XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Giovedì 20 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione del Prof. Ernesto Longobardi, professore di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi di Bari Aldo Moro e della Prof.ssa Giovanna Petrillo, professoressa di diritto tributario presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Petrillo Giovanna , professoressa di diritto tributario presso l'Università degli Studi della Campania ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 5 
Longobardi Ernesto , professore di scienza delle finanze presso l'Università di Bari ... 5 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 8 
Russo Paolo (FI)  ... 8 
Presutto Vincenzo  ... 8 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 8 
Petrillo Giovanna , professoressa di diritto tributario presso l'Università degli Studi della Campania ... 8 
Longobardi Ernesto , professore di scienza delle finanze presso l'Università di Bari ... 9 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 

Allegato 1: Documentazione presentata dalla Prof.ssa Giovanna Petrillo ... 10 

Allegato 2: Documentazione presentata dal Prof. Ernesto Longobardi ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Prof. Ernesto Longobardi, professore di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi di Bari Aldo Moro e della Prof.ssa Giovanna Petrillo, professoressa di diritto tributario presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, del professore Ernesto Longobardi, professore di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, e della professoressa Giovanna Petrillo, professoressa di diritto tributario presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Ringrazio i nostri ospiti e do la parola alla professoressa Petrillo.

  GIOVANNA PETRILLO, professoressa di diritto tributario presso l'Università degli Studi della Campania. Ringrazio il presidente, e i componenti tutti della Commissione per questo gradito invito che mi è stato rivolto per quest'occasione di confronto con voi su una tematica di grande interesse e attualità, tematica indubbiamente complessa.
  Questo mio breve intervento muove da una premessa di base, che è sostanzialmente quella della stretta interdipendenza tra i princìpi di autonomia finanziaria, tra l'attuazione dei princìpi di autonomia finanziaria, e più in generale del federalismo fiscale, e il processo di introduzione dell'articolo 116, comma 3, sostanzialmente l'attuazione del regionalismo differenziato. È importante individuare un bilanciamento tra le ragioni poste alla base della differenziazione e il principio fondamentale di solidarietà. Andranno, quindi, individuati, nell'ambito dell'articolo 119, come noto espressamente richiamato dal 116, fondamenti o limiti all'esercizio dell'autonomia differenziata. Sostanzialmente, l'attribuzione di maggiori competenze determina una problematica relativa alle modalità di finanziamento delle stesse.
  Come è noto, la riforma del Titolo V nel senso del potenziamento delle autonomie ha modificato profondamente il testo dell'articolo 119. Regioni, comuni, province e città metropolitane sono sostanzialmente equiordinate, hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa nell'ambito e nell'ossequio dei rispettivi bilanci, quindi hanno a disposizione risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi propri in armonia con i princìpi del coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario. Pag. 4
  Sono elementi fondamentali, nell'architettura del federalismo fiscale, la nozione di tributo proprio e, ovviamente, anche quella di coordinamento della finanza pubblica, sulla quale torneremo. La possibilità di istituire tributi propri, sebbene gli enti siano equiordinati, leggendo in combinato disposto l'articolo 119 e l'articolo 23, viene esclusivamente riservata alle regioni, quindi la leva finanziaria potrà poi essere esercitata dai comuni, ovviamente in maniera ristretta, nel senso che ci sarà come fonte il regolamento, e quindi quest'autonomia finanziaria verrà estrinsecata sotto il profilo della manovrabilità delle aliquote, sotto il profilo procedimentale agevolativo.
  L'articolo 119 disciplina anche il principio della neutralità perequativa. Viene istituito questo fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Tutte queste risorse devono finanziare il funzionamento ordinario delle funzioni.
  Quella di tributo proprio è una nozione che, già all'indomani dell'entrata in vigore del Titolo V, ha destato un serio dibattito dottrinale. Si è discusso sulla valorizzazione della fonte istitutiva di questi tributi piuttosto che sull'individuazione di altre e diverse modalità che potessero connotare il tributo in senso regionale, la Corte costituzionale abbraccia l'orientamento in base al quale per tributo proprio deve intendersi il tributo che sia istituito con legge regionale. Si comincia a ragionare, quindi, anche in assenza di una legge di coordinamento sul principio di doppia imposizione.
  Arriva, poi, la n. 42 del 2009, la legge di attuazione del federalismo fiscale, che delinea una serie di princìpi di base: il principio di doppia imposizione, il principio di territorialità, il principio di continenza, anch'esso un principio rilevante nella misura in cui l'esercizio della potestà regionale deve correlarsi con le materie di competenza regionale. Arrivano anche i decreti delegati, il n. 68 del 2011 e il n. 23 del 2011 per quanto concerne la finanza locale, quindi regionale.
  A dieci anni dall'entrata in vigore della n. 42 del 2009, alla previsione di questi decreti delegati permangono a oggi dei vuoti normativi abbastanza consistenti, relativi soprattutto al sistema perequativo, alla determinazione dei fabbisogni standard, quindi siamo ancora in una fase nell'ambito della quale c'è da lavorare.
  Perché c'è stato questo primo congelamento del quale abbiamo parlato all'inizio, relativo all'individuazione della nozione di tributo proprio, quindi all'individuazione dei princìpi posti a base della n. 42 del 2009? Questo secondo congelamento, a partire dal 2010-2011 è dovuto alla crisi finanziaria, quindi anche le autonomie locali sono state chiamate a concorrere al meccanismo di risanamento della finanza pubblica.
  Questo perdurante stato transitorio ha caratterizzato l'attuazione del federalismo fiscale e ha sicuramente impattato anche sulla finanza locale, quindi c'è da ragionare sul riordino di IMU e TASI, sul riordino del catasto, su una riforma della riscossione comunale, anch'essa materia particolarmente rilevante.
  Anche il fondo di solidarietà comunale necessita di serie riflessioni, che sono poi poste alla base anche di recenti pronunciamenti sia della Corte costituzionale sia del Consiglio di Stato. Mi piace ricordare le sentenze gemelle del Consiglio di Stato del 2018, che hanno sostanzialmente ricordato i princìpi posti a base dell'autonomia finanziaria e hanno posto delle serie perplessità sul finanziamento di questo fondo nella misura in cui si dice: abbiamo dei valori da tutelare, che sono quelli della certezza delle risorse disponibili, il bilancio degli enti locali come bene comune. Questi sono valori che vanno tutelati. Anche sotto il profilo della finanza locale, quindi, rimane una serie di punti che devono essere meglio definiti o meglio attuati sicuramente.
  A mio avviso, lo snodo fondamentale di tutta questa problematica è rappresentato proprio dal coordinamento della finanza pubblica: assicurare un coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, anzitutto per tutelare i diritti dei contribuenti. Tutti i contribuenti hanno diritto, appunto, a un sistema impositivo informato ai valori della chiarezza, dell'efficienza, un sistema gestibile. Pag. 5
  La riforma del Titolo V è informata a un pluralismo istituzionale paritario. A seguito della crisi, c'è stato invece un riaccentramento dell'attività statale, e facendo un rapido excursus sulla giurisprudenza della Corte costituzionale – lascio qui una mia breve relazione – emerge come una potestà legislativa concorrente nei tempi successivi alla crisi sia quasi diventata una potestà legislativa esclusiva. La Corte costituzionale ha ultimamente anche temperato questi orientamenti, parlando di necessità di interventi centrali, virtuosi e proporzionali.
  Ora, il 116, comma 3, questo regionalismo differenziato del quale si parla, può essere una modalità per uscire dal centralismo? Può essere una modalità per valorizzare le autonomie locali? Può essere una modalità per far passare in secondo piano l'attuazione dei princìpi del federalismo fiscale e partire subito con il regionalismo differenziato?
  Ebbene, l'articolo 116, comma 3, è una norma che rientra nel patto costituzionale, è una norma che fa parte della Costituzione ed è una norma importante, perché valorizza le autonomie, che significa dar maggior responsabilità anche agli amministratori, e queste sono tutti elementi che fanno parte del patrimonio del federalismo fiscale, sempre improntato a una logica di solidarietà.
  Uscire dal centralismo è sicuramente un dato positivo. Purtuttavia, bisogna attuare con chiarezza, in maniera profonda, i princìpi posti a base dell'articolo 119, intimamente richiamato dal disposto dell'articolo 16. Federalismo fiscale non può che significare, quindi, perequazione. Bisogna attuare compiutamente questi meccanismi perequativi, bisogna stabilire i LEP, i fabbisogni standard. Non possiamo prescindere da una piena attuazione del disposto dell'articolo 119, per poi poter dar valore allo spirito del 116, comma 3, della Costituzione. Perché?
  La Corte costituzionale ha in più occasioni evidenziato come non possa esserci autonomia finanziaria senza definizione dei LEP. È un passaggio fondamentale affinché si parta, e si parta bene. Non si può con disinvoltura fare riferimento a impatto sulla finanza pubblica di questa riforma relativa al regionalismo differenziato, all'autonomia differenziata. Anch'esso rappresenta un punto importante sul quale riflettere.
  A mio avviso, quindi, va valorizzato il principio di definizione cooperativa tra Stato e regione, dunque il coordinamento del sistema della finanza pubblica, in maniera congrua con lo spirito dell'articolo 119. Va attuato l'articolo 116 della Costituzione in ossequio ai princìpi solidaristici. Questo regionalismo differenziato non potrà mai far sì che le regioni più ricche si sottraggano al vincolo di solidarietà, perché questo è un principio sancito nella Costituzione. Diversamente, si rischia di partire con una norma che potrebbe essere fondatamente oggetto di censure da parte della Corte costituzionale. L'auspicio è nel senso che la riforma venga avviata sulla scorta di una puntuale attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e del decreto legislativo n. 68 del 2011.

  PRESIDENTE. Grazie, professoressa, anche per il tentativo di rimanere nei tempi imposti dai lavori dell'Aula.
  Do ora la parola al professor Longobardi.

  ERNESTO LONGOBARDI, professore di scienza delle finanze presso l'Università di Bari. Vi illustro brevemente il contributo che allegherò in forma scritta, in modo che chi lo desidera possa prenderne visione.
  Io tratto direttamente della questione della richiesta della maggiore autonomia da parte delle tre regioni ai sensi del 116-ter e discuto, sostanzialmente, tre punti, in questo contributo. Il primo riguarda la consonanza di questo procedimento nelle forme che ha assunto con lo spirito della Costituzione, in particolare con lo spirito del 116 terzo comma.
  Io sono un'economista, sono un professore di scienza delle finanze, non sono un giurista, quindi in questo mi appoggio prevalentemente all'opinione dei giuristi, e mi sembra che l'opinione prevalente sia quella per cui la piega che gli avvenimenti stanno prendendo abbia poco a che fare con lo spirito del 116-ter. Pag. 6
  Vi leggo, per esempio, quest'affermazione del professor Marco Cammelli: «Queste dimensioni trasformano l'articolo 116-ter della Costituzione, da strumento di rifinitura e di messa a punto di quote di decisioni e di funzioni aggiuntive ritagliati su misura delle specifiche esigenze di singole realtà regionali, in una sorta di nuova fase di regionalizzazione, la quarta dopo la prima, la seconda e la terza». Il professor Cassese dice: «Stiamo parlando, sostanzialmente, di una modifica della Costituzione». E ce ne sono altri.
  Io credo che, mentre in una fase iniziale si è discusso molto del problema dell'assegnazione delle risorse e si è cercato di vedere un'anomalia dal punto di vista dei profili costituzionali nell'aspirazione manifestata da alcune regioni a «trattenere nel territorio» una maggiore quota di risorse di quella attualmente di competenza, credo che questo problema sia sostanzialmente rientrato.
  Se ricorderete, era ancora molto presente nelle bozze di febbraio del 2018, quando si prevedeva che i fabbisogni standard, che sono fabbisogni di spesa, fossero collegati anche al gettito prodotto nel territorio delle regioni, che è una contraddizione in termini. I fabbisogni, infatti, sono fabbisogni di spesa: che un fabbisogno di spesa sia legato a una voce di entrata era una contraddizione. Ripeto, però, che questo problema mi sembra sostanzialmente risolto, anche se nelle disposizioni generali delle bozze d'intesa attuali qualche ambiguità dal punto di vista dell'assegnazione delle risorse rimane.
  Credo che invece il punto fondamentale sia questo che sottolineano i giuristi – non so se la collega conviene – che si sta in qualche modo travalicando quello che nello spirito della Costituzione era l'ambito di applicazione del 116-ter, costituendo come una terza tipologia di regioni: accanto alle regioni a statuto ordinario e alle regioni a statuto speciale, le regioni ad autonomia differenziata, le RAD, che andrebbero a costituire una categoria a sé. Non credo che si possa ritenere che nel 116-ter fosse questa la previsione.
  La seconda questione che sollevo nel contributo scritto riguarda i criteri per decidere se e quali accogliere delle richieste delle regioni. Si è parlato molto poco di questo. Le regioni dovrebbero motivare la richiesta di maggiore autonomia. Il Governo e, in seconda battuta, il Parlamento dovrebbero darsi dei criteri per giudicarle. Di questo si è parlato molto poco.
  Se si leggono le audizioni presso questa stessa Commissione bicamerale dei presidenti delle regioni, sembra di capire che la motivazione che viene avanzata è quella che alcune regioni vantano una maggiore efficienza, cioè sono convinte di poter produrre quel servizio a un costo minore. In alternativa, soprattutto da parte della regione Emilia-Romagna, l'idea è che si realizzerebbero quelle che noi economisti chiamiamo economie di scopo: ad accorpare i diversi servizi, a produrre congiuntamente diversi servizi, si realizzerebbe un'economia di costo.
  Ora, queste mi sembrano motivazioni assolutamente legittime, però andrebbero valutate più attentamente sul piano economico, perché ci sono anche delle controtendenze, come quella delle economie di scala. In alcuni settori, se dei servizi si riproducono a un livello più elevato, se aumenta la scala di produzione, i costi diminuiscono. Sono le economie di scala che si verificano anche nelle realtà aziendali.
  Ora, alcune delle materie oggetto della richiesta di devoluzione, per esempio le reti infrastrutturali di trasporto, le reti energetiche, certamente sono soggette a economie di scala. A fronte di alcuni risparmi di efficienza tecnologica e di economie di scopo, bisognerebbe valutare la presenza delle economie di scala, ma non solo.
  Per un economista, non ci si deve fermare all'efficienza intesa in senso tecnico. Come sapete, noi cerchiamo di guardare a un'efficienza in senso più generale, che chiamiamo efficienza allocativa, cioè che si tratti di un buon uso delle risorse a livello dell'intero sistema.
  Qui ci sono alcuni princìpi di carattere generale, come quello per cui si dovrebbe cercare di far coincidere il più possibile la platea dei cittadini che contribuiscono al Pag. 7finanziamento di un determinato servizio pubblico con la platea dei beneficiari. Se ci sono i cosiddetti effetti spillover, effetti di traboccamento, esternalità, per cui del servizio prodotto e finanziato in una certa circoscrizione territoriale beneficiano anche cittadini residenti in altre circoscrizioni territoriali, dal punto di vista dell'efficienza allocativa sarebbe opportuno che tale servizio venisse prodotto ed erogato a un livello superiore di governo, che internalizzerebbe questi effetti di spillover, questi effetti di traboccamento.
  Indubbiamente, in alcune delle materie del 117-ter, quelle di legislazione concorrente che sono oggetto della richiesta di maggiore autonomia, questi effetti di spillover ci sono. Un esempio chiaro è il settore dell'istruzione. Ormai, è provato dal punto di vista economico che l'istruzione ha un impatto estremamente importante sulla crescita complessiva di un sistema economico, e quindi gli investimenti in istruzione riguardano tutto il sistema.
  Abbiamo un'altra serie di effetti di traboccamento, per esempio l'emigrazione di laureati. Ci sono regioni che investono in laureati che poi trovano occupazione in un altro settore. L'istruzione è, a mio modo di vedere, un tipico settore in cui bisognerebbe andare con estrema prudenza nella devoluzione alle regioni, cioè nella devoluzione a un livello subcentrale di governo rispetto al Governo centrale. Argomentazioni simili possono essere portate per la sanità.
  Al di là di questo, oltre queste dimensioni che riguardano l'efficienza, sia essa tecnica o allocativa, ci sono, come è stato già richiamato, le questioni di equità nella nostra Costituzione: lo Stato si fa garante dell'uniformità dei servizi per i livelli essenziali delle prestazioni per alcune funzioni fondamentali, per i diritti civili e sociali.
  La preoccupazione è che la devoluzione in alcuni settori molto sensibili dal punto di vista della garanzia dei diritti civili e sociali (di nuovo, il caso dell'istruzione e della sanità), sia le differenze nella capacità fiscale dei diversi territori, cioè la capacità di finanziare i servizi, sia anche differenze storicamente determinate nel tempo di capacità di governo, di capacità di amministrazione, possano portare a un'erogazione differenziata di servizi essenziali come sanità e istruzione. Direi che sotto entrambi i profili, sia dell'efficienza sia dell'equità, bisognerebbe valutare con grande attenzione alcune delle richieste delle regioni.
  C'è, poi, tutto l'aspetto del finanziamento, che qui tratto in maniera un momento più diffusa perché più di mia competenza rispetto agli altri due punti. Vi rimando al testo scritto.
  Sostanzialmente, la scelta è stata quella per un meccanismo di compartecipazione al gettito dei tributi dell'IRPEF o di un altro tributo erariale prodotto nel territorio della regione o per un meccanismo praticamente equivalente dal punto di vista tecnico, che è la riserva di aliquota sulla base imponibile. Sulla concreta applicazione di questo meccanismo di compartecipazione c'è un dibattito in corso, ci sono stati alcuni importanti interventi, come quello del professor Zanardi dell'Ufficio parlamentare di bilancio, e vengono qui un momento discusse queste questioni, cioè come articolare nel concreto eventualmente questo meccanismo di compartecipazione.
  Aggiungo a questi tre gruppi di osservazioni («legittimità» politico-istituzionale del procedimento, valutazioni dal punto di vista di efficienza e di equità e, infine, forme di finanziamento) alcune considerazioni di carattere conclusivo che mi sembra che vadano nella direzione che ho sentito dalla collega.
  Probabilmente, cioè, la grande stagione chiamata federalismo fiscale, quella della legge n. 42 del 2009 e dei decreti delegati, in particolare di quello che riguarda le regioni, il n. 68 del 2011, si è vista fermarsi totalmente incompiuta per diversi motivi, ma soprattutto, come è stato ricordato, per l'insorgere della crisi economica e finanziaria, che a partire dal 2011 diventa in Europa una crisi dei debiti sovrani, e lì praticamente si smette di lavorare al cosiddetto cantiere del federalismo fiscale.
  C'è stata, poi, un'altra piccola stagione di ripresa di temi che riguardano le relazioni Pag. 8 finanziarie intergovernative, che è stato il tentativo di riforma dell'ente intermedio, la provincia, la città metropolitana, sostanzialmente legato al disegno di legge costituzionale approvato dal Parlamento, ma che poi non ha trovato la conferma referendaria.
  Con il venir meno di quello, anche quel processo è rimasto largamente incompiuto. Sul terreno dell'ente intermedio veramente le cose sarebbero da sistemare. È un altro pezzo del sistema complessivo di relazioni finanziarie intergovernative che rimane aperto oltre il cantiere iniziale della legge n. 42 del 2009.
  A mio modo di vedere, in questo quadro, date tutte queste incertezze che riguardano la procedura che si è avviata per le regioni; data la scarsa consapevolezza che continua a esserci presso l'opinione pubblica sulla rilevanza dal punto di vista proprio di riforma costituzionale del processo che si è messo in atto; dato quest'insieme di problemi aperti, capisco che la politica è un'altra cosa, ma la posizione di una valutazione più tecnica che politica è quella che sarebbe bene fermare un momento questo processo, prendersi una pausa di riflessione, cercare di rinquadrarlo in un disegno progettuale più complessivo che riguardi tutti i temi che ricordava la collega e che ho brevemente richiamato io aperti in questo cantiere delle relazioni finanziarie intergovernative, questo cantiere della finanza multilivello.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO RUSSO. Professoressa Petrillo, provo a sintetizzare.
  In buona sostanza, bene l'impianto complessivo, soprattutto un impianto complessivo che vada nella direzione di recuperare quanto si sarebbe dovuto fare attraverso il federalismo fiscale, ma prima di ogni azione LEP e fabbisogni standard.
  LEP e fabbisogni standard in sé garantirebbero quell'equilibrio finanziario e quell'equilibrio anche dal punto di vista proprio del coordinamento della finanza pubblica verso il quale pure tendiamo o che aspiriamo che possa esserci?

  VINCENZO PRESUTTO. Professor Longobardi, lei ha fatto riferimento a un eventuale ipotetico blocco o rivalutazione del processo di riforma del federalismo fiscale. Sarò proprio immediato e veloce: quale aspetto specificamente rivedrebbe, quello normativo di tipo costituzionale o quello normativo legislativo di tipo attuativo, cioè la legge n. 42 del 2009?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GIOVANNA PETRILLO, professoressa di diritto tributario presso l'Università degli Studi della Campania. Come diceva anche il professor Longobardi in precedenza, il regionalismo differenziato non integra un tertium genus. Abbiamo sempre le due tipologie di regioni di base che l'architettura del nostro sistema costituzionale ha definito. È un nuovo modello di governance che dovrà essere sperimentato sul territorio.
  Le intese sono state abbastanza generiche sulle modalità di finanziamento. Ho ascoltato anche l'audizione del professor Tria, il quale faceva riferimento all'impatto sulla finanza pubblica su cui poi si sarebbe dovuto correttamente ragionare dopo il DPCM, per cui l'intesa costituiva soltanto un piano di base sul quale poi si sarebbe ragionato concretamente.
  Quanto a definizione di LEP e costi standard, discorsi connessi e funzionali ad attuare la perequazione e tutto il meccanismo di base, definiti questi, si potrebbe andare concretamente verso una piena attuazione del meccanismo perequativo, che torno a dire è alla base del 119, e anche alla base di un'altra norma, l'articolo 14 della n. 42 del 2009, richiamato nel procedimento delle intese. Anche questa norma rimanda al 119 della Costituzione, che prevede anche un'altra tipologia di intervento dello Stato a favore di altri territori e altre aree geografiche. Tutto torna nella logica del percorso costituzionale. Pag. 9
  Il problema è come attuarlo, e definire LEP e fabbisogni standard è il primo passo sul quale poi ragionare. Il rischio di una norma a mio avviso molto importante, quella sul regionalismo differenziato, è che non possa essere ben attuata. Parafrasando Luigi Sturzo, non possiamo creare invalidi di diritto pubblico. Rischieremmo di creare un invalido di diritto pubblico, che non è una terza via tra le regioni. Si rischia di partire male.
  Come è stato ampiamente e puntualmente ricordato in precedenza dal professor Longobardi, bisogna essere ponderati nelle scelte affinché non si avvii un processo e poi lo si congeli. Congelando e scongelando, rischiamo di perdere la bontà del prodotto finale.

  ERNESTO LONGOBARDI, professore di scienza delle finanze presso l'Università di Bari. Sono molto numerose le questioni aperte, dal punto di vista sia ordinamentale sia applicativo di legislazione già vigente.
  Lo stesso ordinamento regionale delle regioni ordinarie delineato nel decreto legislativo n. 68 del 2011 non è stato attuato, ed era un bel disegno legislativo, che prevedeva questa distinzione tra le spese coperte dai LEP, che avevano un certo tipo di copertura finanziaria e un certo tipo di meccanismo perequativo, e le rimanenti funzioni soggette a una perequazione di carattere più debole.
  Quello era un buon disegno. Perché si è fermato? In parte, perché le spese non LEP sono state ampiamente tagliate dai provvedimenti che si sono succeduti dal 2010 in poi, ma anche prima, dal primo provvedimento Tremonti, dall'estate 2010 in poi, che hanno ridotto all'osso le risorse a disposizione delle regioni per le funzioni diverse dalla sanità.
  I problemi che posso enumerare sono tantissimi. La collega ha parlato di fabbisogni e di LEP. Dobbiamo prendere atto che sui fabbisogni a livello comunale si è fatto molto. Abbiamo imparato molto, c'è stato un buon lavoro fatto dalla SOSE, e prima della COPAFF, la commissione cui anch'io avevo l'onore di partecipare, mentre adesso c'è una commissione diversa, quella presieduta dal professor Arachi, che avete ascoltato. Lì si è fatto veramente un buon lavoro. Abbiamo un patrimonio di conoscenze tecniche e anche di valutazione.
  L'operazione di calcolo dei fabbisogni per le regioni dovrebbe comportare, dal punto di vista tecnico, meno problemi di quelli che ha comportato ai comuni. Pensate all'eterogeneità che c'è in 8.000 comuni italiani, che è molto più ampia come eterogeneità di quella che riscontriamo presso le quindici regioni a statuto ordinario. Dal punto di vista tecnico, econometrico, è più facile.
  Posso, poi, ricordarvi il problema della finanza comunale, al di là dei fabbisogni standard. Dalla decisione di sottrarre alla potestà tributaria comunale la casa di abitazione principale è rimasto aperto un grosso problema. Anche per il fondo perequativo comunale il processo va portato a compimento. C'è il problema dell'ente intermedio. Queste città metropolitane funzionano? Con le province che sono rimaste appese lì, un po’ snellite, che non hanno risorse, che cosa facciamo? Sono enormi i problemi che abbiamo di fronte nel campo generale dei livelli di governo del nostro Paese.
  Io temo che, se lasciamo tutto il resto così e andiamo avanti su questa strada delle autonomie differenziate, inseriamo un ulteriore elemento di squilibrio e di destabilizzazione. Sarebbe invece importante raccogliere le esigenze legittime di queste regioni che marciano più delle altre in un quadro unitario che ricomponga un qualche disegno progettuale sull'insieme delle relazioni finanziarie intergovernative. Questo è un po’ lo spirito del mio intervento.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi, dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.05.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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