XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Giovedì 6 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 2 

Audizione del professor Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), in materia di attività, metodologie ed elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard delle Regioni e degli enti locali.
Invernizzi Cristian , Presidente ... 2 
Arachi Giampaolo , presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS) ... 2 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 
Ruggiero Francesca Anna (M5S)  ... 10 
De Menech Roger (PD)  ... 10 
Lovecchio Giorgio (M5S)  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 
Arachi Giampaolo , presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS) ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 

ALLEGATO: documentazione consegnata dal Presidente della CTFS Giampaolo Arachi ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), in materia di attività, metodologie ed elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard delle Regioni e degli enti locali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera, nonché ai sensi dell'articolo 5 comma 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione del professor Giampaolo Arachi, presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), in materia di attività, metodologie ed elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard delle regioni e degli enti locali. Il presidente è accompagnato dall'Ispettore Salvatore Bilardo.
  L'occasione è particolarmente significativa in ragione del lavoro che la Commissione sta svolgendo in tema di attuazione dei principi di autonomia degli enti territoriali e locali e del relativo regime finanziario e sui temi delle iniziative in atto relative all'attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione.
  Innanzitutto, a nome della Commissione, rivolgo al presidente Arachi, recentemente nominato, le più sentite congratulazioni per il suo incarico nonché i migliori auguri da parte nostra per un proficuo lavoro visto che, ovviamente, la materia che è chiamato a trattare e a portare avanti è particolarmente interessante ai fini del lavoro della nostra Commissione.
  Ringrazio, quindi, sia il professor Arachi che il professor Bilardo per la loro presenza e do la parola al professor Arachi per lo svolgimento della sua relazione.

  GIAMPAOLO ARACHI, presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS). Signor presidente, la ringrazio sia per l'invito che per gli auguri di buon lavoro.
  La Commissione, in effetti, ha degli impegni molto gravosi e delle scadenze che, tra l'altro, richiamerò nella mia relazione. In questa relazione cercherò di sviluppare qualche riflessione sul ruolo che i fabbisogni standard potrebbero avere nell'ambito dell'autonomia differenziata, partendo dalle informazioni che sono contenute nelle bozze d'intesa pubblicate il 25 febbraio sul sito del Dipartimento degli affari regionali.
  Volevo premettere che le riflessioni che proporrò sono personali per due ordini di motivi. Primo motivo: come ha richiamato il presidente, la Commissione si è insediata nella nuova composizione da poche settimane, il 23 maggio, quindi non c'è stata la possibilità di condividere queste considerazioni con la Commissione.
  Secondo motivo: al momento, la Commissione fabbisogni standard non ha competenze specifiche. Formalmente, per i fabbisogni all'interno del federalismo simmetrico le competenze si limitano alla determinazione Pag. 3 dei fabbisogni standard nell'ambito di quanto previsto dalla legge n. 42 del 2009, dai decreti attuativi per il federalismo simmetrico.
  Procederò in questo modo: cercherò innanzitutto di evidenziare, in modo sintetico ovviamente, quelle che credo siano le principali criticità che si sono manifestate nell'applicazione dei fabbisogni standard nell'ambito del federalismo simmetrico.
  Ricordo che i fabbisogni standard hanno trovato applicazione effettiva solo nell'ambito della finanza comunale. All'interno della finanza comunale i fabbisogni standard sono una delle determinanti della ripartizione del Fondo di solidarietà comunale.
  I fabbisogni delle province e delle città metropolitane sono stati stimati, rivisti più volte e a più riprese, e sono stati approvati definitivamente da parte della presidenza del consiglio dei ministri nel febbraio 2018, ma non sono stati mai applicati.
  L'attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011, che prevede la determinazione dei fabbisogni standard per le regioni a Statuto ordinario nelle materie diverse dalla sanità, è stata rinviata al 2020 dalla legge di bilancio del 2018. Le uniche esperienze effettive sono quelle relative alla finanza comunale.
  Nella prima parte della mia relazione mi concentrerò sulle indicazioni che emergono dall'applicazione dei fabbisogni standard per gli enti locali. Passerò poi ad illustrare quello che potrebbe essere il percorso con cui si potrà giungere alla determinazione dei fabbisogni regionali nell'ambito del federalismo simmetrico, cioè nell'ambito del decreto legislativo n. 68 del 2009 e poi terminerò con alcune riflessioni sul ruolo che i fabbisogni potrebbero avere nella prospettiva del federalismo, dell'autonomia differenziata.
  Voglio ricordare che un'analisi approfondita dell'attuazione della legge n. 42 del 2009, quindi del federalismo fiscale e simmetrico, sarà contenuta nella relazione che la Commissione fabbisogni standard deve presentare a questa Commissione come previsto dalla legge n. 208 del 2015 e che la Commissione sta elaborando e spero riuscirà a presentare a breve.
  Parto proponendovi alcune riflessioni sulle criticità che sono si sono manifestate nell'attuazione dei fabbisogni standard nell'ambito del federalismo simmetrico. Queste criticità possono essere ricondotte, a mio avviso, principalmente a due ordini di motivi: motivi di carattere tecnico, difficoltà tecniche nel calcolo dei fabbisogni standard, e difficoltà che nascono da alcune incertezze che sono presenti nel quadro normativo.
  Per quanto riguarda le considerazioni di carattere tecnico, la legge n. 42 del 2009 assegna ai fabbisogni standard diverse finalità. I fabbisogni standard dovrebbero essere un riferimento per valutare l'adeguatezza delle risorse assegnate ad un particolare livello di Governo tenendo conto delle funzioni fondamentali che devono svolgere i comuni e dei livelli essenziali delle prestazioni per le regioni, devono dare un'indicazione di livello assoluto di adeguatezza delle risorse, devono dare un'indicazione di tipo relativo rispetto al quale valutare l'azione dei singoli enti e quindi eventualmente consentire il recupero di eventuali sacche di inefficienza, devono fornire un criterio per ripartire le risorse tra i clienti cercando di superare le irrazionalità che si sono cristallizzate nella spesa storica e infine dovrebbero svolgere anche il compito di introdurre degli incentivi per ridurre, a livello di singoli enti, le eventuali inefficienze nell'uso delle risorse.
  Tutte queste finalità potrebbero essere realizzate utilizzando una definizione di fabbisogno standard che vede il fabbisogno standard come il livello di spesa necessario per coprire la fornitura di un livello obiettivo di servizi in condizioni di efficienza. Il fabbisogno standard, quindi, andrebbe calcolato come prodotto tra un costo minimo efficiente per un livello di quantità obiettivo, che potrebbe essere un livello essenziale delle prestazioni.
  Il problema è che nella realtà non è possibile spesso identificare per molti servizi separatamente costi e quantità. Questo accade, ad esempio, per gran parte delle funzioni fondamentali dei comuni, in particolare Pag. 4 nell'ambito dell'amministrazione generale. Quindi, questa operazione di calcolo del costo efficiente e poi di quantificazione della spesa moltiplicandola per la quantità in molti casi è irrealizzabile per motivi tecnici, per assenza di informazioni e impossibilità di identificare le due variabili.
  In questi casi, che rappresentano, ad esempio, nel caso dei comuni, le funzioni generali (la polizia locale, la viabilità e il territorio) il concetto di fabbisogno standard può essere ridefinito ed è stato ridefinito come la spesa media sostenuta da enti che condividono le stesse caratteristiche strutturali. Si determina la stima di questa spesa media erogata da enti che hanno le stesse caratteristiche che si è ottenuta utilizzando i dati storici di spesa, quindi si sono presi i dati storici di spesa, sono state identificate le variabili che possono influenzare la domanda di servizi, quindi le caratteristiche demografiche, economiche e sociali di un certo ente, e le variabili che potrebbero avere un impatto sui costi, come le economie di scala, il costo del lavoro e degli immobili. In questo modo si è ottenuta per ogni ente una stima della spesa media che quell'ente dovrebbe sostenere, tenuto conto della demografia, della situazione socio-economica e delle variabili che determinano i costi.
  Questo approccio può essere considerato accettabile, sufficiente, quando si voglia utilizzare, come vedremo di fatto accade, il fabbisogno standard per ripartire le risorse tra i vari enti, perché consente di avere un parametro di riferimento adeguato per confrontare in termini relativi i vari enti. Non offre, invece, un riferimento adeguato per valutare il fabbisogno in termini assoluti, perché la stessa media standardizzata restituisce il valore medio per finanziare i servizi che i comuni hanno storicamente erogato e niente ci dice che questi servizi che hanno storicamente erogato coincidano con i servizi obiettivo o con i LEP (livelli essenziali delle prestazioni). Inoltre, ci si riferisce al costo mediamente sostenuto, quindi a un costo che potrebbe essere più elevato del costo efficiente, perché nei dati storici sono presenti anche i costi degli enti che erogano i servizi in modo non efficiente.
  Questo problema dell'efficienza dei costi non è stato affrontato. La determinazione di un livello efficiente della spesa è stata tentata soltanto nell'ambito della determinazione dei fabbisogni standard delle province e delle città metropolitane, per individuare possibili margini di riduzione della spesa, in particolare nel momento in cui si è proceduto ai tagli con riferimento al finanziamento delle province e delle città metropolitane nell'ambito della legge n. 190 del 2014.
  La SOSE (Soluzioni per il Sistema Economico) ha proposto una metodologia per stimare la spesa efficiente, anche se, come ho già segnalato, in realtà questi fabbisogni minimi non sono stati mai applicati.
  Questa metodologia si basava sull'idea che per determinare una spesa efficiente bisognasse calcolare la media della spesa, non su tutti gli enti, ma soltanto su un sottoinsieme di enti che vengono identificati, sulla base delle loro caratteristiche, come gli enti che forniscono i servizi in maniera efficiente.
  Questi sono i problemi tecnici. A questi problemi tecnici si sovrappongono dei problemi che riguardano, invece, il fatto che il quadro normativo è a volte incerto e a volte incompleto. Sono tre fondamentalmente le criticità in questo caso. La prima è l'assenza di una definizione dei LEP, la seconda è il non chiaro coordinamento tra i vincoli di finanza pubblica e la garanzia di un finanziamento delle funzioni fondamentali dei LEP, e il terzo punto sono alcune lacune nell'attuazione di ciò che era previsto originariamente nel disegno della legge n. 42 del 2009.
  Ovviamente l'assenza dei LEP ha privato la Commissione tecnica sui fabbisogni standard di un riferimento cruciale per la definizione dei fabbisogni, soprattutto in alcune funzioni, come l'istruzione pubblica, gli asili nido e il servizio di raccolta dei rifiuti, in cui tecnicamente è stato possibile distinguere costi da quantità. In questi settori è stato possibile stimare una funzione di costo, quindi è stato stimato un costo unitario per la fornitura del servizio, Pag. 5che potrebbe essere moltiplicato per un livello obiettivo di servizio e dare un fabbisogno standard che ha le caratteristiche cardinali, cioè indicare esattamente le risorse che sono necessarie per soddisfare quel livello di servizio.
  Ovviamente il problema è stato che, una volta stimato questo costo unitario, non c'era un riferimento chiaro su quali dovessero essere le quantità da utilizzare, moltiplicandole per il costo unitario, per ottenere la spesa complessiva. Questo ha creato grandi incertezze nell'operato della Commissione tecnica sui fabbisogni standard.
  Il secondo punto, invece, è sul vincolo di bilancio. Nella legge n. 42 e nei decreti attuativi, con riferimento soprattutto all'ambito della finanza degli enti locali, non c'è una scelta chiara tra due possibili modelli attraverso cui conciliare il finanziamento dei fabbisogni standard con i vincoli di finanza pubblica.
  Ci possono essere due modelli. Un modello dal basso verso l'alto, oppure bottom-up, prevedrebbe la quantificazione dei fabbisogni per finanziare i LEP, quindi richiederebbe ovviamente che sia risolto a monte il problema tecnico di individuare costi e quantità, ma una volta risolto, richiederebbe di quantificare i fabbisogni per i LEP e di sommarli, ottenendo il livello di spesa complessivo. Ovviamente niente assicura che questo livello di spesa complessivo sia poi coerente con il vincolo di bilancio.
  L'alternativa è un modello top-down, previsto esplicitamente per il finanziamento della sanità, in cui il livello complessivo delle risorse ha la priorità, viene predeterminato, mentre i livelli obiettivo delle prestazioni, i LEA (livelli essenziali di assistenza) nel caso della sanità, forniscono soltanto un riferimento per poi ripartire queste risorse date tra le varie regioni.
  Rispetto alla scelta tra i due modelli nell'ambito della legge n. 42 non c'è un riferimento chiaro. Di fatto negli ultimi anni è stato applicato il modello top-down, cioè nell'ambito della determinazione del Fondo di solidarietà comunale sono state predeterminate le risorse per la copertura dei fabbisogni. Queste risorse sono state predeterminate indicando il livello delle entrate standardizzate (fondamentalmente la capacità fiscale standard) e, una volta predeterminate queste risorse, i fabbisogni standard calcolati dalla Commissione vengono rapportati a questo livello complessivo delle risorse e, quindi, svolgono il ruolo di coefficienti di riparto.
  Tuttavia, a seguito del percorso di consolidamento della finanza pubblica, a cui gli enti locali hanno contribuito in modo rilevante negli ultimi anni, accade oggi che il totale delle risorse messe a disposizione degli enti locali (ovvero la capacità fiscale standardizzata) è pari a circa 26 miliardi di euro e mostra uno scostamento molto significativo rispetto ai livelli di spesa storica che sono implicitamente registrati dai fabbisogni standard.
  I fabbisogni standard calcolati, come abbiamo detto prima, come media delle erogazioni danno una quantificazione di 35 miliardi di euro. I 35 miliardi di euro non sono la stima corretta del fabbisogno standard, perché sono appunto la spesa storica che è stata utilizzata per calcolarli. Tuttavia, lo scarto tra questi due valori segnala che ci sarebbe la necessità di una verifica a valle della coerenza delle risorse assegnate con i LEP e le funzioni fondamentali che gli enti locali devono erogare. Nella prospettiva della determinazione dei LEP, che, come ho detto, non sono stati determinati, si tradurrebbe nella necessità di evidenziare se lo Stato intende garantire ancora i livelli storici delle prestazioni che sono registrati dai fabbisogni calcolati sulla media storica, valutando anche eventualmente possibili recuperi di efficienza.
  In assenza di questa verifica della coerenza tra risorse e fabbisogni, mi sembra che questa incertezza abbia acuito la dimensione puramente redistributiva dei fabbisogni standard. I fabbisogni standard alla fine svolgono una funzione meramente redistributiva delle risorse, in un contesto di forte contrazione delle risorse stesse, e questo ha reso molto difficile trovare soluzioni condivise nell'ambito dei vari organi che sono stati chiamati a individuare soluzioni riguardanti l'intera struttura della perequazione. Pag. 6
  Il risultato mi sembra una serie di complesse situazioni di compromesso. Ad esempio, nel caso in cui è stato possibile stimare la funzione di costo, si è deciso di valorizzare le quantità a valori storici, ad esempio nel caso dell'istruzione e degli asili nido. Un'altra soluzione di compromesso è stata la limitazione del target perequativo al 50 per cento, per cui la componente innovativa rispetto alla spesa storica è stata comunque limitata.
  Tutte queste soluzioni di compromesso, che nascono appunto da questa difficoltà nel trovare soluzioni condivise in questo contesto di forte riduzione delle risorse, mi sembra che alla fine offuschino in maniera significativa il disegno perequativo del fondo e limitino l'auspicato allontanamento della spesa storica.
  Pertanto, questa valutazione dell'adeguatezza delle risorse, che dovrebbe avvenire anche attraverso l'esplicitazione dei LEP, mi sembra un passaggio fondamentale.
  Infine, come avevo preannunciato, un ultimo elemento di criticità è rappresentato dal fatto che non c'è stata l'attuazione di alcuni tasselli previsti dalla legge n. 42 del 2009. Ne cito solo alcuni, ad esempio la perequazione infrastrutturale o la previsione di meccanismi di controllo e di sanzione per gli enti che non garantiscono i livelli fondamentali delle prestazioni.
  La perequazione infrastrutturale sarebbe importante, perché, se si desidera che il meccanismo perequativo conduca alla fine il sistema a una maggiore uniformità, facendo sì che gli enti gradualmente convergano verso un obiettivo di fornitura relativamente uniforme ed efficiente, bisognerebbe anche partire da un recupero dei punti di partenza, quello che era previsto appunto attraverso la perequazione infrastrutturale, che non è stata realizzata.
  Per quanto riguarda i meccanismi di verifica, noi abbiamo un sistema in cui i trasferimenti attivati dal Fondo di solidarietà comunale, che sono legati ai fabbisogni, sono senza vincolo di destinazione. La logica è che questo dovrebbe incentivare l'efficienza, perché gli enti più efficienti ricevono fondi senza vincoli di destinazione, quindi, se sono virtuosi, possono utilizzare i risparmi di imposta per altre finalità.
  Questo genera un meccanismo virtuoso nel momento in cui è prevista poi una verifica a valle che le funzioni fondamentali e i LEP siano svolti in maniera adeguata. Se manca questa verifica, ciò potrebbe generare, invece, un effetto perverso, nel senso di assicurare risorse anche agli enti che non erogano i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali. La mancanza di questi tasselli genera storture all'interno del disegno complessivo del sistema.
  Queste sono brevemente le criticità, a mio avviso, principali che ho voluto segnalare. Ovviamente, come avevo preannunciato, le considerazioni di dettaglio saranno contenute, invece, nella relazione che la Commissione predisporrà per questa Commissione.
  Passo ora rapidamente a descrivere quello che può essere il percorso per la definizione dei fabbisogni standard per le regioni a statuto ordinario, nell'ambito del decreto legislativo n. 68 del 2011, il quale richiede la determinazione dei fabbisogni standard nelle materie diverse dalla sanità.
  Come ho già detto, il federalismo regionale è stato rinviato, mancano numerosi tasselli del disegno e decreti attuativi che hanno a che vedere, non solo con i fabbisogni standard, ma anche con le norme relative al principio di territorialità nell'attribuzione del gettito IVA e alla fiscalizzazione dei trasferimenti. Ci sono, quindi, diversi tasselli da disegnare.
  La Commissione tecnica per i fabbisogni standard deve provvedere alla determinazione dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali standard per le regioni a statuto ordinario, avvalendosi delle ricognizioni effettuate da SOSE, in collaborazione con l'Istat, e del CINSEDO (Centro interregionale di studi e documentazione).
  Il percorso che la Commissione dovrà seguire si articola in quattro passaggi fondamentali: individuare la spesa corrente di riferimento, che andrà standardizzata, individuare il livello dei servizi offerti, se possibile, calcolare in questo caso i costi Pag. 7unitari standard e da questo derivare la spesa standard di riferimento.
  Il primo passaggio si avvale della collaborazione di SOSE.
  SOSE, in via preliminare, nel corso del 2018 ha proceduto all'individuazione della spesa storica corrente di riferimento su cui calcolare i fabbisogni standard e ha anche effettuato una ricognizione del livello dei servizi offerti in una serie di materie: affari generali; istruzione, orientamento e formazione professionale; trasporto pubblico locale; settore sociale, comprensivo d'infanzia e asili nido; natura, opere e viabilità; sostegno alle attività economiche; altre funzioni residuali degli enti regionali.
  Nella memoria che ho predisposto è riportata una tabella in cui sono evidenziati gli ammontari che vengono da questa definizione. Si tratta di una spesa che complessivamente ammonta a circa 11,66 miliardi, di cui 2,67 sono funzioni considerate residuali. Per quanto concerne le funzioni, all'interno di questi 11,66 miliardi la quota principale delle risorse riguarda gli affari generali con 4,5 miliardi e l'istruzione per circa 1,6 miliardi. Seguono poi il trasporto pubblico locale con 983 milioni; il settore sociale con 674 milioni; natura, opere e viabilità con 734 milioni e il sostegno alle attività economiche con 493 milioni.
  Questa è la base su cui la Commissione dovrà lavorare. SOSE ha anche proposto una prima quantificazione del livello di attività svolta dalle amministrazioni regionali, indicando, per ogni settore dove sono risultate disponibili misure di attività, un indicatore del livello di attività svolta. Quando le attività implicano lo svolgimento e il risultato in diversi output, sono state utilizzate delle tecniche di aggregazione per cercare di ottenere un indice sintetico del livello di attività.
  Non mi dilungo su queste metodologie, le ho messe a disposizione nella memoria, dove c'è anche una tabella che descrive il livello di servizi per le varie regioni e per varie funzioni, stimato da SOSE utilizzando questi dati.
  La Commissione dovrà quindi procedere, partendo da questa base informativa, all'approvazione delle metodologie per l'individuazione dei costi standard unitari, ove possibile, e della spesa corrente di riferimento.
  Per quanto riguarda la metodologia che si potrà utilizzare, il punto di partenza sarà verificare se si potranno applicare alle regioni le tecniche che sono state già applicate nel caso dei comuni, quindi tentare di stimare il costo standard di ogni regione, oppure, nel caso in cui non fosse possibile individuare le quantità, stimare una funzione di spesa media.
  Bisognerà verificare se questa strada sia fattibile, tenendo conto che, mentre nell'analisi dei comuni si ha come riferimento un universo con un grande numero di osservazioni, perché parliamo di circa 8.000 comuni, nel caso delle regioni i dati a disposizione potrebbero essere molto inferiori, se per ciò che concerne la distribuzione dei servizi non c'è una variabilità all'interno della regione.
  Qualora questa strada, cioè il tentativo di riapplicare analisi simili a quelle dei comuni, si rivelasse non praticabile, si potrebbe considerare in alternativa un approccio analogo a quello che viene prescritto dalla legge n. 68 per la determinazione dei fabbisogni sanitari, cioè si potrebbe individuare per ogni settore una o più regioni benchmark che risultano essere efficienti nella fornitura di quei servizi e utilizzare il costo medio storico delle regioni benchmark per quantificare la spesa.
  Come già ricordato in precedenza, questo approccio richiede ancora una volta che siano definiti i LEP, per poterli poi valorizzare al costo unitario. Se questi LEP non saranno individuati, si riproporrà il problema che si è manifestato nei comuni e, quindi, la necessità eventualmente di passare dalle funzioni di costo a delle funzioni di spesa oppure di stimare dei livelli di servizi medi da attribuire alle regioni.
  Passo ora all'ultima parte della mia relazione. Cerco adesso di delineare qualche riflessione sul ruolo che potrebbero avere i fabbisogni standard nell'ambito dell'autonomia differenziata. Parto dalle informazioni che sono disponibili sulla base delle intese che sono state pubblicate. Pag. 8
  Le intese prevedono innanzitutto che nel momento dell'assegnazione delle funzioni siano attribuite alle regioni risorse pari alla spesa precedentemente sostenuta dallo Stato per quelle stesse funzioni.
  Inoltre, entro un anno dall'approvazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, le risorse dovranno essere rideterminate per ogni materia sulla base dei fabbisogni standard, fatti salvi i livelli essenziali delle prestazioni. Qualora i fabbisogni non fossero adottati entro tre anni dall'entrata in vigore dei decreti, le risorse dovranno essere eventualmente corrette, per garantire che siano almeno pari al valore medio nazionale pro capite della spesa statale. Questo è ciò che è contenuto attualmente nelle bozze d'intesa.
  Al termine della fase di transizione, ogni due anni la Commissione paritetica Stato-regione verifica la congruità delle fonti di finanziamento (le compartecipazioni e le riserve di aliquota) prese a riferimento per la copertura dei fabbisogni standard, sia in termini di gettito che di correlazione con le funzioni svolte.
  Da questa lettura delle intese emerge che i fabbisogni standard assumono di nuovo due ruoli, che sono i ruoli che, come abbiamo visto, vengono richiamati anche nell'ambito del federalismo simmetrico. Da un lato, viene richiamato l'aspetto assoluto del fabbisogno standard: in qualche modo il fabbisogno standard dovrebbe essere il riferimento per stabilire qual è l'ammontare assoluto delle risorse da attribuire alle regioni. Dall'altro lato, assumono anche una valenza perequativa, perché poi superata la transizione, nella fase a regime, il fabbisogno standard diventa il riferimento per determinare come ripartire l'impatto finanziario di variazioni dei fabbisogni di spesa, che potranno derivare dall'evoluzione delle variabili demografiche ed economiche, fra le regioni che hanno acquisito l'autonomia e il resto della comunità nazionale.
  Riguardo a questa doppia valenza si possono fare, a mio avviso, queste riflessioni. La prima riflessione è che, quando si guarda al fabbisogno standard come al parametro che dovrebbe consentire di quantificare correttamente le risorse destinate alle funzioni che verranno assegnate e trasferite alle regioni, l'esercizio che occorre fare è concettualmente diverso da quello che si è effettuato nell'ambito del federalismo simmetrico.
  Nel federalismo simmetrico il riferimento al fabbisogno standard doveva servire per superare una distribuzione basata sulla spesa storica, di cui in qualche modo si riconosceva l'irrazionalità, perché era il portato di interventi non coordinati che si erano cristallizzati nel tempo. Dunque, si partiva da una situazione in cui la spesa storica si riteneva irrazionale e, attraverso il calcolo dei fabbisogni standard, si voleva recuperare una certa razionalità.
  Nel caso dell'autonomia differenziata, al contrario, si parte da una distribuzione della spesa statale che, invece, è frutto di una pianificazione, quindi risponde già a dei criteri direttivi. Si pensi, ad esempio, alla determinazione territoriale degli organici nel campo dell'istruzione. Pertanto, il passaggio ai fabbisogni standard in questo contesto dovrebbe costituire il modo in cui si rivedono questi criteri di allocazione che ci sono oppure si superano eventuali differenze tra territori nell'efficienza dell'attuale fornitura statale. Tuttavia, si tratta appunto di un esercizio differente da quello che è stato compiuto nel caso dei comuni.
  In questa prospettiva, non appare motivata la previsione del passaggio alla spesa pro capite nel momento in cui ci fossero dei ritardi nella determinazione dei fabbisogni standard, perché la spesa pro capite, per definizione, appiattisce tutte le differenze strutturali che possono giustificare, invece, differenti livelli di fornitura di prestazioni o differenti livelli di costi sul piano territoriale.
  Di conseguenza, non ci sono motivi per ritenere che il passaggio dalla spesa storica alla media pro capite consenta di avvicinarsi a un criterio più razionale rispetto ai criteri che già vengono utilizzati per ripartire la spesa a livello territoriale dallo Stato.
  Un altro aspetto che merita attenzione è che, quando si guarda all'aspetto perequativo dei fabbisogni standard, i criteri che possono essere utilizzati per identificarlo sono diversi da quelli che si possono usare Pag. 9per individuare un fabbisogno standard in termini assoluti. Analogamente a quanto è stato illustrato prima per i comuni o che avviene per i comuni, come ho cercato di spiegare, e che è previsto esplicitamente per la sanità, i fabbisogni standard possono essere indicatori relativi e non assoluti per il riparto delle risorse. I fabbisogni standard potrebbero essere tradotti in indicatori relativi nel momento in cui le risorse per il finanziamento siano predeterminate.
  Ora, il riferimento che c'è nelle intese alla revisione biennale delle compartecipazioni e della riserva di aliquota, che devono essere congrue ai fabbisogni, non chiarisce se questa congruità debba essere valutata in termini assoluti o relativi. Per chiarirlo, bisognerebbe chiarire in modo più esplicito il modello a cui si pensa per il finanziamento delle regioni con autonomia differenziata.
  In questo chiarimento sarebbe particolarmente opportuno chiarire se nell'ambito dei princìpi generali fissati dall'articolo 119 della Costituzione le regole generali che si applicheranno al finanziamento dell'autonomia differenziata debbano essere coordinate con il quadro previsto a legislazione vigente per il federalismo simmetrico all'interno delle regioni a statuto ordinario o seguire un percorso differente.
  In questa riflessione sul quadro complessivo che va esplicitato del finanziamento delle regioni ad autonomia differenziata, per poi comprendere bene il concetto di fabbisogno che occorre utilizzare, se assoluto o relativo, merita attenzione a mio avviso l'elemento innovativo che esiste nel caso dell'autonomia differenziata rispetto al federalismo simmetrico, che è il fattore dell'eterogeneità.
  Nel caso delle regioni ad autonomia differenziata ci sarà una forte eterogeneità sia all'interno della finanza delle singole regioni, sia una forte eterogeneità tra regioni.
  Non sono ancora disponibili quantificazioni ufficiali della spesa statale per le competenze che verranno trasferite, ma è chiaro che l'impatto finanziario delle varie materie sarà molto differenziato. Allora, sarebbe bene chiarire qual è questo impatto finanziario e decidere se è opportuno prevedere lo stesso schema di finanziamento per tutte le materie, indipendentemente dall'impatto che hanno, o magari prevedere una differenziazione nelle modalità di finanziamento, e quindi, a cascata, nella determinazione dei fabbisogni standard per materie che possono determinare un impatto significativo sui bilanci regionali, ad esempio nel caso in cui l'intera istruzione venga richiesta come competenza dell'autonomia.
  Occorre decidere se pensare a regole specifiche, come accade appunto per la sanità, se c'è una funzione particolarmente importante come ad esempio l'istruzione, e allora magari immaginare una modalità differenziata di finanziamento, come accade nella sanità, o se trattare tutte le materie nello stesso modo.
  L'altro punto su cui incide l'eterogeneità è l'eterogeneità tra regioni. Qui occorre riflettere sull'opportunità effettivamente di determinare i fabbisogni per ogni singola materia oggetto delle intese, come è previsto ora. Mi sembra che questo potrebbe creare notevoli problemi di attuazione, in cui i LEP e i fabbisogni vadano scomposti e parcellizzati, perché potenzialmente le regioni possono all'interno di una stessa materia richiedere un'autonomia più o meno ampia. Potremmo trovarci nella situazione in cui questi fabbisogni che occorre determinare poi debbano essere scomposti in sotto-fabbisogni, in sotto-LEP per essere adeguati a ogni richiesta.
  Mi sembra che occorra preliminarmente una riflessione più attenta sul quadro del finanziamento che si intende realizzare per le autonomie differenziate. Questo è essenziale, poi, per scegliere la modalità con cui definire i fabbisogni, tenendo conto appunto che nel caso dell'autonomia differenziata c'è questo elemento di eterogeneità che potrebbe creare problemi: da un lato, probabilmente richiede soluzioni specifiche; dall'altro, richiede un po’ di attenzione, perché potrebbe generare un sistema difficilmente attuabile.
  Ho concluso, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille, presidente. Pag. 10
  In attesa che qualcuno si prenoti per rivolgerle delle domande, gliene faccio una io.
  So che in questa fase non posso chiederle una stima, che non potrebbe essere che di massima, ma una volta individuati i LEP, ovviamente per via politica, di quanto tempo ritiene che ci sarebbe bisogno per addivenire a una definizione dei fabbisogni standard? Può indicare alla Commissione quella che ritiene essere una stima razionalmente possibile dai tempi?
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCA ANNA RUGGIERO. Grazie, professore, per averci aggiornato.
  Si è partiti analizzando il contesto nel quale operano i comuni italiani, giungendo quindi all'identificazione dei diversi fabbisogni standard a livello comunale, quindi le funzioni fondamentali dei comuni. Finora, però, l'applicazione del federalismo municipale attraverso i fabbisogni standard sta producendo degli effetti diversi, completamente differenti dalle attese iniziali che ci si era poste. All'inizio della riforma si pensava che i comuni del sud spendessero di più, e invece poi dai dati del SOSE è venuto fuori che i comuni del sud spendono meno dei comuni di regioni del centro-nord, ma al contempo offrono anche meno servizi.
  Anche dall'audizione del professor Atella del 21 marzo scorso sono emerse alcune criticità e la necessità di apportare dei correttivi per calibrare alcune variabili che intendono ancora inseguire la spesa storica, purtroppo. È necessario, quindi, standardizzare alcune variabili endogene, la qualità dei servizi offerti, prevedendo ad esempio servizi a domanda individuale, cioè quelli non ritenuti obbligatori, che sono facoltativi, ma che oggigiorno sono fondamentali per il cittadino, garantendo così un livello uniforme su tutto il territorio nazionale.
  Nello specifico, penso alla mensa, al trasporto scolastico, agli asili nido, a tutti quei servizi che aiutano non solo la donna che lavora, ma anche la gestione della famiglia e la crescita culturale. Al servizio asilo nido, per esempio, non è stato assegnato un fabbisogno minimo per tutti i comuni, ma solo agli enti che lo hanno erogato, e appunto non è ancora un servizio catalogato tra i servizi a domanda obbligatoria, ma appunto facoltativa.
  Lo stesso discorso vale per il trasporto scolastico, per i centri estivi. Anche per questi servizi c'è il fabbisogno minimo per tutti i comuni solo per coloro che l'hanno già erogato e non per quelli che devono ancora erogarlo.
  SOSE ha proposto dei correttivi in questo senso per abbandonare definitivamente la spesa storica, includendo anche questi servizi.
  Quello che le chiedo è se la Commissione è in linea con le proposte del SOSE al fine di procedere alla revisione dei coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali dei comuni, includendo anche questi servizi, e quindi quando la Commissione inizierà ad avere dei dati sui fabbisogni standard delle regioni, includendo anche le funzioni fondamentali delle regioni. Dal 2020, quando arriveremo ad avere un quadro veramente molto più chiaro e dati molto più completi? Grazie.

  ROGER DE MENECH. Grazie per l'audizione. Soprattutto, benvenuto, in notevole ritardo. Non possiamo che sottolineare il fatto che ci è voluto un anno per nominare il nuovo presidente. Non è certamente colpa sua, ovviamente, ma dobbiamo sottolinearlo. Mi auguro che, nonostante questo ritardo, la sua capacità e quella della Commissione di entrare subito nella partita così determinante della gestione dell'ordinario, e soprattutto per quello che riguarda l'autonomia differenziata, e quindi le tre regioni, sia assolutamente veloce ed efficace.
  Vengo ad alcune domande sull'esistente, cioè la distribuzione rispetto ai comuni e al fondo di solidarietà.
  Secondo il mio personale parere, in questi anni abbiamo comunque svolto una funzione estremamente importante nel raccogliere una mole di dati enorme che non ha eguali in tanti Paesi d'Europa. Oggi, abbiamo la necessità di tarare il sistema al meglio. Io le pongo tre quesiti. Pag. 11
  Uno riguarda la revisione del catasto, altrimenti la capacità fiscale in entrata dei comuni oggi non ha un'equità sull'intero panorama nazionale. Di questo si parla da parecchie Legislature, non una.
  In secondo luogo, come potremmo riuscire a dare una miglior conformazione della distribuzione delle risorse, soprattutto nei comuni turistici, che quindi hanno un numero di residenti ordinari relativamente basso ma una pressione turistica – e quindi una garanzia del servizio turistico – molto elevata in alcuni periodi dell'anno? Questi due elementi oggi portano una sperequazione rispetto alla distribuzione delle risorse in questi comuni.
  Infine, come riusciamo – lo chiedo per la parte territoriale che rappresento più da vicino – sempre di più a venire incontro da un punto di vista della distribuzione delle risorse al cosiddetto differenziale montagna delle aree interne del Paese? Anche questo è un problema, che pongo insieme alla grande tematica dello spopolamento di un pezzo del nostro Paese e a quella della scarsa capacità di alcuni comuni, anche qui, medio-piccoli dei territori di montagna di garantire servizi in una condizione in cui le risorse vengono a mancare. E così concludo le tre domande sull'attuale distribuzione del fondo.
  È stata interessante la sua valutazione sull'autonomia differenziata rispetto a quello che abbiamo letto nelle intese. Mi pare di aver capito che lei non è molto d'accordo sull'iter procedurale spesa storica/costruzione dei fabbisogni standard per le funzioni regionali. Giustamente, ha detto che sarebbe opportuno non finire, nel caso in cui non si costruissero i fabbisogni standard, dentro il valore medio pro capite rispetto alla distribuzione delle risorse. Anche secondo me sarebbe un fallimento non riuscire nell'arco di uno, due o tre anni, a costruire dei fabbisogni standard.
  Su questo, però, la questione è che, per costruire i fabbisogni standard – è da un po’ di audizioni che lo chiediamo – bisogna che ci siano anche degli atti formali, un incarico formale a SOSE per la costruzione dei fabbisogni standard su base regionale. Soprattutto, le chiedo di stimolare il Governo perché si passi da una fase di mera propaganda a una operativa, costruendo il dato, altrimenti continuiamo a rincorrere gli articoli di stampa.
  La questione politica che le pongo per concludere è quindi la seguente: nel momento del suo incarico le è stato dato come input politico principale quello di occuparsi esattamente di questa questione, della costruzione dei fabbisogni standard? In questa fase, con la sua nomina, il Governo è determinato a costruire il castello tecnico, al di là di quello politico, cioè il presupposto tecnico giuridico per vedere finalmente la luce delle intese e riuscire a concretizzarle con degli atti giuridici, quindi con una proposta di legge di concretezza?

  GIORGIO LOVECCHIO. Presidente, lei è la massima autorità sui fabbisogni standard, tema sul quale è utile subito uscire da un equivoco.
  Il suo collega Vincenzo Atella, amministratore della SOSE, parlando di fabbisogni standard e di LEP nella Commissione bicamerale affari regionali il 30 maggio scorso, ha sostenuto che, per definire il livello dei LEP, è sicuramente necessario conoscere prima i costi e i fabbisogni standard. In pratica, si sostiene che si può parlare di fabbisogni standard anche in assenza dei LEP, un'affermazione errata in base alla lettura della Costituzione e della legge n. 42 del 2009 e degli stessi decreti attuativi.
  Il fatto che non si sia fatto nulla sui LEP, come ebbe a dire il precedente presidente della Commissione bicamerale sul federalismo, Giancarlo Giorgetti, il 19 maggio 2016, sta a dimostrare che manca uno dei punti cardine su cui costruire tutto il sistema.
  A questo punto, e mi auguro di sentire parole chiare da parte sua, i fabbisogni standard saranno davvero tali solo quando verranno correlati ai livelli essenziali della prestazione. Vale a dire, per il federalismo comunale come per il regionalismo differenziato, che in assenza dei LEP – lo abbiamo imparato in questi anni – ci può essere una spesa zero, come accade per gli asili nido o per il trasporto pubblico locale, ma questo non vuol dire che il fabbisogno di una determinata comunità sia zero e che Pag. 12i diritti siano zero. E su questo punto ho una domanda precisa.
  Il 13 maggio, il sito OpenCivitas, gestito dalla SOSE, ma che diffonde i dati costruiti dalla sua commissione, per nascondere quegli zeri inguardabili che c'erano sugli asili nido, ha accorpato le voci asili nido e spesa sociale. La scelta è stata difesa con la necessità di rimediare a un errore nella comunicazione dei dati commesso dal comune di Napoli.
  Ammettiamo che sia così, ma gli errori si correggono o, nell'attesa, si segnalano con una nota, e non si nascondono i dati, che sono stati proprio oscurati.
  Peraltro, accorpando spesa sociale e asili nido, si è commesso un errore concettuale grave: la legge n. 107 del 2015 sulla «Buona scuola» ha fatto uscire i nidi dai servizi sociali a domande individuali per inserirli a pieno titolo nel sistema integrato di istruzione 0-6, cioè da zero a sei anni. Mi aspetto quindi che dica due parole sui fabbisogni standard e faccia ripristinare i dati integrali su OpenCivitas. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Arachi per la replica.

  GIAMPAOLO ARACHI, presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS). Provo a individuare alcuni punti in comune.
  Mi sembra che negli interventi degli onorevoli Ruggiero e Lovecchio ci sia una richiesta relativa alla corretta determinazione dei fabbisogni standard nel caso di servizi a domanda individuale per cui è stato stimato il costo.
  Come ho cercato di evidenziare nella relazione, sarebbe necessario in questo caso un riferimento esplicito ai LEP per avere un riferimento chiaro su quali debbano essere le quantità da determinare.
  Ora, è chiaro che un'analisi statistica su ciò che è successo in passato può creare un riferimento. Implicitamente, quando non si stima la funzione di costo ma quella di spesa, viene identificato come obiettivo il livello medio osservato in passato. Ovviamente, però, non è detto, come ho cercato di dire, che questo livello medio coincida, che sia quello che effettivamente dobbiamo prendere come riferimento. In una procedura corretta richiederebbe il riferimento, la definizione dei LEP, che quindi è necessaria.
  In assenza di questa definizione, ovviamente ci possono essere valutazioni diverse per cercare di ottenere comunque un indicatore di fabbisogno coerente con quanto previsto dalla normativa.
  Su questo, già a partire da questo pomeriggio, nella sua seconda riunione, la commissione sta affrontando il caso dei servizi a domanda individuale e verificherà, sulla base delle proposte che porterà SOSE, se sia possibile trovare una soluzione più coerente e più adeguata alla scelta fatta in passato di prendere come riferimento i valori storici. Su questo la commissione sta già lavorando, ricevendo gli input di SOSE. Ovviamente, speriamo che i tempi siano molto brevi e che si riesca a giungere alla condivisione di una soluzione su questo punto.
  Termino riferendomi a OpenCivitas.
  Nel caso di OpenCivitas, l'accorpamento è avvenuto in realtà con la finalità di evitare la possibilità di una lettura errata degli indicatori proposti. OpenCivitas propone una stima del fabbisogno dei comuni, la confronta con la spesa storica, e quindi dà implicitamente un riferimento dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività di quel comune.
  Per alcuni comuni come Napoli, ma mi risulta ce ne siano degli altri, c'era un problema informativo perché non hanno comunicato correttamente la divisione tra la spesa del sociale e quella degli asili nido. Questi indicatori, nel momento in cui il dato di partenza non era corretto, potevano determinare una lettura errata. Questo è stato il motivo sostanziale per cui erano stati accorpati.
  Le informazioni sugli zero sono già disponibili. La voce non è stata comunque divisa, l'informazione c'è, quindi si ritrova l'informazione sul fatto che in alcuni comuni è stato assegnato un fabbisogno zero per gli asili perché il servizio non c'era. Non è stata divisa, a quanto mi risulta, per problemi relativi alla pagina web, ma l'informazione Pag. 13 è stata resa subito disponibile, non è stato nascosto nulla.
  Rimanendo nell'ambito della finanza comunale, mi sono limitato agli aspetti problematici relativi ai fabbisogni standard. Il sistema soffre di una serie di problemi che hanno a che vedere con il modo con cui alla fine il fondo di solidarietà comunale viene ripartito, alcuni hanno a che vedere con la stima delle capacità fiscali, e quindi la possibile necessità di una revisione del catasto che veniva richiamata. Tutte queste criticità verranno di nuovo segnalate nella relazione che prepareremo.
  A me sembra che qui il punto fondamentale sia che manca un tavolo in cui le questioni vengano affrontate in maniera unitaria e sistematica. La commissione tecnica sui fabbisogni standard approva la proposta dei fabbisogni, la capacità fiscale viene elaborata dal MEF e le scelte relative al fondo di solidarietà comunale vengono prese su un tavolo cui appunto la commissione tecnica sui fabbisogni standard formalmente non è presente. Forse, ciò di cui c'è bisogno è un tavolo unico in cui tutti questi aspetti siano valutati congiuntamente.
  C'è un problema nel tentativo di standardizzare la spesa o attraverso la funzione di spesa o attraverso la funzione di costo, ovviamente. C'è sempre il problema di riuscire a tenere in conto in maniera adeguata le specificità di diverse tipologie di comuni, come quelli turistici o quelli di alcune aree interne. Quello che la commissione può fare è cercare di affinare le tecniche, e proveremo a farlo, ma c'è un'altra questione legata, anche qui, al coordinamento con altri interventi – penso alle aree interne – che potrebbero andare al di là della perequazione prevista dal fondo di solidarietà comunale, consentendo di dare risposte a problematiche specifiche di quella tipologia di comuni.
  Torno adesso alla questione dell'autonomia differenziata.
  Relativamente alla questione della media pro capite, penso che il riferimento alla media pro capite – ho cercato di dirlo in maniera chiara – non sia giustificato, nel senso che la spesa statale offre plausibilmente un riferimento migliore.
  Quanto tempo ci vorrà per passare ai fabbisogni standard?
  I tempi per la definizione dei fabbisogni standard, come ho cercato di dire, dipenderanno anche dalla chiarezza del quadro complessivo. Se il quadro di finanziamento sarà sufficientemente chiaro, credo che la tecnica già in parte sperimentata nel caso dei comuni consentirà di giungere alla definizione dei fabbisogni in tempi relativamente brevi.
  Ci sono state anche in passato altre esperienze. Già nel 2008, se non vado errato, ci furono degli studi da parte della commissione sulla finanza pubblica, che aveva elaborato delle valutazioni sulla distribuzione degli organici nel campo dell'istruzione, quindi aveva già fatto delle analisi che potrebbero essere in qualche modo propedeutiche alla definizione del fabbisogno standard.
  Se il quadro è chiaro, credo che i tempi possano essere relativamente brevi. Non so però quantificarli. Non sono in grado di dire se sei mesi o un anno, non lo so.
  Non ho ricevuto un incarico formale o un'indicazione formale per quanto riguarda i fabbisogni dell'autonomia differenziata. Ciò non credo implichi che il Governo non abbia tra le sue priorità la definizione dei fabbisogni. Semplicemente, questo input formale, questa indicazione formale ancora non è arrivata.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente, per il suo intervento di replica. Le rinnovo gli auguri di un buon e proficuo lavoro. Ringrazio anche il dottor Bilardo per la sua presenza.
  Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.

Pag. 14

ALLEGATO

Pag. 15

Pag. 16

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27