XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 126 di Giovedì 15 luglio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferrazzi Andrea , Presidente ... 3 

Audizione della Vice Presidente di Confindustria, Maria Cristina Piovesana (l'audito sarà in videoconferenza):
Ferrazzi Andrea , Presidente ... 3 
Piovesana Maria Cristina , Vice Presidente di Confindustria ... 3 
Ferrazzi Andrea , Presidente ... 9 
Piovesana Maria Cristina , Vice Presidente di Confindustria ... 9 
Ferrazzi Andrea , Presidente ... 9 
Lomuti Arnaldo  ... 9 
Piovesana Maria Cristina , Vice Presidente di Confindustria ... 9 
Trentacoste Fabrizio  ... 10 
Ferrazzi Andrea , Presidente ... 10 
Piovesana Maria Cristina , Vice Presidente di Confindustria ... 10 
Ferrazzi Andrea , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ANDREA FERRAZZI

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito)

Audizione della Vice Presidente di Confindustria, Maria Cristina Piovesana.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in video conferenza della presidente di Confindustria Maria Cristina Piovesana. Partecipano all'audizione il direttore politiche industriali per la sostenibilità, Cristina De Bernardinis, il direttore affari legislativi, Antonio Matonti, il direttore ai rapporti istituzionali, Simona Finazzo e il responsabile aree politiche e industriali per la sostenibilità, Marco Ravazzolo. L'audizione rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul tema dell'attuazione della legge 68 del 2015 in materia di delitti contro l'ambiente. In particolare la Commissione è interessata a conoscere quale sia stata l'effettività della legge, che cosa eventualmente manchi per una sua piena efficacia e quali problemi applicativi sono stati eventualmente riscontrati. Su tali aspetti la Commissione intende acquisire elementi informativi per i profili di competenza e conoscenza di Confindustria. Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta. Presidente, la invito a svolgere la relazione, al termine della quale poi i parlamentari commissari potranno rivolgere a lei e ai suoi collaboratori eventuali domande o proposte di chiarimento. Grazie, presidente, prego.

  MARIA CRISTINA PIOVESANA, Vice Presidente di Confindustria. Illustre presidente, onorevoli senatori e deputati, vi ringrazio per l'invito a partecipare a questa audizione che mi consente di dare il nostro contributo alle importanti e delicate attività della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad essi correlati. In particolare il contributo che vorrei portare ai tavoli della Commissione riguardano due aspetti: le criticità della disciplina penale, i possibili rafforzamenti e l'impegno di Confindustria sul fronte di quelle che potremo definire le politiche attive, che a nostro avviso possono dare un contributo decisivo al contrasto della criminalità ambientale.
  Per quanto riguarda la legislazione penale, Confindustria condivide pienamente gli obiettivi che persegue la legge 68 del 2015, che ha rafforzato nel nostro ordinamento la tutela penale dell'ambiente attraverso la previsione di una serie di delitti e reati ambientali in grado di migliorare le attività di contrasto da parte degli organi giudiziari e di quelli preposti all'ordine pubblico. Attraverso l'introduzione degli ecoreati il legislatore ha posto le basi per una tutela effettiva dell'ambiente, della salute e dell'economia, posto che tale provvedimento rappresenta anche uno strumento per contrastare coloro che, operando illegittimamente in attività imprenditoriali riconducibili all'ambiente, concorrono in Pag. 4modo sleale a danno di chi, invece, esercita tale attività con responsabilità e impegno nel rispetto della legge. La legge 68 del 2015 ha, peraltro, coinvolto nella sua attuazione diversi soggetti, dalle procure al Sistema nazionale di protezione dell'ambiente. Nel tempo, a causa di alcune problematiche di tipo interpretativo sono state realizzate una serie di attività da parte di questi soggetti e ognuna di esse è preordinata a fornire un quadro generale di maggiore chiarezza, non solo interpretativo, ma anche operativo. Diversi documenti di indirizzo sono stati elaborati dalle procure della Repubblica, alle quali si deve un significativo apporto in termini di trasparenza, sia per gli aspetti meramente operativi riconducibili alla disciplina, sia per aver fornito un'interpretazione univoca sulle procedure di estinzione dei reati. Il Sistema nazionale di protezione dell'ambiente ha dato parallelamente il suo importante contributo per promuovere un'omogenea applicazione della disciplina, mediante l'istituzione di un osservatorio riguardante le problematiche di rango giuridico collegate ai vari indirizzi emersi dai soggetti principalmente coinvolti nell'applicazione della legge, a cui è seguita la messa a punto di sintesi focalizzata sulle questioni maggiormente controverse: l'elaborazione delle migliori pratiche relative alla formulazione delle prescrizioni nonché la consueta predisposizione di importanti dati che sono sempre essenziali per analisi ragionate e oggettive. Tale pregevole attività non ha consentito ad oggi di risolvere tutte le criticità applicative riconducibili alla normativa del 2015. Infatti, pur riconoscendo gli sforzi compiuti per l'omogenea applicazione della legge n. 68 e per la rimozione degli ostacoli interpretativi ad essa collegati, con specifico riguardo al tema del ravvedimento operoso, suggeriamo sia un rafforzamento dello strumento in presenza di illeciti colposi, sia la necessità di un coordinamento con le disposizioni presenti all'interno del codice dell'ambiente in materia di bonifiche. In particolare, a nostro avviso è fondamentalmente chiedersi se l'inasprimento penalistico possa davvero rendere più efficace di per sé il contrasto agli illeciti ambientali. Il pericolo, infatti, è di uno svilimento della sanzione penale, il cui stigma sociale rischia di non essere più avvertito, e allo stesso tempo di una potenziale paralisi dell'attività della magistratura requirente, destinataria poi di un numero sovradimensionato di notizie di reato. In aggiunta, l'eccessivo impiego della sanzione penale può compromettere l'effetto dissuasivo del Sistema nel suo complesso. A tal proposito si rileva quanto evidenziato dal Sistema nazionale protezione ambiente lo scorso primo luglio in sede di audizione presso questa Commissione in merito all'efficacia del sistema delle prescrizioni per l'estinzione dei reati minori in costante diminuzione dal 2017. Suggeriamo di valorizzare maggiormente la prospettiva rimediale, come avviene nei Paesi del Common law sotto la spinta dell'Environment Agency anglosassone o dell'Enviroment Protection Agency statunitense, le quali privilegiano strumenti volti a favorire la riparazione del danno ambientale, determinando sia un immediato vantaggio per la collettività, sia un risparmio di risorse finanziarie per lo Stato che potranno essere impiegate in attività di monitoraggio preventivo e di contrasto all'illegalità. Sotto questo profilo, per le ipotesi delittuose di natura colposa, a nostro giudizio appare opportuna l'introduzione di una causa di non punibilità in presenza del ripristino ambientale. Rispetto a queste condotte, infatti, i tradizionali strumenti di enforcement di tipo repressivo non hanno un effetto deterrente significativo. La prospettiva rimediale, da cui deriverebbe l'introduzione di una causa di non punibilità connessa al ripristino dello stato dei luoghi, determinerebbe, tra gli altri, immediati effetti di deflazione processuale e di necessaria semplificazione, venendo meno ad esempio la necessità di distinguere i casi di contravvenzione per cui si può accedere alla procedura di regolarizzazione dai casi di pericolo di inquinamento ambientale, per cui le condotte riparatorie rappresentano solo una circostanza attenuante. È necessario, quindi, ampliare le possibilità dell'opzione riparatoria, quale auspicabile alternativa alla soluzione punitiva. L'interesse di ripristino deve diventare prevalente rispetto al classicoPag. 5 obiettivo anche di prevenzione generale proprio della persecuzione del reato. Pur comprendendo la necessità di stabilire pene adeguate all'allarme sociale che genera il reato – questo genere di reato in particolare – bisogna evitare di tarare la normativa e il sistema sanzionatorio sui casi estremi e su quelle che sono le ipotesi più gravi. Il rischio è quello di considerare e trattare intere categorie di soggetti come gli ammalati gravi tutti allo stesso modo, da sottoporre a delle terapie eccessive rispetto al tipo di malattia di cui sono portatori responsabili, o peggio di ipotizzare come soggetti a potenziali terapie intensive anche la molteplicità e la maggioranza di quelle che invece sono le imprese sane. Volendo sintetizzare con uno slogan, in poche parole, chi inquina paga e chi disinquina è premiato. Osserviamo, altresì, come il meccanismo premiale previsto dalla legge 68 di mera riduzione di pena dalla metà a due terzi presenti vincoli temporali che non tengono conto della reale durata delle fasi autorizzative e realizzative delle attività di ripristino, come disciplinate dal codice dell'ambiente. L'accesso alla soluzione premiale potrebbe risultare precluso non solo nell'ipotesi in cui la realizzazione degli interventi dovesse protrarsi in ragione della loro complessità, ma anche ove il procedimento finalizzato alla approvazione del progetto di bonifica richiedesse un tempo maggiore rispetto alle indagini giudiziarie. Peraltro, prima della fase di esecuzione delle attività di bonifica la disciplina vigente presente nel codice dell'ambiente prevede una serie di fasi amministrative imprescindibili, tali per cui condizionare l'applicabilità della riduzione di pena o auspicabilmente della causa di non punibilità alla realizzazione degli interventi di bonifica in un tempo così stretto – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado con eventuale sospensione non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno – equivale a rendere sostanzialmente inapplicabile il ravvedimento proprio per quelle realtà imprenditoriali che siano incorse in un incidente colposo nello svolgimento della propria attività e avviino prontamente il procedimento amministrativo per la realizzazione degli interventi. Appare opportuno eliminare tali limiti temporali, affidando al giudice il compito di definire caso per caso i tempi di sospensione del procedimento in relazione alla complessità delle fattispecie e alle reali tempistiche dei procedimenti e degli interventi, sulla base dei progetti approvati dall'Autorità competente. Tutti i progetti contengono il cronoprogramma dei tempi di realizzazione degli interventi. Sotto il profilo processuale l'eventuale accertamento del reato è, infatti, garantito dalla sospensione del termine prescrizionale. Considerazioni non dissimili valgono per un'altra scelta qualificante della legge 68 del 2015, vale a dire l'inserimento nel catalogo dei reati del presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, la cosiddetta «231», di una serie di illeciti ambientali. Al riguardo Confindustria ha fin da subito evidenziato che la scelta di estendere tale responsabilità ai nuovi delitti dolosi risulta apprezzabile, in quanto conforme ai principi europei in materia, che prevedono di colpire le gravi violazioni della disciplina a tutela dell'ambiente. Al contempo si è ritenuto non pienamente condivisibile e non in linea con la ratio del sistema 231 imputare all'ente la commissione dei medesimi reati anche a titolo di colpa, soprattutto perché l'incriminazione colposa derivante dalla violazione di precetti normativi o amministrativi in materia ambientale è spesso connotata da una forte indeterminatezza. Il rischio è un'indefinita espansione della responsabilità penale. Peraltro, a fronte dell'inclusione dei reati ambientali nel catalogo 231, il legislatore non ha fornito indicazioni a criteri specifici per la redazione dei modelli organizzativi atti a prevenirli, alla stregua di quanto, invece, ha fatto per i reati colposi in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. Nel sistema 231 la struttura delle fattispecie colpose rischia di allontanare la disciplina dalla ratio originaria di tale forma di responsabilità, ovvero contrastare la criminalità del profitto e dunque quelle condotte volte intenzionalmente a distorcere la fisiologia imprenditoriale per finalità illecite. Il rischio è che si pongano sullo stesso piano le Pag. 6condotte della criminalità organizzata o che siano realizzate intenzionalmente in violazione di norme e presidi di prevenzione, con quelle di chi, pur operando nel rispetto dello standard di legge nell'esercizio dell'attività di impresa, talvolta incorra a titolo di colpa in violazione di norme spesso anche molto complesse e di difficile interpretazione. Seguendo, dunque, questo ragionamento e muovendo proprio da casistiche come quelle dei reati ambientali, Confindustria sostiene da tempo che, a vent'anni dalla introduzione della disciplina sulla responsabilità 231, non è più procrastinabile un intervento di riforma che riequilibri questa disciplina in chiave effettivamente preventiva e premiale, invertendo la tendenza all'estensione dell'area del penalmente rilevante. Sul punto si ritiene utile condividere qualche dato. Dalle prime evidenze empiriche di un progetto di ricerca promosso dalla fondazione Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, al quale Confindustria partecipa insieme al Ministero della giustizia, emerge che su un campione di 211 società appartenenti a diversi settori merceologici e con diverse soglie di fatturato, il 95 per cento ritiene che dotarsi di un modello organizzativo sia conveniente, perché consente di efficientare i processi interni, riducendo i gap organizzativi e agevolando la gestione dei rischi. Tuttavia, per il 59 per cento del campione intervistato la disciplina 231 non contempla un efficace meccanismo premiale e necessita di un ampio intervento di riforma. È dunque necessario intervenire in più direzione, al fine di consentire che i modelli organizzativi 231, anche in ambito ambientale, vengano effettivamente percepiti dalle imprese come uno strumento per migliorare la propria capacità competitiva, attraverso l'adozione di politiche improntate a principi di legalità e di trasparenza. Solo per citare alcuni temi, occorre senza altro razionalizzare il catalogo dei reati, presupposto che nel tempo ha subìto una costante e spesso poco ragionata estensione. Inoltre, come accennato, come valorizzare le condotte riparatorie o di collaborazione poste in essere dall'impresa, in modo da favorire l'emersione delle condotte illecite e la collaborazione dell'ente con l'Autorità giudiziaria, attivando un vero e proprio circolo virtuoso che faccia leva sui presìdi di controllo esercitabili dalle organizzazioni aziendali. Inoltre, è necessario bilanciare le esigenze repressive con quelle di tutela dell'attività economica, in particolare nell'ambito del sistema sanzionatorio e cautelare, anche alla luce dell'elevata invasività di talune misure per la vita dell'ente. In particolare, muovendo dai principi di proporzionalità e adeguatezza della pena, andrebbero rafforzati i presupposti per l'applicazione delle misure cautelari e andrebbero valutate in quella sede anche le condizioni patrimoniali e economiche dell'ente nonché gli effetti pregiudizievoli che tali misure possono determinare sulla prosecuzione dell'attività produttiva nelle more del giudizio. Quest'ultimo punto assume particolare rilevanza proprio in materia come quella ambientale, caratterizzata da un'elevata incidenza di procedimenti avviati. Per recuperare la logica collaborativa del sistema 231 bisogna intervenire sull'incerta efficacia esimente dei modelli organizzativi, ad oggi rimessa alla valutazione caso per caso in assenza di parametri univoci. Al riguardo, in un'ottica integrata di gestione della compliance si potrebbe ragionare sulle opportunità di una concreta valorizzazione in chiave 231 della conformità dei sistemi aziendali ai più elevati standard tecnici di riferimento. Il tema è sicuramente di rilievo per la materia ambientale, pur nella consapevolezza che i sistemi di gestione certificati e i modelli 231 hanno presupposti e finalità diverse e andrebbero valorizzate le sinergie anche nell'ottica di stimolare le imprese ad adottare sistemi di gestione e di controllo che siano il più efficaci possibili. Passando al secondo aspetto della nostra audizione, cioè quello relativo alle politiche attive per il contrasto della criminalità ambientale e alle attività che come Confindustria portiamo avanti su questo fronte, mi vorrei preliminarmente soffermare su alcuni dati del Ministero della giustizia relativi ai procedimenti avviati dalle procure per anno di iscrizione. Da tali dati emerge che dal 2016 al 2019 vi è stato un aumento complessivo Pag. 7dei reati ambientali presunti di circa il 17 per cento. L'esercizio abusivo della discarica è la tipologia di reato più frequente, addirittura 1.158 casi su un totale di 2.054 nel 2019, ma anche quella con la maggiore progressione nel triennio – parliamo di un +64 per cento – seguita a grande distanza dai reati riguardanti le attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti. Sono, invece, calate le altre tipologie di reati ambientali, come la combustione illecita dei rifiuti con 400 casi nel 2019 e il –28 per cento nel triennio, l'omessa bonifica con 65 casi nel 2019 e quasi –30 per cento nel triennio e il traffico illecito di rifiuti con 153 nel 2019 e –22 per cento nel triennio. Dalle prime considerazioni fin qui svolte e soprattutto in relazione ai dati che dimostrano un aumento complessivo dei reati ambientali, se da un lato si conferma la necessità di una legge come quella in esame, dall'altro appare evidente l'importanza di puntare con forza anche su politiche attive che, sottraendo terreno alle attività criminali, valorizzino e rendano più forte la qualificata offerta legale presente nel Paese. Confindustria è fortemente convinta che la tutela dell'ambiente, prima che con il diritto penale, debba essere garantita con politiche che insistano sui temi della prevenzione, della trasparenza e della diffusione di modelli virtuosi di business. È il tema della prevenzione che in questo contesto deve assumere un carattere strategico. A questo proposito, lasciatemi descrivere le numerose iniziative che stiamo portando avanti per favorire sempre di più la cultura della prevenzione che soprattutto, con riguardo alla gestione dei rifiuti, rappresenta un vero e proprio principio guida. Lo scorso novembre Confindustria ha siglato un protocollo di intesa con l'Arma dei carabinieri per valorizzare e rafforzare la cultura della sicurezza, della sostenibilità e della legalità. Tra le varie aree di articolazione di questa collaborazione è stato posto un focus specifico sulla formazione e sull'informazione qualificata proprio in materia ambientale. Sono stati organizzati tre webinar che hanno interessato le associazioni e le imprese del nostro sistema associativo delle aree del Nord, del Sud e del Centro del Paese, volte alla illustrazione puntuale da parte dell'Arma dei carabinieri del panorama normativo in ambito ambientale di gestione dei rifiuti, evidenziando in particolare il profilo penale e la responsabilità amministrativa con dei focus sulle esperienze tratte dalle attività di controllo sul territorio da parte dell'Arma. Ciò ha anche consentito di valorizzare quella che è la struttura organizzativa di Confindustria, cioè l'essenziale e imprescindibile lavoro che viene svolto dalle nostre articolazioni territoriali e delle competenze del nostro sistema sui territori. Confindustria, attraverso tutte le sue articolazioni, è una vera e propria sentinella sui territori perché, avendo una conoscenza specifica di ciò che si muove, da tanti anni le nostre territoriali e le categorie lavorano fianco a fianco anche con le prefetture proprio per prevenire e anticipare quelli che possono essere gli ecoreati ambientali. Per questo motivo siamo dei veri e propri alleati in e delle vere e proprie antenne per contribuire alla diffusione della cultura e della legalità in materia ambientale. Riprendo una frase che ha detto il Presidente Bonomi: «Vogliamo essere uomini e donne dello Stato». Nel caso particolare di quella che è la tutela dell'ambiente, noi effettivamente svolgiamo il nostro compito proprio come uomini e donne che ci tengono a accompagnare le aziende e a far sì che questo paese diventi sempre più virtuoso. L'adesione massiccia ai due webinar, ai due eventi che abbiamo organizzato ha evidenziato la necessità di promuovere questo tipo di iniziative. La conoscenza è sicuramente molto importante e in questo modo si può meglio comprendere la disciplina ambientale di riferimento e lavorare nella direzione della prevenzione degli illeciti. Iniziative improntate alla diffusione delle nuove regole penali in campo ambientale sono state realizzate anche con Lega Ambiente presso alcune nostre articolazioni territoriali che auspichiamo possano riprendere nel momento in cui supereremo le problematiche legate al COVID-19 anche se attraverso i webinar siamo riusciti comunque a fare un eccellente lavoro in questo anno. Come Confindustria siamo convinti Pag. 8che un più efficace contrasto alle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti possa discendere da scelte di strategia e politica industriale che devono essere più coraggiose e ambiziose. Infatti, il pieno sviluppo dell'economia circolare può sottrarre terreno fertile alla criminalità, in quanto il rifiuto in un modello di business circolare non rappresenta più un onere del quale disfarsi a costi contenuti, diventando, invece, un elemento centrale del processo produttivo, dall'importante valore aggiunto per l'impresa, facendone perdere le caratteristiche che lo qualificano come oggetto ideale di una gestione illecita. Per fare questo diventa importante promuovere azioni volte a potenziare l'economia circolare del nostro Paese, non solo per liberarne quello che è il pieno potenziale economico, ma anche per rendere più efficace la lotta alle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. A riguardo Confindustria sin dal 2018 ha proposto tre linee strategiche di intervento. In primis è fondamentale creare il contesto giuridico adatto allo sviluppo dell'economia circolare. La chiusura del cerchio e, quindi, la cessazione per i rifiuti della loro qualifica è il momento più delicato nella gestione circolare dei processi produttivi, che vede purtroppo difficoltà operative a causa di una normativa spesso farraginosa ed eccessivamente frammentata e di una burocrazia che è ancora poco efficiente. A tal proposito non possiamo che esprimere apprezzamento per le misure adottate con il recente decreto-legge sulle semplificazioni, che tra le altre cose ha introdotto il cosiddetto «interpello ambientale» proposto da Confindustria. Infatti, considerato l'alto livello di complessità e l'elevata variabilità della disciplina ambientale – pensiamo che in media abbiamo circa 72 modifiche l'anno – l'introduzione di un meccanismo di interpello simile a quello fiscale può essere una leva per prevenire illeciti colposi, garantendo alle imprese di muoversi più facilmente e con maggiore certezza nel quadro delle regole ambientali. Noi siamo fermamente convinti che la complicazione e l'incertezza normativa, unite all'inefficienza degli uffici amministrativi rappresentano fattori che agevolano le infiltrazioni criminali anche in campo ambientale. Per cui è necessario continuare a lavorare con più incisività nella direzione della semplificazione. In secondo luogo, è assolutamente necessario aumentare la nostra capacità di riciclo, innalzando la capacità impiantistica virtuosa del Paese attraverso nuovi impianti e un efficientamento di quelli esistenti. Si tratta di un fattore chiave, considerati i nuovi obiettivi di riciclo che il nostro Paese ha recepito con le direttive europee sui rifiuti e viste anche le nuove misure annunciate in tal senso dalla Commissione europea proprio nel nuovo piano di azione sull'economia circolare. In particolare assume grande rilevanza l'elaborazione del PNGR (Programma nazionale per la gestione dei rifiuti), essenziale per la definizione di una filiera industriale italiana collegata all'economia circolare. Si tratta di un'occasione fondamentale per perseguire il necessario adeguamento della capacità impiantistica nazionale richiesto dagli obiettivi europei, così da dare ancora maggiore slancio alle già virtuose performance dell'Italia in tema di economia circolare. Infine, riteniamo sia importante creare le condizioni per favorire la crescita di un mercato di sbocco per le materie prime e seconde, sia attraverso la domanda pubblica, come ad esempio attraverso una maggiore promozione del green public procurement, che privata, ad esempio attraverso l'introduzione di un regime di tassazione IVA agevolato al 5 per cento per l'acquisto di beni e di materiali prodotti in linea con i principi dell'economia circolare. Quest'ultima è una proposta che Confindustria porta avanti da tempo e di cui adesso parla anche il nuovo piano di azione per l'economia circolare presentato dalla Commissione europea lo scorso anno. Questi driver, se saranno perseguiti con incisività, a nostro avviso non solo contribuiranno al pieno sviluppo della economia circolare, obiettivo che dobbiamo perseguire a livello nazionale, ma allo stesso tempo incentiveranno l'offerta imprenditoriale, quella sana del Paese, a danno di quella criminale, che si infiltra proprio laddove manca un quadro di regole e soprattutto di infrastrutture Pag. 9adeguate. Se la cultura della prevenzione, come detto, rappresenta senz'altro il principio guida per valorizzare l'offerta legale delle attività ambientali, è altrettanto vero che trasparenza e competenza nelle imprese riducono il rischio di infiltrazioni criminali, come anche la commissione di reati meramente colposi. A tal proposito, Confindustria ha avviato diverse progettualità volte proprio a supportare concretamente le imprese nella costruzione degli strumenti necessari per una gestione più virtuosa dei loro modelli di business, incentrata sulla sostenibilità. Infatti, lo scorso marzo è stata avviata una iniziativa di collaborazione con ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) per l'elaborazione di un rapporto periodico sulla sostenibilità ambientale dell'industria italiana, che rappresenterà uno strumento di disclosure su larga scala delle informazioni ambientali e di buone pratiche riguardanti l'industria italiana. L'obiettivo è quello di rendere ancora più trasparente il percorso virtuoso che il nostro Paese, il nostro sistema produttivo ha avviato sul tema della sostenibilità ambientale. Un'ulteriore iniziativa, avviata sotto il nostro gruppo tecnico di responsabilità sociale di impresa, riguarderà la creazione di una figura molto importante, il manager della sostenibilità, che sarà finalizzata a quantificare e qualificare la domanda di competenza per la sostenibilità da parte delle imprese italiane. Il progetto, che prevedrà un ciclo di seminari nei territori di informazione e di sensibilizzazione sulle competenze per la managerialità sostenibile, consentirà alle imprese di dotarsi di figure strategiche e altamente qualificate in grado di inquadrare correttamente sfide e opportunità offerte dalla transizione green. In conclusione, vorrei sottolineare che la sostenibilità è uno dei grandi driver che orienterà le politiche, l'innovazione e gli investimenti nei prossimi anni. Si tratta sicuramente di una sfida sicuramente di una sfida epocale all'interno di un nuovo paradigma di sviluppo, nel quale le imprese dovranno confrontarsi per rispondere a quelli che sono i nuovi bisogni della società. Confindustria accompagnerà le sue imprese in questo percorso e continuerà a collaborare con le istituzioni e i grandi attori della società civile per vincere questa sfida. In questo contesto la leva della repressione penale degli illeciti rappresenta uno strumento necessario, ma non certo sufficiente, specie se non è accompagnata dalla valorizzazione delle condotte riparatorie, da adeguate misure di prevenzione e da uno strumentario di politiche industriali diretto a orientare le scelte produttive delle nostre imprese. Grazie per l'attenzione. Ho finito.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Aveva stabilito di fare integrare l'intervento da qualcuno dei suoi collaboratori?

  MARIA CRISTINA PIOVESANA, Vice Presidente di Confindustria. Se vi sono delle domande o degli interventi.

  PRESIDENTE. Ci sono degli interventi degli onorevoli e dei senatori presenti? Prego, senatore.

  ARNALDO LOMUTI. Sì, grazie. Grazie alla dottoressa Piovesana. Ho ascoltato con attenzione e piacere il suo intervento. Concordiamo sul fatto che solo la repressione non basta e non è sufficiente e che serve anche la prevenzione. Ricordo che in fase di approvazione della legge n. 68 del 2015, Confindustria aveva espresso il timore che detta legge potesse essere eccessivamente repressiva. Premesso che non condivido tale valutazione – anche perché successivamente poi a mio avviso è stata sconfessata dai fatti – le chiedo se la legge n. 68 del 2015 non abbia positivamente influenzato le imprese sane, incrementando la loro attenzione verso la prevenzione e la tutela dell'ambiente.

  MARIA CRISTINA PIOVESANA, Vice Presidente di Confindustria. Quando fu proposta la legge, effettivamente non ricordo quale fosse la posizione di Confindustria. Ad ogni modo è abbastanza chiaro che su questo il tema per noi è sempre quello della prevenzione, di un accompagnamento Pag. 10anche culturale per le imprese, piuttosto che un tema di repressione.
  È un po' quello che ho detto prima riguardo anche allo studio che è stato fatto: dai dati emerge che dal 2016 al 2019 vi è stato un aumento complessivo dei reati ambientali di circa un 17 per cento e qui vediamo che in particolare l'esercizio abusivo della discarica è il reato più frequente. A questo punto emerge che non sempre fatta una legge e creato quello che è un sistema sanzionatorio riusciamo ad avere un risultato. Probabilmente in taluni casi, come è stato detto, c'è la necessità di un accompagnamento e in questo caso più che avere un regime sanzionatorio, occorre aiutare le imprese, soprattutto quando il dolo è colposo e non c'è effettivamente una volontà criminale, piuttosto che a ripristinare quello che può essere a volte dovuto anche a una normativa farraginosa e molto complessa. Dovete immaginare che molte delle imprese sono piccole e medie imprese e un grande lavoro viene fatto da parte della nostra Associazione per accompagnarle, però non tutte hanno poi la possibilità di avere sempre dei professionisti che siano a loro disposizione. Quando ci troviamo di fronte a delle norme non così chiare, vorremmo che ci fosse un'ottica di attenzione, valorizzando quello che è il ruolo delle imprese. Come ho detto prima, la maggior parte sono imprese virtuose e a volte il reato non è un reato voluto, ma è causato proprio dalla difficoltà nell'attuare la legge. Da questo punto di vista, penso che ci sia una necessità di un nuovo patto tra noi e lo Stato.

  FABRIZIO TRENTACOSTE. Sì, grazie, presidente. Credo che il patto necessario potrebbe anche riguardare la società civile e forse il senso stesso di civiltà. Mi riferisco ad alcune situazioni che hanno visto coinvolti pezzi importanti di Confindustria che, in relazione ad attività non sempre lecite, hanno accomunato il nome dell'Associazione a sistemi di corruzione diffusa che nei reati ambientali vedevano la loro massima espressione. Mi riferisco a quanto avveniva fino a qualche anno fa con il cosiddetto «sistema Montante», il cui riferimento è a Antonello Montante, dirigente di Confindustria Sicilia, in cui in un rapporto non sano con la politica locale, ma anche con forze oscure del territorio – quando si parla di Sicilia è chiaro a cosa faccio riferimento – per lo sviluppo di alcuni territori si proponeva la realizzazione di impianti per il trattamento di rifiuti gestiti da noti imprenditori del settore, che erano già più noti alle cronache giudiziarie che esempi virtuosi di imprenditoria. Apprezzo la relazione che ci è stata fatta e l'auspicio che è stato adesso propugnato, ma in realtà Confindustria in alcuni momenti ha avuto, purtroppo, delle infiltrazioni e in qualche modo si è prestata con propri esponenti ad aprire le porte ai reati ambientali e al mancato rispetto delle normative, ma mi auguro che questo non succeda più. Purtroppo in Sicilia dei pezzi che possono essere ricondotti a quel sistema Montante a cui facevo riferimento poco fa e che sono riconducibili all'imprenditoria che diciamo fa riferimento anche a Confindustria, continuano a essere all'opera, proponendo non sempre progetti di vero sviluppo per il territorio, ma di gestione non sempre virtuosa dei rifiuti, e in generale della materia ambientale. Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, presidente. Questa è più una riflessione che una domanda, ma se lei ritiene di rispondere, lo può fare.

  MARIA CRISTINA PIOVESANA, Vice Presidente di Confindustria. Guardi, Confindustria ha sempre allontanato quei soggetti che non rispondevano ai valori che la maggior parte delle nostre imprese condividono, che sono valori di rispetto del mercato, di rispetto della comunità, rispetto dell'ambiente. Fa male anche a noi chi effettivamente opera nell'illegalità, perché crea una concorrenza sleale e noi non li difendiamo assolutamente. Ad ogni modo, nel momento in cui questo avviene i soggetti sono stati allontanati. Penso che un'organizzazione che ha così tanti anni, sia anche soggetta a volte a trovarsi in situazioni di questo tipo, ma l'importante è che ci sia una decisa presa di posizione, perché anche le vicende di questo tipo ci danno effettivamente modo di ribadire ancora una Pag. 11volta quanto Confindustria, invece, tenga a un rapporto sano. Probabilmente ci sarà anche qualcuno che segue qualcosa di illecito – io non lo so –, ma da parte nostra come Confindustria abbiamo sempre lavorato in questo senso. Penso che Confindustria abbia effettivamente anche quel ruolo culturale che dicevo prima: essendo un soggetto costituito dagli imprenditori e avendo anche un ruolo di guida e di maggiore promozione proprio di un certo tipo di cultura, facciamo un'opera che è effettivamente importante e meritoria. Anche nel momento in cui ci sono stati dei problemi con degli imprenditori, noi non abbiamo mai lasciato sole le imprese, nel senso che distinguiamo quello che è il ruolo e quello che è l'imprenditore, il quale può anche sbagliare oppure semplicemente non risponde a quelli che sono i nostri valori, ma noi consideriamo l'impresa in sé come qualcosa di unico e di importante, perché l'impresa è fatta da lavoratori. Per questo motivo Confindustria non ha mai abbandonato nessuna impresa, anche se il titolare era un titolare che non era più degno di fare parte del nostro gruppo, proprio perché riteniamo che il ruolo di Confindustria vada oltre anche all'imprenditore stesso. Su questo ci sono tanti casi e tanti esempi. Mi auguro che la mia risposta sia una risposta soprattutto che ha due obiettivi: il primo è tranquillizzare, nel senso che noi siamo per la parte virtuosa del Paese e chiediamo virtuosità anche dall'altra parte e rispetto soprattutto per le nostre imprese; il secondo è quello di rassicurare sul fatto che su questi temi, perché siamo sulla stessa lunghezza d'onda.

  PRESIDENTE. Bene, presidente. A nome della Commissione ringrazio lei e tutti i suoi collaboratori. Il compito delle Commissioni parlamentari d'inchiesta è fondamentalmente quello di sviluppare delle indagini. Questo stabilisce la costituzione e naturalmente questo di conseguenza stabilisce anche la legge di istituzione anche di questa Commissione. All'interno di questo contesto, l'ascolto continuativo con la società civile, con il mondo delle imprese e dell'economia e con tutti i soggetti che hanno a che fare con i compiti della nostra Commissione è fondamentale e in particolare, ancor prima di una rivisitazione, una verifica della situazione e dei risultati della legge 68 del 2015 è uno degli elementi centrali. Ogni membro di questa Commissione ha il proprio ruolo parlamentare e potrà poi svolgere la propria attività di proposta di revisione e via dicendo, ma dall'analisi che noi abbiamo avuto in questi anni ascoltando, verificando e girando il territorio nazionale e internazionale, certamente la legge 68 è stata un salto di qualità molto importante a livello nazionale. Infatti, è stato un salto di qualità che ha comportato dei risultati assolutamente apprezzabili e questo lo riscontriamo quotidianamente, essendo costantemente in contatto con le forze dell'ordine e con la magistratura che ogni giorno in tutte le regioni e i territori della nostra nazione hanno a che fare con reati di questo tipo. Noi siamo assolutamente consapevoli che la questione sanzionatoria o la questione penale è un tassello della questione e su questo condividiamo l'impostazione. Quel patto di cui lei parlava tra lo Stato, il mondo delle imprese e la società civile – come poi ha accostato opportunamente il senatore Trentacoste – e, quindi, quel patto nazionale che fonda la Repubblica e che può far fare un salto di qualità fondamentale al nostro Paese è una condizione necessaria, ma non è assolutamente una condizione sufficiente. Vi ringraziamo. Buon lavoro e speriamo di rivederci a presto, magari anche di persona, superando questa pandemia che sta un po' stancando. Arrivederci.

  La seduta termina alle 14.25.