XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 10 aprile 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione della Ministra della salute, On. Giulia Grillo, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Grillo Giulia (M5S) , Ministra della salute ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 8 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 9 
Perosino Marco  ... 10 
Ianaro Angela (M5S)  ... 10 
Saviane Paolo  ... 11 
Errani Vasco  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 
Collina Stefano  ... 12 
De Menech Roger (PD)  ... 12 
Russo Paolo (FI)  ... 13 
Cattaneo Alessandro (FI)  ... 13 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 
Grillo Giulia (M5S) , Ministra della salute ... 13 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 21 

ALLEGATO: Documentazione presentata dalla Ministra della salute ... 22

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione della Ministra della salute, On. Giulia Grillo, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera, nonché ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del proprio Regolamento, l'audizione della Ministra della Salute, onorevole Giulia Grillo, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale, con particolare riferimento alla spesa sanitaria delle Regioni e sulle procedure in atto per la definizione delle intese, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Si tratta della nona audizione della Commissione. Ringrazio il ministro per la disponibilità dimostrata e le cedo subito la parola.

  GIULIA GRILLO, Ministra della salute. Desidero innanzitutto ringraziare il presidente e tutti voi per l'invito che mi è stato rivolto e che mi consente, in una fase iniziale dell'attività di questa Commissione, che corrisponde tuttavia già ad uno snodo cruciale delle mie attività in qualità di Ministro della salute, di illustrare le iniziative di competenza del ministero in materia di attuazione del federalismo fiscale.
  Trattandosi della prima occasione in cui abbiamo modo di confrontarci su questo tema, ritengo utile in premessa effettuare una breve illustrazione di ciò che in generale comporta il federalismo fiscale nella materia sanitaria.
  Innanzitutto va ricordato che, a partire dall'anno 2013, il riparto della quota indistinta del Fondo sanitario nazionale avviene, per quanto gradualmente, sulla base dei costi e fabbisogni standard, i quali costituiscono il riferimento cui rapportare, progressivamente nella fase transitoria e successivamente a regime, il finanziamento integrale della spesa sanitaria.
  D'altro canto, il totale delle risorse dedicate ai livelli essenziali di assistenza sanitaria riflettono una scelta politica e di programmazione economica che, come ognuno di voi sa, deve risultare coerente con il quadro macroeconomico complessivo del Paese e con gli impegni assunti in sede comunitaria.
  Va subito detto che i costi standard, per come concepiti dalla normativa vigente, non fanno riferimento a singole classi di prestazione, cioè al costo in euro di un processo produttivo virtuale in condizione di ideale efficienza. Molto spesso, infatti, si tende a confondere il procedimento finora applicato con l'idea di prezzo standard o prezzo di riferimento di un servizio, di una prestazione o di uno specifico bene impiegato per la produzione (il classico esempio del costo della siringa).
  Un sistema di valutazione di questo tipo presuppone che i prodotti e le prestazioni, Pag. 4per essere confrontabili nei costi di produzione, siano omogenei in tutte le loro caratteristiche, mentre in sanità i servizi e le prestazioni vengono erogati secondo caratteristiche e modalità differenziate nelle varie regioni, in funzione della domanda sanitaria e dei moduli organizzativi di offerta. Fermo restando che le regioni godono di piena autonomia circa la scelta del modello organizzativo di cui dotarsi, l'offerta dei servizi sanitari e il loro utilizzo da parte di una popolazione dipende anche dalla caratteristica propria della popolazione considerata.
  Devo precisare che la metodologia dei costi standard, attuata oggi per ripartire il finanziamento cui concorre lo Stato, si riferisce ad aggregati di prestazioni, ricondotte ai tre macrolivelli sui quali le risorse nazionali programmate devono ripartirsi, cioè il 5 per cento per l'assistenza collettiva, il 51 per cento per l'assistenza distrettuale e il 44 per cento per l'assistenza ospedaliera.
  Non vi è dubbio che il criterio dei costi standard sia stato concepito per perseguire finalità positive, tra le quali innanzitutto quella di superare le differenze che ancora connotano troppo marcatamente diversi servizi sanitari regionali, promuovendo in tutte le regioni l'adozione di modelli organizzativi e di scelte allocative orientati all'efficienza e alla qualità dell'assistenza.
  La stessa individuazione delle cosiddette «regioni benchmark» ha corrisposto all'esigenza di innescare una leva emulativa, in grado di creare le condizioni per recuperare elementi di efficienza e di efficacia nella produzione ed erogazione dei servizi da parte delle regioni non benchmark.
  Tuttavia, dico subito che gli attuali criteri per identificare le regioni benchmark sono basati su un sistema di indicatori, le cui risultanze, a distanza di sei anni, sono state in parte ritenute poco rappresentative delle realtà territoriali, in quanto eccessivamente legate alla performance del settore ospedaliero, conseguenza dovuta alla scelta iniziale di basarsi sui soli flussi informativi del nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) del Ministero della salute.
  A tal riguardo voglio informare che è di prossima istituzione un apposito gruppo interistituzionale, costituito dai rappresentanti del Ministero della salute, dell'economia e delle finanze e delle regioni, per rivedere detti indicatori.
  Tornando più in generale all'attuale sistema di finanziamento del Fondo sanitario nazionale, va detto che in questi anni si è lungamente dibattuto a vari livelli, istituzionali e accademici, sull'effettiva capacità dei vigenti criteri di riparto di rappresentare i bisogni di salute delle diverse regioni italiane. Infatti, anche dopo l'introduzione della normativa sui costi standard, il principale parametro utilizzato per il riparto fra le regioni è rimasta la popolazione, pesata per classi di età, senza ulteriori indicatori capaci di rappresentare il diverso il bisogno di salute.
  Dall'entrata in vigore della normativa sui costi standard, contrariamente allo spirito di tale disciplina, le regioni sono quindi ripetutamente intervenute sugli esiti delle proposte di riparto ministeriali costruiti sulla base dei costi standard, sia per riequilibrarne le risultanze, sia per operare una diversa allocazione della cosiddetta «quota premiale», che è lo 0,25 del Fondo sanitario nazionale. Per far ciò, tuttavia, si è dovuto provvedere di volta in volta, attraverso l'introduzione di apposite disposizioni di legge, peraltro con carattere d'urgenza, sulla base delle richieste pervenute dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  L'allocazione delle risorse effettuata sulla base dei vigenti criteri sta in effetti determinando situazioni molto variabili da regione a regione, restituendo una fotografia diversa fra le regioni del nord e quelle del sud. Se le regioni più virtuose sono riuscite a organizzare i propri servizi sanitari in maniera efficiente, rendendo così sostenibile la spesa sanitaria in relazione al livello di finanziamento loro assegnato, nonostante le manovre di finanza pubblica introdotte nell'ultimo periodo, le regioni meno virtuose invece assicurano la sostenibilità della spesa sanitaria in relazione al finanziamento loro assegnato, di fatto pregiudicando in molti casi l'adeguatezza della riorganizzazione Pag. 5 dei setting assistenziali e solo in parte attraverso azioni volte all'efficientamento del sistema.
  Nel periodo compreso fra il 2012 e il 2016 si è assistito infatti a un più frequente e generalizzato ricorso alle risorse di parte corrente per finanziare gli investimenti. Questo fenomeno va letto da una parte come conseguenza delle intervenute riduzioni dei finanziamenti statali e regionali in conto capitale, favorito anche dal conseguimento in alcune regioni di spazi finanziari dovuti ad azioni di efficientamento, dall'altro invece come tentativo da parte di alcune regioni di svincolarsi delle procedure di finanziamento, ai sensi dell'articolo 20 della legge 67/88 in materia di edilizia sanitaria.
  Anche su questo tema peraltro il ministero ha intenzione di effettuare degli specifici approfondimenti, ragionando in particolare su una possibile, diversa allocazione delle risorse, attraverso l'individuazione di strumenti per la rideterminazione del fabbisogno sanitario regionale standard, in attuazione all'articolo 29 del decreto legislativo 68 del 2011. Mi riferisco alla necessità di rivedere gli attuali criteri di pesatura, processo che riconosco essere complesso sia tecnicamente che politicamente, non fosse altro che per la necessità di acquisire una piena condivisione da parte di tutte le regioni nello specifico passaggio, previsto dalla normativa vigente, in Conferenza Stato regioni.
  Un elemento di ottimismo in tal percorso risiede tuttavia negli strumenti informativi, che, perfezionandosi continuamente, potranno presto consegnare un patrimonio di informazioni, in grado di restituire ipotesi di lavoro sempre migliori ai decisori politici.
  Ritengo che il patrimonio informativo del nuovo sistema informativo sanitario (NSIS), soprattutto a seguito delle prossime, ulteriori azioni di interconnessione con altre banche dati, contribuirà a fornire le informazioni necessarie per realizzare appropriati modelli di analisi dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi costruire adeguati e dinamici indicatori dell'effettivo bisogno di salute della popolazione.
  Attraverso l'interconnessione dei flussi informativi tra il nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) e in particolare la tessera sanitaria, sarà possibile determinare più correttamente il fabbisogno di salute, attraverso metodologie di stratificazione della popolazione per patologie, che consentiranno di ricostruire la prevalenza delle malattie e quindi i relativi costi. Ciò nell'ottica di una diversa programmazione delle politiche sanitarie e della redistribuzione delle risorse, che sia centrata effettivamente sui problemi di salute dei pazienti e sulle esigenze della popolazione, abbandonando quindi l'attuale sistema di programmazione, che è basato essenzialmente su una logica per fattori produttivi.
  Mi sia consentito di dilungarmi ancora su questo tema, cioè sugli obiettivi di razionalizzazione della spesa in un quadro di rinnovata centralità del paziente, che mi sta molto a cuore. Su questo tema desidero infatti illustrare un'ulteriore, importante iniziativa che il ministero ha avviato proprio in questi mesi.
  Come dicevo, il nostro intendimento è che il monitoraggio della spesa sia finalmente basato su una logica di processo, orientata alla patologia, nonché sulle principali malattie ad alto impatto e sulla misura del valore. Le opportunità di tale metodologia possono essere sintetizzate come segue. Una visione complessiva del costo delle malattie, oltre che dei fattori produttivi, mettendo al centro le esigenze del paziente potrà impedire tagli lineari. Una visione della portata economica complessiva delle malattie permette inoltre una più agevole valutazione dell'impatto dei cambiamenti tecnologici, ad esempio per effetto dell'introduzione di un nuovo farmaco, dispositivo medico o strumento diagnostico.
  Il ministero inoltre avrà la possibilità di svolgere un'attività programmatoria di bilanciamento di priorità e di pianificazione degli investimenti, adattando le reti di offerta sulla base dei parametri di eterogeneità rilevati sul territorio. Questo rovesciamento del punto di vista di gestione della sanità italiana porterà ad una vera e propria rivoluzione di approccio, gestione e misurazione dei risultati. Pag. 6
  L'obiettivo è infatti quello di costruire un modello predittivo del fabbisogno di salute della popolazione italiana, per simulare scenari a medio e lungo termine in base alle informazioni disponibili, come l'epidemiologia della popolazione, i principali trend evolutivi in atto, quindi quelli demografici, sociali, tecnologici ed economici, in modo da consegnare uno strumento innovativo al decisore politico, a supporto della pianificazione strategica, della programmazione sanitaria e della distribuzione delle risorse secondo le esigenze di salute della popolazione.
  Il modello proverà peraltro a simulare l'impatto delle manovre non solo sul perimetro del Servizio sanitario nazionale, ma anche sul welfare nel suo complesso, misurando gli effetti delle potenziali azioni sia sul fondo sanitario nazionale che su tutte le voci di spesa a carico del bilancio dello Stato.
  In questo percorso innovativo assume particolare importanza anche la revisione dei criteri della griglia LEA, che costituisce tuttora l'unico strumento in grado di misurare il livello delle prestazioni sanitarie a beneficio dei cittadini. A tal riguardo sono lieta di informare, per chi non lo sapesse già, che lo schema del decreto interministeriale, che innova il nuovo sistema di garanzia dei LEA per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria introducendo finalmente indicatori omogenei, misurabili e solidi, ha acquisito l'intesa della Conferenza delle regioni e delle province autonome il 13 dicembre dello scorso anno, con l'impegno di farlo entrare in vigore a partire dal 2020, quindi per tutto il 2019 sarà ancora in fase sperimentale.
  Sempre sul campo della misurazione delle performance sanitarie grazie ai nuovi strumenti informativi, sui quali molto sta investendo il Ministero della salute, desidero accennare anche al tema della mobilità sanitaria extraregionale, che rappresenta senza dubbio un fenomeno da ridurre con forza. Grazie ai già citati sistemi di interconnessione informativa, si renderà infatti possibile una mappatura precisa dei flussi, declinati per tipologia di prestazione, che consentirà di individuare le situazioni di specifica carenza dell'offerta e di agevolare la redazione di un piano di contrasto della mobilità passiva, in grado di potenziare la capacità di offerta nei settori rivelatisi critici.
  Analogamente, si renderà possibile scoraggiare il ricorso a pratiche inappropriate o a comportamenti opportunistici da parte di erogatori che agiscono fuori dalla competenza regionale. A tal fine, sarà importante definire nell'ambito dell'apposito tavolo tecnico interistituzionale già istituito al ministero la corretta e piena definizione delle prestazioni di ricovero di alta complessità, che attualmente in via transitoria sono definite all'interno del vigente accordo interregionale di mobilità.
  Prima di concludere, è giusto rendere alcuni elementi sul processo tuttora in atto di riconoscimento di maggiore autonomia alle regioni che ne hanno fatto richiesta, alle quali da ultimo si è aggiunto anche il Piemonte.
  Preliminarmente è necessario ribadire che il Governo crede molto nel percorso avviato, per il quale allo stato attuale sono in corso approfondimenti, che vanno anche oltre l'ambito sanitario. Non vi è dubbio in realtà che proprio questo ambito abbia una sua particolare specificità, perché (è la stessa Costituzione a dircelo) dovranno in ogni caso rimanere invariati i principi di fondo del nostro sistema sanitario, riconducibili in estrema sintesi ai concetti di universalità e unitarietà.
  Allo stesso tempo, non si può sottacere come il complessivo equilibrio di un sistema plurale quale quello delle autonomie, in particolar modo di un sistema integrato quale quello della sanità, impone che al riconoscimento di maggiori poteri debba necessariamente corrispondere l'intensificarsi dei relativi controlli da parte di chi, nell'ambito dell'ordinamento, svolge un ruolo di garante dell'unitarietà delle prestazioni su tutto il territorio nazionale.
  Fatte queste premesse, è altrettanto ovvio che le istanze delle regioni finalizzate ad accrescere le loro prerogative organizzative, ad intensificare l'autonomia della gestione e nella provvista di personale, nonché ad assicurare ulteriore opportunità di Pag. 7formazione anche specialistica sono viste con estremo favore dal Ministero della salute.
  A mio parere tali facoltà dovrebbero essere riconosciute a tutte le regioni, in modo da avanzare davvero nel percorso di autonomia che la nostra Costituzione già riconosce alle regioni. Sono questi i valori che hanno condotto finora il ministero nel tavolo delle trattative con le regioni, le quali hanno dimostrato notevole serietà nel comprendere come essi siano davvero princìpi irretrattabili e non comprimibili.
  Resta ovviamente fermo che la stessa serietà e la stessa assenza di pregiudizi ideologici dovrà caratterizzarne anche la prossima fase, nella quale andranno definite le modalità di attribuzione delle risorse a sostegno delle accresciute autonomie.
  Vengo ora alle conclusioni. In questi anni il Servizio sanitario nazionale, pur avendo garantito un sostanziale universalismo, sembra avere tradito alcune aspettative, prima fra tutte quella della disparità geografica. Il divario nord/sud rimane evidente e in larga misura immutato in termini di servizi offerti per quantità e qualità di speranza di vita, di accesso alle cure e di liste di attesa. Ne è ulteriore testimone l'ormai insostenibile peso della migrazione sanitaria, che affligge una consistente porzione dei nostri concittadini che risiedono al centro-sud.
  Il primo obiettivo del Ministero della salute non può che essere dunque ridurre le disuguaglianze, e per fare ciò torneranno utili le iniziative di cui ho dato conto, rivolte a perfezionare, se non a superare, il meccanismo dei costi standard, e a contenere, se non eliminare, le ingiustificate differenziali di costo nell'acquisizione di beni e servizi.
  Pur nella piena consapevolezza della preminenza, ben scolpita nel nostro ordinamento, del ruolo regionale in materia sanitaria, va anche detto che l'attuazione dei piani di rientro, l'andamento dei commissariamenti e l'applicazione dei Patti per la salute ci dicono che il sistema nel suo complesso necessita di una manutenzione straordinaria, che non può prescindere da un ripensamento del ruolo del Governo centrale.
  Ancora oggi, purtroppo, scontiamo gli errori del passato, determinati da quella sovrapposizione squisitamente terminologica tra un vero, auspicato decentramento e un federalismo veramente compiuto. Ciò ha avuto un riflesso grave sul sistema, rappresentato da una chiara e netta frammentazione della programmazione sanitaria e dei centri di spesa, che sta mettendo a rischio la salute dei cittadini, privandoli in molti casi della garanzia costituzionale della tutela del diritto alla salute.
  Già oggi e sempre più nel futuro il Servizio sanitario dovrà affrontare sfide importanti in termini di accesso all'innovazione tecnologica, organizzativa e di gestione della cronicità, e questo richiede da subito, se si crede davvero come ci credo io nel carattere universalistico del nostro Servizio sanitario nazionale, un ripensamento delle modalità di programmazione delle politiche sanitarie e di distribuzione delle risorse, secondo metodologie basate sul valore, sull'equità e sull'appropriatezza.
  Tante altre sono le sfide per il nostro Servizio sanitario nazionale, nuovi e importanti flussi migratori influenzano l'Italia, che per la sua posizione sia geografica che etica non può esimersi dall'assumere importanti responsabilità. Allo stesso tempo, il progressivo invecchiamento della popolazione richiede un nuovo sforzo assistenziale. La nostra popolazione è la più anziana d'Europa, con il 22 per cento degli over 65 e il 7 per cento di over 80, e nel 2050 arriverà a toccare la quota di 63,5 milioni di persone (più 4,6 per cento) con un'età media stimata dagli attuali 44,7 agli oltre 50 anni nel 2065.
  Si aggrava il peso delle malattie croniche, che assorbono ormai il 70-80 per cento del budget dei sistemi sanitari, mentre le principali cause di morte sono le malattie del sistema circolatorio (quasi il 37 per cento) e i tumori (quasi il 30).
  Aumentano le differenze fra i territori a causa del sempre più persistente fenomeno del turismo sanitario. Tutte queste dinamiche devono confrontarsi con la continua innovazione tecnologica, che al giorno d'oggi Pag. 8è in grado di offrire nuove e importanti opportunità in molti campi dell'agire umano sia in termini di consumi sanitari, sia in termini di stili di vita.
  Il paziente è cambiato ed è sempre più informato, consapevole e connesso; sono disponibili nuove terapie e farmaci più efficaci, che rendono possibile un miglioramento delle cure, mentre l'innovazione consente di risparmiare risorse da reinvestire in servizi di qualità. In quest'ottica è importante investire nella prevenzione e promozione della salute lungo il corso dell'esistenza, per garantire alla popolazione un futuro in salute all'insegna di uno sviluppo più sostenibile.
  Allo stesso tempo, il nostro impegno deve essere rivolto a ridurre e contrastare le disuguaglianze di salute, affrontando tutti i determinanti socioculturali, ambientali ed emotivi che impattano sui contesti di vita e sulle scelte dei singoli, migliorando la qualità di vita delle persone e favorendo la produttività in età lavorativa e il mantenimento dell'autosufficienza in età più avanzata, anche attraverso un maggior coinvolgimento della comunità e dei suoi gruppi di interesse.
  Il Sistema sanitario italiano si trova ad essere allo stesso tempo parte integrata e integrante di questi cambiamenti. Non vi è dubbio che in questi anni i conti siano stati messi in sicurezza, il sistema perdeva oltre 5 miliardi di euro l'anno nel 2007 e 2 miliardi nel 2012, mentre nel 2017 i bilanci, tranne uno che è negativo, quello della Calabria, segnano un disavanzo di circa 1 miliardo, con coperture fiscali ben superiori.
  Il sistema quindi è ormai finanziariamente stabile ed economicamente quasi in equilibrio, tuttavia ad oggi il monitoraggio della spesa per la salute avviene essenzialmente in una logica per fattori, favorendo il contenimento della spesa in modo immediato, solamente attraverso l'uso di budget a silos e quindi l'applicazione di tagli lineari su singole voci.
  L'impatto di queste misure ha certamente consentito nel breve termine un'effettiva riduzione della spesa pubblica, tuttavia, superato il momento critico dal punto di vista finanziario, è adesso necessario rimuovere gli effetti negativi di questa impostazione. Il monitoraggio dei consumi e spesa per singoli fattori infatti fa perdere di vista le interazioni fra questi. Per fare un esempio, una nuova tecnologia più costosa in sé, ma che consenta risparmi in ricoveri, altri farmaci o che riduca il carico economico vissuto dal paziente rischia di essere solo osservata come costo e non come investimento.
  In questo quadro lo strumento della spending review non appare più in grado di rendere sostenibile il sistema sanitario nel lungo periodo. Le azioni da mettere in campo dovranno quindi essere necessariamente dirompenti e innovatrici sull'assetto istituzionale e sui suoi strumenti.
  Sulla base di questo ragionamento è evidente la necessità di condurre gli studi in una prospettiva orizzontale, ovvero per patologia. In definitiva, è arrivato il momento di abbandonare i vecchi schemi imperniati sulla spesa storica, per acquisire una nuova visione che reingegnerizzi la governance sanitaria.
  Al tempo stesso va rafforzata la collaborazione con il sistema delle imprese, che sono portatrici di innovazioni e soluzioni, e che dunque rappresentano dei veri partner del sistema.
  Il lavoro da fare è sinceramente tanto ed in salita, ma si sta finalmente affermando un nuovo modello di governance e di programmazione, che sta cominciando a dare i suoi primi frutti, a partire dal nuovo sistema di garanzia che è già stato approvato in Conferenza Stato regioni.
  Siamo all'inizio di un cammino lungo, ma siamo sicuri che questa sia la direzione giusta. Allego anche una serie di tabelle sugli impatti economici e anche sulla limitatezza del sistema di rilevazione dei LEA, che voi ben conoscete.

  PRESIDENTE. Grazie mille, ministro, per la precisione, ha conciliato le esigenze di chiarezza con quelle della velocità nell'esposizione.
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  GIAN MARIO FRAGOMELI. Grazie, presidente. Grazie al ministro per la relazione realmente esaustiva. Siamo tra coloro che hanno chiesto l'audizione del Ministro della salute, perché crediamo nell'importanza del ruolo di questo ministero, perché quando parliamo di autonomia differenziata e non conciliamo questo tema con una questione fondamentale come quella della salute è difficile fare prospettazioni concrete rispetto ai processi di autonomia differenziata.
  Vengo però subito alle questioni. Bene questo tavolo tecnico interministeriale con le regioni, che vuole produrre un maggiore approfondimento sul tema delle risorse e su come vengono dislocate. Noi vorremmo confrontarci su un tema che lei ha evidenziato, quello di una forma di parallelismo tra le regioni e il benchmark regionale delle regioni che funzionano, a dispetto di quello che è stata in questi anni invece una gestione commissariale, che ha prodotto un ulteriore ritardo di sviluppo di queste regioni, perché sappiamo che, oltre a non avere una struttura regionale che gestisce il servizio sanitario a livello regionale organizzativamente, aveva anche delle difficoltà nel prospettare aumenti di spesa, perché giustamente aveva dei blocchi.
  Abbiamo quindi un ulteriore ritardo che si è accumulato in questa gestione parallela, e la cosa che ci preoccupa di più è, come lei ha evidenziato, come ne veniamo fuori in qualsiasi prospettazione di organizzazione della distribuzione delle risorse.
  Questo stock degli investimenti, che oggi crea una deficitarietà strutturale in alcuni contesti, o viene portato avanti in parallelo attraverso un fondo infrastrutturale vero, nazionale, che subentri in alcuni contesti per efficientarli in modo pieno o altrimenti rischiamo che la gestione commissariale abbia tagliato i costi a livello di parte corrente, ma non abbia creato quell'infrastrutturazione necessaria, che con la tecnologia e con altri sistemi potesse portare a lungo termine a una risoluzione della gestione regionale della sanità.
  Da questo punto di vista crediamo che in questo settore il Ministero della salute possa dare molto alla partita dell'autonomia differenziata nel momento in cui diventa esso stesso non solo un benchmark verticale nelle risorse tra Stato e regioni, ma anche un benchmark orizzontale tra le diverse materie che sono sul tavolo del regionalismo differenziato, che ponga delle condizioni su come si deve prospettare una ripartizione delle risorse.
  Oggi, infatti, se dovessimo optare per una certa direzione di ridistribuzione delle risorse a livello regionale, ci troveremmo di fronte a regioni che non sono efficientate, che hanno un profondo ritardo strutturale, che sono in difficoltà gestionale dal punto vista di parte corrente, quindi rischieremmo di lasciarle lì nel guado, senza trovare una soluzione.
  Lei ha affrontato il tema dei fabbisogni standard che sono avanti, i LEA ci sono e sono stati appena rivisitati nel 2017 e lei ha ribadito anche come vengono affrontati, c'è un'idea di rivisitazione dei fabbisogni standard (io li collego molto, perché secondo me se non partiamo dai fabbisogni standard anche per costruire i LEP, mi sembra difficile andare avanti), quindi da questo punto di vista lei giustamente ci ha detto che oggi i fabbisogni standard sono impostati in un certo modo, noi abbiamo voluto sentire anche i comuni e tutti i soggetti interessati della Commissione tecnica, che oggi è ferma, quindi c'è un processo che si vuole portare avanti dal punto vista politico, poi da un punto di vista tecnico siamo completamente fermi.
  Siccome quando si parla di autonomia differenziata l'unitarietà della gestione della salute a livello nazionale è un tema fondamentale, ne consegue che il Ministero della salute deve avere un ruolo preminente nello sviluppare per primo e magari rivedere i fabbisogni standard, capire quali nuove metodologie possano accompagnare questo processo, perché altrimenti diventa una questione prettamente politica che non si posa sulla reale problematica.
  Vorrei quindi capire se questa divaricazione di realtà territoriale italiana tra nord e sud in particolare tra le due gestioni possa essere recuperata solo attraverso uno stock degli investimenti dedicato, quindi un fondo infrastrutturale che lavori in parallelo, Pag. 10 senza occuparci solo della parte corrente che è un tema importante, o diversamente sulla parte corrente come costruiamo un sistema in materia di salute che possa creare un maggiore efficientamento, ma che tenga conto dei fabbisogni dei diversi territori, perché continuiamo a parlare dell'importanza dell'autonomia differenziata, ma non entriamo nel merito su come farla, non abbiamo ad oggi un progetto vero, stilato dal ministero competente o dalla Commissione tecnica, siamo un po’ fermi.
  In merito al Fondo sanitario, 114 miliardi di euro di risorse, laddove la vera ripartizione tra le regioni avviene da tempo sul sistema sanitario, cosa pensa lei di queste due questioni, quella degli investimenti e quella di un efficientamento della spesa corrente?

  MARCO PEROSINO. Le do atto che lei dirige il settore più delicato e più difficile da organizzare di tutti i settori pubblici, settore in cui credo che si debba spendere tutto quello che è necessario. Sono disposto a economizzare su tutti gli altri, ma su questo no.
  Premesso questo, lei ha accennato ad alcune questioni e provo ad andare agli esempi che mi hanno toccato, di cui siamo a conoscenza e parliamo in varie occasioni. La mobilità sanitaria: dovendo le regioni del sud pagare quelle del nord, questo porta ad un aumento dei costi, che quindi non risolve i problemi, ma li aggrava. Se la sanità del sud fosse ritenuta, avendo delle oasi stupende, mediamente di qualità sufficiente dagli utenti, potrebbe diminuirsi questo costo e colmare certe disparità.
  Collegato a questo è il tema dei costi e prezzi standard, che sono due cose diverse, ma sono una piaga che, evidenziando talora differenze che i giornali si divertono ad amplificare, emerge in maniera vistosa. Nella sanità c'è troppa disparità tra i costi amministrativi e i costi sanitari, e i costi amministrativi possono essere contenuti a mio avviso (è un indirizzo generale che mi permetto di dare).
  A volte manca il personale, quindi infermieri e medici, mentre i dirigenti amministrativi, lautamente pagati, prosperano, sono in numero esagerato e vivono di indagini statistiche e di studi alcuni seri, altri superflui.
  Non sono riuscito a capire bene, forse perché lei ha dovuto leggere in maniera rapida, cosa alla luce del federalismo sia ipotizzabile oltre ai costi standard, perché su questi possiamo discutere, a meno che accettiamo un principio che i costi sono in base alla popolazione e buonanotte, ma non è solo così perché diciamo costi standard, però poi facciamo i fondi perequativi e torniamo da dove eravamo partiti. Le chiedo quindi se ha qualche idea in più per capire tempi e modi e cosa vuol dire federalismo nella visione in cui si vuole andare rispetto al fatto che comunque la sanità è già una competenza regionale.
  Vorrei infine fare un accenno anche agli altri costi legati agli anziani e alla gestione del socio-assistenziale in generale, le case di riposo e quant'altro, altro settore che genera costi, per come sono gestite nord/sud, private/pubbliche, questioni un po’ confuse che riguardano gli indirizzi generali della sanità.

  ANGELA IANARO. Grazie, ministro, per la relazione esaustiva su un tema così complicato, fatta in tempo brevissimo e molto particolareggiata.
  La mia domanda riguarda un argomento già trattato dai colleghi, relativo all'attuazione dei meccanismi perequativi previsti dalla legge attuativa della riforma costituzionale. Come sappiamo, attualmente il sistema non funziona sulla base della legge attuativa del decreto legislativo del 2011, come lei ha ricordato, ma piuttosto su alcuni meccanismi del decreto-legge 2000, basato essenzialmente su un finanziamento che fa ricorso alla fiscalità regionale, anche se con un meccanismo perequativo che assicura un corretto finanziamento.
  Come ritiene di realizzare questi meccanismi perequativi previsti dal decreto legislativo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2013, ma che non è mai andato a regime, però in base all'articolo 1 della legge di bilancio del 2018 dovrebbe entrare a pieno regime già dal 2020? Questo è importante per tantissimi aspetti, perché esistono regioni con una capacità fiscale Pag. 11molto superiore ad altre e quindi è necessario, in un'ottica di rispetto del bilancio che è sempre importantissima nell'ambito del ricorso alle cure, tener conto della necessità di convergere verso un'unità di funzionamento del sistema su tutto il territorio nazionale. Grazie.

  PAOLO SAVIANE. Anch'io mi associo ai ringraziamenti al ministro per la relazione molto esaustiva e precisa. Vorrei soffermarmi su quello che è stato detto in merito alla diversità delle regioni e alle prestazioni erogate.
  La scorsa settimana abbiamo ascoltato il Governatore Luca Zaia elencare i dati della regione Veneto; la competitività secondo me ha giovato, perché in alcune regioni si è sviluppata nella ricerca dell'innovazione soprattutto per dare maggiori servizi sanitari.
  Dispiace che alcune regioni del Paese non abbiano colto questa opportunità, quindi apprezzo molto che lei abbia detto che, al di là della giusta autonomia, debbano esserci i controlli, perché la responsabilità è di chi viene chiamato alla gestione.
  Come Stato sarei quindi molto severo nel controllare e, se una regione non è in grado di gestire, nell'intervenire con dei commissariamenti. Le regioni che invece fanno le scelte giuste, innovano, danno fiducia ai nostri medici, ai nostri primari, perché abbiamo delle eccellenze; solo in questo modo potremmo quindi livellare quelle che sono le prestazioni, altrimenti dovremo continuare ad assistere a questo turismo sanitario che non fa bene a nessuno.
  Vorrei sapere quindi a che punto sia il dialogo con le regioni che hanno chiesto l'autonomia. Grazie.

  VASCO ERRANI. Grazie, ministro. Sono convinto da tempo che siamo in una fase decisiva della tenuta o meno del Sistema sanitario nazionale. Dall'analisi che lei ha fatto emergono a mio parere due elementi. Il primo: la gestione del rientro economico ha piegato in modo drammatico, in chiave economicistica, la gestione della sanità. Ciò si è aggravato ancora di più con l'esaurimento dell'ex articolo 20 e delle dinamiche di investimento.
  A questo aggiungiamo le cose che lei ha sottolineato, cioè l'innovazione tecnologica, l'invecchiamento della popolazione che rappresenterà la vera svolta del sistema sanitario, perché siamo di fronte a dei dati che dovranno necessariamente cambiare l'attuale impianto assistenziale, anche quello delle regioni avanzate, positive.
  Sono d'accordo con lei, l'autonomia in sanità c'è già, e, da quanto si conosce, stiamo dentro a un dibattito strano, in cui non conosciamo effettivamente di cosa stiamo parlando, conosciamo ragionamenti generali, ma sarebbe giusto che l'autonomia sul personale fosse non delle tre o quattro o sette regioni che lo chiedono, ma fosse per tutte le regioni, e si costruisse un nuovo rapporto tra il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze, perché, ministro, in questi anni è il MEF che ha fatto le politiche della sanità, non il Ministero della sanità.
  Questa è una scelta che ha attraversato le diverse posizioni politiche, se vogliamo essere obiettivi, è cominciata con un Governo, è proseguita con un altro. Non riesco quindi a comprendere come rafforziamo il ruolo di programmazione e inquadramento del Ministero della salute, che è determinante, con un ragionamento dell'autonomia, che mi sembra abbastanza astratto, perché non si capisce cosa di più debbano avere le regioni.
  Vorrei precisare da questo punto di vista che il tema della formazione, che è un'emergenza nazionale, perché non abbiamo medici, né infermieri, è un tema che attiene prima di tutto ad una riforma, ministro, che questo Governo dovrebbe fare in relazione all'università, alle facoltà mediche, alla programmazione delle figure professionali. Siamo in emergenza, siamo in un Paese dove per fare gli anestesisti abbiamo un problema perché c'è la medicina difensiva e si continua a produrre figure professionali di cui non avremmo più bisogno!
  Nello stesso tempo, con il numero chiuso abbiamo perfino l'emergenza dei medici di Pag. 12medicina generale. Il punto fondamentale è la programmazione nazionale.
  Su questa cosa della mobilità, attenzione: la mobilità inappropriata, che è enorme, è legata a diversi fattori, perché c'è la mobilità anche sull'appendicite, dove non esiste emergenza, perché anche nelle regioni del sud sono in grado di farla. Il problema è che ci sono canali paralleli e sotterranei che non si riescono a interrompere e, se le regioni del nord non fanno accordi per fermare la mobilità inappropriata, ma danno perfino la priorità a quelli che vengono da fuori per aggregare mobilità, proprio non ci siamo.
  Nemmeno il Canada ha fatto i costi standard, i costi standard in sanità sono un processo che si realizza solo nella misura in cui c'è una programmazione condivisa, una governance integrata. Io sono un regionalista e credo di averlo anche dimostrato, ma non vorrei mai che la regione Emilia-Romagna, a cui sono legatissimo, potesse fare quel che vuole sulla sanità, perché il Servizio sanitario è nazionale, quindi ci vuole una governance integrata.
  Sul federalismo fiscale non c'è dubbio che siamo ancora indietro, perché l'impianto si è fermato (lo avete detto tutti), perché si è persa ogni tensione da questo punto di vista. Toccare il tema del residuo fiscale significa toccare (fatemela dire così, in breve) la redistribuzione e riallocazione del debito, altrimenti questo Paese va a catafascio, quindi conviene prendere una strada diversa.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore. Abbiamo ancora tre richieste di intervento, però, visto che gli argomenti sono copiosi, vi chiederei di contenerle in flash, altrimenti il ministro non ha tempo di replicare.

  STEFANO COLLINA. Grazie. Rinnovo l'apprezzamento per la relazione del ministro, che non solo per la completezza, ma anche per i contenuti e l'organizzazione mi ha colpito positivamente.
  La domanda è semplice. Posto che mi sembra consapevolezza di tutti che il Sistema sanitario sia uno degli aspetti centrali di questo processo di applicazione del regionalismo differenziato, come pensa che il percorso debba essere impostato? Dal punto di vista del ministero quali passi devono essere messi uno dietro l'altro per poter dare compiutezza a questo percorso, considerate le sensibilità del ministero e gli obiettivi che lei ha dichiarato di voler mettere nel mirino per i prossimi anni?
  Questo è un tema che nella nostra Commissione stiamo affrontando e stiamo cercando di sviscerare. Mi sembra che il punto di vista del Ministero della salute sia importante. Non voglio dire che detti i tempi di questo processo, ma secondo me ci siamo vicini.

  ROGER DE MENECH. Dobbiamo tenere assieme il principio dell'unità nazionale del sistema sanitario, ma con la necessità di venire incontro alle richieste che hanno fatto in maniera molto chiara i tre presidenti che stanno costruendo l'intesa.
  Come usciamo, da una parte, a mantenere salda la programmazione nazionale, e quindi l'indirizzo nazionale rispetto al diritto alla salute universale, riuscendo però ad aderire alle richieste che sono dentro il principio federalista di un grado di autonomia e responsabilità maggiore delle regioni che sul profilo della responsabilità hanno dimostrato di essere – la taglio con l'accetta per essere veloce – a posto sia con i conti sia con gli standard del servizio?
  Dovremmo garantire, dentro un cardine nazionale, più flessibilità alle regioni virtuose, e magari aumentare i controlli per quelle che invece il principio virtuoso non lo mettono in campo. A che cosa serve questo? C'è un problema enorme, come ha già detto il collega Errani, relativamente alla capacità di produrre anche il personale professionale. C'è un problema enorme che sta esplodendo in tutte le regioni d'Italia. Il principio di autonomia serve anche a distribuire in maniera razionale il servizio sul territorio. Le faccio un esempio che mi pare sia entrato anche nella base delle bozze delle intese.
  C'è un problema enorme rispetto alle aree interne, alle zone di montagna, agli ospedali periferici. I medici non vanno più in quegli ospedali. Il differenziale stipendiale Pag. 13 può essere uno stimolo a ricostruire un sistema efficiente articolato sul territorio. Io provengo da una di queste province, aree interne, dalla provincia di Belluno, e qui c'è il doppio problema: non ci sono medici, e i pochi che ci sono lassù non arrivano.
  A che cosa serve il federalismo? A garantire che, fatto 100 il budget della regione x, che ha dimostrato efficienza, possa articolare la spesa per garantire il servizio universale partendo dai presupposti di un servizio universale garantito dalla programmazione nazionale. Come la pensa su questo? Nel sistema sanitario, fortemente regionale, ci sono già l'autonomia e il federalismo.
  La seconda domanda è: come riusciamo a garantire l'articolazione non soltanto Stato-regione, ma Stato-regione-territori? Oggi, il sistema sanitario è influenzato fortemente anche dalla capacità dei territori di fornire tutti quei servizi socioassistenziali di prossimità che sono fondamentali anche con il cambio della conformazione geografica, ma soprattutto demografica, del nostro Paese. Parlo dei servizi per la terza età e così via. Qui il ruolo degli enti locali, comuni e province, diventa fondamentale quanto quello delle regioni. Dobbiamo articolarli in maniera intelligente.

  PAOLO RUSSO. Esprimo il mio apprezzamento al ministro per l'analisi, salvo qualche timidezza sulle cose da fare, sulla proposta. O meglio, ministro, noi scontiamo la rigidità del sistema, nel senso di un riparto per abitante, e una sostanziale incapacità di dare risposta a quella che lei, viceversa, prova a misurare, e cioè la domanda singola di salute del cittadino. Peraltro, se riuscissimo a dare quella risposta di salute alla domanda singola del cittadino, forse non avremmo nemmeno la necessità di regionalizzare ulteriormente talune gestioni, perché avremmo capacità esattamente di rispondere a quella domanda.
  Mi aiuti su due questioni.
  Riusciamo a squarciare questo nuovo segreto di Stato delle intese? Non riusciamo a capire quale sia lo stato dell'arte per quanto riguarda la sanità. Non ci vengono detti quali sono i punti di contatto, quali i punti sui quali già c'è sintesi e quali, viceversa, i punti di distanza.
  Quanto a fabbisogni e costi standard, anche lei ha ribadito come non si possa tutto misurare attraverso il costo unitario di un servizio, ma in qualche misura bisogna pur dare un equilibrio al sistema dal punto di vista del costo nazionale. Vi è, però, su quel fabbisogno misurato in alcune regioni una carenza infrastrutturale. A quella carente risposta di salute della regione corrisponde, non soltanto un'incapacità talvolta organizzativa, ma anche una carenza infrastrutturale, un'obsolescenza alberghiera, un'obsolescenza tecnologica. A quella come rispondiamo dal punto di vista del riparto delle risorse, anche in vista della partita del federalismo regionale?

  ALESSANDRO CATTANEO. Parlare di sanità all'interno del quadro dell'autonomia e del federalismo fiscale significa parlare della prima voce di spesa, e quindi è determinante. Le scelte che si fanno poi ricadono sulla reale autonomia che assegneremo in una revisione dei livelli di governo dei territori.
  Ho ascoltato con interesse la sua relazione, ma vorrei sentire il suo parere su un tema di rapporto pubblico-privato, su cui non si è soffermata. Un rapporto pubblico-privato, nel raggiungimento degli obiettivi di salute pubblica e di garanzia del diritto universale, può essere un valore aggiunto? C'è un tema di organizzazione dei servizi?
  In Lombardia, regione da cui provengo, come sa, vi è un modello che è stato da tempo avviato e che ha dato – io ritengo – buoni risultati. Vorrei un focus sulla possibilità che questo tipo di interazione aiuti nel perseguimento anche degli obiettivi di efficienza e, nello stesso tempo, di risposta in salute pubblica.

  PRESIDENTE. Do la parola alla signora ministra per la replica.

  GIULIA GRILLO, Ministra della salute. Cercherò di rispondere innanzitutto un po’ in generale sulla questione dell'interlocuzione con le regioni, perché è una domanda Pag. 14abbastanza trasversale, quindi riprendo un po’ delle domande che mi sono state fatte.
  Ovviamente, le tre regioni hanno chiesto diverse funzioni rispetto all'autonomia, quindi non tutte uguali. Sicuramente, c'è una parte di queste richieste che è identica e che attiene al personale, come giustamente ha richiamato De Menech.
  La questione del personale, richiamata anche dal senatore Errani, rappresenta la questione delle questioni. Di fatto, riguarda tutto il Paese e riguarda una serie di ritardi sia di riforme sia di programmazione che non sono stati affrontati in questi anni e che stanno mettendo in grandissima difficoltà tutte le regioni, a partire dalla questione, come già ricordato dal senatore Errani, dei medici di medicina generale, che io sto cercando di risolvere in un decreto, con resistenze enormi da parte della federazione dei medici di medicina generale.
  Il tema grande è questo. Questa è una mia valutazione, quindi può anche essere sbagliata, ma io credo che lo Stato centrale non sia stato in questi vent'anni in grado di fornire risposte adeguate per tutte le resistenze che ora le federazioni, ora i sindacati, ora qualche regione, ora qualche università hanno opposto, impedendo un processo di cambiamento.
  Questo impedire un processo di cambiamento ha portato difficoltà alle regioni, che poi giustamente sui territori devono erogare i servizi. Non ci sono io in un'ASP quando nessuno risponde al bando sulla medicina generale, ci sono i territori, che devono dare le risposte.
  Le risposte hanno difficoltà, in questo periodo, a darle, perché i Governi che si sono succeduti, per non fare scontenta una sigla o un'altra o un amico professore all'università, hanno bloccato tutto il sistema. Dico la verità e la racconto per quello che è.
  Sulla medicina generale non abbiamo recepito interamente la direttiva europea che dava la possibilità, per esempio, di fare il part-time, quindi di far sì che i medici di medicina generale, mentre si formavano, potessero contemporaneamente prendere i posti in graduatoria. Che cosa è successo? I medici di medicina generale senza titoli, senza titoli, fanno tutto, ma ovviamente non possono prendere il posto di titolare perché nel frattempo non hanno potuto prendere il titolo. Abbiamo alimentato, così, precariato di gente non specialista.
  Lo stesso è successo per l'area dell'emergenza. Allora, la proposta delle regioni – sono tutte cose su cui le regioni mi hanno chiesto l'autonomia, per questo ne sto parlando – hanno detto: noi facciamo i bandi per i concorsi nell'area dell'emergenza urgenza, ma con i titoli non si presenta nessuno. Perché? Perché le scuole di specializzazione dell'area dell'emergenza urgenza sono partite tardi, quindi gli specialisti dell'area dell'emergenza sono pochissimi; gli specialisti nelle aree equipollenti sono pochissimi, perché nel frattempo sono quelli carenti, per esempio gli anestesisti, e quindi non ci sono persone con i titoli. Che cosa si fa? Prendiamo gente senza titoli, precari. Questo succede.
  Il ministro dice: signori, facciamo accedere ai concorsi quelli che per cinque anni hanno lavorato in maniera continuativa o non continuativa nei pronto soccorso. Sono cose che mi chiedono le regioni e sono ragionevoli, tanto a un certo punto bisogna prenderli a lavorare, sennò si chiudono i pronto soccorso. La verità è che il pronto soccorso, oggi, con persone col titolo non lo posso tenere aperto, punto. Non ci sono altre discussioni. Bisogna risolvere l'emergenza.
  E l'emergenza è far sì che questa gente, che ha lavorato per vent'anni, per trent'anni, sia non più precaria, anche perché un precario al pronto soccorso non è il massimo. Già è stressato, quel soggetto, al pronto soccorso, perché è un lavoro difficile, duro. Per giunta, appena può, scappa. Addirittura, in Veneto gente che ha vinto il concorso se n'è andata, mi risulta, perché lavorare nell'area dell'emergenza – ci dobbiamo dire anche quest'altra verità – non è uguale a lavorare in una corsia di un reparto specialistico di dermatologia. Lo dico da medico.
  Dobbiamo cominciare a immaginare che ci siano delle aree specialistiche che vanno incentivate. L'anestesia va incentivata. Io Pag. 15mi sono laureata nel 1999, e nel 1999 c'era carenza di anestesisti. Mio padre è anestesista e, quando si è specializzato in anestesia, venne fatto anche all'epoca un provvedimento «di sanatoria» perché mancavano anestesisti, quindi li misero tutti dentro, tutti quelli che avevano cominciato a fare anestesia. È possibile mai che in cinquant'anni nessuno abbia pensato di incentivarli? L'anestesia è più difficile, più rischiosa, si ha la vita dei pazienti nelle mani, se il paziente muore si subisce un processo per omicidio colposo. È così. Vanno incentivati.
  Vanno incentivati quelli che vanno nelle zone disagiate? Sì, sennò non ci va nessuno. Non ci vanno i pediatri di libera scelta, non ci vanno i medici di medicina generale. Sembra che queste cose non si possano dire, ma se non vengono corrette, mettono in ginocchio il sistema.
  Quando le regioni mi chiedono questo e si alzano tutti i teorici dell'unità – io sono la prima a essere per l'unità – che cosa devo rispondere alle regioni? Sapete, dobbiamo contrattare con questa sigla, questa sigla, questa sigla, questa sigla, questa sigla, questa sigla, questa sigla, questa sigla, giusto? Poi tutte queste sigle non sono mai contente.
  Io credo che in Italia abbiamo una bellissima realtà associativa, ma a un certo punto troppi interlocutori non ti portano a una soluzione. Su questi due temi che vi ho appena accennato faccio riunioni da settembre coi sindacati, con la FIMMG, con le regioni, con tutti. Se una cosa va bene a uno, non va bene a un altro. Io, come Ministro della salute, ho solo un interesse: assicurare un servizio dignitoso. Non porto avanti un interesse corporativistico. Porto avanti l'interesse di dare un servizio a tutti.
  Tra le richieste che mi hanno fatto le regioni, la prima era quella sullo sblocco del tetto delle assunzioni. Ve le racconto proprio in fila. Su questo abbiamo fatto un grosso passo avanti con un'intesa, anche grazie alle regioni, che vale per tutta Italia. È chiaro che per le regioni che hanno più soldi è più positivo. Poi parleremo della questione che qualcuno mi ha posto sulle regioni che raccolgono un'eredità molto pesante. La prima richiesta, quindi, è stata questa e mi sembra che abbiamo raggiunto un accordo nazionale.
  La seconda richiesta riguarda tutto quello che vi ho appena detto: posso avere autonomia, io regione, nel gestirmi tutte queste situazioni critiche, a partire dal pronto soccorso per passare alle posizioni carenti della medicina generale e della pediatria di libera scelta, alle carenze di specialisti? Ho, quindi, la possibilità di utilizzare i medici già in formazione? Questo è l'altro grande tema che sto cercando di affrontare, che tra l'altro faceva parte dell'ex articolo, mi pare, 22 del patto della salute, che è stato bloccato.
  Noi scontiamo anni e anni in cui c'è stata un'asimmetria tra i necessari profili professionali da assumere nelle regioni e i laureati. Abbiamo avuto sempre più laureati rispetto a quelli che sono entrati nelle scuole di specializzazione. Abbiamo, quindi, due problemi: i non entrati nella specialità e il non sufficiente numero di specialisti in alcune aree. Questi due problemi non sono stati mai risolti. Perché?
  Il tema non è il numero di borse. Bisogna cambiare la prospettiva. In Europa questo schema della borsa non c'è. Va bene che è un contratto di formazione, ma è sempre una borsa. Lo schema che c'è in Europa è: tu ti sei laureato? Bene, entri a lavorare in ospedale in un percorso di formazione, ma è come se tu fossi già un dipendente, poi puoi rimanere o te ne puoi andare. In linea di massima, di solito il medico rimane.
  Ieri sera, sono stata in una trasmissione, un bel programma in cui intervistavano dei giovani che erano andati in Germania – secondo me, il modello migliore è quello tedesco – che dicevano: sono arrivato già al secondo, al terzo anno di formazione, guadagno quanto guadagna un medico dopo vent'anni di lavoro in Italia; perché devo tornare? Hanno il posto assicurato, entrano in un percorso. Non hanno disoccupati medici. Un laureato in medicina ci costa 120.000 euro e poi lo regaliamo alla Francia e alla Germania, come se fossimo miliardari. Perché? Perché non riusciamo a cambiare questo sistema. Pag. 16
  Ci sono mille proposte. Ogni volta, sembra che bisogna infrangere il muro del suono appena cerchi di fare una riforma sostanziale. C'è sempre qualcuno che dice che non può essere. Questo è un altro tema, un'altra delle richieste che mi hanno fatto le regioni.
  Su questo stavo lavorando in questi mesi per una riforma nazionale. Se non ci riesco, non posso dire di no alle regioni. Queste devono garantire i servizi. Come si tiene aperta una sala operatoria senza l'anestesista? Ce la possiamo raccontare come vogliamo, ma come si tiene aperta? Io sono stata criticata, massacrata, insultata da professori, filosofi del nulla, quando poi c'è un problema. Mi dovete dire come rispondo quando una regione mi chiede come fa a tenere aperto un servizio.
  Sulla sanità – devo essere onesta – le richieste delle regioni derivano da esigenze reali, non dal fatto che volevano fare chissà che cosa. Io non parlo delle altre richieste di autonomia sugli altri temi, parlo per quello che è. E, guarda caso, le richieste principali erano proprio su quello a cui, da quando sono arrivata come ministro, ho cercato di mettere mano, con grandi difficoltà. Sono veramente disturbata dalla miopia con cui le persone si approcciano a quest'argomento. È una miopia. Pensare di continuare a bloccare questo cambiamento porterà inevitabilmente ad accogliere queste richieste per le regioni che le fanno. Quelli che non le fanno, non risolveranno questo problema. Questo succederà.
  Su queste cose l'atteggiamento del ministero è stato di essere assolutamente predisposti. Il fatto è che, però, io vorrei farlo per tutti, non solo per qualcuno. Questo è un problema che hanno tutti. Sono stata in Campania, e neanche lì si sono presentati gli specialisti con titoli ai concorsi dell'area dell'emergenza urgenza, così come ai concorsi dell'anestesia. Anche nelle regioni in piano di rientro si sono fatti i concorsi, non quanti nelle altre regioni, ma c'era stata già un'autorizzazione con i tavoli di monitoraggio, e qua torniamo al fatto che comanda il Ministero dell'economia e delle finanze, con i tavoli di monitoraggio, di fatto comanda il Ministero dell'economia e delle finanze. Questo è inutile che non ce lo diciamo.
  Questo tema, in realtà, riguarda tutti. Riguarda anche la Sicilia, su cui è stato fatto recentemente un provvedimento sulla medicina generale. A macchia di leopardo, è un tema delle zone disagiate, ma che abbiamo dappertutto, non solo in Veneto. C'è l'Appennino, ci sono tanti territori totalmente abbandonati. Abbiamo lo stesso problema: come convincere i medici e gli infermieri ad andare a lavorare in quei territori. Purtroppo, questo si collega a un progressivo spopolamento delle aree interne e rurali, ma c'è ancora della popolazione lì.
  Questo sta ponendo grandi problemi non solo relativamente al personale, ma anche ai piccoli ospedali, ai punti nascita. Si pone il problema di come garantire il servizio in sicurezza in alcuni territori, in alcune isole minori. È un tema complicatissimo. Abbiamo fatto presto a chiudere, perché è più facile, ma quelle persone lì continuano a vivere, e ogni tanto ci scappa il morto. È una questione su cui non voglio dirvi che ho tutte le soluzioni, ma sto cercando di capire come si può risolvere il problema.
  Per rispondere alla domanda finale sulla questione delle autonomie, su tutti questi temi c'è stata una grande apertura e abbiamo anche raggiunto un accordo con le regioni. Su altri argomenti, come la farmaceutica e la gestione regionale di definizione all'immissione in commercio, assolutamente no. Su questo per me c'è stato un no totale, ma perché non c'è un'esigenza reale. Al contrario, abbiamo un sistema europeo di autorizzazione per l'immissione in commercio dei farmaci che parte dall'EMA, quindi il livello non è regionale, ma proprio sovranazionale. Poi abbiamo un'Agenzia del farmaco, che ha ormai una serie di know-how, conoscenze e processi non replicabili a livello regionale. Lì si tratterebbe di un arretramento di cui non vi è assolutamente necessità. Naturalmente, i punti di vista – per carità – sono diversi e legittimi, ma su alcuni punti sono stata chiarissima. Pag. 17
  C'è stata, quindi, una grande disponibilità, ma in questa sede voglio anche ricordare quello che è successo con alcune figure di operatori sanitari, che erano stati formati con corsi di formazione regionale, che in parte mi dicono stiano continuando adesso, e che noi abbiamo dovuto «sanare» in legge di bilancio... Non so chi conosce la questione, ma quello è un campanello di allarme che ci deve far capire che queste richieste di autonomia legittima devono essere controllate e regolamentate. Diversamente, ci troviamo in una situazione come quella che abbiamo vissuto con tutte queste professioni sanitarie, per cui, siccome i corsi di formazione regionale sono completamente diversi, una figura formata in una regione per fare una cosa è diversa da una figura formata in un'altra regione per fare un'altra cosa. Questo è molto pericoloso.
  Che cosa deve derivare da qui? Che comunque, a fronte della richiesta di autonomia, lo Stato centrale deve essere in grado di dare delle linee guida uniformi. Non può dire: va’ e fa’ tutto quello che vuoi. Bisogna essere sempre centrati perché si appartiene a uno Stato. Oltretutto, gli operatori sanitari si spostano, non sono fissi là dentro, chiusi. Dobbiamo stare attenti. Una cosa sono gli incentivi, altro è quando si fanno, per esempio, delle contrattazioni regionali sui contratti di lavoro. Ci vuole lo Stato centrale che tenga in piedi l'unità. Ovviamente, a maggiori autonomie corrispondono maggiori controlli.
  Il tema non è – mi permetto di dire – quello di chi è stato più efficiente e di chi lo è stato di meno. Oggi, si può essere efficienti e domani lo si può diventare meno. Non è quello il punto. Il punto è che a maggiore libertà deve corrispondere anche maggiore possibilità di sanzione se quella libertà non è usata bene. Dico sempre che è chi c'è a far funzionare le cose. Su questo bisogna stare molto attenti.
  Ho parlato solamente di autonomie, quindi solo di funzioni. Non ho parlato del finanziamento di queste funzioni, perché quella è la seconda fase. Prima, si stabilisce quali funzioni si possono dare e in che termini, perché c'è l'articolo 116, ma c'è anche l'articolo 117, terzo comma. Bisogna stare attenti. Dopo, si deve definire come si finanziano quelle autonomie.
  In questa fase, come Ministro della salute, non sono stata né interpellata né coinvolta, in quanto questo dossier è in mano al Ministero dell'economia e delle finanze. Su questo, in questo momento, non posso darvi risposte, ma perché veramente non ne ho, altrimenti qualcosa ve l'avrei già detta. Non sono nelle condizioni di farlo.
  La prima parte è andata abbastanza bene. È stata molto lunga. I contatti con le regioni sono stati molto lunghi. Anche la ministra Stefani ha fatto un lavoro molto grande. Dal mio punto di vista, penso che abbiamo raggiunto una buona mediazione tra le richieste e quello che si poteva dare. È chiaro che è una mediazione. Non è che, se chiedi 100, hai 100. Viceversa, non è che, se chiedi 100, ti do zero. C'è una mediazione.
  Poi, non l'ho scritto io quell'articolo, è la Costituzione, ma è un articolo che pone la questione richiamata su come si tengono insieme autonomie e unitarietà nazionale. Oltretutto noi lo stiamo sperimentando per primi, e come si fa lo vedremo. Abbiamo cominciato un processo: speriamo di farlo nella maniera migliore possibile, che soddisfi tutti nei limiti in cui ciò è possibile.
  D'altro canto, il nostro contratto di Governo prevede, di pari passo alla questione delle autonomie, anche la questione della disuguaglianza nell'erogazione dei servizi sanitari nelle regioni. E qui rispondo a un'altra delle domande poste.
  Su questo azioni di Governo precise ancora non sono state intraprese. È chiaro che di pari passo dovremo portare avanti un aggiustamento strutturale di questa grande differenza. Anche questo è il tema dei temi.
  Relativamente alle regioni che maggiormente avevano difficoltà, non sono andate in piano di rientro solo le regioni del sud. C'è stato anche il Piemonte, mi pare, qualche regione del nord, ma non con i disavanzi delle regioni del sud o del Lazio. Dal Lazio in giù, quando vennero applicati – mi pare fu l'anno 2007, ne abbiamo parlato Pag. 18all'inizio – si parlava di 5 miliardi di disavanzo. Oggettivamente, lì c'era un'emergenza, c'è poco da dire. Quell'emergenza è stata trattata con la terapia per quell'emergenza: di fatto, spendo meno soldi. Non è che all'improvviso si faccia efficienza. Quello che hanno fatto tutte le regioni che sono state commissariate è stato ridurre le prestazioni. Questo è il discorso.
  Negli anni, alcune di queste regioni sono riuscite, dopo questa prima cura dimagrante paurosa, a recuperare qualcosa sulle prestazioni. Dico «qualcosa» perché la misurazione dei LEA, se mi permettete, fa veramente ridere. Non so chi di voi si occupi di sanità in maniera specifica, ma non misurano per nulla la qualità dell'assistenza sanitaria, per nulla.
  Il nuovo sistema di garanzia – non so se l'avete letto, ma è pubblico; se qualcuno di voi lo vuole, glielo fornisco – quello sì che misura la qualità dell'assistenza sanitaria nelle regioni. E saranno, infatti, dolorini quando entrerà in vigore, perché non ci sarà corrispondenza con i dati dei LEA, che sono veramente ridicoli rispetto ai servizi e rispetto agli indicatori di salute della popolazione, alla mortalità, alla prevalenza dei tumori, a quello che ci racconta l'epidemiologia, che è quello che abbiamo detto che rappresenta l'obiettivo principale da raggiungere nella programmazione sanitaria per recuperare questo gap. Questo è complicato.
  L'idea che ha trasmesso all'inizio Fragomeli di creare un fondo apposito, se ho capito bene la richiesta, per le regioni che scontano un ritardo negli investimenti in conto capitale, non l'abbiamo ancora elaborata.
  In realtà, è un tema di cui stiamo discutendo, o almeno dovremmo discutere con le regioni, nel nuovo patto della salute, di cui non vi nego di aver investito proprio ieri il Consiglio superiore di sanità. Mi riferisco al tema della mobilità passiva, fondamentale sulle disuguaglianze tra le regioni. Perché è un tema fondamentale? Perché è un cane che si morde la coda sulle appendiciti, sulle coliche renali e così via.
  Noi possiamo immaginare una mobilità, e io la sto immaginando come ministro, sulle alte specialità. Noi non possiamo creare 8 milioni di centri in ogni regione con le alte specialità. È una fesseria acuta. Va benissimo che sulle alte specialità ci siano delle eccellenze coordinate Non è stato coordinato, finora, questo fenomeno, non è stato governato.
  Ieri, ho incontrato il professor Cardillo, il nuovo direttore del Centro nazionale trapianti. Non è possibile che al sud abbiamo un Centro nazionale trapianti a Palermo, uno a Napoli e basta, e ne abbiamo 250 al nord. Perché non hanno fatto richiesta al sud? Lavoriamoci. Si deve programmare. Non si può lasciare tutto al caso. È come per la richiesta di riconoscimento di IRCCS, la si lascia al caso, ma il caso non può governare la sanità, che va governata.
  Sulle alte specialità è giusto che ci sia la migrazione sanitaria, perché si assicura il massimo della prestazione erogabile su quel tema, ma non ci può essere sulla frattura del femore o su altre prestazioni banali tranquillamente erogabili in qualunque regione. Ho visto calabresi venire a Roma per la cura delle vene varicose, per la trombosi venosa profonda. Stiamo parlando veramente di cose incredibili. La mobilità va sicuramente corretta su questo, sia interregionale sia, in alcuni casi, intraregionale. La mobilità va analizzata bene nei flussi, non va descritta così. L'idea sulla mobilità, quindi, è quella di intervenire, colmando le disuguaglianze, sugli interventi di routine e valorizzare le differenze sulle alte specialità, ma cercando anche di distribuire gli interventi.
  Abbiamo fatto un progetto che presenteremo in conferenza Stato-regioni sull'idea di costruire delle cell factory, e ho chiesto che un cell factory fosse distribuita anche in una parte del sud. È inutile fare tutte le cell factory al nord. Facciamone una collegata a una struttura efficiente del sud, magari all'ISMETT – questo poi si vedrà – ma cerchiamo di immaginare già adesso, quando facciamo investimenti nuovi, di ridurre queste disuguaglianze, sennò ce le porteremo all'infinito. È inutile che poi facciamo la convegnistica, organizziamo ottomila Pag. 19 convegni, e rimangono i convegni, ma nessuno risolve il problema.
  Io ho chiesto al Consiglio superiore di sanità, dove ci sono persone esperte anche di servizi sanitari, di sistemi regionali, di programmazione sanitaria, oltre che di ricerca scientifica, di darmi una mano.
  Detto questo, è chiaro che qualunque suggestione abbiate da fornire, come quella che oggi penso sul momento sia venuta – non so se già ci avesse riflettuto – all'onorevole Fragomeli, è ben accetta, in quanto è un tema storico. Potrei parlare all'infinito.
  Sicuramente, e concludo, bisogna fare una riflessione, bisogna chiedersi a quanto siano realmente serviti questi commissariamenti. Se i commissariamenti dovevano servire semplicemente a rientrare dai disavanzi, allora sarebbe stato meglio raccontarsi un'altra storia, che non è quella che ci siamo raccontati con la storia dei commissariamenti.
  Le regioni nel patto della salute hanno chiesto di cambiare lo strumento del commissariamento, e io credo che abbiano ragione. Credo che sia uno strumento storicamente ormai inadeguato. Può essere cambiato. Dobbiamo immaginare la possibilità di una sorta di commissariamento puntuale, cioè su una singola realtà regionale, quindi su una singola struttura aziendale.
  A chi mi ha posto la questione del ruolo del territorio rispondo: fateci fare prima la parte delle autonomie delle regioni, poi parliamo dei comuni. Se mettiamo tutto insieme, si fa un pasticcio enorme.
  Quello dei costi amministrativi è un problema reale. Ci sono regioni che hanno sperperato danari, e questo è uno dei motivi per cui purtroppo era stato fatto anche il blocco delle assunzioni, assumendo amministrativi come se non ci fosse un domani e dimenticandosi che, per fare la sanità, ci vogliono gli infermieri, i medici e gli operatori sociosanitari. Ancora oggi abbiamo regioni, come quella dalla quale provengo, con un numero di amministrativi sette volte la media nazionale. Quello dei costi amministrativi, quindi, è un tema, legato sia al personale sia all'organizzazione regionale. In questo alcune regioni stanno sperimentando l'ASL unica, le aree vaste.
  Su questo l'autonomia organizzativa è un valore aggiunto, nel senso che si ha la possibilità di provare, come di tornare indietro se quell'organizzazione non va bene sulla riduzione dei costi amministrativi.
  In generale, sono sempre dell'idea che la prossimità di un servizio aiuti nell'erogazione del servizio stesso. Nel concentrare queste aziende sanitarie, io farei un ragionamento molto attento, ma ogni regione autonomamente fa le sue riflessioni.
  Quanto al ruolo pubblico-privato, a mio avviso non è un tema di natura ideologica. Dipende da come lo si imposta.
  È chiaro che già oggi il privato ha un ampio ruolo. Stiamo parlando, naturalmente, degli erogatori privati, perché bisogna sempre differenziare tra erogatori e finanziatori. Anzitutto, il tema va programmato, cioè deve rispondere a quello che la regione dice che le serve, non a quello che l'erogatore privato vuole erogare. Non so se sono chiara. Se la regione dice che ha scoperta un'area e che non riesce a coprirla né con l'edilizia sanitaria, su cui comunque ci sono un sacco di soldi, né col personale e così via, ci può essere l'erogatore privato.
  Dall'altra parte, però, c'è un problema di competizione, perché il privato ha regole diverse dal pubblico, e già oggi lo vediamo per esempio sia con il trattamento economico dei medici sia con la possibilità di assumere medici bravissimi che vanno in pensione dal pubblico (chirurghi di fama internazionale) e vanno a lavorare nel privato. Chiaramente, questo è un tema che va posto. Il pubblico rimane rigido in quelle regole, mentre il privato ha regole più flessibili. Secondo me, questo tema va capito, sennò si crea anche lì un corto circuito. Oltretutto, quel privato viene sempre pagato dal pubblico, quindi il tema è rilevante, non è secondario.
  Secondo me, bisogna dare, non dico la stessa possibilità al pubblico, perché il pubblico ha sempre delle sue regole, però deve essere più flessibile anche il pubblico, sennò a quel punto chiudiamo la sanità pubblica.
  È importante il finanziamento. Molta gente fa confusione tra erogatori e finanziatori. Pag. 20 Noi siamo un Paese in cui il finanziamento è tutto pubblico, tranne che col ticket, chiaramente, e in alcuni casi di chi è assicurato con i fondi sanitari integrativi, che vanno di pari passo con i contratti sindacali, nel qual caso c'è anche un finanziamento privato. Il nostro, però, rimane per adesso un finanziamento interamente pubblico. Poi il tema si porrà quando e se qualcuno, mai io, deciderà di cambiare questa forma di finanziamento. Questa è la risposta.
  C'è il tema che in alcune regioni non è chiaro il rapporto tra privato e presidente di regione, e qui mi taccio. C'è tanta confusione sui budget, sulle fatturazioni e così via.
  L'ultimo punto è quello del ruolo del Ministero della salute posto dal senatore Errani, che certamente lo conosce meglio di me visto che ha molta più esperienza. Io sono arrivata adesso, e quindi non posso che confermare quanto detto.
  Di fatto, il vero Ministero della salute risiede via 20 Settembre, così si dice? È così. Ai tavoli di monitoraggio, per esempio, c'è la Ragioneria di Stato, a frustare tutti, da una parte dico giustamente. Sappiamo bene quello che è successo nel 2007, nel 2008. Dall'altra parte, però, di fatto io mi sono trovata in situazioni allucinanti in cui non ho potuto operare. Sono stata bloccata perché all'articolo presentato, all'emendamento presentato mancava la bollinatura della Ragioneria di Stato, una sorta di battesimo, un sacramento.
  Onestamente, questo è un problema grossissimo a livello politico. È un problema grossissimo. Dov'è il bilanciamento? Secondo me, in questa fase il bilanciamento non c'è. Non c'è una discussione, è sì o no. Inoltre, la forte regionalizzazione ha ridotto il ruolo del Ministero della salute, che rimane per i temi della sicurezza alimentare, del controllo veterinario, per la farmaceutica, per questi grandi temi, ma per il resto si è fortemente ridotto.
  Io penso che sic stantibus rebus, se non possiamo cambiare la parte relativa alla Ragioneria, sicuramente una funzione importante del ministero è quella relativa ai controlli. Oggi, e non faccio fatica a dirlo, ereditiamo dalla Lorenzin una cosa buona: la task force di ispezione ministeriale creata da lei. Siccome sono una persona onesta intellettualmente, dico che è una cosa buona. Se, però, vi dico da quante persone è composta, non dico che vi mettete a ridere, ma a sorridere sì, quindi non ve lo dico.
  Vi dico, però, che quella parte dei controlli, insieme all'attività del nucleo dei Carabinieri dei NAS, ho scoperto che rappresentano veramente un grandissimo strumento del Ministero della salute. Consentitemi, però, anche la possibilità di far rispettare l'esito di quello che ho controllato. Non posso controllare senza poi poter fare niente. Faccio un esempio banale.
  Tutti sapete che ho fatto diverse ispezioni, tra cui quella del famoso primario all'Ospedale del Mare, che sostanzialmente con grande tranquillità e serenità aveva fatto chiudere un reparto. Che cosa ho fatto? Abbiamo fatto l'ispezione, l'ha fatta il ministero, che è andato lì, ci sono andati i NAS, ma poi il ministero non può fare niente.
  Il ministero deve avere qualche potere. Non posso fare l'ispezione e poi sentirmi dire dalla regione che quel primario le è simpatico, per cui non lo muove, cosa che può dire, può fare, è nelle sue possibilità. I cittadini mi chiedono: ministro...? Io rispondo: guardi, cittadino, io ho fatto quello che potevo, la famosa moral suasion, ma più di quello non posso fare.
  L'idea è: facciamo dei controlli che siano contestabili, analizzabili, tutto quello che si vuole, ma poi deve esserci una possibilità per lo Stato centrale di mettere in atto una qualche azione, concordata, di qualunque tipo, ma ci deve essere, sennò ci sono regioni, come purtroppo ci sono, che continuano a fare quello che vogliono.
  Io mi sono trovata nelle condizioni di decidere di fare un decreto emergenziale su una regione che ha fatto chiudere tutti i bilanci, tutti i bilanci, tranne Vibo Valentia, alle regioni in negativo, con i LEA che sono diminuiti. Com'è possibile? Com'è possibile? E com'è possibile che lo Stato, nonostante abbia mandato i commissari, non possa di fatto fare niente. Le nomine dei Pag. 21manager, anche in regime di commissariamento, stanno in capo al presidente della regione. E benché ci siano fiori di leggi, non si può impugnare la nomina del manager, e non solo.
  Nelle richieste di regionalismo differenziato questo aspetto non è oggetto di trattativa, perché le regioni che hanno fatto questa domanda non hanno questo tipo di problema.
  Ho avuto modo di conoscere un sistema di selezione dei manager in regione Lombardia, seguito dal professor Vago, sistema meritocratico. Non è stato un sistema di spartizione politica. Dico sempre, però, che cambiato il vertice, può cambiare anche il sistema. Comunque, rimane il sistema fiduciario. Se prima ho nominato il Nobel, domani possono nominare mio fratello, teoricamente, cioè mio fratello no, ma il concetto è questo.
  Il ruolo del Ministero della salute, stando così le cose, che secondo me dovrebbe cambiare, cioè si dovrebbe poter avere un maggiore potere in sede di interlocuzione – e oggi secondo me non c'è – deve essere più efficace sul tema dei controlli, sennò non può dare risposte ai territori.
  I cittadini, quando gliela spieghi, non capiscono la differenza. Dicono: a me non interessa; mi interessa che ho una lista d'attesa di dieci mesi – il tema delle liste d'attesa non perdona nessuno, nemmeno il nord – e il ministero ha le armi spuntate. In realtà, abbiamo adesso un nuovo piano d'azione di Governo sulle liste d'attesa molto importante, ma su cui come ministro non intervengo direttamente a gamba tesa.
  Bisogna capire che cosa diventa primario. È primario far rispettare la legge e il servizio o è primario far sì che la regione faccia come ritiene, e quindi, come abbiamo visto in molti casi, non far rispettare la legge e non far erogare il servizio? Questa è la domanda delle domande, a cui bisogna decidere di dare una risposta, evidentemente interpretando nell'ottica di questa risposta quale può essere il ruolo del Ministro della salute, naturalmente sempre nel rispetto degli articoli della Costituzione, sia del 117 sia della parte del 116 che verrà attuata.

  PRESIDENTE. Ringrazio la ministra Giulia Grillo. Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.05.

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