XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 6 maggio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 2 
Noury Riccardo , portavoce di Amnesty International Italia ... 2 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 4 
Groppi Giulia , responsabile delle relazioni istituzionali di Amnesty International Italia ... 4 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 5 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 5 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 5 
Groppi Giulia , responsabile delle relazioni istituzionali di Amnesty International Italia ... 6 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 6 
Noury Riccardo , portavoce di Amnesty International Italia ... 6 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 8 
Noury Riccardo , portavoce di Amnesty International Italia ... 8 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 8

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 13.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianti audiovisivi a circuito chiuso nonché via streaming sulla web-tv della Camera come convenuto in sede di Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, anche al fine di consentire di seguire l'audizione ai colleghi non presenti in sede.

Audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia: Riccardo Noury, portavoce, e Giulia Groppi, responsabile delle relazioni istituzionali, che sono presenti in videoconferenza e che ringrazio per la disponibilità manifestata a collaborare da subito con questa Commissione. Ricordo che Amnesty International Italia è impegnata sin dalla morte di Giulio Regeni nella mobilitazione per la ricerca della verità e della giustizia e che continua ad animare un'intensa campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica italiana e mondiale che spesso è costata ai suoi dirigenti attacchi personali.
  Avverto che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che quindi eventuali contributi per cui si rendesse necessaria la forma segreta potranno essere meglio resi in altra seduta ovvero per iscritto.
  Do la parola al dottor Noury.

  RICCARDO NOURY, portavoce di Amnesty International Italia. Grazie Presidente, buon pomeriggio a lei, alle componenti e ai componenti della Commissione. Grazie per questa opportunità che vorremmo cogliere per fornirvi delle informazioni di contesto sulla ormai quasi settennale presidenza di Al Sisi e sulla situazione dei diritti umani, soprattutto riferita agli anni 2015-2016 che più interessano i lavori della Commissione. In secondo luogo, vorremmo descrivere quella che abbiamo definito come una estrema preoccupazione securitaria e le conseguenze che ha avuto anche nei confronti della società civile egiziana. In terzo luogo, intenderemmo parlare della data del 25 gennaio e di cosa significhi, dal 2011 in avanti, per procedere infine con altre considerazioni più specifiche sulla situazione dei diritti umani nel Paese.
  Amnesty International ha definito la situazione dei diritti umani in Egitto come quella di una sorta di emergenza resa permanente o una eccezione normalizzata, per dire che intorno allo stato d'emergenza, che è stato rinnovato nel 2017, si sono costituite come satelliti una serie di norme di legge ordinarie, alcune delle quali adottate sin dall'inizio della presidenza di al-Sisi, cioè nel 2013, altre via via a seguire, che hanno fatto sì che si formasse una sorta di costellazione di leggi ordinarie all'interno di questo sistema emergenziale che vede appunto nello stato d'emergenza del 2017 il suo perno. Questo ci ha portato a parlare di una sorta di emergenza permanente, ormai normalizzata, entrata e trasportata in pieno nei codici ordinari. In questi anni sono state adottate via via leggi Pag. 3che hanno compromesso gli spazi di libertà, li hanno ristretti se non vietati, leggi che hanno messo il bavaglio alla stampa indipendente, leggi di impunità, leggi per il controllo dei sindacati, leggi di ogni altro genere che hanno limitato fortemente la libertà di espressione e di associazione, nonché il lavoro delle organizzazioni per i diritti umani e dei loro attivisti e delle loro attiviste. In questo quadro si colloca, e in parte ne è la causa, quella che abbiamo definito una sorta di ossessione securitaria, che si è sviluppata su due livelli. È importante ricordare, e Amnesty International lo fa in ogni occasione, che c'è un tema di sicurezza legato alla presenza di gruppi armati islamisti soprattutto nel nord della penisola del Sinai, un territorio off-limits per il monitoraggio e per la stampa indipendente, ma che vede un conflitto armato grave, profondo e costante che ha causato migliaia di morti in questi ultimi anni e che ha portato in non pochi casi anche ad azioni di terrorismo nelle principali città dell'Egitto, Il Cairo in particolare. L'altro filone dell'ossessione securitaria ha visto, sin dai giorni della rivoluzione del 2011, concentrare le attenzioni, le preoccupazioni e le attività giudiziarie su tutto quel sistema di organizzazioni non governative, di ricercatori, di avvocati, di difensori dei diritti umani che in qualche modo risultassero collegati con l'estero. Già nel 2011 è partita un'inchiesta che è poi diventata nota come il caso 173/2011, che si è conclusa oltre sette anni dopo e che ha visto indagate sistematicamente tutte le ONG, i loro dirigenti e i loro funzionari che in qualche modo avessero rapporti o collegamenti con l'esterno di natura associativa o per ricevimento di finanziamenti. Un'inchiesta che ha portato a un processo durato due anni e che si è concluso nel giugno del 2013 con 43 operatori di ONG con doppio passaporto condannati a pena detentiva e con la chiusura di diverse ONG. È stato l'inizio di quella che ormai è considerata una diaspora di attivisti e attiviste con doppio passaporto, che hanno lasciato a decine l'Egitto in quegli anni per evitare la condanna. Nel dicembre del 2018, il caso 173/2011 ha visto la sua conclusione con l'assoluzione di tutte le persone che erano state condannate nel 2013. Mentre andava avanti l'inchiesta, successivamente alla salita al potere di Abdel Fattah al-Sisi, sono stati chiusi almeno sei uffici di ONG, 61 loro dipendenti arrestati e poi rilasciati su cauzione. Insomma, quella stretta intorno al mondo legato a interessi vari di ricerca, di studio, di analisi in molti casi e per molti versi legati ai diritti umani, è stato visto come una minaccia e il tema della minaccia dall'esterno si ricollega un po' a quello che è l'oggetto dei lavori della vostra Commissione e noi crediamo che sia anche una chiave di contesto per inquadrare le vicende che hanno riguardato tragicamente il rapimento, la sparizione, la tortura e l'omicidio di Giulio Regeni.
  Il terzo e ultimo punto che vorrei brevemente descrivere riguarda il senso, il significato e l'importanza della data del 25 gennaio che, per quanto riguarda il 2011, è la data in cui ormai convenzionalmente si fa iniziare la rivoluzione che portò allo spodestamento di Hosni Mubarak dopo un trentennio di presidenza ed è anche la festa nazionale della polizia. È il giorno in cui nel 2011 piazza Tahrir si riempie e da allora questo anniversario è stato il giorno in cui si è tentato di ricordare le persone uccise, le persone che avevano vinto la rivoluzione con manifestazioni, con tentativi di manifestazioni anche simbolici, ma i 25 gennaio successivi a quello del 2011 sono stati segnati da un forte controllo militare, da una repressione dei tentativi di manifestare, fino a quando si è arrivati al 25 gennaio del 2015, in realtà alla vigilia, il 24, quando c'è stato un episodio tra i più gravi di questi anni nelle ricorrenze del 25 gennaio. Ci fu una manifestazione di trenta persone, militanti del partito dell'Alleanza popolare socialista – un partito laico e secondo i nostri canoni progressista, comunque di sinistra – trenta persone tra cui chi portava uno striscione, chi aveva in mano dei fiori, tutti sul marciapiede per evitare di bloccare il traffico nella strada che si chiama Talaat Harb e che porta in piazza Tahrir: la polizia inizia a sparare lacrimogeni, poi con i fucili da caccia esplode pallini e una militante dell'Alleanza popolarePag. 4 socialista, Shaima al Sabbagh, viene uccisa. Questo per dire che ogni 25 gennaio ha vissuto episodi drammatici, fino a quando si è arrivati al 25 gennaio del 2016. Quel giorno le cronache ci riportano la sparizione di altre due persone, due attivisti egiziani di cui non si è più saputo nulla.
  Prima di passare la parola alla mia collega, dottoressa Giulia Groppi, vorrei solo evidenziare che questa breve esposizione è la sintesi estrema dei rapporti che Amnesty International ha pubblicato regolarmente nel corso di questi anni. Uno tra tutti, lo voglio ricordare, quello pubblicato nel luglio del 2016 sul fenomeno delle sparizioni, che prende in esame il periodo più acuto e intenso di sparizioni forzate in Egitto, quello che coincide con un cambio di vertice al ministero dell'interno, nel marzo del 2015. Dopo il marzo del 2015, le sparizioni forzate si contano al ritmo di due o tre al giorno: secondo i dati di quel periodo, circa mille all'anno. Si tratta del periodo marzo 2015 – giugno 2016, che è stato preso in esame da questo rapporto di Amnesty International. Tutti questi rapporti sono stati portati all'attenzione delle istituzioni italiane in varie sedi, in commissioni, incontri con gruppi parlamentari, incontri con esponenti di governo. In particolare, ricordo nel 2016 un incontro cui presi parte anche io alla Farnesina, cui partecipò l'ex presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi. Questo per dire che in questi anni c'è stato un tentativo di interloquire, di presentare denunce, di illustrare rapporti alle istituzioni italiane per cui l'audizione di oggi si pone in continuità con quella interlocuzione che Amnesty International ha sempre ritenuto necessario avere con le istituzioni del nostro Paese.
  Presidente, la ringrazio. Termino qui la mia esposizione, rimango a disposizione per le domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Noury. Do la parola alla dottoressa Groppi per la sua audizione.

  GIULIA GROPPI, responsabile delle relazioni istituzionali di Amnesty International Italia. Grazie al presidente e ai componenti della Commissione.
  Volevo fornire qualche informazione un po' più approfondita rispetto al tema delle sparizioni forzate e dell'uso della tortura che, come ricordava il collega Noury, sono dati che abbiamo riportato in diversi rapporti e che rivelano una vera e propria tendenza che ha visto migliaia di persone – attivisti politici, manifestanti e blogger – sparire nelle mani dello Stato senza lasciare traccia. Le sparizioni forzate hanno visto un forte incremento nel loro utilizzo a partire dalla nomina del generale Ghaffar a ministro dell'interno nel marzo del 2015 e, secondo i nostri dati e quello che abbiamo raccolto nei nostri rapporti, solo negli ultimi sei anni sono state più di 2000 le persone sottoposte a sparizione forzata. Vale la pena ricordare che il generale Ghaffar, che è stato ministro dell'interno fino al 2018, prima di diventare ministro era un alto funzionario dell'ex polizia segreta di Mubarak poi diventata NSA, l'Agenzia nazionale per la sicurezza, la principale agenzia di controllo impegnata nel reprimere il dissenso e l'opposizione, che si rende responsabile di rapimenti, di torture e di sparizioni forzate. Nella maggior parte dei casi che abbiamo documentato, l'Agenzia nazionale per la sicurezza, preleva direttamente le persone nelle proprie case di notte o nelle prime ore del mattino senza alcun mandato di cattura, senza alcun mandato di perquisizione. Le persone vengono ammanettate, vengono bendate e vengono requisiti i loro effetti personali quali libri, cellulari, computer; ai familiari viene intimato di non denunciare quanto avvenuto. Durante i periodi di sparizione forzata, queste persone vengono detenute in centri direttamente afferenti al Ministero dell'interno o presso stazioni di polizia. Vale la pena menzionare il fatto che le persone vengono detenute senza essere iscritte ufficialmente nei registri dei detenuti, quindi non risultano effettivamente nelle mani della polizia in quel momento. La durata della detenzione forzata è molto varia ma di solito va da qualche giorno a qualche settimana e, nei casi più gravi registrati da Amnesty, si è prolungata persino per dei Pag. 5mesi. Durante questi periodi di sparizione forzata, le persone vengono interrogate sulle loro conoscenze, sui loro contatti con persone che sono detenute per essere oppositori politici, sulla propria attività di propaganda, opinioni politiche e proselitismo. In questo quadro un ruolo preponderante è svolto dalla Procura suprema, che, ricordiamo, è un soggetto che non ha alcuna indipendenza nei confronti del potere esecutivo, in quanto i procuratori sono nominati direttamente su approvazione del Presidente, quindi non vi è sostanzialmente alcuna indipendenza e il Ministero della Giustizia ha peraltro un ampio potere discrezionale nell'emettere provvedimenti disciplinari.
  Il principale strumento a cui ricorre la Procura suprema è quello della detenzione preventiva, tristemente famosa anche nei tempi più recenti, poiché altri casi sono seguiti e sono tristemente famosi per questo. Detenzione preventiva che per legge dovrebbe essere permessa fino a un massimo di 150 giorni, ma che abbiamo documentato a volte arrivare fino a 1200 giorni. L'accusa più grave che viene mossa nei confronti della Procura suprema è proprio quella di non indagare, ignorando le denunce di torture subite dai detenuti durante gli interrogatori. I metodi di tortura che Amnesty ha documentato e testimoniato in questi anni vanno dalle più semplici percosse alle scariche elettriche, anche nelle zone più sensibili del corpo, allo stupro, alla violenza sessuale, all'essere appesi per gli arti e anche all'isolamento che, se prolungato, può diventare una forma di tortura. La Procura suprema non indaga praticamente mai sui casi che vengono denunciati e anzi molto spesso fonda le proprie decisioni sulla base di confessioni ottenute palesemente tramite tortura; persino quando i detenuti stessi poi ritrattano le proprie confessioni non vengono ascoltati.
  Questo è il quadro della situazione che tuttora si verifica in Egitto e nel quale si è inserita la sparizione, la tortura e l'uccisione di Giulio Regeni. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Groppi. Chiedo ai colleghi presenti se intendono porre quesiti o formulare osservazioni. Ricordo che, ai fini della diretta streaming, per essere inquadrati e visibili anche dagli auditi bisogna prendere la parola dalla postazione accanto alla mia. Dal vostro posto è comunque attivo l'audio. Do la parola alla collega Quartapelle.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto gli auditi per la loro relazione.
  Vorrei chiedere se secondo loro la vicenda di Giulio Regeni ha in qualche modo modificato la situazione delle sparizioni forzate in Egitto, se quella vicenda da parte degli apparati di sicurezza e di repressione dell'Egitto è stata qualificata come tutte le altre oppure se ci sono state delle differenze.
  La seconda domanda ha più a che fare con una questione, se si può usare questa parola, di comparazione. Amnesty fa della protezione dei diritti umani nel mondo la propria ragione fondante: la situazione egiziana come si pone rispetto ad altri Paesi che violano i diritti umani nella regione, ma anche nel mondo dove avvengono fatti analoghi?
  Infine una domanda più di policy: che cosa secondo voi può fare l'Italia in modo efficace per condannare atti di questo tipo, non solo riferiti ovviamente alla vicenda di Regeni, anche se la Commissione è stata costituita sostanzialmente per arrivare alla verità su Regeni. In che modo l'Italia può fare pressione seria e significativa per condannare atti di questo tipo e in che modo l'Italia può aiutare invece a proteggere le persone che si trovano in questo momento nelle carceri egiziane e le persone a rischio di finire vittima di una sparizione forzata?

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri colleghi che intendono formulare domande, provo ad aggiungerne alcune io.
  La prima domanda che vi faccio è se, anche alla luce del quadro che ci avete fornito, ritenete che la vicenda di Giulio Regeni sia legata al contesto generale rispetto soprattutto all'attenzione ossessiva che il regime egiziano aveva nei confronti di chiunque avesse contatti con l'estero anche nella qualità di cittadino straniero, Pag. 6oppure che sia in qualche modo legata al contenuto della sua ricerca e quindi agli ambienti che frequentava.
  L'altra domanda che vi pongo riguarda un altro caso che sta molto a cuore all'opinione pubblica italiana, quello dello studente egiziano dell'Università di Bologna, Patrick Zaki. Vi chiedo che informazioni avete rispetto alla sua attuale condizione e se state monitorando anche il suo caso.
  L'ultima domanda che vi faccio, e ciò in generale anche per l'attività di documentazione di questa Commissione, è se potete fornire chiarimenti circa il metodo che Amnesty utilizza per i rapporti e per l'attività di monitoraggio che compie.

  GIULIA GROPPI, responsabile delle relazioni istituzionali di Amnesty International Italia. Comincio io rispondendo alla domanda dell'onorevole Quartapelle rispetto alle iniziative che l'Italia potrebbe mettere in atto. Dal momento del rientro dell'ambasciatore al Cairo, pur non essendoci stati grossi sviluppi e grandi passi in avanti nella ricerca della verità, anche per una carente collaborazione da parte delle autorità egiziane, crediamo che l'ambasciatore in linea teorica possa essere una figura importante per continuare a fare pressione sulle autorità nel lavoro di indagine sulla morte di Giulio Regeni per arrivare alla verità, ma da questo punto di vista, come abbiamo sempre sostenuto e sosteniamo – e con questo rispondo in parte anche alla domanda sul caso di Patrick Zaki – quello che a nostro avviso andrebbe sostanzialmente rimodulato è proprio il rapporto diplomatico, e commerciale soprattutto, che esiste con l'Egitto, non escludendo alcuna ipotesi.
  Questo per dire che da diverse parti, nei tempi più recenti sul caso di Patrick Zaki, persino il presidente del Parlamento europeo si è espresso in favore di una subordinazione del prosieguo delle attività e dei rapporti diplomatici a un rispetto dei diritti umani. Sicuramente un segnale forte da questo punto di vista potrebbe probabilmente portare a qualche risultato.
  Circa il caso di Patrick Zaki, noi stiamo seguendo la vicenda dal momento del suo arresto a febbraio, insieme a tanti altri soggetti che si stanno battendo per questa causa, come l'Università di Bologna, il Comune e ovviamente la famiglia di Zaki. Quello che sappiamo è che purtroppo c'è stato, come raccontavo prima, un ennesimo ricorso alla detenzione preventiva, in quanto Zaki è accusato di sovversione dell'ordine e di terrorismo, quindi le tipiche accuse che giustificano il ricorso alla detenzione preventiva, e che c'è stato un iniziale rinvio, tipico di questi processi, delle udienze di quindici giorni in quindici giorni. Questo fino ai primi di marzo, quando è scoppiata la pandemia di Covid-19 per cui le udienze si svolgono a singhiozzo, ma comunque senza la presenza dei suoi avvocati. Questo cosa vuol dire? Che quello che noi temiamo fortemente è che il Covid-19 diventi sostanzialmente una scusa per proseguire questa detenzione ad libitum in una situazione nella quale peraltro a Zaki non è permesso di vedere la famiglia, gli avvocati o di ricevere alcun tipo di supporto. Quindi siamo estremamente preoccupati, nonostante i due casi, come è stato sottolineato all'inizio, non abbiano dirette connessioni, però ovviamente il quadro è quello che ho descritto prima e quindi anche la vicenda di Patrick Zaki si inserisce in questo contesto. Abbiamo inoltre continuato in questi mesi a tenere un intenso scambio con l'ambasciatore Cantini, proprio perché si faccia portavoce di una richiesta di liberazione di Zaki; stiamo proseguendo in questa attività e speriamo che ci possano essere degli sviluppi favorevoli nelle prossime settimane. Se il presidente è d'accordo, lascerei la parola al collega Noury per le altre risposte. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie dottoressa Groppi. Do la parola al dottor Noury.

  RICCARDO NOURY, portavoce di Amnesty International Italia. Grazie per le vostre domande. Risponderò seguendone l'ordine.
  Ci sono state sparizioni forzate a centinaia prima di quella di Giulio Regeni, ce ne sono state centinaia dopo quella di Giulio Regeni. È possibile che quel picco di 2-3 al giorno, forse di più, del 2015-2016, sia Pag. 7calato, ma rimangono a centinaia ogni anno. Può anche essere che siano diminuite leggermente perché la repressione è così intensa che c'è forse meno bisogno di far sparire un migliaio di persone all'anno? Non lo sappiamo, resta il fatto che rimangono uno degli elementi che preoccupa di più dello scenario attuale della situazione dei diritti umani in Egitto. Voglio anche aggiungere che, come è noto, per la sparizione e le successive violazioni dei diritti umani che ha subito Giulio Regeni non c'è stata alcuna incriminazione e dunque non c'è stata neanche una sorta di monito alle forze e ai vari apparati di sicurezza a smetterla perché in caso contrario vi sarebbero state delle sanzioni.
  Per quanto riguarda la seconda domanda, Amnesty International, lo sapete, è sempre molto restia a fare paragoni e confronti perché magari può avere una ricerca meno completa su alcuni Paesi, però non voglio sfuggire del tutto alla domanda. Escludendo i Paesi che sono in conflitto, o conflitto interno o conflitto con partecipazione di soggetti esterni – dalla Libia, alla Siria, allo Yemen, che appunto escluderei perché è difficile fare una comparazione – certamente nell'area del Maghreb l'Egitto, per una serie di profili di repressione di tutta una serie di diritti, per l'incidenza di alcune specifiche forme di violazione dei diritti umani, tra cui, ripeto, le sparizioni e anche la tortura, rappresenta un caso a sé. Possono esserci dei paragoni possibili con altri Paesi fuori da quell'area, ma, limitandomi al Maghreb ed escludendo la Libia, ritengo che l'Egitto presenti profili estremamente drammatici di violazione dei diritti umani che possono essere riscontrati in altri Paesi, in altri continenti dove ci sono governi civili o regimi militari, ma sarebbe abbastanza complicato ora risalire a trovare analogie e differenze.
  Per venire alla prima domanda del presidente, credo che il contesto che abbiamo descritto di questa ossessione securitaria sia quello nel quale vada collocata l'uccisione di Giulio Regeni ed è possibile che, combinando i due elementi, ovvero il tema della sua attività di ricerca e l'ossessione securitaria, in corso da anni, se questo collegamento è possibile farlo, io lo ritengo assolutamente sensato. Quello che voglio sottolineare è che in tutti i casi di persone che sono state oggetto di attenzione o di persecuzione in questa paranoia securitaria, si è trattato di persone che non soltanto svolgevano un'attività del tutto lecita, legittima, riconosciuta, protetta dal diritto internazionale, ma erano anche persone che lo facevano assolutamente alla luce del sole, questo è importante sottolinearlo.
  Circa i metodi di ricerca, ed è l'ultima risposta che vorrei dare, Amnesty International basa le sue ricerche su una serie di criteri e di fonti: in Egitto c'è una vivacissima e coraggiosissima società civile che lotta per i diritti umani, per quanto repressa, per quanto intimidita, per quanto soggetta ad arresti e detenzioni e anche sparizioni; sono gruppi che non cessano di portare avanti la loro attività. Uno tra tutti: l'Iniziativa egiziana per i diritti della persona, che è la ONG con la quale ha collaborato, prima di diventare un brillante studente a Bologna, lo stesso Patrick Zaki. Ove possibile, interloquiamo con le istituzioni in maniera formale, attraverso carteggi e scambi di report, consultiamo, per quanto riguarda specificamente l'Egitto, le leggi pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, leggi e altri provvedimenti, verifichiamo ed esaminiamo con attenzione gli atti giudiziari, parliamo con avvocati, con familiari di persone che sono in carcere, leggiamo la stampa, quella pro-governo e anche fonti preziose indipendenti, come il portale Mada Masr, cui ogni volta mi sento di dedicare un elogio particolare. Insomma, tutto questo insieme di fonti, comprese anche interviste da remoto, quando necessario, vanno a costituire, per così dire, il lordo dei rapporti che poi attraverso ulteriori verifiche, controlli, check e altro ancora, diventano un report che ha una sua uscita pubblica nei confronti dei mezzi di informazione, nei confronti delle istituzioni, come in questo caso. La cosa importante è che, proprio come metodologia, prima di pubblicare ogni rapporto, Amnesty International lo invia al governo il cui Stato è oggetto del rapporto stesso, chiedendo di fornire commenti che verranno pubblicati nella versione definitivaPag. 8 del rapporto. Si tratta di uno standard per cui si dà un periodo di tempo di alcune settimane al governo per poter replicare: in alcuni casi, rari, i governi replicano e quindi questo diventa un contenuto del report, in molti casi i governi replicano dopo, pubblicamente, con dichiarazioni denigratorie nei confronti di Amnesty International e dei loro esponenti.

  PRESIDENTE. Nel caso dell'Egitto avete mai avuto una replica formale o pubblica?

  RICCARDO NOURY, portavoce di Amnesty International Italia. Formale, nel senso che arriva da istituzioni e pubblica perché viene fatta spesso a mezzo stampa? Questa modalità di ricevere osservazioni a un report per poterle pubblicare, nel caso dell'Egitto, a mia memoria, negli ultimi anni, dal 2011 in poi, non ricordo sia stata praticata.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre richieste di intervento ringrazio il dottor Noury e la dottoressa Groppi per il loro contributo e ringrazio altresì Amnesty International per l'incessante lavoro di informazione e monitoraggio, ma soprattutto di sensibilizzazione sul tema dei diritti umani e in particolare per la campagna costante per la ricerca di verità e giustizia per l'omicidio di Giulio Regeni, che questa Commissione ha sempre apprezzato. Grazie ancora. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.