XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Giovedì 18 aprile 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 8 
Presutto Vincenzo  ... 8 
Osnato Marco (FDI)  ... 9 
De Menech Roger (PD)  ... 10 
Russo Paolo (FI)  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 11 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 14 
Tria Giovanni , Ministro dell'economia e delle finanze ... 14 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione prodotta dal Ministro dell'Economia e delle Finanze ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera, nonché ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, del Ministro dell'economia e delle finanze, professore Giovanni Tria, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Questa è la decima audizione che facciamo in questa Commissione. Ringrazio sinceramente il ministro Tria per aver trovato il tempo, in questo momento sicuramente impegnativo, per venire a trovarci e svolgere l'audizione. Nel ringraziarla nuovamente per la disponibilità dimostrata, le cedo immediatamente la parola.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente Invernizzi, onorevoli senatori e onorevoli deputati. Sono lieto di prendere parte a questa seduta e di affrontare con voi il tema del federalismo fiscale. È un tema complesso e di grande rilevanza per il futuro dell'assetto istituzionale del Paese, come voi tutti sapete.
  Vista la complessità della materia, suddividerò il mio intervento in blocchi omogenei, che corrispondono sostanzialmente alle domande che mi avete anticipato: la valutazione sullo stato di attuazione dei princìpi dell'autonomia degli enti territoriali e dei rapporti tra questi e lo Stato, la distribuzione delle risorse in base ai fabbisogni e alle capacità fiscali standard dei territori, l'equilibrio dei bilanci e l'armonizzazione dei bilanci pubblici degli enti territoriali, la finanza delle regioni e degli enti locali, le modalità di ripartizione tra i comuni del Fondo di solidarietà comunale e delle risorse perequative, gli interventi speciali e infine gli effetti finanziari dell'eventuale definizione di intese tra Stato e regioni, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  L'articolo 119 della Costituzione opera una chiara scelta in direzione dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali, nella convinzione che uno stretto legame tra decisioni di spesa e di prelievo contribuisca a migliorare l'utilizzo delle risorse e a rendere la spesa più rispondente alle preferenze dei cittadini.
  I princìpi contenuti nell'articolo 119 trovano specificazione nella legge delega n. 42 del 2009 per l'attuazione del federalismo fiscale e nei conseguenti decreti legislativi delegati. La legge n. 42 del 2009 interviene su tre ambiti fondamentali: l'attribuzione Pag. 4di una maggiore autonomia agli enti decentrati, il superamento della spesa storica per tutti i livelli di governo e la definizione di meccanismi perequativi per regolare l'assegnazione di risorse agli enti locali dotati di minori capacità di autofinanziamento e infine l'individuazione degli strumenti necessari ad assicurare il coordinamento tra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.
  Nel ridefinire l'assetto della finanza decentrata, la legge delega intende perseguire, tra l'altro, i seguenti obiettivi: assicurare che l'offerta pubblica di servizi rifletta le preferenze dei cittadini elettori; rafforzare la responsabilità degli amministratori locali nei confronti dei cittadini elettori, mettendo questi ultimi nella condizione di valutare la corrispondenza tra imposte pagate e quantità e qualità dei servizi ricevuti; superare infine la finanza derivata, sopprimendo i trasferimenti statali basati sulla spesa storica e contestualmente riconoscendo agli enti decentrati strumenti articolati di autonomia impositiva in relazione alle funzioni da svolgere.
  La legge delega disegna anche il sistema di relazioni finanziarie tra il Governo centrale e i livelli inferiori di governo, che avrebbe dovuto accompagnare la transizione graduale al federalismo fiscale. Tale disegno si articola in particolare sulle fonti di finanziamento. Regioni ed enti locali stabiliscono e applicano tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Si articola anche nella definizione di meccanismi di perequazione che devono assicurare la riduzione degli squilibri territoriali, legati sia alle diverse capacità fiscali (le basi imponibili dei tributi sono disomogenee sul territorio) sia ai bisogni di spesa pubblica, che sono più omogenei, invece, su base territoriale.
  La legge n. 42 del 2009 prevede la copertura integrale della differenza tra le entrate e le spese standardizzate per le funzioni riconosciute come fondamentali: sanità, assistenza e istruzione. Allo Stato spetta definire i livelli essenziali delle prestazioni, i cosiddetti «LEP», che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Ai LEP sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni.
  I LEP, in realtà, non risultano definiti, se non limitatamente al settore sanitario, con la conseguenza che manca il punto di riferimento per la definizione del giusto livello di risorse per ciascun ente. Ciò rileva in particolare nell'ambito delle funzioni fondamentali, per le quali è previsto il finanziamento integrale attraverso l'autonomia impositiva e, laddove questa non sia sufficiente, attraverso il fondo perequativo. Per le altre funzioni o tipologie di spese decentrate è, invece, prevista la perequazione delle capacità fiscali, affinché il finanziamento tenga conto di livelli di risorse differenziati nei territori.
  Il modello di perequazione delle capacità fiscali delineato dalla legge delega è finalizzato ad assicurare il tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l'ordine delle rispettive capacità fiscali.
  Occorre tuttavia riconoscere che l'attuazione della delega è stata pesantemente condizionata dalla crisi economica che ha colpito l'Italia dal 2008 e dai conseguenti vincoli di bilancio, che hanno richiesto l'imposizione di significative manovre finanziarie a carico degli enti territoriali. Gli interventi succedutesi a partire dal 2011 hanno privilegiato l'equilibrio dei conti pubblici e ridotto i trasferimenti statali che la legge n. 42 del 2009 aveva previsto di trasformare in risorse autonome. Conseguentemente, il disegno riformatore ha registrato un sostanziale rallentamento.
  Ritengo che il disegno della legge delega del 2009 sia ancora ampiamente condivisibile. Il percorso che condurrà alla sua piena attuazione deve, quindi, continuare, potenziando l'autonomia finanziaria, oggi riconosciuta solo in parte agli enti decentrati, e mettendo a punto i meccanismi di perequazione.
  I princìpi della legge n. 42 del 2009 hanno trovato parziale attuazione con riferimento alla distribuzione delle risorse tra i comuni delle regioni a statuto ordinario. In relazione al Fondo di solidarietà Pag. 5comunale, il percorso avviato nel 2015 porterà nel 2021 al passaggio dal criterio della spesa storica, fonte di squilibri e distorsioni nell'assegnazione delle risorse, a una distribuzione basata integralmente su meccanismi perequativi, che prendono in considerazione i fabbisogni standard e le capacità fiscali standard.
  Come già evidenziato dalla SOSE (Soluzioni per il sistema economico) nella sua audizione, l'applicazione dei fabbisogni standard determina il riconoscimento di una spesa standard superiore alla spesa storica nei comuni di dieci regioni (Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria) e il riconoscimento di una spesa standard, invece, inferiore alla spesa storica nei comuni di cinque regioni (Lombardia, Liguria, Toscana, Lazio e Abruzzo).
  È però da considerare che un fabbisogno standard diverso dalla spesa storica può essere il risultato sia della differente efficienza con cui i servizi locali vengono erogati sia della differente qualità e quantità dei servizi offerti. L'assenza dei LEP, unitamente alla carenza di risorse finanziarie e alla mancata riforma del catasto, rende poco agevoli le scelte per il progressivo abbandono del criterio della spesa storica in favore del criterio dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard.
  La commissione fabbisogni standard, la Conferenza Stato-città e le Commissioni parlamentari competenti hanno fatto prevalere in questi anni l'esigenza di limitare gli effetti redistributivi del nuovo sistema attraverso complesse soluzioni tecniche, quali il livello dei servizi per le funzioni di costo, il target perequativo al 50 per cento e le clausole di salvaguardia per limitare gli eccessi.
  La capacità fiscale dei comuni delle regioni a statuto ordinario è il gettito tributario di spettanza di ciascun ente locale, applicando l'aliquota ordinaria in assenza di maggiorazioni o riduzioni d'imposta decise dall'ente. La stima viene effettuata considerando le basi imponibili puntuali dei principali tributi comunali (IMU, TASI, addizionale comunale all'IRPEF) e utilizza appropriate regressioni econometriche per stimare in modo residuale la capacità fiscale relativa ai tributi minori, per i quali non sono disponibili informazioni puntuali.
  A oggi la capacità fiscale è stimata in circa 25,5 miliardi di euro, di cui quasi il 50 per cento si riferisce al gettito standard di IMU e TASI. La capacità fiscale pro capite per il totale dei comuni delle regioni a statuto ordinario risulta pari a 475 euro. I comuni delle regioni del Centro-Sud hanno una capacità fiscale pro capite ben al di sotto del valore medio totale.
  La legge n. 42 del 2009 ha avuto attuazione con riferimento alla riforma della contabilità, nell'ambito del processo di armonizzazione dei bilanci pubblici. Il decreto legislativo n. 118 del 2011, integrato e corretto dal decreto legislativo n. 126 del 2014, ha conseguito l'obiettivo di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio degli enti territoriali, quale strumento necessario per il coordinamento della finanza pubblica. La riforma garantisce gli equilibri di finanza pubblica e l'attuazione degli articoli 81 e 97 della Costituzione.
  La legge di bilancio per il 2019, anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, la n. 247 del 2017 e la n. 101 del 2018, ha semplificato a decorrere dall'anno 2019 le regole di finanza pubblica applicate da regioni ed enti locali, completando in questo modo il percorso avviato alcuni anni fa.
  Per rilanciare gli investimenti è stata prevista la possibilità di utilizzare senza limiti gli avanzi di amministrazione e i fondi pluriennali vincolati, correggendo così uno dei limiti principali dell'assetto precedente. L'impatto in termini di maggiori investimenti è dato dall'entità degli avanzi potenzialmente utilizzabili, che in un arco temporale pluriennale è stimabile in circa 23 miliardi: 14,6 miliardi per i comuni, 3,3 miliardi per le province e le città metropolitane e 5,5 miliardi per le regioni. Queste cifre sono concentrate in prevalenza nel Nord del Paese, con l'eccezione di alcune aree del Sud, in particolare della Sardegna e della Puglia.
  Come evidenziato dall'Ufficio parlamentare di bilancio, una prima e parziale verifica, Pag. 6 utilizzando i dati del SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici), degli effetti delle nuove regole contabili sulla dinamica dei pagamenti per spese di investimento sembra confermare, a partire dall'ultimo trimestre dello scorso anno, un'accelerazione della spesa per investimenti. Tra ottobre 2018 e febbraio 2019 si registra un + 17,8 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
  In materia contabile, per attuare la direttiva 2011/85 dell'Unione europea, attraverso l'adozione degli ex EPSAS (European Public Sector Accounting Standards), sarà necessario un forte impegno sia per l'adeguamento dei sistemi informativi contabili sia per la formazione del personale degli enti territoriali, che è tradizionalmente legato, come è noto, alla contabilità finanziaria.
  Per passare al punto riguardante l'assetto della fiscalità regionale, provinciale e comunale, richiamo che per quanto concerne l'assetto della fiscalità regionale il decreto legislativo n. 68 del 2011 ha riconosciuto alle regioni una più ampia possibilità di attuare politiche economiche e sociali, assicurando spazi di manovrabilità dei tributi propri derivati.
  La vera novità in materia di fiscalità territoriale è rappresentata dalla trasformazione in tributi propri regionali di una serie di tributi propri derivati. Gli enti territoriali possono disciplinare autonomamente e addirittura sopprimere i tributi propri regionali e possono altresì istituire tributi regionali o locali su presupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato.
  Ciò nonostante, le disposizioni più significative del decreto legislativo n. 68 del 2011 non sono state ancora attuate, a causa di oggettive difficoltà tecnico-operativo di non facile soluzione. Questo ha determinato continui rinvii da parte del legislatore, che attualmente ne ha previsto l'attuazione a decorrere dal 2020. Se la data del primo gennaio 2020 fosse confermata, sarebbe necessario in tempi brevi porre in essere importanti adempimenti, quali: la definizione dei LEP, l'applicazione del principio di territorialità delle entrate, la fiscalizzazione dei trasferimenti, la definizione delle modalità di perequazione.
  Relativamente al finanziamento del settore sanitario, il fabbisogno finanziario è definito di norma nelle leggi di bilancio (per l'anno 2019 si parla di 113.404 milioni di euro) ed è coperto da un insieme di entrate, in parte proprie in parte compartecipazioni al gettito erariale. Vi risparmio l'enumerazione delle cifre relative alle varie compartecipazioni al gettito erariale.
  Nel comparto sanitario a partire dal 2020 vi saranno rilevanti cambiamenti di natura procedimentale. Fino al 2019 l'aliquota di compartecipazione IVA è stata fissata a saldo, ovvero al livello necessario per consentire l'integrale copertura del fabbisogno sanitario di tutte le regioni a statuto ordinario. Dal 2020, invece, tale aliquota sarà determinata al livello minimo che consente la copertura del fabbisogno in una sola regione, quella con maggiore IVA maturata nel territorio, con garanzia di copertura integrale del fabbisogno sanitario nelle altre regioni attraverso il Fondo perequativo.
  Verrà così garantita a ciascuna regione la copertura finanziaria dei livelli essenziali di assistenza nel settore sanitario, i cosiddetti «LEA». Tale schema di finanziamento deve applicarsi, in assenza di un'ulteriore proroga, anche all'istruzione, al trasporto pubblico locale, con riferimento alla spesa in conto capitale, e a ulteriori eventuali materie individuate dalla legge.
  Con specifico riferimento alla mancata fiscalizzazione dei trasferimenti erariali, si ribadisce che le manovre di finanza pubblica hanno ridotto notevolmente i trasferimenti a favore delle regioni a statuto ordinario. Si stima che i trasferimenti dal bilancio dello Stato in favore delle regioni potenzialmente fiscalizzabili ammontino a circa 6 miliardi.
  La legge n. 42 del 2009 contiene poi specifiche misure di coordinamento con gli statuti delle regioni a statuto speciale. In particolare, vengono introdotte regole volte a uniformare il modello di finanziamento basato sulla stima dei costi e sull'attribuzione di risorse con criteri che non sono Pag. 7dissimili da quelli previsti per le regioni ordinarie.
  Tale processo uniformatore impone l'adozione di standard comparativi che consentano una valutazione sull'attualità degli ordinamenti finanziari e sulla loro idoneità alla copertura finanziaria delle funzioni esercitate o da trasferire.
  Di recente, come richiesto dalla Corte costituzionale, i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono stati regolati attraverso specifici accordi. Da ultimo, il 25 febbraio 2019 è stato sottoscritto l'accordo con la regione Friuli Venezia Giulia ed entro il prossimo 30 giugno dovrebbe essere siglato l'accordo con la regione Sardegna, con cui sono già in corso trattative.
  Per quanto riguarda le province, queste sono finanziate sulla base del Fondo sperimentale di riequilibrio, integralmente distribuito sulla base del criterio storico. Analogo criterio si applica anche alle città metropolitane. Per le province e le città metropolitane si può, quindi, affermare che i princìpi di cui alla legge n. 42 del 2009 non sono stati attuati con riferimento alla quantificazione, all'alimentazione e ai criteri di riparto del Fondo perequativo.
  Con riferimento ai comuni, il Fondo di solidarietà comunale, la cui entità e i cui criteri sono cambiati ripetutamente nel corso degli ultimi dieci anni, ammonta per il 2019 a circa 6,5 miliardi. In ogni caso, al pari di quanto sostenuto con riferimento alle province e alle città metropolitane, l'attuale Fondo di solidarietà comunale, che sarà a regime dal 2021, non rappresenta una concreta attuazione dei princìpi della legge n. 42 del 2009, per le notevoli differenze esistenti con riferimento alla quantificazione, all'alimentazione e ai criteri di riparto del fondo stesso.
  Infine, per quanto concerne gli interventi speciali, l'articolo 119 della Costituzione, al quinto comma, prevede che lo Stato possa destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni. Sul tema degli interventi speciali sono stati emanati i decreti legislativi n. 228 e 229 del 2011, rispettivamente finalizzati a richiedere ai ministeri un'adeguata programmazione e pianificazione degli investimenti e a perfezionare il sistema conoscitivo attraverso la banca dati delle opere pubbliche. Nonostante l'emanazione di tali decreti, molto resta ancora da fare in materia di perequazione infrastrutturale.
  Per quanto concerne il tema degli effetti finanziari dell'eventuale definizione di intese ai sensi del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, segnalo che in alcuni casi le richieste regionali non appaiono del tutto coerenti con i princìpi costituzionali (tali richieste sono spesso inerenti a materie diverse da quelle elencate nella Costituzione) e che, pertanto, vista la tassatività del disposto costituzionale, non possono essere oggetto di attribuzione.
  In particolare, tra le norme costituzionali che non possono essere derogate deve ricomprendersi l'articolo 117, secondo comma, lettera e), che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato.
  Gli schemi di intesa non quantificano sin da subito le risorse finanziarie, umane e strumentali, ma costituiscono il quadro generale di riferimento. Ciò posto, solo successivamente all'entrata in vigore delle leggi di approvazione dell'intesa potrà prendere avvio il complesso processo di definizione delle specifiche attività amministrative correlate alle funzioni trasferite e dei relativi beni e risorse.
  In altri termini, saranno i singoli decreti del Presidente del Consiglio dei ministri lo strumento che concretamente renderà operativo il complesso disegno di autonomia differenziata. Sarà, quindi, possibile conoscere gli effetti finanziari dell'autonomia differenziata solo a seguito dell'emanazione dei vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, come d'altronde è già accaduto nel cosiddetto «processo di federalismo amministrativo a costituzione invariata» avviato dalla legge delega n. 59 del 1997.
  Di conseguenza, nell'attuale fase embrionale non è possibile esprimere una valutazione degli impatti sulla finanza pubblica. La quantificazione degli effetti finanziari delle intese sarà effettuata al momento Pag. 8dell'adozione dei singoli decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Questi ultimi, nel caso comportino nuovi o maggiori oneri, saranno emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie.
  A ciascuno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dovrà essere allegata una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.
  In conclusione, per quanto concerne l'assetto della finanza locale nel suo complesso, in questi ultimi anni molto è stato fatto per potenziare l'autonomia finanziaria e la responsabilità fiscale di regioni ed enti locali. Ci si riferisce nello specifico alla riforma della contabilità, con l'introduzione di importanti strumenti quali il Fondo crediti di dubbia esigibilità, la contabilità economico-patrimoniale e il bilancio consolidato. Ci si riferisce anche alla semplificazione della regola di finanza pubblica, con il superamento del Patto di stabilità interno e il libero utilizzo degli avanzi di amministrazione per il rilancio degli investimenti. Ci si riferisce anche al venir meno dal 2019 del blocco della manovrabilità fiscale, per una maggiore autonomia nel soddisfare le esigenze dei cittadini.
  Il disegno va completato sotto il profilo degli strumenti perequativi, sulla base dei fabbisogni standard e della capacità contributiva. Occorre porre maggiore attenzione nei confronti di quelle regioni e di quegli enti locali che registrano difficoltà nel perseguire gli equilibri di bilancio, eventualmente attraverso l'individuazione di misure tecniche volte a potenziare la loro capacità di riscossione, causa principale delle situazioni di dissesto e di pre-dissesto.
  Il punto di arrivo deve essere un assetto in cui ogni ente dispone di entrate adeguate e risponde ai cittadini della qualità dei servizi offerti.
  Il miglioramento della qualità dei servizi incide, peraltro, sulla competitività del sistema economico e sulla qualità dell'ambiente imprenditoriale che il Paese è in grado di offrire alle imprese italiane e straniere, con effetti anche sul benessere economico dei cittadini. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, signor ministro, per la puntualità con la quale ha affrontato i temi oggetto dell'audizione.
  Ricordo che Camera e Senato sono impegnate per quanto riguarda le Commissioni a partire dalle ore 9,30 e ricordo altresì, anche se non ce ne sarebbe bisogno, che il ministro si trova ovviamente, per questioni istituzionali attinenti alla sua funzione, in un momento particolarmente impegnativo, per cui non abusiamo della sua pazienza e disponibilità. Ciò premesso, come al solito cominciamo con una domanda per Gruppo, possibilmente.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO PRESUTTO. Buongiorno, signor ministro. La ringrazio a nome del gruppo del Movimento 5 stelle per l'esaustivo excursus fatto sull'attuazione delle autonomie e su quali sono gli effetti attesi, ovvero avere un sistema di enti locali soprattutto più efficace, efficiente e con delle buone capacità anche in termini di economicità. Questo consentirebbe finalmente l'applicazione dell'articolo 120 della Costituzione e, quindi, permetterebbe allo Stato di poter intervenire laddove, a livello di enti locali, ci siano degli amministratori non all'altezza di rispettare i LEP.
  Le formulo la domanda. Anche se, come lei ha detto, il quadro definitivo degli effetti finanziari non può essere al momento noto, dai documenti finora resi pubblici si evidenziano dei possibili incrementi di spesa che sono in qualche caso direttamente quantificabili. Precisamente, sul sito del Dipartimento affari regionali sono state pubblicate le bozze di tre intese Stato-regione. Si afferma che i testi sono quelli che hanno raggiunto un accordo di massima con il Ministero dell'economia e delle finanze, che riguardano principalmente il sistema di finanziamento dell'intesa.
  Uno dei princìpi di tale intesa è che non dovrebbero derivare nuovi o maggiori oneri Pag. 9a carico della finanza pubblica, principio corretto, ma dal quale deriva che ogni maggiore esborso per realizzare l'autonomia differenziata porterà un minore finanziamento per gli altri territori oppure per i servizi generali.
  Dalla lettura dei testi appaiono, però, evidenti alcuni aumenti di costo, sui quali vorremmo conoscere la sua valutazione tecnica. In particolare, le formulo tre precise considerazioni. A quanto può ammontare l'applicazione del valore medio nazionale pro capite della spesa statale per i servizi di istruzione di Lombardia e Veneto? Infatti, il settore dell'istruzione forse è quello più interessato dal progetto della regionalizzazione differenziata, a differenza forse della stessa sanità che è già abbastanza avanzata.
  In secondo luogo, vorrei conoscere la sua valutazione sulla simulazione del maggiore onere per lo Stato nei casi in cui, a parità di entrate fiscali, si evidenziasse un extragettito nei tributi compartecipati dalla regione o oggetto di aliquota riservata.
  La terza considerazione concerne i settori nei quali per l'amministrazione centrale si determina un calo di efficacia a causa del ridimensionamento di tale amministrazione, in proporzione alle funzioni e alle risorse trasferite, come attualmente previsto al comma 1 dell'articolo 4 dell'intesa.
  Su tale ultimo punto, finora trascurato nel dibattito, è forse il caso di soffermarsi ancora. Ci sono funzioni centrali per le quali è ipotizzabile che, operando per diciassette regioni invece che per venti, ad esempio, ci sia una riduzione in proporzione delle attività e delle risorse necessarie. Tuttavia, ci sono altre funzioni generali nelle quali sono presenti forti economie di scala e che, quindi, non dipendono, se non in modesta misura, dal numero di utenti serviti. In tali settori una contrazione delle risorse umane, strumentali ed economiche proporzionale al peso delle funzioni trasferite porta necessariamente a un aumento dei costi pro capite per la perdita appunto delle economie di scala. Tale fattore come sarà contabilizzato? La ringrazio.

  MARCO OSNATO. Ringrazio il ministro per la relazione. Io dichiaro che ho un po’ uno sdoppiamento di personalità: se fossi qua come membro della Commissione finanze, sarei stato molto contento della relazione e di quello che ho sentito; come membro della Commissione bicamerale del federalismo fiscale, rimango un po’ perplesso, non tanto per la relazione del Ministro Tria, che è stata molto precisa e puntuale, quanto per quello che abbiamo appreso anche nelle precedenti relazioni e confrontandole con questa.
  Infatti, io non ho ancora capito se noi qui discutiamo di sussidiarietà, di decentramento, di federalismo, di autonomia. Non ho presente a che punto noi siamo arrivati in questo processo. Ascoltando alcuni presidenti di regione mi aspettavo quasi che stappassimo lo champagne perché eravamo arrivati alla soluzione di tutti i problemi, mentre ascoltando alcuni ministri, soprattutto la relazione di oggi, mi sembra che siamo decisamente indietro.
  Io non ho capito bene se noi abbiamo idea che le strutture territoriali siano pronte, se il Ministero dell'economia e finanze si ritiene pronto, se si ritiene che questo sia un processo utile da parte, per esempio, di questo ministero o di altri che abbiamo audito.
  In pratica, cosa ci aspetta? Salvo un accenno al fatto che nel 2020 dovremmo avere la definizione dei LEP e della territorialità rispetto alle leve fiscali, qualche idea certa in più sui trasferimenti e la predisposizione ulteriore del Fondo perequativo rispetto a tutto ciò, io credo che noi dobbiamo essere molto preoccupati, se riteniamo che l'autonomia sia la soluzione e la responsabilizzazione dei territori, perché, a quanto ho appreso, noi abbiamo ancora dei dubbi costituzionali sulle intese che sono state presentate.
  Mi pare che abbia citato il secondo comma, lettera e), dell'articolo 117 addirittura sulla questione dei princìpi contabili. Io che vengo dalla Lombardia e sono originario del Veneto avevo compreso che, invece, fossimo molto più avanti su questo tema. Pag. 10
  Di conseguenza, chiederei al ministro un'idea più chiara di cosa lui ritiene ci aspetti da qui a qualche settimana, perché mi sembra che l'atteggiamento, non tanto suo personale quanto del ruolo che riveste, sia un po’ quello dello spettatore, che sia più giustamente preoccupato dei riequilibri di bilancio complessivi dello Stato e meno dell'interesse delle regioni che hanno richiesto l'intesa. Non vorrei essere maligno, ma mi sembra quasi lo spettatore che sta sulla riva del fiume ad aspettare che succeda quello che il noto aneddoto racconta. Vorrei, se possibile, più certezza e più chiarezza.

  ROGER DE MENECH. Ringrazio il ministro per la disponibilità. Non possiamo permetterci semplicemente che il Ministro dell'economia sia uno spettatore di una partita così importante come quella dell'applicazione del 116, terzo comma, e, quindi, dell'autonomia. Non possiamo semplicemente permettercelo, perché i contenuti dei rapporti finanziari in quell'intesa sono da definire per lo meno fondamentali, anzi credo che siano l'elemento qualificante o meno.
  Sappiamo – io lo ripeto sempre, ministro – che noi scontiamo vent'anni di propaganda in questo Paese. Nel mese di novembre 2017 una regione, il Veneto, ha fatto una legge per avere i nove decimi e per erodere completamente il residuo fiscale. Lei come la pensa su questo punto? Lo dico come provocazione, perché credo di averlo già inteso dalle sue risposte in audizione. Noi abbiamo questo compito: smontare vent'anni di propaganda e iniziare a entrare seriamente nel tema dell'autonomia come decentramento amministrativo a favore dei cittadini.
  Dico questo perché ci sono alcune cose. Come intende intervenire il Ministero dell'economia e delle finanze per evitare che, non soltanto questo processo, ma anche alcune norme che questo Governo ha già messo in atto, come lo sblocco delle aliquote comunali, si trasformino in un aumento della pressione fiscale per i cittadini italiani? A noi interessano i cittadini, non le formule magiche. È chiaro che, se noi sblocchiamo o diamo autonomia, dobbiamo creare dei meccanismi per cui, se da una parte giustamente, da un punto di vista funzionale, si da più autonomia agli enti locali, dall'altra non si fanno pagare più tasse ai cittadini, come sta già succedendo nel territorio italiano.
  Inoltre, credo che lei abbia dato un elemento di merito estremamente importante sulla modalità di attuazione dell'autonomia. Di fatto, ha delineato una sottospecie di legge delega. Lei ha parlato di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri quali strumenti operativi fondamentali. Lei ha affermato anche che solo dopo l'attuazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri possiamo vedere quali siano gli effetti sulla finanza pubblica. Dunque, di fatto, con le parole che ha detto, lei ha delineato quello che altri ministri hanno sicuramente scartato come modalità operativa.
  Oggi, quindi, noi siamo a un anno zero, siamo al punto in cui non siamo in grado di definire quanto costa l'autonomia. La dico così, in modo che ci capiamo tutti.
  L'altra domanda è: allora le bozze che sono state più volte citate sono o non sono approvate dal Ministero dell'economia e delle finanze? Mi riferisco alle bozze che conosciamo. Alcuni ministri hanno detto che non esistono, altri hanno detto che sono depositate, alcuni presidenti di regione hanno detto che sono concluse. Noi facciamo fatica a capire.
  Il tema vero è come riusciamo, dentro un processo complesso e complicato, a concretizzare veramente il principio dell'avvicinare i servizi al cittadino – la dico così, affinché ci capiamo in maniera più diretta – e come riusciamo a costruire questo dentro una dinamica corretta di unità nazionale e di garanzia del servizio universale a tutti i cittadini italiani, quindi alle tre regioni che hanno chiesto e anche a quelle che non l'hanno chiesto.
  Le ricordo – e le chiedo anche se questa cosa la preoccupa – che ci sono tre regioni che hanno già chiesto formalmente, ma ce ne sono un totale di sedici che hanno fatto domanda. Questo la preoccupa, le provoca da questo punto di vista un sentimento di Pag. 11preoccupazione o vogliamo cogliere questa come un'opportunità di riorganizzazione?
  Tutto verte attorno al grande tema dei fabbisogni standard, dei livelli essenziali delle prestazioni, dei LEP, quindi di come conformiamo.
  Altra domanda. Se noi vogliamo agire in maniera importante su costi e fabbisogni standard, come possiamo permetterci che il suo ministero sia ancora senza presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard? Il Governo è quasi un anno che è in carica. Il professor Marattin si è dimesso il giorno stesso della vostra entrata in carica, ma ad oggi non c'è il presidente.
  Credo che per una Commissione come la nostra sia importante capire quando il Governo vorrà nominarlo questo presidente della Commissione tecnica. Non è un aspetto formale. Ricordo che questa Commissione è quella che regola i rapporti fra il Governo e tutta la parte dei ministeri, proprio per attuare fino in fondo il principio dei costi e dei fabbisogni standard.
  Come ha visto, le ho fatto una serie di domande. L'ultima riguarda il Fondo di solidarietà dei comuni. Lei ha citato gli interventi straordinari nei comuni. Ricordo l'intervento per Roma Capitale. Quando, prima o poi, entreranno compiutamente nel computo del fondo anche tutti gli interventi straordinari in modo da non inquinare il principio di equità rispetto all'intero territorio nazionale? Questa è un'altra domanda.
  La domanda fondamentale è quella che le ho fatto all'inizio: cosa pensa fino in fondo rispetto al principio di autonomia, al 116, e soprattutto gli effetti sulla finanza pubblica, perché quello che ha detto, sinceramente, non ci soddisfa per nulla.
  Grazie.

  PAOLO RUSSO. Ringrazio il ministro. Ho apprezzato la puntualità e la modalità di approccio tecnico, oserei dire scientifico, alla materia. Ci aiuti un po’. Lei ci ha descritto una serie di criticità, una serie di carenze, una serie di necessità. Partendo dal dato che siamo tutti ben lieti e favorevoli affinché si attui, e nei tempi giusti, un regionalismo differenziato previsto dalla nostra Carta costituzionale, per lei, dal suo privilegiato osservatorio, quali sono i passi propedeutici affinché si possa celermente ottenere l'agognato risultato politico del regionalismo differenziato?
  Ci ha detto che i LEP non ci sono; ci ha detto che a seguito dei LEP sono necessari, ovviamente, fabbisogni standard e costi standard; ci ha detto che il Fondo perequativo della legge n. 42, di fatto, non c'è e non ha nulla a che vedere con il Fondo perequativo dei comuni; ci ha detto che manca uno strumento necessario per la perequazione infrastrutturale e soprattutto – questo è l'elemento di sorpresa – si è dichiarato non in grado di esprimere una valutazione sull'impatto di finanza pubblica di questo regionalismo differenziato. Lei dice che se ne parlerà più avanti quando si leggeranno i DPCM.
  Ovviamente, puntualizza dicendo che se quei DPCM dovessero comportare una spesa occorrerà prevedere la copertura, attraverso norma, di quella spesa. Però, vorremmo avere il piacere di poter comprendere in quale dimensione ci troviamo, se è presumibile ritenere che ci possa essere una riduzione della spesa, se è presumibile ritenere che quella spesa, viceversa, si dilati ulteriormente, se tutto questo è compatibile non soltanto con la situazione contingente di finanza pubblica, se è compatibile con le prospettive e le condizioni del nostro stesso Paese, alla luce delle previsioni registrate attraverso il DEF per i prossimi anni. Insomma, vorremmo capire quali sono le cose che bisogna fare, e in quale ordine, e soprattutto se ci aiuta un po’ meglio a capire qual è l'incidenza sulla finanza pubblica di questa riforma che noi crediamo auspicabile quanto epocale.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Tria per la replica.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. Tento di rispondere. Credo che poi, tranne alcune articolazioni delle domande, c'è una domanda comune che riguarda quello che si sta decidendo oggi. Mi si chiede di dare una opinione. L'opinione è un'opinione da Ministro delle Pag. 12finanze dei problemi che ci sono oggi nell'attuazione di questo regionalismo differenziato. Poi, può esserci una mia opinione sul processo di federalismo fiscale.
  Vorrei dire subito che, personalmente, sono molto a favore del federalismo fiscale. Sono convinto che il federalismo fiscale sia stato applicato parzialmente e violando, in parte, i princìpi generali del federalismo fiscale. Ricordo che nel periodo di cui si discuteva di questo c'erano già delle contraddizioni.
  La Commissione che fu istituita mi ricordo che mentre delineava il disegno di federalismo fiscale, in realtà, era ispirata – sembra contraddittorio, ma questo è un ricordo che ho perché ho fatto parte come esperto – da una visione centralistica. Si voleva applicare il federalismo fiscale, ma c'era paura di dare troppa libertà alle regioni, agli enti locali, perché chissà cosa avrebbero combinato.
  A parte questa mia annotazione personale e storica, è chiaro che i princìpi del federalismo fiscale sono dati dal fatto che alla regione e agli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, dovrebbe essere data una autonomia fiscale vera e la possibilità di utilizzare il gettito secondo gli interessi della comunità. Questo sembra banale, ma vi ricordo semplicemente che, poiché abbiamo anche una nazione e un Paese con diversi gradi di sviluppo, posso immaginare che in qualche regione sia più utile o venga ritenuto dai cittadini più utile ridurre la pressione fiscale, perché questa è utile allo sviluppo economico e in altre può essere ritenuto utile aumentare la pressione fiscale per finanziare investimenti pubblici necessari allo sviluppo economico. Questo dovrebbe essere un po’ il fondamento dei principi del federalismo fiscale, non solo un modo come ripartirsi il finanziamento dei servizi essenziali che, ovviamente, devono essere portati avanti. Questa è una mia riflessione su quello che è il federalismo fiscale.
  In realtà, anche nel dibattito attuale, si riflettono questi diversi modi di vedere. Per esempio, è stato fatto notare che se noi diamo più libertà fiscale agli enti locali la pressione fiscale può aumentare. Certo, può aumentare, ma può aumentare in alcune aree in cui i Governi locali sono stati democraticamente eletti e rispondono ai cittadini. Non è un principio generale per dire che è meglio abbassare la pressione fiscale in un posto o nell'altro. Bisogna vedere cosa si fa. Questo dovrebbe essere il principio del federalismo fiscale, oppure si può ritenere che, invece, si è contrari al federalismo fiscale.
  È normale che queste diverse visioni si scontrino e si riflettano nell'evoluzione in parte legislativa, ma soprattutto attuativa del federalismo fiscale. Questo è in generale.
  Lasciamo la filosofia e andiamo alle questioni concrete che si discutono oggi. Non è strano dire che si dovranno vedere le singole misure che verranno prese, i decreti che istituiranno queste intese, perché quello che diciamo come Ministero dell'economia è una cosa del tutto banale: se l'intesa che verrà firmata con le varie regioni, considerando le varie competenze che si decideranno di trasmettere, che non sono ancora tutte definite, se questa intesa implicherà un aumento della spesa complessiva è chiaro che ci dovrà essere una legge di copertura. Questo fa parte delle regole generali. Non è un giudizio particolare sulle intese per l'attuazione del regionalismo differenziato.
  Più in generale il richiamo alla Costituzione è un richiamo doveroso, ma, d'altra parte, non è stato messo in dubbio che queste intese possano andare oltre e incidere sulle materie di esclusiva pertinenza dello Stato. È chiaramente solo una riproposizione di una questione di principio che è stata ribadita dal Ministero delle finanze all'inizio. È stato chiarito e non abbiamo riscontrato nessuna discussione su questo punto. Queste intese, quindi, possono benissimo andare avanti.
  Posso dire in linea generale che per il primo anno si parla di un passaggio di competenze con un passaggio delle risorse corrispondenti secondo la spesa storica. È chiaro che per definizione, senza entrare nelle varie articolazioni in discussione dei vari ministeri che sono disposti a trasferire alcune competenze e altre no, finché si sta in questo ambito di azione, non si presuppone Pag. 13 che ci siano problemi finanziari. I problemi si possono porre successivamente.
  Cosa può accadere? Innanzitutto, una volta che c'è il trasferimento di una spesa storica, nella storia successiva qualcosa può cambiare. Per esempio, possono aumentare i gettiti in alcune regioni, e anche come si devono adeguare queste spese. Tutto non può rimanere cristallizzato, allora si fanno delle ipotesi sugli anni successivi.
  È chiaro che si ritorna alle questioni di base del federalismo fiscale. Qualora ci sia un ritardo nella definizione dei cosiddetti «fabbisogni standard» che, ovviamente, presuppongono anche a un certo punto la definizione dei LEP, si può ricorrere, come principio di ripartizione, al costo medio. È un problema semplicemente aritmetico. Evidentemente, se si applica il principio del costo medio, ci saranno delle regioni che vedranno aumentare le risorse a disposizione, che sono le regioni che attualmente erogano dei servizi con un costo minore, e altre che vedranno perdere le risorse.
  Poiché solo alcune regioni saranno interessate, almeno per ora, a queste intese, se non si accetta che alcune regioni perdano delle risorse, bisognerà evidentemente mettere a disposizione altre risorse, e quindi ci vogliono le leggi di copertura. Questo non significa dire nulla di straordinario, ma solo un avvertimento richiamando i princìpi contabili, normali dello Stato italiano.
  La questione è che questo sarebbe se non si definiscono i fabbisogni standard, se non si definiscono i LEP, perché è chiaro che quando si va in questa direzione la cosa migliore sarebbe definire i fabbisogni standard e quindi non applicare il principio del costo medio.
  La definizione, la stima dei costi standard è una cosa un po’ più complessa. Ci sono molti fattori. Non entro adesso tecnicamente nella questione, anche per l'ora, ma devono essere stimati. Tra l'altro, finora l'uso dei fabbisogni standard, l'uso di questi costi è avvenuto solo come criterio di ripartizione, in realtà, di un ammontare di risorse, ma non l'uso come valore assoluto dei costi necessari per raggiungere determinati livelli di LEP, anche perché non sono stati, tranne che in sanità, definiti.
  A mio avviso, bisogna andare nella direzione della definizione dei fabbisogni standard, cioè di un principio generale di controllo dell'efficienza della spesa pubblica per tutte le regioni, sia che ci sia poi una devoluzione di competenze alla gestione diretta di alcune regioni che lo richiedano, sia negli altri casi in cui, anche se è lo Stato che continua a erogare questi servizi, ci si possa riferire ai fabbisogni standard e quindi a criteri di efficienza della spesa pubblica nelle varie regioni per le varie prestazioni e per i vari servizi.
  È strano che il dibattito si sia subito spostato su quello che vedo, che non compete del tutto al Ministro dell'economia e delle finanze, perché poi c'è un dibattito politico sulla questione del costo medio e quindi di chi possa perdere risorse, chi possa guadagnare risorse, dando per scontato che non si possa andare nella direzione corretta dell'applicazione dei principi solo di federalismo fiscale, perché è chiaro che quando certi servizi sono erogati o continuano a essere erogati dallo Stato si tratta di un principio più generale di controllo dell'efficienza della spesa pubblica, sempre utilizzando le stime sui costi standard, perché sembra darsi per scontato che non si possa fare e che ci vogliano chissà quali tempi. Credo che non sia vero.
  È stato fatto un lavoro enorme in questi dieci anni su questo tema. Abbiamo una capacità di calcolo e di stima molto forte. Si può andare rapidamente nella direzione corretta dell'applicazione di questi princìpi e quindi andare verso l'approvazione – questo non dipende solo dal Ministero dell'economia – di queste intese per l'autonomia differenziata applicando questi princìpi.
  La questione del costo medio è stata posta, da quello che ho visto, come una specie di salvaguardia. Se non si riesce ad andare in quella direzione scientificamente più corretta, allora si applica questo sistema per evitare, evidentemente, che una volta partito il primo anno con la spesa storica si continui ad andare avanti con la spesa storica, che creerebbe, evidentemente, Pag. 14 problemi di adeguamento e poi con aggiustamenti annuali di dove aumentiamo. È una contrattazione su quanto dare autonomia a una regione o all'altra. Il mio giudizio, come Ministro, ma anche personale, è che ci sono i modi per andare nella direzione corretta, e vi sarebbero anche i tempi. Ci vuole la volontà politica di andarci, ovviamente. Non credo che ci siano ostacoli ad andare avanti sull'autonomia differenziata, ma si dovrebbe seguire la strada maestra, che è quella che ho detto.
  Tra l'altro, è implicitamente detto anche nelle bozze d'intesa che ho letto, ma, evidentemente, ci si crede fino a un certo punto e quindi si mettono queste specie di clausole di salvaguardia chiedendo che se non si dovesse applicare questo, si va in quell'altra direzione.
  È chiaro che a quel punto, se si va nell'altra direzione, è un problema, ripeto, semplicemente aritmetico per cui se si applica il principio del costo medio, alcune regioni dovranno avere risorse aggiuntive che o vengono prese dalle altre oppure devono ricevere una copertura, ma questo è un fatto abbastanza ovvio.
  Non so se, grosso modo, sono riuscito a rispondere alle domande.

  PRESIDENTE. Grazie, signor ministro, anche per il rispetto dei tempi che ci eravamo dati all'inizio. La ringrazio veramente.

  GIOVANNI TRIA, Ministro dell'economia e delle finanze. C'era anche una domanda sulla nomina del presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Il presidente della Commissione è nominato con decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Aspettiamo adesso la definizione. Grazie.

  PRESIDENTE. Nel rinnovare i ringraziamenti, dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

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