani. Ringrazio naturalmente i Ministri Di Maio e Guerini, che hanno accolto la nostra richiesta di averli in audizione.
  L'esito drammatico di una missione che in vent'anni ha coinvolto decine di Paesi, assorbito ingenti quantità di risorse finanziarie, impegnato centinaia di migliaia di uomini in armi, con un alto tributo di sangue di militari e popolazione civile, obbliga tutti a riflettere. Bene ha fatto il Presidente del Consiglio a proporre la convocazione di un G20 straordinario. L'intesa in seno al G7, riunito proprio in queste ore a Londra, è certo essenziale, ma non esaurisce l'esigenza di una riflessione e di azioni che coinvolgano un numero più ampio di nazioni, a partire dai principali player globali e dai Paesi della regione. Anche dalla vicenda afgana si evince l'impegno di ricostruire un sistema multilaterale di governance del mondo.
  In queste ore l'urgente priorità è condurre in porto l'evacuazione dei contingenti militari, del personale civile, dei collaboratori afgani, dei cooperanti e volontari di ong e associazioni umanitarie, nonché di cittadini afgani che per l'attività svolta in questi anni sono esposti a forti rischi della loro vita. Diranno i Ministri Di Maio e Guerini quel che si è fatto fin qui e quel che si intende ancora fare, in un contesto drammatico che richiederebbe un tempo non esauribile in pochi giorni. A maggior ragione, pieni sono l'apprezzamento e la gratitudine ai nostri team diplomatici e militari per la dedizione, l'umanità e l'efficacia con cui stanno assolvendo a compiti improbi, così come gratitudine rivolgiamo ai 50 mila militari italiani impegnati nella missione, rendendo onore ai cinquantaquattro caduti. E colgo questa occasione per ribadire l'esecrazione verso l'atto vile perpetrato contro il monumento ai caduti di Nassiriya qualche giorno fa a Torino.
  È altrettanto importante che i cittadini evacuati siano accolti dal nostro Paese con generosità e solidarietà, ed è certo confortante Pag. 4 la disponibilità manifestata da decine di Amministrazioni comunali, di ogni colore politico, e da numerose associazioni laiche e confessionali di volontariato. Ma non meno importante è non lasciare soli coloro che vogliono continuare a battersi in Afghanistan per affermare nel loro Paese diritti e libertà, persone e organizzazioni della società afgana cui abbiamo il dovere di assicurare sostegno e solidarietà.
  Per quanto intensa possa essere l'attività di evacuazione, essa non soddisferà la domanda di uscita dal Paese, anche per i ristretti limiti temporali concessi dalle autorità talebane alle operazioni di evacuazione. Da più parti si sono evocati in queste settimane i corridoi umanitari; ne hanno anche parlato autorevoli Primi Ministri europei. Corridoi umanitari che per essere attivati richiedono un'interlocuzione con le autorità di Kabul e una regia condivisa di accoglienza tra Paesi occidentali e Paesi della regione: obiettivi tutt'altro che scontati, a cui l'UNHCR, per il suo profilo umanitario e onusiano, è l'organizzazione che meglio potrà dare un contributo.
  Che cosa accadrà adesso in Afghanistan e quale rapporto stabilire con le nuove autorità al potere a Kabul dipenderà in buona misura dai comportamenti che adotterà la nuova leadership afgana. In questi giorni sono venuti messaggi di moderazione, a cui tuttavia fanno da contraltare le notizie di rastrellamenti casa per casa, esecuzioni sommarie, persecuzioni a danno delle donne e di quanti si sono battuti per affermare diritti e libertà. L'onere della prova spetta oggi a chi ha il potere, ed è evidente che la comunità internazionale graduerà le sue scelte alla luce di quel che accadrà a Kabul a partire dal cruciale tema del rispetto dei fondamentali diritti umani e civili, in primo luogo per le donne.
  Un altro interrogativo riguarda quali conseguenze si potranno produrre sugli scenari regionali, stante che l'Afghanistan è incastonato in una regione problematica tra Pakistan, Cina, Iran e le instabili Repubbliche euroasiatiche. Né meno interessati sono grandi altri player regionali quali la Russia, l'India, il Qatar, gli Emirati, così come immediati sono stati i contatti tra la leadership talebana e la Turchia. Da questi Paesi sono venute dichiarazioni di disponibilità a collaborare coi governanti afgani. Tutto questo interroga l'Occidente su quali strategie assumere in un'area strategica centrale per gli equilibri internazionali.
  La vicenda afgana ebbe inizio come risposta all'attentato terroristico di Al Qaeda contro le Torri Gemelle; il primo obiettivo della missione internazionale guidata dagli Stati Uniti era fermare l'azione terroristica di Bin Laden. Nonostante l'uccisione di Bin Laden e l'eliminazione dei suoi principali santuari, si commetterebbe un errore a credere che la minaccia terrorista sia diventata meno insidiosa. Non solo perché, sconfitto in Afghanistan, il jihadismo è ricomparso prima in Siria e in Iraq e oggi nel Sahel, ma anche perché i rapporti d'intelligence e delle stesse Nazioni Unite ci parlano di una rivitalizzazione di cellule di Al Qaeda in alcuni distretti afgani, il che dice che la lotta al terrorismo dovrà continuare ad essere una priorità dell'Agenda politica internazionale.
  L'esito infausto della missione in Afghanistan ha aperto un dibattito sul tema se sia giusto – uso la formula di gergo, per brevità – «esportare la democrazia»; dibattito, peraltro, che si ripropone ogni qualvolta l'Occidente attiva una missione internazionale. Quale che sia la risposta a quel quesito giova ricordare che in questi vent'anni in Afghanistan si sono conosciuti diritti e spazi di libertà grazie alla protezione assicurata dalla presenza internazionale, tant'è che oggi siamo tutti angosciati per la sorte delle donne afgane e di quanti per quei diritti si sono battuti, al punto da chiederci perché sia stato deciso un ritiro così precipitoso.
  Ci sono interrogativi che chi ha responsabilità pubbliche non può eludere. Di fronte a gravi e continuate violazioni di diritti umani o comportamenti aggressivi che insidiano la sicurezza e la convivenza internazionale è sufficiente fare appello alla moral suasion? Quando il ricorso a sanzioni – strumento peraltro applicato solo dall'Occidente – non ottiene risultati, con quali altri mezzi agire? Il giusto riconoscimento delle diversità identitarie può giustificare Pag. 5 la negazione dei diritti umani che appartengono ad ogni donna e ad ogni uomo, quale che sia il suo genere, il colore della sua pelle, il Dio che prega, la lingua e la cultura che esprime? A che condizioni e con quali modalità si può ricorrere all'uso della forza e con quale strategia politica, di azione civile e sociale la si accompagna? Sono questioni cruciali. A nessuna di queste domande la risposta è semplice. Tuttavia chi ha responsabilità pubbliche ha il dovere di porsi queste domande e di cercare delle risposte.
  Infine, la vicenda afgana impone di riflettere anche sulle relazioni tra Stati Uniti e Unione europea: un rapporto strategico indissolubile, ma che per essere efficace richiede che a burden sharing corrisponda anche power sharing. Non è stato così in Afghanistan, dove si è andati insieme ma da cui si sta uscendo sulla base di decisioni unilaterali degli Stati Uniti e non condivise con gli alleati. Naturalmente un'Europa che pretenda di condividere deve mettersi nelle condizioni di essere un soggetto capace di parlare una sola lingua e agire con una sola mano, e questo impone di riflettere su come superare gli ostacoli che fino ad oggi si sono frapposti a una vera politica estera e di sicurezza europea.
  Ho richiamato, anche a nome degli altri presidenti di Commissione, alcuni dei principali nodi che la vicenda afgana pone. Altri emergeranno nel corso del dibattito. Le risposte non sono semplici, né immediate, né univoche, ma credo che in tutti noi ci debba essere la consapevolezza che quel che è accaduto in Afghanistan non riduce le nostre responsabilità, ma al contrario le accresce. Grazie.
  Prima di dare la parola al Ministro Di Maio permettetemi, a nome di tutti voi, di salutare l'onorevole Gianfranco Paglia, che come sapete è un nostro collega, militare che ha subito una grave menomazione durante la sua partecipazione alla missione a Mogadiscio. Detto questo, la parola al Ministro Di Maio per il Suo intervento. Grazie.

  LUIGI DI MAIO, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente, e grazie a tutti i presidenti delle Commissioni presenti, ai parlamentari della Repubblica. Vi ringrazio per l'invito a riferire, insieme al Ministro Guerini, sulla crisi in Afghanistan, che merita tutta l'attenzione del Governo e del Parlamento. A tempo debito non potremo e non dovremo esimerci – come Occidente, come Europa e come NATO – da una riflessione approfondita sulle lezioni da apprendere, una riflessione che deve partire dal riconoscimento obiettivo delle nostre responsabilità, ma anche dalla consapevolezza di non essere stati in Afghanistan invano.
  La fragilità delle istituzioni afgane, la liquefazione istantanea delle Forze armate locali, l'inaffidabilità delle previsioni sulla loro tenuta sono sotto gli occhi di tutti, ma è anche vero che in questi vent'anni abbiamo contribuito a mantenere la stabilità regionale, contrastare il terrorismo, favorire più istruzione, diritti e libertà per il popolo afgano. È proprio questa consapevolezza a spronarci a fare il possibile perché quei diritti non vengano ora brutalmente cancellati. Lo dobbiamo soprattutto alle afgane e agli afgani e ai tanti italiani – diplomatici, militari, operatori della società civile – che hanno lavorato instancabilmente, persino sacrificato la loro vita, per offrire un futuro migliore all'Afghanistan. A loro va il nostro ricordo e la nostra gratitudine.
  Prima di approfondire i singoli punti della mia relazione introduttiva, lasciatemi quindi dire che l'Italia deve essere orgogliosa dell'operato dei suoi diplomatici, militari e cooperanti, servitori dello Stato e del bene comune che hanno aiutato il popolo afgano in questi vent'anni e che in queste ore stanno continuando a dare il massimo a Kabul nonostante le condizioni drammatiche. La nostra presenza congiunta con l'Ambasciata italiana a Kabul, l'Agenzia di cooperazione allo sviluppo, le organizzazioni non governative e il nostro contingente a supporto di queste attività ha consentito in questi anni di poter svolgere numerosi progetti a sostegno delle donne e per la scolarizzazione dei bambini, per la costruzione di pozzi, scuole, strade e reti elettriche. Li abbiamo realizzati con un approccio unico al mondo, quelli che tutti Pag. 6definiscono l'Italian way. Voglio ringraziare ogni singolo operatore italiano per il lavoro fatto e per il lavoro che sta ancora facendo in quell'area.
  La presenza occidentale ha garantito in questi vent'anni importanti passi avanti per il popolo afgano. L'immagine straziante delle donne afgane che lanciano i propri figli oltre il filo spinato, affidandoli ai soldati occidentali, dice del loro terrore, ma anche della fiducia che continuano a riporre in noi. Il grido di dolore degli afgani ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica l'importanza della cooperazione allo sviluppo e dei corridoi umanitari. All'emozione che tutti noi proviamo devono seguire fatti.
  Spero davvero che il Parlamento possa rispondere concretamente a questa immane tragedia approvando anche l'aumento delle risorse alla cooperazione allo sviluppo. Abbiamo chiesto di inserire in legge di bilancio un loro aumento di almeno il 30 per cento quest'anno e il 50 per cento l'anno prossimo. Siamo uno degli ultimi Paesi europei per fondi della cooperazione in rapporto al PIL, ed è solo grazie alla dedizione e al sacrificio di tanti diplomatici, funzionari, cooperanti e militari, che in questi anni abbiamo potuto aiutare milioni di persone con un risultato al di sopra dei nostri mezzi.
  Ora dobbiamo completare la fase di evacuazione, ma anche lavorare a una strategia che assicuri un impegno più a lungo termine a favore del popolo afgano. Nella visione italiana, l'approccio della comunità internazionale, a cominciare dall'Europa, dovrebbe articolarsi attorno a cinque priorità: protezione dei civili, tutela dei diritti umani, gestione dell'impatto migratorio, accesso umanitario, contrasto al terrorismo. La priorità più urgente è quella di realizzare il maggior numero possibile di evacuazioni e proteggere i civili.
  Ritengo utile ripercorrere con voi i passaggi che hanno condotto alla decisione di evacuare l'Ambasciata italiana a Kabul. Già a luglio, alla Farnesina si erano tenute riunioni di staff per definire gli aspetti operativi dei piani predisposti dall'Ambasciata per l'evacuazione del personale delle istituzioni italiane, dei connazionali, dei collaboratori afgani, di AICS (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo) e dei contingenti militari; ma è giovedì 12 agosto che la crisi subisce un'accelerazione. I talebani sono a Ghazni, a circa 150 chilometri da Kabul. Nel pomeriggio la NATO convoca nella capitale afgana una riunione con gli Ambasciatori degli alleati e il Capo delegazione dell'Unione europea. Come da noi richiesto, si parla del coordinamento internazionale in loco in caso di evacuazione.
  Alla Farnesina viene attivata una task force sempre connessa con il Ministero della Difesa. A Bruxelles l'Incaricato d'affari americano alla NATO informa gli alleati che Washington sta considerando di ridurre il personale civile a Kabul trasferendo in aeroporto chi è destinato a lasciare il Paese e incrementando il contingente di protezione militare. Questo scenario viene confermato con una telefonata della Vicesegretaria di Stato, Sherman, al Segretario Generale alla Farnesina, Ettore Sequi, che le chiede di mantenere uno stretto coordinamento sia nella capitale sia a Kabul.
  Da parte mia proseguo i contatti regolari con il Presidente del Consiglio e il Ministero della Difesa. Con il Presidente Draghi facciamo il punto della situazione alla luce degli ultimi sviluppi dopo l'avanzata dei talebani. Concordiamo che la priorità è la messa in sicurezza del personale delle istituzioni italiane a Kabul. Venerdì 13 agosto il Viminale ci comunica che la lista dei 450 collaboratori afgani di Ambasciata e AICS e i relativi familiari, inclusi nel piano di evacuazione, ha superato lo scrutinio di sicurezza. Con i nostri collaboratori prendiamo in considerazione l'eventualità di trasferire in aeroporto il personale di Ambasciata e AICS in vista di una possibile evacuazione. Si tratterebbe di una sospensione temporanea delle attività diplomatiche a Kabul, mentre l'Ambasciata continuerebbe ad operare da Roma, come già avvenuto in precedenza durante le crisi in Libia e Siria.
  I contatti con l'Ambasciatore Sandalli a Kabul sono continui. Apprendiamo da lui, Pag. 7in quelle ore, che, oltre agli Stati Uniti, anche il Regno Unito, Turchia, Canada, Giappone, Germania, Danimarca e Norvegia hanno deciso di spostare tutto il personale civile in aeroporto e di procedere poi alla loro evacuazione. La priorità per tutti i Paesi occidentali in quelle ore è evacuare il personale delle Ambasciate e i collaboratori afgani con i familiari. Il 13 agosto è il giorno chiave: dopo la conquista di Herat, i talebani puntano su Kabul; si susseguono riunioni in ambiti NATO e Unione europea, a Kabul e a Bruxelles; si moltiplicano i contatti a livello bilaterale. Come scrive l'Ambasciatore Sandalli ai vertici della Farnesina, «l'improvviso ripiegamento all'aeroporto militare delle Ambasciate statunitensi e britanniche in corso di rapida esecuzione ha accelerato il piano inclinato in cui ci troviamo.»
  Americani e britannici assicuravano la sicurezza della cosiddetta green zone di Kabul, sia con Forze militari sia con società di vigilanza private. Ora che si spostano verso l'aeroporto, spiega Sandalli, la sicurezza della zona verde si riduce drasticamente. Da qui la decisione delle altre Ambasciate di trasferirsi in massa verso l'aeroporto.
  Dopo approfondite valutazioni con il Presidente del Consiglio e il Ministro della Difesa, decidiamo di lasciare l'Ambasciata e di trasferire tutto il personale civile e militare in aeroporto, garantendo condizioni di massima sicurezza durante il trasferimento. In serata, Farnesina e Viminale concordano di esonerare dal visto d'ingresso i collaboratori afgani di Esteri e Difesa e i loro familiari che hanno superato lo scrutinio di sicurezza del Ministero dell'Interno. Ciò consentirà di azzerare le procedure burocratiche connesse alla loro partenza da Kabul. I visti saranno poi rilasciati alla frontiera.
  Nella notte tra il 13 e il 14 agosto, come da nostra istruzione e di concerto con il DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), l'Ambasciata distrugge la documentazione classificata e mette fuori uso gli apparecchi per le comunicazioni con Roma. Sabato 14 agosto, a seguito dell'inarrestabile marcia dei talebani verso Kabul, decidiamo, di concerto con il Presidente del Consiglio e il Ministro della Difesa, di evacuare il personale civile dell'Ambasciata, di AICS e i connazionali. Come Farnesina optiamo per lasciare in aeroporto a Kabul il console Tommaso Claudi, come Incaricato d'affari, per facilitare le fasi di trasferimento dei collaboratori afgani, protetto dai carabinieri del Tuscania, paracadutisti della Folgore e incursori dell'Esercito.
  L'Unità di crisi attiva la procedura di evacuazione con comunicazione indirizzata al Ministero della Difesa COI (Comando Operativo di vertice Interforze). Domenica 15 agosto alle nove decolla il primo aereo militare dall'Italia direzione Kabul per l'evacuazione. La mattina stessa i talebani entrano a Kabul. Alle 10 di Roma elicotteri americani trasportano il personale civile e militare italiano, più alcuni connazionali, dalla green zone di Kabul all'aeroporto. Alle 18,45 di Roma l'aereo militare italiano atterra nella capitale e alle 23 riparte con sessantaquattro passeggeri, personale civile dell'ambasciata, AICS, connazionali, personale locale NATO, i loro familiari, alcuni collaboratori afgani del contingente militare.
  Decidiamo di ricostituire l'Ambasciata presso la Farnesina, chiedendo espressamente all'ambasciatore Sandalli di continuare a guidarla da Roma perché insieme all'Unità di crisi possa coordinare le operazioni di evacuazione avendo tutti gli strumenti a disposizione. Vorrei con l'occasione ringraziare l'Ambasciatore per il prezioso lavoro già svolto a Kabul e proseguito a Roma in queste ore di emergenza. Il 15 agosto, oltre al nostro, partono anche i voli – un aereo ciascuno – di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Norvegia, Corea del Sud e Canada. Dopo che gli americani avranno lasciato l'aeroporto di Kabul – la data ipotizzata per ora è fine mese – non sarà comunque possibile – né per noi, né per alcun Paese dell'Alleanza – mantenere qualunque presenza diplomatica all'aeroporto.
  Nonostante il precipitare degli eventi a Kabul, con le milizie talebane che stavano entrando in città e prendevano il controllo delle principali strade verso l'aeroporto, Pag. 8l'Italia è stata tra i primi Paesi ad attivare un efficace ponte aereo. Colgo l'occasione per ringraziare donne e uomini del Ministero della Difesa per la dedizione e l'efficacia con cui hanno sempre collaborato con noi e hanno fronteggiato l'emergenza.
  Ad oggi abbiamo evacuato tutti gli italiani che ci hanno chiesto di lasciare il Paese, rispondendo alla comunicazione inviata dall'Ambasciata. Abbiamo portato in Italia quasi 2.700 afgani, principalmente collaboratori delle istituzioni italiane, a partire dal nostro contingente militare, e i loro familiari: un numero destinato a crescere, considerati i circa 1 mille afgani già in sicurezza in aeroporto e previsti imbarcarsi sui prossimi voli italiani. Lascio al Ministro Guerini fornire maggiori dettagli sul dispiegamento dell'operazione Aquila coordinata dal Comando Operativo di vertice Interforze.
  La messa in sicurezza di quanti hanno collaborato a vario titolo con la comunità internazionale e di personalità che si sono esposte a favore dei diritti umani e civili è un dovere morale e deve rimanere al centro dei nostri sforzi. Assieme alla Difesa, operiamo in stretto contatto con i partner internazionali, in particolare Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia, che ad oggi stanno assicurando la sicurezza dell'aeroporto di Kabul.
  Abbiamo intensificato il coordinamento internazionale. Occorrono massima collaborazione e solidarietà per completare senza discriminazioni le operazioni di evacuazione. Il principio in together, out together deve continuare ad applicarsi. In uno spirito di solidarietà e compatibilmente con le condizioni sul terreno e le nostre priorità nazionali, abbiamo imbarcato sugli aerei italiani anche personale afgano della Delegazione europea e dell'Ufficio del Rappresentante civile della NATO, l'Ambasciatore Pontecorvo, accogliendo le richieste di queste organizzazioni.
  Nel medesimo spirito, su richiesta del collega Blinken, abbiamo acconsentito al transito temporaneo presso le basi di Aviano e Sigonella di cittadini afgani evacuati con voli militari americani, in vista del loro ricollocamento finale negli stessi Stati Uniti o in altri Paesi terzi. Questa permanenza temporanea avviene a carico e sotto la responsabilità di Washington. Analoghi accordi sono stati conclusi fra Stati Uniti e altri Paesi europei, tra cui la Germania.
  La seconda priorità è il rispetto dei diritti individuali e delle libertà civili. Non possiamo tollerare che le conquiste di questi due decenni vadano perdute. Penso in particolare ai diritti delle donne e dei bambini, all'impegno dei giornalisti, dei medici, degli operatori umanitari. Al di là delle dichiarazioni, osserviamo che in alcune città dell'Afghanistan i talebani stanno tornando a imporre pratiche inaccettabili, quali i matrimoni precoci e forzati, e a negare alle donne i più elementari diritti, a cominciare dall'istruzione. C'è un'intera generazione di ragazzi afgani cresciuta senza il regime talebano. Consapevoli delle difficoltà operative, stiamo cercando di incrementare l'offerta di borse di studio a loro destinate per tutelare in Italia il loro diritto all'istruzione. Intendiamo facilitare sinergie tra università, Amministrazioni e società civile, mettendo a sistema le numerose offerte di solidarietà che in questi giorni ci stanno arrivando. Siamo preoccupati per la condizione dei difensori dei diritti umani, di coloro che hanno a qualunque titolo collaborato con il precedente Governo e con la comunità internazionale, delle minoranze etniche e religiose, tra le quali piccole comunità sikh e indù e gruppi sciiti di etnia hazara, già da tempo obiettivo sistematico di attacchi e persecuzioni. Giudicheremo i talebani dalle azioni, non dalle parole.
  Stamattina è iniziata una sessione del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite focalizzata sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan. L'Italia ha sostenuto l'iniziativa di questa sessione speciale richiesta dal Rappresentante permanente dell'Afghanistan e dal Pakistan a nome dell'Organizzazione della cooperazione islamica e sostenuta, tra gli altri, da tutti i membri dell'Unione europea e dagli Stati Uniti. Al termine, il Consiglio – ancora in corso – dovrebbe adottare una risoluzione che auspichiamo preveda il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. L'Afghanistan Pag. 9sarà tra i temi prioritari anche della prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Al margine dell'Assemblea l'Italia intende promuovere, d'intesa con l'Unione europea e altri partner, uno specifico evento dedicato alle donne afgane.
  Terza priorità, la gestione dell'impatto migratorio. È chiaro che crescerà la domanda di accoglienza di rifugiati e migranti dall'Afghanistan, in primo luogo nei Paesi limitrofi, ma anche per l'Europa. È altrettanto evidente che non possono esistere soltanto soluzioni nazionali ad un'emergenza di tale ampiezza. È perciò necessario che l'Unione europea, al di là della gestione dell'emergenza, metta a punto una risposta comune in stretto raccordo con i partner della regione. La questione andrà affrontata facendo ricorso a tutti gli strumenti disponibili, ordinari e straordinari, per scoraggiare e prevenire rotte migratorie insicure ed illegali. A tal fine è importante assicurare l'operatività delle organizzazioni internazionali sul terreno e sostenere a livello europeo i Paesi della regione nell'affrontare l'accoglienza di coloro che lasceranno l'Afghanistan.
  Si parla molto di corridoi umanitari. Lasciatemi dire che l'operazione Aquila è già un ponte aereo umanitario. La sfida ancor più impegnativa sarà dopo. Normalmente, come ben sapete, i corridoi umanitari vengono organizzati da Paesi terzi di transito per chi scappa dalle persecuzioni, ad esempio dal Libano per i siriani, dal Niger per gli eritrei. In prospettiva, per gli Stati membri dell'Unione europea qualsiasi iniziativa di questo tipo presuppone uno stretto coordinamento a Bruxelles, oltre che una collaborazione con le Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, al fine di individuare i beneficiari, con le autorità di sicurezza per evitare infiltrazioni, e con la società civile per gli aspetti di accoglienza.
  Va invece tenuto conto che realizzare corridoi umanitari dallo stesso Paese d'origine dei rifugiati necessita della non scontata collaborazione delle autorità locali, che può esporre al pericolo proprio coloro che vorremmo proteggere, perché i talebani avrebbero le liste con i loro nomi. Occorrerà che l'Unione europea assuma un forte impegno a tutelare chi fugge dal regime talebano.
  Quarto punto, la situazione umanitaria. La comunità internazionale dovrà continuare ad assicurare assistenza umanitaria in Afghanistan e nei Paesi vicini, e adoperarsi perché alle organizzazioni internazionali sia garantito l'accesso umanitario pieno, sicuro e senza ostacoli dal Paese. Per quanto riguarda la cooperazione italiana, le attuali circostanze ci hanno costretto a sospendere di fatto le attività di natura bilaterale, venuta meno la controparte di Governo con la quale erano stati assunti gli impegni. Non vogliamo invece interrompere l'aiuto umanitario.
  Dei circa 21 milioni di euro di programmazione a dono per il 2021 è nostra intenzione mantenere, ove le condizioni lo consentiranno, le iniziative sul canale emergenza per un totale di 2,6 milioni di finanziamenti al Comitato internazionale della Croce Rossa e al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Sono attività a favore dei soggetti più vulnerabili e delle donne. Parte delle restanti risorse, già previste per le iniziative di sviluppo, potrà essere reindirizzata a favore di interventi di emergenza, in collaborazione con gli organismi internazionali impegnati nella risposta umanitaria. Abbiamo subito disposto un primo finanziamento all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per attività iniziali di assistenza a favore di sfollati interni e rifugiati afgani anche nei Paesi limitrofi. Le iniziative multilaterali dovranno essere ora riesaminate alla luce di un'aggiornata valutazione sulla capacità delle organizzazioni internazionali di operare sul terreno.
  Quinto e ultimo, il contrasto al terrorismo e al traffico di droga. In questi vent'anni abbiamo combattuto il terrorismo in Afghanistan. Non possiamo permettere che il Paese torni a essere un rifugio sicuro e un terreno fertile per gruppi terroristici, una base da cui pianificare attacchi e una minaccia alla sicurezza internazionale. Dovremmo trovare alleanze e coinvolgere tutti gli attori, specie quelli della regione, che condividono questa stessa preoccupazione, oltre a Russia e Cina. La presenza in territorio Pag. 10 afgano di gruppi affiliati ad Al Qaeda e a Daesh e l'incertezza sull'atteggiamento della leadership talebana nei loro confronti sono elementi che destano preoccupazione nella comunità internazionale. Al Qaeda, pur indebolita, è ancora viva e può contare sull'ambiguità del rapporto con i talebani e sulla loro incapacità di controllare efficacemente l'intero territorio afgano. Daesh, al contrario, si è sempre mantenuto su posizioni antagoniste.
  Le dinamiche e gli equilibri che scaturiranno dal nuovo assetto di potere sono elementi da considerare nella valutazione della minaccia terroristica, in un'equazione che comprende anche gli impegni assunti dalla leadership talebana negli accordi di Doha, e non può prescindere dai rapporti che il nuovo gruppo dirigente dovrà mantenere con i Paesi limitrofi. Riteniamo necessario mantenere uno stretto contatto con i nostri principali partner, sia a livello comunitario sia in ambito G7. Oggi, come sapete, si svolgerà il Vertice straordinario dei Capi di Stato e di Governo.
  L'Italia ha assunto l'iniziativa di sviluppare un coordinamento nel contesto del G20. Ciò consentirà anche di monitorare efficacemente lo sviluppo della situazione e assicurare lo scambio di informazioni e valutazioni sull'evoluzione della minaccia. Nell'azione internazionale di contrasto al terrorismo, l'Italia continuerà a promuovere un approccio ispirato alla necessità di combinare la sicurezza con il rispetto del diritto internazionale, i princìpi dello Stato di diritto e la protezione delle libertà fondamentali, nonché all'opportunità di assicurare sostegno socio-economico alle comunità locali per eradicare le cause profonde dell'estremismo violento.
  Il traffico di stupefacenti rappresenta una fonte di finanziamento dei talebani. La produzione afgana di oppio, da cui si ricava l'eroina, rappresenta circa l'85 per cento di quella mondiale. Nelle prime dichiarazioni rilasciate alla stampa internazionale, i leader talebani hanno sostenuto di voler affrontare la questione per evitare che il Paese sia un narco-Stato, promesse che anche in questo caso andranno misurate alla luce dei fatti.
  L'Italia è disponibile, nelle sedi internazionali a farsi promotrice di iniziative volte a perseguire la progressiva riduzione della produzione di oppio in Afghanistan sotto la supervisione delle Nazioni Unite e dell'Unione europea. Il nuovo assetto di potere a Kabul pone in generale una minaccia alla stabilità di una regione cruciale per gli equilibri geopolitici.
  L'insieme di queste sfide e priorità su cui mi sono soffermato delinea un quadro che è stato al centro dei miei contatti con i principali interlocutori, Segretari Generali di NATO e ONU, Segretario di Stato Blinken, i Ministri degli Esteri di Qatar e Cina.
  L'Afghanistan sarà anche al centro del mio incontro con il Ministro russo, Lavrov, venerdì. La telefonata con il Segretario di Stato Blinken ha permesso anche di assicurare la massima disponibilità americana ad agevolare i voli di evacuazione italiani. Abbiamo convenuto sulla necessità che la comunità internazionale rimanga compatta nel vincolare i talebani al rispetto delle priorità a cui ho accennato prima, in particolare in tema di diritti umani e delle donne. Nel colloquio con il collega Wang Yi ho pertanto caldeggiato un atteggiamento di collaborazione da parte di Pechino, sottolineando come qualsiasi leva, come quella dell'assistenza economica e finanziaria internazionale, potrà essere efficace solo se agiamo in maniera coordinata. Con il Ministro qatarino ci siamo detti di rimanere in contatto costante in considerazione del suo osservatorio privilegiato sui negoziati intra-afgani ospitati a Doha.
  Nell'ultimo anno, la diplomazia qatarina ha continuato a lavorare per mantenere aperta la finestra ad una soluzione negoziata del conflitto, come facilitatore dei colloqui di pace intra-afgani. Ho condiviso le priorità anche in occasione delle numerose riunioni multilaterali: il Consiglio Affari esteri dell'Unione europea del 17 agosto, che ha consentito un primo scambio di valutazioni e di convergere su una comune linea d'azione, la priorità di garantire il più possibile le evacuazioni non solo degli europei, ma anche dei cittadini afgani che hanno collaborato con noi in Pag. 11questi anni. È anche emersa la volontà di promuovere ogni iniziativa utile a garantire il rispetto dei diritti umani, la sicurezza e mantenere l'accesso umanitario.
  Sulle stesse priorità abbiamo concordato con i Ministri degli Esteri del G7 nella riunione del 19 agosto, e venerdì scorso alla ministeriale Esteri straordinaria della NATO al centro dell'Agenda ci sono stati gli interventi di evacuazione umanitaria e il rafforzamento del coordinamento operativo. L'Italia, come Presidenza del G20, intende allargare questo coordinamento agli altri fondamentali attori internazionali. Superando l'originaria dimensione meramente economica, il G20 infatti può rappresentare un'importante piattaforma multilaterale per la gestione responsabile e coordinata delle sfide globali. Stiamo pertanto lavorando all'ipotesi di un vertice ad hoc per promuovere un dibattito approfondito sull'Afghanistan e per ampliare in maniera significativa il sostegno internazionale all'approccio comune messo a punto con i Paesi like-minded.
  In conclusione, la crisi in Afghanistan è tanto drammatica quanto complessa. Non vi sono risposte immediate né facili, ma una cosa è certa: abbiamo il dovere morale di non voltare le spalle al popolo afgano. Il timore dei talebani per la sospensione dei progetti di assistenza internazionale e per l'isolamento potrebbe rappresentare una leva significativa in mano alla comunità internazionale per costringerli ad accettare impegni, la cui attuazione, ovviamente, andrà scrupolosamente verificata. Cessazione delle violenze, rispetto dei diritti umani, a partire da quelli di donne e minoranze, lotta al terrorismo, al traffico di droga, gestione dell'emergenza migratoria, Governo il più possibile inclusivo e rappresentativo: sono questi gli obiettivi su cui cercare convergenze di tutta la comunità internazionale. Dobbiamo innanzitutto restare uniti come Unione europea e come NATO, e su questa base tentare di coinvolgere altri attori determinanti.
  L'Italia ha investito molto in Afghanistan in risorse, uomini e progetti. Per questo, anche come Presidenza G20, abbiamo una responsabilità importante nel favorire un consenso internazionale sui punti chiave della strategia da adottare. Auspico che il Governo possa contare a sostegno della sua azione su una posizione coesa del Parlamento. L'Occidente deve evitare di lasciare un vuoto che altri protagonisti geopolitici possono occupare indisturbati, alimentando oltretutto una propaganda che punta a minare la credibilità delle nostre democrazie. A questo proposito sta tornando di moda una narrazione semplicistica e parziale della realtà che punta il dito contro un unico Paese, gli Stati Uniti, e oggi contribuisce a fomentare pulsioni antioccidentali anche nell'opinione pubblica europea, peraltro in un momento di grande fragilità collettiva legata alla pandemia. Chi indebolisce la comunità euro-atlantica deve essere consapevole che ad essa non vi sono alternative. Finita questa alleanza, non ve ne sarà un'altra.
  Ascoltiamo tante opinioni in questi giorni, sia a livello nazionale sia internazionale. È giusto e utile, ma chi è onesto intellettualmente deve riconoscere la complessità di un conflitto in cui l'Occidente ha commesso errori, ma anche conseguito risultati, come l'affermazione dei diritti civili e sociali – soprattutto delle donne –, diritti che oggi si scontrano con la radicata e radicale intolleranza del movimento talebano. A distanza di vent'anni dall'intervento e alla luce degli ultimi sviluppi, come Paesi occidentali dobbiamo lavorare per rafforzare gli strumenti e i meccanismi decisionali della nostra Alleanza e degli organismi multilaterali, per sostenere con atti concreti la difesa dei nostri valori e anche per aumentare l'autonomia strategica dell'Unione europea. La franchezza tra alleati è sempre legittima e necessaria, ma è proprio nei momenti più difficili come questo che abbiamo interesse a consolidare unità e fiducia reciproche in un clima di massima lealtà. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Adesso la parola al Ministro Guerini. Prego, Ministro.

  LORENZO GUERINI, Ministro della Difesa. Onorevoli presidenti, onorevoli deputati Pag. 12 e senatori, in prosecuzione all'intervento del collega Di Maio, che mi ha appena preceduto e che ringrazio per l'incessante collaborazione tra i nostri due Ministeri in questi giorni di crisi, vorrei condividere alcune considerazioni politico-militari sull'attuale situazione in Afghanistan e informarvi sulle iniziative in atto da parte della Difesa italiana.
  Gli eventi che si sono succeduti negli ultimi giorni hanno certamente sorpreso l'intera comunità internazionale per la rapidità con cui è mutato il contesto politico-militare e per i conseguenti drammatici risvolti umanitari. Nel momento in cui veniva presa la decisione del ritiro definitivo delle truppe occidentali dal Paese, esisteva la consapevolezza del rischio di una ripresa dell'offensiva talebana favorita dal clima estivo, volta ad acquisire un vantaggio militare sul terreno in vista del riavvio dei dialoghi intra-afgani sospesi da tempo a Doha.
  Ciononostante, sia la NATO che la maggior parte degli analisti internazionali stimavano che la campagna militare talebana sarebbe stata contrastata con una certa efficacia dalle forze di sicurezza afgane, numericamente superiori e ben equipaggiate, che avevano dimostrato a più riprese negli ultimi anni la loro capacità operativa di contrastare i talebani.
  I fatti avvenuti ci dicono che le cose sul campo sono andate, purtroppo, in maniera radicalmente diversa. Da un lato abbiamo assistito a una rapida avanzata talebana, frutto di una campagna militare certamente pianificata in dettaglio, con obiettivi intermedi di alta valenza militare come il controllo delle frontiere, la conquista dei principali capoluoghi di provincia e l'interdizione delle vie di comunicazione verso la capitale Kabul raggiunta, infine, lo scorso 14 agosto. Dall'altro, inaspettata o quantomeno non prevedibile nei modi in cui si è determinata, è stata la scarsa se non nulla resistenza posta dalle forze di difesa e sicurezza afgane, che in alcuni casi non hanno neanche impegnato in combattimento gli avversari, scegliendo di fuggire oltreconfine o di arrendersi ai talebani abbandonando alla mercé di questi ultimi mezzi ed equipaggiamenti. Analoga, a parte alcune eccezioni, è stata la condotta delle milizie guidate dai nomi storici della resistenza afgana, Dostum, Annwn, Khan, che anche in relazione all'andamento delle attività talebane hanno preferito siglare accordi evitando lo scontro militare, a volte anche con lo scopo di proteggere la popolazione civile.
  Sullo sfondo di questi evidenti insuccessi militari è emersa, in tutta la sua drammaticità, la mancanza di coesione e di una leadership credibile da parte delle istituzioni repubblicane afgane, che già frammentate dalle lunghe diatribe politiche interne seguite alle elezioni del 2019 non solo non sono state in grado di mobilitare un fronte comune indispensabile a fronteggiare l'avanzata talebana, ma hanno certamente alimentato nel personale delle Forze armate una sfiducia e un'incertezza che, accompagnate dal senso di abbandono seguito alla partenza dalle forze NATO, sono risultate determinanti nel mancato contrasto all'avanzata talebana.
  Con il precipitare delle condizioni di sicurezza nella città di Kabul la Difesa, in sinergia con la Presidenza del Consiglio e con il Ministero degli Esteri, si è attivata per assicurare il necessario supporto all'attività di evacuazione dei connazionali e del personale diplomatico, nonché degli afgani che hanno collaborato con le istituzioni italiane in questi anni e dei loro familiari. Al riguardo mi preme evidenziare che a favore di questo personale, come avevo sottolineato durante la mia informativa al Senato dello scorso 24 giugno ribadendo il concetto che chi ha lavorato con l'Italia non deve essere abbandonato, era già stata predisposta una pianificazione articolata in tre fasi per il trasferimento dei nostri collaboratori afgani.
  L'operazione Aquila 1, avviata in concomitanza delle operazioni di ripiegamento del nostro contingente, ha quindi visto l'arrivo in Italia di un primo gruppo di 228 nostri collaboratori afgani e dei loro familiari. Questa pianificazione prevedeva inoltre che, a valle dell'operazione di vetting ai fini della sicurezza, si sarebbe concretizzato il trasferimento di ulteriori 390 collaboratori Pag. 13 afgani e rispettivi familiari utilizzando aerei civili da Herat a Kabul e, successivamente, dalla capitale afgana alla volta di Roma Fiumicino con l'operazione Aquila 2. A questa sarebbe dovuta, infine, seguire nel mese di settembre l'operazione Aquila 3 per il rimpatrio di ulteriori 1.500 persone.
  L'offensiva talebana, che ha portato alla rapida chiusura di tutti gli aeroporti afgani eccetto Kabul, ha tuttavia impedito l'attuazione di questo piano, a cui si è risposto con il rapido adattamento della pianificazione al nuovo scenario e l'immediato avvio dell'operazione di evacuazione Aquila Omnia, a guida del Comando Operativo di vertice Interforze (COI), con un ponte aereo assicurato dall'Aeronautica militare per il trasporto degli afgani che a vario titolo hanno supportato le istituzioni italiane.
  Già il 15 agosto, insieme agli alleati americani, il nostro primo velivolo atterrava sull'aeroporto di Kabul in una situazione di sicurezza decisamente deteriorata, quasi caotica, e imbarcava la quasi totalità del personale della missione diplomatica italiana a Kabul di 17 afgani e di due dipendenti stranieri evacuandoli in sicurezza in Italia. La rapidità del nostro intervento è stata realizzata grazie al pre-posizionamento su Kabul di una Joint Evacuation Task Force generata dal COI e coadiuvata dal personale diplomatico militare della nostra ambasciata con personale per la Force Protection, un Nucleo Sanità e un Nucleo di Comando e Controllo con capacità di comunicazione strategica, per un totale di 70 unità, successivamente incrementate a 119, che sono incessantemente impegnate nelle operazioni di evacuazione con otto velivoli dell'Aeronautica militare, cinque C-130 e tre aerei KC-767, che operano verso l'Italia attraverso scali tecnici regionali. Questa articolata operazione, che al momento in assenza di nuove decisioni alleate si protrarrà ancora per alcuni giorni in relazione alla nota scadenza del 31 agosto, vede impegnate oltre 1.500 unità, a cui va il mio personale apprezzamento e la mia riconoscenza.
  Ad oggi – ma ovviamente i dati sono variabili di ora in ora – sono stati messi in sicurezza 3.741 afgani, di cui 2.659 già trasferiti in Italia attraverso l'esecuzione di 44 voli. Di questi, il 38 per cento sono uomini, il 30 per cento donne e il 32 per cento bambini. Le restanti 1.082 persone sono attualmente in volo o dislocate presso la staging area italiana nell'aeroporto di Kabul, in attesa di essere imbarcate sui primi voli disponibili. Si tratta di nuclei familiari provenienti da Herat e Kabul, costituiti da persone esposte quali collaboratori a vario titolo delle istituzioni italiane, attivisti dei diritti umani e dei diritti delle donne, giornalisti, membri delle istituzioni e collaboratori delle organizzazioni non governative italiane presenti sul territorio in questi anni, individuati con criteri analoghi e condivisi con gli altri Paesi alleati.
  Le capacità messe in campo sull'aeroporto di Kabul sono state inoltre rese disponibili anche a supporto delle richieste di trasporto presentate dai Paesi alleati dell'Unione europea e dalla Svizzera su base di reciprocità all'interno della collaborazione in atto. Infine, come ha prima illustrato il collega Di Maio, l'Italia ha reso disponibili le basi di Aviano e Sigonella per il trasferimento dei civili afgani verso gli Stati Uniti e, nell'ambito dell'Alleanza atlantica, abbiamo reso disponibili assetti specializzati nella cooperazione civile e militare pronti a rischierarsi sul territorio NATO per ogni evenienza di ulteriore accoglienza.
  L'epilogo drammatico dei giorni che stiamo vivendo ci interroga sul contributo di grandissimo rilievo e importanza profuso in Afghanistan negli ultimi vent'anni in quello che è stato il più importante impegno militare delle nostre Forze armate fuori dai confini nazionali dalla Seconda guerra mondiale, e che si è concluso con un simbolico ultimo ammainabandiera del nostro contingente a Herat lo scorso 8 giugno. Già all'indomani del tragico attacco alle Torri Gemelle nel 2001, a seguito dell'invocazione dell'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico, siamo intervenuti con i nostri alleati per combattere il terrorismo globale, che aveva trovato proprio in Afghanistan un rifugio sicuro. È stata quella una scelta corretta per dare il nostro contributo concreto Pag. 14 nella lotta contro una minaccia imminente diretta a tutto l'Occidente e ai suoi valori.
  L'11 settembre ha rappresentato un cambio epocale, modificando il nostro modo di vivere, di pensare alla nostra sicurezza e di guardare al mondo. L'aver scelto di agire, di fare la nostra parte per contribuire alla sicurezza globale e per sconfiggere il terrorismo, è stata una scelta non solo doverosa ma soprattutto giusta. La presenza di Al Qaeda nel Paese è stata resa inefficace. Di questo dobbiamo riconoscere il merito senza alcun dubbio alla NATO e ai nostri 50 mila militari che si sono avvicendati in questi vent'anni, e tra questi voglio ricordare ancora una volta il sacrificio dei 54 caduti e dei 723 feriti. L'Italia ricorderà sempre il loro tributo alla difesa dei diritti fondamentali del popolo afgano e dei valori che incarnano la nostra Repubblica. Ancora una volta, certo di interpretare anche il vostro sentimento, esprimo la nostra vicinanza ai loro familiari, il cui dolore riemerge in questi giorni con prepotenza e ai quali voglio ribadire che il sacrificio dei nostri caduti non è stato vano.
  Desidero ripercorrere brevemente le tappe del nostro impegno in Afghanistan. Dopo l'iniziale contributo all'operazione Enduring Freedom, l'Italia ha preso parte dal 2005 alla missione ISAF (International Security Assistance Force), assumendo il ruolo di leader nation nella provincia occidentale del Paese, quella di Herat, e facendosi carico anche della gestione del locale Provincial Reconstruction Team. Dal primo gennaio 2015 abbiamo, infine, continuato il nostro impegno nel Paese nell'ambito della missione NATO Resolute Support, incentrata sull'addestramento, la consulenza e l'assistenza delle forze di sicurezza afgane, nella prospettiva di consentire loro di poter agire sempre più in autonomia, con l'obiettivo di creare le condizioni affinché sostituissero le forze internazionali nell'architettura di sicurezza del Paese.
  È stata un'attività molto intensa, che ci ha visto condurre come Italia oltre 53 mila attività con l'addestramento diretto o indiretto di più di 20 mila militari afgani, di cui abbiamo seguito l'operato negli scorsi anni verificando sul piano operativo e tattico i risultati del nostro impegno. Quanto avvenuto in questi ultimi giorni e l'atteggiamento assunto da una gran parte delle forze di sicurezza afgane non possono e non devono mettere in discussione l'operato dei nostri militari in questi venti lunghi anni, nei quali hanno lavorato fianco a fianco con i loro colleghi afgani. Militari che, attraverso le numerosissime attività di cooperazione civile e militare, hanno realizzato anche importanti opere a favore della popolazione quali scuole, pozzi e strutture ospedaliere.
  Sono certo, anzi, che i primi a essere stati colpiti profondamente da ciò che sta avvenendo siano proprio i nostri militari, che in più di 50 mila si sono alternati in Afghanistan e che si sono certamente legati con intensità a quel Paese e a quel popolo. Come ho avuto più volte modo di sottolineare, con la conclusione di Resolute Support il mio primo dovere come Ministro e la mia prima priorità sono stati quelli di condurre in completa sicurezza le operazioni di rientro in Patria del nostro contingente, attività conclusasi positivamente nello scorso mese di giugno.
  Da molti è stato sollevato il tema della decisione sui tempi e sulle modalità di conclusione della missione. Già in occasione della scorsa ministeriale di febbraio avevo rappresentato la necessità di valutare la possibilità di confermare la presenza della NATO anche oltre la scadenza del primo maggio previsto dagli accordi stipulati dall'Amministrazione Trump, in quanto il raggiungimento delle condizioni sia politiche che di sicurezza presunte da tale accordo appariva lontano dall'essere soddisfatto. Nei mesi successivi l'Amministrazione americana decideva, tuttavia, un cambio di paradigma nell'ambito di una più ampia revisione della propria postura strategica globale, passando da un approccio condition based, basato sul raggiungimento di precise condizioni per l'avvio del ripiegamento, a uno vincolato al tempo, time based, fissando la conclusione della missione Resolute Support al primo maggio e articolando il rientro delle forze entro la Pag. 15data fortemente simbolica dell'11 settembre.
  Tutto ciò, nelle valutazioni americane, avendo preso atto dell'oggettiva difficoltà di riuscire a raggiungere le condizioni auspicate, soprattutto in relazione agli scarsi risultati dei colloqui di pace intra-afgana che dallo scorso anno si svolgono a Doha con la supervisione degli stessi Stati Uniti. Evidenzio, in particolare, che tra queste i talebani avevano posto quale condizione essenziale il ritiro degli stranieri per proseguire sia il negoziato con gli americani che il dialogo intra-afgano. Il paventato mancato rispetto della già citata scadenza del primo maggio scorso aveva quindi causato una forte battuta di arresto di quel processo, con un significativo aumento della violenza in territorio afgano perpetrata con numerosi attacchi alle forze di sicurezza afgane e con una campagna sempre più aggressiva di assassini mirati, di rappresentanti delle istituzioni, dei media e della società civile.
  Dal nostro punto di vista abbiamo sempre ritenuto che il dialogo intra-afgano e il mantenimento delle istituzioni repubblicane fossero delle condizioni necessarie per il futuro dell'Afghanistan. È proprio per questo che nell'ultimo anno, nell'ambito delle varie occasioni di confronto sia su base bilaterale che nell'ambito delle riunioni a livello Ministri della Difesa, abbiamo sempre sottolineato l'orientamento italiano, condiviso anche da altri partner europei, circa le esigenze di tenere legate le decisioni sulla conclusione della missione all'avanzamento di queste condizioni.
  Tuttavia l'orientamento prevalente e il decisivo peso specifico delle capacità di First Protection statunitensi hanno contribuito a plasmare la decisione alleata, formalizzata in occasione del dibattito che ha avuto luogo durante il meeting straordinario del 15 aprile, e a sostenerla in coerenza al valore fondante della coesione dell'Alleanza e non solo del principio «in together, out together».
  Oggi le drammatiche immagini che giungono dall'Afghanistan suscitano in tutti noi profonde emozioni e la sensazione di una pesante sconfitta dopo due decenni di sforzi dell'intera comunità internazionale. La situazione del Paese purtroppo è ben diversa da come era stata immaginata anche solo pochi mesi fa, e questa oggettiva débâcle dovrà essere analizzata nelle diverse sedi, a partire da quelle dell'Alleanza, al fine di valutarne le cause e i fattori.
  Si possono comunque già scorgere alcuni elementi caratterizzanti che hanno contribuito a invalidare le ipotesi poste con l'avvio e lo sviluppo dei negoziati con i talebani e i tentativi di far decollare il dialogo intra-afgano. In primis c'è la scarsa credibilità causata anche da fenomeni di diffusa corruzione e la conseguente incapacità dimostrata dalle istituzioni repubblicane, con le inevitabili ricadute sull'operato delle Forze di difesa e sicurezza, le quali senza la necessaria coesione e direzione politica non hanno chiaramente saputo contrastare o almeno ritardare l'avanzata talebana. E questo nonostante, in valore assoluto, le Forze armate afgane fossero certamente cresciute dal punto di vista professionale acquisendo già da tempo, come detto, la capacità di operare in attività di varia natura e complessità in autonomia o con la sola consulenza operativa delle unità NATO in tutto il Paese.
  Sicuramente hanno anche influito alcuni fattori di natura tattico-operativa quali quelli legati a una logistica non efficace, ma – a mio parere – sono stati prevalenti quelli di natura politica, sociale e culturale, che hanno portato al totale sfaldamento delle Forze armate con numerosi episodi di abbandono di mezzi materiali e di capitolazione ai talebani. Su quest'ultimo punto ribadisco in questa sede che nessun sistema d'arma o mezzo militare italiano è stato ceduto alle forze afgane al momento del rientro del nostro contingente.
  Tornando all'analisi degli avvenimenti che stavo descrivendo, si è trattato di una resa incondizionata che denuncia la totale mancanza di quel legame e di quei valori fondanti che permettono di reagire di fronte all'avanzare di una minaccia ritenuta esistenziale. Qui si individua, a mio modo di vedere, uno dei primi e forse più importanti ambiti di riflessione che dovremmo condurre sia nei contesti internazionali sia Pag. 16a livello nazionale, cioè quello relativo ai nostri modelli di intervento, alla necessità di un approccio multidimensionale, coerente, efficace e condiviso di cui le Forze armate sono solo una componente, in alcuni casi abilitante per il conseguimento degli obiettivi e in altri a supporto alle altre istituzioni coinvolte.
  In Afghanistan l'azione di institution building svolta dalla comunità internazionale in questi lunghi anni è stata caratterizzata da un approccio frammentario e da una limitata efficacia. La conseguenza più evidente è che il fronte repubblicano, già consumato da divisioni al proprio interno, non è stato in grado di agire coeso a tutela del popolo afgano e della sopravvivenza delle stesse istituzioni. Ma questo epilogo porta con sé l'abiura di quanto fatto in tutti questi venti anni.
  È evidente che il nostro Paese, così come anche l'Alleanza atlantica, deve trarre numerosi insegnamenti dall'esperienza afgana per meglio identificare quali sono i suoi punti di forza, certamente la capacità militare, ma anche le sue debolezze, quali la difficoltà a supportare un processo multinazionale di nation building come quello che pretendeva lo scenario afgano.
  Sono convinto che il processo di revisione strategica NATO 2030, attualmente in corso, debba tenere in assoluta considerazione quanto avvenuto dal 2001 a oggi nello sviluppare il nuovo concetto strategico dell'Alleanza, ma soprattutto l'idea di NATO del futuro e delle sue relazioni con le altre grandi organizzazioni internazionali, prime fra tutte l'Unione europea: un'Unione chiamata ancora di più, dopo l'epilogo afgano, a definire coraggiosamente la propria autonomia strategica in complementarietà con la NATO, valorizzando al massimo le peculiarità e gli strumenti che le sono propri, essendo l'organizzazione che più di tutte ha la capacità di intervenire con efficacia nella realizzazione di azioni proiettate allo sviluppo economico, culturale e sociale dei Paesi in cui siamo chiamati o riteniamo di operare.
  Certamente questo è un punto di forza di complementarietà con la NATO e che, a mio modo di vedere, non solo può rafforzare ma può anche proiettare, alla luce anche degli accadimenti di questi giorni, un rinnovato e più forte legame transatlantico. Questa sarebbe una risposta efficace e ambiziosa alla domanda, che qualcuno ha avanzato, se l'Afghanistan sia la metafora del tramonto dell'Occidente. Sono convinto, invece, che le democrazie liberali e il loro patrimonio di valori e diritti siano modello da difendere e che, sia pure a valle dell'indispensabile processo di riflessione e analisi sugli esiti dell'esperienza afgana, questa dovrà continuare a essere l'archetipo di riferimento del nostro peculiare apporto allo scenario di cooperazione e insieme di competizione del nuovo contesto globale.
  Avviandomi a conclusione, voglio ribadire e rassicurare in merito all'elevata attenzione con la quale continueremo a seguire, congiuntamente ai colleghi della Farnesina, l'evoluzione della situazione in Afghanistan. Allo stesso tempo, alta dovrà essere l'attenzione in merito a possibili recrudescenze del fenomeno del terrorismo e all'impatto che la situazione in Afghanistan avrà sui futuri equilibri di quella regione. Valuteremo la coerenza tra i proclami, le intenzioni di questi giorni e i fatti concreti che seguiranno.
  Onorevoli presidenti, onorevoli colleghi, i militari italiani escono a testa alta dal loro impegno in Afghanistan. Lo testimoniano il grande sforzo di questi giorni e ce lo dicono le cifre, i notevoli risultati conseguiti sul terreno, il sentimento di sincera amicizia della popolazione afgana e le innumerevoli testimonianze di apprezzamento che abbiamo raccolto dalle istituzioni a livello locale con cui abbiamo operato lealmente e costruttivamente, dando sempre massima priorità alle esigenze di sviluppo e di sicurezza delle comunità locali per permettere loro di crescere e così anche di rafforzare una comune base identitaria.
  A questo si aggiungono le numerose attività di ricostruzione e sviluppo di capacità condotte a favore della popolazione afgana che ci ha visto contribuire, insieme alle varie realtà governative e non governative operanti in Afghanistan e in sinergia con la Farnesina, alla costruzione di infrastrutture Pag. 17 importanti come quelle che ho citato prima: scuole, pozzi, vie di comunicazione.
  Ma l'operato dei nostri militari, silenzioso e costante, merita il plauso e la gratitudine anche da parte di tutto il popolo italiano per l'impegno al servizio dei valori, della libertà e della democrazia in diverse regioni del pianeta, agendo con professionalità riconosciute e con grande sacrificio. Un sacrificio a volte estremo, come quello dei 54 militari che hanno perso la vita in Afghanistan e la cui memoria vive e vivrà per sempre nei cuori dei loro commilitoni e di tutti coloro che non dimenticheranno mai il loro servizio al nostro Paese.
  Anche oggi, mentre vi sto parlando, con la stessa abnegazione sta continuando senza sosta l'attività di evacuazione da Kabul. Stiamo impiegando tutte le risorse disponibili, e fino a quando le condizioni lo consentiranno faremo ogni sforzo, congiuntamente agli alleati, per mettere in sicurezza ed evacuare più persone possibili. È senz'altro un impegno politico, ma è anche, innanzitutto, un convincimento morale condiviso da ogni uomo e donna delle Forze armate, così come sono certo da tutti voi e da tutti gli italiani. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Iniziamo immediatamente gli interventi. Sulla base delle intese tra i presidenti e i capigruppo delle Commissioni, si è convenuto di avere un primo giro di interventi con la possibilità, per ogni gruppo parlamentare, di far intervenire due parlamentari, un senatore e un deputato, per un tempo – per ciascun intervento – di cinque minuti. Esaurito questo primo giro, valuteremo anche a che punto siamo. Ci sono iscritti a parlare anche per un secondo giro, siamo a trentasei iscritti a parlare, e prevediamo un secondo giro di tre minuti a testa. In ogni caso io credo che alle ore 17 noi dovremmo cercare di dare la parola ai Ministri per la replica, onde non trascinare l'audizione oltre i limiti ragionevoli.
  Detto questo, ha ora la parola l'onorevole Spadoni. Ricordo che gli interventi sono per cinque minuti. Al quarto minuto io segnalerò che sta per scadere il tempo. Onorevole Spadoni, Movimento 5 Stelle.

  MARIA EDERA SPADONI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Buongiorno a tutti, buongiorno ai colleghi, buongiorno ai Ministri. Innanzitutto anch'io mi voglio associare alle parole del Ministro Guerini: un ricordo ai nostri cinquantaquattro caduti, assieme a tutte le persone che hanno lavorato in questi vent'anni, sia civili che non, per migliorare la condizione degli afgani.
  Ho trovato molto positiva la linea italiana nel G7 Esteri del 19 agosto, ed in particolare quello che ha detto il Ministro Di Maio sulla tutela dei diritti umani e anche delle libertà. Queste condizioni devono essere condizioni sine qua non per riuscire a non ritornare indietro, come è stato giustamente ricordato.
  Grande soddisfazione anche per gli sforzi a promuovere una discussione multilaterale sull'emergenza. È stato detto che un singolo Paese di certo non può raggiungere degli obiettivi concreti. È chiaro che la discussione deve essere assolutamente multilaterale e deve coinvolgere gli attori che in questi vent'anni si sono succeduti per migliorare le condizioni della popolazione afgana. La coordinazione tra i vari leader in questo momento – anzi, direi nel momento successivo a questo momento emergenziale, in cui la priorità è l'evacuazione dei nostri connazionali – deve rimanere fondamentale.
  Per quanto riguarda il numero di richiedenti asilo, è necessario anche lì un coordinamento a livello europeo, perché è ovvio che tutti i Paesi europei devono farsi carico e devono riuscire a portare avanti quei valori di integrazione, di disponibilità e di tutela dei diritti umani.
  Questa è sicuramente una questione importantissima. Credo che l'Italia, con la Presidenza del G20, possa e anzi debba essere protagonista in questo momento.
  Sicuramente c'è una grande preoccupazione relativa, come ha detto anche il Ministro Di Maio, al blocco delle iniziative bilaterali su progetti della cooperazione allo sviluppo. Noi avevamo fatto un lavoro incredibile, sia per quanto riguarda la tutela delle donne sia per quanto riguarda la tutela dei bambini, la costruzione di pozzi Pag. 18– come ricordava il Ministro Di Maio – e la costruzione delle strade. Il Direttore dell'AICS, Maestripieri, recentemente ha ribadito che non si intende abbandonare nessuno, tantomeno il popolo afgano. Ovviamente, rimangono i tanti punti interrogativi sui vari progetti non conclusi, in particolare per le donne afgane. Penso, tra i tanti, al progetto sulla nutrizione materno-infantile per ridurre la malnutrizione cronica in Afghanistan.
  Con tutte queste premesse e dando per scontato che sono profondamente d'accordo con quanto detto dai Ministri, cioè che c'è una forte preoccupazione per la questione femminile, per la questione delle donne, che rischiano veramente di ritornare indietro, a tempi buissimi, e anzi alcune giovani ragazze rischiano di ritrovarsi in una situazione in cui non si sono mai ritrovate, esprimo veramente forte preoccupazione per questo.
  Passo alle domande. In che modo il Governo italiano intende muoversi con i partner internazionali e gli attori in loco per gestire i corridoi umanitari europei, anche alla luce della Presidenza del G20 italiana? Quali azioni intende mettere in campo per garantire che le organizzazioni internazionali di tutela dei diritti umani possano lavorare in sicurezza e verificare le effettive condizioni della popolazione civile, in particolare delle donne e dei bambini? Giustamente il Ministro Di Maio diceva che dobbiamo valutare i talebani non da quello che stanno dicendo ma dalle loro azioni. È necessario che ci siano anche organizzazioni internazionali che possano verificare effettivamente quali sono le azioni, perché è ovvio che la tutela della popolazione civile deve essere la priorità principale. In che modo si pensa, una volta finita la fase emergenziale di evacuazione del personale diplomatico italiano e dei civili che hanno collaborato con l'Italia, di proseguire, se ci sarà la possibilità, con i progetti di cooperazione e sviluppo finanziati dal Governo italiano e al momento non conclusi? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole. Onorevole Picchi, della Lega. Prego.

  GUGLIELMO PICCHI. Grazie, presidente. Ministri, colleghi, fermo restando il plauso e la gratitudine per le donne e gli uomini – militari, civili e diplomatici – che sono impegnati nell'operazione di evacuazione – in particolare, voglio ricordare il console Tommaso Claudi e l'Ambasciatore Stefano Pontecorvo –, vorrei fare tre considerazioni di metodo, e come Lega lo dico con umiltà, rispetto, ma con tono fermo e risoluto, consapevole delle difficoltà del momento: siete venuti qui a riferire in ritardo. Questa è una Repubblica parlamentare, è una Repubblica dove l'indirizzo politico lo dà il Parlamento e avrei gradito che anche il Presidente del Consiglio, nel G7 di oggi, si fosse presentato con un forte mandato parlamentare. Ricordo che il Primo Ministro Johnson ha riunito il Parlamento il giorno 16 di agosto.
  Secondo punto che ha citato il Ministro Di Maio: io giudico che non sia stata una buona comunicazione verso l'esterno aver fatto rientrare l'Ambasciatore Sandalli e aver lasciato un ottimo funzionario – ma un funzionario – come il Console Tommaso Claudi, che sta facendo un eccellente lavoro; ma abbiamo lasciato il junior sul campo e abbiamo mandato via i capi.
  Terzo, anche riferito a Lei, Ministro: io avrei voluto vedere le sue foto nella situation room del Comando Operativo di vertice Interforze, magari con il Ministro Guerini, e non altrove. È un segnale poco rispettoso nei confronti degli afgani e di quanto stava avvenendo in quel momento a Kabul.
  Veniamo alle considerazioni politiche. In riferimento anche a quello che Lei ha detto, siamo stati di fronte a una débâcle economica, politica e militare non solo dell'Alleanza atlantica ma di tutto l'Occidente, dove però ci sono responsabilità chiare e definite.
  Il cambio di approccio, come ha detto bene il Ministro Guerini, da condition based a time based è quello che poi ha creato la totale confusione a cui stiamo cercando di mettere rimedio in questi giorni. Apre a scenari inattesi, di cui probabilmente beneficeranno attori che sono là vicino – penso alla Cina, alla Russia – e al rischio Pag. 19di terrorismo internazionale che ci può essere, con le possibili connessioni anche con Daesh, senza dimenticare due attori che si sono subito prodigati per essere presenti come l'Iran e la Turchia.
  Questo apre tre questioni fondamentali: 1) la NATO; l'Agenda strategica 2020-2030 non è sicuramente adeguata a quello che abbiamo visto in questi giorni, e quindi dobbiamo mettere mano in modo chiaro alla riforma della NATO; 2) l'inesistenza che ha dimostrato l'Unione europea. Diciamocelo bene: il giorno della presa di Kabul da parte dei talebani il Servizio esterno dell'Unione europea twittava di Nicaragua. Non esiste una politica estera dell'Unione europea, tant'è vero che la Cancelliera Merkel è andata da sola ad incontrare il Presidente Putin e ha chiesto – non a nome dell'Unione europea, ma della Germania – una mediazione a Putin sull'argomento. Questo impone – e vengo al terzo punto – che l'Italia assuma iniziative che non possono essere limitate a dire sempre: «L'approccio europeo è quello che noi dobbiamo seguire.» Non si può prendere alla leggera l'ipotesi, dopo aver creato una moneta senza Stato, di avere anche un esercito senza Stato. Questo non ce lo possiamo permettere.
  Le domande che vorrei fare: quanto è credibile la minaccia talebana nel caso in cui non fossimo in grado di completare le evacuazioni entro il 31 agosto? Quali sono stati operativamente i criteri che abbiamo adottato sul campo per far venire in Italia i collaboratori afgani, le famiglie? La cosa che per me è più importante – e questo lo si legge sulla stampa, sebbene di nicchia – è sapere se l'Italia o la sua intelligence abbia rapporti con la resistenza che si sta creando nel Panjshir, guidata da Ahmad Massud e dall'ex Vicepresidente Amrullah Saleh, e, se questa non è stata presa in considerazione, perché.
  Ruolo del Pakistan, fondamentale. Deve essere coinvolto nel G20, consapevoli delle ambiguità che ci sono state sia da parte dei servizi pachistani dell'ISI (Inter-Services Intelligence) e tutta la gestione delle aree tribali della FATA (Federally Administered Tribal Areas).
  Vengo alla proposta finale: io credo che, vista anche l'ampia presenza di importanti esponenti di tutti i gruppi politici, per il G20 serva un chiaro mandato parlamentare al Presidente del Consiglio perché l'Italia abbia una posizione forte. Il Presidente del Consiglio si ponga con una risoluzione unitaria ad affrontare il G20, che non può essere limitato a un G20 dell'accoglienza, ma vada a valutare anche la questione delle sanzioni nei confronti dei leader talebani, il congelamento degli asset e un eventuale sostegno politico alla resistenza se questo dovesse verificarsi. Infine, rinnovare il protagonismo italiano in sede NATO e UE per quelle riforme di cui parlavo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. La parola al senatore Alfieri, del PD. Seguirà il senatore Gasparri, di Forza Italia.

  ALESSANDRO ALFIERI. Grazie, presidente. Penso che oggi non sia il momento delle polemiche, ma sia il momento di stringersi attorno alle istituzioni e a coloro che nel Governo stanno lavorando per dare lo sforzo massimo per provare a riportare quante più persone in Italia. Avremo tempo di approfondire – l'ha detto lo stesso presidente Fassino – e fare le analisi su quello che ha funzionato e che non ha funzionato, soprattutto in termini di decisioni unilaterali da parte delle Amministrazioni americane e del rapporto all'interno della NATO.
  Oggi preme, anche a nome del Partito Democratico, dei nostri gruppi, dire con forza che queste decisioni unilaterali, questi errori, non devono andare a detrimento di un giudizio del lavoro fatto, soprattutto dalle nostre Forze armate, dalle donne, dagli uomini, dai militari presenti in Afghanistan in questi anni, che hanno contribuito a fare un lavoro importante non solo di tipo militare, non solo in termini di sicurezza, di addestramento, ma certamente con quell'approccio multidimensionale che ci viene riconosciuto, contribuendo a costruire scuole, pozzi, ospedali, ma soprattutto facendo un avanzamento in termini di tutela dei diritti umani, soprattutto dei soggetti più fragili, penso alle Pag. 20donne. E non è un caso che proprio a Herat il tasso di alfabetizzazione delle donne sia quello che ha registrato un avanzamento maggiore. Io penso che di questo l'Italia debba essere orgogliosa, e lo voglio sottolineare. Da questo punto di vista, occorre fare il possibile per riportare il maggior numero di persone.
  Ringrazio il Ministro Guerini, ma per ringraziare tutte le Forze armate e le persone che sono impegnate, così come i diplomatici, ringraziando il Ministro Di Maio. Il limite del 31 agosto non so se sia un limite fisso, veramente non negoziabile. Immagino che al G7 parleranno anche di questo. Però tutto quello che si può fare fino all'ultimo minuto utile sul territorio afgano, una sorta di whatever it takes, va messo in campo.
  Insieme, le iniziative nelle sedi multilaterali e bilaterali, la sicurezza delle persone che rimangono, il Sistema Paese italiano. Ci sono i militari, e voglio ricordare il lavoro straordinario delle organizzazioni non governative. Quelli che sono rimasti sul campo meritano di avere un tessuto e un'azione in tutte le sedi, Ministro Di Maio, che possa in qualche modo rassicurarli che c'è un Paese alle loro spalle. Io penso che da questo punto di vista, con gli accorgimenti che devono essere messi in campo, dovremmo ragionare – sia come singolo Paese, ma anche all'interno dell'Unione europea – su come dare garanzie da questo punto di vista, e anche per gli afgani che rimangono, per mandare avanti quei progetti, anche delle organizzazioni internazionali, non solo sul versante della tutela dei diritti umani, ma penso a tutti i programmi alimentari, i programmi sanitari che vengono messi in campo.
  Abbiamo il dovere di affrontare il discorso nelle sedi, a partire dal G7 di oggi, nel G20; penso anche all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che è il luogo più vasto dove si possono creare, anche con i Paesi islamici, le condizioni per garantire i diritti umani più basilari. Penso che da questo punto di vista vada messa in campo un'azione molto decisa.
  Sul ruolo dell'Europa parlerà la mia collega, onorevole Quartapelle Procopio. Mi limito a parlare di una questione, accennando che i corridoi umanitari non sono solo importanti per dare una possibilità di un futuro migliore a chi lì rischia la vita, ma anche per dare una speranza nel passaggio complicato e difficile che vivremo nelle prossime ore.
  Mi limito a una proposta, visto che in Europa è complicato e difficile. Ricordo al collega Picchi, che lo sa benissimo, che non c'è una politica estera comune, ma c'è solo il coordinamento delle politiche estere. Chiedo al Ministro Di Maio se è possibile mettere in campo un'iniziativa – come Italia – per dare un segnale: prima ancora di ragionare in termini di accoglienza, di aiuto ai Paesi limitrofi, di concedere subito a livello europeo, in tutti gli Stati europei, la protezione umanitaria agli afgani già presenti in Europa, perché ci sono tanti casi di diniegati, di persone a cui non è stata concessa la protezione umanitaria nei mesi scorsi. A livello europeo su questo forse si può trovare l'unità. Sarebbe un segnale importante di attenzione per chi sta arrivando, ma anche per le persone che già stanno qua, con le proprie famiglie, e sono davvero in ansia. Io penso che questa possa essere un'iniziativa di cui il Governo italiano si può far carico.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore Alfieri. Senatore Gasparri, di Forza Italia. Seguirà la senatrice Rauti. Prego.

  MAURIZIO GASPARRI. Grazie, presidente. Ovviamente il gruppo di Forza Italia si unisce al ringraziamento, all'apprezzamento delle nostre Forze armate, al ricordo che è stato già più volte fatto, sia dai Ministri sia da altri colleghi, dei nostri cinquantaquattro caduti, ma anche di tutto il personale diplomatico, dei cooperatori, di tutti coloro che hanno rappresentato con onore l'Italia in questi venti anni e che ancora in queste ore stanno profondendo sforzi coraggiosi. Abbiamo visto le immagini dei nostri diplomatici che contribuiscono al salvataggio di bambini.
  Detto questo in doverosa premessa, tuttavia noi non siamo qui per impartire facili lezioni all'umanità, al pianeta – con l'aria Pag. 21condizionata, in una sala comunque di riunione, perché sarebbe troppo comodo –, ma nemmeno per evitare delle considerazioni realistiche.
  Io ho più consuetudine con il Ministro Guerini, facendo parte della Commissione Difesa. Più volte, anche quando si è votato per le missioni internazionali, anche recentemente, il gruppo di Forza Italia ha sempre votato per le missioni internazionali; l'onorevole Fassino, come me, ha lunga consuetudine col Parlamento: lo abbiamo fatto anche quando siamo stati all'opposizione, quando il voto diventava decisivo per puntellare maggioranze che si dividevano, perché abbiamo sempre condiviso una linea di presenza e di azione volta a ripristinare pace e diritti, a volte anche quando questo comportava un rischio, come l'Afghanistan ci ha insegnato.
  Detto questo, però, noi restiamo perplessi sulle modalità di questa vicenda. Il presidente Berlusconi – uomo sicuramente più aduso alla pace e al dialogo che non ai conflitti – ha definito giustamente un errore questo ritiro, ma anche le modalità, compresa la fatica con cui Biden deve ogni dodici ore fare una conferenza stampa, un intervento in cui si contraddice. Un giorno dice che bisognava combattere Al Qaeda, quindi il nation-building non c'era più. Oggi qualcuno ha detto che hanno preso Bin Laden nel 2011: perché sono rimasti altri dieci anni? Che facevano?
  Nell'azione americana – Paese che pure noi consideriamo il gendarme della democrazia – c'è molto da dire. Non ho segreti di Stato da rivelare e non ne sono depositario, ma devo dire che l'Italia e il mondo europeo ha dovuto prendere atto della decisione americana, che ha determinato questo ritiro con queste modalità. Mi chiedo se anche l'intelligence dei vari Paesi, che rispettiamo, aveva calcolato quello che sarebbe successo. Si parlava di anni, di mesi mentre si è trattato di ore, nemmeno di giorni. Prima il Ministro Guerini ha lodato – e sottoscrivo – l'azione delle nostre Forze armate nella formazione delle Forze armate afgane e su questo anche dovremmo riflettere. Lei ha anche detto in un'intervista alla stampa giorni fa che bisogna riflettere su tutto quello che è accaduto in Afghanistan, sui nostri interventi, su come si esporta la democrazia. Riguardo a questo non la penso come Enrico Letta, che dice che la democrazia non si esporta anche con la guerra. L'America esitava anche di fronte a Hitler: pensate se avesse esitato. Ieri mi sono andato a rileggere e rivedere anche la trasposizione cinematografica del coraggioso discorso di Churchill quando esortò l'Inghilterra all'intervento contro la Germania: c'erano inglesi iperdemocratici che volevano negoziare con Hitler, come oggi qualcuno vuole negoziare coi talebani. Aveva ragione Churchill allora e ha ragione oggi chi dice che non bisogna negoziare.
  Sono giusti i contatti tecnici per l'esodo, perché vogliamo andare oltre il 31 agosto anche noi: non si farà in tempo a mettere al riparo a tutti i collaboratori. Un conto è discutere: immagino i poveri diplomatici che stanno all'aeroporto di Kabul con chi dovranno discutere e in quali situazioni, non invidio e li ringrazio. Però il negoziato, il riconoscimento ci preoccupa. Le affermazioni di Conte e le esternazioni perfino di Prodi – che pure è un uomo di grandissima esperienza internazionale – ci hanno sconcertato.
  Questo non è il luogo per fare riflessioni troppo lunghe – né il tempo ce lo consente – sugli errori del disarmo, dell'arretramento, sulle modalità stesse. Se c'è questo caos all'aeroporto è perché evidentemente non è un esodo programmato, previsto. L'America ha deciso America first ed è una politica che attraversa tutti i tipi di Presidenza. Lo aveva detto Obama a proposito dell'Afghanistan, Trump – che era quello dell'America first più di tutti – e Biden pure. Qualcuno dice che la sua è un'America first light che alla fine forse rinuncia al suo ruolo internazionale, però è un problema, e i vuoti si riempiono.
  Non ho il tempo qui per parlare dei costi economici, oltre a quelli umani. Solo gli americani hanno speso 300 milioni al giorno per vent'anni per avere questo risultato. Noi abbiamo speso la nostra parte e abbiamo fatto bene, tuttavia un bilancio anche di dare-avere, oltre che quello umano, andrà fatto. Noi riteniamo che non ci debbano Pag. 22 essere riconoscimenti di questo nascente Governo: assisto alle discussioni sul fatto che includeranno o meno le donne e rispetteranno o meno i diritti. Beato chi ha questa visione: siccome si fanno i selfie questi sono più buoni dei loro genitori? Non lo so, lo scopriremo. Magari, è una speranza, ma noi siamo molto diffidenti. Riteniamo che l'Afghanistan abbia un valore simbolico anche per il terrorismo internazionale, proprio perché è un posto impervio, dove si sono rotti le corna i russi, gli americani, la NATO e gli inglesi nel passato. L'Afghanistan era il luogo dove infatti si rifugiavano i più feroci – proprio per il tipo di luogo – e non vogliamo che questo simbolo ritorni. Inoltre ci sono le coltivazioni di oppio, ci sono le cose che sono state dette... Ministro Di Maio, sì, più soldi alla cooperazione: Lei è il Ministro degli Esteri e non può dire di dare più soldi alla difesa, che è competenza dell'altro Suo collega. Io credo però che vada posto il tema della difesa europea. L'altro giorno il Generale Graziano – con una bella intervista su La Repubblica – ci ha richiamato a questo, da presidente di un comitato di difesa che in realtà è una sorta di mega consiglio di amministrazione in cui periodicamente si trovano i capi delle Forze armate, non c'è un esercito alle loro dipendenze.
  Occorre anche ripensare la NATO. La NATO ha ripensato se stessa andando in Afghanistan e altrove: non era quella la missione originaria, è cambiato il contesto ed è cambiato il tipo di missione. Quando gli americani ci hanno detto di spendere di più per la difesa nella NATO, noi non l'abbiamo fatto. Andatevi a rileggere un bell'articolo di Giuliano Ferrara di un paio di giorni fa che dice che quelli che erano contro Guantanamo devono essere contenti perché quelli di Guantanamo hanno preso il potere; quelli che erano contro le guerre umanitarie devono essere contenti perché alla fine hanno vinto gli altri. La realpolitik ci induce anche a immaginare di accelerare i tempi di una difesa europea. Il Sahel è di fronte a noi e il fondamentalismo e anche lì; dal Sahel si risale in Libia; la Tunisia non se la passa molto bene; i turchi hanno un disegno; i cinesi, Ministro Di Maio, non credo che ci vogliano bene. Forse i meno cattivi sono diventati i russi: pensi un po', Fassino, come cambia la storia... Se gli americani vanno in fuga, forse la Russia può sembrare diversa da quella di altri tempi. Io dico che noi ci dobbiamo porre il problema di una difesa europea, che vuol dire costi economici, organizzazione, cultura. Altri popoli, sul piano demografico e sul piano della determinazione, crescono e vincono. Perché quell'esercito si è dissolto e quegli altri sono arrivati con le motorette? Perché quelli sono convinti, nella loro follia integralista e fondamentalista, gli altri forse...
  Oggi ho letto l'intervista di un Generale che diceva che non gli pagavano lo stipendio, perché qualcuno forse si sarà trattenuto i soldi che gli italiani e gli americani versavano: non certo gli occidentali, voglio immaginare.
  Concludo dicendo, Presidente Fassino e Ministri, che la storia è maestra di vita. Prima vedevo qui il senatore Renzi e cito un suo predecessore che non era Sindaco, ma Segretario del comune, Machiavelli. Lui non era sindaco, ma era un uomo di una certa influenza all'epoca e diceva: «I profeti armati vinsono e quelli disarmati ruinorno». Non c'è bisogno di tradurre. Alla fine chi non porta le proprie armi porterà quelle altrui, quindi occorre porre il tema della difesa e della sicurezza, poi faremo le missioni dei cooperanti. Una volta il generale Corcione, quando divenne Ministro della Difesa, disse che i nostri soldati lavorano più con i mestoli che con i mitra e siamo contenti di questo; però la difesa, la sicurezza, un esercito europeo, il non ripetersi di fughe scomposte come quella a cui stiamo assistendo sono un motivo di riflessione vera.
  Penso di avere finito il tempo e comunque non penso di risolvere questo tema, ma questo è il tema che abbiamo di fronte, come classe politica europea e occidentale.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore. La parola alla senatrice Garavini di Italia Viva, prego. Ricordo sempre che attenersi ai tempi garantisce il diritto di parola a quelli vengono dopo. Prego, senatrice.

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  LAURA GARAVINI. Vorrei iniziare con un profondo ringraziamento ai funzionari della Farnesina, a tutte le donne e uomini delle nostre Forze armate. Io credo che le immagini che ci arrivano in questi giorni, in queste ore, del Console Claudi da un lato e del Generale Portolano dall'altro, siano forse il modo migliore per rendere onore ai cinquantaquattro nostri militari che nel giro di questi vent'anni hanno purtroppo perso la vita nel loro sacrificio in Afghanistan e anche agli oltre settecento feriti. Di certo non è stata inutile questa nostra presenza in Afghanistan; ma la profonda gratitudine non è sufficiente a cancellare questa profonda ferita per tutto l'Occidente. Una profonda ferita derivante dalla presa di Kabul da parte dei talebani, che ci obbliga a ripensare l'architettura geostrategica del nostro Paese rispetto alle questioni della difesa e della sicurezza.
  La superiorità militare della NATO è stata messa purtroppo in seria discussione e si pongono una serie di quesiti, ma soprattutto tutto questo ci deve indurre a riflettere seriamente a come ripensare le misure di sicurezza del nostro Paese. Rispetto a questa drammatica vicenda io credo che sia ora che l'Europa prenda l'iniziativa e acceleri quel processo di integrazione che non può essere soltanto un processo di integrazione politica, economica e finanziaria, ma deve essere anche un processo di politica e di difesa comune. Io credo che adesso si pongano quattro questioni, tra cui quella dell'emergenza per la messa in salvo degli operatori. A questo proposito la mia domanda è se siamo ancora nelle condizioni di sapere il numero di concittadini italiani presenti ancora in Afghanistan e se siamo nelle condizioni di garantire condizioni di sicurezza a loro.
  Inoltre domando se siano stati portati in Italia tutti gli operatori che sono stati di supporto alle nostre Forze armate e alle nostre ong nel corso di questi decenni di nostre missioni e, se non si dovesse riuscire entro il 31 agosto, quali misure si intenda mettere in atto per cercare di tutelare la sicurezza di queste persone.
  Poi si pone la questione dei rifugiati, quindi non soltanto coloro i quali ci hanno aiutato, ma anche i rifugiati, con particolare attenzione alle donne. Credo che sia importante che l'Italia si renda promotrice nei confronti dell'Europa dell'istituzione di corridoi umanitari, indipendentemente da quelle chiusure espresse in queste ore dall'Austria, dall'Ungheria dalla Slovenia. Abbiamo un dovere morale nei confronti di queste persone, ma abbiamo anche interesse a che queste persone possano trovarsi in condizioni di sicurezza in Europa, ma consideriamo anche tutta quella quantità di rifugiati che molto probabilmente troverà rifugio nei Paesi limitrofi l'Afghanistan. Credo che sia importante che l'Italia si renda anche promotrice nei confronti dell'Europa per pensare da subito anche misure di aiuti umanitari proprio per evitare che si debba, nel giro di poche settimane, arrivare a una vera e propria catastrofe umanitaria anche per tutti coloro i quali non riusciranno ad essere trasferiti in Europa.
  Si pone un terzo punto dirimente che è il pericolo terrorismo: in concomitanza con l'entrata dei talebani a Kabul c'è stata una risposta entusiasta da parte di diversi gruppi terroristici in diversi Paesi in giro per il mondo. Al momento non sono noti rapporti per così dire di amicizia tra Daesh e i talebani, ma c'è il rischio che l'Afghanistan torni a essere culla di diversi movimenti terroristici poi pronti ad operare a livello mondiale, così come l'11 settembre del 2001 ci ha purtroppo dimostrato. Questo è un pericolo estremamente vero e credo che debba essere preso seriamente in considerazione a livello nazionale e a livello europeo.
  Per ultimo c'è la necessità, come accennavo all'inizio, di ripensare la NATO e di ridisegnare una strategia di difesa per il nostro Paese. Credo che l'Italia debba giocare un ruolo di sprone nei confronti dell'Unione europea proprio per pervenire, come dicevo, a un'integrazione europea che metta tra i pilastri dell'Europa del futuro anche la politica di difesa e di sicurezza. Grazie, Presidente.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice. La senatrice Rauti, prego.

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  ISABELLA RAUTI. Grazie. Anche il gruppo Fratelli d'Italia – e non da oggi – vuole ringraziare le nostre Forze armate per quanto hanno svolto in ogni missione internazionale e quindi anche in Afghanistan. Oggi naturalmente vogliamo ringraziare tutti coloro che consentono l'operazione Aquila Omnia di evacuazione di interpreti e di collaboratori e quindi il pensiero costante va a loro.
  Le mie domande – che cercherò di contestualizzare – riguardano più gli aspetti di politica di difesa mentre quelle legate alla politica estera saranno esposte meglio dal collega Delmastro Delle Vedove. Io comincerei, Ministro Guerini, dal ritiro delle nostre truppe, che è stato più volte annunciato anche dai Ministri che l'hanno preceduta. Però nel momento in cui il ritiro si è materializzato, abbiamo appreso la notizia sostanzialmente dai media, senza nessun passaggio né nelle Commissioni di competenza né in Parlamento e in modo direi frettoloso: senza polemica, ma credo di poterlo definire così. Tutti sanno che non c'è stata la dovuta accoglienza della bandiera di guerra: so della questione della quarantena, ma non è sufficiente a giustificare quello che è successo. Credo che anche questo sia un nodo da affrontare quando vorremo fare un'analisi di quello che è stato un totale fallimento di vent'anni di politica occidentale in Afghanistan.
  Torno agli aspetti del ritiro perché anche questi, purtroppo, entrano e concorrono a spiegare quello che è successo. Mentre noi approvavamo ex post in Commissione e discutevamo in Aula delle missioni internazionali in ritardo, approvavamo anche la missione in Afghanistan. Mentre noi la approvavamo, i talebani già cominciavano a conquistare, com'è noto, alcune province.
  Noi non ci facciamo capaci del fatto che mentre questo avveniva, nessuna fonte ci abbia informato di quella che sarebbe stata una rivincita fulminea e una rivincita – Lei ha detto – curata nei dettagli. Io aggiungerei che è stata una rivincita armata perché, come ci ha anche informato il Washington Post, è almeno un anno che i talebani vanno dai funzionari governativi dei villaggi rurali chiedendo di acquistare delle armi in cambio di una resa. Questo significa che era tutto curato, ma anche un progetto armato di riconquista e anche per questo è stato fulmineo e non ha incontrato nessuna resistenza. Come abbiamo potuto non sapere e non immaginare e non prefigurare tutto questo?
  Un'altra domanda: Ministro, Lei sa che noi tra i primi abbiamo fatto delle interrogazioni per favorire da subito – prima che tutto precipitasse – il rimpatrio o comunque la messa in sicurezza di interpreti e collaboratori che hanno coadiuvato le nostre Forze armate. Erano numeri piccoli perché abbiamo avuto soltanto tra i primi duecentoventuno, poi si parlava in futuro – ad agosto-settembre – di trecentonovanta, Lei lo ha confermato oggi. Però oggi capiamo anche che invece sono migliaia, tra quelli che abbiamo salvato e quelli che dovremo salvare, e quindi questa è la mia domanda: come facciamo se non riusciamo a farlo entro il 31 agosto? Qual è il piano B rispetto a questo salvataggio? Se erano così tanti, non lo erano anche prima? Sicuramente lo erano, quindi Lei non crede che ci sia stata una certa lentezza in queste procedure, prima che tutto precipitasse, per portare in salvo queste persone?
  Purtroppo dobbiamo anche denunciare il ritardo con cui si svolge questa audizione, che poteva – come richiesto da Fratelli d'Italia – svolgersi la settimana scorsa. In ritardo ci sarà il 7 settembre un'informativa – ripeto, non comunicazioni, ma è un'informativa – in Parlamento che si poteva invece svolgere oggi. I ritardi si accumulano e non ci sarà – al momento non è prevista – quella che sembrerebbe invece per noi di Fratelli d'Italia la risposta delle risposte: una comunicazione del Presidente Draghi con le votazioni per gli indirizzi di politica. In tutto questo oggi si svolge il G7, giustamente con interlocuzioni anche telefoniche fra i vari Capi di Stato, ci sono dei forum internazionali. La domanda è chi, dove, come e quando decide la posizione italiana rispetto, per esempio, ai profughi e all'emergenza umanitaria; chi, dove, come e quando – se non c'è un indirizzo da parte del Parlamento – decide se dialogare con Pag. 25quello che è un emirato, uno Stato governativo fondato sulla legge islamica, se verrà mai riconosciuto; chi sono i nostri interlocutori.
  Forse ho ancora un minuto...ho esaurito il mio tempo? Allora chiudo, chiedo scusa. Avevo altre domande, ma poi ci sarà il collega che riuscirà a colmare i vuoti che lascerò. Da parte nostra questi ritardi si sono accumulati uno sopra l'altro e c'è una dilazione dei tempi. Convocare e fare l'informativa il 7 settembre significa farlo quasi un mese dopo i fatti. Non c'è traccia di una assunzione di responsabilità da parte del Presidente del Consiglio di ascoltare il Parlamento e di mettere ai voti gli indirizzi di politica che l'Italia intende e deve assumere in Europa, rispetto alla comunità internazionale e rispetto all'Amministrazione Biden, che è senz'altro la più responsabile del caos e della destabilizzazione in Afghanistan.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice. Il senatore Romani del Gruppo Misto, prego. Ricordo anche al senatore Romani il tempo. Da remoto, prego. Deve accendere il microfono.

  PAOLO ROMANI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Un saluto ai due Ministri presenti, anche se vi dico che concordo parzialmente con le due relazioni che avete introdotto.
  Io penso che la tragedia afgana nasca soprattutto dalla incapacità che ha avuto l'Occidente di comprendere la società afgana. Noi italiani e occidentali abbiamo immaginato di costruire in Afghanistan uno Stato cosiddetto democratico, con istituzioni elette secondo le classiche regole della democrazia rappresentativa di stampo occidentale. Io ritengo che sia stato un errore fondamentale, un errore grossolano perché la società afgana è una società che è rimasta e rimarrà profondamente tribale. I capi dei villaggi avranno sempre un'autorità superiore a qualsiasi rappresentante governativo che potrà essere mandato. Se voi andate a chiedere a un cittadino di quel Paese a quale comunità si senta vicino, nel cuore e nella mente, la prima risposta che vi darà sarà che si sente vicino alla sua comunità tagika, uzbeka, hazara, pashtun e poi, forse, si ricorderà di appartenere a un Paese che si chiama Afghanistan.
  C'è un altro problema di cui forse ci siamo dimenticati: in Afghanistan sono presenti le due grandi anime dell'Islam, quella sunnita e quella sciita, che sono in guerra in tutti i Paesi arabi.
  Un altro elemento che a mio avviso è stato largamente sottovalutato è stato quello della presenza dei signori della guerra: Dostum, Ismail Khan, Massoud, il giovane Massoud e Hekmatyar – che fa parte, guarda caso, di quel Consiglio di dodici che si sta formando – all'epoca dell'invasione sovietica sono stati l'unica vera difesa, e forse si sono difesi anche nel caso dell'avanzata talebana, ma il problema è che gli Stati Uniti hanno cercato di indebolire la loro capacità di difesa. Io ho conosciuto personalmente Ismail Khan nella sua casa-fortezza di Herat. Ricordo che mi disse che era in grado – se ci fosse stata la necessità – di mobilitare 30 mila uomini in difesa della sua città di Herat. Nello stesso periodo il Governo afgano mandò a Herat il Governatore di nome Daud Saba – che aveva la famiglia trapiantata in Canada – che non faceva minimamente riferimento a Ismail Khan, e quindi indebolì l'autorità di quel signore della guerra. Ci fu anche un altro problema: i tanti comandanti dei contingenti italiani raramente andavano a trovare Ismail Khan, quasi mai i diplomatici. I comandanti italiani non ci andavano perché c'era quella sciagurata turnazione semestrale: era giusta per i contingenti, ma forse era un po' meno giusta per i comandanti stessi.
  Abbiamo sostanzialmente un Paese drammaticamente aggrovigliato con una storia e con una cultura profondamente diversa dalla nostra. Un Paese dove – lo citava prima Di Maio – era largamente prevalente l'economia illegale del narcotraffico, che comunque ha assicurato in questi anni la sopravvivenza dell'80 per cento delle famiglie afgane, e la corruzione che ha afflitto tutti gli uffici nazionali locali, probabilmente anche per una non Pag. 26sapiente elargizione di tante risorse da parte dei Governi occidentali.
  Il problema di fondo di questa tragedia afgana risiede nel fatto che io mi rifiuto di accettare la narrazione che tutto è successo per la non capacità della leadership afgana di resistere, perché il Governo Ghani è stato fondamentalmente destituito degli Accordi di Doha. A Doha gli americani hanno trattato direttamente con i talebani, escludendo completamente Governo afgano, le modalità di rientro del contingente americano e internazionale. Non si sono minimamente preoccupati, in quella sede, di capire quale potesse essere il futuro della nazione afgana. Tutto questo è stato aggravato dal fatto che noi – noi italiani soprattutto – pensavamo di avere anche un ruolo di nation-building in Afghanistan, ma nella sua sorprendente conferenza stampa Biden ci ha invece detto che l'unica missione che avevamo come contingente occidentale in Afghanistan fosse quello di combattere Al Qaeda. Questo mi sembra che sia accaduto a un anno dall'invasione nel 2001 e con l'uccisione di Osama Bin Laden – come ricordava giustamente il senatore Gasparri – che è venuta la bellezza di dieci anni fa. Ci siamo trovati impreparati rispetto a un ritiro che nasce da quello che è accaduto negli ultimi mesi, dalle decisioni dei Governi americani.
  Ora quale può essere il nostro ruolo, presidente? Io penso che nell'immediato noi dobbiamo assolutamente mettere in salvo tutta quella società civile formata da tanti cittadini afgani che sono stati vicini ai nostri ideali, che rischiano di essere bersaglio diretto di violenza da parte dei talebani. Si tratta della difesa di un investimento che abbiamo fatto in tutti questi anni, ma è la difesa anche di quegli uomini e di quelle donne che possono essere il futuro dell'Afghanistan.
  Il secondo ruolo che possiamo svolgere è quello di proteggere gli italiani che hanno scelto di rimanere in Afghanistan: uno per tutti Alberto Cairo, che è rimasto in Afghanistan coraggiosamente in nome e per conto della Croce Rossa Internazionale.
  Il terzo elemento – qua mi rivolgo direttamente al Ministro Di Maio – è che non possiamo lasciare un'area nella quale abbiamo profuso risorse e uomini a favore di Paesi come la Turchia, la Russia e la Cina.
  Attenzione, Ministro Di Maio, rispetto al G20: noi non abbiamo interessi coincidenti con quelli di Turchia, Russia e Cina; abbiamo interessi assolutamente divergenti.
  Concludo con tre domande. Anch'io lo chiedo, non riesco a non chiederlo: in questi giorni ho parlato con la Farnesina diverse volte, ma mi spiegate per quale straordinario motivo avete messo sul primo aereo disponibile l'Ambasciatore italiano, quando l'Ambasciatore francese David Martinon, quello inglese Laurie Bristow, quello dell'Unione europea Von Brandt, il chargé d'affaires americano Ross Wilson sono rimasti al sicuro in aeroporto? Tenuto conto anche del fatto – è una notizia delle ultime ore – che sembra si stia formando un Consiglio di dodici – mi pare che ne abbiano già indicati sei – del quale fanno parte Abdullah Abdullah – Vicepresidente del Governo uscente – e addirittura Hamid Karzai, ex Presidente dell'Afghanistan. L'alto livello diplomatico che oggi si pretende dalle rappresentanze occidentali è fondamentale, perché non dico che si debba trattare, ma un'interlocuzione con questo Consiglio non rivoluzionario, probabilmente inclusivo – e speriamo inclusivo – immagino che debba avvenire.
  La seconda domanda è questa e lo chiesi al Ministro qualche giorno fa, molto prima del 15 agosto. Noi abbiamo avuto molti collaboratori a Herat, Bala Baluk e Farah: perché non abbiamo provveduto a esfiltrarli prima? Sapevamo, avevamo capito che questa avanzata era molto veloce, per quale motivo abbiamo aspettato tanto? La domanda di riserva è la seguente: siamo in grado oggi, con qualche operazione, di recuperarli oppure li costringiamo a percorrere le strade pericolosissime dell'Afghanistan che da Bala Baluk, Herat e Farah portano a Kabul in quel pasticcio infinito che è l'aeroporto di Kabul?
  Un'ultima domanda riguarda le liste, perché non ho ancora capito. Le liste delle persone che devono venire in Italia sono state fatte dai diplomatici, dai militari e – immagino – anche in base a indicazioni Pag. 27individuali che arrivano casualmente tramite conoscenze. Però, se non ho capito male, occorre una trattativa – che gli americani stessi ammettono di fare – con i talebani. Queste liste vanno trattate con i talebani, perché queste persone devono passare attraverso i posti di blocco e i talebani hanno sicuramente le medesime liste. La mia domanda è questa, e non so se la risposta possa essere fornita in questa sede: a me basta che mi rispondiate che ci state pensando. Io ho una preoccupazione, al di là dei numeri importanti di 2.500 persone che sono state recuperate fino a oggi: siamo in grado di fare in modo che la presenza su quelle liste di nomi di cittadini afgani che hanno collaborato con gli occidentali non vengano poi utilizzate male o peggio dei talebani, che vedono quei cognomi sulle liste che dobbiamo andare a concordare? C'è una sovrapposizione, ovvero c'è un minimo di trattativa? Il problema di fondo è che avremo sette giorni davanti e mi sembra che il G7 non riuscirà a posticipare la data del 31 agosto. Abbiamo sette giorni per recuperare quelle 1.000-1.500 persone che hanno collaborato e che chiedono aiuto a tutti i livelli attraverso tutti gli strumenti possibili. Siamo in grado di fare ordine e di fare in modo che queste persone vengano comunque salvate, al limite anche con un confronto con i gruppi o con il Governo talebano che si va formando? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore. Onorevole Palazzotto di LEU. Da remoto, prego.

  ERASMO PALAZZOTTO (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio anch'io i Ministri, ringrazio i presidenti delle Commissioni di Camera e Senato e in particolar modo il presidente Fassino per il lavoro di coordinamento e di costante aggiornamento del Parlamento in questi momenti così concitati.
  Mi unisco anch'io ai ringraziamenti per il nostro personale diplomatico e per le nostre Forze armate per il lavoro straordinario di questi giorni e sono anch'io convinto che in questo momento serva convogliare ogni sforzo per salvare quante più persone possibile dal rischio di ritorsioni da parte dei talebani. So che non è questo il momento per approfondire un dibattito su un bilancio complessivo dell'intervento militare ventennale come quello afgano. Penso però che davanti a un esito così disastroso del conflitto, con oltre 500 mila morti tra i civili, al netto del tributo di sangue pagato dalle nostre Forze armate e non solo e al netto della spesa militare enorme che è stata investita da parte dei Paesi dell'Alleanza, non ci si possa esimere dall'esprimere un giudizio netto sul fallimento intanto di una concezione di politica estera che vede nella guerra uno strumento per esportare la democrazia.
  Oggi, ad esito di vent'anni di conflitto, forse una riflessione su questo andrebbe fatto: la guerra non produce un miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, questo mi sembra un dato di fatto. La domanda a cui oggi tutti dovremmo rispondere sul bilancio di vent'anni di guerra al terrorismo è se dopo tutto questo il mondo può definirsi oggi un luogo più sicuro. L'invasione dell'Afghanistan, quella dell'Iraq, il conflitto in Libia hanno contribuito a indebolire la minaccia terroristica o complessivamente hanno creato le condizioni perché la minaccia terroristica trovasse più humus dentro le ingiustizie che la guerra produce?
  Io ho sentito in questi giorni raccontare tutto quello che l'Afghanistan è diventato in questi vent'anni e dal mio punto di vista c'è una grande edulcorazione. È vero che in alcune parti dell'Afghanistan la condizione delle donne e la possibilità di andare a scuola per molti bambini sono migliorate, ma è vero anche che l'Afghanistan è stato in questi vent'anni un luogo da cui milioni di persone hanno continuato a fuggire. Forse oggi una discussione su questo – sulla gestione umanitaria del conflitto, sia precedente sia attuale – andrebbe aperta. Io lo dico così: il ritiro è senza appelli. Oggi noi possiamo solo gestire la sconfitta e accettare che da oggi l'Afghanistan sarà governato dai talebani, anche se c'è da verificare sul campo cosa sarà questo nuovo Afghanistan, che cosa determinerà la nascita di questo nuovo Governo e come sarà composto. Però vorrei che chiudessimo la Pag. 28stagione degli annunci trionfali come «Non lasceremo soli gli afgani». Noi lo abbiamo già fatto. Chi vi parla è sempre stato contrario all'intervento militare in Afghanistan e ha chiesto negli anni il ritiro dall'Afghanistan. Però il ritiro andava programmato costituendo una conferenza di pace per uscire dall'Afghanistan, non con una trattativa riservata a Doha da parte degli americani che hanno escluso non solo gli altri interlocutori afgani che erano necessari per evitare questo disastro, ma anche le altre forze alleate. In together out together non ha funzionato, lo dico al Ministro Guerini e al Ministro Di Maio.
  Noi abbiamo pagato un tributo di sangue, noi siamo rimasti fino alla fine ad Herat. Noi abbiamo acquisito da informazioni di stampa che qualche anno fa c'era una trattativa in corso e abbiamo acquisito l'esito attraverso delle note verbali che ci sono state passate. Da questo punto di vista credo che questa sia una riflessione che noi dobbiamo fare anche rispetto al rapporto con gli alleati. Noi non avremmo potuto fare di più nel momento in cui gli americani hanno deciso di andarsene, però eviterei di immaginare che adesso lasciando l'Afghanistan si possa aiutare sottobanco qualcuno che alimenterà un ulteriore conflitto civile e si possa fare qualcosa attraverso una cooperazione internazionale in un territorio in cui molto probabilmente non potranno arrivare operatori umanitari. Tutto è molto complicato ed eviterei una politica di annunci. Penso che il G7, come il G20, non possa concentrarsi su quante centinaia di persone in più si portano via dall'aeroporto di Kabul o se questo resta aperto quattro o cinque giorni in più.
  Le immagini dei bambini che vengono portati via, lanciati dalle madri oltre il filo spinato raccontano il disastro del conflitto in Afghanistan. Io non le farei diventare l'immagine di una grande operazione di salvataggio, perché ci sono dieci milioni di bambini che rimarranno nel nuovo Afghanistan governato dai talebani e tantissime donne rimarranno lì e subiranno la violenza dei talebani. Io penso che da questo punto di vista bisogna invece discutere oggi di una proposta politica che gestisce la sconfitta e l'emergenza umanitaria.
  In gioco, da questo punto di vista, c'è la credibilità politica dell'Occidente, che è stata fortemente messa in discussione da questo conflitto e le cui conseguenze geopolitiche sono enormi. La perdita di credibilità rafforza altri interlocutori che hanno una visione radicalmente diversa da quella nostra. All'ultimo G7 il Presidente Draghi ha ricordato come in gioco c'è una visione diversa: da una parte c'è la democrazia e dall'altra l'autocrazia. Quella afgana è una grande sconfitta per la causa della democrazia a livello globale. Io penso che oggi quello che dovrebbe fare il G7 e che dovrebbe fare in primo luogo l'Unione Europea è immaginare come si costruisce un grande piano straordinario di accoglienza per i profughi afgani che fuggiranno dall'Afghanistan.
  Comincerei dal discutere di come si riapre la frontiera balcanica ai profughi afgani che sono ammassati al confine dell'Unione europea in Bosnia, perché dall'Afghanistan non si fugge solo adesso. L'Afghanistan era un Paese in guerra e dopo questi vent'anni non era magicamente diventato democratico, ma continuava ad avere le sue contraddizioni ed era un Paese dove si moriva molto facilmente, per cui gli afgani hanno continuato a fuggire. Le immagini dei profughi afgani alla stazione di Belgrado, al confine con la Croazia, i respingimenti che ci sono stati al confine con la Slovenia anche da parte del nostro Paese ci dicono anche quanto noi abbiamo sottovalutato questa vicenda.
  Oggi penso che dovremmo prepararci – ho concluso, presidente – anche a gestire una nuova ondata migratoria, che non si vedrà nei prossimi giorni. Non si tratta delle tremila o quattromila persone che dovremo accogliere, ma saranno alcuni milioni di persone che nei prossimi anni fuggiranno all'Afghanistan e che probabilmente si presenteranno tra qualche anno in Europa. Loro chiederanno, dopo che noi abbiamo combinato questo bel disastro, di avere accoglienza e di avere un'altra possibilità e io penso che noi abbiamo il dovere Pag. 29 morale di dargliele. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie. Ricordo a tutti di rispettare il tempo, la parola al senatore Casini dopodiché si prepari l'onorevole Silli. Prego, senatore. Accenda il microfono, senatore.

  PIER FERDINANDO CASINI (intervento da remoto). Colleghi, io sinceramente credo che le parole del presidente Fassino oggi e anche le delucidazioni dei Ministri siano state molto serie. Qui siamo davanti ad una catastrofe politica, umanitaria, sociale, economica e militare che segna una discontinuità terribile nel nostro tempo. È inutile che cerchiamo in qualche modo di edulcorare la pillola. «Andare insieme, uscire insieme.»: l'ho sentito tante volte dal Ministro Guerrini e non è certo responsabilità sua se siamo andati assieme e, da Doha in poi, non siamo usciti insieme. Le scelte da Doha a quelle dell'attuale Amministrazione Biden sono scelte che mettono drammaticamente l'Occidente e l'Europa davanti a responsabilità inedite. Vanno molto oltre i quesiti che giustamente i colleghi stanno rivolgendo ai Ministri sui singoli aspetti. La questione dell'Ambasciatore e il motivo per cui non abbiamo portato via prima la gente sono tutte cose giustissime – o meno, questo lo sentiremo dai Ministri, io mi fido di loro –, ma il problema è molto più grande.
  L'onorevole Picchi ha fatto un intervento che a mio parere non va lasciato cadere, perché dice che l'Unione europea si è rivelata inesistente in questa vicenda. Onorevole Picchi, io credo che qua potremmo darle tutti ragione. Il punto vero è capire perché è inesistente l'Unione europea e perché noi in questi anni – comprese anche tante posizioni all'interno dell'Unione europea – abbiamo lavorato perché fosse inesistente. Siamo stati timidi nel mandare avanti un processo di unità europea che comprendesse la politica estera e di difesa e oggi ci rendiamo conto che siamo dei nani politici anche se possiamo essere potenzialmente dei giganti economici. Più che denunciare oggi l'inesistenza europea dobbiamo metterci di buona lena per creare un'Europa unita, perché da soli siamo semplicemente inesistenti.
  Procedere in ordine sparso è controproducente: lo abbiamo visto anche nel Mediterraneo, lo abbiamo visto in Libia, quando la Francia occhieggiava ad Haftar e noi all'altro Governo legittimato dalle Nazioni Unite. Il risultato qual è stato? Le carte nel Mediterraneo le danno i Paesi del Golfo, la Turchia e la Russia e noi europei siamo completamente inesistenti. Qui c'è qualcosa di più profondo ancora dell'Europa: c'è l'idea stessa dell'Occidente che è messa in discussione e che questa vicenda afgana ha drammaticamente messo in evidenza. «Non si esporta la democrazia, si esporta la democrazia»: consentitemi una battuta molto semplice: non si possono esportare i modelli istituzionali dell'Occidente – penso ai modelli parlamentari così come li conosciamo noi – in una realtà, come diceva Romani, che è tribale. Però ci sono dei diritti universali indisponibili che devono essere accettati e di cui noi dobbiamo essere garanti, se siamo civili. Penso al problema delle donne, penso alla parità e ai diritti dei cittadini di esprimersi in qualche modo. D'altronde è la logica in base alla quale abbiamo lavorato perché l'infibulazione nei Paesi africani fosse vietata, perché era una pratica incivile. Anch'essa veniva dalle tradizioni, ma era una pratica incivile, così come sono incivili le pratiche di violazione dei corpi delle bambine che vengono mandate in spose per procura dalle famiglie a dodici o a tredici anni.
  In fondo, che questi diritti abbiano fatto breccia lo dimostrano quelle braccia protese all'aeroporto di Kabul perché la gente che ha assaporato l'idea di un Afghanistan diverso vuole scappare. Noi dobbiamo riflettere molto profondamente su tutte queste vicende e io mi auguro veramente che lo facciamo senza polemizzare tra di noi. La vicenda è talmente grande e supera la testa di ciascuno di noi che è inutile che utilizziamo questa cosa per fare piccole polemiche che francamente lasciano il tempo che trovano e dimostrano l'inadeguatezza di una classe politica.
  Infine, faccio un discorso sul Governo dei talebani: certamente dice di parlare coi Pag. 30talebani chi oggi è all'aeroporto di Kabul. Pensiamo al nostro Console: con chi deve parlare? Deve parlare anche con i talebani, se vuole salvare della gente. Però l'idea di riconoscere il Governo talebano è fuori dalle possibilità che a mio parere oggi l'Italia si deve porre. Su questo dobbiamo essere molto netti perché dobbiamo rispettare – con i fatti e non con le parole – i cinquantaquattro caduti italiani in Afghanistan e le migliaia di militari che hanno dato comunque un esempio di serietà nel nome del nostro tricolore.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore Casini. L'onorevole Silli, a cui seguirà il senatore Monti.

  GIORGIO SILLI. Grazie, presidente. Devo dire che l'intervento del senatore Casini ha preceduto la riflessione che io avrei voluto fare e soprattutto proporre all'Assemblea, nel senso più ampio della parola.
  Innanzitutto, ovviamente, ringraziamo tutti quanti Tommaso Claudi, ma anche – permettetemi, da toscano – il I reggimento del Tuscania prima e poi successivamente la Folgore siano lì ad adoperarsi per salvare vite ed inviare in Italia persone che davvero rischiano la pelle.
  Io credo che una riflessione sul bivio di fronte al quale ci troviamo debba essere fatta. Possiamo passare le giornate intere a dire che abbiamo fatto bene o che abbiamo fatto male e che dovremmo fare questo o quello, ma la politica non è interventismo, o quantomeno non è sempre interventismo. La politica deve essere lungimiranza, la politica deve avere un'idea di quello che noi vogliamo o vorremmo essere e con chi vorremmo stare. L'opinione pubblica internazionale ha accusato l'Occidente e per l'Occidente è chiaro che intendiamo l'Europa e gli Stati Uniti perché gli Stati Uniti non sono altro che noi europei dall'altra parte dell'oceano con i nostri valori, con la nostra idea di democrazia, di diritti umani, di collaborazione. Non a caso la storia nostra – di noi italiani soprattutto, ma di buona parte dell'Europa – è costellata di accordi internazionali e di patti con l'alleato americano, con gli amici del popolo degli Stati Uniti d'America. L'opinione pubblica nelle democrazie occidentali è importante.
  Se tutta l'opinione pubblica ha additato l'Occidente – l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America – come traditore, per usare uno dei termini più morbidi che ho visto sui social, questo significa che di fronte a noi abbiamo dei decenni molto complessi e il primo problema che mi pongo, da filoamericano e da filoatlantista convinto, è questo: gli americani pensano di abdicare al loro ruolo di garante dell'ordine mondiale che, grazie a Dio, c'è stato fin da dopo la Seconda guerra mondiale oppure no? Io spero vivamente di no, perché io voglio continuare ad essere fieramente alleato degli Stati Uniti d'America e a difendere l'operato degli Stati Uniti d'America nel nostro Parlamento e nelle nostre istituzioni. Gli americani sono persone – come ho detto poc'anzi – che assomigliano a noi e che hanno gli stessi valori, ma hanno anche la forza e la volontà di usare questa forza laddove noi non riusciamo, non vogliamo o non abbiamo il coraggio di andare.
  Se mi chiedete se sono d'accordo con quello che abbiamo fatto per vent'anni in Afghanistan, io vi rispondo che sono d'accordissimo. Anche l'avere salvato solamente dieci vite umane, evitare di aver fatto decapitare qualche bambino perché cristiano, aver fatto studiare delle donne, aver tolto il burqa per venti anni – venti anni è una generazione – vale il sacrificio e la spesa di Paesi civili come il nostro e come tutto il blocco della NATO.
  Io spero veramente una cosa, presidente, e mi taccio perché voglio rimanere sul generale e il mio deve essere solo uno spunto per una riflessione: spero che gli Stati Uniti, al di là delle Presidenze o della politica di parte – perché, come da noi, anche negli Stati Uniti si fa un po' il gioco delle parti – io vorrei veramente che gli amici degli Stati Uniti d'America battessero un colpo e quantomeno ci dicessero nei prossimi giorni qual è realmente l'intenzione affinché noi, alleati fieramente degli Stati Uniti, si possa ricostruire un percorso per ridare fiducia ai nostri cittadini.

Pag. 31

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Silli. Il senatore Monti e poi l'onorevole Aresta.

  MARIO MONTI. Grazie, presidente. Ringrazio i Ministri e il personale militare e civile che essi rappresentano.

  PRESIDENTE. Senatore, non la sentiamo benissimo, quindi forse deve essere un po' più vicino al microfono.

  MARIO MONTI. Presidente, Lei e i due Ministri e poi molti altri parlamentari avete evocato e invocato un tema che può non apparire di stretta attualità. È un tema importante, ma si può pensare che sia per domani e non per oggi: quello della costruzione di un'adeguata politica estera e della difesa europea. Io penso che questo tema non solo sia importante, ma sia un tema di oggi e non di domani, perché sappiamo tutti che nell'attuale politica e nell'attuale sistema di comunicazione l'attenzione dura pochissimo. Un'altra emergenza fa in fretta a scalzare dall'attenzione un'emergenza precedente. In questi giorni si sono cristallizzati e forse dureranno per un po' – ma forse non per troppo tempo – la delusione, la gravissima preoccupazione e lo sdegno. Questo è il momento di lavorare operativamente su questa costruzione della politica estera e della difesa europea, anche perché qui il tema del rapporto con gli Stati Uniti che è stato anche molto evocato è essenziale. Io sono d'accordo con il Ministro Di Maio: l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono pulsioni antiamericane. Però dobbiamo anche renderci conto lucidamente che il rapporto con gli Stati Uniti non potrà mai più essere quello che è stato fino a qualche anno fa. Abbiamo pensato che la continuità nel rapporto tra Stati Uniti ed Europa fosse destinata ad esserci sempre e che Trump fosse una spiacevole eccezione, ma ci stiamo rendendo conto che l'opinione pubblica americana è molto divisa e non lo era mai stata così tanto.
  Potrebbe esserci una ciclicità nell'atteggiamento verso l'Europa. Non solo, ma la stessa opinione pubblica può far sì che persino un Presidente come Biden, che abbiamo visto molto amico dell'Europa, amico di una certa visione degli Stati Uniti nel mondo, di fronte all'opinione pubblica non possa essere in grado di mantenere questa presenza degli Stati Uniti. Su questi temi – l'audizione di oggi mi sembra che sia stata utilissima – va fatto un lavoro subito, come anche il senatore Casini ha affermato. Io vedo che ci sono due comparti di questo lavoro al quale noi parlamentari possiamo mettere mano, spero con l'impulso del Governo. Una parte riguarda che cosa va fatto di concreto, in che tempi sul piano europeo perché ci sia questa politica estera e della difesa comune. A questo proposito un'iniziativa unitaria del Parlamento italiano e della rappresentanza italiana nella Conferenza sul futuro dell'Europa penso che ci starebbe bene. Mi permetto di osservare che anche l'unico partito dell'opposizione ha dimostrato anche oggi di vederla nello stesso modo sulla politica estera e della difesa.
  In parallelo ci vorrebbe però, se non vogliamo accontentarci delle nostre parole, una riflessione nostra, altrettanto intransigente, su di noi. Benissimo, l'Europa sviluppi la politica estera e della difesa comune. Quali sono le cose alle quali dobbiamo essere disposti a rinunciare? Beh, a qualche manifestazione – magari solo verbale, solo retorica perché di solito resta senza costrutto – di sovranità nazionale; e poi c'è il tema dei costi, anche il senatore Gasparri accennava ai costi. Dovremmo abituarci, se mai si riuscirà ad avere un esercito europeo e una politica estera europea, a risorse proprie che andranno raccolte nei mercati da parte dell'Unione europea e non, come questa volta, per fare grandi prestiti ed elargizioni agli Stati membri, ma per consentire la politica estera e della difesa comune. Scordiamoci una grande riduzione delle imposte, che tutti i partiti promettono.
  Concludo dicendo che – come al senatore Romani – anche a me non è chiaro il vantaggio comparato del G20 per questa questione dell'Afghanistan. Lì siedono Russia, Cina e Turchia che non siedono nel G7, quindi il G7 può essere un buon strumento per arrivare a una posizione di convergenza Pag. 32 occidentale. In caso contrario si vada al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, se si pensa di saper trattare costruttivamente con Russia e Cina su questo tema. Quello che non vorrei è che un G20 indetto dalla Presidenza italiana sull'Afghanistan – difficilmente portatore di grandi risultati concreti, ma forse mi sbaglio – possa inasprire i rapporti con quei membri del G20, come la Russia e la Cina, che in questo momento sono essenziali perché il G20 possa concludere la Presidenza italiana con l'accordo fiscale e con un passo in avanti fondamentale in materia di politica della salute pubblica dopo la pandemia. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore. L'onorevole Aresta e poi il senatore Bagnai.

  GIOVANNI LUCA ARESTA. Grazie, presidente. Mi sia consentito un ringraziamento ai signori Ministri presenti per la disponibilità manifestata nei confronti del Parlamento, ma soprattutto rivolgere un pensiero sentito al personale diplomatico e alle nostre Forze armate per l'importante contributo reso negli anni in quella terra così tanto martoriata.
  Passando rapidamente al mio intervento non posso che evidenziare come quello che sta avvenendo in questi giorni in Afghanistan abbia evidentemente delle ricadute di immagine e sulla credibilità dell'Occidente e della NATO molto forti. Non possiamo negarci un certo imbarazzo nel vedere le terribili scene dell'aeroporto di Kabul, viste in tutto il mondo, che chiamano noi tutti a una riflessione profonda sulle ragioni che hanno portato a quel collasso.
  Abbiamo il dovere di fare questa discussione, che è una discussione seria, perché chiama in causa le ragioni della strategia fin qui adottata dagli States alla quale gli altri Paesi della NATO si sono accodati. Non siamo a quello che due anni or sono il presidente francese Macron definì «stato di morte celebrale della NATO», ma certo non possiamo cavarcela con frasi di circostanza. Qui abbiamo avuto – come ha scritto anche in questi giorni più volte il Generale Graziano – un esercito afgano di 300 mila unità, equipaggiato con le armi più moderne e addestrato anche dai nostri militari che si è sciolto come neve al sole nel giro di pochi giorni, e adesso quelle armi sono nelle mani dei talebani. Lo stesso Generale Graziano invita a indagare su questo fallimento e lo deve fare in primo luogo evidentemente la politica: i Governi e i Parlamenti che in questi venti anni hanno autorizzato quel tipo di missione.
  Lo dico ribadendo in questa sede l'appartenenza all'Alleanza atlantica, ma quanto è avvenuto in Afghanistan – potrei dire lo stesso della guerra in Iraq o di quella in Libia – ci dice che questo modo di procedere evidentemente non funziona, perché crea nel medio e lungo periodo più tensioni e pericoli per la nostra sicurezza di quelle che avevamo in quei contesti evidentemente prima. In una modalità costruttiva tra alleati ci si parla, ci si ascolta, si impara sostanzialmente insieme. Le iniziative unilaterali non hanno mai favorito le attività della NATO e purtroppo, ahimè, noi Paesi europei siamo divisi e non parliamo ancora con una voce sola. Per questo è necessario che l'Unione europea acquisisca una maggiore integrazione e coesione politica sul grande tema della sicurezza e della difesa e abbia finalmente una politica estera comune e condivisa. Lo abbiamo sentito oggi più volte nel corso dei vari interventi. Dobbiamo prendere il tempo per fare questa riflessione perché è necessario, ma ora bisogna agire e anche rapidamente per dare una speranza al popolo afgano. Lo dobbiamo a loro per le sofferenze patite in questi lunghi anni e alle migliaia di vittime afgane e straniere che sono morte nel tentativo di dare un futuro a questa terra.
  In primis, dunque, la messa in sicurezza degli afgani che hanno collaborato con la nostra coalizione, affiancata da un grande lavoro diplomatico volto ad aiutare gli afgani che non potranno lasciare il Paese. Non dovrebbero esserci problemi poi nel chiarire che sviluppare una pressione della comunità internazionale sui talebani non significa riconoscere il sultanato islamico e occorrerebbe, per la gravità della situazione, evitare quelle polemiche strumentali che non fanno evidentemente onore all'intelligenza di chi le agita. Chiedo, in particolare Pag. 33 al Ministro Di Maio, se si possa pensare a un intervento delle Nazioni Unite e, se sì, in che forma.
  Chiedo anche se la Cina – che forse più di noi in quell'area ha interessi vitali – può svolgere con le altre potenze regionali mondiali – penso al Pakistan e all'Iran, ma anche alla stessa Russia – un ruolo positivo a protezione dei civili. Noi pensiamo che devono essere percorse tutte le strade diplomatiche che conducano a maggiori garanzie per la popolazione civile e per farlo è necessaria la collaborazione di tutti.
  Vorremmo capire se la formazione di un Governo di unità nazionale in Afghanistan è una strada percorribile oppure è semplicemente un modo per i talebani di mimetizzarsi in un monocolore camuffato. La partecipazione di Massoud, – figlio dell'eroe dell'Alleanza del Nord ormai controllata dai talebani – a questo processo deve essere incoraggiata? E se sì, come?
  Infine – ma non per ultimo, e concludo – la lotta al terrorismo: il fatto che oggi in Afghanistan non c'è solo Al Qaeda ma anche Daesh, ovvero un concorrente altrettanto criminale, è una minaccia per la sicurezza di tutti i popoli. Questo ci deve indurre ad un'assunzione globale di responsabilità tra le nazioni, evitando quelle illusioni di poter utilizzare questi gruppi, com'è avvenuto in passato, per condizionare o disgregare le potenze di quella regione. I terroristi – ci insegnano l'esperienza e la storia – prima o poi ci si rivoltano contro. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Per la Lega do ora la parola all'onorevole Ferrari, al posto del senatore Bagnai. Dopo c'è l'onorevole Quartapelle.

  ROBERTO PAOLO FERRARI. La ringrazio, presidente. Ringrazio anche gli altri presidenti e i Ministri per le relazioni. Mi associo, come hanno fatto tutti i colleghi prima di me, al ringraziamento per il lavoro svolto in questi anni da tutti i nostri militari e dal personale diplomatico in quel Paese.
  L'inquadramento generale della situazione è stato già svolto dal collega Picchi. Però ritengo – come hanno ricordato alcuni colleghi – che il nostro Paese sia amico degli Stati Uniti e non di una singola Amministrazione. Per questo, ogni tanto, anche sollevare qualche critica alla singola Amministrazione americana non deve considerarsi un delitto di lesa maestà.
  Dico ciò perché, a mio avviso, ritengo che uno degli elementi che ha portato al generarsi di questa crisi sia – come ha sottolineato nella sua relazione anche il ministro Guerini – il mutato orientamento relativo alle condizioni dettate nella Conferenza di Doha per l'attuazione del ritiro: passare da un ritiro al verificarsi di determinate condizioni per il ritiro fissando una determinata data. È la stessa forza che questa mutata condizione consente ai talebani di ribadire il concetto che al 31 di agosto cesserà l'agibilità dell'aeroporto internazionale di Kabul per le persone che si vogliono fare uscire dal Paese a esclusione dei cittadini stranieri.
  Questo certifica che, nel momento in cui si fissa un determinato termine temporale, si concedono ad altri molte più opzioni riguardo alle modalità in cui è possibile ricondizionare e ridispiegare le proprie forze sul terreno.
  Sono curiose le affermazioni fatte dal Presidente Biden negli ultimi giorni. Quelle dichiarazioni hanno evidenziato come la missione in Afghanistan, durata vent'anni, fosse finalizzata – l'hanno detto anche altri colleghi intervenuti prima di me – a eliminare Al Qaeda e non a una ricostituzione statuale che avrebbe dato certezza alla continuità di questa operazione che è stata prima di natura militare, ma che poi doveva proseguire ricreando una entità statuale. Evidentemente l'Occidente è stato capace di svolgere la prima parte della missione – cioè quella militare – e ma non è stato in grado di raggiungere l'obiettivo della seconda missione.
  Fatta questa considerazione generale, che mi auguro necessiterà di approfondimento anche da questo Parlamento, vengo ad alcune considerazioni in merito a quanto sta avvenendo in queste ore.
  Per quanto riguarda la messa in sicurezza degli interpreti e collaboratori che Pag. 34molti hanno sottolineato durante i loro interventi, voglio ricordare che questo tema, proprio per quelle condizioni che ho citato in premessa, non era un'eventualità sconosciuta. Si tenga presente che il gruppo della Lega, a prima firma mia e del collega Formentini, ha presentato fin dal 7 gennaio di quest'anno un'interrogazione che chiedeva conto di come si sarebbero svolte le operazioni di ritorno in Italia e di messa in sicurezza degli interpreti e dei collaboratori che sapevamo essere a rischio sul territorio afgano anche se non vi fosse stato nell'immediato il tracollo dell'entità statuale afgana. Solo il 10 giugno scorso – due giorni dopo l'ammainabandiera a Herat – è stata data una prima risposta che prevedeva il rientro in Italia di 228 collaboratori e, successivamente, una seconda lista da analizzare con 400 collaboratori in corso di accertamento. Sarebbe utile sapere, alla luce dei numeri che sono stati dati anche quest'oggi e cioè circa 3500 persone tra quelle già riportate in Italia e quelle in attesa all'aeroporto di Kabul, quali siano gli elementi che hanno portato a quella prima valutazione e quelli che hanno portato, invece, ai numeri attuali che sono aumentati cinque volte di più. Se c'era un timore paventato da semplici parlamentari già il 7 gennaio, perché non si è dato corso in tempi più celeri e in tempi più sicuri all'espatrio di queste persone?
  L'altro elemento che voglio portare all'attenzione della questa discussione i è legato alla valutazione della nostra partecipazione alle missioni internazionali. Come noi sappiamo non abbiamo forze sufficienti per poter partecipare ovunque ci sia un'emergenza. Forse è utile – e si è iniziato a parlare di questo durante l'ultima discussione sulle missioni internazionali – che questo nostro impiego a livello internazionale sia concentrato dove ci sono i nostri interessi prioritari. Forse sarebbe stato più utile – piuttosto che discutere per una giornata della definizione della missione Irini o dei termini in cui questa doveva essere definita – parlare del tema dell'Afghanistan, dato che eravamo già a luglio. Qui mi collego proprio a una definizione che è stata spesso usata quest'oggi ed è stata usata anche nel passato e cioè together in together out. Tutti siamo andati assieme e insieme ce ne dobbiamo andare e così stiamo facendo, stiamo fuggendo.
  Concludo dicendo che dal prossimo futuro quel together dovrebbe essere legato anche a come assumiamo le decisioni tutti assieme: decidiamo se entrare, se andarcene e come andarcene. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ferrari. L'onorevole Quartapelle e, poi, l'onorevole Valentini.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie, presidente. Anch'io volevo unirmi ai ringraziamenti al personale delle Forze armate e al console Claudi che, anche in queste ore mentre noi parliamo, a rischio personale sono impegnati nella difficile azione di evacuazione. Credo che, al netto dell'impegno straordinario del console Claudi, ci sia bisogno dei diplomatici, della loro capacità di lettura, della loro capacità di presenza e del loro lavoro a Kabul e non solo nell'unità ricostituita della Farnesina a Roma.
  Detto questo, credo che da Kabul arrivi una chiamata per l'Europa molto chiara. La Presidente Von der Leyen aveva iniziato il suo mandato annunciando la volontà e l'aspirazione della Commissione europea di essere una vera Commissione geopolitica. Oggi siamo di fronte alla prova più difficile per quell'aspirazione.
  Ho ascoltato l'intervento del senatore Monti che ho molto condiviso. Credo che ci siamo illusi, qualcuno si sia illuso che con la Presidenza Biden i problemi di dialogo tra Europa e Stati Uniti fossero risolti, ma non è così. Purtroppo quello che è accaduto a Kabul, i passaggi da Doha alle decisioni per il ritiro, ci dicono che c'è molto ancora da ricostruire.
  Oggi per l'Europa inizia una stagione molto diversa che riguarda il tema dell'autonomia strategica e della responsabilità che noi ci prendiamo nel nostro vicino e lontano Oriente. Il discorso di Biden è stato molto chiaro: gli Stati Uniti si muoveranno solo nel loro stretto interesse nazionale e, pertanto, cambia in modo definitivo l'aspirazione Pag. 35 degli Stati Uniti e qui c'è tutto il tema di che cosa ha intenzione di fare l'Europa. La divergenza tra interesse nazionale americano e interesse strategico dell'UE è assolutamente evidente; gli errori di valutazione su cui si discuterà riguardo alla situazione sul terreno lo sono altrettanto. Tutto questo spinge a far sì che l'Europa faccia un salto in avanti, prima di tutto nella definizione di quello che è il nostro interesse strategico europeo comune: non una somma di interessi nazionali, ma un'idea di quello di cui l'Europa ha bisogno per la propria sicurezza e per le proprie aspirazioni.
  In secondo luogo c'è il tema degli strumenti con cui noi portiamo avanti questo interesse strategico. Il Ministro Guerini lo diceva prima: il salto di qualità che deve essere fatto sull'autonomia strategica, sulla capacità di lettura degli eventi, sulla capacità diplomatica europea. Questa chiamata all'Europa è immediata perché servirà una valutazione europea sul problema più pressante: che cosa faremo in Afghanistan quando sarà concluso il ponte aereo? La valutazione europea dovrà essere fatta sia sulla qualità e il tipo di relazioni da tenere con il nuovo regime, sia – soprattutto – su come continuare ad assistere chi resta lì.
  Noi siamo molto concentrati su quello che sta succedendo in queste ore nell'aeroporto di Kabul, ma lì sono concentrate tra le 10.000 e le 30.000 persone. L'Afghanistan è un Paese da 36, 40 milioni di persone e tante di queste vivranno una vita peggiore rispetto a quella che vivevano qualche mese fa. Che cosa intendiamo fare per sostenere sia chi ha delle legittime aspirazioni di libertà, sia chi vede ristretti i propri diritti e le proprie libertà? Penso in particolare al tema delle donne, bambine e ragazze che sono andate a scuola e hanno vissuto in una libertà che oggi non vivono più. In questi minuti sono arrivate dichiarazioni dei talebani che dicono che le donne non possono lavorare per le condizioni di sicurezza. Credo che su questi temi noi dovremmo esserci come Europa.
  Il secondo punto su cui l'Europa deve esserci è la questione dell'accoglienza: non è il tempo di egoismi e di muri né in Italia, né in Europa. Dopo il fallimento morale dell'Occidente che abbiamo visto nel ritiro dall'Afghanistan, come Europa e come Italia non possiamo mancare questo appuntamento. Ci sono alcune cose che si possono fare subito, come la continuazione del ponte aereo che probabilmente è la missione di evacuazione più difficile di sempre e bisogna essere pronti ora per attivare i corridoi umanitari dai Paesi terzi. Sappiamo che l'attivazione di corridoi umanitari riduce anche il potere contrattuale dei Paesi terzi che hanno nei nostri confronti: se noi siamo pronti con dei corridoi umanitari, siamo anche in grado di reagire al ricatto che ci verrà da alcuni di questi Paesi, penso in particolare alla Turchia. Dobbiamo attivarli senza aspettare l'unanimità.
  Infine il punto che sollevava il senatore Alfieri che l'Italia ha già fatto, ma che devono fare altri Paesi europei. Da un lato lo stop ai rimpatri forzati verso l'Afghanistan ora e dopo e, dall'altro, il permesso temporaneo per motivi umanitari per tutti i cittadini afgani presenti in Europa, che sono circa 270.000. Questo deve essere fatto perché le vicende dei Balcani e le vicende di Lesbo sono collegate a quella mancanza di protezione umanitaria di cittadini che invece ne hanno bisogno, soprattutto oggi. Serve pensare a un piano di accoglienza diffusa in modo organizzato e legale ed evitare i litigi, gli egoismi e i muri che indeboliscono semplicemente la proiezione europea. Ne va della nostra idea di diritti e ne va della nostra capacità di proiettarci nel mondo in modo autonomo e credibile: una credibilità che oggi dobbiamo sicuramente tenere ancora più preziosa rispetto a prima.

  PRESIDENTE. Grazie. Segnalo che sulla tabella di marcia di cinque minuti a intervento siamo in ritardo di venti minuti perché ciascuno si è mangiato un minuto o un minuto e mezzo. Onorevole Valentini, prego.

  VALENTINO VALENTINI. Cercherò di fare risparmiare tempo perché intervenendo per ultimo molte domande sono state già poste e molti temi sono stati già Pag. 36affrontati. Cercherò di affrontare gli stessi in maniera diversa utilizzando una metafora.
  Questo ritiro, che per tutti noi è risultato improvviso, è stato come un sasso gettato in uno stagno e come tale crea una serie di onde che si espandono.
  La prima è quella di cui abbiamo parlato, la protezione in loco e l'evacuazione: sono i ponti aerei e la stabilizzazione della situazione attuale, che è molto grave e per la quale si deve parlare coi talebani. Se gli americani non avessero parlato con i talebani, immaginate se saremmo riusciti a fare questo ponte aereo e se i due eserciti si sarebbero fronteggiati senza spararsi con il timore di un attentato in qualsiasi momento.
  Poi avremo le altre onde che partiranno e la seconda è quella dei flussi. Dall'Afghanistan partiranno dei flussi migratori interni, quindi si rischia una catastrofe umanitaria non soltanto alle porte e fuori dall'Afghanistan, ma anche dentro l'Afghanistan. Inoltre ci saranno dei flussi verso l'esterno, sono flussi di carattere migratorio e sono flussi di altro tipo. Ci sono i traffici che sono sempre partiti dall'Afghanistan e possono essere flussi di sostanze stupefacenti (si conta che valga un miliardo e mezzo l'economia dell'oppio per i guerriglieri, due miliardi e mezzo quella dell'Afghanistan stesso); il terzo tipo di flusso può essere anche terroristico. Condivido pienamente l'esigenza di aiutare, di non respingere e di venire incontro alla popolazione afgana che si trova già fuori dall'Afghanistan. Allo stesso tempo dobbiamo essere molto cauti perché basta un incidente di carattere terroristico in questo flusso per mettere in crisi tutto il nostro operato di difesa occidentale.
  La terza ondata di questa metafora è quella dei più grandi equilibri internazionali. Lasciamo perdere per il momento quella che sarà l'ondata ancora più lontana da noi: lo scenario dei rapporti dell'Afghanistan con India, Pakistan, Cina e Russia. Non credo che questa audizione sia il luogo per un'approfondita valutazione di questo tema che dovremmo fare più avanti, anche alla luce di quelli che saranno gli avvenimenti che arriveranno, però si pongono subito due temi: uno riguarda l'Unione europea, l'accelerazione dell'autonomia strategica dell'Unione europea, i rapporti all'interno dell'Unione e il fatto che dentro l'Unione i flussi migratori non sono soltanto quelli dell'Afghanistan già alle nostre porte (sono temi che ci interpellano e che ci impongono di fare un salto in avanti all'interno dell'Unione europea); l'altro tema sono i rapporti all'interno della NATO. Anche all'interno della NATO – come ha detto il Ministro Guerini – il nostro stato maggiore della Difesa aveva fatto presente che in questo momento un ritiro sarebbe stato catastrofico, ma non siamo riusciti a evitarlo. Quindi burden sharing, ma anche power sharing. Ricordo però una cosa a tutti coloro che hanno detto di fare attenzione a parlare in termini troppo encomiastici di quello che succede. Il burden sharing vuol dire accollarci un onere che non so se il nostro Paese sappia fino in fondo che cosa significa. Per quarant'anni noi abbiamo appaltato alla NATO, agli altri, parte della nostra difesa e a questo punto dobbiamo farcene carico e non è una cosa facile.
  Chiudo questa breve analisi facendo una riflessione. Un comandante talebano parlando con un generale americano disse: «Voi americani avete gli orologi, noi abbiamo il tempo». Su questo abbiamo fallito perché nel momento in cui anche noi ci siamo dati il tempo abbiano fatto il loro gioco. Se l'Occidente non recupera il tempo, si frammenterà perché questo avvenimento è epocale dal momento che ha dentro di sé delle potenzialità di frantumazione dell'intero Occidente. Come occidentali possiamo recuperare il tempo e lo possiamo recuperare sui valori. Se i valori sono universali e se i valori sono senza tempo, se noi crediamo in questi valori le promesse non sono delle fantasie e non sono ipocrisia. I valori cessano di essere retorica e i nostri caduti non sono caduti invano perché se crediamo in questi valori, troveremo il modo di difenderli. Questo è un momento di riflessione che continuerà e ringrazio il Governo per avere dato anche la disponibilità a continuare il dialogo con questo Pag. 37Parlamento e di averlo fatto in tempi rapidi. Non penso che si possa fare una telecronaca al Parlamento di ciò che accade, ritengo invece che ci voglia questo dialogo costante con le istituzioni e vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, l'onorevole Delmastro e, poi, l'onorevole Lupi.

  ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE. Grazie, presidente. Siamo tutti qui a raccontare di essere di fronte a una tragedia, a un quadro fosco e apocalittico che chiama in causa una tragedia umanitaria, sociale, economica, geopolitica, un danno di immagine terrificante per le società occidentali e ne raccontiamo come se noi non ne fossimo coinvolti. Voglio solo ricordare a me stesso, affinché visti gli errori del passato non si commetta altrettanto in futuro, che non un anno fa, non nella scorsa legislatura, ma tre mesi fa, all'interno di questo Parlamento, c'era chi salutava con grande gioia la decisione, confermata dal nostro Ministro Luigi Di Maio, di ritirare finalmente le truppe dall'Afghanistan. Una vittoria del Movimento 5 Stelle dopo otto anni di battaglia! Dico questo, presidente, perché a prescindere dalla fondatezza e dalla bontà della nostra posizione in Afghanistan, l'ideologia con cui si è affrontato il tema del ritiro senza chiedersi cosa sarebbe accaduto dopo è esattamente il motivo per cui siamo di fronte a questa tragedia. Questo dobbiamo ricordarlo.
  Voglio anche dire che se raccontiamo che i risultati e le conquiste di vent'anni sono state cancellate in un batter d'occhio per via dell'improvvida e disastrosa gestione del ritiro americano, accelerata ulteriormente in termini improvvidi dalla maldestra operazione architettata da Biden, e vediamo che si sbiadiscono le immagini di quelle conquiste, mentre diventano vivide le immagini di donne che lanciano i bambini oltre un filo spinato per consegnarli ai soldati occidentali è perché qualcuno in Italia, in Europa e in Occidente si nutriva dell'ideologia del ritiro senza chiedersi cosa sarebbe accaduto dopo.
  Ringrazio il Ministro Di Maio per la sua tardiva conversione – non già sulla via di Damasco, ma quantomeno ben distante dalla via della Seta – alle ragioni dell'Alleanza atlantica e segno di resipiscenza e maturità, che francamente dal Ministro non mi attendevo. Ho apprezzato, Ministro, che abbia detto che c'è una sola alleanza ed è quella atlantica. Benvenuto fra di noi.
  C'è un però, Ministro. Noi di Fratelli d'Italia, che non dobbiamo dimenticare i suoi trascorsi filocinesi, chiederemmo maggior fermezza anche nei confronti dell'alleato atlantico, perché se dalla sua relazione emerge che la disastrosa gestione del disimpegno americano è stata accelerata da Biden quasi senza consultarsi con gli altri alleati occidentali, lei prima di venire qui a raccontarci che aumenterà i fondi della cooperazione internazionale, prima di venire qui a dire che dovremmo accogliere tutti, deve andare in Europa e in America a chiedere soldi e finanziamenti per un piano umanitario, un Piano Marshall dei diritti e dei rifugiati che coinvolga i Paesi limitrofi per accogliere tutti i rifugiati, perché è illusorio pensare – come ho sentito dire in quest'Aula – di portare 30 milioni di afgani in Europa. Oltre a essere – glielo dico adesso per domani – pericoloso per i motivi che ci ha già detto il direttore dell'AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), il Generale Caravelli, ovvero che vi si è il concreto rischio che dietro quei profughi si possano nascondere anche dei terroristi.
  Condivido quando dice: «Guardate che i corridoi umanitari li facciamo con le autorità afgane». Ha fatto bene a richiamare a questo senso di serietà e di realtà, perché noi consegniamo una lista di proscrizione agli afgani con cui io e Fratelli d'Italia non vogliamo dialogare fino a quando non daranno loro prima di tutto prova di maturità e di distensione in un rapporto con le altre forze afgane. Su questo vi chiediamo nessun dialogo sino a che non vi è la prova che non sono i talebani che abbiamo conosciuto nel passato. Pertanto, non si riversino 30 milioni di afgani in Europa, ma si faccia un Piano Marshall lì, coinvolgendo l'America. Pag. 38
  Tuttavia, Ministro le devo dire una cosa: come potevate non sapere quello che sarebbe accaduto? Io non ci credo, glielo dico con sincerità.
  L'America non ha comunicato, è stata tardiva nelle comunicazioni. Eppure, non dico un anno o un mese fa, ma una settimana prima che i talebani conquistassero Kabul, come potevate non sapere cosa stava accadendo al punto di trasferire nottetempo l'Ambasciata nell'aeroporto di Kabul o al punto di suggerire all'Ambasciata di bruciare i documenti segreti e sensibili perché non riuscivate neanche a mettere in salvo i documenti?
  Anche i collaboratori, gli interpreti e le loro famiglie da mesi vi dicevano: «Non portateci a casa con una procedura farraginosa, lunga e burocratica come quella dei visti, ma consegnate dei lasciapassare ai vostri comandi militari per recuperarci in fretta». Vi stavano dicendo: «C'è urgenza. Come togliete i piedi questi arrivano!». Come avete fatto a non capire quello che capivano gli interpreti afgani e quello che vi diceva Fratelli d'Italia? Ne va della sicurezza, della salute e della vita di quelle persone, ne va della dignità nazionale, ne va della possibilità dell'Italia di continuare ad avere collaboratori sui profili internazionali, perché nessuno collabora con chi ti abbandona. Non ho sentito nulla sull'ipotesi che l'Afghanistan possa diventare di nuovo un albo per il terrorismo internazionale. Non lo dicono gli sporchi e cattivi sovranisti di Fratelli d'Italia, ma lo dice il direttore generale dell'AISE Caravelli. Ho solo sentito più cooperazione e su questo termino.
  Vede, Ministro, sono sempre stato contrario alla cooperazione internazionale soprattutto per come la gestisce lei, però le debbo dire una cosa. Su questo noi non le lasceremo scampo. Se vogliamo lavorare sulla cooperazione, lei deve dare assoluta garanzia che non un euro di quella cooperazione transiterà alle autorità afgane, perché se lei non ci assicura che neanche un solo euro di quella cooperazione transiterà per le autorità afgane, noi non la considereremo un benefattore dell'umanità con i soldi degli italiani, ma un finanziatore, un complice dell'integralismo islamico. Devono andare a qualsivoglia progetto tranne che alle autorità afgane.

  MAURIZIO LUPI (intervento da remoto). Grazie al Ministro Di Maio e al Ministro Guerrini.
  Il presidente Fassino sa che nella Conferenza dei presidenti dei gruppi della Camera dei deputati il nostro gruppo avrebbe voluto che questa informativa e questo dialogo importante e fruttuoso con il Parlamento avvenisse prima della giornata di oggi.
  Detto questo, visto che tantissimi altri colleghi sono già intervenuti, alcune cose sono state già ribadite, prima fra tutte la questione fondamentale di non lasciare un seppur eroico e giovane console italiano a gestire momenti così drammatici, a causa del fatto che il nostro ambasciatore non è lì presente con la sua autorevolezza e con la sua esperienza.
  Voglio fare tre domande con una premessa. La premessa, non solo formale, per ribadire la nostra posizione è che dall'Afghanistan, come avevamo detto anche in precedenza, non ce ne dovevamo andare e non ce ne dovevamo andare in questo modo. Su Il Corriere della Sera c'è un'intervista dell'ex Ministro degli esteri, Tony Blair, che lancia una sfida a tutti noi. Casini ha fatto bene a dire che viene messa in discussione l'idea stessa di Occidente. Non possiamo prenderci una vacanza dalla storia, non possiamo permettercelo.
  Quello che sta accadendo ha due conseguenze, che sono sotto gli occhi di tutti. La prima è una conseguenza futura per la sicurezza mondiale. Non nascondiamoci dietro la favola dei talebani buoni, è una contraddizione in termini l'essere talebano e l'essere buono. È la natura stessa del talebano che lo prevede con la posizione che conosciamo, ma ovviamente speriamo che non sia così. Quindi, è una conseguenza per la sicurezza mondiale con un emirato islamico retto da talebani. Con questo emirato islamico eretto dai talebani certamente il mondo è meno sicuro.
  La seconda conseguenza riguarda la vita, la libertà, i diritti e la prospettiva non solo delle persone che stanno cercando di fuggire Pag. 39 da quel Paese, ma di 40 milioni di persone, persone che hanno creduto nel lavoro che noi abbiamo svolto. Un dato fra tutti, proprio per capire l'importanza che ha avuto la nostra presenza e la nostra missione – poi arrivo alle domande – è che quando siamo arrivati un milione erano gli studenti in Afghanistan ed erano tutti maschi: oggi ci sono 12 milioni di studenti e più del 40 per cento sono donne. Questa esperienza, questa contaminazione positiva non può essere dimenticata e ricordo che nessun regime al mondo può bloccare il desiderio di libertà e di responsabilità di un popolo.
  Questo pone le domande che faccio ai due ministri. In primo luogo è evidente che vi è il tema dei corridoi umanitari e c'è il tema dell'accoglienza. La mia domanda è non solo come si stanno attivando i corridoi umanitari, come ci garantiamo che tutti quelli che hanno creduto e lavorato con l'Occidente e con gli italiani possano essere «salvati», ma anche come stiamo preparando l'accoglienza? Che tipo di accoglienza l'Europa e l'Italia stanno mettendo in essere? Perché l'accoglienza o è dignitosa o non è accoglienza rispetto alla scuola per i giovani, rispetto al lavoro che gli si può dare, rispetto alla possibilità di tenere in piedi una generazione che poi può essere classe dirigente del futuro non immediato, purtroppo, ma magari prossimo.
  La seconda domanda riguarda esattamente i 40 milioni di afgani che sono lì e che rimarranno lì. Cosa pensiamo di fare? Non è che possiamo lavarcene la coscienza. Non è che possiamo pensare che semplicemente con il dialogo con non so chi ce ne siamo lavati la coscienza e che con la scadenza del 31 agosto lì può succedere tutto quello che può succedere.
  Passo alla terza domanda – e concludo – sull'intervento che mi sembra abbia fatto il Ministro Guerini e su cui vorrei dal Ministro un chiarimento, perché è evidente che c'è un problema all'interno della NATO. Quali sono le nuove regole del gioco? Come ha correttamente detto il Ministro Guerrini, noi abbiamo fatto presente le nostre perplessità, ma nel momento in cui c'è il disimpegno del principale attore della NATO, che è l'America, che cosa succede? D'ora in poi chi crederà a qualsiasi altra missione internazionale che la NATO potrà fare? C'è da ripensare le regole del gioco nella lealtà di quell'Alleanza? Cosa sta stiamo pensando? Che protagonismo potrà avere l'Italia e l'Europa in questo?

  GENNARO MIGLIORE (intervento da remoto). Grazie, presidente, per il lavoro di coordinamento che ha svolto in questo periodo. Ringrazio anche i due ministri.
  Innanzitutto anch'io voglio partire da un ricordo commosso e riconoscente nei confronti delle vittime del contingente italiano e di tutte le vittime coinvolte all'interno di questo conflitto e della successiva fase di presenza militare sul territorio afgano, che hanno pagato il più alto tributo.
  Visto che ci sono stati già tanti interventi che hanno posto delle domande fondamentali, vorrei intervenire su alcune questioni più specifiche. In questo momento il G7 – non so se è già stata assunta una decisione su iniziativa inglese – è stato convocato proprio per discutere prioritariamente della deadline del 31 di agosto. Se questa deadline verrà confermata, è evidente che ci sono dei problemi logistici che metteranno in grave pericolo molte delle persone inserite in quegli elenchi che in questo momento sono indispensabili per garantire la sicurezza di personale che è stato al fianco dei nostri Paesi in questi venti anni.
  Peraltro, volevo chiedere se era a conoscenza dei ministri la notizia che alcune fonti riportano di una preoccupazione ulteriore da parte statunitense riguardo un'eventuale possibilità di un attacco terroristico di Daesh proprio in visione antiamericana, ma anche per la rivalità con i talebani e con Al Qaeda. Questo rapporto è stato ribadito in più occasioni anche da fonti indipendenti e dalle Nazioni Unite. Nonostante si parli di una moderazione dei talebani, la presenza di componenti di Al Qaeda proprio nelle province meridionali, quelle che erano già sotto il controllo talebano e che presidiano i confini per garantire l'avanzata talebana, è evidente e – come è stato più volte ribadita e come ha detto anche il direttore dell'AISE – la possibilità Pag. 40 concreta che l'Afghanistan ritorni a essere un santuario del terrorismo, in particolare quello qaedista, è assolutamente presente. Per questo motivo chiedevo anche quale potesse essere l'agenda effettiva del G20 straordinario che, secondo noi, opportunamente è stato richiesto dal Presidente Draghi. Un G20 straordinario che per fortuna – dico io – coinvolge anche Paesi che nel G7 non ci sono. Non condivido il fatto che siano in alternativa l'uno e l'altro: una cosa è il dispositivo militare e di sicurezza che si discute nel G7 e una cosa è il coinvolgimento di una comunità internazionale più vasta che viene proposto all'interno del G20.
  È evidente che ci preoccupa anche – lo ha detto appena adesso il collega Lupi – cosa accadrà agli afgani il giorno dopo che sarà totalmente indisponibile qualsiasi corridoio umanitario. È per questo motivo che voglio ribadire con grande forza, così come è stato detto anche dal presidente Casini, che una cosa è l'accordo e l'interlocuzione tecnica, un'altra è il riconoscimento e quindi l'avvio di un dialogo politico con il regime talebano, cosa sulla quale non siamo assolutamente d'accordo e che ritengo anche molto difficile possa portare al cosiddetto «governo di unità nazionale», anche perché nel momento in cui il giovane Massud ha dato sua disponibilità, alcuni miliziani talebani stavano recandosi verso il Panjshir per avviare delle operazioni di conflitto.
  Infine, vorrei fare una considerazione, ringraziando ovviamente il nostro personale diplomatico che è lì, il console Claudi e anche la grande capacità dell'ambasciatore Pontecorvo. Si sta chiudendo una fase che ha visto dal 2001 il tramonto dell'unipolarismo a favore di una nuova fase multipolare, nella quale attori come Cina e Russia rendono anche molto problematica, come diceva il presidente Fassino, l'idea di un tema sanzionatorio.
  Per questo motivo ritengo assolutamente indispensabile ragionare sulla nuova configurazione della NATO- Macron ha paragonato la NATO, che è stata pesantemente sconfitta con questo tipo di ritiro, a un encefalogramma piatto, ma non dobbiamo dimenticare che questo ritiro è stato deciso di fatto già all'inizio del 2018 da Trump e che la disastrosa gestione degli accordi di Doha ponevano questo schiudersi proprio all'indomani dell'avvio di una nuova amministrazione. Questo per dire che ci sono grandi responsabilità nel ritiro dell'attuale amministrazione per aver dato conferma di quello che era stato negoziato portato avanti da Pompeo, ma anche per dire come l'atteggiamento e l'autonomia strategica dell'Europa è assolutamente fondamentale sia in chiave di relazione con gli Stati Uniti sia in chiave di definizione dei nuovi rapporti con la NATO.
  Infine, vi è il tema dei rifugiati ma su questo argomento è già intervenuta la mia collega Garavini e tanti altri colleghi. Condivido che, innanzitutto, si impedisca che ci siano i rimpatri forzati degli afgani in questo momento. Mi pare che sia la misura più urgente per evitare una catastrofe umanitaria, addirittura procurata dalla nostra iniziativa. Grazie.

  LOREDANA DE PETRIS. Anche io mi associo a tutti i ringraziamenti al nostro personale diplomatico e ai militari che stanno facendo in queste ore davvero negli sforzi enormi.
  Poiché ho sentito accenti un po' surreali, devo esprimere il mio apprezzamento su come, anche in una situazione così difficile, il Governo e i due ministri stiano gestendo il ponte aereo e il recupero. Vorrei ricordare che comunque sono stati già portati nel nostro Paese più di 2.700 persone e altre, come ha detto il Ministro Guerini – lei me lo conferma –, sono praticamente in volo. Questo lo dico perché ci siamo trovati in questa situazione come gli altri Paesi, ma credo che stiamo riuscendo a gestirla abbastanza bene.
  Il problema che abbiamo di fronte, che Casini ha definito «catastrofe» – a mio avviso è una definizione politica e militare assolutamente giusta – e che non dobbiamo neanche edulcorare troppo è che arriverà anche il momento – che spetterà alla politica – di trarre il bilancio di questi venti anni, delle scelte che si sono fatte e delle dottrine che stavano a monte di quel tipo di interventi, come la dottrina Bush e tutto quello che ha contraddistinto questi Pag. 41venti anni in Afghanistan, nonché della destabilizzazione di tutta l'area, perché questo è il problema. Adesso gli Stati Uniti tornano a casa loro e noi ci troviamo in grande difficoltà, ma i vuoti si stanno tutti riempiendo e questo sarà un grande problema. Come usciamo da questo? Come si reagisce a questo fallimento?
  Noi adesso abbiamo dei problemi molto seri. Io non sono molto d'accordo sul fatto che è arrivato il momento – è arrivato il momento? Non lo so, ma lo diciamo ogni volta – in cui l'Europa deve assumersi delle responsabilità politiche forti e avere un'unità politica forte. Nella conferenza sul destino dell'Europa questo dovrà essere uno dei punti fondamentali.
  Si è parlato dei corridoi umanitari e abbiamo già sentito anche dentro l'Europa le voci molto discordi e questo è uno dei problemi che noi dobbiamo porre, insieme alla gestione dei rifugiati che andranno anche nei Paesi vicini. Come interverremo? Come si potrà organizzare un piano? È evidente a tutti che abbiamo una necessità assoluta di capire come mettiamo in campo tutti gli strumenti, le armi diplomatiche e le interlocuzioni per far sì che in quel Paese siano rispettati i diritti umani, in particolare quelli delle donne e come dovremo gestire la catastrofe umanitaria che si sta prospettando, perché questo è il vero problema che adesso dobbiamo affrontare.
  Sono assolutamente d'accordo invece sul fatto che giustamente il Governo e il Presidente Draghi ha chiesto una riunione straordinaria del G20 sull'Afghanistan, perché lì forse possiamo avere una possibilità di interlocuzione con i Paesi che fanno parte del G20 per mettere in campo quegli strumenti diplomatici e di altro tipo che possano permettere di garantire anche dopo il 31 agosto queste priorità che sono state indicate, perché questo è il problema: l'immediatezza di come gestiamo la questione dei profughi e dei rifugiati e come si potrà garantire in quel Paese il rispetto dei diritti umani.
  È evidente – e chiudo davvero – che tutto nasce dagli Accordi di Doha: aver fatto la scelta di trattare solo i talebani senza organizzare un coinvolgimento più ampio non solo del Governo in carica afgano, ma anche di altre parti delle istituzioni che pure erano cresciute nella società civile afgana, è il vero problema che ha prodotto alla fine questo disastro. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Prima di dare la parola all'onorevole Enrico Borghi, devo dare la parola all'onorevole Cabras, perché tra tutti i gruppi l'unico che non ha ancora preso la parola è L'Alternativa c'è. Quindi, la parola al collega Cabras. Prego.

  PINO CABRAS. C'è una sconfitta clamorosa dell'Occidente, delle sue Istituzioni internazionali e delle sue scelte. Nelle relazioni dei ministri non ho visto alcuna autocritica, se non qualche ammissione tardiva, limitata e insufficiente. Questa è una disfatta e la prima cosa da evitare è l'annacquamento dell'analisi, pensare che lo show va avanti comunque e che le cose, tutto sommato, hanno una loro continuità.
  Il Ministro Guerini dice di voler salvare almeno i valori liberali dei Paesi occidentali. Lo prendo in parola, ma allora perché l'Occidente ha scelto di criminalizzare un suo figlio, Julian Assange, anziché ascoltarlo? Le cose giuste sull'Afghanistan, Assange le ha dette dieci anni fa. Ripartiamo da lì, facciamo i liberali e offriamogli lo status di rifugiato politico. C'è una mozione che una maggioranza parlamentare sta rinviando da mesi. Discutiamo su Assange a settembre adesso, facciamo un'operazione di verità. È il modo migliore per discutere da subito di una svolta nel modo di affrontare le questioni dell'Afghanistan.
  Partiamo dai dati duri di venti anni e dalle premesse. Ho sentito parlare, da parte dei ministri e anche di altri colleghi, di conquiste: qualche scuola e qualche pozzo. Di che conquiste parlate? Pozzi? Quanti pozzi si sarebbero potuti costruire con 2,5 trilioni di dollari spesi dagli Stati Uniti e con gli 8,7 miliardi buttati via dall'Italia? Avremmo risolto la crisi idrica di interi continenti, di centinaia di Paesi. Invece quello che abbiamo sono centinaia di migliaia di morti, dei quali 71 mila sono morti nei raid aerei. Sono queste le grandi conquiste che dobbiamo difendere? Pag. 42
  Inoltre, abbiamo milioni di profughi. È un modello di nation building e di state building disastroso, perché quei 180 mila soldati e quei 120 mila membri delle Forze armate afgane, che si ritrovano improvvisamente scoperti e che dovevano resistere un anno e mezzo e, invece, resistono dieci giorni, sono un fallimento clamoroso. Vogliamo fare finta di niente? Pensare che business as usual è una guerra che era già nata su premesse false.
  L'11 settembre, una strage piena di opacità che in anni in cui non era stata ancora inventata l'etichetta di complottista sarebbe stata vista come un episodio di strategia della tensione molto scuro e con molte complicità, invece è stata posta alla base dell'intervento in Afghanistan, uccidendo qualsiasi discussione.
  Da una premessa falsa, da un elemento di analisi limitato è nata un'errata interpretazione delle forze in campo e il disastro che oggi vediamo: quello di venti anni di guerra in cui la partecipazione italiana ha sommato gravi perdite, senza alcun vantaggio.
  Leggiamo in un unico filone Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e anche il sistema di sanzioni a Iran e Russia. L'Italia perde sempre e il piatto piange. Non si discute della sproporzione tra la subalternità dentro una NATO che espande i fronti e i dividendi ottenuti. La NATO è un pessimo affare per l'Italia.
  Bisogna ridiscutere le condizioni di sicurezza dell'Europa uscendo dall'avventurismo militarista. La riforma della NATO è un elemento urgente che deve essere discusso con una discussione all'altezza e non con le mozioni di fiducia nei confronti dell'America ideale. Non sono pulsioni antiamericane: è una autonomia di una visione che dobbiamo imporre adesso nella discussione.

  ENRICO BORGHI. Presidente, tenuto conto del fatto che il primo giro è stato esaurito e hanno potuto parlare tutti i gruppi in maniera equilibrata e che le repliche dei ministri che erano fissate alle ore 17, cioè in questo momento, mentre per un secondo giro ci vorrebbero ancora 55 minuti che, se vengono utilizzati come il primo giro potrebbero diventare ancora di più, se gli altri gruppi sono d'accordo, potremmo chiedere ai ministri di fare la replica, tenuto conto del fatto che mi pare che ci siano già state una serie di importanti questioni sul tavolo, aggiornando i lavori del secondo giro a un successivo incontro, tenuto conto del fatto che certamente non possiamo chiudere qui una discussione di questa natura e di questa portata.
  È una proposta, parlo anche contro il mio interesse, visto che sono iscritto a parlare, ma era per consentire ai ministri di poter contribuire ai nostri lavori.

  PRESIDENTE. Vorrei che fosse chiara una cosa e, poi, decidiamo insieme. Gli accordi presi erano che ogni gruppo avesse la possibilità di fare intervenire due parlamentari, uno della Camera e uno del Senato. Questa condizione è stata soddisfatta. Con l'intervento di Cabras tutti i gruppi parlamentari hanno visto soddisfatta questa condizione.
  Si sono iscritti altri – naturalmente è del tutto legittimo che si iscrivano –, però così andiamo al di là degli accordi convenuti. Per carità, si può fare tutto. Sono le 17 e se noi diamo la parola (ci sono ancora altre 13 persone), ammesso che tutti stiano nei tre minuti, cosa di cui dubito, sono altri 40 minuti e poi ci sono le due repliche. Francamente, rischiamo di trascinare l'audizione molto in là.
  Siccome è assolutamente vero – mi pare del tutto evidente – che questa prima discussione non esaurisca il tema Afghanistan, che non solo andrà in Aula, ma tornerà anche nelle Commissioni, mi permetto di chiedere un atto di saggezza ai gruppi parlamentari – naturalmente adesso vediamo chi è d'accordo e chi no – per consentire che si possa dare la parola ai ministri e chiudere questo primo step di audizioni e di discussione, fermo restando che dovremo tornarci. Prego, Deidda.

  SALVATORE DEIDDA. Scusi, presidente, io sono un po' stupito che questa proposta venga dalla maggioranza che ha organizzato i lavori e che ha previsto solo oggi Pag. 43l'informativa dei ministri, mentre noi già da prima chiedevamo un'informativa urgente.
  Noi, sapendo che è un argomento complesso, abbiamo chiesto una comunicazione in modo da poter svolgere un ampio dibattito, ma tutti i partiti di maggioranza hanno detto di no. Sapevate benissimo che era un argomento che avrebbe coinvolto tutti i gruppi e, soprattutto, l'avete fissata alle ore 14 proprio per questo, quindi era prevista questa discussione. Ha ragione il collega Fassino, quando ha detto che tutti i gruppi hanno espresso una propria la propria posizione, però sappiamo benissimo che questa richiesta proviene da maggioranza che non sembra neanche tale, visti gli interventi.
  Faccio un discorso politico per dire che potevate concedere più spazio anche all'opposizione, mentre siete intervenuti in massa, dimostrando che nessuno aveva intenzione di abbreviare tempi dicendo: «Concordo con quanto detto dai ministri». Anzi, avete espresso tutti posizioni difformi da quello che hanno detto i ministri interessati.
  Come potete chiederci di interrompere adesso il dibattito dal momento che, quando portavate le Deliberazioni sulle missioni internazionali, dicevate: «Se ne parlerà poi, oggi abbiamo fretta.»?

  MARIA TRIPODI. Grazie, presidente. Mi perdoni, ma a mio avviso sarebbe opportuno – anche per rispetto dei colleghi che sono venuti qua da ogni parte d'Italia – procedere negli interventi, perché lei capisce bene che ognuno ha piacere nell'approfondire, qualora ce ne sia la possibilità. La ringrazio.

  PRESIDENTE. A dire il vero, onorevole, c'erano degli accordi precisi tra i gruppi. Poi ogni gruppo deve disciplinare i propri interventi, perché se no diventa complicato per chiunque debba presiedere. C'era un accordo che abbiamo rispettato. Questo non impedisce a un parlamentare di chiedere la parola. Se c'era lo spazio e il tempo, gliel'avremmo data, ma siamo arrivati alle 17 e credo che si possa onestamente dire che tutte le posizioni politiche sono state espresse, anche perché onorevole Delmastro e la senatrice Rauti sono stati chiarissimi nell'esposizione delle posizioni di Fratelli d'Italia. Non è che è stata inibita qualche posizione politica, tanto per essere chiari.

  ANTONIO DEL MONACO. Signor presidente, io sono d'accordo alla replica dei due ministri e ritiro il mio intervento. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Tondo, prego.

  RENZO TONDO. Innanzitutto credo che la gestione di questa Assemblea non sia stata coerente: ad esempio, l'onorevole Palazzotto da remoto ha parlato per otto minuti e mezzo. Più di uno è andato oltre, sottraendo tempo a noi.
  Io rinuncio a intervenire e andiamo pure in Aula, però sottolineo che questa situazione ci ha messo in difficoltà. Io ho preso l'unico aereo da Trieste stamattina per essere qui, ho messo la sveglia alle 4:30 e adesso devo andar via senza poter dire la mia.

  OSVALDO NAPOLI (intervento da remoto). A nome di Coraggio Italia confermo gli accordi presi.
  Certamente il collega Tondo non ha tutti i torti: avrebbe dovuto esserci maggior rispetto nei confronti di chi avrebbe dovuto parlare dopo – lo dico con profondo rispetto, come è giusto che sia, perché chi mi conosce sa che non ho di questi problemi – da parte di alcuni colleghi che hanno allungato molto il loro intervento, però gli accordi presi erano quelli.
  Quindi noi come coraggio Italia stiamo su quella linea. Grazie.

  PRESIDENTE. Credo che si possa procedere. Mi rammarico e mi scuso nei confronti dei parlamentari che non possono prendere la parola, ma dobbiamo tenere presente che su questa discussione torneremo e che quando ci torneremo c'è un diritto di priorità per chi oggi non ha potuto prendere la parola. Pag. 44
  Darei la parola prima al Ministro Guerini e poi al Ministro Di Maio, pregando naturalmente anche i ministri di essere contenuti nella replica. Grazie.

  LORENZO GUERINI, Ministro della Difesa. Grazie, presidente. Ringrazio tutti i colleghi deputati e le colleghe deputate, senatori e senatrici che sono intervenuti. Credo che il quadro degli interventi, sia nei contenuti che nelle tante questioni poste, sia di assenso e di grande attenzione e partecipazione da parte del Parlamento.
  In questo caso credo che il Parlamento davvero incarni il sentire di tutti gli italiani nel riflettere, ragionare e discutere intorno alla situazione dell'Afghanistan, gli interrogativi che pone alla nostra attenzione e la doverosa analisi su ciò che è successo, sul senso del nostro impegno e sulle altre tante domande che ciò che sta avvenendo pone di fronte a noi.
  Vorrei dire innanzitutto una cosa. Sono state rivolte direttamente a me alcune domande che entrano in alcuni dettagli che hanno un carattere operativo. Interloquendo con il presidente Fassino prima dell'Ufficio di Presidenza che decise questa audizione dissi: «Attenzione che se mi chiedete di venire a relazionare alle Commissioni riunite e mi ponete questioni che riguardano un'operazione militare che è in corso, sono costretto per evidenti ragioni a non poter soddisfare tutte le richieste che saranno portate alla mia attenzione!». Infatti, quando le operazioni si svolgono, si svolgono secondo una pianificazione e con alcune regole e alcune modalità che, per la buona riuscita delle stesse operazioni, devono essere accompagnate da un carattere di riservatezza. Non risponderò, pertanto, a tutte le domande, perché alcune questioni che entrano nello specifico di singole modalità attraverso le quali avvengono le procedure di evacuazione attengono, evidentemente, a una sfera di gestione che, per ragioni legate alla sicurezza dei soggetti che stiamo evacuando, è bene che rimangano in un quadro riservato, così come alcune questioni poste con particolare riferimento ad alcuni temi che hanno più natura afferente alle questioni di intelligence non potranno trovare una risposta non per reticenza, ma perché in alcuni casi si tratta di questioni che hanno questo carattere classificato o comunque da trattare con cautela e con riservatezza.
  Mi scuserò con quelli che hanno posto questo tipo di domande che non troveranno una risposta, ma non è reticenza da parte mia, bensì è l'esigenza di un quadro di sicurezza che io credo sia bene dover mantenere.
  Quella che è in corso è un'operazione militare. L'evacuazione che è in corso a Kabul è un'operazione militare perché è condotta da militari, la si realizza attraverso equipaggiamenti militari, avviene in un ambiente non completamente permissivo ed è, quindi, un'operazione militare. Ogni operazione militare chiaramente si svolge secondo una pianificazione che poi si adatta alle mutazioni di contesto con il quale deve interagire. Le pianificazioni sono fatte così. Le operazioni vengono pensate, vengono portate avanti, si modificano in relazione al contesto e alle sollecitazioni che il contesto pone all'attenzione dei vertici operativi e vengono riviste e riadattate in continuazione in relazione al raggiungimento di un obiettivo che ci si è posti.
  Da questo punto di vista anche l'operazione relativa alle procedure di evacuazione, quella che oggi si chiama «Aquila Omnia», è un'operazione che ha queste caratteristiche, che è stata modificata nell'azione alle mutazioni di contesto, alcune rilevanti e non prevedibili con le quali ci siamo dovuti confrontare e che ha portato la modifica di una pianificazione fondata su tre fasi – Aquila 1, Aquila 2 e Aquila 3 – in un'unica operazione, Aquila 1, che è stata denominata appositamente «Aquila Omnia».
  Sono state individuate categorie a cui riservare la nostra azione nell'attività di evacuazione. In particolar modo, sono in primis i collaboratori a vario titolo selezionati con la presenza italiana lungo vent'anni di operazioni, i collaboratori più recenti, i collaboratori più antichi che poi non hanno più collaborato con noi perché hanno collaborato con altre realtà oppure hanno fatto altro tipo di attività, persone esposte per la loro attività di testimonianza sul Pag. 45tema dei diritti civili e dei diritti delle donne, giornalisti a cui si sono aggiunti poi specifiche situazioni segnalate dalle organizzazioni non governative, dalle reti territoriali, dalle realtà ecclesiali, cioè da tutte quelle realtà che sono presenti in Afghanistan da diversi anni e che svolgono funzioni a favore della popolazione civile.
  Ogni situazione ha una sua specificità, ha un suo carattere di esposizione a rischio, ha esigenze di confrontarsi con nuclei familiari che forzatamente sono stati divisi da ciò che si è venuto a determinare. Tutto questo è stato ciò che ha corroborato la crescita dei numeri con i quali ci siamo confrontati dentro un quadro, che è un quadro condiviso da tutte le nazioni alleate presenti nel Paese.
  Infatti, non è solo l'Italia ad essere partita con una pianificazione e a essersi dovuta adattare a numeri particolari, ma tutti i Paesi impegnati in questo momento nelle operazioni di evacuazione in Afghanistan sono partiti con obiettivi che poi sono stati modificati e, in molti casi, incrementati in base alla situazione che si determinava sul terreno anche in relazione all'impatto emotivo che si è creato nelle opinioni pubbliche e nella società civile italiana. Questo ha portato a campagne rivolte alle istituzioni e alla politica che hanno trovato in molti parlamentari, che hanno segnalato situazioni con cui ci siamo confrontati, un elemento autorevole di amplificazione.
  È chiaro che la selezione, l'identificazione di queste singole fattispecie o di queste persone è stata oggetto di procedure di confronto tra i ministeri interessati, in primis esteri e difesa – la difesa per la parte più strumentale della realizzazione dell'evacuazione –, il Ministero degli interni e gli apparati di informazione.
  Tutto ciò ha un complesso di attività che devono essere svolte. Giustamente è stata richiamata da alcuni – penso in particolar modo all'intervento del gruppo di Fratelli d'Italia – la sollecitazione di qualche mese fa di un passaggio da una procedura standard di rilascio del visto a una procedura più semplificata. Certamente questo è avvenuto. Oggi ci sono lasciapassare al posto dei visti, ma vorrei essere molto chiaro: le operazioni di vetting, cioè di verifica di alcuni presupposti fondamentali in termini di sicurezza è un'operazione che non può essere annullata e deve essere realizzata.
  Spesso noi parliamo non semplicemente di una singola persona, ma di una singola persona che si accompagna a nuclei familiari allargati che devono essere oggetto di una verifica e di un approfondimento necessario per garantire le condizioni di sicurezza che, anche dal dibattito che questa sera si è sviluppato in Commissione, sono state portate alla nostra attenzione come priorità da tenere in considerazione.
  Oggi i numeri sono numeri importanti. Non penso che ci dobbiamo impegnare in una classifica o in una graduatoria dei Paesi, ma sicuramente credo di poter dire che l'Italia sta facendo la sua parte. Quando parlo di Italia non parlo della Difesa o degli Esteri, non parlo del Governo, ma parlo dell'Italia come Paese che sta cercando di svolgere dentro quest'opera di evacuazione un ruolo importante che risponda, prima ancora che a un impegno politico, a un dovere morale che credo sia patrimonio comune di tutti coloro i quali sono in questa sede e in quest'Aula.
  Oggi siamo a 3.741 afgani evacuati, tra chi sono già giunti in Italia, cioè 2.659, e chi sono in stage in area, cioè in una zona sicura dell'aeroporto gestito direttamente dagli italiani. Questi numeri sono destinati ad aumentare e io credo che tutti dobbiamo concentrare i nostri sforzi per poter rispondere alla domanda di aiuto in maniera più larga possibile, fatte le verifiche e gli approfondimenti che devono essere fatti.
  È chiaro che non tutti coloro che aspirano a venire in Italia e nell'Occidente potranno essere portati qui. Credo che dobbiamo dirlo correttamente, concretamente e seriamente.
  Abbiamo una deadline che in questo momento è fissata dalle decisioni americane. Gli americani garantiscono la sicurezza dell'aeroporto di Kabul e il suo funzionamento, che è conditio sine qua non per poter procedere alle operazioni di evacuazione. La deadline fissata è quella del 31 agosto e, quindi, a quella data devono essere fermate le attività che ciascun Paese Pag. 46che è presente nel sedime aeroportuale dovrà realizzare nei prossimi giorni.
  L'auspicio – probabilmente sarà anche oggetto della discussione odierna, vedremo come si svolgerà il G7 – è che questa deadline dentro una riflessione più ampia che riguarda anche le condizioni del contesto afgano possa essere oggetto di uno slittamento, comportando così anche uno slittamento dei termini a cui noi dobbiamo guardare.
  In questo momento la nostra pianificazione è una pianificazione che si sta svolgendo con il massimo dell'impegno e, ancora una volta, voglio ringraziare tutti quanti sono coinvolti in questa attività per rispettare la data che è stata fissata. Del tema Afghanistan continueremo a discutere.
  Voglio dire alcune cose. In primo luogo il rientro delle nostre truppe è un rientro che si è dovuto confrontare con il quadro che ho prima richiamato, che è stato richiamato anche dal Ministro De Maio e che è stato inoltre richiamato da molti interventi di quest'oggi dentro il contesto di decisioni prima evidenziato e su cui non ritorno. Non è vero che la deliberazione sulle missioni non prevedeva il tema del rientro, perché basta leggere la scheda. Infatti, nella scheda c'era scritto: «Il rientro è previsto entro settembre del corrente anno», come scenario possibile.
  È chiaro che dalla decisione del Consiglio dei ministri al passaggio in Parlamento ci sono stati i passaggi che ho prima richiamato. La presidente Pinotti è stata Ministro della difesa prima di me e sa che un Ministro della difesa ha tanti elementi che danno soddisfazione all'attività che si svolge, e chi è stato Ministro della difesa come altri colleghi – penso al senatore La Russa – credo che potrà dire le stesse cose: ogni sera si va a letto e ci si sveglia guardando i bollettini che arrivano dai teatri in cui noi siamo impegnati e ogni volta che c'è un evento complesso in un teatro in cui siamo impegnati, la nostra preoccupazione, la nostra coscienza si rivolge soprattutto alla sicurezza dei nostri militari che sono lì impegnati. Era mio dovere sovrintendere e procedere a un programma di rientro del nostro contingente che avvenisse in sicurezza entro i tempi necessari e questo è quello che è avvenuto.
  Nel rispetto delle opinioni di tutti però vorrei dire una parola chiara anche sul tema del saluto ai nostri militari. Io mi sono recato a Herat l'8 giugno alla cerimonia dell'ammainabandiera del nostro contingente. Da quando sono Ministro mi sono recato tre volte in Afghanistan e ho voluto partecipare all'ultimo ammainabandiera che è stato fatto dal nostro contingente prima del rientro del contingente che si è realizzato per scaglioni per le esigenze operative e di quarantena.
  Sono stato al saluto del Governo italiano, delle istituzioni italiane, rappresentando ciascuno di voi. All'omaggio alla bandiera di guerra avvenuto l'8 giugno a Herat da parte mia alla presenza del contingente, del comandante del contingente, del comandante di Resolute Support Mission, cioè il generale Miller è stata data la giusta rilevanza ed è stato reso l'omaggio doveroso che doveva essere dato.
  Ogni sei mesi, oltre alla rotazione del contingente, c'è anche la rotazione della bandiera di guerra del contingente che viene ruotato e non è che a ogni rotazione di contingenti c'è una cerimonia per accogliere il contingente. Ripeto che l'8 giugno sono andato a Herat a rappresentare il Governo con i vertici militari della difesa, a celebrare l'ultimo ammainabandiera del nostro contingente e credo che in quell'occasione il Governo abbia reso omaggio nelle forme dovute al nostro contingente, alla bandiera di guerra lì schierata e a tutto il personale che nel corso dei venti anni simbolicamente lì veniva ringraziato.
  Chiudo sugli ultimi punti che sono stati segnalati.
  Chiedo scusa, mi stavo dimenticando che il 24 giugno mi sono recato in Senato a fare un'informativa sull'Afghanistan. Giustamente oggi ci ritroviamo e giustamente il Parlamento si ritroverà nelle forme che nelle date che deciderà.
  Infine, sono stati posti molti temi con particolare riferimento alle questioni che riguardano l'Alleanza atlantica e le modalità attraverso le quali l'Alleanza atlantica assume le proprie decisioni e, soprattutto, Pag. 47la prospettiva dell'Alleanza atlantica e l'interazione con la riflessione in corso in sede di Unione europea sui temi della politica estera, di difesa e di sicurezza comune.
  Credo che non a caso queste due organizzazioni abbiano intrapreso parallelamente un percorso di riflessione strategica che le riguarda. Lo ha fatto la NATO con NATO 2030; lo sta facendo l'Unione europea con l'esercizio dello Strategic Compass. Non è un caso perché il quadro di cambiamento del contesto globale, con il quale ci confrontiamo, è un quadro che pone anche domande e problematiche inedite sul fronte della sicurezza, della difesa e delle relazioni internazionali e geopolitiche ed è bene che da questo punto di vista le due organizzazioni siano impegnati in questa riflessione.
  Ho detto prima e sono convinto che non è immaginabile che tale riflessione non si confronti con l'esperienza ventennale in Afghanistan, con l'epilogo drammatico con il quale ci confrontiamo e credo che ci interpelli ancora di più sul tema della difesa europea, che non è semplicemente l'idea romantica di un esercito con una divisa comune, ma è qualcosa di molto più rilevante.
  «Difesa europea», «politica di difesa» e «sicurezza europea» significano condivisione dell'analisi della minaccia, condivisione dell'agenda politica, costruzione di base tecnologica e industriale, costruzione di capacità militare e volontà comune di impiegarle. Credo che solo in questi cinque punti che ho toccato ci sia l'ordine del giorno e di un lavoro molto importante che siamo chiamati a fare. Credo anche che l'Italia abbia le carte in regola per farlo sia perché è stato un Paese fondatore della casa comune europea, sia perché ha sempre portato nel dibattito, al di là dei Governi che con colorazioni diverse si sono succeduti in questi anni alla guida del nostro Paese, una visione coraggiosa ed ambiziosa. Credo, inoltre, che continueremo a farlo anche nel prossimo futuro.

  LUIGI DI MAIO, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Grazie a tutti i parlamentari che hanno avanzato diverse questioni. Nel solco di quello che diceva il Ministro Guerini, vorrei cominciare dal fatto che in questo momento all'aeroporto di Kabul, in Afghanistan, noi abbiamo un'operazione militare in corso di tutti i Paesi occidentali per evacuare nostri collaboratori e nostri connazionali.
  Questo lo dico perché tutti i Paesi dell'Occidente hanno evacuato le Ambasciate e hanno portato una parte dei loro dipendenti all'aeroporto di Kabul e un'altra parte l'hanno evacuata; ma tutti i diplomatici che sono nell'aeroporto di Kabul stanno esclusivamente lavorando alle operazioni di evacuazione.
  Questo lo dico perché l'Ambasciatore Sandalli, il nostro Ambasciatore a Kabul, è stato il primo a dire che era disponibile a restare lì, ma se doveva restare lì con uno smartphone senza neanche un ufficio e dovevamo gestire le liste, il personale, i nomi, il vetting e i visti, noi abbiamo fatto una valutazione operativa e abbiamo detto: «Prendiamo il Capo missione e lo teniamo all'Unità di crisi della Farnesina, dove ci sono le strumentazioni e i database per seguire tutte le operazioni di evacuazione, e teniamo gli operativi – quindi il consigliere di legazione, i segretari e il rappresentante dell'Ambasciata – sul campo.»
  Prima ho ringraziato le donne e gli uomini del Ministero della Difesa, perché c'è un'osmosi e una collaborazione importantissima tra il Ministero degli Esteri e il Ministero della Difesa che in questo momento, come vedete anche dalle fotografie che stanno arrivando sia degli uomini della difesa che dei diplomatici che stanno a Kabul, sembra che stiano facendo le stesse cose dal punto di vista dell'aiutare queste persone.
  Lo dico semplicemente perché, se invece mi si chiede della presenza diplomatica a Kabul, questo è un tema che dovremmo discutere con tutti i nostri partner occidentali, perché dal 31 agosto o anche prima, come vanno via gli aerei che stanno facendo i corridoi umanitari, questi portano con sé tutti i diplomatici dell'Occidente. Dopodiché potremmo decidere se aprire un'Ambasciata in un Paese limitrofo come abbiamo fatto, ad esempio, per un periodo Pag. 48per la Libia, aprendo una sede diplomatica in Tunisia; oppure potremmo decidere magari di lasciare aperta almeno la delegazione europea, ma sono decisioni che dobbiamo prendere tutti insieme per una semplice ragione: attengono al riconoscimento e alla postura che vorremmo dare come Paesi occidentali rispetto al regime talebano.
  Voglio dire chiaramente che l'Ambasciatore Sandalli era disponibile a stare lì. Siamo stati noi a ricostituire l'Ambasciata all'Unità di crisi della Farnesina per farlo lavorare con il Capo dell'Unità di crisi e dare le istruzioni a Claudi che segue i flussi di persone che arrivano ai gate dell'aeroporto e che vengono poi agevolate dal Ministero della Difesa e dalla nostra intelligence.
  Ci sono in questo momento ancora in Afghanistan trentadue italiani che non vogliono tornare qui. Qualcuno me l'ha chiesto prima. Potrebbe essere che nei prossimi giorni qualcuno di questi possa decidere di voler tornare e quindi noi lo evacueremo con le ultime operazioni, ma tutti i nostri connazionali che volevano andare via dall'Afghanistan sono stati evacuati. Questo è un punto.
  L'argomento più importante che è tornato nei vari interventi è stato il tema umanitario. Su questo voglio essere ancora più chiaro. Dal 1° di settembre, dal giorno dopo la chiusura delle operazioni di evacuazione all'aeroporto di Kabul, dovremo affrontare questo tema. Secondo me ci sono almeno tre livelli. Come vi dicevo, il primo e il più difficile è il corridoio umanitario diretto dall'Afghanistan, perché dobbiamo consegnare le liste di chi vogliamo evacuare nelle mani dei rappresentanti del regime talebano. Dal mio punto di vista, anche il giorno in cui vinceranno – sono ironico – il premio Nobel per la pace, ci saranno sempre delle grandi difficoltà a consegnare le liste per l'evacuazione ai rappresentanti del regime talebano.
  Se vogliamo fare dei corridoi umanitari, li possiamo fare come abbiamo fatto, per esempio, con i siriani dal Libano, che vuol dire andare anche ad evacuare sostanzialmente quegli afgani che già sono lì, perché come è stato detto in molti interventi, l'emigrazione dall'Afghanistan non è che la stiamo vivendo adesso, ma c'è stata in tutti questi vent'anni.
  Secondo me il lavoro che possiamo fare, che è il terzo livello, è favorire sia in Afghanistan – che è difficile – ma soprattutto nei Paesi limitrofi e confinanti la presenza delle agenzie delle Nazioni Unite e delle ong per gestire il flusso di migranti che vanno nella direzione dei Paesi confinanti. Anche in questi giorni sta capitando che una parte di persone che non riusciamo ad evacuare ce la ritroviamo che ha raggiunto la nostra Ambasciata in un Paese confinante.
  Questa è una dinamica che potremmo gestire e che credo ci permetta anche come Unione europea di trovare un compromesso realistico tra tutti i ventisette Stati membri: investire nella cooperazione allo sviluppo nei Paesi limitrofi per gestire i flussi migratori e allo stesso tempo lavorare affinché si pretenda che le Agenzie delle Nazioni Unite e le ong possano restare sul suolo afgano. Mi permetto di dire che questi due punti saranno alla base della «fase due» che viene subito dopo il completamento delle operazioni di evacuazione.
  Per quanto riguarda il G20, sono consapevole del fatto che tra i due blocchi del mondo ci sono differenze profonde anche nel modo di rapportarsi con i talebani. Questo lo abbiamo visto sin da subito nelle dichiarazioni che ci sono state immediatamente dopo la presa di Kabul. Il fatto che noi abbiamo un focus sui diritti umani non è preoccupazione di un'altra parte del mondo, in questo momento.
  Il G20 vuole essere il luogo dove mettere intorno al tavolo gli attori principali pronti a muovere delle mosse e cercare almeno sui punti fondamentali, come il riconoscimento, una linea comune, che non significa andare in quella direzione, bensì significa proprio l'opposto, ovvero evitare corse in avanti di alcuni Stati sul riconoscimento.
  Questo lavoro che cercheremo di fare non sarà semplice e presuppone il coordinamento in seno al G7. Infatti, il G7 di oggi – che è iniziato mezz'ora fa, se non sbaglio – è il G7 nel quale i Paesi dell'Alleanza si Pag. 49stanno coordinando in vista di un G20 straordinario, nel quale noi abbiamo chiesto di inserire – il negoziato sulle conclusioni non è ancora pubblico – l'attenzione sui principali temi che sono emersi oggi: l'assistenza umanitaria, il tema della lotta al terrorismo e della sicurezza e il tema di un approccio che sia coordinato da tutta la comunità internazionale per evitare fughe in avanti di altri Paesi.
  Andando velocemente, voglio anche chiarire che in questo momento nessun diplomatico italiano ha il mandato di parlare con il regime talebano. È emerso che in questo momento ci sono dei negoziati tra Abdullah, Karzai e il figlio di Massoud e il regime dei talebani. Noi in questo momento stiamo seguendo passo passo e infatti ho sentito il Ministro qatarino, perché il Qatar è stato comunque l'alveo degli Accordi di Doha e ha favorito il dialogo intra-afgano, però sia ben chiaro: anche l'inserirsi in questo quadro di negoziati, di Governo inclusivo con talebani, Massoud, Karzai e altri, deve essere sotto l'egida della comunità internazionale. Noi non abbiamo intenzione di avviare iniziative unilaterali da parte dell'Italia per inserirsi in questo dialogo, perché altrimenti smentiremmo quella preoccupazione che è evitare il riconoscimento o una postura aperta nei confronti del regime talebano; e quindi, delle due l'una: ed è questa la questione legata alla presenza diplomatica a Kabul.
  Detto questo – andando velocemente – io accolgo la sfida di lavorare affinché tutto quello che noi dobbiamo investire in cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario verso il popolo afgano non debba assolutamente, neanche un euro – questa è la nostra principale intenzione – finire nelle mani sia di forze afgane che non siano riconosciute, sia nei meccanismi corruttivi che abbiamo visto più volte manifestarsi in questi anni.
  Credo che in questo momento la cosa più importante che dobbiamo tener presente è che dal 1° di settembre noi avremo completato una parte, come diceva il Ministro Guerini, delle evacuazioni, ma ci saranno altre persone che resteranno lì, anche attivisti dei diritti umani e persone che non saremmo riusciti ad evacuare, nonostante siamo uno dei primi Paesi – lo dico io – per numero di evacuazioni e lo stiamo facendo veramente con grandissima attenzione, perché prima si parlava di minacce, ma vi è ogni tipo di minaccia sull'aeroporto di Kabul, non solo i talebani.
  Siamo molto attenti a quello che stanno facendo le nostre donne e i nostri uomini e cerchiamo di completare la missione nel migliore dei modi. Tuttavia, è evidente che, visto che viene sempre tirata in ballo questa procedura dei visti – ringrazio il Ministro Guerini per averlo sottolineato –, prima della procedura dei visti dovevamo fare tutti i controlli per evitare che, ad esempio, ci potessero essere delle infiltrazioni terroristiche.
  Fatto questo, ricordiamoci che finché c'era un Governo legittimato in Afghanistan, rilasciavano loro il passaporto e c'è stato un momento, nel quale la nostra impressione era che il Governo Ghani, per non dare l'impressione che ce ne stessimo andando, non è che agevolasse del tutto le procedure di rilascio dei passaporti. Poi è degenerato tutto: Ghani è scappato, sono arrivati i talebani e a quel punto diamo il visto alla frontiera, ma sono persone che noi definiamo «vettate», cioè sotto un'analisi che abbiamo fatto per gli eventuali rischi.
  Condivido tutte le preoccupazioni che sono emerse rispetto a quello che può succedere dal punto di vista della nostra Alleanza. È chiaro che la NATO va rafforzata e la riflessione strategica NATO 2030 è una riflessione in corso da diverso tempo, che dobbiamo accelerare. Tuttavia, non sono d'accordo sul punto che è stata una decisione unilaterale degli Stati Uniti e che non c'è stata discussione, proprio perché noi avevamo fatto presente – lo diceva prima il Ministro Guerini – nell'ambito di quelle discussioni una serie di criticità.
  La questione di fondo – parlo per il corpo diplomatico e per la difesa del corpo diplomatico per la green zone, ma vale anche per i militari – è che senza i dispositivi tecnologici e militari americani questa missione non poteva proseguire comunque, e senza il controllo della green zone da Pag. 50parte di inglesi e americani, l'Ambasciata italiana non poteva restare aperta, tanto è vero che tutti gli occidentali hanno evacuato quella green zone e hanno portato i diplomatici prima all'aeroporto e poi nel proprio Paese. Questo è alla base del motivo per cui poi, alla fine, non possiamo restare neanche all'aeroporto di Kabul. Infatti, qualcuno mi scrive: «Non è che potete restare più degli americani?», ma è tecnicamente impossibile farlo; non è possibile.
  Questi sono temi che noi affronteremo con la massima attenzione. Presidente, resto a disposizione anche per tutte le questioni che vorremo affrontare nei prossimi mesi sui corridoi umanitari, sulla cooperazione allo sviluppo e sulla tutela della popolazione civile e ovviamente rimandiamo anche altre considerazioni al dibattito in Aula che terremo, sia al Senato che alla Camera, con il Ministro Guerini il 6 e il 7 settembre.

  PRESIDENTE. Ringrazio i Ministri e ringrazio tutti i colleghi e mi rammarico che non tutti quelli coloro che hanno chiesto la parola, lo abbiamo potuto fare. Vi ringrazio tutti. Non è usuale un'audizione che dura quattro ore e credo che abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare per approfondire questi temi.
  Grazie a tutti voi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.50.