XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni

Resoconto stenografico



Seduta n. 23 di Martedì 1 dicembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, di Riccardo Pisillo Mazzeschi e Sergio Marchisio, docenti di diritto internazionale:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 
Pisillo Mazzeschi Riccardo , docente di diritto internazionale (intervento da remoto) ... 4 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9 
Pisillo Mazzeschi Riccardo , docente di diritto internazionale (intervento da remoto) ... 9 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 10 
Marchisio Sergio , docente di diritto internazionale (intervento da remoto) ... 10 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 13 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 13 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 14 
Ungaro Massimo (IV)  ... 14 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 14 
Pisillo Mazzeschi Riccardo , docente di diritto internazionale (intervento da remoto) ... 14 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 16 
Marchisio Sergio , docente di diritto internazionale (intervento da remoto) ... 16 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 17

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 14.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera, come convenuto in sede di Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

Audizione, in videoconferenza, di Riccardo Pisillo Mazzeschi e Sergio Marchisio, docenti di diritto internazionale.

  PRESIDENTE. Comunico che, alla luce di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre scorso, i parlamentari possono partecipare all'odierna seduta in videoconferenza, in quanto nella seduta odierna non sono previste votazioni.
  In proposito ricordo che anche ai parlamentari collegati in videoconferenza non è consentito esporre cartelli o scritte, secondo le regole ordinarie vigenti per la partecipazione alle sedute. Inoltre è necessario che i parlamentari che partecipano da remoto abbiano sempre cura di trovarsi in un luogo adeguatamente isolato da interferenze di terze persone, non essendo consentito derogare al principio regolamentare che esclude la possibilità della partecipazione di estranei ai lavori parlamentari.
  Faccio presente, per i parlamentari partecipanti da remoto, la necessità che essi risultino visibili alla presidenza, soprattutto nel momento in cui essi svolgono il loro eventuale intervento, che deve ovviamente essere udibile: la presidenza non potrà infatti dare la parola ai parlamentari non visibili o i cui interventi non siano chiaramente percepibili. A tal fine occorre dunque assicurarsi di disporre di una connessione internet stabile, evitando ad esempio di collegarsi da mezzi di trasporto in movimento, condizione che di solito rende insufficiente la stabilità e qualità della connessione stessa. Tale esigenza risulta particolarmente importante per le sedute formali, nella quali è prevista la resocontazione sommaria ovvero la resocontazione stenografica, in quanto, ovviamente, la resocontazione richiede che gli interventi siano chiaramente percepibili: per tali motivi, nel caso di insufficiente qualità della connessione, la presidenza sarà costretta a non dare o a togliere la parola all'oratore.
  Avverto che, considerate le modalità di svolgimento della seduta, pubblica per tutta la sua durata, qualora gli auditi dovessero ritenere di riferire argomenti che richiedano di essere assoggettati a un regime di segretezza, la Commissione valuterà le modalità più opportune per consentire loro di farlo in un altro momento e con diverse modalità. Informo inoltre gli auditi che, ai sensi dell'articolo 4 del regolamento interno della Commissione, alla seduta non è ammessa la partecipazione di persone estranee non autorizzate.
  Ricordo, altresì, ai colleghi presenti la prescrizione di indossare la mascherina, anche quando prenderanno la parola, come è ormai prassi in Assemblea.
  L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Riccardo Pisillo Mazzeschi e del professor Sergio Marchisio, docenti di diritto internazionale, rispettivamente presso Pag. 4l'Università degli studi di Siena e «La Sapienza» di Roma.
  L'odierna audizione fa seguito a quella svolta il 19 maggio 2020 con le ricercatrici, Martina Buscemi e Federica Violi in ordine all'eventualità di ricorrere alla Convenzione ONU contro la tortura per contestare la responsabilità internazionale dell'Egitto.
  Lo sconcertante e inquietante epilogo della cooperazione giudiziaria che si è consumato ieri in una videoconferenza tra i procuratori capo di Roma e del Cairo induce questa Commissione ad approfondire tale prospettiva che ha già iniziato a esaminare in tempi non sospetti. L'inaudita reiterazione da parte egiziana, ormai a quasi cinque anni dalla vicenda drammatica che ha coinvolto Giulio Regeni, del più incredibile ed efferato tentativo di depistaggio che la stessa magistratura cairota aveva a suo tempo rapidamente abbandonato, mostra in tutta evidenza la compromissione del regime del presidente al-Sisi nella morte di Giulio Regeni. Come è emerso nell'Ufficio di presidenza integrato dei gruppi che ho convocato d'urgenza prima di questa audizione e che si è appena concluso, senza fatti nuovi a breve termine, veramente difficili da prevedere per noi, riteniamo che il Governo debba assumere un'iniziativa politica che sia coerente con l'impegno assunto con la famiglia Regeni e con tutta l'opinione pubblica per la ricerca della verità e della giustizia. Questa è una posizione che io esprimo qui oggi a nome di tutta la Commissione.
  Invito pertanto il professor Pisillo Mazzeschi a svolgere la sua relazione. Solo una precisazione: abbiamo tempi non strettissimi, ma contingentati in relazione alla prossima ripresa dei lavori in Assemblea. Vi invito pertanto a mantenervi nell'ambito di un quarto d'ora ciascuno per la relazione. Grazie.

  RICCARDO PISILLO MAZZESCHI, docente di diritto internazionale (intervento da remoto). Cercherò di svolgere la relazione in un quarto d'ora. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per l'invito a questa audizione sulle questioni di diritto internazionale sollevate nel caso Regeni. Ho letto varie audizioni precedenti, specie quella delle colleghe Buscemi e Violi e condivido molto la loro relazione. Cercherò di ripetere alcune cose e di aggiungere qualche osservazione. Premetto che mi occuperò soprattutto della possibile responsabilità internazionale del governo egiziano. La mia relazione è stabilita in tre parti: la prima, breve, sulle norme applicabili; la seconda sulle violazioni da parte dell'Egitto; nella terza parte introdurrò il tema delle possibili azioni del governo italiano e anche di altri soggetti, lasciando poi la parola per un approfondimento su questo punto al collega Marchisio.
  Le norme di diritto internazionale applicabili sono diverse. Innanzitutto, vi sono le norme consuetudinarie sulla protezione degli stranieri che impongono allo Stato territoriale di proteggere gli stranieri presenti nel proprio territorio da qualsiasi offesa alla persona. La violazione comporta una responsabilità dello Stato territoriale verso lo Stato di nazionalità della persona offesa. Abbiamo poi la norma consuetudinaria che protegge il diritto alla vita delle persone e che vieta allo Stato territoriale dove avvengono i fatti tutti i comportamenti che si risolvono in una privazione arbitraria della vita di ogni persona, quindi cittadini o anche stranieri presenti nel proprio territorio. È una norma fondamentale del diritto internazionale che ha carattere di ius cogens, cioè è assolutamente inderogabile ed è al vertice della gerarchia delle fonti. Essa stabilisce inoltre obblighi nei confronti di tutti gli Stati, quindi lo Stato territoriale per la sua violazione sarebbe responsabile non solo verso l'Italia, in questo caso, ma anche verso tutti gli altri Stati.
  Vi è poi la norma consuetudinaria sul divieto di tortura e di trattamenti o pene inumane o degradanti. La tortura è il reato più grave che qui ci interessa. Di nuovo, la norma vieta allo Stato territoriale tutti i comportamenti giuridicamente definiti come tortura nei confronti di ogni persona, cittadino o straniero presente nel territorio, e anche questa è una norma di ius cogens che stabilisce obblighi nei confronti tutti gli Stati. Il divieto di tortura è un obbligo cosiddetto assoluto, cioè non può essere sottoposto a nessun limite o restrizione ed Pag. 5è anche inderogabile in situazioni di guerra o di emergenza nazionale. Vorrei insistere su questo punto: la tortura è considerata dal diritto internazionale un illecito gravissimo, la violazione di un valore di importanza fondamentale per tutta la comunità internazionale.
  Abbiamo poi la Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, di cui hanno parlato anche le dottoresse Violi e Buscemi, ed è molto rilevante nel caso Regeni. Io l'ho citata per ultima, perché è un trattato internazionale e quindi una norma particolare. Sono partito dalle norme più generali, però, ai nostri fini, questa Convenzione contiene le norme più importanti, perché hanno il vantaggio, rispetto alle altre, di essere norme scritte e con un contenuto più preciso ed è quindi molto più facile stabilire la loro eventuale violazione. Tutte queste norme possono essere usate in maniera cumulativa, ovvero una non esclude l'altra.
  Passiamo alla seconda parte sugli obblighi dello Stato egiziano e le loro possibili violazioni nel caso Regeni. Qui sono d'accordo con quanto detto da Buscemi e Violi, nel senso che si possono ipotizzare da parte dell'Egitto violazioni di quattro obblighi diversi. Il primo e il più grave è l'obbligo, cosiddetto negativo, di non torturare e di non uccidere arbitrariamente una persona ed è un obbligo che si impone a tutti gli organi dello Stato egiziano, cioè a tutte le persone che fanno parte dell'apparato di governo e amministrativo, inteso in senso lato e quindi agenti di polizia, agenti dei servizi segreti, militari e giudici. Non rileva che questi individui abbiano agito nell'esercizio delle proprie funzioni ufficiali oppure anche ultra vires, cioè non rispettando gli ordini o al di fuori delle loro funzioni. Lo Stato egiziano è direttamente responsabile per il comportamento di tutti gli organi. Venendo al caso Regeni, se si volesse essere estremamente prudenti, si può anche dire che non risulta finora dimostrato con un'assoluta sicurezza che Giulio Regeni sia stato direttamente torturato e ucciso da organi dello Stato egiziano. Tuttavia dalle audizioni dei procuratori Prestipino e Colaiocco e anche dagli ultimi fatti, emerge chiaramente che sono indiziate di reato cinque persone appartenenti alla National Security egiziana, quindi questi sono organi dello Stato egiziano. In un'eventuale azione del governo italiano contro l'Egitto l'accusa di aver violato direttamente l'obbligo di non torturare e non uccidere arbitrariamente dovrebbe essere avanzata, quantomeno in via di ipotesi.
  Vi è poi tutta una serie di altri obblighi, partendo anche dal presupposto che non si riesca a dimostrare la responsabilità degli agenti della National Security egiziana, ma che la tortura e l'omicidio siano stati commessi da privati. Questo non significa che l'Egitto non sia responsabile, perché l'Egitto ha un obbligo di prevenzione, cioè lo Stato egiziano, sempre tramite i suoi individui-organi, deve prendere volta per volta tutte le misure operative richieste dalle circostanze per prevenire le violazioni, cioè l'uccisione arbitraria e un atto di tortura. Quindi lo Stato egiziano avrebbe dovuto attivarsi se sapeva, o anche se solo avrebbe dovuto sapere, viste le circostanze, che vi era un pericolo che venissero commessi questi abusi nei confronti di Regeni. Queste sono norme consuetudinarie, ma c'è anche un articolo preciso, ovvero l'articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione del 1984 che prevede espressamente che ogni Stato Parte deve prendere provvedimenti efficaci per prevenire e impedire atti di tortura nel proprio territorio. Anche qui ci si deve chiedere se l'Egitto abbia violato o no questi obblighi di prevenzione. La risposta non è sicura. Da una parte risulta che Giulio era tenuto sotto stretta osservazione da parte dalla National Security, che nel giorno della sua sparizione vi era nella zona un notevole apparato di sicurezza. Inoltre, dopo la scomparsa del 25 gennaio, evidentemente gli obblighi di prevenzione e di sorveglianza da parte dell'autorità di polizia si sarebbero dovuti rafforzare moltissimo. Quindi, secondo me, si potrebbe concludere che le autorità egiziane fossero in grado comunque di prevenire i crimini commessi contro Giulio, sempre che non fossero stati direttamente gli agenti dei servizi segreti. Si può anche qui esprimere Pag. 6qualche dubbio sul fatto che non sia stato dimostrato con assoluta sicurezza che le autorità egiziane sapessero che Regeni poteva subire violenze. Quindi anche in questo caso un'azione del governo italiano contro l'Egitto dovrebbe contenere l'accusa di violazione degli obblighi di prevenzione, quantomeno in via di ipotesi.
  La terza categoria riguarda gli obblighi di indagare sulla tortura e sull'uccisione arbitraria. Qui mi sento di dire che, secondo il mio parere, la violazione di questi obblighi da parte dell'Egitto mi sembra dimostrata. Su questo punto non concordo totalmente con la relazione delle colleghe Buscemi e Violi che esprimevano qualche dubbio né concordo con quanto detto recentemente a questa Commissione dal senatore Renzi, che invece parlava di una collaborazione iniziale da parte dell'autorità egiziana. Le norme sul divieto di tortura e di privazione arbitraria della vita contengono molti obblighi di repressione. In particolare, lo Stato territoriale, quindi l'Egitto, deve indagare in maniera rapida ed efficace quando si verifica un caso di tortura o di privazione arbitraria della vita nel proprio territorio, deve cercare di identificare e catturare i colpevoli e in caso positivo li deve processare e punire. Il contenuto esatto di questo obbligo di indagare è stato definito molto bene da una assai ampia prassi e giurisprudenza internazionale che dice che lo Stato deve condurre indagini effettive e adeguate, che non ci devono essere lacune, che gli organi statali che indagano devono essere indipendenti e imparziali, che non ci deve essere un atteggiamento di inerzia o di acquiescenza delle autorità inquirenti, che le attività istruttorie devono essere rapide e approfondite. Quindi l'obbligo di investigazione è molto preciso ed è stabilito espressamente anche dalla Convenzione del 1984. Infatti l'articolo 12 recita che: «Ogni Stato Parte provvede affinché le autorità competenti procedano immediatamente a un'inchiesta imparziale, quando vi siano ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione». Altri articoli della Convenzione ribadiscono questi obblighi di investigazione. Alla luce di queste norme, a me sembra, come ho detto prima, che lo Stato egiziano abbia sicuramente violato il proprio obbligo di investigare in maniera adeguata sui fatti della tortura e dell'omicidio di Regeni.
  Sono passati ormai quasi cinque anni dalla morte di Giulio, nei quali si è palesata l'inefficienza delle autorità investigative egiziane ed emerge, anche dalle audizioni dei procuratori della Repubblica, un quadro sconcertante sulle carenze, sui ritardi e sulle lacune delle indagini. A mio avviso si può anche parlare di comportamenti ostruttivi delle indagini. Si pensi all'autopsia non veritiera effettuata al Cairo, ai vari tentativi di depistaggio, l'ultimo è di questi giorni, ai buchi orari nei video e così via. Secondo me, almeno su questo punto, un'eventuale azione del governo italiano contro l'Egitto avrebbe un fondamento molto solido.
  L'ultimo obbligo è quello sulla cooperazione giudiziaria tra l'Italia e l'Egitto, che deriva, come corollario necessario, dall'obbligo di indagare, di cui ho detto prima, ma si potrebbe anche pensare che sia un obbligo autonomo, come per esempio secondo l'opinione di Buscemi e Violi. Le cose non cambiano molto, perché esiste sempre un obbligo di cooperazione giudiziaria tra l'Italia e l'Egitto per gli atti di tortura. Su questo obbligo di cooperazione devo esprimere con rispetto un dissenso da quanto ha affermato il procuratore Prestipino, che ha sostenuto l'inesistenza di trattati di cooperazione giudiziaria tra Italia ed Egitto. È vero che non ci sono trattati bilaterali, ma di nuovo la Convenzione del 1984 è molto esplicita sull'obbligo di cooperazione giudiziaria. Cito l'articolo 9, perché è breve: «Gli Stati Parti prestano l'assistenza giudiziaria più vasta possibile in qualsiasi procedimento penale relativo ai reati previsti nell'articolo 4 – cioè la tortura – compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova disponibili e necessari ai fini del procedimento». Alla luce dei fatti emersi dai media e dalle audizioni, mi sembra anche qui dimostrata con sicurezza la violazione dell'obbligo di cooperazione giudiziaria da parte delle autorità egiziane e quindi da parte dell'Egitto e di nuovo, anchePag. 7 su questo punto, un'eventuale azione del governo italiano avrebbe un fondamento solido. Concludendo, a mio avviso, l'Egitto ha comunque commesso un illecito internazionale nei confronti dell'Italia, e anche nei confronti della famiglia Regeni e anche, almeno per alcuni obblighi, nei confronti di altri Stati. Questo ora non ci interessa, però anche altri Stati potrebbero intervenire.
  Passo rapidamente alla terza parte, che poi proseguirà il collega Marchisio, relativa alle azioni possibili contro l'Egitto, ma anche contro gli individui e gli organi egiziani che sono indagati. Si possono ipotizzare tre tipologie di azioni. La prima è un'azione penale da parte dei procuratori della Repubblica di Roma dinanzi ai giudici italiani contro gli individui ritenuti responsabili, e probabilmente quest'azione partirà; la seconda è una possibile azione civile dei genitori di Giulio Regeni dinanzi ai giudici italiani contro lo Stato egiziano; la terza consiste in varie azioni a livello internazionale del Governo italiano contro lo Stato egiziano. Dico subito che queste ultime azioni sono quelle più importanti e più promettenti sul piano giuridico e credo di maggiore interesse per codesta Commissione. Ma ne parlerò alla fine in sintesi, perché poi verranno approfondite dal collega Marchisio, secondo quanto abbiamo concordato fra di noi.
  Un rapido cenno all'azione penale in Italia contro i cinque agenti della National Security. Abbiamo saputo in questi giorni che i procuratori della Repubblica di Roma si appresterebbero a rinviare a giudizio queste cinque persone appartenenti alla National Security. Naturalmente questo fatto è positivo, perché un eventuale processo in Italia potrebbe essere utile per fare giustizia e per accertare la verità; però non ci nascondiamo vari ostacoli, come l'eventuale contumacia degli imputati o i mezzi di prova disponibili in Italia, che sono limitati. Inoltre, dal punto di vista del diritto internazionale, bisogna fare attenzione, perché la difesa degli imputati potrebbe eccepire l'immunità di queste persone dalla giurisdizione penale italiana, sulla base di una norma consuetudinaria del diritto internazionale che attribuisce la cosiddetta immunità funzionale, cioè in uno Stato non si possono giudicare individui-organi di un altro Stato che hanno agito nell'esercizio delle loro funzioni, anche commettendo reati ovviamente. Questo è un po' paradossale, ma notate che questa norma sull'immunità degli organi stranieri è stata di recente invocata proprio dall'Italia nel caso dei marò e questa tesi dell'Italia è stata anche accettata dal Tribunale arbitrale internazionale; quindi Italia stessa sostiene l'esistenza di questa norma sull'immunità degli organi stranieri. Ora però è anche vero che la prassi internazionale contemporanea è orientata a favore di un'eccezione di queste immunità nei casi più clamorosi, cioè quando gli agenti stranieri abbiano commesso dei crimini internazionali, tra i quali rientrano anche le pratiche di tortura. Cito le famose sentenze della Camera dei Lord inglese nel caso Pinochet, che erano relative al capo di Stato cileno accusato di tortura. La Camera dei Lord disse che in questi casi l'immunità non poteva essere invocata. Resta il fatto che un eventuale processo penale in Italia contro gli agenti dei servizi segreti egiziani presenta molte incognite.
  Sarebbe poi possibile, lo dirò molto rapidamente, un'azione civile in Italia dei genitori di Giulio Regeni contro l'Egitto, perché l'illecito è stato commesso anche nei confronti della famiglia Regeni. I genitori di Giulio potrebbero proporre dinanzi al Tribunale di Roma un'azione civile, questa volta contro lo Stato egiziano, volta a ottenere una riparazione, che potrebbe consistere non solo in un risarcimento monetario, ma anche in altre forme di riparazione. Azione anche questa che tenderebbe soprattutto a cercare di accertare la verità dei fatti. Anche un processo civile in Italia consentirebbe ai giudici italiani di accedere a quei mezzi di prova che finora sono stati affidati alla scarsa collaborazione delle autorità egiziane. Ma anche un'azione civile in Italia contro lo Stato egiziano presenta delle difficoltà: la competenza giurisdizionale dei giudici italiani è incerta e, per quanto riguarda l'immunità, questa volta sarebbe lo Stato egiziano a poterla invocare.Pag. 8 A mio avviso queste difficoltà potrebbero essere superate, però resta il fatto che finora la famiglia Regeni non ha ritenuto di percorrere questa strada.
  Arrivo all'ultimo punto, cioè alle azioni del governo italiano contro l'Egitto. Questo è il tema più importante. Partendo dal mio presupposto che l'Egitto abbia commesso un illecito internazionale, è chiaro che l'Italia può intraprendere tutta una serie di azioni contro l'Egitto che vanno dalla richiesta di scuse ufficiali alla richiesta di una riparazione, alla richiesta di istituire commissioni internazionali di inchiesta o di conciliazione – cosa che ritengo più interessante – e addirittura a contromisure cosiddette «pacifiche», come l'interruzione dei rapporti commerciali e dei rapporti diplomatici. Su queste azioni non mi dilungo perché penso che ne parlerà il professor Marchisio.
  Intendo sottolineare un fatto. A mio parere le azioni finora intraprese dal governo italiano non possono essere considerate come esercizio della protezione diplomatica, né come l'invocazione della responsabilità dell'Egitto. Non risulta che l'Italia abbia mai formalmente invocato la responsabilità dell'Egitto o abbia chiesto una riparazione dell'illecito. Le misure finora prese sono misure che possono essere poco amichevoli, ma non vanno oltre. Il primo passo del governo italiano dovrebbe essere quello di inviare al governo egiziano una nota ufficiale che lamenti una violazione della Convenzione del 1984 e del diritto internazionale sotto i profili che ho indicato. Vorrei fare un'altra precisazione: lo scopo di qualsiasi azione contro l'Egitto, a mio avviso, non deve essere quello di ottenere né un riconoscimento della violazione né un mero risarcimento monetario, ma di arrivare in fondo alla verità dei fatti e individuare i responsabili. Quindi dissento di nuovo con il senatore Renzi e ritengo che adesso siano inutili ulteriori tentativi di collaborazione diplomatica con l'Egitto o di pressione di carattere diplomatico verso l'Egitto. A mio avviso, ora si devono prendere in considerazione soltanto quelle azioni del governo che portino a una commissione internazionale di inchiesta o a un arbitrato o comunque a un accertamento di tipo giudiziale, cioè un organismo internazionale che abbia il potere istruttorio di accertare i fatti e le responsabilità. Una commissione internazionale d'inchiesta e di conciliazione avrebbe, per esempio, un potere istruttorio molto maggiore e più forte rispetto alla Procura della Repubblica di Roma o al Tribunale civile di Roma. Questo secondo me è lo strumento migliore per cercare finalmente la verità. Questo strumento esiste e ne parlerà meglio il professor Marchisio: è la procedura di risoluzione delle controversie prevista dall'articolo 30 della Convenzione contro la tortura. Questa è la strada maestra che il governo italiano dovrebbe decidersi a intraprendere, visto ormai il totale crollo di fiducia nelle indagini e nella collaborazione da parte delle autorità egiziane. A mio avviso, esprimo un giudizio personale, un'ulteriore inerzia del governo italiano nell'iniziare un'azione a livello internazionale contro l'Egitto mi sembra ingiustificabile da un punto di vista giuridico e morale. Non entro ovviamente nelle considerazioni di carattere geopolitico che non mi interessano. Questa procedura sarà approfondita dal professor Marchisio.
  L'ultimo punto, se il presidente mi consente, – un punto importante che era già stato brevemente toccato durante l'audizione delle colleghe Buscemi e Violi – riguarda una questione in un certo senso preliminare. Lo Stato italiano ha solo una facoltà discrezionale oppure un vero e proprio obbligo di agire contro l'Egitto nell'esercizio della protezione diplomatica? È abbastanza chiaro che, secondo il diritto internazionale tradizionale, il diritto di protezione diplomatica è un diritto dello Stato e non dell'individuo e quindi lo Stato può esercitarlo o no in maniera discrezionale. Però bisogna fare attenzione, perché questa regola sta cambiando e sta cambiando abbastanza rapidamente. È già stato citato il progetto di articoli sulla protezione diplomatica, che è una codificazione della materia fatta dalle Nazioni Unite nel 2006. L'articolo 19 di questo Progetto dice, traduco un pezzo dall'inglese, che uno Stato legittimato alla protezione diplomatica dovrebbePag. 9 prendere in dovuta considerazione questa possibilità, specialmente quando si è verificata un'offesa significativa, come la tortura.

  PRESIDENTE. Professore, dovrebbe riattivare la webcam. Grazie, può continuare da dove l'ho interrotta.

  RICCARDO PISILLO MAZZESCHI, docente di diritto internazionale (intervento da remoto). Secondo l'articolo 19 del Progetto – progetto che non è ancora un trattato, però è importante come tentativo di codificazione della materia – uno Stato dovrebbe esercitare la protezione diplomatica quando c'è un danno significativo e quando le persone offese lo chiedono. Si noti che l'articolo 19 è stato adottato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite per rispondere ad alcune proposte che avevano carattere ancora più innovativo. Cito solo quella dell'Italia, perché è quella che ci interessa di più. Nei primi mesi del 2006, il governo italiano aveva ufficialmente presentato alla Commissione, quindi nell'ambito delle Nazioni Unite, una proposta che stabiliva un'eccezione alla discrezionalità dello Stato in alcuni casi ben individuati. Mi permetto di leggerla brevemente. La proposta italiana diceva: «Uno Stato ha un obbligo giuridico di esercitare la protezione diplomatica del proprio cittadino offeso all'estero, se l'offesa risulta da una grave violazione di un obbligo internazionale di importanza essenziale per la tutela della persona umana, come la protezione del diritto alla vita, il divieto di tortura o di trattamento inumano o degradante, il divieto di schiavitù e la discriminazione razziale». Quindi venivano individuate fattispecie gravissime in cui lo Stato ha un obbligo di esercitare la protezione diplomatica. Poi la proposta prosegue: «Se inoltre la persona offesa non ha la possibilità di presentare un ricorso dinanzi a una Corte o a un Tribunale internazionale», cosa che per i Regeni non è possibile. La proposta diceva anche che: «Nei casi suddetti gli Stati sono obbligati a prevedere nel proprio diritto interno l'attuazione del diritto individuale alla protezione diplomatica dinanzi ai giudici interni o ad altre autorità indipendenti». Addirittura in questi casi la persona offesa ha il diritto di chiedere ai tribunali interni che lo Stato eserciti la protezione diplomatica. L'Italia, come si vede, addirittura proponeva nel 2006 davanti alle Nazioni Unite che ogni Stato avesse l'obbligo di esercitare la protezione diplomatica dei propri cittadini quando avevano subìto violazioni del diritto alla vita o del divieto di tortura. Alla luce di questa proposta, devo notare con rammarico che il governo italiano nel caso Regeni ha totalmente dimenticato, o volutamente ripudiato, ciò che sosteneva nel 2006 nell'ambito delle Nazioni Unite. Per fare solo un paragone, in questi giorni una condotta più coerente e coraggiosa è stata tenuta dal governo dei Paesi Bassi che ha deciso di invocare la responsabilità della Siria per atti di tortura e di mettere in moto la procedura prevista proprio dalla Convenzione del 1984 e, attenzione, per atti di tortura commessi non solo contro persone olandesi, ma anche contro persone non olandesi. Il paragone con il nostro governo salta agli occhi di tutti.
  Vi sono poi anche sviluppi del diritto interno italiano. Li accenno soltanto. Nel 2001 la Corte di cassazione ha riconosciuto l'interesse legittimo di un individuo a richiedere la protezione diplomatica al proprio Stato – non un vero e proprio diritto, ma l'interesse legittimo. La Corte costituzionale ha affermato che il rispetto dei princìpi fondamentali della Costituzione Italiana, come i diritti umani fondamentali, consente di disapplicare le norme internazionali che siano contrarie a questi princìpi; e quindi si potrebbe sostenere che forse, con un po' di audacia, nel caso Regeni la discrezionalità del governo italiano nell'esercitare la protezione diplomatica, cioè un'azione internazionale contro l'Egitto, è venuta meno. Quindi la famiglia Regeni potrebbe addirittura far valere dinanzi ai giudici italiani la pretesa che il governo italiano intraprenda un'azione internazionale contro l'Egitto. La famiglia Regeni ha dimostrato molta dignità in questa vicenda e anche fiducia nel governo italiano e nel Ministero degli affari esteri. Pag. 10Dico la verità, io al loro posto sarei stato molto più aggressivo. Apprezzo questa grande prova di dignità, però secondo me si potevano anche intraprendere altre azioni.
  Concludendo, mi permetto di suggerire che la Commissione parlamentare di inchiesta solleciti fortemente il Governo italiano e il Ministero degli affari esteri a inviare una nota ufficiale al governo egiziano, nella quale si lamenti una violazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, e anche del diritto internazionale consuetudinario, e ad avviare formalmente nei confronti del governo egiziano la procedura di risoluzione delle controversie prevista dall'articolo 30 della Convenzione. Secondo me, lo scopo non è tanto quello di arrivare alla fine a un arbitrato internazionale, ma quantomeno di negoziare per ottenere una Commissione internazionale di inchiesta che, certamente, senza voler sminuire i lavori di codesta Commissione, avrebbe maggiori poteri. Vi ringrazio per l'attenzione e resto a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie professor Pisillo Mazzeschi. Do la parola al professor Marchisio per la sua relazione.

  SERGIO MARCHISIO, docente di diritto internazionale (intervento da remoto). Grazie per l'invito. Essendo stato preceduto da tre colleghi internazionalisti che hanno esaurientemente trattato vari aspetti sostanziali e procedurali del caso Regeni, mi limiterò ad alcune osservazioni. Mi perdonerete le inevitabili sovrapposizioni. Sappiamo, e sapete voi meglio di noi, che il caso Regeni è un caso scomodo e quando accadde nel 2016 mi ricordai del bellissimo libro di Alaa-Al-Aswany, The Yacoubian Building, che all'epoca avevo letto, e ne vidi anche il relativo film, perché ero al Cairo come senior advisor di un progetto della Cooperazione italiana in materia di diritto ambientale. Ho subito collocato Regeni nel palazzo Yacoubian, perché quella è la storia di tante persone, alcune delle quali protagoniste di eventi tragici come sequestri, morte e tortura da parte di appartenenti alle forze egiziane di sicurezza. Un bellissimo libro che ci dà un quadro di quello che era già allora nel 2006 la situazione in Egitto e che noi vediamo continuare.
  È ovvio che con la chiusura dell'inchiesta e con il comunicato congiunto che ieri hanno adottato le due procure, inizia una fase nuova perché le reciproche posizioni delle due procure che fino a ora già erano opposte, sono state messe nero su bianco. Quello che mi colpisce di più in questo comunicato congiunto è che non ci sia nessun riferimento alla parola «tortura». Il termine è bandito, non esiste. La Procura di Roma comunica che si avvia a concludere le indagini preliminari nei confronti dei cinque indagati appartenenti agli apparati di sicurezza. Il procuratore generale d'Egitto avanza riserve sulla solidità del quadro probatorio che ritiene costituito da prove insufficienti per sostenere l'accusa in giudizio e comunica di aver raccolto prove nei confronti di quella famosa banda criminale accusata di furto e quindi di rinviare al giudice competente l'avvio di un procedimento per furto nei confronti di quelle persone, ma naturalmente estendendo le indagini anche all'identificazione dell'esecutore materiale dell'omicidio Regeni, per ora sconosciuto.
  Credo che le due procure abbiano espresso posizioni radicalmente opposte sul caso e sui suoi aspetti penali, non so come in futuro possa proseguire la collaborazione. Ho piuttosto l'impressione che, con la richiesta di rinvio a giudizio dei cinque indagati, si aprirà una serie di nuovi ostacoli al procedimento in Italia collegati all'assenza di cooperazione da parte dell'Egitto. Io credo – e in questo raccolgo il testimone di quello che diceva il collega Pisillo Mazzeschi – che il governo italiano in questa fase dovrà valutare attentamente quali azioni intraprendere per chiarire la sua posizione a livello internazionale nei confronti dell'Egitto. Il governo potrebbe continuare a seguire l'andamento della vicenda del giudizio penale contro questi individui egiziani, ma concordo pienamente con il collega Pisillo Mazzeschi che questa posizione sarebbe ingiustificata. Qui viene in rilievo la Convenzione contro la Pag. 11tortura del 1984. Se guardiamo all'attuale posizione dell'Italia e dell'Egitto dal punto di vista del diritto internazionale rispetto al caso specifico, cosa constatiamo? Constatiamo quello che ha già sottolineato l'onorevole componente della Commissione Pettarin nella seduta del 19 maggio 2020. Lui ha detto che manca la costituzione dell'oggetto del contenzioso, io dico che manca l'instaurazione di una controversia tra l'Italia e l'Egitto, controversia il cui oggetto può essere vario.
  Per costituire l'oggetto del contenzioso – per riprendere le parole dell'onorevole Pettarin – occorre instaurare una controversia internazionale con l'Egitto. Questa è una scelta che il governo deve valutare, ispirandosi ai princìpi della realpolitik o ad altri principi, ma dal punto di vista giuridico non c'è una via diversa. Il governo deve affrontare questa ulteriore fase della vicenda, a mio giudizio, trasformando progressivamente questi procedimenti di diritto interno in un procedimento a carattere internazionale. Se è vero che finora forse non lo ha fatto per non creare ostacoli alla via giudiziaria interna – non ha sollevato proteste o pretese a livello internazionale, non ha contestato violazioni all'Egitto – io credo che a questo punto il modello vada perlomeno ripensato. Non credo che un procedimento interno quale quello che si preannuncia sarà danneggiato da un'impostazione del caso a livello internazionale. I tempi, a mio avviso, sono maturi per questo passo che deve avere come oggetto l'esistenza di una controversia tra l'Italia e l'Egitto, relativa all'interpretazione e all'applicazione della Convenzione contro la tortura del 1984.
  Occorre che l'Italia precostituisca le condizioni di un eventuale futuro giudizio di fronte alla Corte internazionale di giustizia. Una controversia non si instaura dalla sera alla mattina: è un processo che richiede del tempo, degli atti e delle prese di posizione. Non dimentichiamo che l'esistenza di una controversia, come la definizione del suo oggetto, nel diritto internazionale sono elementi importanti in quanto gli accordi che disciplinano i mezzi di regolamento delle controversie – compreso l'articolo 30 della Convenzione sulla tortura – in tanto possono funzionare in quanto vi sia una controversia internazionale relativa a questo o a quell'oggetto.
  Mi riferisco solo a due recenti casi di fronte alla Corte internazionale di giustizia che hanno chiarito qual è la differenza tra una situazione in cui due Stati vanno davanti alla Corte senza che esista una controversia e quella invece in cui la controversia esista. Dalla giurisprudenza consolidata della Corte – mi riferisco ai casi Isole Marshall contro Regno Unito del 2016 e più recentemente a Gambia contro Myanmar con l'ordinanza del 23 gennaio 2020 relativa all'applicazione della Convenzione sul genocidio del 9 dicembre 1948, molto simile a quella contro la tortura – la Corte internazionale di giustizia ha avuto modo di chiarire che vi sono dei criteri perché si possa stabilire la sua competenza rispetto a un caso concreto. Innanzitutto deve esserci una controversia, e naturalmente la controversia non è il semplice conflitto di interessi tra due Paesi, ma sono degli atteggiamenti di volontà con i quali le parti nella controversia esprimono la loro volontà di far prevalere la loro posizione perché la ritengono fondata in diritto o su altre ragioni. L'Italia deve rendere palese all'Egitto che esiste un disaccordo, un'opposizione di tesi giuridiche sull'applicazione della Convenzione del 1984 alla quale ovviamente risponderà l'altra parte, rigettando questa rivendicazione o questa pretesa. Si tratterebbe di una controversia giuridica in quanto si tratta di adempimento o inadempimento di determinati obblighi internazionali. La Corte ci dice che l'esistenza della controversia è una questione di fondo non di procedura, e deve essere stabilita obiettivamente dalla Corte sulla base di un esame dei fatti. Nel caso delle Isole Marshall la Corte ha detto alle Isole Marshall che non avevano mai instaurato una controversia con il Regno Unito sul disarmo nucleare globale. Non bastavano le loro dichiarazioni in qualche organo dell'ONU, se non avevano poi avanzato determinate pretese e ottenuto delle contestazioni, delle resistenze. Nel caso del Gambia la Corte ha riconosciuto l'esistenza Pag. 12di una controversia tra Gambia e Myanmar relativa al potenziale genocidio della popolazione Rohingya.
  La coerenza è quella che vince, quando si dovesse andare a una controversia internazionale. La coerenza delle posizioni dello Stato, delle dichiarazioni, dei documenti scambiati, di quello che si è detto nelle varie conferenze e anche la qualità degli autori, perché non tutti hanno lo stesso rilievo. La Corte ci ha anche detto che l'esistenza di una controversia può essere anche dedotta dalla mancanza di reazione di uno Stato a un'accusa, in circostanze in cui tale reazione fosse necessaria. C'è poi la questione della data della controversia che deve essere sempre precedente alla presentazione di un eventuale ricorso alla Corte dell'Aia.
  Io credo – e di nuovo concordo con quanto detto prima – che l'Italia dovrebbe far noto all'Egitto che esiste e si sta progressivamente consolidando una controversia sull'interpretazione e l'applicazione della Convenzione contro la tortura e sull'applicazione degli obblighi in essa contenuti, esortando l'Egitto perlomeno a cessare di violare la Convenzione e ad adottare tutte le misure necessarie per adempiere a tali obblighi, cosa che finora non pare aver fatto. Perché ricorrere alla Convenzione contro la tortura del 1984? Perché evidentemente, come diceva il professor Pisillo Mazzeschi, è quella più facilmente utilizzabile in un caso come questo. La Convenzione si occupa di controversie aventi ad oggetto casi di tortura e perché sussistono i limiti previsti. Quando parliamo di controversia inerente all'interpretazione e all'applicazione delle norme della Convenzione, dobbiamo riferirci a quello che si diceva prima in materia di violazioni degli obblighi della Convenzione. Non voglio entrare nel dettaglio, perché lo hanno già fatto i colleghi che mi hanno preceduto, ma se si legge la Convenzione contro la tortura cominciando dall'articolo 2 fino all'articolo 12, troviamo situazioni e comportamenti dell'Egitto che paiono patentemente in contrasto con questi obblighi: l'obbligo di impedire che atti di tortura siano compiuti sul suo territorio adottando misure adeguate, tra cui quelle giudiziarie; l'obbligo di adottare i provvedimenti necessari per stabilire la competenza per conoscere dei reati in questione; l'obbligo di procedere immediatamente a un'inchiesta preliminare per stabilire i fatti; l'obbligo di accordare assistenza giudiziaria più vasta possibile in qualsiasi procedimento penale relativo ai reati di tortura, compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova disponibili e necessari ai fini del procedimento. Sarebbe un passo sconsiderato questo? Io credo di no, data l'importanza della questione al centro del caso Regeni. Vi sono tre aspetti importanti.
  C'è il fatto, ampiamente sottolineato, che la Convenzione contro la tortura del 1984 è una di quelle particolari convenzioni internazionali in cui gli Stati contraenti non difendono solo interessi propri, ma difendono interessi collettivi, comuni a tutti gli Stati che ne fanno parte. L'azione dello Stato per fare in modo che chi ha commesso atti di tortura non resti impunito è un'azione che interessa l'intera Comunità internazionale. C'è l'obbligo aut dedere aut judicare di cui abbiamo sentito parlare in relazione anche all'altra sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Belgio contro Senegal. Un caso con esito favorevole: peraltro occorre ricordare che il Senegal era un Paese che aveva dato ospitalità all'ex dittatore Hissène Habré che non era un suo cittadino. Quindi non si tratta della stessa situazione dell'Egitto, con queste persone che sono state identificate quali possibili, presunti autori dell'omicidio. Inoltre c'è il fatto che questi illeciti dell'Egitto sono complessi e sono continuati. Essi consistono in una successione di azioni e omissioni attribuibili agli organi dello Stato, una successione di azioni e omissioni che l'Italia ha il diritto di pretendere vengano a cessare. Non è una questione solamente teorica: la gravità della violazione e la sua continuazione nel tempo non possono che avere un'influenza considerevole sull'accertamento delle conseguenze di queste violazioni. Sull'attribuzione all'Egitto, in un'eventuale causa davanti alla Corte dell'Aia, per quanto riguarda l'elemento soggettivo dell'illecito, Pag. 13ricordiamo che gli illeciti possono essere commissivi, cioè posti in essere da organi dello Stato, come nel caso che ipotizza la Procura di Roma, ma anche omissivi, quando le autorità non adottano le misure atte a prevenire comportamenti, anche di semplici individui, che hanno condotto alla violazione dei diritti fondamentali di Giulio Regeni come il diritto a non essere torturato.
  Per quanto riguarda, signor presidente e componenti della Commissione, le altre condizioni in cui l'articolo 30 della Convenzione contro la tortura subordina la messa in moto del meccanismo di soluzione, noi sappiamo che ne indica due. L'impossibilità di risolvere la controversia attraverso un negoziato e l'impossibilità per le parti, dopo che una di esse ha presentato una richiesta di arbitrato, di concordare l'organizzazione di tale procedura entro sei mesi dalla data di tale domanda. Perché no? Si potrebbe pensare che nel corso di questi negoziati preliminari e necessari le parti potrebbero raggiungere qualche intesa su alcuni aspetti, come quello di formare un organo terzo che si occupi della questione, che investighi e svolga un'inchiesta. Nel caso in cui tale organo non arrivasse a nessuna conclusione, si verificherebbe il famoso punto morto o impasse, e toccherebbe alla Corte, adita successivamente, di decidere se c'è stato o no questo esaurimento dei negoziati previ. Il resto è una questione di carattere procedurale, cioè se si riesce o meno a organizzare un arbitrato. Dopo quello si aprirebbe la fase di un ricorso unilaterale alla Corte internazionale di giustizia. Io credo che se l'Italia dovesse arrivarci, in quanto Stato che ha firmato la Convenzione contro la tortura, dovrebbe invocare la responsabilità dell'Egitto, soprattutto nell'ottica di una riaffermazione dei valori insiti nella Convenzione contro la tortura, ampiamente ricordata da chi mi ha preceduto, in quanto quella proibizione è parte del diritto internazionale consuetudinario e ha acquisito la natura di norma imperativa del diritto internazionale. Da noi la tortura è vietata dalla Costituzione e dalla legge 18 luglio 2017, n. 110, ma anche nella Costituzione egiziana del 2014 si parla all'articolo 52 di crimine di tortura imprescrittibile e di equo processo per tutti gli esseri umani e quindi il divieto di torturare chiunque sia sottoposto a procedimenti giudiziari.
  La mia raccomandazione a questo punto, rispetto alla situazione che si è prodotta con l'ultima nota comune tra le due procure, è di verificare se non sia il momento di passare a una fase successiva, in cui lo Stato interviene sulla base dell'articolo 30 della Convenzione contro la tortura. Questo evita anche di discutere se ci sia o meno, in caso di protezione diplomatica, un obbligo. Immagino che il discorso che faceva il professor Pisillo Mazzeschi si applicherebbe secondo lui anche all'articolo 30 della Convenzione, nel caso in cui fosse invocato come base per un procedimento nei confronti dell'Egitto. Grazie, ho terminato.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Marchisio. Invito i colleghi commissari a intervenire, se ci sono domande e osservazioni. Do la parola alla collega Quartapelle.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto il professor Pisillo Mazzeschi e il professor Marchisio, in particolare quest'ultimo per il riferimento all'articolo 54 della Costituzione italiana che ci richiama anche al senso profondo dell'inserimento del tema della tortura nella nostra Costituzione. Credo che questo richiami la politica a un'azione che fa anche riferimento alla storia istitutiva della nostra Repubblica. Al netto degli obblighi giuridici, credo che ci sia anche un obbligo morale che riguarda la nostra storia sul quale forse la politica dovrebbe riflettere un po' di più.
  Il quadro che ci avete fatto è molto completo e corrisponde a quello che ci è stato fatto in altre precedenti audizioni e credo dia alla Commissione tanti elementi per poter suggerire un certo tipo di intervento. Una sola domanda riguardo al tema dei precedenti. Voi avete citato il caso del Belgio e del Senegal e un altro ancora, ma ci sono precedenti di ricorsi internazionali contro l'Egitto? Quella che ci state suggerendo è una strada giuridica dove noi abbiamoPag. 14 degli obblighi, ma ci deve essere anche una volontà politica di perseguire questo tipo di strada e quindi sarebbe interessante capire se ci sono precedenti di casi simili nei confronti dell'Egitto perché le implicazioni politiche sono abbastanza evidenti e sotto gli occhi di tutti. Noi dobbiamo ricorrere nei confronti di uno Stato, mentre finora la giustizia italiana è ricorsa nei confronti degli individui, si tratta di un salto di qualità che va valutato attentamente.

  PRESIDENTE. Do la parola al collega Ungaro.

  MASSIMO UNGARO. (intervento da remoto). Grazie presidente. Anch'io ringrazio i professori Pisillo Mazzeschi e Marchisio per le loro relazioni molto utili che ci forniscono molti argomenti a favore di quella che pensavamo potesse essere una delle conclusioni di questa commissione d'inchiesta, ovvero di consigliare al Governo di ricorrere alla Corte internazionale di giustizia contro l'Egitto per violazione dell'articolo 30 della Convenzione contro la tortura del 1984. Ringrazio i professori per la ricostruzione degli episodi precedenti, degli argomenti e dell'importanza di costituire una controversia precedente.
  La mia domanda è già stata fatta dalla collega Quartapelle ovvero quali siano gli esiti di casi analoghi. Mi permetto soltanto di chiedere se verrà depositata una relazione scritta dei due professori che sarà sicuramente utile per la nostra relazione finale e per i nostri lavori.
  Mi permetto anche di precisare al professor Pisillo Mazzeschi quello che mi sembra un fatto poco corretto. Le colleghe che abbiamo audito, Buscemi e Violi, e anche il senatore Renzi, non hanno mai parlato di piena collaborazione dell'Egitto, hanno menzionato una scarsa collaborazione dell'Egitto. Non è stata pari a zero, ma sicuramente non è stata sufficiente, come del resto lo stesso professor Pisillo Mazzeschi ha ripreso nella sua relazione, parlando di scarsa collaborazione dell'Egitto. Credo che sia importante disquisire con altri esperti di diritto internazionale auditi, ma emettere giudizi sulle dichiarazioni di auditi di un altro filone, ovvero quello politico, credo sia del tutto fuori luogo. Se è veramente necessario farlo, almeno si leggano i documenti ufficiali della Commissione e non gli articoli della stampa, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Ungaro. Aggiungo una domanda io, poi darò la parola agli auditi per le risposte.
  A vostro avviso, qualora il governo italiano fosse intenzionato a perseguire questa strada, quale potrebbe essere il momento più opportuno per agire, anche in relazione alla vicenda che riguarda l'attuale indagine giudiziaria? L'eventuale attivazione della procedura ex articolo 30 potrebbe rischiare di interferire con l'attività della magistratura, qualora vi fosse un rinvio a giudizio e un conseguente processo, tenuto conto anche che un'eventuale sentenza della Corte internazionale di giustizia colpirebbe le responsabilità dello Stato in quanto tale e non le responsabilità personali? La domanda specifica è se un eventuale ricorso alla Corte internazionale di giustizia può compromettere il processo giudiziario in Italia ed eventualmente come questo inciderebbe? Seguiamo per le risposte l'ordine precedente, quindi prima il professor Pisillo Mazzeschi poi il professor Marchisio.

  RICCARDO PISILLO MAZZESCHI, docente di diritto internazionale (intervento da remoto). Per quanto riguarda la domanda della deputata Quartapelle, io non conosco precedenti contro l'Egitto per violazione della Convenzione contro la tortura. Può anche darsi che qualcosa mi sfugga, però ci sono molti precedenti di ricorsi di uno Stato contro un altro Stato per violazione di diritti umani, non solo nell'ambito dei sistemi convenzionali come quello della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dove la maggior parte dei ricorsi è costituita da quelli di individui contro uno Stato, ma esistono anche alcune decine di ricorsi di Stati contro altri Stati per violazioni anche di norme non così fondamentali come quella del divieto di tortura.
  Uscendo dai sistemi convenzionali di protezione dei diritti umani – il sistema Pag. 15interamericano di tutela dei diritti umani o il sistema della Convenzione europea dei diritti dell'uomo – ci sono stati anche casi dinanzi alla Corte internazionale di giustizia. Sono stati citati il caso del Belgio contro il Senegal, c'è un caso sulle attività armate tra Congo e Uganda dove si ebbe da parte dell'Uganda una counterclaim in cui si invocava la violazione di norme sui diritti umani, non solo nei confronti di cittadini ugandesi, nonché il caso recente dei Paesi Bassi contro la Siria. Ci sono quindi dei precedenti. Contro l'Egitto francamente non ne conosco, ma non ritengo che sia così rilevante da un punto di vista giuridico. Se pensiamo a motivi di ordine geopolitico, di politica estera o anche di carattere economico che finora hanno indotto il Ministero degli affari esteri e il Governo italiano a non intraprendere delle azioni decisive contro l'Egitto – il ritiro temporaneo dell'ambasciatore, il non fornire più certi pezzi di ricambio di aerei erano su base volontaria e quindi misure abbastanza deboli – il discorso cambia. Però io vorrei insistere su un punto. Se ipotizzassimo che l'Italia prenda delle contromisure economiche pacifiche come l'interruzione di rapporti economici, l'interruzione totale dei rapporti diplomatici e delle comunicazioni, certamente sarebbero misure molto forti che potrebbero portare a reazioni importanti nelle relazioni fra Stati. Però l'avvio di una procedura come quella dell'articolo 30 non approda necessariamente – come diceva il professor Marchisio – alla Corte internazionale di giustizia. Stiamo attenti, perché qui le fasi sono almeno quattro, lo avevano detto molto bene anche le colleghe Violi e Buscemi. In una prima fase bisogna instaurare la controversia, cioè dire all'Egitto che riteniamo che abbia violato questa Convenzione, poi si apre una fase di negoziati che potrebbero anche portare a dei risultati. Dal mio punto di vista, lo avevo accennato, il risultato migliore sarebbe quello di istituire – l'ha detto anche il collega Marchisio – una Commissione internazionale d'inchiesta o di inchiesta e conciliazione. Non è un passo così dirompente nei rapporti fra due Stati. Se alla fine dei negoziati l'Egitto accettasse di istituire questa Commissione d'inchiesta, forse non darebbe una grande collaborazione, però alcuni membri sarebbero nominati dall'Egitto, altri sarebbero nominati dall'Italia e ci sarebbe un presidente nominato dagli altri membri. Può darsi che si arriverebbe a risultati sull'accertamento della verità, cosa che non necessariamente comporta una frattura politica nei rapporti con l'Egitto. Il passo successivo sarebbe un eventuale arbitrato internazionale ed è un passo più importante perché un arbitrato produce una sentenza obbligatoria che accerta l'esistenza o meno di una violazione. L'eventuale passo successivo sarebbe la sentenza della Corte internazionale di giustizia, che è ancora più importante. Non è detto che si arrivi a questo, ma secondo me non bisogna esagerare il timore di pregiudicare i rapporti con l'Egitto con una procedura internazionale di risoluzione delle controversie. Mi permetto di dire, a titolo personale, che la politica estera di uno Stato non deve essere sempre e comunque una politica di conciliazione e di compromesso. Questo è un caso emblematico di un cittadino italiano torturato all'estero: dopo anni di non collaborazione, se uno Stato si fa valere in maniera più forte contro un altro Stato, acquista anche un rispetto a livello internazionale da parte degli altri Stati. La politica estera non può essere sempre fatta di compromessi e di realpolitik e di far prevalere gli interessi economici e geopolitici sull'affermazione dei diritti umani fondamentali. Io non condivido questa impostazione eccessivamente pragmatica e – scusate se ve lo dico a denti stretti – un po' cinica della diplomazia e dei rapporti internazionali. L'Olanda ora inizia una causa contro la Siria accusandola di atti di tortura. Certo, capisco che l'Egitto per l'Italia sia più importante che non la Siria per l'Olanda, però in certi casi la politica estera deve essere anche coraggiosa, scusate.
  Per quanto riguarda la risposta all'onorevole Ungaro, avrete certamente una relazione scritta, volentieri. Avevo già scritto una relazione, ho cercato qui di riassumerla. La manderò immediatamente.
  Per quanto riguarda ciò che ho detto sul senatore Renzi, mi sono permesso di dirlo Pag. 16perché ho ascoltato l'audizione di Renzi. Lui ha detto che nei primi tempi i rapporti con al-Sisi erano ottimi e che la collaborazione all'inizio c'è stata: forse non sufficiente, ma in fondo una certa collaborazione c'è stata. Francamente mi sono permesso di dire che non ho mai visto questa collaborazione da parte dell'Egitto, quella del senatore mi è sembrata una visione un pochino ottimistica della situazione.
  Quello che ho detto riguardo alle colleghe Violi e Buscemi, di cui ho apprezzato moltissimo la relazione, forse è stato equivocato. Io ho detto che mi sembrava che loro avessero sostenuto che era difficile dimostrare il difetto di inchiesta, cioè la violazione dell'obbligo di indagare e che loro puntavano più sulla violazione dell'obbligo di cooperazione giudiziaria. Io ho detto che la violazione dell'obbligo di cooperazione giudiziaria è chiara, ma secondo me è chiara anche la violazione dell'obbligo di indagare. Si tratta di una sfumatura diversa sull'obbligo di indagare, ma non di un dissenso.
  Per quanto riguarda l'ultima domanda del presidente sull'interferenza, io ritengo di no. Intanto, per la procedura ex articolo 30 della Convenzione del 1984, non si parla ancora di un'azione dinanzi alla Corte internazionale di giustizia perché ci sono prima tutte queste fasi, tra cui la fase dei negoziati, che possono essere molto lunghe. Io non vedo interferenze, francamente. Anzi, forse un'azione più decisa del governo italiano potrebbe indurre a collaborare anche le autorità giudiziarie penali egiziane. Questo potrebbe forse favorire il processo penale in Italia perché l'Egitto potrebbe anche pensare di poter sacrificare degli individui pur di non essere chiamato a rispondere come Stato davanti a un organismo internazionale di risoluzione delle controversie o a un arbitrato o addirittura alla Corte internazionale di giustizia. Un'azione del governo italiano potrebbe alla fine anche favorire il processo penale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Pisillo Mazzeschi. Do la parola al professor Marchisio.

  SERGIO MARCHISIO, docente di diritto internazionale (intervento da remoto). Brevemente. Non conosco neanche io casi in cui l'Egitto sia stato portato, con un procedimento basato su un'azione unilaterale, di fronte alla Corte internazionale di giustizia o ad altro tribunale internazionale né per questioni attinenti a casi di tortura né per altre questioni. L'Egitto è uno Stato che ha accettato pochissimi meccanismi che portano automaticamente davanti a un tribunale internazionale. Citare controversie internazionali in cui l'Egitto sia implicato credo sia difficilissimo. Ho anche letto la dichiarazione di accettazione della giurisdizione obbligatoria della Corte dell'Aia ex articolo 36.2 dello Statuto della Corte, fatta dall'Egitto negli anni Cinquanta. Essa si riferisce, figuratevi, solo alle controversie relative a un paragrafo della dichiarazione unilaterale resa dall'Egitto in relazione alla crisi di Suez. Quella italiana è molto più ampia, quindi è difficile trovare un precedente per l'Egitto. In ogni caso, in genere gli Stati sono poco propensi a discutere di questioni attinenti ai diritti umani, alla tortura o a questioni del genere in tutte le sedi, molto di più in quelle che poi riescono a concludere con decisioni vincolanti, secondo vari meccanismi esistenti a livello regionale o universale. In genere le controversie sono portate davanti ai giudici internazionali in base all'accordo tra le parti. Potrebbe accadere che durante i negoziati ex articolo 30 della Convenzione sulla tortura, Italia ed Egitto concordassero su cosa fare, su come andare alla decisione di un terzo indipendente, sia esso giudice o meno. Quindi la risposta all'onorevole Quartapelle è no, a parte il caso che abbiamo citato del Belgio contro il Senegal e quello, che non conoscevo ma di cui ci ha dato notizia il professor Pisillo, introdotto dai Paesi Bassi che sono però un Paese particolarmente coraggioso da questo punto di vista, se è vero che hanno persino instaurato una controversia con la Russia per la questione dei disturbi della nave di Greenpeace alle piattaforme russe nel Mare Artico.
  Non ricordo bene la domanda dell'onorevole Ungaro, ma forse era collegata anch'essaPag. 17 all'esistenza di controversie internazionali su questioni simili o analoghe a quelle di cui stiamo parlando e alla loro conclusione.
  Per quanto riguarda la domanda del presidente circa l'interferenza con il procedimento penale, anzitutto aspettiamo di vedere quali saranno le effettive conclusioni contenute negli atti ufficiali, per esempio qual è il materiale probatorio raccolto in via ufficiale della Procura di Roma e messo a disposizione anche degli indagati. Vediamo come procede la questione. Io parlavo di una valutazione da parte del governo italiano di un'azione progressiva tendente a instaurare anche una controversia internazionale perché, come ho detto, questo passo non si può decidere da un giorno all'altro e al Ministero degli esteri lo sanno meglio di me. Ci vuole una serie di atti che possa indurre la Corte adita a dire che la controversia esiste e che i due Stati si fronteggiano su determinati punti.
  Sarei anch'io dell'opinione che questo tipo di procedura non dovrebbe ostacolare, anzi, potrebbe in qualche modo facilitare la procedura interna. Mi rendo conto, e l'ho detto dall'inizio, che questo è un caso scomodo. Del resto la vostra Commissione è sempre stata molto franca su questo caso. Non è la Commissione che ha sollevato questioni di realpolitik per sconsigliare questa o quell'azione a livello internazionale. Mi pare che in questi mesi abbiate veramente lavorato per arrivare a una conclusione del caso Regeni più in linea con i valori che anche la nostra Costituzione contiene, come ricordava l'onorevole Quartapelle. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora i nostri auditi per il prezioso contributo fornito ai lavori della Commissione.
  Do una comunicazione alla fine dei nostri lavori. Informo i colleghi che il senatore Renzi alla fine della precedente seduta mi ha segnalato un'integrazione alle risposte da lui date in audizione la settimana scorsa. Con riferimento alla mia domanda se i video della metropolitana gli fossero già noti, com'era sembrato di capire ai genitori di Giulio Regeni in occasione del loro secondo incontro con lui, il senatore Renzi ha escluso tale circostanza.
  Ringrazio tutti i presenti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.50.