XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 130 di Mercoledì 4 agosto 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 

Audizione del vicepresidente di ANCE Confindustria, Piero Petrucco (l'audito sarà in videoconferenza) :
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
Petrucco Piero , vicepresidente di ANCE Confindustria ... 3 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Petrucco Piero , vicepresidente di ANCE Confindustria ... 10 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 12 
Petrucco Piero , vicepresidente di ANCE Confindustria ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Petrucco Piero , vicepresidente di ANCE Confindustria ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Petrucco Piero , vicepresidente di ANCE Confindustria ... 14 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 

Seguito esame della proposta di relazione sull'evoluzione del fenomeno degli incendi negli impianti di gestione dei rifiuti (con votazioni) (Relatori on. Vignaroli, sen. Ferrazzi, sen. Nugnes) :
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Braga Chiara (PD)  ... 15 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Relazione sull'evoluzione del fenomeno degli incendi negli impianti di gestione di rifiuti ... 17

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del vicepresidente di ANCE Confindustria, Piero Petrucco, sul tema dei flussi paralleli di rifiuti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza di Pietro Petrucco, vicepresidente di ANCE (Associazione nazionale dei costruttori edili) Confindustria. L'audizione rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul tema dei flussi paralleli illeciti e l'abbandono dei rifiuti con particolare riferimento ai rifiuti inerti. La Commissione è interessata a conoscere quali siano le criticità che l'attività svolta ha evidenziato ai fini della dispersione di questi specifici materiali. Comunico che l'audito ha preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta. Invito, quindi, il nostro ospite a svolgere una relazione sul tema che ci sta a cuore e che sta diventando un tema difficile e molto vasto dei flussi illeciti paralleli e dell'abbandono dei rifiuti. Abbiamo visto che tra le varie tipologie che sono soggette a questo fenomeno, una di quelle più ricorrenti, soprattutto a livello di peso, sono i rifiuti inerti. Ho avuto il piacere di far approvare un emendamento, che poi ha portato all'articolo 185-bis, sul deposito temporaneo preliminare, secondo cui chi produce rifiuti inerti può tranquillamente portare ai rivenditori che vendono i prodotti simili a quelli che hanno originato i rifiuti stessi per poterli lasciare lì senza particolari procedure, anche perché spesso chi produce questi rifiuti inerti – magari sono delle piccole imprese che lavorano magari in nero – e poi non possono neanche portare nelle isole ecologiche comunali, avendo lavorando in nero, non vogliono che risulti il volume di lavoro che hanno fatto e quindi spesso la cosa più comoda è quella di prendere il primo parcheggio, il primo parco o il primo bosco che incontrano e buttare. Questa è una cosa insomma che è inutile dire quanto sia dannosa e triste. Volevo sapere se questo modello sperimentale ha preso il via e se in futuro potrebbe potenzialmente essere un buon metodo per evitare e per attutire questo fenomeno.
  Dal vostro punto di vista, quali sono le criticità di questo fenomeno in generale e quali altre azioni si possono fare per attutirlo o evitarlo? Grazie.

  PIERO PETRUCCO, vicepresidente di ANCE Confindustria. Grazie, signor presidente e presidente e onorevoli senatori e deputati. Grazie per avere invitato la nostra associazione a partecipare a questa audizione, che ci consente di portare il contributo dal nostro punto di vista a questa Commissione parlamentare sul tema dei flussi illeciti e dell'abbandono dei rifiuti che, con riferimento al nostro settore, è sicuramente rilevante. Farò delle considerazioni generali che abbiamo preparato sul tema e poi darò anche una risposta esplicita Pag. 4 a quanto da lei sollevato rispetto a questo provvedimento di legge. La gestione dei rifiuti inerti è sicuramente un tema di fondamentale importanza e di grande attualità, perché è strettamente legato alla tutela dell'ambiente. Ormai da molto tempo l'ANCE ha posto queste tematiche al centro delle sue azioni e iniziative, consapevole del ruolo primario che il settore delle costruzioni ha nel processo di transizione all'economia circolare e più in generale degli importanti benefici in termini di sostenibilità – un argomento ormai sempre più rilevante – che derivano da una gestione virtuosa dei rifiuti e soprattutto dalla promozione di un mercato di materiali recuperabili. La centralità della questione è resa evidente non solo dalla circostanza che i rifiuti da costruzione e demolizione rappresentano uno dei maggiori flussi dei rifiuti speciali, stando a quanto dice l'Agenzia europea per l'ambiente nel suo ultimo report, ma anche per il fatto che in epoca di Green Deal e di politica industriale europea, come si è indirizzati attualmente, diventa indispensabile ai fini della attuazione. Secondo un dato dell'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) l'Italia avrebbe raggiunto gli obiettivi fissati dall'Unione europea per quanto riguarda il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione. Nel 2019, secondo il dato dell'ISPRA, il 78 per cento di tipologia di questi rifiuti è stata avviata al recupero. Siamo molto al sopra del 70 per cento, il target indicato dalla Commissione da raggiungere entro il 2020. Tuttavia, se andiamo ad analizzare la situazione in macroaree geografiche, noteremo come in alcune realtà territoriali sia ancora troppo importante il ricorso allo smaltimento. Questo è dovuto a più fattori. In primo luogo, questo è dovuto dall'assenza o dall'insufficiente capacità degli impianti di recupero. Senza impianti di recupero non possiamo pensare a un'economia circolare. Se l'obiettivo condiviso da tutti è quello di favorire la transizione alla circolarità, dobbiamo crescere la nostra dotazione impiantistica, rendendola adeguata alle attuali esigenze. Un primo importante passo è stato fatto recentemente con il decreto-legge n. 77 del 2021 – il decreto «Semplificazioni» –, con una norma sui cosiddetti «impianti nobili». Tuttavia, riteniamo che scelte ancora più coraggiose vadano fatte per essere competitivi con gli altri Paesi europei. Dobbiamo dare attuazione a strumenti fondamentali come, per esempio, i sottoprodotti, che dopo tanti anni dalla loro introduzione scontano ancora una disciplina incerta e conseguentemente una scarsa applicazione. Da tempo come ANCE evidenziamo la necessità di completare i percorsi dei decreti end of waste. Dopo 11 anni dall'introduzione di questo istituto sono stati predisposti solo cinque decreti, di cui uno solo riguarda il settore delle costruzioni, ovvero quello sul fresato d'asfalto, all'interno del quale sono presenti alcune criticità che i tecnici del settore ben conoscono. È un ritardo davvero enorme che dovrà essere colmato nel più breve tempo possibile e sul quale l'ANCE da sempre stimola il Ministero a intervenire.
  Dobbiamo sviluppare anche una cultura per il recupero in grado di superare la persistente diffidenza verso i materiali recuperati – una diffidenza generale delle pubbliche amministrazioni, ma anche dei progettisti e degli operatori economici in genere –, creando le condizioni per favorire il loro utilizzo al posto delle materie vergini. Con questa consapevolezza come associazione abbiamo incrementato negli anni i nostri sforzi per promuovere e diffondere comportamenti sempre più virtuosi, orientati alla circolarità delle risorse e alla tutela dell'ambiente. Con la nostra struttura che ha una presenza capillare su tutto il territorio nazionale, abbiamo da tempo avviato una costante attività di formazione e informazione delle nostre imprese con l'obiettivo di favorire la corretta applicazione delle norme e delle procedure ambientali. È un percorso continuo, finalizzato ad accrescere la capacità delle imprese di far fronte a un panorama normativo in continua evoluzione. È innegabile che in materia ambientale abbiamo un quadro delle regole davvero troppo mutevole ed è una condizione che ha concorso a ingenerare tra gli operatori grande incertezza applicativa e che si traduce poi in Pag. 5sfiducia verso le istituzioni, rappresentando di fatto un vero e proprio disincentivo a fare impresa in una certa maniera. Troppo spesso parliamo di «deregulation», ma credo che quello di cui abbiamo bisogno sarebbe una better regulation, ovvero un quadro regolatorio dai confini certi che costituisca un punto di riferimento entro cui agire e soprattutto uno stimolo a compiere scelte sempre più circolari. Intensa è l'attività svolta per contrastare e condannare ogni forma di gestione illecita dei rifiuti non solo per il potenziale impatto sull'ambiente, ma anche perché diventa gravemente pregiudizievole per operatori economici rispettosi delle regole. Siamo fermamente convinti che i comportamenti e le condotte illegali alterino il corretto funzionamento del mercato, oltre a generare pesanti ricadute dal punto di vista reputazionale per l'intero settore. Per questo motivo nel 2014 ci siamo dotati di un codice etico, alle cui prescrizioni devono attenersi tutti gli associati, che pone tra i principi fondamentali ed evidenzia in maniera particolare la tutela dell'ambiente e la prevenzione di ogni forma di inquinamento. Secondo l'ultimo rapporto sulla produzione dei rifiuti di ISPRA, tra il 2018 e il 2019 c'è stato un aumento della produzione totale dei rifiuti speciali del 7 per cento, che corrispondono a circa 10,5 milioni tonnellate. L'incremento registrato è quasi del tutto imputabile in termini quantitativi a rifiuti non pericolosi e in particolare proprio a quelli da operazione, ricostruzione e demolizione, che sono aumentati del 14,2 per cento, ovvero oltre 8,5 milioni in termini quantitativi di tonnellate sui 10,5 milioni che dicevo prima. L'analisi dei dati di produzione del 2019 conferma quanto rilevato anche negli anni precedenti, ossia che il maggior contributo alla produzione complessiva dei rifiuti speciali è dato dal settore delle costruzioni e delle demolizioni, cioè i codici Ateco dal 41 al 43, con una percentuale del 45,5 per cento del totale. Circa la metà della produzione complessiva dei rifiuti speciali è relativa al settore costruzioni e in termini assoluti sono circa 70 milioni di tonnellate. Gli altri settori seguono a grande distanza. In un grafico che abbiamo allegato alla relazione che poi verrà inviata, ad esempio si vede che l'apporto dell'attività manifatturiera è pari al 18 per cento contro il 45 per cento delle costruzioni, giusto per dare un'idea anche del divario tra il nostro settore e gli altri settori. Analizzando questi dati per macroaree geografiche, si evidenzia che i maggiori valori di produzione totale dei rifiuti speciali sono concentrati al Nord Italia, dove nel biennio 2018-2019 vi è stato un incremento di circa il 9,8 per cento della produzione dei rifiuti da costruzione e demolizione. È interessante notare anche il dato del Centro e del Sud, dove gli incrementi sono stati pari al 23 e al 19,4 per cento in termini di produzione. Si può dare una lettura da queste percentuali e secondo me la lettura che dobbiamo dare è che c'è una progressiva uscita da quella illegalità di cui parlava prima il presidente verso una situazione più regolata, perché questi incrementi non sono sicuramente proporzionali agli incrementi nel biennio della attività in generale del settore. Secondo me questo è un dato che deve venire letto in termini positivi. Se analizziamo i valori invece relativi al tasso di recupero della tipologia di rifiuti emerge che secondo il rapporto ISPRA l'Italia, come prima si diceva, è posizionata oltre gli obiettivi fissati a livello europeo che erano il 70 per cento entro il 2020, addirittura al 78. A fronte di ciò – questo dato ISPRA è un dato che andrebbe analizzato in maniera approfondita – registriamo un incremento del 29 per cento della quantità dei rifiuti avviati a smaltimento. Nel 2019 i quantitativi di rifiuto del settore edilizio apportati in discarica sono stati 3 milioni di tonnellate, di cui 2,8 milioni erano rifiuti non pericolosi, e le restanti 400 mila tonnellate erano rifiuti pericolosi. Questi sono il 26,4 per cento dei rifiuti complessivamente smaltiti a livello insieme. Sotto questo profilo è interessante il raffronto delle quantità di rifiuto da costruzione e demolizione diviso nelle diverse macroaree geografiche. Analizzando questi dati emerge che nel 2019 vi è stato incremento di oltre 52 per cento al Sud di rifiuti smaltiti rispetto a quanto registrato l'anno precedente e, analizzando solo i Pag. 6rifiuti non pericolosi, che sono quelli più interessanti dal punto di vista del profilo del recupero, la percentuale sale al 54 per cento contro un +26 per cento del Nord e un 5 per cento del centro. Questi valori sono ascrivibili fondamentalmente a due fattori: l'incremento della produzione dei rifiuti, che per il Sud è stato pari al 19 per cento, compresa quell'emersione da situazioni non legali, di cui parlavamo prima, ma d'altro canto sono anche legate alla scarsità degli impianti di recupero in questa area geografica. Come è stato evidenziato da Legambiente nell'ultimo rapporto sulle cave, in Italia sono pochi gli impianti di recupero e soprattutto sono distribuiti in maniera disomogenea sul territorio nazionale. Quando dico «pochi», intendo che sono pochi nei raffronti rispetto alle altre Nazioni europee. Dalle stime presentate ci sono attivi dai 2 ai 3 mila impianti autorizzati tra fissi e mobili, ma le regioni con maggiore presenza di impianti di riciclo inerti sono tutte al centro-nord: Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Trentino e Toscana. È evidente che dove sono presenti maggiori impianti di recupero, minore in proporzione è il conferimento in discarica, ma al tempo stesso è innegabile che dove manchino e non sono sufficienti le strutture abilitate al recupero, sarà invece sempre maggiore lo smaltimento, non solo lo smaltimento legale, ma anche il fenomeno dell'abbandono degli inerti. Passiamo alle priorità che noi riteniamo di sottolineare. Di fronte a uno scenario di questo genere diventa ancora più urgente mettere in atto le politiche necessarie per favorire il recupero dei rifiuti, dando attuazione a quanto previsto nel Green Deal europeo declinato a livello italiano con il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e con la transizione alla economia circolare. A nostro avviso, tre sono gli ambiti sui quali occorre intervenire in via prioritaria: implementare la dotazione impiantistica dedicata al recupero dei rifiuti; delineare un sistema regolatorio stabile e certo che possa rappresentare un quadro di riferimento per gli operatori; sviluppare una cultura del recupero, superando la persistente diffidenza o non conoscenza della qualità del materiale recuperato.
  Vengo adesso ad analizzarli più in dettaglio. L'esperienza degli ultimi anni ci ha mostrato come uno dei principali ostacoli al recupero dei rifiuti sia l'assenza o l'incapacità di impianti. Un passo positivo è stato rappresentato dalla novità introdotta di recente dal decreto «Semplificazioni», il decreto-legge n. 77 del 2021, nel quale durante l'iter di conversione in legge sono state inserite importanti semplificazioni inerenti agli impianti mobili. Da tempo come associazione auspicavamo che si introducessero dei meccanismi, volti ad agevolare nel pieno rispetto dell'ambiente il diretto recupero dei cantieri. Infatti, siamo convinti che in questo modo non solo si incentiva l'impiego dei materiali recuperati, che è un obiettivo molto importante, e si tutelano le materie prime vergini, ma si ha anche un beneficio in termini di impronta carbonica nei processi di cantiere. Nella prassi, infatti, riscontriamo spesso casi in cui gli impianti di trattamento si trovano distanti dai cantieri – ricordiamo poi questa disomogenea distribuzione degli impianti stessi sul territorio nazionale – con la conseguenza che per portarvi i rifiuti occorre percorrere lunghi tragitti, a loro volta causa di nuove emissioni e ulteriori inquinamenti. Agevolando il recupero all'interno del cantiere, laddove è possibile, riusciremmo a incrementare la percentuale dei rifiuti recuperati, riducendo drasticamente gli oneri anche di carattere ambientale legati al trasporto. Questa ci sembra una soluzione davvero significativa e importante. L'Unione europea già nel 2016, con il Protocollo per la gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione, aveva evidenziato l'importanza della prossimità tra luogo di produzione dei rifiuti da demolizione e costruzione e l'impianto di recupero, cercando di mantenere il più possibile ridotta la distanza tra gli stessi. Quanto è stato introdotto recentemente nell'ambito del decreto Semplificazioni segna un importante cambio di passo su questo tema. Tuttavia, sono necessari ulteriori interventi coraggiosi per rimuovere quegli ostacoli che di fatto limitano la capacità del nostro Pag. 7Paese di recuperare, così come vanno riviste alcune norme contenute nel codice dell'ambiente relativamente alle operazioni di recupero. In particolare, va aggiornato il sistema autorizzatorio, non solo troppo complesso, ma che è legato a norme, prescrizioni, limiti e tecnologie che hanno oltre 20 anni – il decreto ministeriale è del 1998 – e che, come possiamo facilmente immaginare, soprattutto se pensiamo all'evoluzione tecnologica degli ultimi anni, lo rendono inadeguato alle esigenze di oggi. Sarebbe poi opportuno – è un'altra proposta che abbiamo fatto – introdurre una modulistica unificata per le autorizzazioni ambientali in analogia a quanto recentemente previsto per le bonifiche. L'obiettivo è di definire modelli unici e contenuti minimi della documentazione da allegare ai fini del rilascio di un'autorizzazione per il recupero dei rifiuti, così come predisporre degli schemi delle autorizzazioni. Questo rappresenterebbe un utile supporto sia per i proponenti privati a fini della presentazione delle istanze, sia per la pubblica amministrazione che si troverebbe un compito facilitato nell'esame della richiesta per il rilascio delle autorizzazioni. Le procedure ambientali si inseriscono in un progetto lungo che porta alla cantierizzazione di un'opera o di un intervento e rappresentano quel giusto momento di condivisione delle scelte e di considerazione degli effetti di natura ambientale. Gli ostacoli amministrativi, i tempi lunghi, gli oneri diretti e indiretti che si ripercuotono sugli operatori indeboliscono l'efficacia di questi procedimenti potenzialmente importanti per un fattore di crescita sostenibile, ma che di fatto diventano degli incubatori di adempimenti stratificati. In questi anni è emerso chiaramente che regole e procedimenti troppo complessi e soprattutto mutevoli – mi preme sottolineare il problema della mancanza di stabilità delle regole – hanno rappresentato veri e propri ostacoli allo sviluppo, all'innovazione e di conseguenza a comportamenti più virtuosi da parte di tutti gli operatori. Appare quanto mai essenziale e strategico rimuovere questi ostacoli, superare le criticità emerse nelle prassi e dare effettiva attuazione a strumenti come istituti fondamentali per l'economia circolare. Faccio riferimento, ad esempio, alla questione dell'end of waste, già citata in premessa, ovvero la cessazione della qualifica di rifiuto. Si tratta uno strumento introdotto 10 anni fa in Italia, ma di fatto rimasto inattuato la carenza, o meglio per l'assenza dei decreti attuativi. Dal 2010, quindi in oltre 11 anni, sono stati adottati solo cinque decreti, di cui solo quello dell'asfalto fresato riguarda il settore delle costruzioni, settore che, come abbiamo visto – vale la pena qui ricordarlo –, produce il flusso più rilevante dei rifiuti speciali. Uno solo. Abbiamo accumulato un ritardo eccessivo che dobbiamo assolutamente recuperare per ritornare a poterci confrontare con i Paesi europei più virtuosi. Tale modo di procedere ostacola in maniera inesorabile dal punto di vista pratico il passaggio all'economia circolare e in questo frangente non possiamo permettercelo oltre. Sempre con riferimento al tema dell'end of waste vorrei sottolineare un altro aspetto, quello delle autorizzazioni caso per caso. Come è noto, qualora i criteri e le condizioni affinché un rifiuto cessi di essere tale non siano stati definiti né a livello europeo né in ambito nazionale, questi stessi criteri possono essere oggetto di singole autorizzazioni cosiddette «caso per caso». In Italia questa competenza è stata riservata alle regioni o alle province, a seconda della delega conferita e – questo dobbiamo evidenziarlo – questa attività autorizzatoria ha consentito al nostro paese di competere con gli altri Stati, ottenendo risultati discreti. Tuttavia, si tratta di una procedura temporanea, perché non era pensata come la procedura normale dell'iter, ma doveva essere tesa a superare soltanto un momento iniziale di diversa normativa da parte dello Stato. Di fatto si è trasformata nella regola e da qui ne sono discesi vari problemi applicativi. Non faccio riferimento soltanto al blocco causato dall'ormai famosa sentenza del Consiglio di Stato del 2018 che aveva messo in dubbio tutto l'apparato autorizzatorio caso per caso, costringendo poi il legislatore a intervenire, ma più di recente anche ai problemi sorti relativamente al cosiddetto «sistema dei Pag. 8doppi controlli», ossia i controlli a campione ex post. Su questo punto va premesso che, come associazione l'ANCE è assolutamente favorevole ai controlli, poiché dal nostro punto di vista sono un efficiente strumento per disincentivare i comportamenti scorretti che vanno a danneggiare, come ho già detto, non solo l'ambiente ma anche tutte le imprese che operano nel rispetto della legge e alterando i fattori di concorrenza. Detto questo, abbiamo riscontrato nella prassi molteplici difficoltà legate all'applicazione di questi controlli, soprattutto per i conflitti che inevitabilmente si sono creati tra enti e apparati dello Stato coinvolti e quindi tra gli enti periferici e lo Stato centrale. Infatti, è opportuno ricordare che questo tipo di controlli è dedicato all'analisi e alla valutazione dell'autorizzazione. L'organo di controllo va in primis a verificare la correttezza della attività autorizzatoria svolta da parte delle regioni e delle province. Nel tempo questo ha comportato una grande diffidenza da parte di chi doveva rilasciare le autorizzazioni, un allungamento dei tempi procedurali e una grande incertezza gli operatori che perdura tutto il tempo necessario fino alla conclusione del complesso iter di verifica. Tutto questo in relazione a una procedura autorizzatoria prevista dalla legge che è resa necessaria dalla mancanza del provvedimento nazionale generale di cui prima abbiamo parlato. Anche qui secondo noi il decreto «Semplificazioni» è intervenuto in maniera opportuna ed equilibrata, eliminando da un lato la fase di verifica della autorizzazione da parte del Ministero della transizione ecologica e dall'altro introducendo il parere preventivo da parte di ISPRA e ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) territorialmente competenti. Questo dovrebbe consentire una riduzione tanto delle tempistiche, quanto degli aspetti di incertezza di cui abbiamo parlato prima. Auspichiamo che tale nuovo assetto dia a tutti gli operatori non solo a quelli privati, ma anche a quelli pubblici, la sicurezza necessaria per agire e investire in questa attività di recupero che sono fondamentali nel processo di transizione ecologica e più in generale dello sviluppo sostenibile. Un'ultima annotazione riguarda il tema dei sottoprodotti, dove ancora troppa è l'incertezza applicativa che di fatto scoraggia il ricorso a tale strumento. L'esempio emblematico è quello sulle terre e rocce da scavo – altra nota dolente – la cui disciplina, sebbene oggetto di continue modifiche negli anni passati, ha ancora importanti lacune. Ne cito una tra le altre: la disciplina delle cosiddette «opere di emergenza». In caso di crollo, smottamento o frana su strada, in assenza di una specifica disposizione al riguardo, oggi questi materiali devono essere gestiti come rifiuti, in quanto le tempistiche previste per poterli considerare sottoprodotti non sarebbero compatibili con la necessità di rimozione immediata. In questo modo sottraiamo importanti quantitativi di questi materiali per usi virtuosi, destinandoli inevitabilmente al conferimento in discarica. Sviluppare una cultura del recupero, superando la persistente diffidenza o non conoscenza da parte di tutti i soggetti – pubblica amministrazione, progettisti e imprese – della qualità del materiale recuperato è una caratteristica che è molto presente nel nostro Paese. In altri termini dobbiamo creare le condizioni per incentivare l'uso dei materiali recuperati nella logica di limitare il ricorso a quelli vergini. I rifiuti da costruzione possono costituire un'importante leva l'economia circolare attraverso il recupero, consentendo di dare a questi materiali nuova vita e un nuovo impiego, riducendo fortemente il ricorso alle materie vergini. In proposito, citando di nuovo il rapporto di Legambiente del 2021 sulla situazione delle cave in Italia, si evidenzia come l'impiego di materiali recuperati continui a vivere un momento di grande difficoltà. Infatti, dalle analisi è emerso che nonostante negli anni si sia registrata una costante diminuzione dell'attività estrattiva, siamo ancora con livelli troppo elevati di quantità di materiale estratti. Do alcuni numeri: sono 29 milioni di metri cubi estratti annualmente per sabbia e ghiaia usati nelle costruzioni, ma è elevata anche la attività del calcare, con 26,8 milioni di metri cubi di pietra ornamentale. A questo dobbiamo aggiungere che dal confronto con gli altri grandi Pag. 9Paesi europei, la produzione in Italia di aggregati riciclati artificiali utilizzabili al posto dei materiali di cava è molto ridotta. Guardando i numeri presentati nel rapporto di Legambiente, il distacco è molto significativo. In questi anni è mancata una politica di ampio respiro orientata a promuovere effettivamente il recupero di questi rifiuti, sviluppando contestualmente un mercato per i materiali che derivano da questi processi che sono sicuramente eccellenti alternative alle materie vergini. In altri termini occorre creare un sistema di regole, procedure e incentivi che spinga a recuperare e a utilizzare ciò che è stato recuperato. Solo in questo modo sarà possibile ridurre il ricorso ai materiali vergini, portando il nostro Paese a livelli comparabili con quello dei Paesi europei più virtuosi, in primis, per esempio, la Danimarca, che con una politica molto forte in questo senso in meno di 20 anni ha ottenuto dei risultati molto, molto significativi. In questo senso va la definizione dei criteri ambientali minimi attraverso cui fissare degli specifici target di riutilizzo, assicurandone però una loro effettiva applicazione. In questo è fondamentale l'attività di sensibilizzazione e promozione delle stazioni appaltanti, che tuttora sono molto diffidenti sulla qualità e le caratteristiche anche meccaniche del possibile riutilizzo del materiale recuperato. Al tempo stesso dobbiamo promuovere una analoga cultura del riciclo presso i progettisti e i professionisti, perché solo attraverso un cambiamento del rapporto progettuale riusciremo a incidere significativamente sul non utilizzo e sulla riduzione dell'utilizzo del materiale vergine. Dobbiamo impegnarci insieme in questo sforzo. L'analisi del flusso dei rifiuti inerti non può non soffermarsi sul fenomeno che ormai da anni penalizza tutto il nostro territorio, relativo all'abbandono dei rifiuti, anche inerti, lungo le strade o lungo le campagne, come si diceva prima. Questo è un fenomeno che accomuna tutta l'Italia senza distinzioni eccessive tra Nord, Centro e Sud, al riguardo del quale si hanno pochissimi dati e stime, sia in termini quantitativi che di impatto. Ciò che è certo è che l'ambiente è turbato, si genera un costo non indifferente per la collettività ed è strettamente correlato con le forme di lavoro sommerso e di attività più o meno abusiva. Infatti, i rifiuti inerti che sono prodotti nell'ambito delle attività edilizie autorizzate, a valle di CILA (comunicazione di inizio lavori asseverata), di SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) e di permessi di costruire, sono già tracciate attraverso la modulistica unificata che va consegnata al comune all'atto della richiesta del titolo abilitativo o della presentazione della comunicazione di inizio lavori. Accanto a questo si aggiungono poi le risultanze documentali che devono essere tenute nel cantiere al fine del codice dell'ambiente, formulario dei rifiuti e registro cronologico nonché le sempre più ricorrente clausole contrattuali anche di ambito privato, tese a dimostrare il corretto conferimento dei rifiuti prodotti. Come ANCE abbiamo fatto dei moduli di contratto di appalto privato tipo, in cui questi concetti sono evidenziati espressamente. Questo vuol dire che è difficile che l'abbandono lungo le strade dei rifiuti sia riconducibile alle imprese che operano in cantieri «legali» per il solo fatto che con troppa facilità si può avere la tracciabilità e l'identificabilità del produttore. È molto più plausibile che questi comportamenti siano ascrivibili a quel mondo grigio di lavoro abusivo in assenza di forme di autorizzazione e di controlli. Per contrastare questo tipo di attività, credo che dobbiamo operare essenzialmente in due direzioni: da un lato in quello della vigilanza e del controllo, ma – penso che questo sia importante – anche costruendo regole efficaci volte a favorire una gestione virtuosa dei rifiuti, ma anche semplice. Sotto questo profilo – volevamo sottolinearlo – riteniamo molto importante quanto contenuto nell'articolo 185-bis del Codice dell'ambiente, citato in apertura. Con l'approvazione di una norma specifica contenuta nella legge di delegazione europea del 2018 è stata introdotta la possibilità di effettuare il deposito di rifiuti dalla attività di demolizione e costruzione preliminare alla raccolta presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei prodotti, ovvero presso dei luoghi molto diffusi e presumibilmente Pag. 10 presenti in maniera capillare su tutto il territorio e in prossimità dei cantieri. È una previsione sicuramente molto positiva, che denota un significativo cambio di approccio al problema: non repressione, ma creazione di un sistema rete e la volontà di risolvere in termini concreti e pratici un problema grave come quello di cui stiamo parlando, incentivando così realmente il corretto conferimento dei rifiuti.
  Tuttavia, riscontriamo che questo procedimento registra una scarsa applicazione probabilmente per una diffidenza generale o non una completa e precisa definizione di tutto quello che deve essere fatto per affrontarlo sempre rischi particolari. È su questo che noi dobbiamo agire, superando la perplessità dei soggetti interessati – in questo caso prima di tutti i rivenditori – dando un quadro di regole semplice e stabile al fine di fugare ogni dubbio e ogni incertezza interpretativa. Tutto il nostro sistema dell'ambiente e della legislazione ambientale è, infatti, caratterizzato da norme troppo complesse e farraginose, il cui esito è quello di essere poco applicate. Questo è molto evidente. Negli ultimi anni l'ipertrofia legislativa che si è verificata con il continuo susseguirsi di nuove norme e procedure che, contravvenendo ruoli e competenze, ha creato un'enorme variabilità di interpretazioni con le conseguenze di cui abbiamo parlato. Credo che l'incertezza sia il grande problema che ha rappresentato e che rappresenta tuttora il disincentivo a operare secondo le regole. Abbiamo bisogno – lo diciamo con forza – di una normativa rigorosa, semplice, chiara che definisca bene tutti i livelli autorizzativi e che sia stabile nel tempo, tale da rappresentare un punto di riferimento per gli operatori e un incentivo a fare bene. Ho concluso la mia relazione. Ci tengo a sottolineare che credo che, dal punto di vista delle imprese di costruzione della nostra associazione, l'aspetto sia: ben vengano i controlli, ben vengano le norme, ma devono essere semplici e stabili nel tempo senza eccedere nell'ipertrofia normativa, definendo in maniera semplice e puntuale gli adempimenti a cui le imprese devono sottoporsi per fare un iter corretto di gestione di queste problematiche. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie. Ho delle questioni da porre. Come dicevo, il 185-bis, ovvero il deposito, era stato un mio emendamento e proprio per questo lo spirito che ritenevo e che tutto il Parlamento ha ritenuto utile è proprio quello di non puntare non solo alla repressione tout court, ma anche dare delle occasioni di sfogo che poi diventano virtuose dalla problematica dei rifiuti, perché conferire lì significa convogliare questi rifiuti in una filiera corretta e virtuosa. Su questo ci tengo tanto e da quello che ho capito è ancora di scarsa applicazione. Per questo motivo vorrei sapere – poi avrò tempo e modo di informarmi – se sapete da dove è partito questo sistema, così magari lo andrò anche a visitare volentieri proprio per capire che cosa bisogna fare per pubblicizzarlo e renderlo diffuso. Per quanto riguarda gli impianti di recupero, onestamente so abbastanza poco sul funzionamento – magari sarà questa l'occasione per informarmi meglio –, volevo sapere che tipo di dimensioni hanno, a parte quelli mobili? Quanto sono diffusi gli impianti mobili nei cantieri? Li immagino nei grandi cantieri e non nei piccoli, perché credo che siano antieconomici. Per l'ingombro e per i costi penso che siano solo per i grandi cantieri, ma mi confermi se dico cose giuste o se sbaglio. Gli impianti di recupero fissi, invece, che dimensioni e che investimenti hanno? Che cosa esce fuori? Quali sono questi materiali facilmente riutilizzabili e dove vanno a finire, anche se abbiamo detto che sono pochi? Vorrei anche degli esempi pratici, che tipo di materiali sono. Le chiedo di descriverci meglio il funzionamento dell'impianto sia a monte che a valle.

  PIERO PETRUCCO, vicepresidente di ANCE Confindustria. Grazie per le domande, cercherò di risponderle per quanto ne sono capace. Ribadisco che, quel tipo di provvedimento, come quello di cui abbiamo parlato, del conferimento dai rivenditori, è sicuramente molto importante dal punto di vista proprio dell'approccio, perché Pag. 11 secondo me bisogna cominciare ad avere nella nostra normativa un approccio molto pragmatico e questo lo è, perché parte dall'assunto che il numero di persone e di depositi, che sono un centro di frequentazione da parte dell'impresa, è diffuso sul territorio, e quindi parte da questo assunto per cercare di convogliare e di fare convergere lì il materiale. Il dato che ho citato quell'ISPRA, unito al dato dell'eccessivo uso del materiale vergine e del ritardo che abbiamo degli impianti di recupero rispetto al livello europeo, evidenziano che dobbiamo lavorare ancora molto per portare tutto il materiale che si produce nell'ambito del proprio processo regolamentare. Questo è molto importante. Lei chiedeva perché non ha preso tanto piede. Le rispondo con le sensazioni e con quello che abbiamo sentito dai nostri associati. I rivenditori sono piuttosto refrattari e riluttanti a fare questa attività perché ritengono che non ci sia una chiarezza assoluta sul tipo di adempimenti. Ad esempio, ci sono delle incertezze sulla determinazione del tempo dei termini del deposito temporaneo e c'è anche un'interpretazione non sicura e non certa su questo, provocando questa diffidenza, così come sulle modalità di conservazione, perché noi parliamo di quantità molto piccole e molto frammentate, e quindi bisogna definire in maniera chiara se devono essere conservate separatamente e come. Si tratta di piccoli problemi che con molta semplicità meriterebbero di essere presi. Su questo punto specifico, coinvolgendo le associazioni dei recuperatori che in qualche maniera sono in contatto con noi, come associazione potremmo cercare di elencare questi piccoli motivi che creano incertezza e che hanno fatto sì che questa cosa non sia partita come tutti noi auspicavamo e forse anche immaginavamo. Rispetto al discorso degli impianti mobili, gli impianti mobili sicuramente non sono partiti con le misure e nella quantità dovuta in Italia – lo dico anche per esperienza diretta imprenditoriale –, perché è troppo complicata. Con il nuovo decreto «Semplificazioni» ci sarà una drasticissima riduzione dei tempi che sicuramente sarà importante, però ci sono troppi adempimenti che sono troppo farraginosi che, uniti ad alcune lunghezze nell'iter autorizzativo, hanno di fatto scoraggiato l'utilizzo dell'impianto mobile. Lei prima parlava dei grandi cantieri ma, per come funziona oggi, l'impianto mobile potrebbe essere tranquillamente utilizzato anche in molti cantieri medi, non piccoli. Tuttavia, se per fare l'autorizzazione ci mettiamo due mesi, non è più compatibile con un cantiere di dimensioni medie. Sugli impianti mobili credo che abbiamo iniziato a prendere la strada giusta. Tenga presente che un impianto mobile di per sé può essere grande o piccolo e quindi non è necessariamente destinato al cantiere grande, ma lo diventa nel momento in cui l'iter approvativo e autorizzativo è talmente lungo che solo una programmazione di lungo periodo e molto puntuale di un cantiere grande rende possibile. Il tema dei materiali riutilizzabili è un discorso generale che riguarda tutti gli end of waste e tutti i materiali di riciclo. Parlando anche con i responsabili della ricerca e dello sviluppo di alcuni grandissimi produttori, per esempio, di calcestruzzi, abbiamo visto che la tecnologia ormai è sicuramente in grado di fornire materiali con prestazioni equivalenti o superiori a quello della materia vergine. Ci sono due problemi. Uno è quello culturale che ho cercato di sottolineare molto, mentre l'altro è un problema di costi, perché fino a che non si riesce a costruire un mercato con una dimensione e con dei fattori di scala sufficienti, le materie e questi tipi di processi rimangono molto costosi. È un meccanismo che va innescato. Come si innesca? Ad esempio, il meccanismo dei criteri ambientali minimi è uno dei meccanismi per iniziare questi circoli virtuosi, perché bisogna generare la domanda in maniera tale che poi gli investimenti significativi necessari favoriscano la riduzione del posto. Secondo me, per essere pratici, dobbiamo continuare a lavorare nella direzione, per esempio, dei CAM (criteri ambientali minimi), perché sono meccanismi che vanno attivati, tenendo ben presente che il problema tecnologico è l'ultimo dei problemi in questo momento. Questo riguarda non solo gli inerti di cui stiamo Pag. 12parlando, ma è un discorso che può essere esteso a tutto il mondo della economia circolare. Siamo in una fase in cui la tecnologica consente molto, ma siccome è un'evoluzione culturale complessiva e ci sono dei problemi di carattere economico relativi agli investimenti, dobbiamo creare meccanismi incentivanti in questa direzione.

  ALBERTO ZOLEZZI. Mi sembrava di capire che prima ci ha riferito di alcuni dati e percentuali di recupero, come la prospettiva del 78 per cento. Si stava riferendo solamente ai dati di ISPRA o avete anche dati in vostro possesso? In particolare volevo capire se questo aumento dal 70 al 78 per cento è un dato prospettico che avete calcolato voi. La seconda domanda riguarda la presenza di materiale contenente amianto. Qual è la percentuale dei rifiuti contenenti amianto che trovate nelle demolizioni? Ci sono differenze territoriali? Inoltre, anche sui materiali contenenti amianto vorrei sapere se avete un vostro database, se in qualche modo fate una analisi e se raccogliete al vostro interno i dati precisi su questo o se, invece, vi basate sui dati dell'ISPRA. Grazie.

  PIERO PETRUCCO, vicepresidente di ANCE Confindustria. Rispetto alla prima domanda, il dato del 78 per cento è il dato dell'ISPRA, laddove il target del 70 per cento era il dato indicato dalla Commissione europea. Noi abbiamo solo questo dato, ma credo non solo noi. La perplessità è la lettura di questo dato associandolo agli altri dati che ho dato prima, cioè l'utilizzo delle materie vergini e l'incremento dei conferimenti in discarica. La sensazione che si ha è che ISPRA parta da dei dati che sono quelli che vengono dalle dichiarazioni. Quel dato è fattuale ed è sicuramente giusto, però la base di riferimento probabilmente è più incerta. Rispetto al discorso dell'amianto, non abbiamo nostri dati diretti nostri. All'interno della nostra associazione abbiamo i cosiddetti «socioaggregati» che sono altri operatori economici collegati alla filiera dell'edilizia e in questo caso per esempio è l'ANPAR (Associazione nazionale produttori aggregati riciclati). I dati da cui noi possiamo cerchiamo di attingere sono quelli dell'ANPAR. Anche sul problema dell'amianto è difficile dare termini percentuali perché, anche sentendo i tecnici, meriterebbero una riflessione precisa, perché nei rifiuti da demolizione sono molto presenti percentuali molto piccole di amianto. Il concetto di dire quale rifiuto ha amianto deve essere strettamente correlato anche a un discorso tecnicamente corretto sulle percentuali di amianto che sono contenute. La stessa cosa succede con i solfati e con i gessi. È un termine un po' più complicato, perché si aprono una serie di problematiche legati, ad esempio, al test di cessione, che è il test con il quale si identificano i contenuti di amianto, che dovrebbe essere analizzato in via critica. Io riferisco degli scambi di opinione con il mondo degli impiantisti come quelli dell'ANPAR, perché anche in quel campo ci sono diverse criticità nella normativa italiana. Secondo me è difficile dare una risposta in termini quantitativi alla domanda che lei mi ha gentilmente richiesto. Penso che bisogna analizzare il problema anche sotto il profilo che le dicevo della concentrazione dell'amianto, perché non si può fare di tutta l'erba un fascio. Questa è la risposta che mi sento di dare.
  Ad ogni modo, noi non abbiamo un dato diretto nostro, ma è un dato che è dell'Associazione degli impianti di riciclaggio e degli impianti di smaltimento, che è l'ANPAR.

  PRESIDENTE. Lei sa di dove sono i primi rivenditori che hanno utilizzato il 185-bis? Se non sbaglio c'è qualche consorzio a Milano, ha qualche notizia in più? Sugli impianti di recupero, vorrei alcuni esempi pratici. Innanzitutto quanto la demolizione selettiva sia importante è a monte. Quello che avviene nella raccolta differenziata del rifiuto urbano, lo proietto nei confronti del cantiere e, quindi, quanto è importante fare una demolizione selettiva e quanto influenza il modo di demolire sulla qualità di quello che poi si tratta, si recupera e si separa. Dagli impianti di recupero e separazione prevalentemente che cosa esce fuori? Ferro, sabbia, cemento? I pezzi di cemento devono essere puliti? Immagino Pag. 13 che forse la diffidenza maggiore riguarda proprio la promiscuità di questi materiali. Come si fa a separarli? Si può migliorare questo processo anche per convincere chi forse ha qualche ragione per essere diffidenti su questo materiale? Ad esempio, per citare l'amianto, come diceva l'onorevole Zolezzi, c'è il rischio che magari qualche polvere di amianto vada a finire nel cemento o in alcuni materiali? Quali sono le garanzie e i miglioramenti che si possono fare a questi impianti di recupero? Per quanto riguarda la comunicazione, che voi avete detto essere importante, voi avete un budget proprio per fare comunicazione anche ai vostri associati e a tutti gli operatori, spiegandogli, ad esempio il 185-bis, questa possibilità che magari non hanno o l'assistenza sui vari cavilli burocratici? Voi date il vostro contributo oppure no? Per quanto riguarda l'ecobonus, quanto questo influenzerà, se lo influenzerà, il processo di recupero e quello negativo di abbandono? Forse ancora non ci sono stime. Spero che i lavori partiranno a settembre o a ottobre, ma c'è stato anche un ritardo causato dalla difficoltà di trovare materiale edile e i professionisti in grado di lavorare in maniera veloce. Come questi incentivi – non solo l'ecobonus, ma anche gli altri – stanno cambiando questo settore con un occhio sempre visto dal nostro tema di interesse, che è quello dei rifiuti? Infine, ho un'ultima domanda sui centri di raccolta comunali. Chi produce e chi fa i lavori non ha diritto di accedere a questi centri di raccolta comunali. Si potrebbe cambiare questo? Potrebbe essere utile? C'è stato qualcuno che ha provato a cambiare questa cosa, è totalmente impensabile o basterebbe ampliare quel 185-bis di cui abbiamo parlato in maniera capillare? Grazie.

  PIERO PETRUCCO, vicepresidente di ANCE Confindustria. Tento di dare le risposte con la premessa che noi siamo costruttori, mentre il lavoro vero e proprio del recuperatore non è il lavoro delle nostre imprese, ma, come ho detto prima, ci sono associazioni che raccolgono gli imprenditori che fanno questo di mestiere. Noi siamo degli utenti. Quello che so è che stavano costituendo un consorzio, non so però se poi è stato fatto. È un'informazione che magari possiamo specificatamente cercare di raccogliere e poi ve la trasmettiamo, ma non saprei dire in maniera chiara un esempio. La demolizione selettiva credo debba trovare un punto di equilibrio. La demolizione selettiva può essere molto selettiva, da un lato complessa e dall'altra può diventare non sempre economica, quindi va trovato un giusto equilibrio. Ci sono delle modalità semplici per demolire il grosso e selezionare separando il ferro dall'inerte, quindi dal calcestruzzo, funzionano bene, sono consolidate. Ci sono esperienze di demolizione selettiva molto spinte che – secondo me, esprimo un parere forse anche personale – hanno un senso dal punto di vista dell'obiettivo, di essere un passo in avanti come un punto su cui convergere, però non credo che siano applicabili su larga scala allo stato in maniera economica. Perché bisogna sempre tenere conto dei due fattori, anche se credo che sia importante lavorare in quella direzione per cercare di trovare dei modelli che siano replicabili. Però allo stato credo che non abbia le caratteristiche per potere avere una diffusione estesissima. In alcune circostanze la cosa sicuramente può funzionare. Dal punto di vista delle attività che facciamo con ANCE. Sì, noi facciamo molta formazione ai nostri associati, su questo tema specifico abbiamo proprio di recente concluso un ciclo di webinar che abbiamo fatto, per esempio, in collaborazione con ANPAR, che è l'associazione degli impiantisti di recupero e anche, per esempio, con la Deco, che è l'associazione di quelli che fanno demolizioni in cantiere. Quindi sono anche due associazioni in concorrenza, perché quello che viene fatto dalla Deco non va a finire poi nell'impianto, ma le abbiamo messe vicino proprio per presentare diverse opportunità e diverse prospettive che però sono connesse allo stesso tema, come aumentare e come evitare che il materiale di costruzione e demolizione – che ha le dimensioni rilevanti di cui abbiamo parlato – venga correttamente gestito. Quindi sì, formazione se ne fa e devo dire che sta anche finalmente aumentando l'attenzione Pag. 14delle nostre imprese. Tenga presente che il tessuto delle imprese di costruzioni è fatto di piccolissime o piccole aziende, oltre il 90 per cento hanno meno di 10-15 addetti, quindi le imprese hanno questo tipo di dimensione e anche la formazione su questi processi sconta delle difficoltà legate agli aspetti dimensionali.

  PRESIDENTE. Riguardo all'accesso ai centri di raccolta comunali?

  PIERO PETRUCCO, vicepresidente di ANCE Confindustria. Credo, di nuovo, che per le quantità molto piccole dovrebbe essere una scelta intelligente, perché quando il muratore – più o meno siamo a livello dell'artigiano, quindi neanche quello delle imprese che io rappresento – va a fare un bagno, per dire, ha un pulmino con un po' di inerti. La possibilità di conferire in una discarica comunale, sicuramente eviterebbe il fatto che vada a conferirla in una strada nascosta tra i campi. Noi pensiamo che quanto previsto dal 185-bis possa andare bene, ritengo che sulle dimensioni molto ridotte potrebbe essere anche quella una soluzione. Io credo che tutto quello che consente un approccio semplice e concreto possa aiutare molto a ridurre l'abbandono degli inerti. Sul Superbonus. Come sappiamo, ha scontato anche questa difficoltà dal punto di vista dell'autorizzazione e della verifica urbanistica in Italia che adesso è stata risolta e credo che questo abbia ostacolato anche nella esperienza comune, fatta direttamente da molti di noi e ha soprattutto molto rallentato l'iter decisionale dei condomini, che sono poi un aspetto fondamentale per la riuscita o meno di quel provvedimento, perché noi dobbiamo riuscire ad agire in maniera forte su quello che riguarda i condomini. La valutazione è sicuramente positiva, credo che la ricaduta sia non solo dal punto di vista economico, le cui evidenze credo non abbiano bisogno di ulteriori conferme, ma c'è anche l'aspetto che portando e circuitando questa cosa in un ambito, ancorché semplificato, ma totalmente all'interno degli iter autorizzativi, favorisce anche indirettamente, ma inevitabilmente una più corretta gestione del materiale, proprio il motivo che ho detto prima. Perché comunque una SCIA la fai e abbiamo creato un meccanismo virtuoso che evita il fatto che questi cantieri possano uscire dai canali. Forse «legalità» detta in questa cosa è una parola grande, sarebbe la parola giusta, ma diciamo esca dai criteri e dai vincoli dei sistemi autorizzativi previsti. Una volta che riusciamo a canalizzarli con un provvedimento come quello del Superbonus in quell'ambito, c'è la ricaduta positiva che è molto più facile riuscire a intercettare anche il materiale che viene prodotto, la rintracciabilità e il produttore. È una cosa collegata che ha sicuramente una sua efficacia, quindi il nostro giudizio non è solo positivo sul Superbonus, dal punto di vista generale, ma lo è anche dal punto di vista delle ricadute ambientali. Sui punti precedenti, in cui sono state fatte domande specifiche, comunque do la massima disponibilità e se è di vostro gradimento, di produrre una scheda con questi numeri e queste informazioni che sono state richieste, quelle sugli impianti ex 185-bis e anche quella sulla distribuzione degli impianti, perché utilizzando le sinergie che possiamo mettere con la nostra filiera che partecipa alla nostra associazione, siamo in grado di fornirvele e lo facciamo molto volentieri.

  PRESIDENTE. Quindi anche per queste cose ci riaggiorneremo attraverso le segreterie, non mi pare ci siano altre richieste di intervento, quindi la ringrazio per averci illustrato il vostro punto di vista e dichiaro chiusa l'audizione.

Seguito esame della proposta di relazione sull'evoluzione del fenomeno degli incendi negli impianti di gestione dei rifiuti (con votazioni) (Relatori on. Vignaroli, sen. Ferrazzi, sen. Nugnes)

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, non essendovi obiezioni ne dispongo l'attivazione. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame della proposta di relazione sull'evoluzione Pag. 15 del fenomeno negli incendi degli impianti di gestione dei rifiuti. Ricordo che nella seduta del 28 luglio del 2021 era stata presentata da me e dagli altri relatori, il senatore Ferrazzi e la senatrice Nugnes, che ringrazio, una proposta di relazione in ordine alla quale sono state trasmesse osservazioni e proposte di modifica. Alcune delle quali sono state recepite nel testo trasmesso ai componenti della Commissione. Avverto, pertanto, che porrò direttamente in votazione il testo della proposta di relazione come con tutte le modifiche concordate con i proponenti. Chiedo se ci sono dichiarazioni di voto.

  CHIARA BRAGA. Grazie, presidente. A nome del gruppo del Partito Democratico dichiaro il voto favorevole su questa relazione, ringraziando ovviamente i relatori, tutti i consulenti, i magistrati che hanno collaborato alla stesura di questa relazione, che voglio ricordare è l'aggiornamento e qualcosa in più di una relazione che la Commissione aveva già redatto nella scorsa legislatura. Introduce un'analisi dettagliata del fenomeno degli incendi in impianti di trattamento rifiuti e di incendi legati anche a casi di abbandono, con alcuni focus molto approfonditi e utili su delle situazione territoriali o su dei fenomeni particolari come quello, ad esempio, della cosiddetta Terra dei fuochi. Mi sembra che le conclusioni che sono state proposte diano alla Commissione anche una serie di elementi utili per dare alcune indicazioni sul tema in particolare del rafforzamento della interoperabilità tra le banche dati e la collaborazione tra i vari enti, di una necessità di una maggiore omogeneità nella capacità di acquisire i dati da parte sia delle agenzie regionali e soprattutto delle procure territorialmente competenti, perché i dati – come è stato correttamente sottolineato – che sono contenuti in questa relazione, in qualche modo tengono conto anche di una diversità e di uno squilibrio tra la capacità degli enti territoriali e delle procure di segnalare i fenomeni di incendio.
  Un elemento che credo sia utile ricordare è quello di avere in qualche modo alzato l'attenzione su questo fenomeno che è strettamente correlato al tema della fragilità in alcuni contesti dell'impiantistica e della corretta chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti. Quindi penso davvero che sia un contributo molto importante che la nostra Commissione dà su questi temi e ringrazio davvero tutti quanti vi hanno lavorato, confermando il nostro voto favorevole.

  PRESIDENTE. Grazie. Qualcun altro vuole intervenire? Nessuno, bene.
  Allora pongo in votazione finale la relazione. Favorevoli? Astenuti? Contrari?
  La relazione è approvata all'unanimità. La Presidenza si riserva di procedere al coordinamento del testo approvato che verrà poi reso pubblico nel breve tempo possibile. Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 15.

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ALLEGATO

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ALLEGATO 2

Tipologie.

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ALLEGATO 3

Controlli.

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ALLEGATO 4

Totale.

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