XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 67 di Martedì 12 maggio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 

Audizione del presidente dell'Istituto superiore di sanità (ISS), Silvio Brusaferro, sulla gestione dei rifiuti legata all'emergenza Covid-19:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
Brusaferro Silvio , Presidente dell'Istituto superiore di sanità ... 3 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Brusaferro Silvio , Presidente dell'Istituto superiore di sanità ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 7 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 7 
Brusaferro Silvio , Presidente dell'Istituto superiore di sanità (ISS) ... 8 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 9 
Nugnes Paola  ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Brusaferro Silvio , Presidente dell'Istituto superiore di sanità (ISS) ... 10 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 12 
Potenti Manfredi (LEGA)  ... 12 
Brusaferro Silvio , Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ... 12 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 13 
Brusaferro Silvio , Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ... 14 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Brusaferro Silvio , Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ... 14 
Braga Chiara (PD)  ... 14 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 14 
Braga Chiara (PD)  ... 14 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 14 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 
Vianello Giovanni (M5S)  ... 15 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 16 
Patassini Tullio (LEGA)  ... 16 
Lorefice Pietro  ... 16 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 17 
Briziarelli Luca  ... 17 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 17 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. ... 18 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 18 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 18 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 19 
Lorefice Pietro  ... 19 
Scaini Federica , Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità ... 19 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 20 

(La seduta, sospesa alle 15.45, è ripresa alle 15.55) ... 20 

Comunicazioni del presidente.
Vignaroli Stefano , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Istituto superiore di sanità (ISS), Silvio Brusaferro, sulla gestione dei rifiuti legata all'emergenza Covid-19.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, che è assistito dalla dottoressa Federica Scaini e il dottor Giulio D'Antoni, che ringrazio per la presenza. Informo l'audito che alla seduta non è ammessa la partecipazione di persone estranee non autorizzate. La invito, pertanto, sotto la sua responsabilità, a comunicare alla Commissione nominativi di ulteriori persone presenti che eventualmente interverranno o non interverranno nel corso della seduta. La Commissione si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico. Considerate le modalità di svolgimento della seduta, che sarà pubblicata per tutta la sua durata, qualora l'audito dovesse ritenere di riferire argomenti che richiedano di essere assoggettati al regime di segretezza, la Commissione valuterà le modalità più opportune per consentirgli di farlo. Invito, quindi, i nostri ospiti a svolgere una relazione preliminare sulla situazione dal punto di vista sanitario e legato alla gestione dei rifiuti, perché siamo anche un po' preoccupati. Capisco la situazione dell'emergenza sanitaria che è tuttora in corso. Siamo, però, preoccupati per questo uso, forse anche eccessivo, delle protezioni usa e getta. La prego di svolgere la sua relazione, poi eventualmente i commissari faranno ulteriori domande o approfondimenti.

  SILVIO BRUSAFERRO, Presidente dell'Istituto superiore di sanità. Buon pomeriggio a lei presidente e a tutti i senatori e deputati. Grazie per questo invito. Io confermo che sono in presenza della dottoressa Scaini e del dottor D'Antoni, che si occupa degli aspetti telematici, facendo in modo che il collegamento possa andare a buon fine per tutta la durata. La prima riflessione che vorrei fare con voi è di inquadramento del perché l'Istituto superiore di sanità è coinvolto in questo tipo di attività. Fa parte di una serie di attività che storicamente l'Istituto affronta, soprattutto negli aspetti ambientali. Nel Dipartimento ambiente e salute c'è una forte componente di professionisti che, in relazione con tutto il resto dell'Istituto, si occupa dell'aspetto dei rifiuti sotto molteplici punti di vista. Ci siamo occupati anche di discariche e di altri tipi di situazioni in tutto il Paese, in accordo con le regioni, con le procure, con tutte le autorità competenti. Nella fattispecie dell'epidemia da SARS-CoV-2 lo stesso gruppo, d'accordo con tutti gli altri gruppi, si è attivato per cercare di fornire al Paese delle istruzioni operative e delle raccomandazioniPag. 4 per fare in modo che il rischio della trasmissione del virus collegato alla gestione dei rifiuti possa essere prevenuto, prima di tutto, contenuto o mitigato, laddove non contenibile, cosicché non rappresenti per questa parte della vita sociale quotidiana di ognuno di noi un ulteriore fattore di rischio per la diffusione. Questo tipo di attività si inserisce in una serie di altre attività che voi sapete noi facciamo, come il monitoraggio di quanto sta avvenendo o gli strumenti che si stanno mettendo a punto in quella che viene chiamata la «cabina di regia». Abbiamo attivato all'interno dell'Istituto dei gruppi di lavoro, cosicché esperti dei rifiuti, esperti ambientali, ma anche infettivologi, possano lavorare assieme. Abbiamo tradotto queste raccomandazioni che nascono anche dalle domande che ci giungono da regioni, dai ministeri o anche da cittadini e associazioni e abbiamo attivato una linea di pubblicazione che chiamiamo «Covid report» I Covid report sono scaricabili dal nostro sito Internet. Sono tutti caratterizzati da un'espressione ad interim e vorrei sottolineare questo aspetto. Sostanzialmente, vuol dire che, come abbiamo spesso sentito dire in questa prima fase di epidemia, le conoscenze che noi abbiamo sono in progress. Questo è estremamente importante perché vuol dire che le raccomandazioni che vengono proposte sono basate sulle evidenze disponibili, però noi sappiamo che le evidenze sono in progress. Quindi, laddove ci siano o emergano delle evidenze che possono migliorare, integrare, precisare o anche aggiungere elementi particolarmente nuovi e rilevanti nella gestione dei vari aspetti, questo tipo di report viene periodicamente aggiornato. Questo vale per tutti i settori, dalla pulizia alla disinfezione, alla gestione degli animali o alla protezione degli operatori; vale ovviamente anche per quanto riguarda i rifiuti. L'altro elemento importante è che questo tipo di attività non può prescindere da una stretta collaborazione con le altre istituzioni, a partire dal Ministero della salute, ma anche con il Ministero dell'ambiente e con gli altri ministeri – pensiamo all'istruzione, alle università, alle attività economiche – e anche con le regioni e con altri gruppi o istituzioni analoghe alle nostre. Tra queste c'è l'INAIL, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori; l'ISPRA, con la quale abbiamo uno stretto rapporto proprio con il Dipartimento salute ambiente per tutti gli impatti ambientali; l'ISTAT – ne cito solo alcuni, ovviamente – con la quale stiamo facendo una serie di analisi, per esempio, sulla diffusione e sulla mortalità collegate a questo tipo di epidemia.
  Un altro elemento importante: l'Istituto partecipa al Comitato tecnico scientifico del Dipartimento della protezione civile laddove diventa estremamente importante fare sintesi. Poi, attraverso questo Comitato presieduto dal dottor Miozzo, direttore generale del Dipartimento della protezione civile, si propongono delle raccomandazioni che vengono in seguito offerte all'attenzione del Ministro della salute e della Presidenza del Consiglio perché ne possano valutare un eventuale uso come ulteriori provvedimenti. Dobbiamo dire che presso l'Istituto è stato istituito un vero e proprio gruppo di lavoro sul tema dei rifiuti e si riunisce costantemente e ha anche rapporti con tutte le articolazioni che ho citato prima. La riflessione sui rifiuti parte da un presupposto importante. Ovviamente, noi dobbiamo tutelare la gestione dei rifiuti primariamente rispetto alla possibilità, laddove vengano in contatto con il virus SARS-CoV-2, che possano essere oggetto o veicolo di trasmissione del virus. Sostanzialmente, la grande attenzione che viene proposta è negli oggetti o negli strumenti che vengono utilizzati, che classicamente possono essere guanti, mascherine e camici. In questo contesto ci riferiamo alla gestione dei rifiuti extrasanitari, perché comunque la normativa nell'ambiente sanitario ha una sua regolamentazione particolare e lo smaltimento è ben codificato. Vale per il virus SARS-CoV-2, ma vale anche per tutti gli altri rifiuti infetti. Quindi, nell'ambiente sanitario non c'è nessuna innovazione dal punto di vista della gestione dei rifiuti che non fosse già prevista in Pag. 5precedenza per analoghe malattie infettive. Diverso è invece per il livello domiciliare o extrasanitario, se vogliamo essere un po' più generali. In questo caso, sappiamo che oggi, accanto al distanziamento sociale, viene raccomandato un uso diffuso, soprattutto negli ambienti confinanti, di mascherine; viene anche raccomandato un lavaggio delle mani molto forte, oltre al distanziamento sociale. In alcuni casi – questo dipende anche molto dal datore di lavoro – viene raccomandato anche l'uso dei guanti soprattutto in dei contesti lavorativi specifici. Ciò fa capo al datore di lavoro e al proprio medico competente, che fanno un'analisi dei rischi e in base a questa poi definiscono come fare. Questi strumenti nell'ambiente lavorativo possono diventare dispositivi di protezione individuale e in ambiente extralavorativo sono invece strumenti di barriera che riducono la probabilità di diffusione del virus. Il punto che si propone è come gestire questi dispositivi rispetto alla possibilità che siano contaminati dal virus stesso. La premessa è che questo è un virus particolare, nel senso che ha un capside che appartiene a quella famiglia di virus particolarmente sensibile in attivazione sia, per esempio, alla luce del sole sia a disinfettanti come il cloro o altri disinfettanti abbastanza semplici; per cui, a corretta igiene e a una profonda igiene, una disinfezione non particolarmente intensa consente di poter inattivare questo virus. Ovviamente, questo è un dato positivo perché consente anche la gestione di tutti i rifiuti con maggiore sicurezza. Sappiamo che il virus può sopravvivere da pochi minuti fino a qualche giorno, ma questo dipende molto dal contesto in cui può sopravvivere. È chiaro che in situazioni protette, dove c'è materiale biologico, dove difficilmente arriva la luce del sole o comunque in contesti protetti, può vivere più a lungo; dove invece il soggetto sia più esposto ad attività di disinfezione, di pulizia, di sanificazione quotidiana o pluriquotidiana, la probabilità di sopravvivenza effettivamente è considerata molto bassa. Questo è un elemento decisivo anche rispetto alle modalità da adottare per la gestione dei rifiuti. L'altra cosa importante, che poi troverete nella relazione che vi manderemo alla fine di questa presentazione, è andare a classificare le varie tipologie di utenza che possono gestire questo tipo di oggetti; ci riferiamo soprattutto a guanti e mascherine. Il target su cui noi ci siamo focalizzati in questo report e anche nei documenti che abbiamo proposto sono i cittadini, che possono essere di tre caratteristiche. La prima categoria è costituita dai cittadini normali, che non sono o quantomeno non sanno di essere portatori del virus, che vivono una vita regolare, che mettono la mascherina come raccomandata dai DPCM o dalle circolari ministeriale o da ordinanze delle singole regioni, che usano questo tipo di strumenti e poi li dismettono in accordo con la tipologia di strumento stesso (se è monouso, se è pluriuso, se usa e getta o se invece è pluriuso). Lo strumento, quindi, richiede un certo trattamento, per esempio come il lavaggio a sessanta gradi. Poi c'è la seconda categoria, costituita dai soggetti che risultano positivi e che sono, però, paucisintomatici o asintomatici, per i quali viene chiesta la quarantena a domicilio. Loro, con i loro familiari, i loro conviventi, quelli che vivono nello stesso nucleo abitativo, diventano soggetti che sono portatori del virus. I rifiuti che si producono all'interno di quel contesto abitativo sono rifiuti che devono essere classificati come «potenzialmente infetti» e vanno trattati, quindi, con maggiore attenzione rispetto alla modalità di confezionamento, di raccolta, di conferimento e di smaltimento. Poi ci sono gli altri soggetti, i cosiddetti «contatti stretti», quindi persone che sono state a stretto contatto, nelle ultime quarantotto ore, di un soggetto che è risultato positivo. Questi sono soggetti a una quarantena analoga a quella dei positivi, pur magari non essendolo, ma da questo punto di vista i rifiuti vengono trattati allo stesso modo dei positivo. In sintesi, potremmo dire che le due categorie sono costituite dal cittadino, chiamiamolo, normale, che non è positivo o non sa di esserlo, e il cittadino che risulta Pag. 6positivo perché è stato attestato ed è sintomatico o perché è a contatto stretto e va monitorizzato per l'arco di tempo di quattordici giorni per verificare se poi si positivizza. Queste due categorie, dal punto di vista gestionale, fondamentalmente sono dello stesso tipo. Poi c'è tutta la filiera a valle, ovverosia chi raccoglie rifiuti, chi li conferisce in discariche e poi come vengono trattati. Sono degli operatori rispetto ai quali ci sono una serie di raccomandazioni anche in questo caso, perché essi si trovano a gestire in contesti urbani la raccolta dei rifiuti e ovviamente devono gestirli con tutte le precauzioni del caso, sapendo che i rifiuti possono provenire da contesti abitativi dove ci sono i positivi oppure possono provenire dal resto delle abitazioni dove però non si può escludere ci possano essere positivi, anche se in base ai dati di cui oggi disponiamo le persone asintomatiche tendenzialmente hanno una capacità di trasmissione più bassa rispetto alle persone positive. Però, dal punto di vista della gestione è importante considerare che questi rifiuti devono avere una loro omogeneità.
  Adesso approfondiscono il tema delle abitazioni dei positivi. Laddove ci sia un contesto abitativo con dei positivi, dobbiamo immaginare che questi rifiuti vengono gestiti con una certa attenzione. Teoricamente potrebbero essere gestiti anche come rifiuti speciali, ma dal punto di vista operativo diventa particolarmente complesso e difficile farlo. Viste le caratteristiche del virus e viste le caratteristiche dei rifiuti, gestire questi all'interno di un doppio sacchetto che poi viene confezionato e viene chiuso in maniera tale che il contenuto non si possa disperdere, facendo in modo che chi lo raccoglie non entri in contatto con il contenuto, è una forma che viene ritenuta sufficientemente protettiva per poterlo smaltire. Questo implica che questi operatori, chiamiamoli, «ecologici», devono raccogliere questo tipo di rifiuto e conferirlo, per quanto riguarda la gestione, come «rifiuto urbano», sostanzialmente, perché poi, nel momento di smaltimento, di incenerimento o altre forme di smaltimento, il rischio viene considerato assolutamente gestibile e contenibile attraverso queste forme di smaltimento. Viene raccomandato di sospendere la raccolta differenziata per questo tipo di contesti abitativi, a differenza di quello dei cittadini normali, e di conferire tutti i rifiuti che vengono prodotti nel contesto abitativo dove c'è una persona positiva come rifiuti unici, indifferenziati; quindi vanno smaltiti come tali. Per gli altri cittadini, invece, si propone di mantenere la formula che c'è con la differenziazione che, laddove si parla di guanti o si parla di mascherine, queste vengano conferite sempre nell'indifferenziata, ma con un sacchetto ad hoc, in modo che la superficie esterna della mascherina, una volta dismessa, rimanga contenuta e confinata all'interno di questo contenitore, di questo sacchetto, e non entri in contatto con gli operatori ecologici o altre persone. Quindi, per questo tipo di cittadini non c'è motivo di sospendere la raccolta differenziata, laddove la si fa. Per quanto riguarda gli operatori ecologici, qui una particolare attenzione va posta. Ovviamente, loro hanno tutta una serie di raccomandazioni da parte del medico competente riguardanti l'uso di guanti, visiere o tute. Per gestire questo tipo di attività, si raccomanda che al di sotto dei guanti da lavoro vengano usati dei guanti usa e getta, in maniera tale che eventuali rotture o discontinuità della superficie del guanto trovino un'ulteriore barriera, qualora dovessero venirne in contatto; così come si raccomanda particolare cautela laddove i contenitori dei rifiuti avessero delle rotture o potessero potenzialmente esporre le persone e gli operatori a un rischio di contatto diretto con queste cose; così come viene raccomandato che al cambio turno ci sia una sanificazione sia dei mezzi di trasporto, quindi dei posti di guida, sia delle tute o degli strumenti da lavoro che vengono utilizzati, cosicché poi a ogni turno nuovo gli operatori possano avere strumenti privi di rischio di contaminazione pregressa.
  Dal punto di vista della modalità di smaltimento, le modalità che noi conosciamo dipendono un po' dal tipo di rifiuti,Pag. 7 ci possono essere sia impianti di compostaggio, impianti di incenerimento o smaltimento in discarica sia altri contesti. Ebbene, laddove questi si verifichino, sono strumenti che, se gestiti appropriatamente, e quindi operando in modo che si evitino aerosol, che è il fattore più rischioso da questo punto di vista, assumendo che il contatto non possa avvenire o venga contenuto rispetto all'uso di dispositivi di protezione individuale, in questo caso il rischio di contaminazione viene considerato minimo o irrilevate. Queste modalità di smaltimento di questo tipo di rifiuti, se fatto con le misure che sinteticamente ho presentato, viene considerato «accettabile» o gestibile come avviene normalmente.
  Sinteticamente, quello che possiamo proporre in maggiore dettaglio sono le raccomandazioni che noi abbiamo proposto e che troverete in allegato alla relazione che vi trasmettiamo e che riguardano sia la gestione dei rifiuti sia anche la gestione dei fanghi di depurazione. Anche in questo caso si ritiene che le modalità di depurazione, per esempio, dei reflui, se fatte in maniera corretta, siano sufficienti a inattivare il virus. Anche sui rifiuti voi trovate il primo esempio del 14 marzo, poi seguito, alcune settimane dopo, da un aggiornamento, ma stiamo ancora lavorando continuamente. Non si tratta propriamente di aggiornamenti, perché evidenze scientifiche significative su questo argomento non sono emerse, ma nascono da una serie di problematiche e di esigenze che ci vengono riferite da vari punti del territorio e quindi c'è la necessità di precisare modalità operative check-list che possano far sì che a livello del territorio nazionale si possano trovare dei comportamenti omogenei, fermo restando, ovviamente, la potestà delle regioni e dei comuni, attraverso le loro ordinanze, di precisare ulteriormente quanto sta avvenendo. Io vi ringrazio per l'attenzione e mi fermerei qui al momento.

  PRESIDENTE. Grazie. Non so se la collega vuole intervenire, altrimenti io farei le domande per quanto riguarda i componenti della commissione.

  SILVIO BRUSAFERRO, Presidente dell'Istituto superiore di sanità. Presidente, io sono qui con la collega, che è la specialista dell'argomento ed è pronta a rispondere alle domande, anche di dettaglio. Come le ho anticipato, io purtroppo verso le 15.00 ho il consiglio di amministrazione che era stato programmato e quindi mi dovrò assentare.

  PRESIDENTE. Grazie comunque della presenza e non c'è problema. Vuole svolgere una relazione iniziale o iniziamo con le domande?

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Forse è meglio partire direttamente con le domande.

  ALBERTO ZOLEZZI. Ringrazio i referenti dell'Istituto superiore di sanità. Io ho due ordini di domande. Uno riguarda il documento sulla gestione dei fanghi di depurazione. Chiaramente è un documento di indirizzo, non una normativa, però noto che anche per quanto riguarda argomenti già attenzionati dalla Commissione, non si fanno grosse preferenze e distinzioni fra i vari metodi di gestione dei fanghi di depurazione. Si equipara, per esempio, il trattamento chimico o l'incenerimento. In Italia, da vari documenti risulta, soprattutto nelle regioni in cui si gestiscono più fanghi di depurazione, che il 95 per cento dei fanghi di depurazione prodotti venga trasformato chimicamente in correttivi gessi. Ci sono inchieste in corso, ci sono ispezioni delle ARPA in cui si vede che spesso il trattamento chimico ha reazioni competitive, per cui l'ossido di calcio reagisce con l'acido solforico e non con il materiale organico che, visto che può essere infetto fino a nove giorni, se poi non ha avuto una procedura adeguata di disinfezione, in teoria potrebbe anche dare qualche minimo rischio. Lo stesso vale per l'incenerimento. Ci colleghiamo poi all'altro argomento che vi sottopongo, quello dell'inquinamento. Mettendo fanghi di depurazione in inceneritori, si alzano ossidi di azoto e altre cose, per cui chiedevo soprattuttoPag. 8 sulla prima parte, sul trattamento chimico, se avete qualche osservazione. È chiaro che poi è più competenza ispettiva e anche forse giudiziaria, però, visto che l'andazzo italiano è quello di trasformare in gessi per evitare tracciabilità e altre cose, in relazione al fatto che c'è una pandemia in atto, volevo capire se questo... Nel vostro documento non mi è chiaro se è prevista, per esempio, una tempistica media minima di stoccaggio dei fanghi pari a dieci giorni. Però, visto che il trattamento chimico equivale a due ore di trattamento e poi il fango è espandibile, volevo un commento su questo. Per quanto riguarda l'inquinamento – visto che anche nella scorsa audizione con ISPRA è emerso questo tema – ISPRA ci ha detto, in sostanza, che probabilmente verranno fatti dei complessi studi epidemiologici e di integrazione con elementi anche ambientali, come il progetto PULVIRUS. Ci è stato detto, però, che verranno studiati, eventualmente, il trasporto o le interazioni tra particolari virus diversi dal SARS-CoV-2. Volevo un commento su questo e capire se non sarebbe più utile provare a studiare il SARS-CoV-2, e se riterrete che in futuro i dati grezzi, che immagino che saranno molti, che otterrete con i vari portali che ho visto che verranno utilizzati, saranno condivisi con gli enti universitari che stanno pubblicando sul tema. Ho visto che anche il dottor Fabrizio Bianchi del RIAS ha indicato che sarebbero utili dati epidemiologici geografici, che purtroppo non sono ancora a disposizione, come quelli dei casi, dei ricoveri, dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi, con un dettaglio comunale, che potrebbero anche potenziare i vari studi ecologici.

  SILVIO BRUSAFERRO, Presidente dell'Istituto superiore di sanità (ISS). Io proverei a rispondere alle ultime due domande. Lascerei le prime due alla dottoressa, che sicuramente è più competente di me nella cosa. Parto dai dati. I dati di sorveglianza epidemiologica che abbiamo l'onore e l'onere di gestire sono dati estremamente sensibili e intorno a loro stiamo elaborando proprio, forse, una delle banche dati oggi più sensibili che ci sia nel nostro Paese. Abbiamo messo in atto una serie molto importante di sistemi di protezione per evitare gli hackeraggi esterni, ma anche, essendo nominativi e individuali, una serie di protezioni della privacy e di tutte le informazioni che poi possono rappresentare un potenziale rischio o potrebbero creare situazioni particolari. La politica che noi vogliamo seguire certamente è quella di condividere i dati, ma allo stesso tempo dobbiamo farlo con tutte le cautele richieste da questo tipo di epidemia e dal fatto che questi dati sono particolarmente sensibili. Quindi, stiamo mettendo a punto proprio questo tipo di approccio per poterli condividere nelle modalità che siano tutelanti per il sistema, per i cittadini e che consentano, peraltro, al ricercatore di fare ricerca. Credo che siamo quasi al traguardo finale. Sottolineo soltanto, come è stato evidenziato anche parlando quindi con le varie agenzie che sono attente e sono a garanzia nel nostro Paese, che questa è una banca dati estremamente sensibile, per cui la cautela che stiamo utilizzando nella loro condivisione è dovuta a questo tipo di ragione. Per quanto riguarda, invece, lo studio epidemiologico, noi abbiamo iniziato un accordo con l'ISPRA proprio perché sono usciti alcuni lavori, come lei saprà, negli Stati Uniti, che hanno ipotizzato delle correlazioni tra la diffusione o la concentrazione di particolato e la possibilità del virus di diffondersi. Con questo tipo di dato e grazie alle collaborazioni che abbiamo in atto ormai da molto tempo con ISPRA – a partire dal tema dei siti di interesse nazionale in poi – abbiamo disegnato degli studi che mirano a capire e a mettere insieme dei dati di diffusione dell'infezione che noi in questo momento conosciamo, sempre livello macro, con dei dati di diffusione dei particolati nelle varie aree, per capire se c'è effettivamente una correlazione. Siamo nella fase iniziale; stiamo stipulando e formalizzando il protocollo. Man mano che andiamo avanti, che andremo ad approfondirlo, certamente possiamo cercare di svilupparlo. Il tema SARS-CoV-2 o altri Pag. 9tipi di virus è un tema piuttosto delicato perché il SARS-Co-V-2 è un virus che conosciamo; è relativamente nuovo. Molte delle evidenze che noi oggi utilizziamo non sono evidenze riferite direttamente al SARS-CoV-2 – penso ad altri sistemi anche di disinfezione – ma fanno riferimento alla famiglia dei coronavirus o ai virus SARS che sono stati sviluppati in precedenza. Abbiamo ragione di ritenere che le assunzioni che noi facciamo siano esattamente sovrapponibili a questo. Ci vorrà del tempo. Man mano che questo virus verrà conosciuto e verrà anche auspicabilmente controllato con le azioni e con le conoscenze che stiamo mettendo a punto, speriamo di poter poi fare dei passi ulteriori. Teniamo presente che in questa fase stiamo anche cercando di capire qual è la diffusione di questo virus attraverso i vari studi di sieroprevalenza. Stimiamo che attualmente abbia in qualche modo coinvolto una percentuale ancora minima della popolazione italiana e questo, ovviamente, rende anche un po' più difficoltoso il disegno di questi studi, perché un conto è se noi parliamo di alcune zone della Lombardia dove ha circolato in maniera intensa, un altro è se parliamo di alcune zone o regioni dove magari la circolazione è stata più contenuta – pensiamo alla Basilicata o alla Calabria. Parliamo di realtà che hanno un'epidemiologia in questo momento diversificata e quindi anche questo tipo di studi dovrà essere adattato alla circolazione del virus. Io mi fermerei qui e lascerei la parola alla dottoressa Scaini per le risposte più puntuali.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Per quanto riguarda i fanghi di depurazione, noi sappiamo che il trattamento dei fanghi costituisce l'ultima fase funzionale del trattamento di depurazione dei reflui urbani e i prodotti di risulta che ne derivano tendono, quindi, a concentrare tutti gli inquinanti presenti nelle acque reflue trattate. Il processo di trattamento dei fanghi può essere ritenuto efficace quando viene garantita la riduzione sostanziale delle concentrazioni dei diversi patogeni. Questa inattivazione di virus, ma come anche di batteri e parassiti, può essere fatta attraverso trattamenti quali la digestione termofila, la pastorizzazione, il trattamento in calce, il trattamento termico, o il lagunaggio. Generalmente, con le temperature molto elevate, ma anche con l'aggiunta di calce, e quindi con l'aumento del PH che arriva a 12 per un periodo di tempo di almeno due ore, si produce un fango igienizzato. In questa emergenza, la problematica che potrebbe scaturire dall'utilizzo dei fanghi in agricoltura potrebbe essere che il fango potrebbe aerosolizzare, quindi creare quel particolato al quale e nel quale ci potrebbe ipoteticamente essere il virus e quindi potrebbe creare problematiche ai lavoratori che lo espandono. In realtà, però, se il trattamento viene fatto nelle maniere adeguate, quindi utilizzando o il trattamento a calce o l'acido solforico o l'ammoniaca o la soda o una combinazione di questi, oppure la digestione aerobica, mesofila o termofila o la disidratazione termica o la pastorizzazione, queste problematiche non dovrebbero sussistere. Certo, bisognerebbe probabilmente rafforzare i controlli sullo smaltimento illecito di acque reflue o di fanghi. In questo caso, certamente la preoccupazione ci potrebbe essere. Per quanto riguarda la problematica dell'incenerimento, se ho capito bene la domanda, mi sembra che le audizioni precedenti alla nostra, quindi quella con il Ministro Costa e con il direttore generale di ISPRA, il dottor Bratti, in realtà abbiano evidenziato che non ci sia stata questa preoccupazione di gap per quanto riguarda le capacità del nostro Paese per l'incenerimento. A quanto detto da entrambi, la produzione di rifiuti e il conseguente utilizzo della procedura di incenerimento non ha creato grossi problemi. Il nostro Paese riesce ancora a gestire queste quantità di rifiuti anche perché, purtroppo, in questi due mesi dell'anno, marzo e aprile, essendo chiuse la maggior parte delle attività lavorative, si sono creati anche molti meno rifiuti e quindi non ci risulta che ci sia questa problematica per l'incenerimento.

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  PAOLA NUGNES. Vorrei fare un ragionamento, perché già nell'audizione del direttore dell'ISPRA ho trovato alquanto strano che la gestione dei dispositivi di protezione individuale seguissero delle strade così diverse. Chiaramente, quelli sanitari, quindi quelli che provengono dagli ospedali, hanno il loro percorso, ma la differenziazione che viene fatta per quanto riguarda i cittadini cosiddetti «normali» e i cittadini positivi asintomatici e i contatti stretti, io credo che sia soltanto di tipo formale, perché chiaramente noi non possiamo sapere se nel secondo gruppo ci siano soggetti che sono effettivamente portatori del virus, così come non lo possiamo sapere per i contatti stretti. Quindi, in pratica, si tratta di un'unica categoria, che rientrerebbe nella produzione di rifiuti urbani pericolosi. Questo necessiterebbe, a mio modestissimo avviso, di una gestione di dispositivi unificata. Mi sembra che il Ministro Costa abbia posto l'attenzione su una possibilità di punti di raccolta presso le farmacie e quindi poi una gestione specifica per questi rifiuti che parta dalla sanificazione, che, come lei stesso ha detto, non è per niente problematica, perché sappiamo, da quanto loro ci dicono, che il decadimento dell'agente infettivo avviene in poco tempo e con una pratica semplice. In questa maniera, non solo si andrebbe a recuperare una serie di rifiuti che comunque possono essere pericolosi – perché, come ripeto, non possiamo sapere con certezza se provengono o meno da soggetti infetti o potenzialmente infetti – ma tra l'altro si potrebbe valutare un recupero dopo la sanificazione di questo materiale. Credo che sia un dato estremamente importante su cui porre l'attenzione, perché la produzione di questi dispositivi aumenterà nel tempo in numero e dobbiamo trovare un canale di recupero e riciclo. Ne sono assolutamente convinta. Un'altra cosa su cui volevo porre l'attenzione è l'utilizzo del monouso, perché il Ministro Costa ha detto, in linea con quanto diceva anche lei, che non è necessario neanche in questa fase usare il monouso, perché chiaramente il lavaggio delle stoviglie, delle tazzine, dei piatti e di quant'altro è assolutamente sufficiente alla sanificazione. Leggo, però, che nelle disposizioni per questa fase si sollecita l'utilizzo del monouso, che sappiamo essere un problema ambientale molto sentito. Mi chiedo per quale motivo ci si muova in disaccordo con quelle che sono le linee sanitarie riscontrate e comunque concordate.

  PRESIDENTE. Invito i colleghi a essere più sintetici possibile in modo tale che sfruttiamo la presenza del presidente più a lungo possibile.

  SILVIO BRUSAFERRO, Presidente dell'Istituto superiore di sanità (ISS). Io provo a rispondere a quest'ultima parte della domanda che è stata posta. Noi oggi, in base alla normativa nazionale, abbiamo la possibilità di usare tre grandi categorie di mascherina. Una prima categoria è costituita dai cosiddetti «filtranti facciali», le famose FFP2 e FFP3, che vengono raccomandate come strumenti fondamentalmente professionali, quindi perlopiù a sanitari, ma in alcuni casi anche agli operatori ecologici, che hanno un particolare rischio di esporsi, per esempio, a situazioni dove il virus può essere aerosolizzato. Fondamentalmente, questa è l'indicazione. In realtà, sono indicazioni, chiamiamole, «professionali», che vengono raccomandate dal datore di lavoro, dal medico competente per situazioni di particolare rischio. L'esempio più classico o che più conoscete è quello del personale sanitario. Su questo c'è una lunga discussione a livello internazionale sul loro riutilizzo, che però dipende molto dal materiale con cui sono fatte, perché il loro ricondizionamento deve essere fatto in modo che non vengano alterate durante questo processo le capacità di filtraggio e le performance che devono garantire. Quindi, dipende molto dalla tipologia di materiale, dalla tipologia di costruzione e anche dalle caratteristiche realizzate dal costruttore di questi dispositivi di protezione individuale, in modo tale che si possa capire esattamente come esse si possono ricondizionare. La seconda tipologia di mascherinePag. 11 è costituita da quelle che rientrano nei cosiddetti «dispositivi medici», le famose mascherine chirurgiche, che sono riferite a quelle di Tipo II e IIR. La differenza è che le IIR hanno anche una capacità antischizzo. Anche queste hanno delle caratteristiche filtranti particolari, per cui devono avere delle performance specifiche che devono essere comunque autorizzate; devono avere una certificazione o CE o con il processo alternativo al famoso articolo 15. Oggi vengono autorizzate dal nostro Istituto per essere realizzate anche nella riconversione industriale che sta avvenendo in Italia. Poi ci sono anche quelle di Tipo I, che viceversa sono raccomandate per la comunità, ovverosia per pazienti e per persone. Quindi, hanno una capacità di filtraggio inferiore rispetto a quelle chirurgiche, cioè le II e IIR, e vengono utilizzate anche queste. Per questo tipo di mascherine si parla di monouso. Potrebbero essere poi immaginate anche con il pluriuso, ma per quanto io sappia in questo momento, le famose maschere chirurgiche sono mascherine fondamentalmente usa e getta. Poi ci sono le altre mascherine cosiddette «di comunità» a cui fa riferimento l'articolo 16. Queste mascherine di comunità hanno delle caratteristiche molto più generali. Non devono essere certificate e hanno la necessità di fungere da barriera rispetto alle vie respiratorie, facendo in modo che anche le persone che dovessero essere positive senza saperlo, nel momento in cui ammettono droplet, abbiano uno strumento di barriera che blocca la possibilità che questi vengano diffusi. Oggi, nella normativa attuale, vengono raccomandate in tutti i luoghi confinati e anche all'aperto laddove ci siano condizioni dove non puoi garantire in tutti i momenti in cui ti muovi o agisci il famoso distanziamento sociale. In questo caso vengono considerate anche mascherine che possono essere fatte dal tessuto e quindi teoricamente possono essere riutilizzate più volte, purché vengano lavate. Nei vari documenti che sono stati pubblicati si raccomanda, in questo caso, che devono essere lavate a sessanta gradi per almeno trenta minuti. Questo tipo di processo che può essere fatto, credo, anche con i comuni strumenti che ognuno di noi ha a casa, è sufficiente a inattivare il virus. L'importante, quando si usa questo tipo di mascherine, è che vengano gestite correttamente sia nell'indossarle sia nel rimuoverle, in modo che le superfici esterne e interne non vengano in contatto con le nostre mani, ma vengano depositate in un sacchetto ad hoc chiuso e poi vengano conferite al lavaggio anche domestico e vengano, una volta superato il lavaggio, asciutte, in modo da poter essere riutilizzate. Anche per queste, in funzione di chi le ha realizzate, c'è un certo numero di lavaggi che può essere fatto. Parimenti anche nell'articolo 16 possono essere fatte delle mascherine monouso. Questa è poi una scelta che dovrà essere indirizzata, credo, anche all'interno del Paese, ma ripeto, queste sono mascherine che non hanno specifici standard richiesti a livello normativo e non richiedono particolari autorizzazioni. Questo è lo scenario. In realtà, riguardo alle FFP3 e alle FFP2 c'è un dibattito internazionale sulla loro capacità di poter essere incondizionate e dipende molto dalle tecniche o strutture con cui sono fatte, perché devono mantenere le loro performance. È un po' più problematico il tema delle mascherine chirurgiche, perché in realtà mediamente sono fatte per essere monouso, quindi uno le usa per un turno di lavoro e le dismette, ma anche queste sono soprattutto mascherine che hanno principalmente un'indicazione professionale in vari contesti. Poi ci sono le mascherine di comunità, che possono essere fatte anche di stoffa o di altro materiale. In questo caso possono essere riutilizzate attraverso processi di lavaggio, come abbiamo descritto, e possono essere alternative tra le monouso o quelle che possono essere lavate. Questo è il quadro generale. Certamente ci troviamo di fronte a un fenomeno nuovo, per cui man mano che andiamo a sviluppare il sistema, man mano che andiamo ad articolare la Fase 2, auspicabilmente anche una Fase 3 nei prossimi mesi, dobbiamo ragionare su come e quale Pag. 12sia il miglior utilizzo, più che delle mascherine professionale io direi soprattutto quelle di comunità. Può essere fatta una riflessione e potrebbe essere un oggetto di riflessione proprio dell'intero Paese il quesito su quale sia la strategia migliore per poter affrontare questo tipo di problema.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Volevo rispondere agli altri quesiti della senatrice Nugnes. Vero è che la situazione ideale sarebbe considerare tutti i rifiuti provenienti da soggetti positivi al Covid o in quarantena come degli infettivi puri, e quindi seguire il decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 2003. Questo, però, ci rendiamo conto che non è fattibile e non è possibile per tante motivazioni, anche per questioni economiche e questioni gestionali. Per questo motivo si è scelto di considerare questi rifiuti come dei rifiuti urbani e di mandarli in raccolta indifferenziata per evitare qualsiasi trattamento e manipolazione successiva al confezionamento del rifiuto.
  Questo è quello che ha detto il Ministro Costa nell'audizione della scorsa settimana, se non ricordo male, soprattutto se ho capito bene cosa intendesse. È vero, lui ha parlato di voler posizionare dei contenitori specifici per le mascherine davanti alle varie farmacie su tutto il territorio nazionale. Da come si era espresso il Ministro Costa, ripeto, probabilmente non ho colto quello che voleva dire, se queste mascherine dovessero essere considerate dei rifiuti urbani. Quindi era un modo per posizionare dei raccoglitori specifici, in modo che tutta la popolazione sapesse che di fronte alle varie farmacie territoriali, ci potessero essere dei contenitori specifici per i nostri dispositivi, cioè mascherine e, o guanti, ma io l'ho sempre considerati come dei rifiuti urbani. E se così non fosse, probabilmente il Ministro avrà pensato di continuare con un altro tipo di rifiuto. Io ho pensato che li considerasse sempre dei rifiuti urbani.

  MANFREDI POTENTI. La mia domanda riguarda il problema delle sanificazioni, cioè quell'attività che, anche in virtù di alcuni protocolli, sono stati sottoscritti a tutela dei lavoratori, e poi inseriti come allegati al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 aprile. Prevedono la periodica e continuativa attività di pulizia di ambienti di lavoro, e anche altri ambienti, e che vedono queste attività inserite all'interno della circolare 5443, del 22 febbraio del Ministero della Salute. Anche qui per ritornare alla domanda, che faceva prima di me la collega senatrice Nugnes, si vede una distinzione tra la pulizia negli ambienti sanitari e quella negli ambienti non sanitari. Quindi in parte, forse, ho già avuto una risposta, ma la mia domanda è volta a conoscere se all'interno di queste dinamiche, che si sono in qualche maniera accresciute in modo esponenziale a causa della grandissima esigenza di questo tipo di pulizia, se c'è stata da parte della vostra autorità una qualche valutazione su quelli che possono poi essere i rischi connessi, e in parte mi avete risposto, e al conferimento di tutto quello che fa parte del risultato della pulizia, quindi tutto il contenuto della sanificazione che viene tolto: stracci, carta igienica e tutto quello che fa parte dell'ambiente che è stato santificato. Quindi se l'autorità si è posta qualche preoccupazione relativamente poi anche alla capacità di tante aziende, che si sono improvvisate in questo tipo di situazioni, a garantire il minimo livello di sicurezza ed evitare quindi che poi ci siano delle improvvisazioni nell'ambito della gestione di questi rifiuti.

  SILVIO BRUSAFERRO, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS). Allora sul tema della pulizia e sanificazione in ambienti extra sanitari, penso a giorni stiamo uscendo anche noi con un «COVID report» che spiegherà in maniera articolata, e proprio con questo spirito di chiarire i vari aspetti anche molto tecnici, molto operativi, su questa posizione. Lei ha fatto molto, e io condivido pienamente quanto da lei sottolineato, la differenza tra ambiente sanitario e ambiente non sanitario. L'ambiente sanitario ha tutta Pag. 13una serie di protocolli codificati prima del COVID. A parte l'impatto in termini di malattia o di quantità di gravità dei malati del COVID, dal punto di vista della pulizia del sistema e di sanificazione degli ambienti, questo rientra nei protocolli già esistenti per le malattie infettive, o per altri tipi di patologie simili. Quindi, da questo punto di vista ci sono protocolli molto definiti, e nei capitolati che riguardano gli ambienti sanitari, è sempre stato stratificato in base al rischio effettivo e, in base alla gravità, alle necessità del rischio, c'è sia la frequenza sia la tipologia di pulizia che devono essere fatti, così come il trattamento, così come la protezione degli operatori che fanno le pulizie, così come anche il trattamento del materiale per le pulizie, laddove parliamo di stracci, o di altri tipo di tessuti, o di usa e getta, TNT, o cose del genere. Per quanto riguarda invece gli ambienti non sanitari, ci sono due differenziazioni: gli ambienti da lavoro e gli ambienti domestici. Per quanto riguarda l'ambiente da lavoro, ci siamo detti che il ricondizionamento anche del materiale dei tessuti «che vengono usati», è un ricondizionamento relativamente semplice. Abbiamo citato il lavaggio a 60 gradi per mezz'ora, però ci sono altri condizionamenti. Ci sono tutta una serie di mix che possono essere fatte anche con vari tipi di detergenti, o disinfettanti che possono facilitare l'utilizzo. Certo, si tratta da un certo punto di vista di fare com'è avvenuto anche nei protocolli che sono stati siglati con le parti sociali, con i datori di lavoro, di adottare delle misure di sanificazione periodica. Però, non dimentichiamo che l'intensità e la tipologia deve essere proporzionata al rischio. E quindi, quando parliamo di ambienti sanitari, il rischio è molto definito, e anche intenso, soprattutto in alcune fasi, e in determinanti reparti. Quando parliamo invece di ambienti normali, quello che si raccomanda è una pulizia più frequente, è una pulizia e una sanificazione più intensa. Pensiamo sempre ai mezzi che ho citato prima per la raccolta e il conferimento poi in discarica, o negli impianti di trattamento dei rifiuti. Questi vanno fatti proprio perché non possiamo avere una stima a priori del rischio. Certamente l'attenzione deve essere posta nell'usare i prodotti nella concentrazione giusta, e questo è un altro tema che progressivamente dovremmo monitorizzare. Questa è una fase molto importante, che coincide peraltro con le riaperture avvenute questa settimana, di poter garantire questo tipo di attività nella giusta modalità e anche con la giusta concentrazione dei prodotti, proprio per evitare che poi, passatemi il termine, un «eccesso di zelo» finisca poi per non migliorare l'efficacia della pulizia, della sanificazione e viceversa, magari per poter creare qualche aspetto problematico poi nei reflui, o cose del genere. Questa è un'attività certamente che lei segnala, che credo sia importante, però credo anche che è molto importante immaginare e sapere che negli ambienti non sanitari, noi lavoriamo con un rischio più basso rispetto agli ambienti sanitari. Quindi frequenze e modalità di utilizzo devono rispettare i principi e i principi attivi, le raccomandazioni che noi conosciamo essere efficaci per l'inattivazione delle cariche virali. Però allo stesso tempo dobbiamo anche usarli nella maniera più appropriata possibile.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Se posso aggiungere solo una cosa su quanto detto dal professor BRUSAFERRO, per esempio nei nostri rapporti «COVID, sulla gestione dei rifiuti», abbiamo specificato anche come dover lavare le tute da lavoro e tutto l'abbigliamento degli addetti alla raccolta e smaltimento dei rifiuti. Abbiamo fatto uno studio tra le varie aziende municipalizzate. Abbiamo definito le temperature e i detersivi da utilizzare per il lavaggio delle tute, e cioè tra i 55 e i 60 gradi e con prodotti disinfettanti idonei. Questo perché? Perché aumentare troppo la temperatura, o usare, giustamente diceva il professore Brusaferro, dei detersivi troppo forti potrebbero danneggiare, alterare le caratteristiche di alta visibilità, ad esempio delle tute di questi operatori, che sono caratteristiche, sono necessarie a segnalare visivamente la presenza dell'operatorePag. 14 in qualunque condizione di luce. Quindi abbiamo cercato di rispondere a queste esigenze.

  SILVIO BRUSAFERRO, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS). Presidente, io mi scuso con lei e con tutti onorevoli e senatori presenti. Purtroppo mi devo assentare perché abbiamo l'approvazione del bilancio, e quindi è anche una seduta particolarmente importante nella vita di questo istituto. Rimane, però, la dottoressa Scaini per rispondere alle vostre domande, e siamo disponibili. Vi trasmetteremo la relazione che ho cercato di riassumere nel mio intervento iniziale, e che è stata redatta in accordo con la dottoressa Scaini e da tutto il gruppo di lavoro. Rimaniamo a vostra disposizione per qualsiasi approfondimento, o suggerimento che voi riteniate opportuno darci anche rispetto alle attività da fare nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.

  PRESIDENTE. Grazie, rivolgeremo le domande alla dottoressa Scaini, e poi eventualmente ci riserviamo di convocarla per un futuro chiarimento.

  SILVIO BRUSAFERRO, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS). Con piacere. Grazie ancora e buon pomeriggio.

  CHIARA BRAGA. Io avrei due domande puntuali e molto dirette. Nella sua introduzione, il professore ha fatto riferimento a un gruppo di lavoro sui rifiuti, istituito presso l'Istituto superiore di sanità. Se è possibile sapere, com'è organizzato e da chi è composto. L'altra domanda è se l'Istituto si sta occupando di una raccolta e analisi dei dati specifica, relativa ai rifiuti sanitari prodotti in residenze sanitarie assistenziali, che ha un focus per noi molto interessante, e credo anche importante.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Il gruppo di lavoro è stato istituito a marzo di quest'anno con decreto del Presidente. È un gruppo di lavoro multidisciplinare ed è composto da componenti interni all'istituto, ma anche esterni all'istituto. In particolare un sottogruppo, se così mi posso permettere di definirlo, di colleghi del nostro istituto, ma anche di rappresentanti. C'è un rappresentante della regione Lombardia, un rappresentante universitario, e un rappresentante di un'azienda municipalizzata, e insieme alla sottoscritta e altre colleghe del dipartimento ambiente con specifiche expertise, perché abbiamo due virologhe, una biologa, un'esperta in tossicologia, un'esperta in chimica. Questo gruppo ha lavorato, e sta lavorando, alla stesura di tutti i rapporti COVID, e di ulteriori rapporti COVID, che l'istituto ha intenzione di pubblicare. Per quanto riguarda la seconda domanda, per l'RSA, come penso saprete, l'istituto sta tra conducendo dei webinar settimanali proprio su questa problematica, che purtroppo si è venuta a creare con l'emergenza delle strutture sanitarie. In uno di questi webinar, tra l'altro c'è stato un mio intervento proprio sulla gestione dei rifiuti, di come gestirli e di come considerare questi rifiuti. Per quanto riguarda la sua domanda specifica, io non credo che sia competenza dell'Istituto superiore di sanità avere conoscenza delle quantità di rifiuti prodotti nelle RSA. Credo, però, su questo non sono veramente sicura, che sia più competenza di Ispra, che gestisce tutta la problematica della quantificazione, dei numeri, della quantità dei rifiuti prodotti in Italia. Credo che sia più di competenza di Ispra.

  CHIARA BRAGA. Solo se è possibile avere un dettaglio, anche successivamente, della composizione dell'istituto, con riferimenti più precisi, se possibile dei componenti. Su quest'ultima cosa, dottoressa, lei diceva che ha dato delle indicazioni, cioè l'istituto ha emanato delle direttive su come gestire i rifiuti nelle RSA?

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Non è riuscito nessun rapporto al riguardo. Però, se le strutture sanitarie sono equiparate a Pag. 15strutture ospedaliere, in quel caso il rifiuto prodotto in quella struttura è un rifiuto speciale, a rischio effettivo, e quindi segue il decreto del Presidente della Repubblica n. 254, e conseguentemente ci sarà un'azienda che sarà chiamata per la raccolta e gestione dei rifiuti. Quindi l'azienda darà alla struttura, i contenitori idonei, e questi saranno riempiti secondo quanto definito dal DPR. Poi la stessa azienda sarà colei che li raccoglie e li porterà a smaltimento, che nel caso specifico del DPR, è tendenzialmente l'inceneritore, oppure la sterilizzazione. Se invece ci troviamo di fronte a strutture, che vengono equiparate a queste, non ci dovrebbero essere soggetti positivi al COVID, ma se dovesse succedere che qualche ospite della struttura dovesse essere positivo al COVID, la prima cosa è isolare il soggetto e gestire quel rifiuto come un rifiuto domestico di persona positiva al COVID, e quindi bloccare la raccolta differenziata. Quindi mettere tutto nell'indifferenziata e creare un contenitore da mettere direttamente nella stanza della persona, purtroppo, malata, con il doppio-sacchetto. Buttare tutto in questo contenitore, cercare di smaltirlo quotidianamente e portarlo fuori dove magari c'è il cassonetto stradale, o comunque in un cassonetto, e che verrà poi gestito a seconda della gestione territoriale dove si trova l'RSA. Perché se è una RSA non ospedaliera, non possiamo costringere l'azienda a fare un contratto con una società di gestione e smaltimento dei rifiuti, a meno che l'RSA voglia fare questo contratto, e a quel punto verrà gestito come rifiuto sanitario.

  PRESIDENTE. Faremo le domande tecniche, poi eventualmente, per chi volesse invece farle più specificatamente al presidente, riconvochiamo la seduta, oppure le faremo in altra forma, che decideremo in ufficio di presidenza.

  GIOVANNI VIANELLO. Sarebbe forse opportuno anche ascoltare e rifare questa audizione anche con il direttore Brusaferro, per via di diverse domande che possono sorgere anche in virtù delle risposte che oggi abbiamo ricevuto. Ringrazio l'Istituto superiore di sanità per l'enorme lavoro che stanno facendo. Quindi comprendiamo anche gli impegni del direttore. Allora dovevo fare un quadro sulla situazione, perché vorrei avere delle risposte anche tecniche, quindi penso che la dottoressa sia in grado di potermela fornire. Per quanto riguarda questa questione, purtroppo l'emergenza COVID ha portato l'Istituto superiore di sanità a dare delle indicazioni che di fatto influiscono sulla raccolta dei rifiuti urbani, e in qualche maniera vi è uno stravolgimento di quella che era, e che è la gerarchia del trattamento dei rifiuti. Per cui la prevenzione alla produzione del rifiuto, il riutilizzo, il riciclo e il recupero sono ovviamente andati in coda, anzi sono state escluse dalla gestione, e si prevede soltanto tramite smaltimento in discarica o per incenerimento. Per questo motivo vorrei anche comprendere se si è valutato attentamente tutti i gradi, tutte le procedure di differenziazione dei rifiuti, come vengono trattati i rifiuti quando vengono differenziati, per escludere definitivamente la modalità di raccolta differenziata convenzionale. Nella fattispecie volevo comprendere il virus: a parità di condizione climatica, senza esposizione sole, su un materiale plastico si inattiva prima o dopo che sulla carta o su un organico? Questo è importante anche per comprendere i tempi in cui rimane attivo il virus su questi materiali. Perché la situazione della raccolta dei rifiuti, e quindi anche degli operatori che raccolgono i rifiuti, quando vanno a raccogliere l'indifferenziato, di fatto si trovano nelle stesse condizioni, come se stessero raccogliendo la parte differenziata. Tra l'altro, tutti quanti hanno dei dispositivi di protezione individuale, quindi vorrei comprendere esattamente come mai non si è previsto invece di dare delle indicazioni per disinnescare il virus nel trattamento della raccolta differenziata. Quando viene trattata la plastica, per essere poi preparata per il riciclaggio, viene comunque soggetta al lavaggio. La stessa cosa sulla carta. L'organico.Pag. 16 Mi sembra anche di capire dall'esposizione, che aveva fatto prima il direttore, che il compostaggio di fatto disattiva il virus. Quindi ad esempio la raccolta dell'organico potrebbe continuare, senza invece mandarla nell'indifferenziato. Ecco, quindi è importante comprendere come mai, se hanno verificato i trattamenti, che subiscono i rifiuti differenziati, se questi possano di fatto disinnescare il virus, senza avere ovviamente particolari problematiche per gli operatori e tutto il resto, visto che vengono anche disinfettati e sterilizzati tutti quanti i materiali e le attrezzature. La seconda domanda: come mai per le mascherine urbane a uso urbano, sono state definite «mascherine di comunità», non si è ritenuto di promuovere mascherine lavabili, quindi riutilizzabili, andando così ad incidere anche sul problema dell'eventuale smaltimento di questo materiale? Volevo anche comprendere se queste mascherine nuove, quelle a 50 centesimi, sono o non sono lavabili, e nel caso in cui non fossero lavabili, perché non si è pensato invece di promuovere l'utilizzo di mascherine lavabili a un prezzo standard per la popolazione.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Al momento non è noto il tempo di sopravvivenza in un rifiuto domestico dei coronavirus in generale, e del SARS-Cov 2, in particolare, ma certamente c'è un'elevata percezione del rischio da parte sia della popolazione che degli operatori coinvolti nella raccolta del rifiuto. Detto ciò, nei nostri rapporti, noi abbiamo raccomandato di interrompere la raccolta differenziata nei soggetti positivi al tampone, quindi soggetti positivi al COVID, e i soggetti in quarantena, ma per tutti gli altri soggetti, noi abbiamo specificato di continuare con la raccolta differenziata. L'unica accortezza è di eliminare le mascherine, i guanti e i fazzoletti di carta nell'indifferenziato. La capacità del virus di sopravvivere, come ha giustamente detto anche lei, cambia a seconda della matrice con cui viene a contatto. Si passa da poche ore a giorni. Sugli studi che sono stati fatti finora, effettivamente sulla plastica il virus purtroppo vive di più, più a lungo. Per questo abbiamo specificato di interrompere la raccolta differenziata per quei soggetti che sono positivi, per evitare qualsiasi manipolazione al momento in cui questo rifiuto esca e arrivi all'impianto di trattamento. Abbiamo anche scritto che sarebbe opportuno che per questa tipologia di rifiuto fosse privilegiato l'incenerimento, proprio per evitare qualsiasi manipolazione. Per quanto riguarda le mascherine, io mi posso esprimere fino ad un certo punto. Noi siamo l'Istituto superiore di sanità, quindi la scelta del legislatore di parlare di mascherine a 50 centesimi monouso, e non delle mascherine riutilizzabili, non è di nostra competenza, immagino, ma essendo mascherine monouso, appunto, non possono essere lavabili, perché già dal nome sono monouso, e non possono essere lavabili. Però, da quanto riportato dal direttore Bratti di Ispra nella scorsa audizione, i quantitativi che si prospetta ci saranno annualmente di queste mascherine e di guanti, e non sbaglio, vanno dalle 150 mila alle 400 mila tonnellate annue, e considerando che la maggior parte delle persone possano utilizzare le mascherine, cosiddette «chirurgiche», che hanno un peso inferiore che si aggira sui 3 grammi l'una, i quantitativi sono ancora meno, e sempre da quanto riportato, dal direttore Bratti, questi quantitativi non creerebbero problemi alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti.

  TULLIO PATASSINI. Devo constatare, purtroppo che l'assenza del presidente Brusaferro, nonché annunciata, non ci permette di analizzare approfonditamente la cosa. Quindi noi rinviamo le nostre domande a un'altra occasione.

  PIETRO LOREFICE. Alla dottoressa Scaini chiedo, se ne è a conoscenza, in particolare per l'uso dei guanti, specialmente nell'uso cosiddetto «ordinario», perciò non per soggetti che svolgono attività lavorative, o negli ospedali. Più soggetti ritengono l'utilizzo dei guanti praticamente quasi inutile. Perciò nelle vostre linee guida, come vi ponete in merito all'utilizzo dei Pag. 17guanti? Visto che anche a mani nude, solo con l'utilizzo di gel, di santificanti, il problema del virus è risolto. Perciò come mai si continua a proporre l'utilizzo dei guanti e a produrre di conseguenza rifiuti? Volevo capire se c'è una linea guida precisa. Se i guanti monouso, nei vari materiali, lattice, nitrile, o altro, sono realmente utili nell'uso quotidiano. Poi sarà possibile avere una puntualizzazione per l'utilizzo dei fanghi trattati in agricoltura? Avete emesso, per l'utilizzo dei fanghi in agricoltura, ulteriori direttive, o linee guida? Se sì, se c'è un gruppo di lavoro di approfondimento anche per questo? Va bene così, presidente.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Le rispondo subito alla seconda domanda. Per i fanghi di depurazione è uscito un rapporto COVID, che è il numero 9. Non ci sono stati ulteriori aggiornamenti su questo rapporto. Il gruppo di lavoro è sempre tendenzialmente lo stesso. Il gruppo di lavoro ambiente e rifiuti, e i rappresentanti sono sempre gli stessi. Però, come chiedeva l'onorevole Braga, penso, possiamo specificare le persone che compongono questo gruppo. Per quanto riguarda l'utilizzo di guanti, per ora non ci siamo pronunciati. L'Istituto non si è pronunciato sull'utilizzo o meno dei guanti. Certamente la pulizia delle mani con acqua e sapone per almeno trenta secondi, o l'utilizzo di gel disinfettante, è comunque sufficiente per la protezione dal virus. Questo è indubbio.

  LUCA BRIZIARELLI. Per me vale quanto affermato dal capogruppo, l'onorevole Patassini. Noi riteniamo fondamentale la presenza del presidente. Prendiamo atto come lei auspicava, ci sarà occasione di convocarlo anche per rispetto alla dottoressa. Alcune domande non possono che essere poste e ricevere risposta dal presidente. Quindi rinuncio all'intervento in attesa della nuova convocazione.

  PRESIDENTE. Sono rimasto io per ultimo, e mi perdoni se insisto su alcuni punti, In particolare sa che il nostro, il nostro cruccio è quello che riguarda i rifiuti e la produzione di rifiuti. Io capisco che lei dica che ci sono degli impianti, «sono 300 mila tonnellate e riesco a smaltirli». Però, a noi interessa, seguendo le disposizioni europee, non produrre rifiuti, e di non di essere tranquilli se ci sono gli impianti di smaltimento. In primo luogo, vorrei sapere e capire meglio i motivi dell'Europa. Io capisco che noi siamo arrivati per primi, fare delle linee guida e capire come comportarsi non è semplice. Però, noi siamo stati, rispetto a quello che ha detto l'Europa, più restrittivi. Perché l'Europa ha detto chiaramente «anche chi è positivo, può tranquillamente gestire il rifiuto in maniera normale». Questo perché, in primis, è difficile stabilire tra chi è positivo o meno, visto che la maggior parte sono asintomatici. Faccio un esempio, anche se fosse il rifiuto della plastica che è quella che dura di più per quanto riguarda la raccolta differenziata, che l'Italia ha deciso di fermare per quelli che sono dichiaratamente positivi, comunque sia dura qualche giorno. Però, noi conosciamo un po' la struttura, come funziona l'impiantistica, la filiera del rifiuto, se si dovesse decidere di andare direttamente a incenerimento o indifferenziato, come diceva prima per evitare il trattamento, ma il pretrattamento c'è sempre nell'indifferenziato. Comunque sia anche con i tempi, gli stoccaggi della plastica, ora che viene prelevato, trasportato, e messo nel deposito, sono passate settimane, quindi il virus non c'è più. Quindi volevo sapere per quale motivo c'è stato questo eccesso di precauzione rispetto poi a quanto affermato dall'Unione europea. Per quanto riguarda le mascherine, altro tema che mi sta a cuore, è quello della produzione di rifiuti. Allora mi domando questo per quanto riguarda le mascherine, che sono state ben differenziate in tre categorie dal presidente. Ho apprezzato molto il discorso che ha fatto il presidente per quanto riguarda quelle autoprodotte in casa, io lo sto facendo con i miei vecchi jeans, e probabilmente riescono ad essere al livello di quelle chirurgiche. Però, per quanto riguarda le chirurgiche, la mia domanda Pag. 18è questa: gli standard delle chirurgiche sono vecchi, e comunque riferiti ad un contesto chirurgico, quindi ospedaliero, non certo per l'uso che se ne sta facendo adesso, cioè per strada, nei supermercati o in ogni dove, dalle persone comuni. Mi corregga se sbaglio: le mascherine chirurgiche, potenzialmente se io le lavo o le o riutilizzo più volte, anche il termine «monouso» ha senso in sala operatoria, cioè le uso una volta, entro ed esco e basta, ma «monouso» nella vita quotidiana che vuol dire? Dalla mattina alla sera, il giorno dopo, un'ora, cinque minuti? È anche difficile stabilirlo, ma è corretto dire, come io penso e credo, che anche le chirurgiche, anche se io le dovessi alternare, un giorno utilizzo una, un giorno utilizzo quella che ho utilizzato il giorno prima, cioè le alterno mettendole al sole, addirittura ogni tanto posso anche lavarle, nel breve non perdono le capacità meccaniche e di protezione di filtraggio? Questo lo dico per sapere la posizione ufficiale, quella che dice l'ISS, ed eventualmente poi quella di comunicare queste cose alla cittadinanza. Perché ho visto anche degli eccessi di protezione. Ho visto gente con due mascherine con i guanti tenuti di continuo, non si sa per quale motivo. Anche sui guanti, c'è un eccesso di uso. Ho visto mani rovinarsi perché tenute sempre dentro i guanti, a volte due guanti, uno sopra l'altro. Quando poi alla fine anche in un supermercato, uno entra, si disinfetta, esce, e si ridisinfetta. Quindi si potrebbe anche invitare i supermercati invece che utilizzare i guanti, quelli di plastica ultra fini, che purtroppo non vengono nemmeno avviate a discarica, ma spesso e volentieri ho già cominciato a vederle per strada che volano, che vengono disperse nell'ambiente. Questo è il vero problema. Fatte queste mie considerazioni, se non dico cose sbagliate, può l'ISS, insieme alle altre istituzioni, prendere coscienza di questo problema? Con il passare del tempo, quando poi l'emergenza rientrerà, non dico nella normalità, ma sarà più gestibile, può farsi promotrice di informare, di incentivare l'utilizzo razionale di queste mascherine? Adesso vengono usate e buttate, forse in maniera eccessiva.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Sicuramente l'istituto si farà promotore del miglior utilizzo sia dei guanti che delle mascherine. A tutt'oggi però la mascherina è l'unico mezzo che abbiamo, oltre al distanziamento, per la prevenzione da questo virus. Le cosiddette «mascherine chirurgiche» hanno un tempo: c'è scritto nella confezione. Una mascherina dura, mi sembra, tra le sei e le otto ore, se non sbaglio. Certo, se io oggi la utilizzo per un'ora, non la devo buttare, la posso utilizzare anche domani, facendo in modo di arrivare alla capacità filtrante della mascherina. Per quanto riguarda l'aspetto dei quantitativi, io ho solo riportato quello che avevano già riportato precedentemente il ministro Costa e il direttore Bratti. Era solo una constatazione, un'affermazione, almeno risulta dai loro calcoli per quanto riguarda i quantitativi di rifiuti, di quelli che si verranno a trattare. In realtà, come ho detto prima, l'istituto non ha detto di bloccare la differenziata. L'istituto ha detto e ha consigliato di bloccare la differenza per quei soggetti positivi al COVID. Quindi stiamo parlando di una quantità, non è la popolazione in generale. Anche l'Unione europea ha specificato che per i soggetti positivi al COVID, questi in particolare: le mascherine, guanti e fazzoletti di carta, fossero gestiti come indifferenziata; ma stiamo parlando, ripeto e sottolineo, per i soggetti positivi al COVID o in quarantena. Per tutti gli altri, l'istituto non ha detto di bloccare la differenziata, ma ha detto di continuare.

  PRESIDENTE. No. Io parlavo della raccolta differenziata, non dei soggetti positivi. L'Europa ha detto che non è necessario sospendere la raccolta differenza per i soggetti positivi, fermo restando guanti e mascherine indifferenziato, ma quello non c'entra niente con la raccolta differenziata.

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Come dicevo Pag. 19prima, non si sa ancora, non ci sono studi specifici su questo rifiuto. Il rifiuto è una matrice omogenea, e quindi non si ha la certezza di quanto possa durare il virus, anche se quello che ha detto lei è giusto ed è vero, cioè nel momento in cui io faccio uscire un rifiuto di plastica dall'abitazione e poi arriva all'impianto, effettivamente passano molti giorni, e quindi è probabile che il virus venga inattivato, senza dubbio. Per questo, sicuramente, si stanno facendo degli studi, so che alcune università stanno facendo degli studi specifici proprio su questa tipologia di rifiuti. Per adesso la situazione è questa. Sicuramente, la situazione e le conoscenze andranno sicuramente migliorando. A quel punto daremo delle indicazioni precise.

  PRESIDENTE. Me lo auguro anche per quanto riguarda le mascherine. Come lei diceva, «sì, durano sei ore», però, ripeto, se esposte al sole, fatte riposare, si asciugano e poi possono essere tranquillamente riutilizzate. Questa è la questione che vorrei porre. Quindi educare poi il cittadino con tre, quattro, cinque mascherine, alternandole riesce tranquillamente a farlo. Perché spesso e volentieri è anche un costo per il cittadino che tutte le volte deve comprare le mascherine, che spesso non si trovano. Invece dire «guardate che se ne avete tre, le alternate facendole riposare almeno una giornata, asciugando sotto al sole, potete comunque riutilizzarle», questo secondo me è un messaggio che potrebbe passare adesso, se ovviamente è corretto dal punto di vista sanitario. È questo che volevo chiedere.
  Un'altra domanda che ho dimenticato di fare, e poi chiudo, sugli operatori dei rifiuti. Un altro motivo per il quale la gestione dei rifiuti dovrebbe praticamente continuare come è sempre stata, è sugli operatori dei rifiuti che dovrebbero andare a prendere la raccolta differenziata, o l'indifferenziato. Parlo della raccolta differenziata, e che quindi anche se positivi, come dice l'Europa, non è che abbia proprio senso sospendere la raccolta differenziata per i positivi, però gli operatori dei rifiuti in generale hanno guanti, mascherine come ce l'hanno sempre avuti, insomma, i dispositivi di protezione. Quindi non credo che venga messo a rischio l'operatore che raccoglie rifiuti. La mia domanda è: fatto degli studi? Esistono degli studi di categoria? C'è una presenza del contagio del virus superiore alla media nazionale per quanto riguarda gli operatori del mondo dei rifiuti?

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. Allora non c'è uno studio al riguardo. Abbiamo contattato alcune aziende specializzate e da quanto ci hanno detto, non c'è stato questo grande aumento di casi dovuto al virus. Queste sono indicazioni date da alcune aziende, ma non ci sono studi specifici.

  PIETRO LOREFICE. In merito al trattamento in situ all'interno di ospedali o strutture COVID in generale per quanto riguarda l'utilizzo di apparecchiature per la sterilizzazione, trattamento sanificazione dei rifiuti, tipo gli indumenti monouso, o altro. Ci sono delle tecnologie che sappiamo essere efficaci ed efficienti e riescono addirittura a ridurre il volume oltre l'80 per cento facendo uscire un prodotto finale che, senza rischio biologico, minimizza la quantità di rifiuti; però solo pochissime strutture ospedaliere in Italia lo utilizzano. Avete fatto un approfondimento in merito, e ritenete possa essere opportuno consigliare o stimolare le strutture ospedaliere all'utilizzo di questi macchinari per la sanificazione e sterilizzazione?

  FEDERICA SCAINI, Ricercatrice presso l'Istituto superiore di sanità. La sterilizzazione in situ è già prevista dal DPR 254. Sì, questa permette di declassare il rifiuto infettivo da pericoloso a rifiuto non pericoloso. Questo non fa sparire il rifiuto, ma il rifiuto rimane. Secondo il DPR, questo rifiuto può seguire tre vie: può andare sempre a incenerimento, oppure può essere utilizzato come un combustibile da rifiuto, oppure può andare in discarica, però dovrebbe essere la situazione meno utilizzata, perché dovremmo cercare di non portare il più possibile il rifiuto in discarica, secondo quanto richiestoPag. 20 dall'Unione europea. Sì, so che in alcuni ospedali vengono fatti questi trattamenti. Sicuramente è una cosa fattibile, è anche prevista dalla norma di legge del 2003. Però, che io sappia, non ci sono tutti questi impianti di sterilizzazione, tant'è che mi sembra che i quantitativi di rifiuti sterilizzati non è così elevata in Italia. Mi sembra che si aggiri sulle 50 mila tonnellate. Non vorrei dire stupidaggini.

  PRESIDENTE. Una precisazione, forse per i contenitori dei rifiuti speciali, se non sbaglio il ministro aveva detto «una raccolta dedicata», probabilmente intendeva delle ditte specializzate, quindi trattarlo come rifiuto speciale, ma non da avviare a indifferenziato, ma probabilmente da avviare al riciclo, perché dentro c'è il TNT, del tessuto, che anche se è composto da vari tessuti, può sempre separarsi, a meno che non si decida poi di realizzare una mascherina mono-materiale. Però, credo, si possa facilmente separare eventualmente riciclare quel materiale, quindi in ottica rifiuto speciale, ma finalizzata al riciclo, ovviamente. Immagino e credo che intendesse questo, ovviamente se ci sono delle aziende specializzate.
  Ci riserviamo di risentire il presidente e, o eventualmente fare delle domande o delle richieste specifiche. Per quanto mi riguarda, ci sono state specifiche ulteriori sulla riutilizzabilità e l'uso delle dispositivi di protezione, perché a noi sta a cuore la riduzione dei rifiuti. La ringrazio per la presenza e dichiaro conclusa all'audizione. La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 15.45, è ripresa alle 15.55.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che il termine per la presentazione di proposte di modifica e di osservazioni alla proposta di relazione territoriale sulla regione Umbria è prorogato a domani, 13 maggio 2020.

  La seduta termina alle 16.