XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni

Resoconto stenografico



Seduta n. 25 di Mercoledì 20 gennaio 2021

INDICE

(La seduta comincia alle 15.20) ... 2 

Sulla pubblicità dei lavori.
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 2 

Audizione di Davide Bonvicini, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo:
Bonvicini Davide , già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo ... 2 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 7 
Pettarin Guido Germano (FI)  ... 8 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 8 
Turri Roberto (LEGA)  ... 9 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9 
Ungaro Massimo (IV)  ... 9 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 10 
Bonvicini Davide , già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo ... 10 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 11 
Bonvicini Davide , già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo ... 11 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 12 
Bonvicini Davide , già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo ... 12 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 12  ... 12 

(La seduta termina alle 16.20) ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 15.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera, come convenuto in sede di ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

Audizione di Davide Bonvicini, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo.

  La Commissione riprende i suoi lavori dopo la pausa di fine anno, nel giorno in cui, dando seguito a quanto dichiarato nell'audizione del 10 dicembre scorso, la Procura di Roma ha proceduto al rinvio a giudizio degli agenti dell'intelligence egiziana. È la migliore risposta al provocatorio comunicato della Procura generale egiziana del 30 dicembre, che il Governo stesso ha definito «inaccettabile», ma che impone oggi più che mai parole ancora più nette e soprattutto fatti concludenti nei confronti dell'Egitto, a cominciare dall'imminente Consiglio dei ministri degli esteri dell'Unione europea.
  L'ordine del giorno reca l'audizione di Davide Bonvicini, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo.
  Con tale audizione, la Commissione prosegue l'approfondimento sull'azione della nostra rappresentanza diplomatica al Cairo, con particolare riferimento ai giorni della scomparsa e del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, già svolto con l'ambasciatore Massari.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta, sia a richiesta degli auditi che dei colleghi che formuleranno quesiti od osservazioni.
  Ricordo, altresì, ai colleghi la prescrizione di indossare la mascherina, anche quando prenderanno la parola, come è ormai prassi in Assemblea.
  Invito il dottor Bonvicini a svolgere la sua relazione, ringraziandolo per la disponibilità immediatamente manifestata a collaborare con la Commissione, sobbarcandosi l'onere oggi non banale di un viaggio a Roma dalla sua attuale sede di Bruxelles.

  DAVIDE BONVICINI, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo. Grazie mille, presidente, e grazie ai componenti della Commissione per consentirmi di essere qui oggi e per offrirmi la possibilità di presentare il mio ruolo durante la scomparsa e il tragico omicidio di Giulio Regeni. Come già fatto nelle precedenti audizioni, vorrei anch'io sottolineare fin da subito il fortissimo impegno che abbiamo profuso tutti noi in Ambasciata al Cairo, in particolare l'ambasciatore Massari, sempre in raccordo con le nostre autorità a Roma, sin dai primissimi momenti della scomparsa di Giulio e per tutta la mia permanenza al Cairo, fino al mio trasferimento a Bruxelles il giorno 11 settembre 2016. Impegno che ho svolto supportando sempre, incessantemente e costantemente, l'azione messa in campo dall'ambasciatore Massari, sia nella ricerca di Giulio in quei nove giorni tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016, sia contribuendo alla ricerca della verità una volta giunti al suo tragico epilogo.Pag. 3
  Giulio Regeni, come sappiamo, scomparve improvvisamente al Cairo la sera del 25 gennaio 2016. All'epoca avevo svolto più della metà del mio mandato in Egitto, dove ero arrivato a inizio giugno 2013, nel pieno dei moti che avrebbero portato al cambiamento di regime qualche settimana dopo. All'Ambasciata al Cairo, la mia prima sede all'estero, sono stato il capo della segreteria dell'ambasciatore Massari, il vice responsabile dell'ufficio economico e commerciale e addetto stampa. Dal mio arrivo sino alla scomparsa di Giulio, da quella prospettiva, ho avuto modo di assistere al progressivo intensificarsi delle relazioni bilaterali con le autorità egiziane a tutti i livelli. In quel periodo eravamo uno dei Paesi europei in prima linea, sia per quanto riguarda l'intensità delle relazioni diplomatiche, sia per i rapporti politici ed economici. Proprio a gennaio del 2016, dall'ufficio economico e commerciale, mi stavo occupando dell'organizzazione della missione imprenditoriale guidata dall'allora Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, prevista per il 3 e il 4 febbraio successivi.
  Appresi della scomparsa di Giulio dall'ambasciatore Massari la mattina del 26 gennaio. L'ambasciatore ci informò di avere ricevuto una telefonata la sera prima alle 23:21 dal professor Gennaro Gervasio, docente presso l'Università britannica del Cairo, con il quale Giulio aveva appuntamento quella sera stessa. Non conoscevamo Giulio, né io personalmente, né il resto dei colleghi dell'Ambasciata e del Consolato, né sapevamo della sua presenza al Cairo, non avendoci purtroppo mai segnalato la sua presenza, come accadeva spesso anche con altri nostri connazionali in Egitto. Gervasio aveva riferito all'ambasciatore Massari che un suo amico ricercatore, Giulio Regeni, era improvvisamente scomparso. Aveva con lui un appuntamento alle 20 circa della sera del 25 gennaio nei pressi di piazza Tahrir, ma Giulio non si era presentato e vani erano stati i suoi tentativi di contattarlo sul cellulare.
  Come è già emerso nelle scorse audizioni, il 25 gennaio rappresenta in Egitto una data particolare, legata agli eventi del 2011, giorno in cui gli egiziani rafforzano pesantemente le misure di controllo sociale, anche sul web, e di ordine pubblico. Ricordo bene le immagini della città quella sera. Stavo rientrando a casa dall'Ambasciata in macchina verso le 19 e la città era completamente deserta. Nei pochi chilometri che mi separavano dalla mia abitazione, si potevano contare numerosi posti di blocco, in particolare intorno a piazza Tahrir. Pochissima gente comune era per strada. Gli unici presenti, e in cospicuo numero, erano gli agenti di sicurezza in divisa o in borghese. Regolarmente in quella data, come in tutte le occasioni di potenziale pericolo per i nostri connazionali, frequenti peraltro in quegli anni, l'Ambasciata inviò un SMS alla rete dei connazionali registrati, un SMS di avviso per raccomandare la massima cautela negli spostamenti e di evitare luoghi e situazioni potenzialmente pericolosi, cosa che facemmo anche il 24 e il 25 gennaio del 2016. Purtroppo Giulio, non essendosi segnalato, non poteva aver ricevuto direttamente il nostro avviso, né sappiamo se sia stato informato da qualcuno dei suoi conoscenti italiani registrati e quindi destinatari dell'avviso. La mattina del 26 gennaio l'ambasciatore Massari ci informò di avere già contattato la sera prima il responsabile della nostra intelligence in Ambasciata, chiedendogli di attivare i propri canali. Purtroppo però, a seguito di alcune prime verifiche, gli egiziani facevano sapere di non disporre di alcuna informazione su Giulio Regeni. Nel frattempo, dagli elementi che stavamo raccogliendo, apprendemmo che Giulio si trovava al Cairo da settembre 2015 e che stava svolgendo un dottorato presso l'Università di Cambridge e in questo ambito stava portando avanti una ricerca sul campo, al Cairo, sui sindacati indipendenti egiziani. Per poter svolgere questa attività di ricerca, Giulio aveva stabilito una rete di contatti con alcuni ambienti egiziani, tra cui anche quello dei sindacati dei venditori ambulanti.
  Sin dal 26 gennaio, dietro istruzione dell'ambasciatore Massari, l'intera Ambasciata si attivò per trovare Giulio. L'ambasciatore chiese innanzitutto ai responsabili della sicurezza degli affari interni in Ambasciata di intervenire di nuovo sugli egiziani perché fossero avviate le ricerche e si giungesse quanto prima al ritrovamento del connazionale. Nel frattempo, in giornata, i colleghi della cancelleriaPag. 4 consolare effettuarono verifiche presso gli ospedali e gli obitori del Cairo, senza risultato. Informammo ufficialmente, anche tramite nota verbale, il Ministero degli esteri egiziano a meno di 24 ore dalla scomparsa di Giulio. Inoltre, ho assistito personalmente ai numerosi contatti che l'ambasciatore Massari sollecitò in quelle ore, compreso quello con il Ministro dell'interno Magdy Abdel Ghaffar, che però non si rese disponibile né di persona né al telefono fino al 2 febbraio successivo. Non riuscendo a ottenere un riscontro da Ghaffar, l'ambasciatore Massari sollecitò quindi il Ministro di stato egiziano per la produzione militare, Mohamed El-Assar, suo regolare interlocutore e conoscenza personale, particolarmente influente e vicino ai vertici militari, il quale gli assicurò di occuparsene personalmente e di procedere a informare subito il Ministro dell'interno. Infine, l'ambasciatore Massari informò e chiese l'intervento anche dell'allora ambasciatore egiziano a Roma, Amr Helmy.
  La sera del 26 gennaio, a circa 24 ore dalla scomparsa, il vice capo missione della nostra Ambasciata mi chiamò al telefono per chiedermi, su istruzione dell'ambasciatore, di recarmi presso il commissariato del quartiere Dokki a sporgere regolare denuncia di scomparsa. Era sera tardi. Ricordo che passai prima in macchina in Ambasciata per chiedere a un nostro collaboratore egiziano di accompagnarmi e successivamente ci recammo insieme in commissariato. Lì incontrai il coinquilino avvocato, Mohamed El Sayed, che mi consegnò una fotocopia del passaporto di Giulio – ricordo che aveva con sé parecchie copie –, l'amica collega Noura Wahby, che aveva accolto Giulio al Cairo, e Gennaro Gervasio. I ricordi di quella sera sono in parte sfumati, ma ricordo bene che impiegai molte ore per poter finalmente sporgere formale denuncia e ottenere una copia della stessa. Fui fatto subito sedere in una sala di attesa insieme al resto del gruppo. «Appena un agente è libero, verrà da lei», mi fu detto, ma l'attesa si protrasse per svariate ore e sistematicamente mi venivano fornite ragioni diverse, come che mancava il responsabile delle denunce, che tutti gli agenti erano impegnati in quel momento e che sarebbe stato meglio tornare il giorno dopo. A un certo punto tentarono anche di dissuadermi dallo sporgere denuncia formale. Ricordo che un agente mi disse: «Attenda qualche giorno. Sono passate in fondo solo 24 ore». Rimasi. Non me ne andai. Dopo le mie crescenti resistenze e proteste, un agente acconsentì finalmente di mettere a verbale con denuncia formale la scomparsa di Giulio. Ci volle ancora una buona ora prima di ottenere una copia della denuncia. Anche in questo caso fu molto difficile ottenere quello che chiedevo, per ragioni che in quel momento non lasciavano presagire in nessun modo quello che avremmo saputo in seguito. Alla fine, intorno alle 3 di mattina, riuscii ad avere una copia autentica della denuncia, che inviai prontamente via e-mail all'ambasciatore e agli altri colleghi. Il giorno successivo, il 27 gennaio, la collega console informò i genitori di Giulio che giunsero poi al Cairo il 30 gennaio.
  Dunque, nel corso di queste prime 48 ore, l'intera macchina dell'Ambasciata aveva attivato tutti i canali a disposizione con le autorità egiziane, puntando sull'eccellente collaborazione manifestata sino a quel momento, con un lavoro discreto ma intenso, senza i riflettori della stampa. Naturalmente avevamo informato di tutti questi passi le competenti amministrazioni a Roma.
  In quegli anni, pur non occupandomi di questioni consolari, ma essendo la difesa dei propri connazionali il primo compito di un diplomatico all'estero qualunque sia la sua funzione, posso confermare che c'erano stati altri casi di fermo o di temporanea scomparsa di un connazionale. Casi che poi si erano sempre positivamente risolti dopo un certo numero di giorni, attivando i canali dell'Ambasciata, diplomatici e di intelligence. Questa volta, con il passare dei giorni, aumentava la preoccupazione, soprattutto perché la risposta degli egiziani era sempre la stessa: «Non abbiamo informazioni. Non sappiamo chi sia o dove sia. Non è stato fermato ufficialmente da polizia o militari».
  Nei giorni successivi, ricordo che l'ambasciatore Massari continuò incessantemente a sollecitare gli interlocutori egiziani al più alto livello, tra cui Fayza Abul Naga, consigliere per la sicurezza nazionale di Al-Sisi, il vice ministro degli Esteri Hossam Zaki, il ministroPag. 5 El-Assar, il capo di gabinetto del ministro dell'Interno, sollecitando a più riprese un appuntamento con il ministro stesso. Tutti quanti, pur sottolineando di essere a conoscenza del caso, ribadirono di non avere notizia alcuna circa Giulio, precisando che non risultava fermato o conosciuto dalle autorità egiziane. Come ha già avuto modo di sottolineare l'ambasciatore nel corso della sua audizione, ciò che maggiormente colpiva e sempre più ci preoccupava con il passare dei giorni, era la mancanza di risposte concrete da parte delle autorità egiziane. Ciò, malgrado le nostre ripetute insistenze e l'eccellenza dei rapporti bilaterali.
  Lavoravo all'ufficio economico e commerciale e ho vissuto in prima persona il rilancio positivo di questo settore nel corso di quegli anni. L'attività dell'Ambasciata fino a quel momento era molto forte a testimonianza dell'intensità delle relazioni diplomatiche, politiche, sociali ed economiche fra i due Paesi. Il contrasto fra questo stato dei rapporti bilaterali e l'elusività delle risposte rispetto a Giulio Regeni, il dilazionare di fronte a una situazione per noi prioritaria, la reticenza, la mancanza totale di informazioni su Giulio, su dove fosse e l'episodio al commissariato, furono tutti elementi che iniziavano ad aumentare la nostra preoccupazione.
  In quei giorni ricordo che incontrammo anche alcuni esponenti della società civile egiziana, abituali interlocutori dell'Ambasciata, alla ricerca di eventuali notizie sulla sorte di Giulio, ma nessuno aveva informazioni certe. Qualcuno ci ricordava che casi simili di sparizione di cittadini stranieri in Egitto si erano già verificati, prima fermati dalle autorità egiziane, ma poi rilasciati. Altri ci indicavano che Giulio sarebbe stato in realtà attenzionato già da qualche tempo per la sua attività sui sindacati indipendenti e che questa avrebbe potuto essere la motivazione del fermo da parte degli organi di sicurezza egiziani. Erano fonti e informazioni non verificabili, ma che comunque aumentavano la nostra preoccupazione e il nostro stato di allerta. In assenza di riscontri sulla ricerca in loco e sempre in raccordo con Roma, con cui eravamo in costante contatto a partire dall'ambasciatore Massari, fu deciso quindi di elevare a livello politico la pressione sulle autorità egiziane e preparammo il terreno per un contatto diretto fra ministri degli Esteri. Il 31 gennaio ci fu il colloquio telefonico fra l'allora Ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, e il Ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, durante il quale fu rappresentata la forte preoccupazione del Governo per la sparizione di Giulio Regeni e per richiedere la massima collaborazione delle autorità egiziane. Al termine del colloquio fu pubblicato un comunicato della Farnesina che rese quindi pubblico il caso.
  Il 2 febbraio 2016, dopo ripetuti tentativi, ottenemmo finalmente l'incontro con il Ministro dell'interno Ghaffar, al quale non partecipai direttamente. L'ambasciatore ci riferì al termine dell'incontro che, malgrado le sue insistenze, l'atteggiamento del ministro Ghaffar risultò evasivo. Il ministro non disponeva, a suo dire, di alcuna informazione su Regeni o su possibili ipotesi circa la sparizione.
  Il 3 febbraio del 2016, l'allora Ministra per lo sviluppo economico, Federica Guidi, era in missione al Cairo alla testa di una delegazione imprenditoriale di alto livello. Si trattava, come dicevo, di una delle numerose visite governative che dall'ufficio commerciale avevamo organizzato sino a quel momento. La ministra Guidi portò il caso di Giulio all'attenzione del presidente Al-Sisi durante un colloquio privato a cui partecipò l'ambasciatore Massari, prima dell'incontro istituzionale con la delegazione italiana. La sera del 3 febbraio 2016, intorno alle 20, mi trovavo nella hall dell'hotel Four Season in cui soggiornavano la ministra Guidi e la delegazione, in attesa di accompagnarli in residenza per un ricevimento che avevamo organizzato per i nostri imprenditori in occasione della visita. L'ambasciatore Massari mi telefonò e con tono concitato mi chiese di rimanere in hotel insieme alla ministra, dove ci avrebbe raggiunti. L'ambasciatore arrivò subito dopo in hotel e informò la ministra Guidi di aver ricevuto ufficiosamente poco prima in residenza da parte del vice ministro per gli affari europei, Hossam Zaki, notizia del ritrovamento nella periferia del Cairo del corpo di un giovane che sarebbe stato corrispondente a quello di Giulio Regeni. Ricordo quel momento con particolare chiarezza. Pag. 6Fino a quell'istante, la speranza di ritrovarlo, sempre più flebile, era però ancora viva. Quella comunicazione sembrava invece mettere fine a ogni speranza. L'ambasciatore riferì alla ministra Guidi di aver cercato di ottenere ripetutamente, ma invano, una conferma ufficiale della notizia, oltre che dal rappresentante del Ministero degli esteri egiziano presente al ricevimento, anche telefonicamente dagli altri interlocutori egiziani, inclusa la presidenza. Poco dopo, l'ambasciatore Massari ricevette una telefonata da un suo contatto non governativo egiziano che lo informava della presenza del corpo di Giulio con segni di tortura all'obitorio di Zeinhome. A quel punto l'ambasciatore suggerì alla ministra Guidi di considerare di annullare il ricevimento e interrompere la visita. Non era assolutamente più possibile continuare con un evento sociale e una missione di business, quando un nostro cittadino era appena stato ritrovato morto in quelle circostanze e con le autorità egiziane che, con ambiguità e imbarazzo, rifiutavano persino di ufficializzare la notizia.
  Dopo nove giorni di nostra insistente ricerca e ripetuti dinieghi da parte delle autorità egiziane, l'ambasciatore Massari e la ministra Guidi si recarono insieme dai genitori di Giulio che alloggiavano presso la sua abitazione a Dokki per comunicargli personalmente la notizia. Io tornai in Ambasciata e mi occupai, insieme al vice capo missione, di comunicare l'annullamento del ricevimento, invitando i presenti, fra cui anche alcuni rappresentanti degli organi di stampa italiani, a lasciare i locali dell'Ambasciata, senza però fornire le ragioni di tale decisione. Questo per evitare che la notizia diventasse di dominio pubblico prima che fosse comunicata ai genitori di Giulio. Contestualmente fu deciso di cancellare la visita in corso e, per la delegazione governativa, di fare immediato rientro in Italia. Informammo di tale decisione le autorità egiziane con una nota verbale la mattina successiva, 4 febbraio. La sera stessa del giorno 3 febbraio l'ambasciatore Massari invitò i genitori di Giulio a trasferirsi presso la sua residenza in Ambasciata. Ancora non avevamo ricevuto, in quel momento, la conferma del decesso.
  La mattina del 4 febbraio accompagnai l'ambasciatore Massari a un colloquio con il capo di gabinetto del Ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, l'ambasciatore Seif El-Din, al quale consegnammo, su richiesta di Roma, una nota verbale contenente la richiesta dell'immediata ufficializzazione della notizia del ritrovamento del corpo di Giulio nonché lo svolgimento di un'inchiesta esaustiva in cui fosse espressamente prevista la partecipazione di esperti italiani e, infine, la restituzione immediata della salma di Giulio. L'ambasciatore Massari chiese al suo interlocutore di portare queste richieste all'attenzione del ministro Shoukry. Ricordo che l'incontro fu teso. L'ambasciatore Massari sollecitava l'ambasciatore Seif El-Din, il quale, alla richiesta di chiarimenti e spiegazioni, si trincerava dietro varie ipotesi, tra cui quella che si trattasse di un fatto orchestrato da una potenza straniera il cui obiettivo sarebbe stato, secondo El-Din, proprio quello di rovinare le relazioni tra Italia ed Egitto. Poche ore dopo l'ambasciatore Seif El-Din richiamò al telefono l'ambasciatore Massari e, dopo avere parlato con il ministro Shoukry, gli sottolineò la sproporzione fra quanto accaduto al nostro connazionale e la cancellazione di una visita governativa in corso, sostenendo che anche in Italia vi sarebbero stati in passato casi di sparizioni di cittadini egiziani che mai avrebbero comunque innescato reazioni di tale portata da parte delle autorità egiziane.
  Sempre su nostra insistente richiesta, la sera del 4 febbraio, la salma di Giulio venne trasferita presso l'ospedale italiano per essere poi rimpatriata il successivo 6 febbraio.
  Il 5 febbraio giunse al Cairo la squadra investigativa italiana. Da questo momento prese avvio l'attività investigativa degli inquirenti italiani che per settimane hanno affiancato gli inquirenti egiziani. Nel giro di qualche tempo, nonostante gli sforzi profusi, fu constatata l'assenza di sviluppi significativi nelle indagini. Al contrario, come è pubblicamente noto, assistemmo alla produzione di ricostruzioni e versioni poco credibili di ciò che era accaduto a Giulio, spesso fatte filtrare a mezzo stampa, quando era in corso un'indagine congiunta.Pag. 7
  Nei giorni immediatamente successivi mi occupai anche, su istruzione dell'ambasciatore Massari, di prendere contatto e incontrare gli amici italiani di Giulio, tra cui un amico e collega che faceva una ricerca analoga sui sindacati indipendenti in Egitto, e l'entourage di giovani studenti, ricercatori, giornalisti freelance che si trovano in quel momento al Cairo. Ho stabilito con tutti loro un contatto diretto e costante, una safety net, eventualmente aiutandoli, date le circostanze e lo stato d'animo, a fare rapido rientro in Italia, accompagnandoli di persona in aeroporto ogni qualvolta fosse necessario.
  Il 24 marzo del 2016 ricordo che il nostro team investigativo stava facendo rientro in Italia, dopo aver constatato nel giro di qualche settimana numerose difficoltà nell'ottenere un'effettiva collaborazione dalle controparti, quando fu fermato da una telefonata degli egiziani annunciando importanti sviluppi. I membri del team investigativo italiano vennero informati che cinque persone legate all'omicidio di Regeni erano state uccise, cinque uomini che, come poi è stato appurato, non erano in realtà legati in alcun modo all'evento. Ricordo che la notizia iniziò a circolare su alcuni siti egiziani e un comunicato ufficiale fu caricato sulla pagina Facebook del Ministero dell'interno egiziano, corredato dalle foto del portafoglio di Giulio Regeni, con i suoi documenti fino ad allora irreperibili, trovati in un appartamento legato alle persone uccise. L'8 aprile 2016, l'allora ministro Gentiloni dispose il richiamo a Roma per consultazioni dell'ambasciatore Massari, a seguito del fallimento del vertice fra autorità giudiziarie svoltosi a Roma il 7 e l'8 aprile.
  Io rimasi al Cairo ancora qualche mese. Ero ormai entrato nel mio quarto e ultimo anno di servizio in Ambasciata ed era giunto il momento, sia per ragioni professionali sia personali, di trovare una nuova destinazione, per cui decisi, nelle settimane successive al richiamo dell'ambasciatore, di presentare domanda di trasferimento presso una nuova sede diplomatica, trasferimento che avvenne poi nel settembre del 2016 a Bruxelles, alla Rappresentanza permanente presso l'Unione europea. In quegli ultimi mesi del mio servizio al Cairo, in assenza dell'ambasciatore, ho continuato a svolgere i miei incarichi sotto la guida dell'allora Incaricato d'affari, Stefano Catani. In quel periodo la nostra azione si è concentrata innanzitutto sul pieno supporto al binario investigativo e giudiziario su cui si era incardinato il caso, facilitando, ad esempio, la trasmissione di richieste e documenti attraverso i canali diplomatici. Ho inoltre continuato a svolgere le mie funzioni di capo segreteria sotto la guida dell'Incaricato d'affari, sostenendolo nella sua azione di impulso all'attività dell'Unione europea in difesa dei diritti umani in Egitto e al coordinamento comunitario in materia. In tale ambito ho partecipato personalmente all'attività di monitoraggio in tribunale dei casi che vedevano coinvolti i difensori dei diritti umani e persone accusate di reati di opinione, prendendo parte, in particolare, alle udienze riguardanti Ahmed Abdallah, presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, ONG che si occupava di sparizioni forzate in Egitto e che forniva consulenza legale alla famiglia di Giulio Regeni.
  Ho ripercorso le principali azioni che abbiamo portato avanti sotto la guida dell'ambasciatore Massari per trovare Giulio, per fornire assistenza alla sua famiglia e per sostenere il lavoro degli inquirenti nel ricostruire le circostanze che hanno portato a questo tragico epilogo. Vorrei innanzitutto inviare un abbraccio fortissimo ai suoi genitori, Paola e Claudio, e soprattutto vorrei dire loro che gli sono e gli sarò sempre vicino.
  Il barbaro assassinio di Giulio e le circostanze che l'hanno provocato hanno lasciato in me ricordi e segni indelebili non solo da un punto di vista professionale, ma anche e soprattutto umano. Vorrei inoltre ringraziare, a quasi cinque anni di distanza, l'ambasciatore Massari e tutti i colleghi in Farnesina e in Ambasciata per l'impegno enorme e la professionalità con cui abbiamo affrontato insieme questo evento doloroso e terrificante, cercando sempre di dare il massimo.
  Mi auguro che piena luce e giustizia possano essere fatte e, con la verità, la memoria di Giulio possa essere onorata per sempre. Grazie, presidente. Grazie a tutti voi.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Bonvicini, per la sua relazione. Invito i colleghi commissari a intervenire per formulare quesiti, osservazioniPag. 8 e domande di chiarimenti. Le eventuali richieste di intervenire in forma segreta potranno essere concentrate dopo aver esaurito gli interventi in forma pubblica. Ha chiesto la parola l'onorevole Pettarin, a cui seguirà l'onorevole Turri.

  GUIDO GERMANO PETTARIN. Grazie al nostro presidente e grazie a lei, dottore, per essere qui con noi, per averci dedicato questo tempo ed essersi sobbarcato la trasferta da Bruxelles in un periodo non facile come l'attuale.
  È evidente dalle sue parole che quello che è accaduto la tocchi personalmente, cosa che ci accomuna tutti. Da poco è trascorso il giorno del 15 gennaio che, come ha ricordato in un suo comunicato il presidente Palazzotto, è l'anniversario della nascita di Giulio Regeni, che avrebbe compiuto 33 anni. Quel numero, il 33, mi ricorda altre fattispecie molto dolorose per tutta l'umanità.
  Vorrei farle alcune domande. Decida lei se rispondermi nella parte pubblica della seduta oppure chiedere al presidente di poter rispondere in seduta segreta. Lei ha percorso con attenzione e dettaglio i vari momenti di quello che è accaduto. Per quanto sia doloroso, la pregherei di ritornare su quello che è stato un momento particolarmente difficile e cioè quando lei è andato, su incarico espresso, a fare la denuncia formale della scomparsa. Per quanto sia doloroso, avrei piacere se lei potesse ritornare su quel momento, puntualizzando ancora meglio, per quanto possibile, le modalità di quanto accaduto, le tempistiche, da chi lei fosse accompagnato e in che situazione, la sensazione di ostruzionismo o meno subìta da parte delle autorità egiziane a tutti i livelli, ma soprattutto – questo credo che sia un tema ulteriormente importante – se lei avesse timore, se voi aveste timore, se lei, nel momento in cui è andato a fare quanto serviva dal punto di vista formale, nutrisse timore e paura per lei stesso, per la incolumità sua o di altri.
  In questo contesto mi permetto di fare un collegamento. Giustamente avete subito effettuato una verifica su quali altre persone si potevano in qualche modo trovare in quelle situazioni e avete operato affinché dei colleghi di Giulio, in particolare uno che svolgeva una relazione molto simile, tornassero a casa il più presto possibile. Comprendo benissimo il perché, ma mi piacerebbe molto che lei mi dicesse quali valutazioni sono state effettuate rispetto a questo quadro. Vi era anche qui un timore importante per l'incolumità di queste persone?
  Le pongo poi una domanda molto personale, a cui capirei benissimo se lei decidesse di non rispondere. Perché ha presentato domanda di trasferimento? Nel momento in cui si è svolta questa situazione lei giustamente ha detto: «Ormai era arrivato il quarto anno di servizio, era il momento, anche per motivazioni di carattere personale, in cui mi sono sentito di chiedere di essere trasferito». Sono stati trasferiti un po' tutti i componenti della nostra rappresentanza diplomatica al Cairo in quel periodo e a me questo dà da pensare. Perché vi abbiamo trasferito tutti? Qual era la motivazione di fondo? Vi poteva essere anche qui un dato che potesse far pensare che vi era pericolo per l'incolumità del nostro personale e di conseguenza l'esigenza assoluta di assicurarne la ragionevole sicurezza, la ragionevole certezza di non correre pericoli?
  Un'ultima questione. A me ha sempre lasciato colpito il fatto che noi, come Ambasciata, non sapessimo alcunché sul fatto che Giulio fosse in Egitto, che non avessimo dati, che non avessimo fatto la registrazione e non avessimo avuto modo in alcun modo, mi scusi il gioco di parole, di essere in grado di anticipare queste situazioni, e anche di mandare degli alert. Naturalmente il mio ragionamento è «a babbo morto», quindi è estremamente più semplice. Mi pare tanto strano. L'Egitto oggi non è un Paese particolarmente virtuoso, ma non lo era neanche all'epoca. Di conseguenza, quale può essere la motivazione per cui noi potessimo avere questa «superficialità» – lo metto tra virgolette – nel trattamento di tali dati? Mi fermo qui, perché mi pare di averla già tediata abbastanza. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Pettarin. Prima di dare la parola al collega Turri, ricordo che anche i colleghi possono modulare la possibilità di fare domande nella parte segreta e ovviamente è discrezione dell'audito scegliere in quale parte intende rispondere.Pag. 9 Alla fine di questo primo giro di domande in seduta pubblica, ne faremo un altro in seduta segreta. Prego, collega Turri.

  ROBERTO TURRI. Anche io ringrazio il dottor Bonvicini per la sua presenza e per la relazione, anche se devo dire che non aggiunge molto rispetto alla ricostruzione dei fatti che abbiamo già letto o sentito in questa Commissione. Come ha detto il collega che mi ha preceduto, anche a me sembra strano che l'Ambasciata non sapesse nulla della presenza di Giulio. Lei ha detto giustamente che Giulio non si era registrato e quindi che non potevate raggiungerlo con i messaggi di alert, però è anche vero che proprio per l'attività che Giulio svolgeva sul posto, anche a me, a dire la verità, sembra strano che non si sapesse nulla. Legandomi a questo, vorrei anche io riportarla ai momenti iniziali. Seguendo il suo racconto, appena vi è stato segnalato che Giulio era scomparso, vi siete subito attivati denunciando la scomparsa. Lei ha detto che fin da subito ha avvertito una certa reticenza da parte delle forze di polizia. Non sapevano chi fosse ed era scomparso da poco: anche se capitasse qui di andare a denunciare la scomparsa di qualcuno, a volte magari inizialmente si potrebbe pensare a motivi che non sono drammatici, che sia successa qualsiasi cosa e non si avverte subito il rischio che sia accaduto qualcosa di eclatante. Voi, malgrado non sapeste nulla di cosa facesse Giulio – perché, come diceva lei prima, non si sapeva – subito vi siete preoccupati che l'atteggiamento della polizia, delle forze dell'ordine, fosse strano. Volevo capire quali fossero questi elementi che lì per lì vi hanno fatto subito pensare che la situazione fosse strana, perché questo elemento mi sfugge. Ci si potrebbe chiedere: «Perché subito si è pensato che ci fosse qualcosa sotto?». Volevo quindi che chiarisse questo aspetto.
  Ho un'altra considerazione. Le varie università, che mandano lì gli studenti, come si comportano nei loro confronti? Non danno indicazioni su cosa sia meglio fare? Mi riferisco in particolare all'Università di Cambridge, ma anche alle altre università, italiane o di altri Paesi, perché se si manda in quel Paese uno studente a fare quel tipo di studi sui sindacati indipendenti, che già di per sé è un tema rischioso, l'università dovrebbe preoccuparsi di tutelare nel modo migliore gli studenti e quindi dovrebbe dare le indicazioni del caso. Sappiamo già che se andiamo in alcuni Paesi è opportuno registrarsi e stare attenti a qualsiasi cosa, però l'università dovrebbe dare indicazioni specifiche. Volevo capire se lo fanno, se in questo caso non lo hanno fatto e come si comportano generalmente con gli studenti che inviano lì. Grazie.

  PRESIDENTE. La parola al collega Ungaro. Poi facciamo un primo giro di risposte.

  MASSIMO UNGARO. Grazie, presidente. Sarò breve, perché alcune domande sono già state poste dai colleghi. Ringrazio il dottor Bonvicini per la sua relazione, ma soprattutto per come ha agito in questa drammatica vicenda. Credo che sia stato un esempio di serietà per aver agito con grande consapevolezza della gravità della situazione. Quindi se posso esprimere un ringraziamento per il suo operato, ci tenevo a farlo qui.
  Ho una domanda molto breve. Lei dice che è stato molte ore a cercare di sporgere la denuncia alla centrale di polizia di Dokki. Nella scorsa audizione in Commissione i procuratori della Repubblica hanno fatto riferimento a un teste, il teste «Delta», il quale riferisce di aver visto Giulio alla stazione di Dokki verso le 20 del 25 gennaio. Se non erro, si tratta della stessa stazione in cui lei è stato per tante ore il giorno dopo. Il 26 gennaio, giusto? Non so come operano i servizi egiziani di intelligence, non so se comunicano con la polizia, però sembra che Giulio sarebbe passato in quella stazione poche ore prima che lei ci si recasse con il coinquilino El Sayed, con l'amica Noura Wahby e con Gennaro Gervasio. Quindi proprio quei poliziotti che la facevano aspettare e che le dicevano che non sapevano chi fosse Giulio, forse l'avevano visto solo poche ore prima. Le chiedo se lei possa elaborare di più come gli atteggiamenti delle forze di polizia, ma anche delle figure del governo, a cui ha fatto riferimento, fossero diversi da quelli che avevano tenuto negli altri casi di scomparsa di nostri connazionali. Non so se lei ha qualche altro elemento da darci su questo aspetto.Pag. 10
  Infine, dato che lei si trovava lì in quei giorni, il ritrovamento del corpo di Giulio sembra essere la parte misteriosa di tutta questa vicenda, perché far ritrovare il corpo o è un errore o un segnale, nel senso che, se veramente la tesi è che siamo davanti a un caso di terrorismo di Stato, ovvero come sembra a tutti gli effetti, che sia stato rapito, torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziane, far ritrovare il corpo sembra essere un po' strano. Quindi, visto che il ritrovamento sembra casuale e il fatto che voi siate stati informati dell'ubicazione del corpo nell'obitorio e che l'ambasciatore abbia potuto recarsi in quel luogo, le chiedo se veramente a lei sembra una coincidenza, grazie alle vostre fonti che avete sul territorio, o se c'era invece una volontà di farlo ritrovare? Sto cercando di capire se il ritrovamento del corpo sia stato più un errore accidentale o se sia stato voluto. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottore Bonvicini per una replica, prima di avviare la parte in seduta segreta.

  DAVIDE BONVICINI, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo. Grazie mille. Dato che alcuni argomenti sono stati sollevati più di una volta, cercherò di rispondere per temi e se dimentico qualcosa vi prego di ricordarmelo, in modo da rispondere a tutte le domande.
  Per quanto riguarda la denuncia e la sera della denuncia, come ho detto nella mia presentazione, effettivamente ho riscontrato numerose difficoltà, resistenze e reticenze da parte degli agenti presenti in commissariato e ogni volta mi venivano presentate ragioni diverse. In quel momento erano passate circa 24 ore. Io esco di casa intorno alle 10.30-11 di quella sera ed esco dal commissariato intorno alle 3 di mattina. Questo è più o meno l'arco temporale. Come dicevo, sono passate 24 ore. Ancora non immaginavo quali fossero le ragioni di questo dilazionare e del tentativo di dissuadermi dallo sporgere la denuncia. Devo anche dire che una delle ultime spiegazioni, delle ragioni che mi fu fornita, «Aspetti qualche tempo. In fondo sono passate solo 24 ore» poteva in quel momento e in quel contesto essere una ragione anche accettabile, nel senso che erano passate 24 ore e ancora non immaginavamo cosa sarebbe successo e cosa stava in realtà già succedendo.
  Anche per quanto riguarda i rapporti bilaterali, in realtà sia i canali diplomatici sia i canali di intelligence negli anni in cui ero presente – posso confermarvelo – ci hanno sempre consentito di sbloccare situazioni complicate in cui si erano ritrovati certi connazionali e ci avevano consentito nel giro di qualche ora o di qualche giorno di individuare i connazionali che magari erano stati fermati per ragioni diverse, per ragioni altre, permettendoci così di reperirli, di andarli a trovare e, di fatto, liberarli. Fino a quel momento questa collaborazione aveva funzionato in tutti i casi. In nessun altro caso durante la mia permanenza al Cairo si sono presentate fattispecie simili a quelle di Giulio. Mai.
  Sono stato accompagnato in commissariato da un collaboratore egiziano che lavora da noi in Ambasciata, un contrattista locale, anche per questioni linguistiche, affinché il mio messaggio fosse chiaro in quel momento e per avere qualcuno con me che parlava sia italiano sia egiziano, in modo da potermi aiutare a svolgere tutte le formalità. Quando arrivo in commissariato trovo, come dicevo prima, Mohamed, il coinquilino, Noura, l'amica, e Gennaro Gervasio, con cui eravamo in contatto, perché fu lui a dare per primo l'allarme all'ambasciatore Massari e fu lui il ponte con Noura e Mohamed. Anche lì in quel momento ricordo molto bene la scena. Ricordo che l'amica Noura, era particolarmente sconvolta, piangeva, era particolarmente tesa per ragioni che in quel momento, ribadisco, non potevano essere note a noi. In quel momento ricordo che ho stabilito con loro, tranne che con il coinquilino Mohamed, che poi non abbiamo più rivisto né sentito, un rapporto fitto, fornendo anche a Noura, nonostante fosse una cittadina egiziana e non italiana, tutta l'assistenza del caso. Sembrava molto intimorita, sembrava molto spaventata, era molto preoccupata per Giulio. Era una ragazza giovane, per cui ci siamo sentiti in quel momento di essere anche dalla sua parte e di aiutarla. Anche lì, successivamente, sono emersi elementi sul Pag. 11ruolo di Noura che mai e poi mai, personalmente, ma posso parlare anche per gli altri colleghi, ci saremmo aspettati.
  Se ho provato paura o timore? No. Ovviamente dal momento che va dal ritrovamento del corpo di Giulio fino all'azione che abbiamo messo in campo di rete di sicurezza con gli altri ragazzi – passatemi il termine essendo tutti giovani studenti e freelance – la priorità era quella di metterli tutti in sicurezza. Il quadro era completamente cambiato nel momento in cui, purtroppo, siamo arrivati al tragico epilogo. In quel momento la nostra assoluta priorità era di creare una rete di sicurezza estesa e inclusiva, cercando di raggiungere il più possibile tutti coloro che fossero simili a Giulio per esperienze professionali, di ricerca, di presenza al Cairo, quindi tutto quel mondo, tutta quella galassia di ricercatori, freelance e studiosi che potevano anche loro, probabilmente, cadere in una rete di questo tipo. Quindi per quello che abbiamo fatto in quel momento non c'era la paura, in quel momento la priorità era metterli tutti in sicurezza, consigliando loro di lasciare il Paese, dato che le condizioni erano completamente cambiate.
  Sul ruolo dell'università non posso rispondere io, nel senso che quello che mi ricordo molto bene è questa azione proattiva che facevamo con tutti i connazionali con cui venivamo in contatto: «Registratevi, fateci sapere chi siete, dove siete, mandateci un messaggio, anche se non volete registrarvi sui siti istituzionali per qualunque ragione, mandate a me un messaggio, una e-mail, fatemi sapere che ci siete, che siete in Egitto e dove siete». Questa è un'azione che abbiamo fatto nel corso degli anni. Come dicevo, io sono arrivato agli inizi di giugno 2013, poche settimane prima del cambiamento di regime, quando poi fu sospesa la Costituzione, ci fu lo stato di emergenza, il coprifuoco e quant'altro. Era comunque una continuità di azione, lo facevano anche i colleghi prima di me, perché si tratta sempre di cercare di capire il più possibile chi c'è, dove sono, quali sono questi connazionali che vanno e vengono dall'Egitto a volte senza registrarsi, senza rendere nota la loro presenza e sono tanti, come dicevo prima, purtroppo sono tanti. La nostra azione è sempre quella più proattiva, con campagne pubblicitarie, tam-tam fra i presenti, per cercare di avere da tutti i connazionali presenti, a qualunque titolo, i loro contatti e la loro localizzazione. Non sempre è possibile. Lo stesso Giulio, dicevo, purtroppo non poteva avere ricevuto il nostro messaggio di allerta, perché non si era registrato e non mi risulta fosse registrato nemmeno nel 2013, quando era presente al Cairo. Sono d'accordo sul ruolo delle università, sulla pericolosità eccetera. Purtroppo però non sono in grado di rispondere a questo. È una questione che l'università doveva prendere molto seriamente. Sono totalmente d'accordo, soprattutto quando si tratta di inviare dei giovani ricercatori in Paesi, dove le condizioni politiche, sociali e di sicurezza sono complesse e complicate. La Farnesina ha un suo sito con alcuni consigli e sconsigli di viaggio per ciascun Paese. Sono informazione note. Come Ambasciata è capitato anche che ci venissero chieste informazioni e che qualche studente o qualche ricercatore, prima di venire al Cairo, si sia fatto vivo, chiedendoci come fosse la situazione politica e della sicurezza. Ovviamente noi siamo stati molto chiari e molto onesti con i connazionali che ci hanno contattato. Purtroppo, ripeto, se non ci dicono che sono presenti è difficile sapere che ci sono, soprattutto se questo tam-tam, questa rete non funziona. Se è d'accordo, presidente, sul ritrovamento del corpo, risponderei nella parte segreta.

  PRESIDENTE. Le chiederei prima una precisazione. Rispetto ad altri casi di connazionali che lei ha seguito e che, come ci ha detto, si sono risolti nel giro di un breve periodo di tempo e senza conseguenze, le volevo chiedere se avevano riguardato altri connazionali che svolgevano ricerca o che avevano a che fare con questioni in qualche modo politiche o se si trattava di altre fattispecie. Soprattutto le chiedo se in questi casi fosse stato riscontrato l'uso di violenza durante la fase di fermo e di trattenimento.

  DAVIDE BONVICINI, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo. No, non mi risultano. Nessuno dei casi a cui ho fatto riferimento in precedenza aveva riguardatoPag. 12 ricercatori o studenti – se non erro perché non mi occupavo direttamente di questioni consolari, ma seguivo questi casi di connazionali. Le ragioni dei fermi riguardavano altre fattispecie di reato secondo gli egiziani. Mi perdoni, qual era la seconda parte della domanda?

  PRESIDENTE. Se ha riscontrato l'uso di violenza durante queste attività di fermo.

  DAVIDE BONVICINI, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo. No. In nessun caso è risultato che sia stata fatta violenza sui connazionali fermati.
  Una cosa su cui mi sono dimenticato di rispondere è il perché ho fatto domanda di trasferimento. Come dicevo, ero ormai entrato nel mio quarto e ultimo anno di permanenza al Cairo, per cui era arrivato il momento di trovare una nuova sede. Normalmente abbiamo dei mandati di tre o quattro anni. Quello era il mio quarto e ultimo anno, per cui decisi, per ragioni professionali, di trovare una nuova sede diplomatica, come era naturale che fosse dopo il termine del mio mandato in Egitto. Decisi anche per ragioni personali perché, come dicevo, il caso ormai si era incardinato sul binario investigativo, quindi il nostro ruolo in quel momento era proprio quello di facilitare i contatti fra autorità giudiziarie. Il mio trasferimento è avvenuto quando il caso si era già incardinato su quel binario. Sì, anche per ragioni personali: il rapporto di fiducia reciproca che era stato pazientemente creato con gli egiziani, e a cui nel mio settore, come Primo Segretario, avevo contribuito a costruire negli anni dal 2013 in poi, purtroppo era ormai completamente compromesso e aveva lasciato spazio solo a sospetti, rabbia e frustrazione. Per la combinazione di questi aspetti, temporale, professionale e umano, ho pensato fosse meglio trovare una nuova sede.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

(La Commissione prosegue in seduta segreta).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (La Commissione prosegue in seduta pubblica).

  Ringrazio il dottor Bonvicini per la preziosa collaborazione e ancora una volta per la sua disponibilità immediatamente manifestata alla Commissione, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.