XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 125 di Mercoledì 14 luglio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 

Audizione del presidente di Legambiente, Stefano Ciafani:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
Ciafani Stefano , presidente di Legambiente (intervento da remoto) ... 3 
Fontana Enrico , Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto) ... 5 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 9 
Fontana Enrico , Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto) ... 9 
Braga Chiara (PD)  ... 9 
Ciafani Stefano , presidente di Legambiente (intervento da remoto) ... 10 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 11 
Fontana Enrico , Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto) ... 11 
Lomuti Arnaldo  ... 13 
Ciafani Stefano , presidente di Legambiente (intervento da remoto) ... 13 
Fontana Enrico , Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto) ... 15 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 
Fontana Enrico , Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto) ... 16 
Ciafani Stefano , presidente di Legambiente (intervento da remoto) ... 16 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente di Legambiente, Stefano Ciafani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza del presidente di Legambiente, Stefano Ciafani. Partecipa all'audizione il responsabile dell'Osservatorio ambiente e legalità, Enrico Fontana.
  L'audizione rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul tema dell'attuazione della legge n. 68 del 2015 in materia di delitti contro l'ambiente. In particolare, la Commissione è interessata a conoscere quale sia stata l'effettività della legge, che cosa eventualmente manchi per una sua piena efficacia, quali sono i problemi applicativi eventualmente riscontrati. Su tali aspetti la Commissione intende acquisire elementi informativi per i profili di competenza e conoscenza di Legambiente.
  Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta.
  Non potevamo non sentire Legambiente che è un punto di riferimento per quanto riguarda questo tema, in particolare la legge della scorsa legislatura che ci ha visto tutti magicamente protagonisti in un'unione di intenti rappresenta un risultato storico. Compito della Commissione è stato sin dall'inizio quello di analizzare l'efficacia della legge già dalla prima relazione, anche se era a pochi mesi dalla sua approvazione. Abbiamo verificato che la legge funziona, adesso stiamo ad una nuova analisi di risultati raggiunti. Ormai sono passati sei anni, e volevamo sentire il vostro parere e conoscere i dati preziosi che voi avete a disposizione.

  STEFANO CIAFANI, presidente di Legambiente (intervento da remoto). Buongiorno, presidente. Buongiorno a tutti le parlamentari e i parlamentari presenti. Vi chiedo scusa per questa difficoltà iniziale. Abbiamo letto la convocazione; non ho ascoltato le parole del presidente Vignaroli, ma entro subito nel merito dell'oggetto di questa audizione, di cui vi ringraziamo molto.
  La legge n. 68, anche se non l'abbiamo votata materialmente in Parlamento, è stata fatta da diversi parlamentari oggi presenti in questa audizione. È come se l'avessimo votata anche noi nella scorsa legislatura. È frutto di un lavoro di 21 anni da parte di Legambiente, che è iniziato nel 1994 e che si è concluso in maniera assolutamente positiva nel 2015.
  Tengo a sottolineare due cose, e poi ripasso la parola al presidente. Con me è presente Enrico Fontana, che è il responsabile dell'Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente e che ha seguito tutto l'iter normativo a partire dal 1994. Io mi sono aggregato solo nel 1998. Lascerò a lui i dettagli sull'applicazione della legge n. 68. Pag. 4
  Però tengo a sottolineare due cose. La prima è che la legge n. 68 del 2015 sta funzionando. Nel monitoraggio noi abbiamo utilizzato tutte le informazioni e i dati che ci sono stati messi a disposizione da tutti i soggetti istituzionali che a vario titolo lavorano sull'applicazione della legge sugli ecoreati, che sono stati inseriti nei nostri rapporti annuali sulle ecomafie a partire da quello del 2016 fino all'ultimo e anche nei rapporti presentati tra un rapporto ecomafia e l'altro, soprattutto nei due anni successivi all'approvazione della legge. Quello che mi sento in dovere di dire e sottolineare è che tutti gli allarmi che sono stati lanciati, ancora prima che la legge fosse approvata, sono risultati sicuramente infondati. Ricordo benissimo gli ultimi mesi molto faticosi per fare approvare la norma, perché erano stati lanciati allarmi da alcuni rappresentanti istituzionali: penso a Confindustria, ad alcuni magistrati e a una parte minoritaria del mondo ambientalista.
  Come avete avuto modo anche di ascoltare dai soggetti istituzionali che sono intervenuti prima di noi durante questa indagine conoscitiva della Commissione, i risultati si stanno vedendo. Finalmente magistratura e forze di polizia hanno gli strumenti per poter mettere in campo le azioni di repressione, quando i reati gravi vengono commessi, e anche azioni di prevenzione, che sono le due cose che abbiamo raccontato sarebbero avvenute quando invocavamo l'approvazione di una norma che inserisse i diritti ambientali nel codice penale. Tutto questo sta avvenendo; e noi siamo ben felici di non avere sbagliato quando sostenevamo, anche in quei mesi di dibattito molto confuso, che l'allora disegno di legge – un testo unificato da parte di tre disegni di legge di tre forze parlamentari tra maggioranza e opposizione – andava nella giusta direzione. Questa è la prima cosa che voglio sottolineare.
  La seconda, che è altrettanto importante, è che in quella legislatura è stata approvata anche un'altra norma a noi molto cara, che è la n. 132 del 2016, che ha istituito il Sistema nazionale di protezione ambientale. Dico questo perché, quando noi facevamo quel lavoro ventennale per fare inserire i diritti ambientali nel codice penale, chiedevamo parallelamente anche un lavoro sul fronte dell'innalzamento del livello dei controlli ambientali. Questa legge è stata approvata nella scorsa legislatura, tra l'altro all'unanimità. Quella legge purtroppo non è ancora attuata, perché mancano i decreti attuativi che abbiamo chiesto all'allora Ministro Galletti. Poi li abbiamo chiesti al Ministro Costa; li stiamo chiedendo al Ministro Cingolani. Mancano i decreti attuativi. In primis penso a quello sugli ispettori, perché le agenzie regionali di protezione ambiente (ARPA) hanno un ruolo molto importante rispetto alle novità normative previste dalla legge n. 68. Penso agli operatori di polizia giudiziaria delle ARPA, ma penso anche a tutte le attività di prevenzione che devono fare le ARPA per evitare che si commettano i reati che poi vengono contestati con il codice penale. Crediamo che sia molto importante sollecitare il Ministero della transizione ecologica – competente in materia – ad approvare i decreti attuativi, come quello sugli ispettori, quello sui livelli di protezione e tutela ambientale, che sono essenziali. Penso soprattutto ad alcune agenzie regionali del Centro-Sud, che non riescono a fare tutto quello che è previsto dalla norma perché le regioni non le mettono nelle condizioni di poterlo fare. C'è un problema di attuazione della n. 132, che va a incidere sulla legge n. 68.
  Su questo credo che sia importante anche fare un lavoro per permettere a chi fa questa attività, che non sia in magistratura o nelle forze di polizia, di poter contare su maggiori risorse – anche economiche – per nuovo personale. Se solo si adottassero con i LEPTA (livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali) attuati, con il decreto approvato e con tutte le agenzie che garantiscono lo stesso livello essenziale di protezione e tutela ambientale, che previene l'intervento della legge sugli ecoreati, servirebbero: 240 milioni di euro all'anno; duemila tecnici in più; servirebbe attrezzare meglio i laboratori, anche per fare le analisi, per rilevare eventuali altri ecoreati. Sono tutte questioni che purtroppo non Pag. 5sono state oggetto, come avremmo voluto, del dibattito degli ultimi mesi.
  Si sta parlando anche, da tempo, di una manutenzione della legge n. 68. Quello che noi abbiamo sempre sostenuto dall'inizio è che eventuali imprecisioni che ci potevano essere sarebbero state affrontate con le sentenze della Cassazione, che sono puntualmente arrivate. Questo era già avvenuto con l'inserimento, nell'allora decreto Ronchi, dell'articolo 53-bis, che poi oggi è nel codice penale; era il primo delitto ambientale di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti. Le sentenze di Cassazione hanno permesso di specificare meglio alcuni passaggi di quel primo delitto ambientale. Sta avvenendo anche sulla legge n. 68 del 2015.
  Semmai si dovesse arrivare a una decisione di migliorare la legge n. 68, questo deve avvenire a nostro avviso solo con un accordo preventivo da parte di tutte le forze politiche che hanno sostenuto la legge allora e che oggi sono magari nell'attuale maggioranza che sostiene il Governo Draghi, ma solo a condizione che l'accordo politico sia per risolvere alcune questioni che adesso solleciteremo e che Enrico Fontana potrà specificare; perché altrimenti, se si dovesse aprire una discussione senza avere come obiettivo l'ulteriore miglioramento della norma e che non la depotenzi, sarebbe meglio aspettare le modifiche che vengono dalle sentenze di Cassazione, piuttosto che un intervento normativo che potrebbe incidere negativamente sull'efficacia della norma.

  ENRICO FONTANA, Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto). Grazie, presidente. Grazie ai parlamentari e alle parlamentari presenti. Andrò molto rapidamente sui punti che ha accennato già il presidente Ciafani per approfondire il contributo che Legambiente può dare in questa audizione.
  Noi abbiamo avviato un'attività di monitoraggio costante nell'applicazione della legge n. 68 del 2015, sia per la parte relativa alle modifiche del codice penale con l'introduzione del titolo VI bis, sia per quanto riguarda la parte che ha modificato il decreto legislativo n. 152 del 2006, sulle procedure di estinzione dei reati di natura contravvenzionale, affidate in particolare al sistema delle acque, ma non solo.
  Questa attività di monitoraggio si svolge partendo da tre fonti istituzionali e con una collaborazione costante. La prima e la più importante è quella con il Ministero della giustizia, e in particolare con il Dipartimento che poi offre i dati statistici e che rileva l'applicazione della legge n. 68 del 2015 in tutte le procure italiane. Dirò alcune cose di sintesi. Sono dati conosciuti, ma è importante leggerli insieme. La seconda sono i dati che ci vengono forniti ogni anno dalle forze dell'ordine e dalle capitanerie di porto, sempre relativi all'applicazione dei delitti ambientali previsti dalla legge n. 68. La terza è il contributo che arriva da ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) per quanto riguarda le prescrizioni e le asseverazioni che vengono fatte dalle ARPA in Italia.
  I dati che vi leggerò rapidamente sono, da un lato, dati di bilancio di un periodo di tempo che va dal 2015, ultimo monitoraggio fatto con il Ministero della giustizia, ai dati aggiornati al maggio del 2020, e dall'altro, sono dati di confronto proprio puntuale sui dati del 2019. Tenete conto che c'è stata una grande fatica – segnalata anche da ISPRA e dal Sistema nazionale di protezione ambientale nel 2020 – per l'acquisizione proprio dei dati per tutte le criticità legate alla pandemia che abbiamo vissuto e che stiamo ancora attraversando.
  Entro nel merito dei dati di una legge che sicuramente sta dando ottimi risultati dal punto di vista della sua applicazione in una fase preliminare, che è quella delle indagini, delle iscrizioni nei registri di reato di procedimenti penali per diverse tipologie di reati gravi contro l'ambiente. Prima non erano sanzionati ma, come accennava anche il presidente Ciafani, cominciano ad avere anche una loro giurisprudenza in Cassazione per quanto riguarda, in particolare, le misure cautelari che accompagnano le attività d'indagine: quelle successive a ordinanze del giudice delle indagini preliminari, a pronunciamenti del tribunale della libertà e quant'altro; ma anche Pag. 6con un caso specifico sicuro di sentenza definitiva di condanna, addirittura per il caso Reset in Campania, dove per la gestione illecita di quella discarica enorme vengono contestati anche i delitti contro l'ambente. Comincia a esserci – lo accennava anche lei, presidente Vignaroli – un periodo di tempo che consente di fare delle valutazioni.
  Il primo dato è la risposta delle procure alle sollecitazioni e alle richieste di dati del Ministero della giustizia. Abbiamo monitorato nel corso degli anni. Rispondono mediamente a un numero di risposte abbastanza alto. L'ultimo dato del 2019 è 134 procure su 156; quindi i dati che sto per leggere e per commentare rapidamente sono dati significativi. Non rappresentano il 100 per cento delle procure in Italia – non abbiamo il dettaglio di chi non risponde – ma sicuramente è un campione molto ampio. Solo nel 2019 sono stati aperti 894 procedimenti penali presso le procure italiane per i reati e delitti previsti dalla legge n. 68 del 2015: 532 sono contro soggetti noti; 362 contro ignoti, per fatti d'inquinamento ambientale per cui non era al momento disponibile un'individuazione del presunto responsabile. È un dato in crescita rispetto al 2018 quando erano stati 817; quindi il numero dei procedimenti penali aperti è cresciuto da un anno all'altro.
  Di che cosa si tratta? Qual è la tipologia principale dei delitti che viene contestata e con quali esiti nella fase delle indagini preliminari, nelle attività delle procure, nelle ordinanze dei giudici delle indagini preliminari? In assoluto, come numeri in procedimenti penali, il delitto più contestato è l'articolo 452-bis, e cioè l'inquinamento ambientale, che è sicuramente la fattispecie più nuova e più importante che è stata introdotta dal punto di vista della possibilità delle indagini che vengono svolte. Sono ben 1.686 i procedimenti penali dall'anno in cui è stata introdotta la norma ad oggi. Soltanto nel 2019 ne sono stati aperti 551. In questo caso, quando viene contestato l'inquinamento ambientale c'è una sostanziale equivalenza tra i procedimenti iscritti contro noti e ignoti, 880 contro noti e 806 contro ignoti.
  Segnalo il numero delle persone denunciate sulla base di questo monitoraggio fatto dal Ministero della giustizia: 2.783 nell'arco di applicazione della norma soltanto per inquinamento ambientale. Le ordinanze cautelari emesse a vario titolo nelle varie diverse modalità con cui vengono emesse, dalle ordinanza di custodia cautelare in carcere a quelle domiciliari eccetera, sono ben 501. Il secondo delitto come importanza è quello più storico, e cioè l'attività organizzata di traffico illecito di rifiuti che, come sapete, è il primo di fatto delitto ambientale, introdotto nel 2001 con l'allora articolo 53-bis di riforma del decreto Ronchi, poi confermato successivamente e ribadito nel codice penale nell'articolo 452-quaterdecies, l'ex 260, del decreto legislativo n. 152.
  Nell'arco di applicazione della norma che noi abbiamo monitorato, sono stati 1.045 i procedimenti penali aperti. In questo caso la prevalenza di procedimenti penali aperti contro noti è molto significativa: sono 923. Molto significativi sono anche i dati sia relativi alle persone denunciate, 5.676, che quelli relativi alle ordinanze cautelari emesse, ben 2.238. Il dato complessivo alla fine ci dice che, sulla base dei dati forniti dal Ministero della giustizia, in Italia in questi anni di applicazione della norma – ripeto, il monitoraggio arriva fino a maggio del 2020 – sono stati aperti, iscritti, ben 3.753 procedimenti penali, che hanno portato alla denuncia per questi reati di oltre 10 mila persone, 10.419, e a 3.165 ordinanze cautelari. Questo è il primo dato numerico, quantitativo, ma anche qualitativo se pensate soprattutto alla parte relativa alle misure cautelari che accompagnano per gravità questa tipologia di reati.
  Restando sul dato dell'inquinamento ambientale – poi accennerò rapidamente a un contributo ulteriore che ci arriva dalle forze dell'ordine – in assoluto, se andiamo a leggere le inchieste che si sono sviluppate in questi anni, è il tema della depurazione quello che ha sviluppato anche molte attività di indagine particolarmente significative. Il tema del contrasto alla mala depurazione era sostanzialmente sprovvisto di Pag. 7strumenti efficaci di tutela e anche di sanzioni di comportamenti illegali.
  Nell'ultimo periodo le inchieste si sono moltiplicate; hanno riguardato diverse aree del Paese. Ci sono state inchieste importanti in Lombardia, in Pavia, in Abruzzo, inchieste nel beneventano, l'operazione Cloralix sui depuratori di quella provincia, l'inchiesta Arsenico fatta dalla procura della Repubblica di Cosenza; sempre fiumi e torrenti coinvolti oltre che sversamenti in mare, dal torrente Coppa a Pavia al torrente a Scoppito in provincia dell'Aquila, dal Bisignano a Cosenza. Sono state inchieste importanti e anche con misure significative. L'altra tipologia d'inchieste che noi abbiamo osservato, legate anche al diritto di inquinamento ambientale, ha a che fare con le discariche e gli impianti di gestione dei rifiuti; ovviamente non nel caso in cui viene contestata l'attività organizzata del traffico illecito dei rifiuti.
  Concludo questa prima parte a commento per citarvi almeno due inchieste recenti. Una è del marzo del 2021, della Guardia di finanza di Napoli, della procura di Napoli, contro la pesca illegale dei datteri di mare: un fenomeno storico che purtroppo non si era mai riusciti a contrastare efficacemente. Vengono emesse dodici ordinanze di custodia cautelare. Si fa un'indagine importante con tutti gli strumenti consentiti dalla legge e si scopre un'attività devastante dal punto di vista ambientale, perché per estrarre e poi vendere illegalmente i datteri di mare – dalle indagini fatte anche con approfondite perizie di carattere scientifico – è stata fatta una devastazione seria della parte sommersa dei faraglioni di Capri e della parte della scogliera delle coste della provincia di Napoli. Indagine, inchiesta, che non si sarebbe potuta realizzare se non fosse stato possibile contestare ai responsabili i delitti di inquinamento ambientale e di disastro ambientale.
  L'altra inchiesta, che ora è andata a processo perché l'ordinanza di rinvio a giudizio è del dicembre del 2020, è quella sul famoso caso, vi ricorderete, dei dischetti di plastica che, secondo l'accusa, derivavano dal collasso di una vasca di depurazione del depuratore di Capaccio, Paestum, finiti in mare ovunque, a milioni, lungo le coste italiane e non solo. Di nuovo, in questo caso – ed è la prima volta – un fenomeno d'inquinamento da plastica in mare, che viene trattato da Autorità giudiziaria contestando i delitti di inquinamento e di disastro ambientale e arrivando fino al processo, dove Legambiente peraltro è costituita parte civile.
  I dati delle forze dell'ordine ci consentono di fare un'altra riflessione. Ogni anno analizziamo i fenomeni d'illegalità ambientale in senso lato e purtroppo dobbiamo registrare sempre come questi fenomeni riguardino i reati ambientali a 360 gradi e in particolare le regioni del Mezzogiorno con una forte incidenza in quelle a tradizionale presenza mafiosa, con la Campania in testa, poi la Puglia, la Calabria, la Sicilia, ma anche con preoccupazioni per alcune regioni come il Lazio.
  Se andiamo a leggere i dati che ci vengono forniti dalle forze dell'ordine, che sono una parte di quelli monitorati dal Ministero della giustizia, emerge come questa legge stia consentendo anche di individuare, di contestare e di avviare indagini per reati ambientali realizzati in altri territori più connessi ad attività anche di carattere produttivo e non soltanto a fenomeni di criminalità ambientale in danno dell'ambiente o del territorio generico.
  Sulla base dei dati che ci hanno fornito le forze dell'ordine e la Capitaneria di porto, la Campania continua a essere nel 2019 anche in questa classifica la regione dove viene contestato il maggiore numero di reati ambientali previsti dalla legge n. 68, ma è seguita dalla Sardegna, dalla Lombardia, dal Piemonte, dall'Emilia Romagna e dal Veneto. Come vedete, in questa analisi emergono in maniera molto più significativa regioni diverse per i procedimenti penali aperti dalle procure, perché si sta cominciando a indagare su fenomeni che hanno le caratteristiche che ho illustrato prima.
  L'ultimo capitolo dell'analisi è quello relativo ai dati che ci arrivano ogni anno dal Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente e dall'ISPRA, che sono dati Pag. 8molto importanti dal punto di vista dell'analisi, che riguardano le cosiddette «prescrizioni», ovvero quelle emesse direttamente dalle ARPA per andare all'estinzione dei reati di natura contravvenzionale, come previsto dalla modifica introdotta con la legge n. 68 del 2015 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e le asseverazioni, cioè il lavoro che fanno le agenzie per asseverare le prescrizioni fatte da altre forze dell'ordine.
  I dati del 2020 risentono moltissimo – come ci ha scritto l'ISPRA – del problema legato alla pandemia e alla difficoltà di acquisire questi dati e, quindi, non vanno presi come parametro per analizzare quelli degli anni precedenti.
  Le prescrizioni totali sono state 1.061 e in testa a questa classifica di prescrizione c'è l'Emilia Romagna, seguita dalla Lombardia, mentre al terzo posto troviamo il Veneto e al quarto la Toscana. Vi sono anche segnali di agenzie, dove per la presenza di personale e funzionari con qualifiche di polizia giudiziaria, vi è la possibilità di usare lo strumento diretto della prescrizione. Queste prescrizioni riguardano in particolare di nuovo come categorie principalmente i rifiuti, seguite dall'iniezione in atmosfera, dagli scarichi e dalle autorizzazioni integrali ambientali.
  Anche da questo punto di vista i rifiuti tornano a essere un elemento di criticità, dove continuano a registrarsi fenomeni illegali molto gravi, come quelli connessi all'attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, ma vi è anche un'incidenza significativa per quanto riguarda le contravvenzioni per le quali è possibile estinguere il reato con una prescrizione a cui si ottempera.
  Anche qui vi sono dei dati interessanti che riguardano sempre il 2019. Infatti, vi è una certa efficacia nelle prescrizioni ottemperate rispetto a quelle emesse nell'anno e ammesse a pagamento, che è del 70 per cento. Vi è una difficoltà che ci segnala il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, oltre a quella relativa alla mancanza di personale adeguato, per quanto riguarda le attività più specifiche delle indagini di polizia giudiziaria, che fa riferimento al tema della riscossione, ovvero la difficoltà di carattere normativo nell'andare a individuare la metodologia e l'esatto soggetto che poi si fa carico di questa riscossione. Infatti, non si definisce né il soggetto destinatario delle somme delle sanzioni, né le modalità di riscossione, creando un vuoto normativo che è stato colmato dalla adozione da parte delle agenzie, laddove possibile, di procedure di riscossione temporanee.
  A nostro avviso, questo è un elemento su cui occorre mettere mano per colmare questo gap, insieme al tema della presenza in tutte le agenzie di personale con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, perché questo strumento può essere molto efficace per prevenire e ridurre il danno, quando i reati ambientali che vengono contestati non sono gravi e non producono un danno immediato, consentendo anche di sfoltire da questo punto di vista in maniera efficace procedimenti penali che altrimenti avrebbero esiti difficili da immaginare.
  In conclusione – poi magari in un secondo momento possiamo fare anche ulteriori proposte per capire che cosa è necessario fare –, l'insieme di questi dati ci consente di affermare a ragion veduta che questo sistema normativo sta funzionando.
  Inoltre, c'è bisogno di alcuni correttivi molto puntuali e chirurgici come accennava il presidente Ciafani. Ve ne ho segnalato uno che riguarda l'attuazione concreta della parte relativa all'estinzione dei reati di natura contravvenzionale con le prescrizioni affidate sia alle ARPA che alle stesse forze dell'ordine.
  Un altro correttivo ci è stato segnalato da diversi magistrati, ed è stato oggetto di indicazioni da parte della stessa procura nazionale antimafia, riguarda il delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti – il più antico – che probabilmente ha bisogno di una revisione, nel senso di un inasprimento delle pene attualmente previste da 1 a 6 anni, portandole a una pena più significativa, dai 3 a 8 anni e 19 anni per i rifiuti radioattivi, stante la gravità dei fenomeni di cui stiamo parlando, la loro persistenza e la complessità delle indagini che devono essere sviluppate per accertare Pag. 9le responsabilità di chi viene indagato questi illeciti.

  ANTONIO DEL MONACO. Vorrei soltanto chiedere una cosa. Abbiamo parlato dell'indagine sui datteri, però sappiamo anche di un'altra indagine molto importante capitata sempre in Campania, dove ci sono stati anche degli arresti, che riguarda la questione del corallo nella zona di Torre Annunziata e Torre del Greco, dove i fondali del mare sono stati martoriati per poi diventare fonte di guadagno di un business a livello nazionale e internazionale, si è parlato anche d'intreccio con la criminalità organizzata.
  Al di là di questo, quello che mi farebbe piacere sapere riguarda il dato della prescrizione relativo alle emissioni in atmosfera, perché sono convinto di esacerbare le pene ancora di più rispetto a quelli che erano gli 8 anni e portarli addirittura a 12. Per questo motivo sto provando a mettere insieme determinati dati per presentare un emendamento su questo campo.
  Ciò che mi interessa sono le immissioni in atmosfera, perché mi sono imbattuto in una situazione, laddove ho fatto delle denunce, e necessariamente mi sono trovato l'arresto dell'attività, ma successivamente soltanto il ripristino con l'attività di una contravvenzione di natura amministrativa. Ho visto e mi sono reso conto quanto è grave l'emissione in atmosfera rispetto all'incidenza di altri reati che vengono sanzionati dal punto di vista penale. Essendo la seconda per numero di prescrizioni, volevo sapere quanto realmente è sentita l'emissione in atmosfera in generale per sapere se realmente bisogna intervenire per ricalibrare quella che può essere una sanzione amministrativa in un ecoreato che potrebbe essere sanzionato tra disastro ambientale e disastro ambientale aggravato.

  ENRICO FONTANA, Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto). Per quanto riguarda le attività illecite che generano rischi e danni consistenti e misurabili all'ambiente, vale per qualsiasi tipo di fenomeno d'inquinamento ambientale. Non abbiamo il dettaglio delle inchieste aperte per inquinamento o disastro ambientale, dove l'origine è l'inquinamento dell'aria, cioè le emissioni atmosferiche. Da quel punto di vista, quando queste emissioni generano quel tipo di problematica, scattano le sanzioni già previste per l'inquinamento e per il disastro ambientale.
  Colgo l'opportunità, perché può essere fatto un approfondimento quando si acquisiscono i dati dalle procure per fare un focus specifico sulle indagini aperte in Italia per l'inquinamento e il disastro ambientale che abbiano per origine fenomeni legati all'inquinamento atmosferico e all'emissione in atmosfera.
  Invece, il dato che ho fornito fa riferimento esclusivamente al caso in cui queste emissioni non generino nessun tipo di danno, rientrando nella categoria dei reati di natura contravvenzionale estinguibili e, quindi, non devono generare danno, perché altrimenti non possono beneficiare di quella procedura che è prevista dalla norma. Pur non essendo un esperto di diritto e un giurista – ci riserviamo anche di approfondire tutto questo per essere più precisi – mi sembra che da questo punto di vista il meccanismo possa funzionare.
  È importante quello che lei ha sottolineato sull'inasprimento della pena che riguarda l'attività organizzata di traffico illecito di rifiuti. Accennavo alla possibilità di fare modifiche di tipo chirurgico, perché è il delitto più antico e più applicato e ci si è resi conto che è particolarmente grave e per questo motivo richiede motivatamente un inasprimento delle sanzioni penali.

  CHIARA BRAGA(intervento da remoto). Cercherò anche di essere breve perché ci sono problemi di connessione. Intanto ringrazio Legambiente del contributo alla nostra indagine e anche di alcune sottolineature che sono state fatte dagli interventi del presidente Ciafani e di Enrico Fontana su aspetti che sono molto attuali nella discussione che stiamo facendo anche sui provvedimenti in corso di esame parlamentare, come il decreto Semplificazioni e l'esigenza di dare piena attuazione a delle norme già approvate, quali la legge n. 68, ma soprattutto la legge n. 132 sul Sistema Pag. 10nazionale per la protezione dell'ambiente che attende, come è stato ben ricordato, l'emanazione di decreti.
  Vi è un punto – mi scuso perché ho avuto anche io una connessione che saltava – che non so se è già stato toccato, che riguarda la questione delle sanzioni su tutta la parte contravvenzionale della legge n. 68. Questo è un aspetto decisivo su cui, con vari colleghi della Commissione, tra cui il presidente, stiamo chiedendo al Governo una pronuncia definitiva sul modo di fare arrivare queste risorse ai soggetti che fanno effettivamente le prescrizioni e che le devono verificare.
  Avrei solo due domande, se posso, su cui chiedere più che una risposta, una valutazione, ai nostri auditi. La prima è se in questo quadro voi ritenete prioritario l'intervento di modifica della legge n. 68 o se in una logica di stabilità del sistema normativo è più opportuno concentrarsi sull'attuazione, appunto delle leggi, perché sappiamo che ci possono essere alcuni meccanismi di affinamento, ma riaprire il cantiere della legge sui delitti ambientali – voi più di noi sapete quanto è stato lungo e complesso – potrebbe distogliere anche l'attenzione rispetto al portare fino in fondo alcune norme importanti di sistema già approvate.
  La seconda domanda è se ritenete che tra i campi di attenzione rispetto agli illeciti ambientali ci sia quello relativo all'attuazione, all'implementazione dell'economia circolare e a tutto il tema della materia seconda, in particolare dell'end of waste, perché questo è un aspetto su cui c'è una discussione abbastanza nota rispetto alla necessità di favorire e semplificare la vita a chi fa economia circolare oggi nel Paese senza abbassare il livello dei controlli, bensì provando a accelerare e sburocratizzare le pratiche, in primis di emanazione dei decreti end of waste e dei regolamenti complessivi, ma anche del riconoscimento caso per caso secondo la norma attualmente prevista.
  Volevo capire la vostra opinione e se dalla vostra conoscenza e percezione, quello dell'end of waste sia un settore o una parte su cui occorre alzare l'attenzione in maniera particolare, perché si rischia di avere dei fenomeni crescenti di illecito.

  STEFANO CIAFANI, presidente di Legambiente (intervento da remoto). Rispetto alle domande dell'onorevole Braga – poi lascio i dettagli a Enrico Fontana – noi pensiamo che non si debba riaprire il cantiere della legge n. 68, ma che si debbano fare piccoli interventi chirurgici per risolvere alcuni problemi.
  Prima nel suo intervento Enrico Fontana ricordava quello che l'onorevole Braga sollecitava: capire la destinazione delle sanzioni che vengono fatte pagare a chi intercetta quella parte di legge n. 68 che sostanzialmente è andata a modificare la parte VI bis del 152, sui reati contravvenzionali che non hanno causato né danno né pericolo di danno. Si tratta un problema di destinazione di quelle risorse.
  Tra l'altro, ci sono stati diversi emendamenti presentati in diversi provvedimenti, in questa e nella scorsa legislatura, che noi abbiamo valutato positivamente perché sarebbe auspicabile che il soggetto accertatore fosse in qualche modo il destinatario finale dei proventi derivanti dalle sanzioni.
  Sull'end of waste è importante semplificare, ma parallelamente è importante innalzare il livello dei controlli. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato, che rischiò di bloccare l'economia circolare in Italia, si è trovata una soluzione parziale e lì vi era un sistema dei controlli che probabilmente era troppo farraginoso e oggetto dell'intervento del decreto Semplificazioni. Tuttavia, questo non vuol dire non fare controlli.
  Il Ministro Costa fece una task force sui decreti end of waste, che bisogna rilanciare, perché ci deve essere un gruppo tematico per far approvare i decreti end of waste. In otto anni sono stati approvati cinque decreti end of waste e tre negli ultimi due anni, ma bisogna velocizzarli, anche perché ce ne sono 19 in previsione o in corso di scrittura o in previsione.
  La semplificazione è fondamentale, ma parallelamente bisogna innalzare il livello dei controlli ambientali, facendo un ragionamento sul sistema complessivo sull'attuazione della legge n. 132 e su maggiori risorse. Abbiamo ritenuto la clausola d'invarianza Pag. 11 dei costi previsti dalla legge n. 132 come un errore, perché non si può pensare di innalzare il livello dei controlli ambientali senza che lo Stato non investa risorse economiche aggiuntive.
  Queste sono alcune delle piccole modifiche che probabilmente andrebbero fatte, da una parte sulla legge n. 68, dall'altra parte sulla legge n. 132, senza aprire cantieri, perché ricordiamo molto bene la fatica che abbiamo fatto insieme a voi che eravate in Parlamento per arrivare alla approvazione della legge n. 68.

  ALBERTO ZOLEZZI(intervento da remoto). Ho già fatto la seguente domanda a ISPRA, che poi mi manderà materiale: avete qualche dato su quanto è stata la componente di falso riciclo in altri reati? Da quello che ho capito, non è che adesso monitoro il falso end of waste, però essendoci anche questo cantiere in corso sulla legge sul riciclo, secondo me si può cercare a monte di un inquinamento ambientale, piuttosto che di un traffico di rifiuti e capire se alla base c'è stato un reato di falso riciclo.
  Questo è un tema che sta iniziando a essere anche masticato anche a livello comunicativo come per la questione relativa all'indagine sui 3 mila ettari riempiti di gessi tossici in quattro regioni e l'indagine in Toscana, dove sembra che ci fosse addirittura anche la criminalità organizzata. Tuttavia, la matrice a monte era un falso riciclo di un rifiuto che era ancora più pericoloso una volta che veniva messo sul mercato.
  Secondo me sarebbe utile – do un suggerimento –, se non lo avete già fatto, avere un monitoraggio puntuale di quanti reati sono collegati o correlabili in qualche modo al falso riciclo.
  Non vi chiedo una risposta adesso, però voi sapete con precisione qual è il testo dell'articolo 34 del decreto Semplificazioni.
  Secondo me va benissimo definire un po' farraginoso il metodo di controllo, però ISPRA nel suo controllo a campione aveva una procedura di eventuale prescrizione all'azienda che chiedeva di riciclare, ma il cui sistema risultava non particolarmente e poi le prescrizioni dovevano essere adempiute, pena la decadenza e la revoca dell'autorizzazione.
  Adesso con l'articolo 34 nel testo base, ARPA dovrebbe fare dei controlli preliminari, ma sinceramente faccio fatica a capire in cosa devono consistere, quando se uno ricicla o meno, me ne accorgo a livello operativo e a livello industriale andando a vedere che cosa esce fuori e non a livello documentale e preliminare, dandomi anche un risultato sperimentale, ma non so che significato possa avere, quando dico che mescolo acido solforico e fanghi per fare i gessi e poi magari viene fuori prendo l'acido solforico da una batteria esausta di un autoveicolo, con dentro altri acidi e altre sostanze contaminanti, ma di questo me ne accorgo solo se vengo a vedere quello che fai ex post, come ISPRA – grazie al cielo – continua a fare.
  C'è il rischio che ISPRA faccia una relazione di falso riciclo e che dia delle prescrizioni che poi nessuno possa controllare, intasando così il sistema giudiziario, perché se ISPRA sospetta che ci sia un reato o una prosecuzione di un reato, magari farà il suo esposto in procura e secondo me questo non è un metodo di semplificazione.

  ENRICO FONTANA, Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto). Noi abbiamo dei dati che ci consentono, onorevole Zolezzi, di avere approssimativamente un'idea di che cosa è successo e sta succedendo nelle filiere dell'economia circolare. Non abbiamo quel dettaglio che deriva dall'attività di monitoraggio fatta dal Ministero della giustizia, perché a noi vengono forniti i numeri, però siamo in grado di farlo e facciamo analisi anno dopo anno delle principali inchieste e del relativo oggetto che vengono rese pubbliche. L'attività organizzata di traffico illecito di rifiuti si è molto evoluta rispetto al passato quando era semplicemente prendere i rifiuti da Tizio e smaltirli illegalmente mettendoli in una cava abusiva; oggi è quasi tutto legato alla costruzione di filiere che simulano l'economia circolare, ovvero un trattamento e un avvio al riciclo che in realtà non viene svolto. Pag. 12
  Per dare dei dati concreti, noi abbiamo monitorato queste inchieste e abbiamo cercato di acquisire tutti i dati possibili da fonti pubbliche aperte. Dal 2002 a ottobre 2020 vi sono state 490 inchieste in Italia per attività organizzata di traffico illecito di rifiuti. Abbiamo potuto desumere soltanto 277 inchieste su 490 – il numero che vi sto per dare è sicuramente approssimato per difetto – e sono state sequestrate oltre 55 milioni di tonnellate di rifiuti in Italia. È un numero impressionante.
  Il 38,66 per cento sono fanghi di depurazione contaminati che vengono spacciati per qualcosa che non è. Il compost contaminato è il 5,19 per cento, mentre la plastica e RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) sono il 4,19 e poi c'è tutta la parte dei rifiuti industriali, ma quello è lo smaltimento più tradizionale.
  Le categorie che ho accennato prima danno una idea di come sia da tenere sotto controllo in maniera molto forte tutto il sistema dell'economia circolare affinché sia un sistema virtuoso e non offra spunti a chi opera in questa maniera. Le inchieste recenti hanno fatto molto clamore e una l'ha citata anche lei, ma è sistematico.
  La stessa cosa sta accadendo in maniera sempre più significativa per i rottami ferrosi, che è una filiera su cui noi avremo un approfondimento. Che cosa sta emergendo dalle inchieste? Che questi traffici illegali hanno all'origine dei soggetti che si limitano a fare il furto dei cavi o degli elettrodomestici che vengono sottratti alle isole ecologiche – succede di tutto da questo punto di vista –, ma poi in realtà questi soggetti trasferiscono i prodotti della loro attività ad aziende che li spacciano come frutto di attività di riciclo e di recupero, quando invece hanno una provenienza illegale.
  Ci sono inchieste con decine di ordinanze di custodia cautelare e si tratta di numeri impressionanti. Addirittura in Lombardia vi è un'inchiesta recente fatta dal GICO (Gruppo d'investigazione sulla criminalità organizzata) della Guardia di finanza e dalla squadra mobile di Lecco della Direzione distrettuale antimafia di Milano, in cui vi è uno spunto di presenza di criminalità organizzata con rifiuti contaminati anche radioattivamente, perché magari nel novero dei rottami è finita una sorgente radioattiva. Questo sicuramente è un elemento di attenzione forte e i numeri che le ho dato giustificano la necessità di avere un sistema di controlli adeguato, perché è cambiata proprio la modalità di gestire illegalmente i rifiuti.
  Un'altra tipologia è quella dei roghi dei capannoni industriali abbandonati, che però non annovererei nell'economia circolare, ma è un altro elemento di preoccupazione.
  Per tornare alle proposte, molte cose già sono state dette soprattutto dal presidente Ciafani, come il tema dell'invarianza dei costi. L'impalcatura dei delitti contro l'ambiente del codice penale funziona: meno si tocca, meglio è.
  Se dobbiamo suggerire un intervento su quell'impalcatura è sul delitto più antico, ovvero l'attività organizzata di traffico illecito di rifiuti affinché siano inasprite le sanzioni previste, passando dagli attuali 1-6 anni ai 3-8 anni. Questa è un'esigenza avvertita sul campo, attesa anche la gravità dei fenomeni.
  Non c'è bisogno di altro, ma semmai occorrono modifiche alla parte che riguarda il decreto legislativo n. 152 del 2006, già accennata soprattutto per quanto riguarda l'effettività delle prescrizioni ottemperate e riscosse verso il soggetto destinatario, ma anche le modalità di riscossione, dove c'è un vuoto normativo da colmare.
  Mi permetto di segnalarvi una questione che non rientra nel novero delle competenze dirette della Commissione, ma che a noi sta particolarmente a cuore, vale a dire la necessità di prevedere con un provvedimento ad hoc di sanzioni adeguate e molto vi è efficaci di quelle che ora sono in vigore per quanto riguarda i delitti contro gli animali. In questo c'è un vuoto normativo e su questo aiuta anche la recente decisione all'unanimità del Senato di approvare una modifica alla nostra Costituzione, dove i diritti degli animali vengono affermati anche come diritto costituzionale.
  Lì vi è un vulnus – mi rivolgo a voi come parlamentari, al di là del ruolo svolto dalla Commissione –, perché ogni anno Pag. 13registriamo fenomeni e reati gravi contro la fauna nel nostro Paese e gli animali in generale. Inoltre, lavorando con le forze dell'ordine, sappiamo che gli strumenti con cui vengono perseguiti questi reati, che hanno anche impatti di natura economica pesanti, sono assolutamente inefficaci. Questo si doveva fare nel 2015, ma non si è potuto. Se dovessi aprire un cantiere, forse lo aprirei specificatamente sul tema dei diritti degli animali.
  Da ultimo, si è avviata la discussione sulla riforma della giustizia, un tema che sappiamo essere molto delicato e complesso. Ci permettiamo di farvi una forte richiesta: vista la gravità dei delitti e la complessità delle indagini necessarie per accertare le eventuali responsabilità – che sono le due motivazioni alle quali fa riferimento anche il disegno di legge approvato all'unanimità dal Governo e che ora è all'esame della Commissione giustizia del Senato – occorre stabilire tempi maggiori per quanto riguarda sia la fase delle indagini preliminari, che quanto previsto in fase di sentenza di appello o di Cassazione per la cosiddetta «non procedibilità». Chiediamo che questi delitti siano inseriti assolutamente tra quei delitti che debbono avere tempi maggiori rispetto agli altri che vengono dedicati ad altre tipologie di reati nel nostro Paese con l'intento di velocizzare l'affermazione della giustizia.
  Sarebbe veramente grave se questa cosa non accadesse perché per gravità e complessità sono reati che nulla hanno a che invidiare alla corruzione, alla concussione o ad altri reati per i quali è stata giustamente richiesta e inserita una durata di questi tempi che portano all'accertamento dell'eventuale responsabilità penali in relazione dei singoli o delle società diversi da quelli ordinari.

  ARNALDO LOMUTI(intervento da remoto). Ringrazio Legambiente per la costante e preziosa disponibilità. Ci risulta che Legambiente abbia seguito con particolare interesse i procedimenti penali derivanti dall'estrazione di petrolio in Basilicata. La sensazione è che si sia arrivati allo strumento penale per carenza di controlli adeguati sulle procedure di approvazione delle autorizzazioni. Volevo sapere qual è la valutazione di Legambiente a riguardo.
  Una seconda questione riguarda la convinzione che abbiamo maturato partecipando ai lavori della Commissione di inchiesta, ovvero che lo strumento repressivo, come la legge n. 68 del 2015, debba svolgere un ruolo residuale rispetto a quello primario della prevenzione degli illeciti ambientali. A Legambiente, espressione della società civile, vorrei chiedere quale sia la rilevanza che possono avere le associazioni e i cittadini in relazione a tali obiettivi.

  STEFANO CIAFANI, presidente di Legambiente (intervento da remoto). Rispetto alla Basilicata, ci sono due indagini molto importanti, di cui una ha avuto anche un esito in primo grado in sede di giudizio, che è il processo sulle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti petroliferi.
  C'è un altro processo che, invece, è ancora nella fase di svolgimento e che non è arrivato a sentenza, relativo alla contestazione del disastro ambientale rispetto alle autodichiarate e autodenunciate 400 tonnellate di greggio da parte di ENI, che era percolato in falda per la perdita di un serbatoio. Questo secondo processo sulle 400 tonnellate è partito da un esposto che firmai personalmente con il presidente di Legambiente Basilicata, Antonio Lanorte, chiedendo alla magistratura potentina di contestare il delitto di disastro ambientale. L'indagine portò all'arresto dell'allora responsabile del centro oli di Viggiano.
  Quelle due indagini, quella sull'attività organizzata del traffico illecito di rifiuti petroliferi e quella sulla perdita delle 400 tonnellate di greggio dal serbatoio, hanno fatto emergere chiaramente – rispondo anche parzialmente alla sua seconda domanda – come fosse inadeguata l'attività di monitoraggio e controllo da parte degli enti pubblici. Infatti, l'Agenzia regionale per la prevenzione la protezione ambientale della Basilicata non era nelle condizioni di poter fare i controlli ambientali nella regione che ospita il più grande bacino petrolifero a terra d'Europa. Se i tecnici, le strutture, i laboratori dell'ARPA Basilicata avessero avuto le stesse condizioni garantite in alcune regioni del Nord Italia, probabilmente una parte di quei reati non si Pag. 14sarebbero consumati, perché purtroppo i controlli ambientali – non solo in Basilicata, ma anche in altre regioni del Sud Italia – non si fanno come è previsto dalla legge, perché le ARPA non sono messe dalle regioni nelle condizioni di fare il loro lavoro, nonostante ci siano alcune competenze e nonostante la fatica che fanno i tecnici delle ARPA.
  Questo è il Paese che fino a dieci anni fa non monitorava le emissioni in atmosfera della diossina dell'allora Ilva di Taranto, perché i primi dati pubblici di ARPA Puglia sulle emissioni in atmosfera del camino E312 dell'impianto di agglomerazione dell'Ilva di Taranto sono del 2011 e fino a 10 anni fa non c'erano dati pubblici sulla principale fonte in atmosfera di diossina del Paese. Purtroppo, questa è la situazione.
  Se continuiamo a insistere sul fatto che la piena attuazione della legge n. 68 si garantisce attuando la legge n. 132 sul Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, che permetterebbe anche di ridurre il carico di lavoro della parte della magistratura inquirente e delle forze di polizia che fanno attività di repressione, con un sistema di controlli ambientali adeguato – oggi in Italia non è così – si ridurrebbe il carico su chi fa attività di repressione, perché ci sarebbe un'inevitabile attività di prevenzione, cosa che in parte sta già avvenendo.
  Infatti, grazie all'applicazione della legge n. 68 in questi sei anni abbiamo avuto occasione di ascoltare come le aziende che lavorano sulla manutenzione degli impianti hanno cominciato a sviluppare una mole di lavoro che sino al 2015 non facevano. Grazie alla legge n. 68 si sono creati nuovi posti di lavoro e si sono create anche attività di prevenzione, perché il rischio di incappare in un reato che è diventato un delitto contro l'ambiente nel codice penale ha fatto ricredere alcune pratiche ormai considerate tradizionali, che sono quelle che Enrico Fontana raccontava come non pratiche ecomafiose e non pratiche ecocriminali, ma da parte di alcuni inquinatori seriali nel mondo produttivo che approfittavano dell'inadeguatezza della normativa.
  Il sistema dei controlli oggi è decisivo ed è e su quello che continuiamo a insistere. Purtroppo in questo periodo storico – nei prossimi cinque anni –, in cui si andranno a valutare tanti progetti e in cui il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente avrà una mole di lavoro ulteriore per supportare le valutazioni dei progetti sul territorio e a livello nazionale, in cui si apriranno decine di migliaia di cantieri sul territorio, in cui ci saranno tanti cantieri che produrranno una movimentazione di rifiuti anche pericolosi, è fondamentale lavorare molto sul rafforzamento del sistema dei controlli ambientali.
  Purtroppo, questo è un tema che non si sta affrontando come si dovrebbe, perché è fondamentale che l'attività di semplificazione vada di pari passo con una attività di rafforzamento del sistema dei controlli.
  Noi abbiamo ascoltato le parole del presidente dell'Anac (Autorità nazionale anticorruzione), così come le parole del procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, e siamo molto preoccupati. Noi vogliamo le semplificazioni, ma se non c'è un adeguato, rafforzato e strutturato sistema dei controlli ambientali, rischiamo un «liberi tutti» che rischia di fare seri guai nel nostro Paese.
  Dico quest'ultima cosa per rispondere alla sollecitazione dell'onorevole Zolezzi: il decreto Ronchi nel 1997 aveva previsto un'attività semplificata alle procedure per le attività di recupero dei rifiuti, che fu oggetto del decreto ministeriale 5 febbraio del 1998. L'intento della normativa era mettere in campo procedure semplificate per facilitare il riciclo.
  Mi ricordo che tra le varie cose era previsto che un'azienda che voleva fare un recupero di rifiuti, doveva fare una domanda d'inizio attività alle allora province e se entro 90 giorni la provincia non faceva il controllo, valeva il silenzio assenso.
  Con Enrico Fontana scrivevamo il Rapporto ecomafia e raccontavamo le indagini della magistratura e delle forze di polizia che andavano a insistere su capannoni che venivano riempiti di rifiuti da società fantasma, che avevano fatto la richiesta alla provincia. Ricordo che la provincia di Milano a un certo punto fermò le procedure semplificate sul recupero dei rifiuti. Che cosa succedeva? Le aziende e i criminali approfittavano del fatto che non vi era personale che Pag. 15poteva fare il sopralluogo nello stabilimento, dove si chiedeva di fare un inizio di attività di recupero di rifiuti e al novantunesimo giorno della richiesta cominciava l'attività di riempimento del capannone, che diventava una discarica abusiva. La società fantasma spariva e tutto questo avveniva perché l'ente di controllo, l'allora provincia, non aveva il personale per fare le ispezioni.
  Questo percorso di semplificazioni, che sosteniamo fortemente, deve essere affiancato da un'attività d'intensificazione dei controlli, perché altrimenti il rischio è che qualche criminale ben capace di cambiare anche le proprie modalità operative, come ricordava poco fa Enrico Fontana, rischia di infilarsi in questo meccanismo e sarebbe una disastrosa modalità di praticare la transizione ecologica che noi chiediamo e invochiamo da decenni.

  ENRICO FONTANA, Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto). Molto rapidamente per rispondere anche a una seconda parte della domanda, ovvero qual è il ruolo delle associazioni, dei cittadini in questo sistema che stiamo definendo. Sicuramente è un ruolo che è sempre più importante quando lo Stato è credibile nelle risposte, perché a volte segnalare e denunciare abusi e vedere che non accade nulla – come è facile comprendere – genera frustrazione.
  Se la legge n. 68 del 2015 ha avuto un altro merito è stato quello – citerò tre casi concreti che lo dimostrano – di ridare fiducia nelle istituzioni e nella loro risposta, quando i cittadini segnalano e denunciano fatti che compromettono la qualità dell'ambiente.
  Vi sono tre storie specifiche. Una fa riferimento a un sito di stoccaggio di rifiuti a Cavallino in provincia di Lecce, oggetto di tante denunce di associazioni per odori nauseabondi e molesti eccetera, ma non succede nulla. Grazie alla legge n. 68 del 2015 scatta l'inchiesta, si apre un fascicolo penale da parte della procura, dove si contesta il delitto di inquinamento ambientale. I cittadini hanno così trovato una risposta.
  Il secondo è in Calabria, a Vibo Valentia – il presidente Ciafani accennava ai capannoni abbandonati –, dove vi è un capannone abbandonato di rifiuti oggetto di denunce da parte di associazioni e comitati locali. Si fa un'indagine fatta da ARPA e vigili del fuoco, si accerta la presenza di sostanze inquinanti gravi, anche con eventuali contaminazioni radioattive e contaminazione di falda e si apre un altro fascicolo da parte della procura competente per inquinamento ambientale. Alla denuncia dei cittadini è corrisposta poi una possibile azione giudiziaria.
  Il terzo caso si trova in Umbria, in cui si indaga su un impianto industriale, per tornare all'inquinamento dell'aria sollecitato dall'onorevole Zolezzi. Anche in questo caso vi sono state da tempo denunce da parte di cittadini e associazioni locali a difesa del territorio. I titolari di questo impianto finiscono sotto accusa, si apre un fascicolo penale per compromissione e deterioramento significativo dell'aria e del fiume Tevere da parte della procura. I fatti che vengono contestati partono dal 2015, ovvero dall'entrata in vigore della legge, fino al 14 aprile del 2019.
  Presidente, ho voluto fare questi tre esempi concreti per far comprendere come questa norma sia molto importante anche nel ricostruire un clima di fiducia tra i cittadini, le associazioni e i comitati che denunciano e lo Stato, le forze dell'ordine, la magistratura e chi poi è chiamato a intervenire. La stessa efficacia – è già stato detto e ripetuto più volte, ma è fondamentale – va garantita per tutta la parte preventiva dei controlli a monte che consentono di evitare che questo accada.
  Inoltre, un'altra provincia che ci aveva colpito per numero di procedure semplificate per impianti di trattamento dei fanghi di depurazione è la provincia di Caserta.

  PRESIDENTE. Non ci sono altre richieste di intervento. In conclusione ci tengo a dire che se non dovesse passare il fondo delle prescrizioni firmato dall'onorevole Braga e che ho cofirmato anche io, lo riproporremo alla prima occasione. La Commissione intende riunire tutti i Capogruppo dei vari partiti per proporre un'azione comune al fine di fare pressione affinché siano regolamentati gli ispettori.
  Sull'importante tema dell'end of waste, secondo me vi sono filiere che non sono in quell'elenco degli end of waste da fare, così Pag. 16come vi sono tante filiere che ancora sono inesplorate di tanti materiali, soprattutto alcuni tipi di plastiche, che ancora non hanno una filiera industriale in grado di ritrasformarla in materia e chissà che fine fanno, come nel caso degli incendi.
  Se volete inviarci per iscritto questi preziosi dati che ci avete fornito, noi saremo contenti.
  Volevo aggiungere un'ulteriore domanda per quanto riguarda le prescrizioni e le asseverazioni relativamente alle indicazioni sulla scorciatoia che evita di affrontare un lungo processo dagli esiti incerti. Su questo anche io ero un po' perplesso e mi domando se ci sono state precisazioni sui concetti generici di danno e di pericolo attuale con la prescrizione: «Ti elimino il reato, purché tu riesca a levare l'inquinamento». Su questa premessa fondamentale c'è chiarezza? Funziona? Perché spesso e volentieri, purtroppo il danno ambientale è difficile da far cessare, da eliminare e trasformare tutto come era all'inizio. Secondo voi su questo tema c'è abbastanza chiarezza?

  ENRICO FONTANA, Direttore dell'Osservatorio ambiente e legalità (intervento da remoto). A nostro avviso, leggendo anche le relazioni che ci arrivano regolarmente dall'ISPRA e dal Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, la cornice è molto stretta, perché la norma prevede in maniera stringente tutti i casi in cui possono essere applicate queste prescrizioni che vengono fatte sia da ARPA, che dalle forze dell'ordine – l'ARPA invece è chiamata a asseverare eventuali prescrizioni affare dalle forze dell'ordine –, perché non deve esserci neppure il pericolo di danno e non c'è soltanto una estinzione di fronte a un danno compiuto.
  Inoltre, sono stati prodotti indirizzi per l'applicazione delle procedure di estinzione delle contravvenzioni ambientali approvati dal Consiglio del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente nel 2017.
  Da questo punto di vista si può sempre migliorare, però non abbiamo avuto segnalazioni di gravi difformità nell'applicazione di questa norma, che è preliminare, poiché vengono emesse le prescrizioni soltanto quando l'eventuale reato contestato non ha nessuna delle caratteristiche che ho detto prima. Ad esempio, venne addirittura introdotto il fatto che non debba causare neppure pericolo di danno e non è come il caso dei delitti ambientali dove, invece, il danno deve essere effettivo e misurato. Poiché venne introdotto anche il tema del pericolo di danno, mi sembra una struttura molto stringente.
  Ad ogni modo, non abbiamo avuto comunque segnalazioni di gravi difformità nell'applicazione di questo sistema delle prescrizioni e delle asseverazioni.

  STEFANO CIAFANI, presidente di Legambiente (intervento da remoto). Questo problema che lei ricordava ce stato soprattutto i primi due anni, perché a volte le procure sul territorio adottavano dei criteri un disomogenei e anche le ARPA si erano attrezzate in maniera disomogenea. Infatti, ricordo che alcune ARPA fecero delle linee guida a livello regionale che venivano in qualche modo sottoscritte con le procure, ma poi quando il Consiglio del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente ha adottato le linee guida, a cui faceva riferimento Enrico Fontana, questi problemi iniziali si sono assolutamente risolti.

  PRESIDENTE. Io vi ringrazio. Se devo essere sincero, non avevo mai pensato di seguire con attenzione la riforma della giustizia proprio per evitare che il reato ambientale sia visto come un reato di serie B. Io vi ringrazio e dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 15.