XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Mercoledì 10 luglio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Zanardi Alberto , Consigliere dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 7 
Zanardi Alberto , Consigliere dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio ... 7 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 10 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 10 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 11 

ALLEGATO: Documentazione presentata dall'Ufficio Parlamentare di bilancio ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, di rappresentanti dell'Ufficio parlamentare di bilancio, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Oggi è presente, in rappresentanza dell'Ufficio parlamentare di bilancio, il professor Alberto Zanardi, membro del consiglio dell'Ufficio parlamentare di bilancio.
  Professore, la ringrazio per la disponibilità dimostrata e le cedo la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  ALBERTO ZANARDI, Consigliere dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per l'invito.
  Faccio una premessa quasi metodologica: in questi giorni noi abbiamo notizie di stampa che ci dicono che ci sia una revisione in corso di alcune parti importanti delle intese fra le tre regioni richiedenti e il Governo, soprattutto per quanto riguarda la sezione sulla finanza pubblica. Ovviamente io non posso tenerne conto in queste osservazioni che oggi vi proporrò, perché manca totalmente l'evidenza ufficiale di queste revisioni, e necessariamente, quindi, io dovrò fare riferimento all'unico documento ufficiale che è attualmente disponibile, quello che viene indicato come «testo concordato», che è quanto pubblicato sul sito del Dipartimento degli affari regionali a metà di febbraio.
  Come ben sapete, quel documento contiene soltanto la prima sezione, la sezione generale, che ci dà solo un elenco e non i dettagli delle funzioni che sarebbero concordate tra il Governo e le tre regioni rispettivamente per il trasferimento e ci dà soprattutto un'indicazione delle modalità per l'attribuzione delle risorse finanziarie, nonché umane, necessarie per fare in modo che le tre regioni richiedenti possano realizzare concretamente queste competenze aggiuntive.
  Come sappiamo, non abbiamo invece informazioni di dettaglio sulle funzioni che verrebbero chieste, ma abbiamo solo dei numeri: ventitré materie, contenitori generali, per il Veneto, venti per la Lombardia e sedici per l'Emilia-Romagna.
  Sul tema del regionalismo differenziato vorrei fare inizialmente due brevissime osservazioni preliminari. La prima, che è un punto che è già stato sollevato da altre persone che sono state audite davanti a questa Commissione, è il problema dei criteri Pag. 4 di «ammissione» al regionalismo differenziato.
  Le bozze d'intesa, prima ancora l'articolo 116, terzo comma, e soprattutto un'eventuale legge quadro di attuazione del dettato costituzionale avrebbero dovuto prevedere dei criteri in termini di solidità delle finanze regionali e in termini di adeguatezza della capacità amministrativa delle regioni, che avrebbero dovuto fare in un certo senso da filtro rispetto alle richieste da parte delle singole regioni.
  Questi criteri non ci sono e, quindi, ovviamente le bozze d'intesa non riportano, se non in termini molto vaghi, le motivazioni sottostanti alle richieste. Questo ha fondamentalmente due conseguenze. Una prima conseguenza io credo che sia il fatto che ci si espone a dei rischi in generale di peggioramento delle prestazioni fornite, di eventuali deficit nei bilanci regionali, di conflitti di competenza e di tensioni in termini di squilibri regionali.
  C'è poi una seconda conseguenza, che segnala anche forse una lacuna dell'attuale struttura delle intese, cioè che, se non ci sono presidi ex ante all'entrata di nuove regioni, ci devono essere forti presidi ex post, ovvero modalità e procedure di riconoscimento dell'eventuale «fallimento» delle regioni nel gestire adeguatamente i servizi e le competenze aggiuntive acquisite e procedure per la conseguente riconduzione di queste regioni nell'alveo della responsabilità statale nel caso in cui non riuscissero a fornire adeguatamente questi servizi aggiuntivi.
  C'è poi una seconda osservazione veramente preliminare: in tutto questo dibattito sul federalismo regionale c'è una sorta di eccesso di attenzione sui profili di finanza pubblica, che sono quelli che, però, io oggi tratterò. Questo eccesso di attenzione è dovuto al modo con cui è partito questo dibattito, con le richieste di Lombardia e Veneto di acquisire risorse non strettamente correlate alle funzioni richieste.
  Direi, però, che una volta risolto questo problema di un adeguato assetto delle modalità di finanziamento delle regioni ad autonomia rafforzata, l'attenzione dovrebbe concentrarsi in modo assolutamente più meritorio sulle funzioni. Sono le funzioni il cuore di questa operazione. Bisogna valutarne adeguatamente la coerenza con gli interessi nazionali e le ricadute sul funzionamento anche dello Stato, oltre che ovviamente delle altre regioni. Questo vale, non solo per le funzioni che hanno risvolti di natura finanziaria e, quindi, che comportano spese, ma anche per le funzioni di natura meramente organizzativa, gestionale e regolamentare, al di là dell'aspetto puramente finanziario.
  Peraltro, questo eccesso di attenzione e di enfasi sui profili finanziari si evidenzia ancor di più, almeno da quello che si sa (poco) delle funzioni richieste, andando a riflettere sul fatto che, se si esclude la richiesta di trasferimento del personale dell'istruzione dai ruoli dello Stato ai ruoli delle regioni, probabilmente il contenuto delle implicazioni finanziarie si riduce fortemente.
  Ricordo soltanto che in termini di primissima approssimazione, partendo dai dati della Ragioneria generale dello Stato sulla spesa statale regionalizzata, in modo particolare dalla missione istruzione scolastica, il trasferimento di personale varrebbe 4,6 miliardi per la Lombardia, 2,3 per il Veneto e 2,1 per l'Emilia-Romagna, qualora lo richiedesse. Complessivamente, se tutte e quindici le regioni a statuto ordinario richiedessero questa missione, attualmente dello Stato, ci sarebbe un trasferimento di 27,7 miliardi.
  Quale che sia l'effettiva portata delle risorse da trasferire, io credo, come premessa, che il Parlamento ne debba essere pienamente informato e consapevole fin dall'inizio di questa discussione. In questo senso, già nella fase di valutazione e discussione dell'intesa o pre-intesa che sarà sottoposta alla discussione e all'attenzione del Parlamento, non solo queste intese dovranno avere un adeguato dettaglio delle funzioni richieste, ma dovranno anche riportare una quantificazione attenta delle correlate risorse. Potranno essere risorse importanti, potranno essere risorse limitate che vengono trasferite dallo Stato a favore delle regioni, ma il Parlamento ne Pag. 5deve avere piena informazione e consapevolezza.
  Credo che sia in generale inappropriata la soluzione che viene prospettata attualmente nel testo delle bozze – mi sembra all'articolo 3 – quando si affida la quantificazione e determinazione delle risorse, dopo l'entrata in vigore delle leggi di approvazione, alla commissione paritetica fra Stato e regione interessata. La quantificazione deve essere nel momento della valutazione da parte del Parlamento.
  Dunque, in attesa di conoscere il dettaglio delle funzioni e anche delle quantificazioni che credo che il Ministero dell'economia dovrà sviluppare a partire da queste competenze attribuite, proverò a fare qualche ragionamento sull'impianto generale del meccanismo di finanziamento delle nuove forme di autonomia.
  Mi sembra che le questioni generali siano fondamentalmente tre. La prima è quella delle modalità con cui garantire, anche in un assetto di federalismo differenziato, la tenuta dei conti pubblici da un lato e la solidarietà interregionale, ovvero l'uniformità delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, dall'altro.
  Il secondo è un problema quasi tecnico una volta risolto il primo, cioè le modalità di quantificazione delle risorse che devono essere trasferite a fronte delle funzioni riconosciute.
  Il terzo, anch'esso un problema tecnico, è la scelta degli strumenti fiscali con cui realizzare concretamente questo trasferimento di risorse una volta determinato.
  Partiamo dal primo punto, quello dell'impianto generale, in modo tale che sia un impianto coerente con le esigenze di tenuta dei conti pubblici e con le esigenze di perequazione tra diverse aree del Paese.
  Una prima osservazione, anche questa molto banale, è il problema del collegamento – scusate i tecnicismi – con il federalismo simmetrico, cioè con il federalismo regionale che è proprio di tutte le regioni a statuto ordinario sulle competenze che sono loro attribuite in termini generali, ovvero fondamentalmente il collegamento con la legge n. 42 del 2009 e con il decreto legislativo n. 68 del 2011, che dovrebbe dare attuazione a quella legge delega in tema di federalismo regionale.
  La prima cosa che sorprende, che è stata fatta notare più volte, è che nelle bozze d'intesa non ci sia richiamo alla legge n. 42, quando, se noi andiamo a prendere la Costituzione, all'articolo 116, terzo comma, c'è un chiaro richiamo ai princìpi dell'articolo 119, il quale regola le modalità di finanziamento delle regioni, oltre che dei comuni e degli altri enti locali.
  Questo richiamo al 119 credo che sia in generale interpretabile fondamentalmente in due modi. Gli strumenti con cui finanziare queste funzioni addizionali del federalismo differenziato devono essere coerenti con quelli ordinari delle altre regioni, che sono quelli regolati nel 119. Il secondo modo di interpretare questo richiamo al 119 è che dall'operazione di federalismo differenziato, ovvero il trasferimento di nuove competenze soltanto ad alcune regioni, non devono derivare variazioni nello stato attuale della perequazione interregionale, cioè deve essere verificato una sorta di requisito di neutralità perequativa, di neutralità redistributiva.
  Se seguiamo questo ordine logico, bisognerebbe costruire un sistema di finanziamento delle funzioni aggiuntive coerente con una sorta di base comune, che è quella del federalismo simmetrico, quello relativo a tutte le regioni a statuto ordinario.
  Qui emerge la difficoltà. Sappiamo che lo stato di attuazione del federalismo regionale di cui alla legge n. 42 è sostanzialmente incompleto. Mancano ancora una serie di pilastri fondamentali di quella costruzione, peraltro molto complessa. Manca la distinzione fra meccanismi di finanziamento e perequazione fra funzioni LEP (livelli essenziali delle prestazioni) e funzioni non LEP. Manca, per esempio, la perequazione infrastrutturale. Mancano i criteri di regionalizzazione dell'imposta sul valore aggiunto in relazione a un aggancio territoriale. Mancano una serie di elementi costitutivi fondamentali.
  Il problema è un po’ questo: su questo quadro comune incerto, ancora in fase di assestamento, noi dobbiamo costruire, al di sopra di questa piastra comune, un meccanismo Pag. 6 di finanziamento delle funzioni aggiuntive che sia coerente e integrato, come richiama il 119, con questo elemento comune. Credo che la logica ci dovrebbe indicare che prima si realizza il federalismo simmetrico e poi, una volta costruito questo piano comune, al di sopra si costruisce il federalismo asimmetrico, o quantomeno i due processi di attuazione dovrebbero svilupparsi in parallelo, in modo da garantire adeguate coerenze fra i due processi di realizzazione.
  Più in particolare, le bozze d'intesa di metà febbraio, almeno per come le abbiamo lette noi, richiamano i profili di finanza pubblica con riferimento a due ambiti d'intervento. Il primo ambito è forse quello che almeno io ho più in mente, cioè il trasferimento di funzioni che oggi sono statali a favore di alcune regioni, quelle richiedenti, con connessi problemi di quantificazione delle risorse e di trasferimento di queste risorse. Penso al caso dell'istruzione, tanto per avere in mente un esempio di riferimento.
  Tuttavia, c'è un secondo ambito, che viene richiamato nell'articolo 6 delle intese, in cui le regioni chiedono – e il Governo sembrerebbe riconoscere questo diritto – di rendere certe e programmabili le risorse che attualmente lo Stato già attribuisce alle regioni su funzioni che già sono regionalizzate. Fondamentalmente l'articolo 6 fa riferimento ai fondi per gli investimenti infrastrutturali.
  Svolgo molto rapidamente questo secondo ambito, per poi tornare al primo. Le regioni chiedono certezza e programmabilità delle risorse che servono per finanziare gli investimenti infrastrutturali nei loro territori. Ovviamente si tratta di una richiesta opportuna e condivisibile, però c'è da domandarsi se la soluzione più opportuna sia quella prospettata nelle intese.
  Quello che dicono le intese è che bisognerebbe valutare quelli sono i fabbisogni infrastrutturali delle regioni richiedenti, ovviamente nel momento iniziale, bisognerebbe attribuire un'aliquota di compartecipazione che dia un gettito pari al finanziamento di quei fabbisogni infrastrutturali e poi apparentemente, come abbiamo letto noi, questa aliquota di compartecipazione rimarrebbe costante nel tempo. Ciò vuol dire che da quel momento in poi le risorse, ovviamente programmabili a quel punto o quantomeno prevedibili, sarebbero legate fondamentalmente alla dinamica nel corso del tempo dei gettiti compartecipati sui territori regionali.
  Questa soluzione ci sembra difficilmente condivisibile, proprio a partire dalle premesse che ho detto prima: si tratta di un problema globale, che interessa tutte le regioni e che non può essere affrontato focalizzando l'attenzione in termini di soluzione soltanto sulle regioni richiedenti. Ovviamente bisognerebbe cambiare il modo con cui lo Stato attribuisce le risorse a questi fondi regionali. Dovrebbero essere legate a una programmazione di medio-lungo termine e non a un rifinanziamento anno dopo anno, che generalmente arriva alla fine dell'esercizio finanziario. Dunque, bisognerebbe affrontare questo problema come un problema nazionale e non come un problema specifico di queste regioni.
  Peraltro, devo dire che la soluzione prospettata dalle intese, ovvero la connessione a un'aliquota di compartecipazione, mi sembra confliggere con uno degli elementi costitutivi che ho citato prima del federalismo regionale, cioè la perequazione infrastrutturale prevista dalla legge n. 42 del 2009. La perequazione infrastrutturale era forse un disegno un po’ idealistico di valutazione dei gap infrastrutturali nei diversi territori e conseguente programmazione del complesso delle azioni e delle risorse disponibili per colmare questi gap. È ovvio che questo è un approccio nazionale, che confligge con questa soluzione – invece specifica – che è pensata per le regioni ad autonomia differenziata e prevista dalle intese.
  Ritorno all'altro ambito: funzioni che oggi sono statali che verrebbero attribuite alle regioni. Pensiamo di nuovo all'istruzione. Ricordo, forse più a me stesso, quali sono gli elementi fondamentali di quanto è previsto dalle intese. Le risorse che dovrebbero essere trasferite sono determinate dalla commissione paritetica tra lo Stato e la regione specifica richiedente. Sono determinate Pag. 7 all'inizio a partire dalla spesa storica che lo Stato realizza sul territorio regionale e saranno rideterminate entro un anno sulla base dei famosi fabbisogni standard stimati per ciascuna delle funzioni attribuite da un comitato Stato-regioni nel loro complesso.
  Una volta quantificate, saranno trasferite attraverso compartecipazioni e aliquote riservate, la cui misura dovrà essere verificata ogni due anni per garantirne la congruità con le funzioni trasferite, e poi, in caso di mancata determinazione dei fabbisogni standard, il livello di queste compartecipazioni e, quindi, l'ammontare delle risorse dovrà essere rideterminato a un livello non inferiore alla famosa media pro capite a livello nazionale sulle funzioni attribuite.
  Inoltre, questo blocco di previsioni è inscatolato all'interno di due vincoli fondamentali. Il primo vincolo è un vincolo generale di bilancio per l'intera finanza pubblica, nel senso che tutta l'operazione non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza nel suo complesso. L'altro è un vincolo più specifico per la regione interessata: il trasferimento di risorse deve essere realizzato in modo tale da non far aumentare la pressione fiscale sui contribuenti della regione richiedente. Questo si deduce dagli strumenti che vengono proposti (compartecipazioni, aliquote riservate), che prevedono una forma di compensazione tra l'aumento del prelievo regionale e la parallela riduzione del prelievo erariale.
  Quali osservazioni possiamo fare su questo impianto? Una prima breve osservazione è di tipo procedurale, ovvero riguarda il processo di decisione: la decisione sulle risorse da trasferire viene realizzata unicamente attraverso accordi bilaterali fra i due esecutivi, il Governo da un lato e la regione interessata dall'altro. Mancano – e questa mi sembra una carenza grave – momenti di coordinamento innanzitutto tra le tre o le n regioni richiedenti, in modo tale da trovare forme in qualche modo di standardizzazione delle modalità con cui verranno trasferite e regolate queste funzioni da trasferire. Mancano momenti di condivisione ovviamente con le altre regioni a statuto speciale che non richiederanno funzioni aggiuntive. Mancano momenti di coinvolgimento soprattutto del Parlamento, il quale ha la responsabilità fondamentale e primaria del coordinamento della finanza pubblica.
  Più in generale, direi che l'elenco di punti che ho richiamato prima riguardo alle modalità di determinazione delle risorse evidenzia esclusivamente...

  PRESIDENTE. Professore, mi scusi, per il suo intervento ha tempo fino alle 9,15 al massimo, perché il Senato è convocato per le ore 9,30.

  ALBERTO ZANARDI, Consigliere dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio. Assolutamente.
  Quell'impianto ha una serie di elementi secondo noi contraddittori, che destano preoccupazioni per i rischi sulla tenuta dei conti pubblici e sulla garanzia della solidarietà interregionale. Questi rischi non riguardano il momento di avvio del passaggio di queste funzioni, riguardano invece la dinamica successiva, perché potrebbero emergere dal fatto che si può palesare un'evoluzione differente fra fabbisogni da un lato e risorse che vengono attribuite alle singole regioni dall'altro.
  Per meglio evidenziare – lo dico in termini molto sintetici – queste contraddizioni, può essere utile far riferimento a due modelli generali e contrapposti, sulla base dei quali organizzare questo finanziamento. C'è una prima soluzione cooperativa, che è quella della sanità fondamentalmente; cioè domani per l'istruzione, che alcune regioni richiedono, costruiamo un nuovo fondo, in gergo dei tecnici di tipo top-down, cioè si determina l'ammontare complessivo di risorse che le priorità nazionali e i vincoli di finanza pubblica consentono di attribuire alla funzione istruzione e poi queste risorse vengono ripartite tra le regioni, come succede nella sanità.
  È una ripartizione un po’ particolare rispetto alla sanità, che è una funzione simmetricamente attribuita a tutte le regioni. In questo caso le due o tre regioni Pag. 8richiedenti avranno i loro fabbisogni standard a partire da questo fondo; le altre, che rimangono dentro la fornitura statale dell'istruzione, semplicemente avranno dei fabbisogni figurativi. Lo Stato, che è il fornitore dell'istruzione nelle altre regioni, seguirà ancora come criterio di attribuzione per queste regioni i fabbisogni standard. Questa soluzione cooperativa garantisce i conti pubblici da un lato e garantisce anche la neutralità perequativa di cui si diceva prima.
  L'altra soluzione, quella contrapposta, a cui fare riferimento è una soluzione «autonomista». Nella soluzione autonomista quello che possiamo pensare è che le aliquote di compartecipazione e, quindi, l'ammontare delle risorse trasferite vengono fissati all'inizio di questa storia, sulla base della spesa storica e sulla base dei fabbisogni standard, e poi non si toccano più. Ciò vuol dire che le risorse non evolvono nel tempo in relazione a compatibilità generali di finanza pubblica e a priorità del sistema dell'intervento pubblico nazionale, ma evolvono sulla base di quella che sarà la dinamica dei gettiti compartecipati nelle singole regioni.
  Un esempio di quelli che potrebbero essere i problemi che emergono da una soluzione di questo secondo tipo, autonomista, può essere questo. Facciamo mente locale su una simulazione di questo genere: prendiamo le tre regioni che hanno richiesto autonomia differenziale e andiamo a vedere in un periodo abbastanza breve, fra il 2013 e il 2017, qual è stata l'evoluzione della spesa regionalizzata per l'istruzione in questi tre territori (Emilia, Veneto e Lombardia) e la contrapponiamo con l'evoluzione della loro IVA territorializzata. Quello che si vede è che in questo periodo breve l'IVA della Lombardia è cresciuta di dieci punti percentuali di più rispetto a quanto gli era stato attribuito in termini di risorse per la fornitura statale di istruzione, nell'Emilia-Romagna il risultato è di sei punti in più, nel Veneto di otto punti in più.
  Si ha, quindi, evidenza del fatto che, se avessimo fissato nel 2013 il punto d'inizio del federalismo differenziato, noi avremmo avuto una divaricazione fra i percorsi di evoluzione temporale delle risorse collegate all'IVA e, dall'altra parte, della spesa storica dello Stato per l'istruzione in modo particolare.
  La questione è che una soluzione di questo genere crea una sorta di enclave finanziaria a favore di queste regioni e una sorta di generalizzazione, sia pure su scala finanziariamente più limitata, del modello delle regioni a statuto speciale.
  Una questione ancillare collegata a una soluzione di questo genere è la questione del debito pubblico. Se lo Stato in una soluzione di questo genere, di tipo autonomista, concede di fatto una parte del suo potere impositivo alla regione, ovviamente per la quota di finanziamento della funzione che gli viene attribuita, perde potere impositivo e perde, quindi, garanzia sul servizio del debito pubblico.
  Pertanto, parallelamente alle funzioni e parallelamente alle risorse, una soluzione di questo genere logicamente dovrebbe anche comportare che una quota del servizio del debito pubblico sia attribuita alle regioni richiedenti, parametrata ovviamente sul costo del debito e sul finanziamento delle funzioni devolute.
  Quali sono le contraddizioni che alla luce di questo lungo ragionamento emergono nella lettura dell'impianto dell'intesa? Le contraddizioni sono fondamentalmente che vincolo di bilancio per la finanza pubblica nel suo complesso, dinamica di risorse collegate ai gettiti erariali sui territori e neutralità perequativa sono tre cose che è difficile far stare tutte insieme in modo coerente, non necessariamente possono stare insieme e, detto in altri termini, generalmente creano dei conflitti, delle tensioni. Pertanto, o ci saranno risorse in più, che dovranno essere introdotte nel sistema, o si genereranno delle tensioni dal punto di vista redistributivo.
  Se ho ancora qualche minuto, vorrei accennare molto rapidamente ad alcuni aspetti secondari rispetto a questa discussione sull'impianto generale, più specifici e forse anche un po’ più tecnici, ma non meno rilevanti, che riguardano il problema della quantificazione. Pag. 9
  Abbiamo detto che la quantificazione delle funzioni in un primo momento sarà realizzata sulla base della spesa oggi statale regionalizzata sul territorio interessato, domani invece verrà agganciata ai fabbisogni standard.
  Partiamo dalla prima fase, quella della spesa storica. Sembra banale, ma non lo è totalmente, nel senso che un punto di partenza ovviamente è l'esercizio di regionalizzazione che annualmente viene fatto dalla Ragioneria generale dello Stato sui dati di consuntivo dei pagamenti, ovvero dati di cassa. Ci sono tre punti critici. Il primo problema è che l'attuale regionalizzazione viene fatta per missioni, programmi e classificazione funzionale COFOG (Classificazione internazionale della spesa pubblica per funzione) e questo livello di aggregazione probabilmente sarà poco adatto per quantificare le funzioni molto particolareggiate e molto specifiche che verranno richieste dalle singole regioni. Sarà, quindi, necessario uno sforzo da parte del Ministero dell'economia per andare a vedere come i singoli capitoli oggi del bilancio dello Stato possono essere regionalizzati, cosa non impossibile, ma in certi casi abbastanza difficile.
  Penso, a titolo di esempio, al caso delle spese gestite dai funzionari delegati. Per esempio, i prefetti ricevono – lo dico in termini banali – una specie di budget senza destinazione funzionale, che loro gestiscono in autonomia. Riuscire a ritagliare all'interno di questi budget le destinazioni funzionali che potrebbero essere poi attribuite alle singole regioni non è un'operazione molto semplice.
  Inoltre, c'è il problema della cassa. Sono dati di cassa e, quindi, irregolari dal punto di vista dell'evoluzione temporale e confliggenti con l'esigenza di avere una valutazione sulla componente ricorrente della spesa statale regionalizzata. Bisognerà, quindi, anche in questo caso integrare i dati di cassa con dati di competenza o fare delle valutazioni di media su lunghi periodi.
  La seconda serie di brevi considerazioni riguarda i fabbisogni standard. Credo che la questione della derivazione dei fabbisogni standard richieda alcune puntualizzazioni. Innanzitutto le intese prevedono che i fabbisogni standard vengano determinati per ogni singola materia. Io credo che sia una prospettiva totalmente illusoria nonché inutile dal punto di vista di un utilizzo efficiente delle risorse pubbliche. I fabbisogni standard devono essere calcolati per le funzioni che hanno un impatto finanziario rilevante, quelle che coinvolgono generalmente livelli essenziali delle prestazioni. Per molte funzioni – aspettiamo il dettaglio – che potranno emergere nelle richieste delle regioni i fabbisogni standard sono totalmente inutili, nel senso che hanno una dimensione finanziaria talmente limitata da non richiedere un esercizio oneroso in termini metodologici come sono i fabbisogni standard. Va bene in quei casi mantenere l'aggancio alla spesa storica.
  Sul piano tecnico i fabbisogni standard sono operazioni complesse per tante ragioni. Voglio soltanto dire che rispetto all'esperienza accumulata, per esempio, da SOSE nelle operazioni di calcolo dei fabbisogni standard dei comuni qui stiamo parlando di un altro pianeta. Nel caso dei fabbisogni standard dei comuni noi partivamo da una spesa storica molto differenziata ed eterogenea tra un comune e l'altro, a ragione del sovrapporsi in modo non sistematico di interventi normativi. Qui abbiamo a che fare con la spesa dello Stato, che deve essere ripartita ed eventualmente standardizzata. Abbiamo a che fare con la spesa per l'istruzione che attualmente il Ministero dell'istruzione attribuisce ai diversi territori regionali e questa spesa ovviamente segue dei criteri di tendenziale uniformità della fornitura sul territorio nazionale.
  Concludo soltanto con un accenno. Stiamo sviluppando insieme alla Fondazione Giovanni Agnelli un approfondimento sull'istruzione, che ci pare un po’ il cuore dal punto di vista della rilevanza finanziaria. Negli anni scorsi la Fondazione Agnelli aveva cercato di approfondire le ragioni sottostanti alla variabilità della spesa statale per scuole pubbliche statali per studente tra i diversi territori regionali. Quello che emerge è che, se teniamo conto della Pag. 10diversa anzianità del corpo docente, della dimensione dei plessi e delle classi, che dipende ovviamente dalla collocazione geografica territoriale delle varie scuole, della percentuale di classi a tempo pieno e a tempo prolungato e dell'incidenza dei docenti per sostegno degli studenti disabili, fondamentalmente giustifichiamo tutta la variabilità interregionale.
  I fabbisogni standard ci potranno dare una risposta diversa rispetto alla spesa storica, nella misura in cui qualcuna di queste determinanti fondamentali che ho appena richiamato potrà essere messa in discussione, potrà essere cambiata, negata o potremmo aggiungere altri elementi di spiegazione. Se non lo facciamo, i fabbisogni standard fondamentalmente in larga parte confermeranno l'attuale distribuzione della spesa storica.

  PRESIDENTE. Grazie, professore.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Il professor Zanardi ci ha illuminato su alcune questioni che noi avevamo già posto anche in precedenti audizioni e che oggi brevemente vorrei riassumere in pochi passaggi.
  Il primo passaggio che secondo noi è molto importante approfondire è che in qualche modo – lei l'ha riassunto così – non ci si debba occupare solo dei titoli, ma bisogna entrare nel merito delle singole funzioni e dei singoli fabbisogni e non arrivare con strappi, perché alla fine, se non si fanno determinati processi, si rischia di strappare su alcuni passaggi senza aver chiaro quello che accade.
  Da questo punto di vista, io non so se lei è in grado di darci una soluzione, ma ci vorrà un testo base, perché lei giustamente ci ha posto un problema rispetto al fatto che in base alla ratio del 116 non tutte le regioni dovrebbero aderire a questo strumento se non hanno determinati requisiti di accesso. Qui, invece, ormai è diventata una rincorsa, perché appunto c'è la paura di uno strappo di risorse, quindi tutti si iscrivono al regionalismo differenziato.
  La domanda è: su ogni singola funzione, quindi, noi come individuiamo un testo base che prima ancora della risorse dica che quella determinata funzione può essere gestita dalla regione x o dalla regione y? Se la regione y non è in grado di gestire quella funzione, perché non ha i numeri, non ha la sostenibilità economica, come prevede il 116, qual è il criterio?
  Io vorrei capire fino a dove arriviamo, perché mi ha messo un po’ in confusione il suo approccio iniziale, quando ha detto «non concentriamoci sui profili finanziari». Anche voi alla fine, però, con la Fondazione Agnelli vi concentrate sull'istruzione, perché è il tema finanziario più importante. Questo mi ha messo un po’ in contraddizione, perché, se dobbiamo lavorare fuori dai profili finanziari e ragionare sull'efficientamento del sistema regionale, con maggiori funzioni che migliorino le procedure, che rendano il servizio migliore ai cittadini, alle imprese e al sistema, secondo me il tema non è approcciarsi solo perché quella funzione vale di più rispetto a un'altra.
  Tornando alla prima domanda, voglio veramente capire come si fa a dire che dalla Calabria alla Lombardia si può dare maggiore regionalismo differenziato su una determinata materia e che entrambe sono in grado di sostenerlo. Come si sviluppa e come si migliora quella base di federalismo simmetrico che lei ci ha detto non essere ancora attuato?
  Questo è il primo elemento, perché su quello poi si impernia e si costruisce un'eventuale differenziazione per chi lo merita e per chi ha le disponibilità e le capacità per farlo.
  La seconda domanda è legata a un tema di costituzionalità e di ricorsi, perché noi abbiamo capito in questi mesi che, se non deve essere protagonista il Parlamento, poi si pone un problema, anche se è un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, se qualcosa non va.
  Tutti qui giustamente pensiamo che sia un processo senza ritorno, ma lei ci ha detto giustamente che ci potrebbe essere un ritorno, ci potrebbe essere un fallimento dal regionalismo differenziato, almeno in Pag. 11alcune regioni. Anche in questo caso, chi lo stabilisce? A chi si ricorre? Se la legge è completamente svuotata ed è tutto rinviato ad atti più meramente politico-amministrativi, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e via dicendo, io non ho ancora capito se poi ci affidiamo al grande mondo della giustizia amministrativa e anche in questo caso si parte in una grande diversificazione di risultato, come è avvenuto in parte su altri temi.
  Cosa diversa, invece, sulla riforma del 2001, dove almeno lì c'era un conflitto di attribuzione, c'era un ricorso alla Corte costituzionale e si capiva se la funzione doveva rimanere regionale o se era statale e via dicendo, quindi era più chiaro.
  Anche qui, come risolviamo il problema? Tutto deve entrare nella legge? Gli elementi più importanti di quantificazione e le regole di assegnazione e riassegnazione delle risorse devono entrare nella legge che il Parlamento dovrà varare oppure chiaramente ci sono degli spazi di margine che devono essere definiti dalla legge e il resto è rinviato a un passaggio successivo?
  Arrivo all'ultima questione che voglio porre. Lei ha sollevato un tema importante sull'evoluzione dei costi che c'è stata in determinate funzioni, ad esempio l'istruzione, contestualmente a un aumento delle compartecipazioni regionali. Lei ci ha dato delle percentuali: Lombardia 10 per cento, Emilia 6 e Veneto 8. Ci dia dei valori assoluti, perché vorremmo anche capire in che misura, a regime indifferenziato di regionalismo, c'è comunque una crescita di entrate delle regioni, in questo caso delle principali regioni che hanno chiesto l'autonomia differenziata in termini assoluti. Vorrei capire quanto pesa l'aumento della compartecipazione IVA in queste regioni, perché è un tema importante, che ci fa capire anche un'evoluzione standardizzata dell'assegnazione delle risorse che prescinde dal regionalismo differenziato, su cui costruire poi altre questioni.
  Ci sarebbero molte altre domande, però il tempo è quello che è, quindi mi fermo qua.

  PRESIDENTE. Ricordo che il Senato è convocato alle 9,30; se siete d'accordo, possiamo continuare l'audizione la settimana prossima, in modo tale che i senatori possano partecipare. Va bene? Vi ringrazio.
  Professore, la ringrazio. Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 9.25.

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ALLEGATO

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