XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 32 di Martedì 25 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra):
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 3 
Pini Alfredo , Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 4 
Balzamo Stefania , Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 9 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 10 
Balzamo Stefania , Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 10 
Pace Emanuela , Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 14 
Balzamo Stefania , Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 14 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 14 
Balzamo Stefania , Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 14 
Pini Alfredo , Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 15 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 16 
Pini Alfredo , Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 16 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 16 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 17 
Braga Chiara (PD)  ... 17 
Pace Emanuela , Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 17 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 17 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 18 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 18 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 18 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 18 
Balzamo Stefania , Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 18 
Pini Alfredo , Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 19 
Ferrazzi Andrea  ... 19 
Pini Alfredo , Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 19 
Bratti Alessandro , Direttore Generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 20 
Pace Emanuela , Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 20 
Ferrazzi Andrea  ... 21 
Pace Emanuela , Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 21 
Bratti Alessandro , Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ... 21 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 22

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 8.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). È presente il direttore generale, onorevole Alessandro Bratti, accompagnato da Alfredo Pini, da Stefania Balzamo e da Emanuela Pace, che ringrazio per la presenza.
  L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul fenomeno dell'inquinamento da PFAS su tutto il territorio nazionale.
  Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta.
  Invito quindi i nostri ospiti a svolgere le loro relazioni, al termine delle quali seguiranno eventuali nostre domande.

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Grazie, presidente. Buongiorno ai deputati e ai senatori.
  Dirò veramente poche parole, poi direi di dare spazio alle presentazioni specifiche dei tre colleghi, che ovviamente hanno delle professionalità appunto specifiche al riguardo.
  Siamo partiti un po’ dalle conclusioni del lavoro che questa Commissione aveva già svolto nella precedente Legislatura, partendo dalla situazione della presenza di queste sostanze, in parte oggi un po’ più note, in parte ancora da scoprire, sostanze perfluoroalchiliche. Dalla vicenda del Veneto, capitata appunto nell'area tra Vicenza e Verona e che ha interessato soprattutto la Miteni, poi si è dipanato un lavoro, che è assolutamente in progress, per approfondire una serie di aspetti anche di carattere conoscitivo e ancora di ricerca che riguarda questo gruppo di sostanze.
  Oggi cercheremo in queste tre brevi presentazioni di darvi un flash sullo stato dell'arte.
  Purtroppo, con lo sciopero dei mezzi di trasporto e il fatto che abbiamo oggi un'importantissima riunione alle 10.30, chiedevamo di poter lasciare la Commissione verso le 10.05-10.10, ma ripeto che per qualsiasi domanda, qualsiasi approfondimento, tramite note scritte o anche attraverso un'ulteriore audizione, se la Commissione volesse decidere di fare ulteriori approfondimenti, siamo assolutamente disponibili.
  Voglio dire subito una cosa. Il tipo di lavoro che oggi vi presentiamo, come è scritto qua, non è solo il frutto del lavoro di Ispra, ma del lavoro di tutto il sistema agenziale, quindi anche delle ventuno agenzie coordinate da noi. Lo dirà l'ingegner Pag. 4Pini alla fine: abbiamo costituito un osservatorio tecnico specifico, che ha già tenuto una riunione al riguardo. Stiamo proseguendo questo tipo di lavoro, che giudichiamo molto importante e anche prodromico ad altri tipi di situazioni che possono avere caratteristiche simili.
  Faccio riferimento a tutto il cosiddetto tema degli inquinanti emergenti, cioè questi nuovi inquinanti, spesso interferenti endocrini, ma non solo, che in qualche modo devono essere ricercati, devono essere valutati e su cui si sta iniziando proprio in questi mesi un'analisi al riguardo.
  Detto questo, se permette, presidente, darei la parola all'ingegner Pini per iniziare la presentazione.

  ALFREDO PINI, Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Grazie e buongiorno a tutti.
  Il direttore ha già introdotto la prima presentazione, che vuole essere riassuntiva dell'intero percorso che riguarda gli ultimi diciotto mesi o due anni di attività nel sistema, e ovviamente nell'Istituto, per quanto riguarda l'inquinamento da PFAS. All'interno della presentazione farò riferimento a due attività specifiche, anche relativamente recenti.
  Una riguarda un monitoraggio appena completato per l'anno 2018, e si è appena avviato l'anno 2019, per il quale abbiamo una seconda presentazione un po’ più specifica, un po’ più dedicata. Pensavamo fosse di interesse avere un quadro sulla situazione attuale al 2018.
  Un'altra presentazione riguarda le attività di recepimento della direttiva quadro sulle acque in corso presso il ministero, che hanno anche orientato le attività del sistema dell'Istituto nell'ultimo biennio.
  Ultima precisazione – lo diceva anche il direttore Bratti – le prime quattro-cinque diapositive di questa presentazione sono in realtà elementi a mia conoscenza già tra gli atti parlamentari, in particolare della precedente Commissione. Abbiamo pensato fosse utile comunque un riassunto con quattro-cinque diapositive di introduzione sulla storia per mantenere una continuità di presentazione nell'intero percorso che ha riguardato il sistema delle agenzie.
  Sapete che quello che oggi viene definito problema di inquinamento diffuso da PFAS nasce in realtà da un'esigenza abbastanza tipica non solo del nostro Paese, ma anche di altri Paesi. Era la metà degli anni Sessanta, quindi siamo molto indietro con il tempo, e un operatore del comparto tessile – ci sono state analoghe iniziative in altri Paesi, negli Stati Uniti e in Europa anche per comparti che non erano strettamente il tessile – doveva sviluppare delle tecniche per impermeabilizzare i tessuti e renderli più resistenti all'usura, alla temperatura, a questo tipo di sollecitazioni.
  Dicevo che è un'esigenza in realtà propria anche di altri settori. Pensate, ad esempio, a tutta la parte dell'utensileria da cucina. Anche quella aveva più o meno lo stesso problema, ovviamente in termini diversi per quanto riguarda l'usura, ma anche lì si cercava di costruire dei rivestimenti per i materiali allora utilizzati, tessuti o metalli, che permettessero di affrontare situazioni di consumo più spinte.
  Nasce così questo centro di ricerca in provincia di Vicenza, dove poi ha operato l'azienda che immagino a voi sia nota, la Miteni, in esercizio fino allo scorso anno, fino a pochi mesi fa, ora chiusa, non in esercizio.
  La soluzione per questo problema di aumentare la resistenza e la capacità di idrorepellenza dei materiali esisteva, era stata sviluppata proprio in quegli anni, all'inizio degli anni Sessanta negli Stati Uniti, aveva lavorato fortemente la 3M anche su commissione di un'azienda americana, la DuPont, che aveva lo stesso problema della Marzotto, anche se in un comparto diverso.
  La soluzione erano le sostanze perfluoroalchiliche, che hanno proprio questa caratteristica di essere estremamente stabili e fortemente resistenti sia alle trasformazioni chimiche sia alla temperatura. Questo, ovviamente, è un vantaggio per quanto riguarda la soluzione che allora si cercava e anche per la nostra vita di tutti i giorni.
  Ho citato un paio di marchi commerciali solo perché sono estremamente noti, Pag. 5Teflon e Goretex, in due comparti diversi, il secondo per il tessile o il calzaturificio. Sono due marchi che sostanzialmente hanno utilizzato le sostanze perfluoroalchiliche per ottenere quelle caratteristiche di resistenza. Anche Rimar, questo centro di ricerca, che poi diventa un centro di produzione, che diventa Miteni, la joint venture tra Mitsubishi ed ENI, produrrà PFAS con notevole successo commerciale e diventerà uno dei più importanti operatori a livello europeo e mondiale, proprio perché parte molto prima, a metà anni Sessanta.
  Il problema, dicevo, è che proprio quelle caratteristiche che fanno dei perfluoroalchilici la soluzione ideale per quel problema dell'epoca – ovviamente, ancora oggi si è alla ricerca nel campo dei materiali – determinano anche una notevole problematica e pericolosità dal punto di vista ambientale. Se sono resistenti all'attacco chimico e alla temperatura, vuol dire che saranno poi resistenti anche a tutti i tipi di trattamento che in futuro si tenteranno per eliminarli, sostanzialmente dall'acqua.
  Una delle caratteristiche, infatti, ahimè anche questa negativa, per quanto riguarda l'aspetto ambientale è che i PFAS hanno una forte capacità idrofilica, la capacità di sciogliersi nell'acqua. Il fatto di sciogliersi in acqua non sarebbe un problema – lo accenderemo poi dopo – se si volesse trattare queste sostanze. Gli scarichi idrici sono regolarmente trattati per ridurne ed eliminarne i contaminanti ambientali. Ripeto che il problema di queste sostanze è che, oltre a essere idrofiliche, hanno particolari caratteristiche di resistenza chimica e biologica alle temperature, le tre modalità normalmente utilizzate per disinquinare le correnti idriche.
  I PFAS, per di più, sono anche pericolosi per la salute, oltre a esserlo per l'ambiente. Su questo – probabilmente, conoscete la storia della DuPont – ci sono ormai evidenze anche in sede di contenziosi giuridici negli Stati Uniti che il fattore di pericolosità per la salute era noto, almeno negli Stati Uniti, già dagli anni Sessanta-Settanta cui accennavo precedentemente. DuPont aveva adottato una serie di precauzioni per la rete idrica interna e per i lavoratori proprio perché avevano evidenze del fatto che ci fossero delle problematiche di salute per queste sostanze.
  Peraltro, questo fatto poi sarà il centro delle azioni legali tuttora in corso che si stanno completando negli Stati Uniti proprio nei confronti della DuPont, che fu il primo grande utilizzatore. A differenza della Miteni, la DuPont era sostanzialmente un utilizzatore, la 3M era il produttore, la Miteni produce le sostanze, oltre che commercializzarle.
  Parte, quindi, questo dibattito molto ampio. Anche nella letteratura internazionale ci sono evidenze a metà anni Settanta degli studi, e questo alimenta la problematica di natura ambientale assieme a quelle preoccupazioni che vi dicevo prima proprio sulla natura della sostanza.
  Passa, ahimè, un po’ di tempo prima che si riesca per la prima volta ad affrontare in maniera strutturata il problema. In realtà, all'interno dell'Europa se ne discute già da inizio anni 2000, già c'era questa discussione sui perfluoroalchilici, soprattutto per la difficoltà a trattare queste sostanze in sede di depurazione chimico-fisica.
  A quel punto, oltre alla preoccupazione sulle possibilità di trattamento, parte ovviamente anche la preoccupazione sulla potenziale diffusione delle sostanze.
  Teniamo conto che i grandi produttori di queste sostanze erano e sono pochi. Gli utilizzatori sono tantissimi per le utilizzazioni che si fanno di queste sostanze, ovviamente in quantità ridotte nei vari comparti. Dicevo prima del comparto tessile, del comparto conciario, ma anche altri comparti le utilizzano.
  Con il tempo, a partire dagli anni Settanta, queste sostanze si trovano all'interno delle correnti di rilascio dei reflui degli impianti industriali che le utilizzano, che quindi fanno da utilizzatori, ripeto in quantità minore rispetto a chi le produce. Comunque, con il tempo queste quantità si assommano e si concentrano e, attraverso i meccanismi ordinari di trattamento dei reflui, queste sostanze, come vi dicevo, molto resistenti all'attacco chimico-fisico-biologico, di fatto rimangono nei fanghi di trattamento, nelle discariche. In questo momento, Pag. 6 quindi, l'altro grosso problema potenziale e che si sta cercando di monitorare è sulla parte percolati delle discariche, cioè nelle zone in cui sono finiti i trattamenti dei reflui dei produttori e degli utilizzatori.
  Dicevo negli Stati Uniti parte un progetto di monitoraggio. Si cerca di capire esattamente la situazione di diffusione delle sostanze. L'attenzione è sui corsi d'acqua, per quella idrofilicità che vi dicevo prima. Questo progetto pubblica i risultati e la prima cosa che si nota è che il fiume Po è di gran lunga il fiume più inquinato di tutta Europa. Vedete i livelli lì rappresentati. Da quel momento, da fine anni 2000, parte anche l'emergenza per noi, per cercare di capire quanto e come fossero diffuse queste sostanze.
  Nel frattempo, assieme ai monitoraggi partono anche le prime restrizioni. Vedete citati con le date principali alcuni elementi integrativi rispetto agli atti parlamentari, che ho avuto occasione di leggere, soprattutto per le ultime citazioni che vi facevo, per gli anni 2017-2018, in cui nella regolamentazione REACH queste sostanze vengono definitivamente inserite nelle sostanze pericolose sottoposte a restrizione. Nell'EPA (Environmental Protection Agency) americana la cosa era stata avviata anche prima.
  Vi ho solo mostrato, non ho citato, nel tentativo di essere rapido in questa presentazione, il fatto che questa famiglia di sostanze viene classificata sulla base della cosiddetta lunghezza della catena molecolare. I PFAS e i PFOA sono i perfluoroalchilici a catena lunga, di gran lunga quelli più utilizzati e anche più largamente prodotti.
  Via via che aumentavano le preoccupazioni e le attenzioni sul livello di pericolosità ambientale e per la salute di quelle sostanze, i produttori hanno cercato di cambiare le sostanze utilizzate e si è passati ai cosiddetti perfluoroalchilici a catena corta. Oggi, abbiamo negli scarichi perfluoroalchilici anche a catena corta.
  In realtà, non è solo un problema di produzione. Oggi, è abbastanza chiaro che i perfluoroalchilici a catena corta o altri perfluoroalchilici a catena più corta sono anche il risultato di trasformazioni nell'ambito dell'utilizzo dei PFAS a catena lunga.
  Il grosso delle restrizioni in questo momento riguarda i PFAS a catena lunga, così come i monitoraggi che vi ho mostrato prima e anche i primi monitoraggi del successivo periodo che vi mostrerò adesso hanno riguardato sostanzialmente la catena lunga.
  Una delle novità, di cui poi vi parlerà anche la collega Stefania Balzamo, dei monitoraggi che si fanno oggi è che si comincia a cercare e a ragionare anche su quelle catena corta. Anche la restrizione e le argomentazioni stanno partendo anche per quelle a catena corta.
  Occorre citare solo, tra le restrizioni intervenute, il fatto che anche le direttive europee hanno recepito i livelli di pericolosità di queste sostanze, e quindi hanno modificato le direttive quadro sulla protezione delle acque, in particolare per le catene lunghe, che vi mostravo prima, non per tutte e due le sostanze a catena lunga. Anche questo sarà oggetto della presentazione della collega Emanuela Pace per darvi un'idea del livello di pericolosità delle sostanze. Sono stati così introdotti dei livelli di standard di qualità ambientali, che è il primo passo di regolamentazione di una sostanza. Parliamo del 2013, quindi non di moltissimo tempo fa.
  Il Ministero dell'ambiente – questa è l'ultima diapositiva che riguarda elementi già agli atti parlamentari – nel 2013, dopo i risultati del progetto europeo che vi dicevo, commissiona uno studio al CNR per cercare di capire la diffusione nei corsi d'acqua nazionali. Il progetto, che avevamo visto prima, aveva monitorato solo il fiume Po. Si va a guardare anche gli altri bacini nazionali, anche per individuare le cosiddette sorgenti.
  Vi ho lasciato veramente due sole slide. Il progetto è molto lungo. Ripeto che, però, è già stato oggetto di discussione anche in atti parlamentari, quindi esistono documenti, peraltro fatti molto bene – durante questi anni, ho avuto occasione di leggerli, e sono fatti molto bene – in cui si racconta l'esito di questo studio. Vi ho fatto vedere in queste diapositive solo le concertazioni Pag. 7di PFOS e PFOA, i due perfluoroalchilici a catena lunga più utilizzati e più noti.
  Ci sono delle concentrazioni significative non solo nella foce del Po. In realtà, il Po è interessato dalla sorgente alla foce, di fatto. Come vedete, in termini di utilizzazione ci sono delle importanti concertazioni anche nell'area del Piemonte e in parte dell'area lombarda, dove insiste la seconda azienda nazionale che produce questo tipo di sostanze, la Solvay, in Piemonte.
  Questo è il risultato del monitoraggio del ministero.
  Vi citavo questa relazione che ho trovato di particolare interesse e che nel sistema abbiamo largamente utilizzato: è una relazione agli atti della Camera della XVII legislatura, credo di un consulente. Vengono riassunti molto brevemente i risultati dei campionamenti dei corsi d'acqua nazionali.
  Vedete che c'è anche un interessamento della parte delle acque potabili, e infatti, come probabilmente alcuni di voi già sapranno, sono state poi immediatamente adottate delle iniziative a protezione delle prese d'acqua potabile nelle zone interessate da questo tipo di monitoraggio.
  L'effetto di questo monitoraggio, di questa catena di informazione, è che arriva formalmente la comunicazione alla regione Veneto da parte del Ministero della salute sulla necessità di adottare misure riguardo all'inquinamento da PFAS. Esiste anche una regolamentazione nazionale che si muove. Vi dicevo prima della direttiva europea che introduce degli standard di qualità ambientali per la normazione europea. Lo stesso meccanismo avviene col decreto legislativo anche in Italia. Anche qui, non parliamo di moltissimo tempo fa, parliamo del 2015, veramente di due o tre anni fa. E vengono introdotti anche in Italia gli standard di qualità ambientale per queste sostanze, quelle a catena lunga. Non abbiamo analoghi standard in questo momento, non se non sbaglio, Stefania, su quelle a catena corta.
  Infine, anche il DM del 2016 modifica i criteri per la classificazione dei corsi idrici, sempre in relazione alla direttiva sulla qualità delle acque, introducendo anche queste sostanze. L'effetto che vedremo nei prossimi mesi è che, a seguito del monitoraggio del 2018, fatto in via sperimentale dal sistema, e al primo obbligatorio per effetto della normativa sulla qualità dell'acqua, che sarà quello del 2019, molti corsi d'acqua nazionali, proprio per effetto dell'introduzione di queste sostanze nei criteri di classificazione, si vedrà modificato, ovviamente in negativo, lo stato di qualità.
  Dal 2013, l'anno in cui vi dicevo che arriva la segnalazione di regione Veneto, l'ARPA Veneto si muove immediatamente su indicazione della regione in tutto il territorio regionale. Vi ho mostrato il risultato delle attività dell'ARPA Veneto, le diapositive in cui si mostra, tra il 2013 e il 2018, il numero di stazioni e il numero di campionamenti.
  È indicativo che il numero di stazioni e il numero dei campionamenti rispondano a due ordinate diverse, sulla destra e sulla sinistra, però abbiamo riportato quel trattino rosso, che è il numero di campioni.
  È interessante osservare come col tempo il numero di misurazioni che si fanno a parità di numero di stazioni cresce moltissimo. Nelle stazioni si fanno più misurazioni proprio perché, come vi dicevo, con il tempo si comincia a cercare nella stessa stazione anche altre sostanze, non quelle classiche che si cercavano inizialmente. Direi che questa crescita del numero di campionamenti rispetto al numero di stazioni è l'effetto grafico più evidente del fatto che il problema diventa sempre più complesso.
  Qui sono sintetizzati i risultati dello studio dell'ARPA Veneto. Vedrete che per PFOS e PFOA abbiamo valori medi su tutti i corsi d'acqua che eccedono anche gli standard di qualità ambientale, che saranno poi impositivi nel tempo, quindi in realtà è una situazione che va vista nel tempo, ma ovviamente è una situazione di preoccupazione, che comunque determinerà una classificazione dei corpi idrici in uno stato peggiorativo rispetto all'attuale.
  Qui arriviamo a che cosa ha fatto il sistema.
  Nel 2018, preso atto della situazione attraverso la discussione che ha coinvolto principalmente le agenzie regionali direttamente Pag. 8 interessate alla problematica (ARPA Veneto, ARPA Piemonte, ARPA Lombardia), il sistema agenziale si organizza per effettuare un primo screening, un primo monitoraggio su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo tutte le agenzie. Di questo screening parlerà – lo vedete lì, nella presentazione successiva – Stefania Balzamo subito dopo questa mia presentazione per darvi i dettagli.
  Al di là degli aspetti quantitativi che poi vi saranno mostrati rapidamente, la cosa veramente importante è che questo studio ricognitorio interessa tutto il territorio nazionale, tutte le agenzie ambientali del sistema. Molte agenzie – lo dirà Stefania – non erano già attrezzate, perché non avevano materialmente in quel momento il problema sul territorio, quindi in alcuni casi non erano attrezzate per le analisi di laboratorio.
  In quel caso, è stato attivato un meccanismo di supporto da parte delle agenzie già attrezzate, quindi le agenzie che non avevano le capacità di laboratorio hanno fatto comunque i campionamenti quando hanno cominciato a strutturare sul territorio la loro capacità di intervento e le analisi sono state fatte nelle agenzie più strutturate. Oggi quasi tutte le agenzie sono in grado di fare sia monitoraggi sia analisi grazie a questo primo screening del 2018, screening che non era obbligatorio sulla base della direttiva qualità delle acque, ma lo è diventato dal 1° gennaio 2019, ed è in corso l'attività per il 2019.
  Altre attività importanti che vi segnalo in questo momento in corso nel sistema, ma anche queste saranno oggetto nel dettaglio perché mi sembrano di particolare interesse, sono le attività connesse al recepimento delle direttive comunitarie. Sono attività governate dal Ministero dell'ambiente come autorità competente amministrativa che hanno riguardato le possibili misure di intervento su questa tematica generale, che non è solo identificare degli standard di qualità, cioè caratteristiche di qualità ambientale sui corsi idrici, ma anche identificare in che modo sia possibile regolamentare o restringere le emissioni da parte delle aziende che immettono su questi corpi idrici.
  Ovviamente, limitare le emissioni vuol dire poi favorire il ripristino di una migliore qualità ambientale. Anche su questo ci sarà la terza presentazione specifica, perché è un tema importante, su cui è stata sviluppata un'importante linea guida che vi verrà mostrata.
  Ci sono alcune criticità – ve ne citavo una all'inizio – evidenziate dallo studio ricognitore che è già stato effettuato. Ci sono nuove sostanze. Il Veneto, ma anche il Piemonte e la Lombardia, sta già affrontando la problematica delle nuove sostanze. Su queste sostanze purtroppo non abbiamo neanche degli standard di laboratorio – di questo parlerà poi Stefania Balzamo – e quindi è una situazione particolarmente complessa. In questo momento si fanno analisi su queste sostanze mutuando le metodiche che si utilizzano per le catene lunghe, con un artificio di laboratorio che poi vi sarà spiegato. Abbiamo bisogno di una strutturazione anche scientifica conoscitiva su queste nuove sostanze, oltre che di un monitoraggio, per capire quanto sia significativa la loro diffusione.
  L'altra criticità individuata è che, se si vuole poi perseguire una qualità ambientale per i corsi idrici, a questo punto non si può attendere la regolamentazione sulla parte di emissioni di queste sostanze, regolamentazione che, come vi farò vedere nella prossima slide, è particolarmente complicata da una circostanza, ed è una delle proposte che qui vi illustriamo e che abbiamo anche avuto occasione di presentare al Ministero dell'ambiente e al Ministro dell'ambiente.
  Uno dei problemi che hanno, cioè, queste sostanze è che in questo momento non esistono tecniche note di trattamento, o meglio esistono delle tecniche note, ma non esistono tecniche consolidate a livello di utilizzo come migliori tecniche disponibili, a livello industriale, per trattare in maniera chimico-fisica queste sostanze, cioè per ridurne o distruggerne la pericolosità prima che vengano depurate, e quindi transitino a costituire rifiuti o fanghi da gestire poi successivamente. Pag. 9
  Le sole tecniche, peraltro quella utilizzata a presidio delle prese d'acqua potabile che vi dicevo nelle zone più interessate, sono quelle di filtrazione a carboni attivi, che spostano queste sostanze dalla matrice acqua alla matrice fanghi dei trattamenti delle infiltrazioni, ma non sono in grado di abbatterle o distruggerle.
  Va fatto del lavoro, e va fatto del lavoro anche sui processi e sui cicli produttivi che producono e utilizzano le sostanze, non solo le producono, per cercare, come dispongono le normative comunitarie, anche azioni di prevenzione, non solo di trattamento e depurazione alla fine del processo, ma di prevenzione della formazione, quantomeno di perfluoroalchilici secondari a partire dall'utilizzo dei primari. Questo ci consentirebbe, ovviamente, di avere una maggior conoscenza anche quando andiamo poi a regolamentare gli scarichi in termini di valori limite.
  C'è necessità, come vi dicevo, anche di promuovere un lavoro sugli standard di laboratorio su queste sostanze. Su questo andranno necessariamente coinvolti nella definizione degli standard, che non sono i metodi, ma gli standard di riferimento per i metodi, gli istituti scientifici nazionali, tutti gli istituti, non solo l'Ispra.
  Poi pensiamo che sia un'attività di lungo termine che richiede anche dei finanziamenti. Su questo abbiamo segnalato l'esigenza. Vi dico solo che la DuPont, interessata da quel famoso contenzioso, ha già pagato, secondo i dati che ho io, ma non sono sicuro che siano certi, intorno ai 15 milioni di dollari, occhio e croce 15 milioni di euro, all'EPA americana non come multa, ma solo per coprire gli studi che l'EPA ha dovuto condurre per regolamentare quelle sostanze. A copertura degli studi ha già pagato 15 milioni di euro e sta trattando con due ordini di grandezza rispetto a quest'importo come restituzione in termini di danno ambientale. Queste sono le cifre che girano intorno alla regolamentazione di queste sostanze, da 15 milioni a 600 milioni di euro.
  Ecco l'ultima diapositiva. Abbiamo attivato, a partire da quest'anno, dalla fine dello studio ricognitorio, un osservatorio permanente, del quale abbiamo discusso anche con il Ministero dell'ambiente. L'idea è proprio di costituire un primo punto di riferimento tecnico-scientifico nel quale sviluppare le conoscenze di laboratorio e le conoscenze tecnologiche per regolamentarle. Per questo motivo, già nell'osservatorio partecipa l'ISS. Abbiamo invitato l'ISS, che ovviamente ha accettato, e quindi abbiamo anche l'ISS.
  Come diceva il direttore generale, nella prima riunione dell'osservatorio vorremmo riportare alle amministrazioni, e ne approfittiamo anche per dirlo in questa sede, in questa Commissione, l'esigenza che venga messo in piedi un osservatorio che non riguardi esclusivamente i PFAS. Il problema è intercettare queste vicende in tempo utile per fare qualcosa. Vi ricordate le date: la storia comincia nel 1965; di fatto, è solo dopo il 2010 che si comincia a prendere coscienza di tutto quello che stava accadendo.

  STEFANIA BALZAMO, Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Buongiorno, sono Stefania Balzamo e vi parlerò di questo lavoro sul monitoraggio di queste sostanze.
  Nel 2017, il Ministero dell'ambiente ci chiede di fare degli approfondimenti per capire quale sia l'estensione di questo fenomeno di contaminazione riguardo alle sostanze perfluoroalchiliche, di capire quali siano le pressioni che provoca quindi quest'inquinamento e di trovare quei criteri migliori per predisporre i programmi di monitoraggio che le regioni entro la fine del 2018 dovevano presentare nei propri programmi di distretto.
  Come abbiamo già detto precedentemente, gli standard di qualità ambientale sono stati calcolati seguendo le linee guida 27 della direttiva dell'Unione europea, pubblicate a seguito dei lavori di implementazione della direttiva quadro acque.
  Abbiamo come sostanza prioritaria soltanto il PFOS, che ha una concentrazione limite per le acque superficiali interne dell'ordine dello 0,6 nanogrammi/litro, quindi una concentrazione bassissima, quella per cui si crea il problema poi dell'identificazione Pag. 10 del monitoraggio e dei metodi da trovare per analizzare queste sostanze. Tra gli inquinanti specifici, quindi soltanto in Italia, sono stati introdotti, appunto con il decreto legislativo n. 172 del 2015, anche altri PFAS, non soltanto quindi il PFOA, che già conoscevamo come problema per il Veneto, ma anche altri a catena più corta, come l'acido butanoico, esanoico, pentanoico con questi valori.
  Anche per le acque sotterranee sono stati identificati dei valori soglia, che sono più alti dei valori che abbiamo visto per il PFOS, ma ugualmente restrittivi.
  Questo è il volume che è uscito e che è presente sul sito di Ispra, la pubblicazione che riporta tutti i dati per il monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche in Italia. Le sostanze nel quadrato sono quelle già normate, in cui quindi è presente un valore limite; le altre, ugualmente monitorate in quest'esercizio, non hanno neanche un limite o uno standard di qualità ambientale.
  Gli obiettivi del monitoraggio sono stati parecchi. Prima di tutto, si è dovuto definire il metodo analitico da utilizzare che permettesse di raggiungere dei limiti di quantificazione, che erano quelli richiesti dalla norma, cioè un terzo dello standard di qualità ambientale; identificare la rete dei laboratori che avevano le capacità e la strumentazione per questo tipo di analisi; definire i criteri per cercare le stazioni più importanti da monitorare; fare lo screening entro il 2018.
  Come precedentemente aveva detto il dottor Pini, le attività economiche che possono produrre nei loro scarichi o nei fanghi i PFAS sono, intanto, le cartiere, il tessile e il conciario, ma abbiamo anche il galvanico, tutti gli impianti di trattamento acque reflue, sia urbane sia industriali, e le discariche, sia quelle per rifiuti speciali sia quelle per rifiuti urbani. Un altro tipo di forte pressione per questa tipologia di sostanze è data dagli aeroporti, perché le schiume antincendio ne contengono quantità elevate.
  Vediamo un po’ i numeri di questo monitoraggio: venti agenzie hanno partecipato; dieci hanno sviluppato le metodiche per analizzare queste sostanze; l'ARPA Veneto ha fatto le analisi per tutte le altre agenzie che non avevano i laboratori con le capacità necessarie; le stazioni campionate sono state 310, di cui 188 per le superficiali e 122 per le acque sotterranee, con 3.186 determinazioni, di cui due terzi per le acque superficiali e un terzo per le acque sotterranee.
  Molto velocemente, vediamo quali sono i problemi più grossi.
  Si vede che la presenza è principalmente quella del PFOS, del perfluoroottanoico solfonato, e successivamente del PFOA. È abbastanza diffuso il fatto che rileviamo queste sostanze, praticamente ovunque; poi ci sono quelli che superano, o perlomeno arrivano alla barretta gialla, cioè che sono tra il limite di quantificazione e lo standard di qualità ambientale; la barretta arancione è quella che mi dice che superano lo standard di qualità ambientale.
  Non si può dire lo stesso per le sostanze per cui non esiste uno standard di qualità ambientale, per cui dobbiamo soltanto verificarne la presenza/assenza. La presenza è data dalla barretta gialla: sono tutte quelle stazioni in cui si rileva presenza di quelle sostanze.
  Vediamo per le varie regioni.
  Abbiamo una presenza e un superamento degli standard di qualità ambientale praticamente in quasi tutte le regioni, perlomeno per il PFOS; per il PFOA, soltanto nel Veneto.
  Per le acque sotterranee, abbiamo dei valori soglia, e vediamo che quelli che superano i valori soglia sono soltanto il PFOS e il PFOA, mentre gli altri non superano i valori soglia. Abbiamo, però, una presenza diffusa, in quanto quasi tutte queste sostanze vengono rilevate nelle varie stazioni, in un gran numero di stazioni.

  ALBERTO ZOLEZZI. Mi scusi, non ho capito: adesso sta parlando di valori soglia sia PFOS sia PFOA per le acque sotterranee?

  STEFANIA BALZAMO, Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Esatto, sì. I valori Pag. 11 soglia sono quelli riportati anche nella parte iniziale.
  Per le acque sotterranee, vediamo quelli che non hanno neanche un valore soglia, per cui se ne determina soltanto la presenza/assenza. Vediamo che il butanoico, l'eptanoico e l'esanoico sono presenti in alcune delle stazioni a livello italiano. Anche qui vediamo, sempre per le acque sotterranee, che una presenza maggiore del PFOS rispetto al limite di quantificazione è un po’ ovunque nelle stazioni a livello nazionale, mentre il superamento del valore soglia è soltanto per il Veneto, la Sicilia e il Friuli-Venezia Giulia in un numero contenuto di stazioni, ma questo è stato trovato.
  Anche per il PFOA, abbiamo che superano il valore soglia quelle stazioni presenti nel Veneto, in questo caso nella Toscana e nel Friuli.
  Quali possono essere state le conclusioni di questo monitoraggio? Intanto, sono state individuate stazioni che ovviamente erano in prossimità di potenziali sorgenti di contaminazione. Non abbiamo fatto un monitoraggio su tutti i corpi idrici. Il numero di stazioni campionate era anche variabile da regione a regione, però si può dire che sono stati identificati i metodi e i laboratori che potenzialmente hanno le capacità e la strumentazione per portare avanti questo tipo di monitoraggio. Come dicevo, è stato definito il metodo per l'analisi di tutti i PFAS. Ovviamente, è assolutamente fondamentale ripetere nel tempo queste analisi, questo monitoraggio per definire il trend di contaminazione.
  Quali sono le attività a oggi? Proprio come si diceva precedentemente, il GenX e il C6O4, queste nuove sostanze a catena corta utilizzate oggi che hanno le stesse caratteristiche e funzioni di quelle a catena più lunga, non hanno una metodologia analitica condivisa. Stiamo facendo un lavoro con i laboratori per mettere a punto questo metodo. Poiché, inoltre, per il C6O4 non esiste neanche lo standard di riferimento, stiamo cercando di validare il metodo utilizzando uno standard tecnico e chiedendo ad alcune ditte di produrci questo standard per la rilevazione della presenza di questa sostanza.
  Inoltre, si sta definendo un elenco di PFAS che verranno richiesti nei prossimi monitoraggi proprio perché importanti e perché sono appunto sostanze emergenti di cui non si sapeva e di cui non è stata ancora analizzata la presenza.

  EMANUELA PACE, Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Buongiorno a tutti, sono Emanuela Pace e vi parlerò delle attività che sono state intraprese presso il Ministero dell'ambiente e dello stato normativo a livello europeo di queste sostanze.
  Il Ministero dell'ambiente ha istituito un tavolo tecnico formato dagli istituti tecnico-scientifici (Ispra, Istituto superiore di sanità e CNR-IRSA) al fine di definire delle misure per controllare le emissioni di queste sostanze. Sono state, quindi, sviluppate delle linee guida per la definizione dei valori limite di emissione per le sostanze chimiche pericolose e prioritarie. Queste linee guida hanno l'obiettivo di supportare le amministrazioni locali, quindi le regioni e le province autonome, nella disciplina degli scarichi al fine di conseguire gli obiettivi di qualità del corpo idrico. Le linee guida sono state presentate alle regioni per le opportune valutazioni.
  Le linee guida sono state sviluppate nell'ambito della direttiva quadro acque, il cui obiettivo principale è quello di proteggere le acque dal rischio dovuto alla presenza di sostanze chimiche, e in particolare sostanze definite come prioritarie e pericolose prioritarie, con l'obiettivo finale di ridurre gradualmente le concentrazioni, le emissioni di queste sostanze, fino alla loro eliminazione.
  Gli strumenti che utilizza la direttiva sono l'istituzione di standard di qualità ambientale per il raggiungimento del buono stato di qualità delle acque e le misure per il controllo delle emissioni.
  Gli standard di qualità ambientali sono, quindi, quelle concentrazioni che sono state determinate mediante valutazioni tossicologiche ed ecotossicologiche relative alle sostanze stesse, concentrazioni degli inquinanti che non devono essere superate al Pag. 12fine di garantire la tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente.
  Le misure di controllo delle emissioni indicate nella direttiva quadro acque rappresentano due approcci: i controlli che si basano sulle migliori tecniche disponibili di abbattimento delle emissioni e le misure in relazione a valori limite di emissione delle specifiche sostanze.
  Consideriamo questa seconda misura, i valori limite di emissione.
  La normativa indica che, secondo il testo unico per l'ambiente, gli scarichi debbano essere disciplinati in funzione degli obiettivi di qualità, quindi i valori limite di emissione devono necessariamente essere legati agli standard di qualità ambientale, che abbiamo prima definito, per il conseguimento del buono stato chimico delle acque. La metodologia, quindi, necessariamente comporta che il valore limite di emissione sia calcolato a partire dallo standard di qualità ambientale a cui viene applicato un fattore di diluizione.
  Sono state individuate tre metodologie per calcolare i fattori limite di emissione.
  La più semplice prevede che lo standard di qualità ambientale sia moltiplicato per il fattore di diluizione fisso, posto uguale a 10. Questo consente di avere valori limite di emissione uguali per tutti gli scarichi che interessano una stessa area. Tuttavia, è indipendente dal corpo idrico ricevente e non garantisce il raggiungimento del buono stato idrico.
  Una seconda metodologia associa questi fattori di diluizione alla portata del corpo idrico ricevente in condizioni di magra e alla portata degli scarichi. In questo modo, si ha uno scenario più realistico di emissione delle sostanze.
  Devono essere note, ovviamente, le stime sulle portate. Deve essere nota anche la contaminazione di fondo per ottenere un valore limite di emissione realistico per quel corpo idrico.
  Infine, l'ultimo approccio è quello di utilizzare un modello idrologico-idraulico, che rappresenta nel migliore dei modi gli scenari che si verificano durante un'emissione.
  È necessaria, però, comunque la conoscenza di numerosi dati sul corpo idrico, sulle portate, sulle caratteristiche delle sostanze, sul numero degli scarichi che insistono sullo stesso corpo idrico. È necessario anche del personale qualificato per utilizzare questo metodo.
  Questi tre approcci indicati nelle linee guida, tuttavia, non sono sempre applicabili. Non lo sono per quelle sostanze definite dal REACH (registration evalutation authorisation of chemicals) come estremamente preoccupanti. Per queste sostanze il REACH, infatti, prevede che le uniche misure di gestione del rischio possibili sono quelle che garantiscono una riduzione minima delle emissioni e, quindi, anche una minimizzazione dell'esposizione della popolazione e dell'ambiente fino alla sostituzione di queste sostanze estremamente preoccupanti con altre sostanze meno pericolose.
  Di conseguenza, le misure di controllo delle emissioni in questo caso non possono più far riferimento agli standard di qualità ambientale, ma devono necessariamente far riferimento alle migliori tecniche disponibili per l'abbattimento delle emissioni.
  Vediamo quali sono queste sostanze estremamente preoccupanti: le sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione; le sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche e anche quelle molto persistenti e molto bioaccumulabili; gli interferenti endocrini e le altre sostanze che destano equivalente preoccupazione. Oltre a queste sostanze, la linea guida prende in considerazione anche quelle sostanze che hanno un'alta mobilità e che si ritrovano nelle acque sotterranee e nelle acque destinate a uso potabile.
  Vediamo, quindi, quali sono le sostanze PFAS considerate dalla direttiva quadro acque. Sono solamente sei in tutto. Queste sostanze, per cui è disponibile uno standard di qualità ambientale, tuttavia, oltre a essere normate dalla direttiva quadro acque, sono soggette alla normativa europea e anche a convenzioni internazionali.
  Vediamo di che si tratta. Per esempio, il PFOS è una sostanza POP (persistent organic pollutants), ovvero un inquinante organico Pag. 13 persistente, che è indicato nella convenzione di Stoccolma. Per le sostanze POP la convenzione di Stoccolma indica come unica misura quella di ridurre le emissioni a livello globale, perché le azioni a livello nazionale e locale non hanno efficacia.
  Anche il PFOA è stato indicato come una sostanza candidata a essere una sostanza POP, per le stesse caratteristiche del PFOS. Inoltre, in ambito REACH è stata individuata come sostanza estremamente preoccupante per le sue proprietà di tossicità per la riproduzione e perché è una sostanza persistente, bioaccumulabile e tossica.
  Per questa sostanza è in atto una restrizione, che prevede il divieto di produzione, di immissione in commercio e di utilizzazione, con delle deroghe naturalmente, molto stringenti tuttavia. Questa restrizione entrerà in vigore dal 2020.
  Per quanto riguarda le altre sostanze della direttiva quadro acqua, abbiamo l'acido perfluoroesanoico. Anche per questa sostanza è stata presentata una proposta di restrizione. Abbiamo poi l'acido perfluorobutansolfonico (PFBS). Anche per questa sostanza è stata presentata una proposta di identificazione come sostanza estremamente preoccupante, per le sue proprietà di preoccupazione equivalente per la salute dell'uomo e per l'ambiente. Queste proposte sono tutte molto recenti, del 2018.
  Per altre due sostanze a catena corta in realtà ancora non sono stati avviati i processi di gestione del rischio, ma comunque fanno parte di questo gruppo molto ampio di sostanze PFAS che sono oggetto di valutazione da parte dell'Agenzia europea delle sostanze chimiche.
  Per le sostanze per cui sono già in corso o in fase di proposta delle misure di gestione del rischio non sono applicabili controlli delle emissioni che fanno riferimento agli standard di qualità ambientali, ma gli unici possibili sono quelli di abbattimento delle emissioni mediante le migliori tecniche possibili.
  Queste sei sostanze sono un numero esiguo rispetto alla quantità di composti PFAS, che sono circa 3.000. Le altre sostanze già normate a livello europeo sono, ad esempio, i PFAS a catena lunga (la catena di carbonio C9-C14), per cui è stata adottata una restrizione, anche questa nel 2018, che entrerà in vigore nel 2020. Anche questa restrizione è totale su immissione in commercio, produzione e uso.
  Anche i perfluoroalchilici hexane sulfonate (PFHS) sono stati identificati come sostanze estremamente preoccupanti per le proprietà molto persistenti e molto bioaccumulanti. Anche per queste sostanze è in corso una proposta di restrizione. Questo è un caso emblematico rispetto alle sostanze in valutazione, perché è la sostanza candidata a sostituire il PFOS e il PFOA per le sue caratteristiche chimiche, quindi quando entrerà il divieto di utilizzo del PFOS e del PFOA è stimato che aumenteranno la produzione e l'uso di questa sostanza. Pertanto, l'unico mezzo per contenere l'immissione di questa sostanza è quella di restringerne l'uso, anche perché bisogna considerare che queste sostanze sono per la maggior parte importate piuttosto che prodotte a livello europeo e, quindi, la restrizione è l'unico mezzo che garantisce una non immissione delle sostanze.
  Consideriamo che sono sostanze molto persistenti. Questa sostanza ha un'emivita stimata nell'ambiente di oltre quarant'anni, quindi una volta immessa nell'ambiente si ritrova e, anzi, si accumula nell'ambiente, quindi ogni immissione della sostanza nell'ambiente non fa altro che accumularne la quantità. Si ritrova anche nei liquidi biologici, nel sangue.
  La normativa europea agisce in questo senso per contenere e per intervenire sui rischi presentati da questa sostanza mediante un processo di restrizione.
  L'altra sostanza che è definita come inquinante emergente, che è stata rinvenuta nelle acque della regione Veneto, è il GenX. Anche per questa sostanza è stata proposta un'identificazione come sostanza estremamente preoccupante.
  Per quanto riguarda altre iniziative a livello europeo, in fase di revisione della direttiva sulle acque potabili è stato proposto di inserire degli standard, non solo per il singolo PFAS, ma anche per l'insieme dei PFAS, come avviene per i pesticidi. Pag. 14Sono stati proposti il limite di 0,1 per la singola sostanza e dello 0,5 per l'insieme delle sostanze.
  Infine, anche l'EFSA (European food safety authority) sta valutando il PFOS e il PFOA come residui negli alimenti, quindi l'indirizzo europee in questo senso è quello di non considerare solo il singolo composto perfluoroalchilico, ma di considerarli nella loro interezza come gruppo e di intervenire principalmente mediante restrizioni, che sono state giudicate come la migliore misura per contenere le immissioni di queste sostanze. Grazie a tutti.

  PRESIDENTE. Grazie. Intanto che si prenotano i miei colleghi, faccio io delle domande. Avete parlato di soldi in America. Lo Stato italiano sta facendo qualcosa, contattando magari queste aziende produttrici, per ottenere intanto qualche soldo?
  Sugli standard di qualità ho bisogno di un riassunto. Forse non ho capito bene io.
  Visto che le sostanze sono tante e stanno nelle falde, c'è il problema dei limiti. Ho sentito parlare di proposta di limite, di alcune direttive che già hanno i limiti. In che settore mancano limiti ben precisi e cosa deve fare il ministero? Infatti, non penso che ogni regione... Ho sentito parlare di linee guida date alle singole amministrazioni. Vorrei capire bene la questione dei limiti, cosa si può fare per uniformare, cosa manca e cosa deve fare il Governo affinché questo venga fatto.
  Soprattutto vorrei capire qual è l'approccio per le bonifiche dei terreni e delle falde. Ho capito che forse ancora non neanche è ben chiaro scientificamente come si possa fare. Una volta messi i limiti, che limiti devo imporre e come faccio a imporre alle aziende le eventuali bonifiche dei terreni e delle falde?
  Mi ha colpito, per esempio, la Toscana, che ha dei valori delle acque sotterranee di sforamenti dei PFOA mi pare – non ricordo quali PFAS fossero – molto alti anche rispetto al Veneto e al Piemonte, che abbiamo visto. Perché avviene questo? Perché c'è una presenza di cartiere? C'è una spiegazione? In Sicilia perché ci sono questi valori così alti? A cosa è dovuto questo? Alle discariche che hanno ricevuto gli scarti dei fanghi?

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Scusate, dico qualcosa più in generale sul rapporto con il Ministero dell'ambiente.

  STEFANIA BALZAMO, Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Rispondo subito su questa parte dei limiti. Quali sono i limiti che mancano? Come ho mostrato, i limiti presenti sono quelli per il PFOS e per altre cinque sostanze PFAS, quindi ci sono gli standard di qualità e per altri quattro ci sono i valori soglia per le acque sotterranee. Chiaramente mancano tutti gli altri PFAS, manca il GenX...

  PRESIDENTE. Ci può fare una somma?

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Sì, però specificate bene che questo riguarda le acque sotterranee. Stiamo parlando delle acque sotterranee.
  Scusate, sono alcuni aspetti tecnici specifici, ma è bene spiegare. Spiegate bene la differenza tra uno standard di qualità e un valore limite allo scarico.

  STEFANIA BALZAMO, Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Lo standard di qualità ambientale è il limite che viene dato per classificare un fiume, un'acqua superficiale o un corpo idrico dal punto di vista chimico, per cui, se troviamo una concentrazione più alta dello standard di qualità ambientale, noi dobbiamo declassare il nostro corpo idrico e dobbiamo proporre delle misure per fare in modo che questo corpo idrico torni in buono stato. La stessa cosa vale per le acque sotterranee. Non si chiama «standard di qualità ambientale», ma si chiama «valore limite di soglia». Pag. 15Questi sono sempre dei limiti che servono per classificare le falde sotterranee.
  In questo senso, come dicevo prima, mancano i limiti e gli standard di qualità ambientale per la classificazione dello stato chimico di tutti gli altri PFAS, quelli a catena più corta, mentre quelli a catena più lunga si spera che non vengano più utilizzati, perché sono in restrizione. Tra questi vi sono il GenX e il C6O4.
  Quello dei limiti allo scarico è un altro discorso ed è quello che affrontava prima la collega.

  ALFREDO PINI, Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Purtroppo nella legislazione e normazione ambientale si usa la parola «limite» con due concetti completamente diversi e, quindi, inevitabilmente si ingenera un problema di comprensione. Quando diciamo «limite» noi intendiamo una soglia che in certe circostanze non deve essere superata. Questa soglia può riguardare un sistema ambientale vasto, come un corso idrico, e serve semplicemente in quel caso a determinare qual è l'obiettivo ambientale su quel corpo idrico, immaginando anche che sia imperturbato.
  Ciascun sistema ambientale ha degli standard di qualità ambientale, cioè dei livelli che non devono essere superati in termini di concentrazioni di inquinanti per garantirne la fruibilità, l'utilizzabilità e l'ecologicità. Questo è lo standard di qualità ambientale.
  Il valore limite di emissione, quello che viene deferito «VLE» è sempre un valore soglia, ma che ha, invece, un carattere di natura autorizzativa, cioè serve a stabilire il singolo operatore quanto inquinante può introdurre in quel sistema ambientale ampio. Perché questo? Perché l'unica vera migliore tecnica disponibile – sembra un paradosso, ma è così – che si è sempre utilizzata nel sistema ambientale è un meccanismo di diluizione, che è un meccanismo storico, per cui le aziende che producono devono emettere lontano dai cittadini. I camini che gli impianti industriali utilizzano per le emissioni in atmosfera servono a portare il punto di emissione dei gas lontano dalle persone che respirano in quota. Allo stesso modo, le aziende scaricano lontano dai punti in cui c'è un utilizzo tipico del sistema ambientale. In seguito, attraverso il fattore di diluizione, ovviamente quelle sostanze vanno a inquinare sia l'aria sia il corpo idrico.
  Una volta che è accertata una situazione di inquinamento sul sistema ambientale, complesso o semplice che sia, fiume o atmosfera, quello che bisogna fare è agire sul punto in cui l'inquinante viene introdotto nell'ambiente. Tipicamente la Miteni ha delle condotte di scarico che portano le acque reflue, già depurate internamente, nel corso idrico. Quelle acque contenevano – perché la Miteni adesso è chiusa – dei PFAS. La stessa cosa vale per la Solvay e per tutti coloro che hanno acquistato nel tempo e acquistano tuttora sul mercato queste sostanze dalla Miteni e poi le utilizzano nei loro cicli produttivi. I loro scarichi avranno comunque, anche se in quantità minori, delle sostanze.
  I limiti di emissione di tipo autorizzativo, quelli che sono ai punti di scarico, in questo momento non esistono per i PFAS in nessuna normativa. Nessuna normativa ha questo tipo di valore limite.
  Il valore limite in autorizzazione allo scarico può avere poi una natura diversa, come raccontava la collega Pace. Può essere un valore valido sempre e dovunque. Sono quei valori limite di emissione che trovate normalmente nel Testo unico ambientale. Il Testo unico ambientale per certi inquinanti (per i PFAS no) contiene un elenco di sostanze con dei valori soglia, detti «valori limite di emissione», che nessun cittadino e nessun operatore nazionale, in qualsiasi tipologia di scarico, può superare. È una sorta di valore ombrello che la normativa pone a garanzia del territorio nazionale.
  Quando le amministrazioni, invece, autorizzano una singola installazione, hanno un potere di valutazione e di scelta e possono decidere se utilizzare semplicemente quel valore generale, valore ombrello, che è contenuto nel Testo unico ambientale o se per quella particolare azienda specializzare il valore limite di emissione e ridurlo Pag. 16in relazione alla fragilità del corpo recettore o alla situazione di inquinamento già accertata.
  Nel caso dei PFAS siamo già in questa situazione: non ci sono valori limite ombrello nella normativa, il Testo unico ambientale non ha valori limite di emissione per nessuna di queste sostanze, ma già siamo nella situazione in cui in talune aree, tipicamente nel Veneto, ma anche, come dicevo, in alcune aree del Piemonte... In Toscana le stazioni sono molte, però in realtà i valori PFAS sono significativi ma non più elevati del Veneto e sono legati al settore conciario. Lì c'è tutto il comparto della concia che insiste sul fiume Sarno, quindi c'è un altro problema di questo tipo. In quei territori siamo probabilmente già nella situazione di dover operare, nel caso si autorizzino scarichi, con valori che sono più bassi rispetto a quelli che sarebbero introdotti in una normativa generale.
  Come diceva Emanuela Pace nella sua presentazione, oggi le direttive comunitarie per sostanze particolarmente pericolose ti dicono di non fare riferimento a valori ombrello, a valori limite di emissione, ma di porti sul livello massimo che si può conseguire utilizzando le migliori tecniche che oggi ci sono sul mercato, le cosiddette «BAT» (best available techniques) in inglese o «migliori tecniche disponibili» in italiano.
  Il concetto è che di standard di qualità ce ne sono pochi per pochi PFAS e in talune situazioni sono superati; i valori limite di emissione non ce ne sono per nessuna di quelle sostanze a livello normativo e le autorizzazioni oggi vigenti nel nostro Paese non hanno restrizioni su queste sostanze.

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Fatto sta che una delle discussioni, che ha visto protagonista anche questa Commissione e che forse ricorderete, era tra la regione Veneto che chiedeva di mettere un limite di carattere nazionale e una dirigente del ministero che più volte ha sostenuto un'altra tesi, ovvero che per le singole autorizzazioni, visto che si fa riferimento alle cose che adesso diceva l'ingegner Pini, è necessario che ogni regione provveda ad autorizzare in maniera specifica lo scarico.
  Su questa discussione si è andati avanti fino a oggi. Credo che dovrete rivolgere una serie di domande direttamente al Ministero dell'ambiente, perché ovviamente sono loro che decidono queste situazioni. Da notizie di stampa di qualche giorno fa sembra che l'attuale ministro sia intenzionato a procedere attraverso un decreto che costituisca un gruppo di lavoro o comunque vada nella direzione di proporre dei limiti di carattere nazionale.
  Tuttavia, ripeto – e lo sottolineo con la penna rossa – che questa è una decisione che ovviamente non dipende da un organismo come il nostro, ma dipende dal Ministero dell'ambiente, perché il confronto, come è noto, ormai avrà circa un anno o un anno e mezzo di età rispetto a quando sono emerse le prime problematiche.
  Sulla questione delle bonifiche mi sembra che anche in questo caso non esistano dei limiti rispetto...

  ALFREDO PINI, Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). No. Credo anche che in questo momento non esista un problema acclarato e accertato di inquinamento dei suoli per quanto ne sappiamo. È probabile che alla lunga anche questo potrà essere trovato, però al momento non esiste. Esiste ovviamente la falda, quindi le acque sotterranee, e lì ci sarà lo stesso problema, nel momento in cui si avvieranno iniziative di bonifica, che ci sono per la regolamentazione degli scarichi, cioè il fatto che in questo momento di tecniche disponibili sul mercato in maniera diffusa di trattamento di queste sostanze non ce ne sono moltissime.

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Spero che sia stata spiegata da noi la complessità dell'attività, perché siamo veramente di fronte a una situazione per cui qualcosa è noto, ma qualcosa è da scoprire. Pag. 17
  Infatti, noi abbiamo fatto una richiesta al ministero – è una delle ultime diapositive che vi ha fatto vedere l'ingegner Pini – dove abbiamo fatto una serie di proposte, che vanno al di là del «metto il limite o non metto il limite». Può sembrare anche una decisione abbastanza complessa e forse anche arbitraria in alcuni casi, ma si tratta di capire e di studiare bene qual è il fenomeno e quali sono la presenza e la quantità di queste sostanze che oggi sono in circolazione.
  Non è un problema solo di chi li produce, come veniva detto prima, ma è un problema anche di chi li utilizza e a volte può anche essere un problema di chi utilizza un'acqua magari per altri scopi, per esempio per raffreddare un ciclo industriale, e dopo deve scaricare. Il rischio è che si possa trovare un limite allo scarico, pur non avendo nessuna responsabilità né nella produzione né nell'utilizzo. La complessità della situazione è veramente alta e bisogna ancora lavorarci molto per poter avere un quadro esaustivo.
  Non vi sfugge nemmeno come anche a livello europeo rispetto alle restrizioni e rispetto agli studi non ci sono degli standard stabiliti, ci si sta lavorando proprio in questi mesi.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CHIARA BRAGA. Vorrei sapere se in quest'anno al Ministero dell'ambiente si sono svolti degli incontri, che hanno coinvolto anche il vostro istituto, dedicati all'eventuale definizione di questi valori limite, quindi se c'è stato un avanzamento del lavoro in questo senso.
  Inoltre, vorrei sapere al momento qual è lo stato delle linee guida, perché mi sembrava di aver capito dall'introduzione che faceva l'ingegner Pini che sono state trasmesse alle regioni, quindi chiedo un aggiornamento sullo stato dell'esame e quando pensate che possano arrivare ad avere un via libera da parte – immagino – della Conferenza delle regioni.

  EMANUELA PACE, Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). I lavori presso il ministero hanno riguardato appunto l'elaborazione di queste linee guida. Sono state trasmesse alle regioni all'inizio dell'anno. Adesso il ministero è in relazione con le regioni per avere un feedback sulle valutazioni che sono state fatte dalle regioni stesse. Al momento non abbiamo informazioni sull'avanzamento dei lavori e su cosa è stato approvato o meno.

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Noi abbiamo fatto un altro incontro come sistema recentemente, circa un mese fa. Siamo stati convocati i diversi direttori generali e noi come ISPRA al ministero, dove noi abbiamo presentato al ministro una serie di proposte, che sono quelle che in parte vi abbiamo mostrato oggi, e abbiamo discusso rispetto alla necessità o meno di produrre, da parte ovviamente del ministero, un decreto ministeriale o interministeriale.
  A quanto ci è noto – ma l'abbiamo letto sulla stampa – il ministro ha dichiarato un paio di giorni fa che questo decreto starebbe per essere emanato, quindi siamo anche noi in attesa di capire quale sarà specificatamente il nostro ruolo anche rispetto al decreto che verrà emanato.
  Ne approfitto, presidente, per rispondere. Ci aveva chiesto se esiste uno stato di contenzioso in atto. Esiste, perché c'è una procedura di danno ambientale che è stata attivata da parte del ministero nei confronti di Miteni. Noi abbiamo fatto una prima quantificazione del danno, così come prevede la norma. Se non erro, parliamo di circa 80 milioni di euro, ma potrei sbagliarmi. Abbiamo semplicemente sommato le spese che dal punto di vista pubblico si sono dovute affrontare per ovviare soprattutto alla problematica dell'utilizzo delle acque potabili.
  C'è una progettualità, che era stata posta e concordata tra regione e ministero. Mi sembra che il costo fosse più o meno sugli 80 milioni di euro di contenzioso, però stiamo parlando di una prima stima di danno relativamente a questioni abbastanza Pag. 18 specifiche. Questo è il contenzioso che oggi abbiamo in campo.

  PRESIDENTE. Anche perché nel caso della Miteni si tratta di intervenire prima sul terreno. Anche lì, se non ci sono tecniche come...

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Lì c'è sicuramente un problema di inquinamento delle falde, perché, come è noto, la falda interessata è una falda molto ampia. Credo ci sia anche in questo caso un tema di valori da definire, perché a mia conoscenza non esistono dei parametri specifici per quanto riguarda la normativa sulle bonifiche rispetto a questa questione. Dico bene? Dunque, anche in questo caso ci sarà da capire come e in che modo intervenire.
  Tuttavia, mi sembra che la prima preoccupazione che è stata messa in atto da parte degli organismi pubblici, proprio per l'impatto di carattere sanitario, sia stata quella di verificare bene l'inquinamento dell'acqua potabile, quindi si è intervenuti soprattutto a quel riguardo.

  ALBERTO ZOLEZZI. Ringrazio il sistema per i dati che ci ha fornito. Il presidente Vignaroli prima aveva chiesto di capire un po’ meglio le singole attività e ci era stato citato, per esempio, il settore della concia. Su altri distretti, come quelli a cui avete fatto riferimento in Friuli Venezia Giulia e in Sicilia, forse non ho capito io se c'è qualche altro tipo di attività che può essere correlata, come le discariche o quant'altro, anche perché siamo in una nazione che ha altre normative in cantiere. Una che mi preoccupa pesantemente è quella sugli impianti a biometano, rispetto ai quali nelle varie autorizzazioni si leggono in ingresso percolati, fanghi e quant'altro, quindi, oltre a circolare per più di 500 chilometri, poi ci potrebbe essere uno spandimento ulteriore anche di queste sostanze, oltre che di altre.
  Per quanto riguarda la produzione dei PFAS a catena corta, vorrei capire se voi avete una mappatura delle attività produttive o se sapete di qualcuno che ce l'abbia, per capire come andare a cercare. Adesso abbiamo visto questo progressivo tentativo di sostituzione dei PFAS a catena lunga con quelli a catena corta, però i PFAS a catena corta sono già sotto attenzione e, quindi, si rischia davvero di perdere ancora del tempo per arrivare tra qualche anno a bloccarli tutti. Se ci sono sostituti di tutt'altro genere nei prodotti, forse sarebbe da pensare a quello, anche perché nell'inchiesta sulla Miteni in parte è anche paventato un vero e proprio falso riciclo di rifiuti, cioè che dall'estero sarebbero arrivati rifiuti che in qualche modo sarebbero stati inseriti in un processo produttivo forse più che altro finalizzato a far smaltire rifiuti esteri a basso prezzo.
  Infine, per quanto riguarda i fanghi e i percolati, vi chiedo se avete qualche novità in merito alle tecnologie di smaltimento. Mi riferisco in particolare ai depuratori noti per avere enormi quantità di PFAS, anche se probabilmente, come avete detto voi, sono contenuti pressappoco in qualsiasi discarica o depuratore.

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Non c'è dubbio che una delle fonti che destano preoccupazione è il tema del trattamento dei percolati, nel senso che i percolati contengono queste sostanze, quindi nelle discussioni sui limiti una delle preoccupazioni riguarda il tema del trattamento dei percolati. Non c'è dubbio che i percolati contengono concentrazioni assolutamente importanti di queste sostanze.
  Per quanto riguarda il tema del Friuli Venezia Giulia, io non so in realtà se lì c'è una...

  STEFANIA BALZAMO, Responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). In questo momento non saprei dire. Chiaramente tutti gli impianti di trattamento di acque reflue urbane e acque industriali hanno gli scarichi con la presenza di PFAS, quindi sicuramente potrebbe essere anche la presenza di discariche di questo genere che provoca poi l'inquinamento da PFAS. Pag. 19
  Come dicevo, tutto il monitoraggio è stato fatto in stazioni nei pressi di pressioni, che erano quelle che dicevo prima: industrie galvaniche, industrie conciarie, cartiere tessili e impianti di trattamento delle acque. Trovare qual è il singolo scarico o emissione che può provocare questo diventa abbastanza difficile.

  ALFREDO PINI, Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Posso aggiungere che anche noi ci siamo interrogati ovviamente sulla ragione per cui si trovano tracce. Infatti, parliamo di tracce, non parliamo di quantità significative come in Veneto.
  Uno dei lavori da fare urgentemente è esattamente quello a cui lei accennava, cioè avere una conoscenza esatta, nell'ambito del sistema produttivo nazionale, delle aziende che lo utilizzano quantomeno in quantità significative.
  Nell'incontro che abbiamo fatto presso il ministero con il ministro, a cui accennava il direttore, si è proprio parlato di questo problema. Le utilizzazioni sono veramente decine di migliaia sul territorio. Bisogna cominciare a fare un taglio, studiando il sistema produttivo che utilizza queste sostanze, per capire dove sta la significatività. Questo è un primo passaggio che ci aiuterà meglio a comprendere e soprattutto a prevedere cosa succederà nel prossimo futuro. Infatti, adesso abbiamo trovato tracce in Sicilia o in Friuli, ma io non escludo che con il tempo, tra qualche anno, si trovino anche in altre zone del territorio.
  Lo citavo marginalmente nella mia presentazione, però è rilevante. Un'altra cosa che è importante comprendere bene nei cicli produttivi sono le produzioni indirette di queste sostanze. Ci sono significative evidenze che alcune tipologie di PFAS, soprattutto quelli a catena corta o che quantomeno con le catene corte possano assimilarsi in termini di misurazioni...
  Ricorderà che noi in questo momento non abbiamo uno standard di misura né un metodo di misura consolidato sulle catene corte e stiamo utilizzando degli standard tecnici. Siccome ci sono delle produzioni, soprattutto di catene corte, che sono dei sottoprodotti nei processi di utilizzo, potrebbe essere che una parte di questi inquinanti che abbiamo trovato siano legati in realtà a una sottoproduzione locale nell'ambito dei processi. Anche questo necessita di un approfondimento di natura tecnologica. In questo momento c'è veramente pochissimo, anche a livello internazionale.
  Dal mio punto di vista, al di là delle regolamentazioni, degli standard di qualità e dei limiti, il primo aspetto da aggredire è come trattare queste sostanze in qualche modo. Servirà per le bonifiche, servirà per i limiti di emissione. Insomma, c'è un problema tecnologico da sviluppare.

  ANDREA FERRAZZI. L'immagine che ho avuto da questa dettagliata presentazione è di una rincorsa per capire sostanze innovative e fuori controllo che vengono inserite nel mercato e via dicendo. Io ho avuto l'impressione, non essendo un tecnico e non essendo un chimico, di un'assenza a monte, ovvero dell'assenza di un intervento – e su questo vorrei chiedere a voi se potete esserci utili in questa direzione come legislatori – per evitare che le aziende producano delle sostanze, che vengono immesse nel mercato, che dunque hanno una ricaduta sul territorio e a quel punto interviene il pubblico per definire le quantità, le procedure, le metodologie eccetera. È un meccanismo che non funziona, perché è del tutto evidente che con l'evoluzione tecnico-scientifica il circolo vizioso tende assolutamente ad ampliarsi.
  Cosa avete da consigliarci per anticipare, per verificare e per introdurre dei protocolli all'interno delle aziende private che evitino l'inserimento in ambiente di materiali sui quali c'è un punto di domanda e, dunque, anticipare a monte tutto il percorso che, invece, noi stiamo faticosamente rincorrendo dopo un costo ambientale e per la salute umana indicibile?

  ALFREDO PINI, Responsabile Area per la formazione tecnica e ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). È esattamente così, il quadro è esattamente quello che lei ha disegnato all'inizio del suo intervento ed è Pag. 20una situazione anche abbastanza frequente nell'ambito ambientale. L'Agenzia europea per le sostanze chimiche è tutto sommato abbastanza giovane come costituzione.
  Tenga conto che ci sono delle problematiche strutturali per intercettare questi aspetti, perché di sostanze chimiche se ne progettano e realizzano di continuo e ciò è legato a esigenze del settore produttivo. Abbiamo visto che tutto nasce per impermeabilizzare i tessuti o le padelle con il teflon.
  Io vivevo negli Stati Uniti negli anni 1990, perché ho lavorato là, e mi ricordo bene la storia del teflon. Lì già a metà anni 1980 si erano diffuse queste padelle ricoperte di teflon. Erano fantastiche, perché erano assolutamente antiaderenti, e mi ricordo l'entusiasmo che noi avevamo con i nostri colleghi europei, perché non avevamo questo tipo di produzione. Tuttavia, c'era qualche collega americano che diceva «attenzione, perché con il teflon ci sono dei problemi», per cui eravamo tutti un po’ preoccupati.
  Accertare la pericolosità di una molecola chimica, capirne le caratteristiche in termini di tossicità, sia ambientale che per la salute, purtroppo richiede diversi anni di studi e parecchi soldi. Il progresso è ovviamente immediato, per cui scoperta la molecola si è fatto il teflon e si è fatto il Gore-Tex, le scarpe che resistono perfettamente all'acqua. Il business è fantastico, perché tutti hanno acquistato il Gore-Tex e tutti hanno acquistato il teflon, quindi è un meccanismo che diventa estremamente trainante sul fronte produttivo e molto lento strutturalmente sul fronte della protezione.
  Aggiungiamo che tutte queste agenzie sono relativamente recenti come nascita. Io credo che oggi, come dicevamo nell'ultima diapositiva, bisognerebbe arrivare a siglare un patto tra pubblico e sistema produttivo per dire che esiste un problema, che poi si riverserà sulla società, ma anche sulle aziende nel lungo termine, ci sono risorse e conoscenza da mettere in campo per fare questo lavoro, quindi bisogna capire subito quando si va a progettare una nuova molecola e cercare di anticipare gli studi, per quanto è possibile (non sempre lo è).
  L'idea che noi ponevamo era proprio questa: utilizziamo la vicenda PFAS, per la quale siamo esattamente in una situazione di rincorsa, per cercare di prepararci al prossimo emergente...

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore Generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Vorrei cercare un po’ di tranquillizzarvi. Vorrei che la collega, visto che lavora in ambito REACH, spiegasse come oggi viene fatta una selezione rispetto al passato delle sostanze che devono in qualche modo essere messe in circolazione e quanto tante sostanze siano già state sostituite da altre sostanze che hanno un minor impatto di carattere ambientale.

  EMANUELA PACE, Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). A livello europeo il REACH interviene proprio in questo senso: mediante questo regolamento, viene considerata una valutazione del rischio di queste sostanze. L'azione che può prevenire in modo più efficace la diffusione di queste sostanze è la restrizione. Abbiamo visto che l'ECHA (European chemicals agency) si sta muovendo in questo senso, adottando misure di restrizione per i gruppi di sostanze, senza considerare più la singola sostanza, ma considerando il gruppo della sostanza.
  Peraltro, nel gruppo dei PFAS una sostanza è alternativa all'altra, quindi una volta ristretta una sostanza se ne utilizza un'altra per lo stesso fine. Pertanto, l'unica azione possibile è intervenire mediante restrizioni su tutto il gruppo delle sostanze.
  Si è visto che ci sono alternative a queste sostanze perfluorate, sono in commercio e sono economicamente sostenibili. Questo è quanto si prefigge la commissione per le POP della Convenzione di Stoccolma, che indica come unica azione quella di intervenire a livello globale, perché è un problema ormai di interesse globale, non è più territoriale. Se vengono prodotte da un'azienda, le sostanze si ritrovano nell'ambiente anche a distanze molto ampie. Sono state ritrovate negli orsi bianchi al Polo Pag. 21nord, quindi sono sostanze che si diffondono e persistono.
  Finora sono state utilizzate moltissimo proprio per queste proprietà eccezionali, risultano impermeabili all'acqua e hanno, quindi, delle proprietà tecniche...

  ANDREA FERRAZZI. Posso interloquire un attimo su questo? Molto concretamente oggi, se un'azienda inventa una nuova molecola, trova una nuova sintesi, cosa succede? Dal punto di vista della procedura, la normativa europea come interviene a livello preliminare per fare tutti i passaggi necessari per valutare la pericolosità o meno?
  Infatti, è del tutto evidente che per molte sostanze la pericolosità si può individuare dopo anni, ma immagino sia necessario un principio di precauzione. Le procedure quali sono?

  EMANUELA PACE, Responsabile Sezione sostanze pericolose dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Sì, il REACH ha in sé delle procedure che permettono la valutazione delle nuove sostanze immesse in commercio. Sono valutazioni del pericolo, valutazioni delle esposizioni e valutazioni del rischio per queste sostanze e, quindi, impongono alle ditte che producono delle condizioni per la produzione, per l'uso e per la messa in commercio, che sono legate proprio alle caratteristiche delle sostanze.
  Il REACH ha normato e adesso sta governando un numero di sostanze molto ampio ed è intervenuto già con numerosi processi di limitazione dell'uso di queste sostanze, non solo con restrizioni, ma anche con autorizzazioni. Anche l'autorizzazione è un processo per cui, se la sostanza viene valutata come pericolosa, il suo uso è consentito solamente dietro una domanda di autorizzazione in cui vengono valutati i rischi e benefici dell'uso di questa sostanza.

  ALESSANDRO BRATTI, Direttore generale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Non vorrei che ci fosse l'idea che qualsiasi prodotto può essere messo in commercio. È chiaro che c'è uno screening. Le molecole proposte, come si diceva prima, sono milioni ed esiste uno screening. Con il REACH si è capovolto il concetto, per cui in realtà è il produttore che deve dimostrare che la sostanza di fatto non ha pericolosità nell'ambiente, mentre prima non era così.
  Tenete presente che nel caso dei PFAS, a parte questi a catena corta che sono gli ultimi sintetizzati, stiamo parlando comunque di sostanze che sono molto precedenti all'entrata in vigore di un regolamento che, invece, dovrebbe essere assolutamente più cautelativo. Oggi a livello europeo, per venire alla risposta alla domanda originaria, esiste sicuramente un'attenzione molto più forte. Oggi stesso noi abbiamo un collega a Helsinki che praticamente quasi ogni dieci giorni è chiamato a valutare, insieme ad altri colleghi, una serie di sostanze che vengono immesse in continuazione sul mercato.
  Dopodiché, in questo caso, così come fu – vi ricordate bene, anche qui purtroppo ci si riferisce sempre alla stessa regione – per tutto il tema del CVM (cloruro di vinile monomero), come precursore del PVC... Anche su quello vi ricordate bene come poi progressivamente si scoprì la pericolosità di questa sostanza. Oggi sicuramente le condizioni sono diverse. Ciò non toglie, però, che si ha a che fare con delle molecole chimiche molto differenti e anche molto diverse rispetto ai meccanismi d'azione a cui eravamo abituati in maniera tradizionale.
  Pensate che si discute molto del biossido di azoto, dello zolfo, cioè di sostanze inquinanti tipiche del secolo scorso. Oggi ci troviamo di fronte a una serie di sostanze (questo è un esempio) che sono interferenti endocrini, soprattutto ma non solo, che agiscono a concentrazioni estremamente più basse rispetto a quelle degli inquinanti tradizionali, per cui per poterle rilevare c'è bisogno innanzitutto di avere le metodiche necessarie. Qui vi stiamo dicendo che siamo ancora in una situazione per cui per alcune di queste sostanze non abbiamo degli standard, cioè non sappiamo come andarle a cercare, perché non vi sfugge che un investimento anche dal punto di vista laboratoristico Pag. 22 per il monitoraggio per cominciare ad andare a cercare... Adesso stiamo parlando dei PFAS, ma provate a pensare a tutti i metaboliti degli antibiotici, tutte sostanze che sono oggi nell'ambiente e di cui tante probabilmente non sono normate. Se si dovessero andare a cercare, sicuramente ci sarebbe bisogno di un'attrezzatura anche da un punto di vista tecnico-scientifico completamente diversa da quella a cui siamo stati abituati fino a oggi.
  È una sfida in progress. Questo è il segnale che noi volevamo darvi. Siamo in una situazione di frontiera e deve essere affrontata per quello che è.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro chiusa l'audizione. Invito i miei colleghi a rimanere in Ufficio di presidenza e ricordo alle 14 la firma del protocollo con Unioncamere per chi volesse venire.

  La seduta termina alle 10.25.