XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Mercoledì 3 aprile 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 

Audizione del Presidente del Consorzio nazionale abiti e accessori usati (CONAU), Andrea Fluttero:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 2 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 3 
Nugnes Paola  ... 3 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 3 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 4 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 4 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 7 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 7 
Nugnes Paola  ... 8 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 9 
Nepi Maria Letizia , Segretario di UNICIRCULAR ... 9 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 9 
Nepi Maria Letizia , Segretario di UNICIRCULAR ... 9 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 10 
Braga Chiara (PD)  ... 11 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 11 
Nepi Maria Letizia , Segretario di UNICIRCULAR ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Fluttero Andrea , Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU) ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 

(La seduta, sospesa alle 9.45, è ripresa alle 14.10) ... 12 

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 

Audizione del Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU), Alessandro Stillo:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 12 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 15 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 15 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 15 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 15 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 16 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 16 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 16 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 16 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 17 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 19 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 19 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 19 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 19 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 19 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 19 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 20 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 20 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 20 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 20 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 21 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 21 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 21 
Nugnes Paola  ... 21 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 21 
Nugnes Paola  ... 21 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 21 
Nugnes Paola  ... 21 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 22 
Nugnes Paola  ... 22 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 22 
Nugnes Paola  ... 22 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 22 
Nugnes Paola  ... 22 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 22 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 23 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 23 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 23 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 23 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 23 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 23 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 23 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 23 
Stillo Alessandro , Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 23 
Bongiovanni Gianfranco , Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU) ... 24 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 8.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito)

Audizione del Presidente del Consorzio nazionale abiti e accessori usati (CONAU), Andrea Fluttero.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente Consorzio nazionale abiti e accessori usati (CONAU), Andrea Fluttero, che è accompagnato dal segretario di Unicircular, la dottoressa Maria Letizia Nepi, che ringrazio per la presenza.
  Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta. Invito i nostri ospiti a svolgere una relazione, al termine della quale seguiranno eventuali domande da parte mia o dei miei colleghi.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Ringrazio il presidente e i commissari che ci ascoltano oggi.
  Innanzitutto faccio una precisazione. L'associazione che presiedo fa parte di Unicircular, insieme ad altre associazioni di filiera che rappresentano il mondo dell'Italia del riciclo. Si chiama impropriamente «consorzio», ma in realtà opera come un'associazione di rappresentanza delle aziende che lavorano nel settore. Non svolge, quindi, alcuna attività di tipo consortile, bensì un'attività di rappresentanza verso le istituzioni del mondo che rappresentiamo.
  Vi sono diciassette aziende associate, per circa 800 dipendenti. Dai nostri dati, le aziende rappresentate da CONAU raccolgono circa 85.000 tonnellate di rifiuti tessili da post consumo, quindi da abbigliamento, all'anno. I rifiuti oggetto dell'attività delle aziende che rappresentiamo sono quelli classici con i codici CER 20.01.10 e 20.01.11, ovvero abbigliamento usato post consumo e prodotti tessili.
  Le aziende che noi rappresentiamo presidiano e operano nei diversi anelli della filiera, o su un singolo anello o in alcuni casi su più anelli della filiera. Quali sono gli anelli? Il primo è la raccolta, che deve essere effettuata in maniera molto accurata, in quanto è una raccolta dentro gli appositi cassonetti destinata alla valorizzazione tramite riuso e riciclo, quindi non può essere effettuata, ad esempio, con mezzi automatici e senza la presenza di operatori qualificati. Il secondo anello può essere la vendita del rifiuto, così come raccolto.
  Questo materiale è classificato come rifiuto, quindi il secondo anello può essere rappresentato dalla vendita del materiale così come raccolto, oppure dopo la raccolta si può prevedere la selezione e l'eventuale igienizzazione, ai sensi del decreto ministeriale del 5 febbraio 1998. Fatta questa selezione, si passa a un ulteriore anello della catena, che può essere la vendita di quanto selezionato ed eventualmente igienizzato o come usato, quindi riuso, o come riciclo, se è stato lavorato per ottenerne pezzame, imbottiture o altri tipi di prodotto. Allo stesso modo, può esserci un Pag. 3anello di lavorazione finalizzata al riciclo e poi un ulteriore anello commerciale di vendita di quanto ottenuto come riciclo.
  Vedete che, quindi, sono diversi anelli. Possiamo trovarli uno per ogni singola azienda, quindi può esserci un'azienda o una cooperativa che fa solo la raccolta, come possono esserci soggetti che fanno la raccolta e anche altri tipi di lavorazione.
  Una particolarità, oltre alla qualità del tipo di raccolta, che non può essere fatta, ad esempio, da un mezzo mono-operatore, è che è un tipo di raccolta che, a differenza di tutte le altre raccolte di rifiuti o comunque della maggior parte di esse, non viene remunerata, ma è esattamente il contrario. Per poter raccogliere, il raccoglitore come minimo si sobbarca i costi della raccolta, quindi effettua questo tipo di servizio per i comuni che ne hanno la titolarità, in funzione della privativa dei comuni sulla raccolta dei rifiuti urbani, caricandosi i costi della raccolta stessa. In molti casi da qualche anno per aggiudicarsi la raccolta viene anche pagata una royalty, una quota, che è uno degli elementi che vengono utilizzati dai comuni per affidare questa raccolta.
  Veniamo ora alle quantità in gioco. I dati ufficiali ci parlano di 130.000 tonnellate annue raccolte in Italia. Di queste, circa la metà non viene lavorata in Italia, ma viene esportata, e l'altra metà viene lavorata in Italia. Una caratteristica è che viene anche importato in Italia un quantitativo di circa 80.000 tonnellate annue, perché siamo di fronte a una filiera, che come si può intuire dal fatto che si paga per raccogliere, ha un valore intrinseco del materiale raccolto, quindi non è finalizzata allo smaltimento, ma è finalizzata a recuperare valore tramite il riuso e il riciclo.
  Di conseguenza, le aziende che svolgono la parte finale dell'attività, cioè quella della valorizzazione, comprano materiale raccolto in Italia, ma comprano anche materiale raccolto all'estero, perché i loro clienti hanno bisogno di un mix di diverse tipologie di prodotti, taglie diverse – magari nel Nord Europa ci sono taglie più grandi – abbigliamento più pesante o più leggero. A seconda dei loro clienti, clienti dell'usato e clienti dei materiali di riciclo, comprano anche all'estero da altri Paesi nei quali vengono fatte le raccolte.
  Stiamo, quindi, parlando di 130.000 tonnellate raccolte in Italia, di cui circa la metà sono lavorate in Italia insieme alle 80.000 importate, e circa 65.000 esportate in Paesi dove ci sono aziende che, al pari di quelle italiane, comprano questi rifiuti, li lavorano, li selezionano e avviano una parte al riuso e una parte a riciclo.
  Della parte lavorata in Italia – tra l'italiano e l'importato stiamo parlando di circa 145.000 tonnellate annue – le aziende che rappresentiamo ci dicono che il 60 per cento diventa riuso e riciclo. Il valore maggiore sta nel riuso, quello minore sta nel riciclo, nella trasformazione in pezzame industriale, in imbottiture e quant'altro.
  Un 40 per cento non trova modo di essere valorizzato, come ci dicono le aziende italiane nel nostro Paese. È materiale molto scadente, che viene ceduto sostanzialmente a zero (costo del trasporto più zero) in Paesi che attualmente hanno ancora attività che importano questo materiale, come India e Pakistan, oppure la parte che non può essere collocata lì anche a costo zero...

  PRESIDENTE. Cosa fanno di questo scarto India e Pakistan?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Le aziende che comprano questo materiale che viene considerato non riusabile qui in Europa lo comprano per fare lavorazioni a basso valore aggiunto, tipo imbottiture o lavorazioni varie. Certamente è una prospettiva che, come i nostri operatori ci dicono, rischia di diventare quanto prima simile a quello che è successo con il problema della plastica in Cina.
  Oggi di questo 40 per cento una parte resta in Italia come rifiuto e dà, come tutti gli scarti negativi, un problema di aumento dei costi di smaltimento.

  PAOLA NUGNES. Quanto diventa rifiuto?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati Pag. 4(CONAU). Ci dicono che il 40 per cento di quello che lavorano in Italia non può essere valorizzato qui e trova un mercato di sbocco in India e Pakistan, da aziende che comprano sostanzialmente a zero o a poco più di zero e l'operatore italiano si fa carico dei costi di trasporto. Una parte di quel 40 per cento – dipende dalle partite – neanche là trova collocazione e l'imprenditore italiano deve smaltirlo a questo punto, con un costo che in Italia sta crescendo, come credo voi sappiate, tra i 200 e i 300 euro a tonnellata.
  Il rischio ormai abbastanza evidente è che, se si chiuderanno questi mercati di sbocco a costo zero o simile a zero, aumenterà la quantità di materiale non recuperabile in Europa e, quindi, da avviare a smaltimento o a trasformazione energetica, con costi che graveranno sulla filiera ovviamente.
  Vengo ora a problemi del mercato o equivoci che ci teniamo a mettere in evidenza. Abbiamo un problema che è dato dall'equivoco che nasce dalla differenza tra donazione e rifiuto finalizzato a riuso e riciclo. Voi sapete che storicamente la donazione dell'abbigliamento usato a fini benefici nelle parrocchie, negli oratori o presso enti benefici è un fatto della nostra cultura e della nostra storia. Nel tempo l'aumento del quantitativo di questi materiali ha fatto sì che molte di queste attività benefiche si siano poi strutturate, magari in forma di cooperativa sociale, e abbiano cominciato a svolgere una vera e propria attività di raccolta rifiuti, ottenendo le varie autorizzazioni necessarie. Si è, quindi, strutturato un mercato.
  Coesistono oggi due forme di post consumo dell'abbigliamento usato. Una è quella a scopo benefico, che è disciplinata da un articolo specifico della cosiddetta «legge contro gli sprechi alimentari», l'articolo 14, che chiarisce che, se un cittadino vuole conferire il suo abbigliamento usato a fini benefici, lo deve consegnare presso la sede del soggetto che svolge questo tipo di attività, sia essa una ONLUS, una parrocchia o qualsiasi altro tipo di soggetto. In quel caso, non ha conferito un rifiuto, ma un bene finalizzato alla donazione.
  Questa norma chiarisce che, nel momento in cui quell'ente benefico ha svolto la propria attività benefica conferendo alla persona bisognosa un certo numero di capi, i capi restanti, se lui non ha più modo di conferirli in modo benefico, li deve trattare come rifiuti.

  ANTONIO DEL MONACO. Come mai poi troviamo sui cassonetti lo stemma della Caritas, visto che necessariamente deve essere un dono e lo devo consegnare io personalmente, invece ho il cassonetto e lo butto nel cassonetto?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Prima, nel titolo di questo mio pezzo di intervento, parlavo di problemi del mercato ed equivoci. Noi abbiamo bisogno di chiarire all'opinione pubblica e anche al decisore politico la differenza tra questi due mondi.
  Voi sapete che le Caritas operano diocesi per diocesi. Utilizzano il logo Caritas, ma mi spiegavano dalla direzione centrale di Caritas che ogni diocesi è indipendente. Il fatto che in molte diocesi sono nate delle cooperative e che queste cooperative utilizzano il logo Caritas, perché sono del mondo Caritas, genera equivoco.
  È molto importante che sui cassonetti per la raccolta stradale, autorizzati dalle amministrazioni comunali, sia chiarito che si tratta di rifiuto tessile, finalizzato al riuso e riciclo e, quindi, che deve essere conferito in maniera appropriata dai cittadini e non rovinato, perché ne danneggerebbe la possibilità di riuso e riciclo.
  Deve essere molto chiaro nella comunicazione – e noi come associazione lo sollecitiamo molto ai nostri associati – che si tratta di una conferimento di rifiuto urbano, che ha certamente ricadute positive dal punto di vista ambientale, perché si prolunga la vita dei prodotti e si ricicla, e dal punto di vista sociale, perché si genera occupazione. Spesso si tratta di cooperative sociali e, quindi, hanno anche un carico di soci lavoratori che provengono dalle categorie svantaggiate. È molto importante che il cittadino capisca e che gli venga comunicata Pag. 5 bene la differenza tra quello che è un dono e quello che è un conferimento corretto di prodotto post consumo, classificato come rifiuto, finalizzato a massimizzare riuso e riciclo.
  Questo è un equivoco col quale ci scontriamo e che non fa certamente bene a una corretta attività di raccolta e di valorizzazione di una frazione di rifiuti come questa.
  Un altro aspetto riguarda i rifiuti tessili da abbigliamento post consumo rispetto al rifiuto tessile da scarto nella lavorazione. A volte troviamo articoli di stampa che parlano genericamente di problemi nella gestione dei rifiuti tessili, ma una cosa sono i rifiuti tessili da post consumo di abbigliamento urbano, un'altra cosa sono i rifiuti tessili da scarto di lavorazione industriale o artigianale.
  Abbiamo poi un altro elemento di critica che è il disallineamento tra i codici CER e i codici doganali. A volte alcuni operatori possono finire sui giornali perché il codice CER dice che stai trattando un rifiuto tessile, un abbigliamento usato, e il codice doganale, che è il B3030, si riferisce esclusivamente al tessile. Un'interpretazione rigida ti dice che, se come rifiuto tessile hai questa giacca, il doganiere potrebbe dire che, poiché il bottone non è tessile ed è nel contenitore dove c'è la giacca intera, che è finalizzata a essere acquistata da un'azienda fuori dai confini nazionali che vuole lavorare e riusare questo materiale, dovresti aver tolto il bottone, la cerniera, le bretelle, la cintura e gli accessori. Questo può creare conflitti, può far finire un'azienda sui giornali e, quindi, generare presso l'opinione pubblica un ulteriore elemento negativo, portandola a pensare: «Questi commettono irregolarità».
  Allo scopo di affrontare questo problema ci sono stati negli scorsi anni incontri tra Ministero dell'ambiente e dogane proprio per cercare di allineare queste due letture, però è un problema che ancora esiste, perché comunque nei codici ci sono dei disallineamenti.
  C'è un rischio di saturazione della filiera, perché in base al pacchetto sull'economia circolare pubblicato il 4 luglio dello scorso anno, così come entro il 2022 diventerà obbligatoria in tutta Europa la raccolta della frazione umida, entro il 2025 diventerà obbligatoria in tutta Europa la raccolta della frazione tessile. È, quindi, presumibile che aumenteranno ulteriormente i quantitativi e, per la legge della domanda e dell'offerta, non solo calerà il valore di quello che viene immesso sul mercato, ma probabilmente sarà anche difficile trovare sbocchi di riuso e di riciclo per tutto quello che verrà immesso sul mercato, quindi probabilmente bisognerà investire in tecnologie per il riciclo.
  C'è un ulteriore elemento negativo e poi finisco con gli elementi critici e passo agli aspetti di rischi di illeciti riscontrabili, che credo siano maggiormente interessanti per la vostra Commissione, ma credo sia utile anche capire il contesto complessivo. Un altro elemento di rischio in questo settore, in termini economici e di sviluppo di mercato, è il calo della qualità delle materie prime con le quali viene confezionato l'abbigliamento. Un aumento della quantità di raccolta e un calo della qualità dei materiali utilizzati, la cosiddetta fast fashion, fa sì che il materiale raccolto sia più scadente e, quindi, più difficilmente ricollocabile.
  Questi sono gli elementi di contesto che volevo descrivervi prima di passare a elencare gli elementi rischiosi dal punto di vista dell'illegalità che noi conosciamo, sia perché li leggiamo sui giornali sia perché lavorando nel settore sono cose che si vengono a sapere. Sono elementi che noi come associazione cerchiamo di comprendere e di contrastare, perché ovviamente gettano una luce di discredito su tutti gli operatori che, invece, cercano di lavorare in modo corretto e ritengono di svolgere una attività positiva per la società, sia perché in qualche maniera concorrono, pur nelle piccole dimensioni del settore, a raggiungere gli obiettivi che la gerarchia europea dei rifiuti ci pone, ovvero riuso e riciclo, sia perché con questo tipo di attività, fino a oggi senza costi per i cittadini, perché, come vi dicevo prima, dal ricavo delle varie fasi commerciali si ottiene quanto necessario per pagare la raccolta, si creano posti di lavoro spesso molto radicati sul territorio e molto Pag. 6disponibili a essere utilizzati da categorie protette.
  Gli elementi di rischio dal punto di vista degli illeciti, che noi ben conosciamo e che riscontriamo, sono, a partire dai più semplici, i furti nei cassonetti. Avendo questo materiale un valore, anche se non particolarmente elevato, assistiamo frequentemente a furti nei cassonetti con i sistemi più vari, dal flessibile con il quale si taglia la serratura o il lucchetto che tiene chiusa la porta, ai ganci con i quali si tira fuori il materiale.
  Chi ruba questo materiale seleziona quello più bello e ti lascia fuori quello più brutto. Questo genera sicuramente una filiera di vendita in nero di materiale in mercatini vari e un depauperamento del materiale complessivo raccolto e, quindi, una riduzione della possibilità del raccoglitore ufficialmente autorizzato di vendere questo materiale.
  Un altro rischio sono le raccolte abusive. In alcune zone del territorio si assiste alla collocazione sulle aree pubbliche o non pubbliche di cassonetti non autorizzati dai comuni, oppure raccolte con fantomatici bigliettini appesi alle porte delle case col nastro adesivo, dicendo che il tal soggetto o il tal altro passeranno il lunedì o il martedì e raccoglieranno per una fantomatica associazione benefica. Questi flussi sono completamente fuori controllo e, quindi, finiscono nell'illegalità, nella vendita in nero e quant'altro.
  Salendo di gravità, c'è lo smaltimento illecito di scarti. Come vi dicevo prima, come qualsiasi altra azienda che produce rifiuti, chi fa la selezione e poi vende e valorizza la parte che ha un mercato, si trova con un rifiuto. Come in tutte le filiere di riciclo, tutti gli operatori si trovano con degli scarti. Qualche operatore non corretto può pensare, visti i costi alti, di affidarsi magari a soggetti equivoci a un costo più basso per smaltire questi rifiuti e magari poi trovi il cumulo di scarto tessile abbandonato da qualche parte e incendiato.
  Da questo punto di vista, quell'operatore fa per gli altri operatori una concorrenza sleale, quindi è molto importante che le forze dell'ordine contrastino questi fenomeni e verifichino che chi si rivolge a un operatore che ha fatto la selezione e deve smaltire dei rifiuti tessili effettivamente lo faccia con tutte le carte in regola e conferisca questi rifiuti negli impianti autorizzati a trattarli.
  Salendo ancora, abbiamo le false igienizzazioni. Voi sapete che nel decreto ministeriale del 5 febbraio 1998 è previsto che per uscire dalla classificazione di rifiuto il materiale tessile post consumo urbano debba essere sottoposto a selezione e, ove necessario, igienizzazione, per raggiungere determinati parametri di carica batterica.
  In passato la parte «ove necessario» non era presente, quindi era necessario sempre, mentre da qualche anno la norma è cambiata in «ove necessario». Per poter stabilire che non si tratta più di rifiuto e, quindi, lo puoi vendere come non più rifiuto, è prevista una selezione e, se necessario, un'igienizzazione. Se l'operatore non fa la selezione e, se dovesse essere necessario, nemmeno l'igienizzazione, non può gestire quel flusso di materiale come non più rifiuto, ma deve continuare a gestirlo come rifiuto.
  Cosa succede a volte? In alcuni Paesi non è possibile importare o esportare da parte nostra un flusso di rifiuti, quindi se lo vuoi fare lo devi fare con la procedura che si chiama «notifica», che è più costosa e più complessa, non lo puoi fare con la procedura semplificata che si chiama «allegato 7». Alcuni operatori possono essere tentati di certificare che hanno svolto operazioni di igienizzazione per poter esportare in quei Paesi dove sarebbe necessaria la procedura più complessa o dove addirittura non accettano l'importazione di rifiuti e, quindi, falsificano questa procedura. Dire che l'hai fatto e non averlo fatto è sicuramente un altro elemento di illecito.
  Infine, c'è il rischio di infiltrazioni di criminalità. Purtroppo, così come in tanti altri settori delle attività produttive nel nostro Paese (pensiamo ai bar, ai ristoranti e a Roma spesso addirittura agli hotel), anche in questo settore si è riscontrata la presenza di infiltrazioni di attività della malavita organizzata. Perché avviene? Io Pag. 7credo perché sono attività che non hanno bisogno di grandi investimenti di capitali, quindi è più facile anche per la criminalità intervenire e infiltrarsi in attività.
  Peraltro, c'è una caratteristica di questo settore, che è la territorialità della presenza storica di moltissimi impianti di selezione in Campania. Mi raccontavano che nel primissimo dopoguerra le navi americane, portando aiuti, cominciarono a portare abbigliamento usato dagli Stati Uniti e di lì nacque una specializzazione nel trattare l'abbigliamento usato e anche una speciale competenza merceologica nel gestire questi materiali, che certamente ha dato origine a tanti bravi imprenditori, ma purtroppo in quel territorio vi è una presenza pervasiva. Sta pervadendo purtroppo un po’ tutto il Paese, non se ne fa una questione regionale, ma lì c'è un po’ storicamente il cuore di questo tipo di presenza malavitosa. Pertanto, la presenza territoriale di molte aziende, anche di piccole dimensioni, in quel territorio le rende alle volte permeabili, per motivi di bisogno, finanziari eccetera, a inserimenti di attività criminose.
  Anche da questo punto di vista noi, come associazione, non possiamo che cogliere con grande soddisfazione l'attenzione che le forze dell'ordine e la magistratura hanno nei confronti del nostro settore, perché riteniamo che sia un settore certamente piccolo, ma che dà il suo onesto contributo a una corretta gestione dei prodotti e dei materiali post consumo che esulano dalle filiere classiche della raccolta rifiuti di casa nostra. Da casa nostra escono tutti i giorni l'organico e tutte le filiere degli imballaggi. Ci sono poi gli ingombranti, l'abbigliamento, i RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), cose che escono ogni tanto, che non possono essere gestite nella raccolta ordinaria dalle municipalizzate o dalle aziende private che svolgono la raccolta per conto dei comuni. Se queste filiere vengono ben raccolte, sicuramente dal punto di vista ambientale creano degli aspetti positivi e li creano anche dal punto di vista sociale. L'importante è che riusciamo a mantenerle il più possibile nella legalità e nella correttezza.
  Questo era il quadro complessivo che volevo farvi. Dei problemi doganali abbiamo parlato prima. Ho cercato di rappresentarvi un po’ il settore che frequento e che conosco da un po’ di tempo, perché, oltre che presidente dell'associazione, sono anche presidente di una cooperativa sociale che opera come raccolta in Piemonte con 28 soci lavoratori, quindi vivo direttamente il settore. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie per l'esauriente illustrazione del ciclo della filiera degli abiti usati.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONIO DEL MONACO. Vorrei fare alcune riflessioni insieme a lei. In primis, per quanto riguarda il settore delle concerie, quello del pellame, che fine fanno gli scarti in alcune zone (parliamo sempre della Campania, della zona dell'avellinese), vengono presi in considerazione? Molti di questi vengono addirittura canalizzati e buttati nel fiume Clanio, ad esempio, il più inquinato che possa esistere.
  Adesso stanno uscendo un sacco di negozi recyclé, una forma di catena che si sta organizzando sul territorio. Soprattutto in Campania ce ne sono tantissimi e sono negozi che vendono abbigliamento usato. Ad ogni modo, non troviamo solo l'etichetta di recyclé attaccata alla maglia o a qualsiasi vestito, ma spesso e volentieri anche la targhetta di marche di un certo livello: addirittura, pellicce e tantissime altre cose. Non so se c'è un controllo su questo.
  Lei ci ha detto che esistono una procedura semplificata e una procedura di notifica. Le chiedo se ce ne può parlare un po’ più approfonditamente, in fin dei conti si tratta di rifiuti che non si riescono ad igienizzare.
  Tutti gli scarti delle fabbriche, quelli di cui lei parlava, al di là dei pezzi di stoffa, che fine fanno?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Su alcune delle questioni posso Pag. 8risponderle, su altre no perché non riguardano le aziende che rappresentiamo. La nostra associazione rappresenta aziende che si occupano della raccolta, della vendita e della valorizzazione di abbigliamento usato, quindi frazione tessile dei rifiuti urbani. Non rappresentiamo aziende che si occupano, ad esempio, degli scarti delle concerie e nemmeno degli scarti delle fabbriche di abbigliamento, perché in quel caso non tratteremmo più di rifiuti urbani, ma tratteremmo di rifiuti speciali. Quello è un mondo a parte, quindi su queste due cose non posso esservi utile.
  Per quanto riguarda i negozi dell'usato, sono un fenomeno molto diffuso in nord Europa, perché da un punto di vista culturale l'acquisto dell'abbigliamento usato nei Paesi del nord è visto in maniera meno negativa. Nei Paesi latini l'acquisto dell'abbigliamento usato è ancora un po’ visto come una diminuzione di prestigio di chi lo compra, anche se sta aumentando questo tipo di attività.
  Mi permetto di segnalare questo aspetto. Quando uno gestisce una tonnellata di materiale raccolto, dentro ha un quantitativo di materiale di fascia alta, che viene chiamata in gergo «la crema», poi hai diversi livelli di qualità del materiale, fino a scendere a quello che non è più vendibile come riusato e passi a quello che devi lavorare per ottenere stracci, che poi vengono venduti come pezzame industriale, o lavorare, cardandolo, per ottenere ovatta con cui fare imbottiture.
  Ho visitato l'estate scorsa in Tunisia l'impianto del presidente dell'associazione omologa alla nostra. Sono impianti che hanno molta manodopera femminile e che in questo caso, ad esempio, hanno le attrezzature per lavorare il materiale di scarto non vendibile come usato, tagliarlo e ottenere pezzame o addirittura fare ovatta, cardarla, pressarla e fare pannelli fonoassorbenti che loro vendono a Renault auto per l’automotive, quindi cercano di utilizzare tutto il materiale.
  I negozi in Europa, rivolgendosi a una fascia di possibili utenti e clienti medio-alta, perché siamo su mercati abbastanza ricchi per fortuna, possono vendere solo materiale di fascia molto alta. Una volta che uno ha tolto la parte più buona, a maggior valore, di questa tonnellata di rifiuti raccolti, il resto diventa difficilmente collocabile e le aziende estere che cercano questi materiali per lavorarli – parlo di Tunisia, di est europeo e di Turchia – cercano un materiale che sia il più possibile completo di tutte le parti, perché diversamente ti dicono: «Scusa, visto che hai già tolto la parte più bella, tieniti tu il resto, perché io non ricavo di che mantenere in piedi la filiera». A loro interessa poter comprare un materiale che loro chiamano «l'originale».
  Ad esempio, se avete interesse, vi darò il file con le fotografie che ho fatto a luglio in questi due impianti che ho visitato in Tunisia. Nei sacchi grandi che loro aprono vedete i sacchetti con i marchi dei supermercati dentro (Coop, Esselunga eccetera). Per loro la presenza dei sacchetti integri che i cittadini italiani ed europei hanno conferito nel contenitore è un elemento di garanzia che li rassicura sul fatto che non è stata fatta una prima selezione in Italia o in Europa, portando via la parte più bella.
  Dico ancora una cosa sull'allegato 7. Scusate se mi dilungo.

  PAOLA NUGNES. No, anzi è molto interessante, soltanto che dobbiamo andare a votare, quindi io adesso faccio le domande e poi leggerò il resoconto.
  Lei ha detto varie cose di grande interesse. La cosa che più ci preoccupa è che lei ha affermato che probabilmente, come per le plastiche, non avremo più questo materiale da collocare all'estero su India e Pakistan, quindi avremo più rifiuto a costi che si alzano, quindi probabilmente più rifiuto smaltito male e con danni ambientali.
  Forse stava rispondendo al collega e io mi stavo distraendo, perché stavo andando via, però le chiedo se sa dirci se questo problema è causato soltanto da questioni di qualità del prodotto, come mi sembra che stesse dicendo, o da una saturazione del mercato e da cambi di regolamenti nel mercato dell'India e del Pakistan.
  È soltanto una questione di mix di scelta del prodotto per cui noi importiamo più di Pag. 9quello che riutilizziamo in definitiva? Non potremmo fare una migliore selezione e non importare altro materiale, visto che potremmo avere difficoltà a ricollocarlo?
  Ha parlato del calo della qualità dei materiali. Hanno fatto un'analisi su questo calo dei materiali che sono prodotti in Italia o sono importati dall'estero? Potrebbe essere fatta qualche norma per cui questi materiali così scadenti non vengano più importati o vengano importati con maggiore difficoltà, oltre chiaramente a un'educazione ambientale per il consumatore.
  Inoltre vorrei sapere, se possibile, qual è il traffico di affari del settore, perché chiaramente abbiamo messo in fila tutte le difficoltà, però vorrei capire anche se strutturarlo meglio possa servire per posti di lavoro e sviluppo.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). C'era ancora il tema dell'allegato 7 o della notifica.

  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario di UNICIRCULAR. Stiamo parlando ovviamente di esportazione di rifiuti in questo caso. L'allegato 7 corrisponde a quei rifiuti in lista verde, tra cui il codice B.30.30 a cui facevi riferimento, che possono essere esportati con una procedura semplificata.
  Ovviamente deve trattarsi di una determinata qualità, come dicevi prima, quindi non possono essere esportati con questa procedura semplificata dei rifiuti urbani misti, che non hanno avuto una selezione, altrimenti occorrerà ricorrere alla cosiddetta «lista ambra», così come era stata definita, cioè la lista di rifiuti soggetti a una procedura di notifica e, quindi, anche di accettazione da parte del Paese di destinazione. C'è, quindi, un dialogo tra il Paese di destinazione e quello di spedizione, oltre a tutti i Paesi che sono attraversati da questa spedizione, perché il carico possa andare a buon fine, quindi è sicuramente una procedura più restrittiva che interessa appunto i rifiuti che non sono stati precedentemente selezionati.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Io vorrei aggiungere ancora una cosa. La caratteristica di questa filiera è la qualità, dato che non è finalizzata allo smaltimento del rifiuto. È un rifiuto perché è classificato come rifiuto, ma è finalizzata a recuperare il più possibile il riuso e successivamente il riciclo.
  Per fare questo, è importante che il cittadino che conferisce lo faccia in modo consapevole e, quindi, non butti dentro un contenitore di pasta, perché rovina tutto il contenuto del cassone e altrettanto il raccoglitore deve essere molto attento – è per questo che serve una raccolta manuale e non può essere sostituita da una automatica – a raccogliere eliminando eventuali parti sporche di solvente o bagnate, che conferirebbero un'umidità o un odore a tutto il carico, e, se ci sono scarpe spaiate nel contenitore, a metterle insieme, perché altrimenti disperse in un container di 20 tonnellate non hanno più valore. Proprio perché la finalità è il riuso, tutti i passaggi sono finalizzati a far sì di avere un quantitativo di materiale che è classificato come rifiuto, ma è molto selezionato, raccolto in maniera molto accurata, in modo che poi possa essere valorizzato. Se non ci sono queste accortezze, se oltre a essere classificato come rifiuto viene trattato come rifiuto, nel senso che ci butti dentro quello che capita, non trova più un mercato, non te lo comprano più, perché dicono: «Tu mi hai venduto roba bagnata, c'erano scarpe spaiate. Non te lo compro più».
  Pertanto, questa cosa funziona se tutti fanno per benino la loro attività. Per questo è importante per noi raccontare e spiegare bene ai cittadini qual è la finalità, che si chiama «rifiuto», perché è classificato rifiuto, ma è sostanzialmente finalizzato a un riuso e a un riciclo. Se conferisci male e raccogli peggio, non ne ricaverai nulla, ma dovrai smaltirlo come rifiuto per davvero e, quindi, dal punto di vista ambientale avrai un danno e dal punto di vista economico avrai un costo.

  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario di UNICIRCULAR. La questione relativa ai negozi che vendono l'usato porta con sé una serie di considerazioni che come UNICIRCULAR ci stiamo ponendo in particolare Pag. 10 per quanto riguarda le proposte di legge per il riutilizzo.
  Effettivamente la disciplina del riutilizzo in questo momento in Italia ha bisogno sicuramente di un maggiore approfondimento dal punto di vista normativo, perché ci sono dei decreti che avrebbero dovuto essere adottati dal Ministero, in particolare quelli che disciplinano la rete dei centri abilitati alla preparazione e anche al riutilizzo, però questi decreti per varie ragioni non sono stati ancora adottati.
  È vero che questi non avrebbero potuto risolvere tutti i problemi, perché comunque la delega era circoscritta. È vero anche, però, che soprattutto in vista della grande importanza che è stata data a questa fase della gestione, cioè al riutilizzo, anche nell'ambito della gerarchia dei rifiuti di cui parlava prima il presidente, è fondamentale che si ponga mano a questa materia e che si riesca a regolarizzare tutte quelle situazioni, tra cui quelle a cui lei faceva prima riferimento, che penso siano in qualche modo lecite e doverose, ma rispetto alle quali è compito del legislatore dare sicurezza e certezza.

  PRESIDENTE. Ne stiamo discutendo anche in Commissione ambiente.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Passando invece alle domande della senatrice Nugnes su India e Pakistan, gli operatori che noi rappresentiamo non sono entusiasti di collocare in quei mercati la frazione che non riescono a valorizzare in Italia e sono preoccupati del fatto che prima o poi quei mercati si chiudano.
  Devo dirvi che personalmente anche dal punto vista ambientale non siamo entusiasti delle lavorazioni che fanno là. Non possiamo intrometterci nelle legislazioni di altri Paesi, ma ci pare di poter osservare che non è il massimo il tipo di lavorazione che viene fatta là, quindi segnaliamo al decisore politico questo tipo di problema che prima o poi si porrà, che dovrà essere affrontato. Mi pare che sempre la senatrice parlasse del materiale di scarto. Bisogna che anche chi produce abbigliamento sia in qualche modo portato a produrlo utilizzando da un punto di vista tecnologico fibre e materiali che siano poi facilmente riciclabili. È un tema che tocca tutte le filiere, quindi occorre un'ecoprogettazione.
  Inoltre, c'è anche il tema, che prima o poi si potrà affrontare, della responsabilità estesa del produttore. Oggi i produttori di abbigliamento progettano magari in Europa, producono in Asia e importano qualsiasi cosa. Non credo che ci siano vincoli particolari o paletti, se non quelli della creatività e del mercato. È chiaro che con una fantasia sfrenata in termini di utilizzo di materiali di ogni tipo in fase di produzione non si può poi chiedere all'ultimo anello della filiera di farsi carico di ottenere la perfezione in termini di qualità del riciclo e di recupero.
  La senatrice chiedeva se non potremmo ottimizzare il materiale raccolto in Italia. Vorrei cercare di essere più chiaro. Quando abbiamo questo materiale raccolto, non siamo di fronte a rifiuti da riciclare, ma a prodotti da rimettere in uso. Non sono le lattine di alluminio, che le fondi e rifai le barrette di alluminio, sono prodotti che devi rivendere. Pertanto, chi fa questo lavoro di selezione e di valorizzazione ha dei suoi mercati e, a seconda di quello che gli chiedono i mercati, compra materiale da diversi Paesi, perché dal mix di questi materiali ottiene quello che gli serve per vendere.
  Gli operatori ci hanno spiegato: «Se io ho bisogno di taglie più grandi, devo comprare un po’ di materiale in Germania, perché in Germania sono più grandi e, quindi, trovo taglie più grandi. Sull'abbigliamento da bambino compro meglio in Canada». A seconda dei loro mercati, comprano partite, non tantissime, ma in diversi Paesi, perché è il mix che gli chiedono i loro clienti. Non siamo di fronte a filiere che si possono gestire in modo chiuso, proprio perché rientriamo nel mercato e il mercato è globale, quindi, a seconda di dove puoi vendere profittevolmente questi materiali che hai recuperato e avviato al riuso, ti approvvigioni in maniera specifica.

Pag. 11

  CHIARA BRAGA. Ho solo una domanda sul ruolo dell'associazione. Voi partecipate in qualche modo ai lavori del tavolo per la definizione delle linee guida e dei criteri per l'affidamento dei servizi di rifiuti tessili? Siete componenti? Partecipate a questo tavolo?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Sì, partecipiamo a questo tavolo e cerchiamo di portare le preoccupazioni dei nostri associati, spesso piccole cooperative che operano sul territorio e che hanno difficoltà ad affrontare capitolati molto complessi, che sono pensati per grandi appalti delle multiutility. Cerchiamo di far capire questo aspetto. Siamo altrettanto attenti al tema della trasparenza e della tracciabilità.
  Allo stesso modo, i nostri ci segnalano che con un mercato che sta calando nei prezzi finali diventa sempre più difficile addirittura poter fare delle offerte di soldi alla stazione appaltante. Oltre a farsi carico dei costi di raccolta, offrire anche dei soldi sta diventando sempre più difficile. È evidente che la stazione appaltante deve avere degli elementi per scegliere in maniera oggettiva e trasparente e non affidare direttamente all'amico dell'amico, però l'elemento esclusivamente economico sta diventando molto pesante e, quindi, rischia di mettere fuori mercato piccole realtà locali, che hanno un radicamento e che danno occupazione sul territorio, magari a favore di qualche soggetto grande che opera sul territorio nazionale. Portiamo un po’ questi punti di vista.

  PRESIDENTE. Il suo predecessore, il presidente Amerini, è stato condannato per traffico illecito di rifiuti e credo sia stato rinviato a giudizio per contatti con il clan Birra. Vorrei sapere se si è dimesso oppure è semplicemente scaduto il mandato e se fa ancora parte in qualche modo della vostra associazione nel vostro consiglio direttivo.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Sì, il mio predecessore, Amerini, è stato condannato per l'articolo 260 (traffico illecito di rifiuti). Si è dimesso lo scorso anno. Io l'ho sostituito e, peraltro, ho anche avviato un'azione di riorganizzazione dell'associazione, spostando la sede presso gli uffici centrali di FISE UNICIRCULAR per ottimizzare la gestione.
  Ci siamo premurati di acquisire la documentazione del processo, quindi ai nostri atti c'è la sentenza, che, se la Commissione avrà piacere di avere, ben volentieri trasmetteremo, dalla quale abbiamo verificato che si tratta di una pur grave – non voglio minimizzarla – condanna per traffico illecito di rifiuti, che riguardava una non corretta gestione dell'igienizzazione, del trattamento e della commercializzazione di rifiuti. È stato contestato che non erano stati igienizzati nel nostro Paese. All'epoca, nel 2011, ancora vigeva l'obbligo di igienizzazione.
  Non vi è, però, alcun elemento in quel processo che riguardi l'associazione mafiosa. Il 260 viene trattato per prassi dalla direzione distrettuale antimafia, ma noi non abbiamo alcun elemento in quel processo che riconduca quanto contestato e oggetto di condanna al signor Amerini a infiltrazioni mafiose.
  La società, il signor Amerini e gli altri che sono stati condannati hanno presentato appello e sono in attesa che si avvii il processo di secondo grado. Fa tuttora parte della nostra associazione, anche se non ha più un ruolo di presidenza.

  PRESIDENTE. Che ruolo ha? Fa parte del consiglio direttivo?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Fa parte del consiglio.

  PRESIDENTE. Lei ha detto che rappresenta quindici, sedici o diciassette società. Visto che sul vostro sito non è specificato chi sono queste società che rappresentate, mi può dire quali sono?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Possiamo consegnare l'elenco.

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  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario di UNICIRCULAR. Veramente l'ho lasciato fuori.

  PRESIDENTE. Quante di queste hanno problemi giudiziari?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Non lo sappiamo.

  PRESIDENTE. Non lo sapete? Non sapete se i vostri soci...

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). So del problema di Amerini, che è stato un problema importante, dopodiché in questo momento non ho contezza se nel passato alcune di queste aziende hanno avuto problemi.

  PRESIDENTE. Passato e presente. Quindi, non fate un'analisi dei vostri soci, visto che non sono poi tanti?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Le aziende che sono sul mercato, in tutti i settori dei rifiuti, possono aver avuto problemi, però, se sono operative, è perché le autorità competenti consentono loro di essere operative, diversamente sarebbero chiuse...

  PRESIDENTE. Sicuramente, però do per scontato che lei, che è presidente, sappia se i suoi soci hanno attività giudiziarie in corso. Non lo sa?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente del Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati (CONAU). Non lo so.

  PRESIDENTE. Va bene. Se ci fa avere l'elenco, poi facciamo le opportune verifiche.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 9.45, è ripresa alle 14.10.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione in streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU), Alessandro Stillo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della Rete nazionale operatori dell'usato, Alessandro Stillo, accompagnato da Gianfranco Bongiovanni, che ringrazio per la presenza.
  Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta. Invito i nostri ospiti a svolgere una relazione, al termine della quale faremo eventuali domande io e i commissari.

  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Come diceva il presidente, che ringrazio molto per l'invito, io mi chiamo Alessandro Stillo e sono il presidente di Rete ONU.
  Rete ONU, a nostro avviso, è uno dei più importanti player del settore dell'usato. Raduniamo alcune decine di operatori, che rappresentano circa 15.000 addetti, in un settore che ne conta alcune decine di migliaia e che ha oggi un ruolo enorme dal punto di vista di quella che tutti chiamiamo «economia circolare».
  Siamo felici di essere qui e siamo anche felici della coincidenza che ci ha portati ieri con alcuni altri nostri soci a essere auditi dalla Commissione ambiente e dalla Commissione Sviluppo per le proposte di Pag. 13legge riguardanti il riordino del settore dell'usato, che voi sicuramente conoscete.
  Siamo felici di questo, perché è fondamentale per noi che ci sia un riordino del settore, che permetta di distinguere in modo netto e radicale tra attività irregolari come quelle che, ad esempio, sono oggi la vendita di rottami e di rifiuti in generale, perché non regolamentate dopo la cancellazione delle autorizzazioni del TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) fatta dal decreto Bersani, dalle attività criminali.
  Noi ovviamente siamo strenuamente al fianco di tutti coloro che, a partire dalla magistratura e dalle forze dell'ordine, combattono le attività criminali nel nostro settore. Sappiamo che il settore degli abiti usati e in generale il settore dell'usato è stato ed è sotto attacco. Uno dei nostri soci, Humana people to people, è stato fatto oggetto di tre attacchi criminali nei mesi scorsi proprio a Roma, con l'incendio di alcuni autoveicoli. Ovviamente, oltre ad avere la nostra solidarietà, ha avuto la mobilitazione di tutta la rete.
  Dirò di più: la nostra rete, in collaborazione con uno dei nostri garanti, che è Francesco Gesualdi, persona di integerrima capacità e onestà, ha un codice etico che impone ai nostri soci, non solo la denuncia di tutti gli atteggiamenti criminali, ma un comportamento specchiato nell'espletazione delle loro attività, così come presuppone la chiarezza delle loro filiere per quanto riguarda il settore dell'usato. Vi abbiamo allegato tra i materiali il codice etico, quindi tutti hanno modo di averlo. La nostra è un'associazione ovviamente, all'onor del mondo, con un presidente, dei vicepresidenti e un segretario, che è Gianfranco Bongiovanni.
  Infine, noi abbiamo spinto e collaborato con Utilitalia perché fossero scritte – sono quasi pronte e ve le faremo avere – delle linee guida di cui il settore degli abiti usati ha assolutamente bisogno. Siamo venuti in due, perché, come potete immaginare, il settore dell'usato va dai contoterzisti alle aree di libero scambio, è un settore complesso e articolato, nel quale il nostro segretario Gianfranco Bongiovanni ha fatto un approfondimento, che lascio a lui di illustrarvi.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Grazie, presidente, grazie a tutti. Ci fa piacere essere qui oggi per approfondire la questione legata alla filiera degli indumenti usati.
  È un settore complesso nel suo insieme, ma c'è da sottolineare che funge un po’ da apripista. Per la sua struttura, per la sua natura, ma anche per la sua storia, può fungere da modello anche per le altre filiere del riutilizzo, in particolare quelle dei beni durevoli. Lo fa in virtù di una sua storicità e degli impatti positivi che questa riesce a generare in termini di utilizzo e preparazione dell'utilizzo, quindi nella riduzione della produzione dei rifiuti, intervenendo sui primi due elementi della gerarchia della gestione dei rifiuti, che impongono appunto di intervenire prima che un rifiuto divenga tale, evitando gli impatti ambientali che questo può produrre, o venga smaltito anzitempo rispetto al suo ciclo di vita.
  Ci sono studi che hanno dimostrato come, per esempio, allungare il ciclo di vita di un chilo di indumenti usati di nove mesi – un chilo di indumenti usati corrisponde a tre capi d'abbigliamento – equivale a ridurre il suo impatto al momento dello smaltimento di circa il 20-30 per cento. Altri studi fatti, per esempio, dall'Università di Copenaghen indicano, invece, quanto si riesce a risparmiare in termini di mancata produzione di un capo d'abbigliamento usato. Stiamo parlando di circa 60.000 litri d'acqua, aggiunti a circa 200-300 grammi di fertilizzanti e pesticidi che sono necessari per la produzione della materia prima per la realizzazione del capo e alla mancata emissione in atmosfera dai 3 ai 4 chili di CO2 equivalente, che sono i gas climalteranti. Inoltre, il mancato smaltimento corretto di questa frazione, che è una frazione biodegradabile, rischia di generare percolato, nonché gas metano, che sono anch'essi delle sostanze climalteranti.
  Questo ci dice quanto dal punto di vista ambientale intervenire sulle prime due «R», che sono la riduzione e il riutilizzo, e Pag. 14rispettare la gerarchia dei rifiuti dettata dalla normativa europea e da quella italiana possano contribuire a ridurre l'impatto sull'ambiente.
  Storicamente la filiera degli indumenti usati si caratterizza come una filiera che ha un portato solidaristico molto importante. Storicamente e ancora tutt'oggi conferendo un indumento usato all'interno dei vari contenitori presenti sul suolo stradale o consegnandoli agli enti caritatevoli, che possono così riutilizzarli, si affida sostanzialmente a chi raccoglie il proprio mandato di solidarietà, ovvero far rispettare le valenze sociali e il reimpiego di questi indumenti o delle risorse generate dagli stessi a fini sociali.
  In tal senso, la filiera garantisce già dal primo anello della sua catena l'impiego, per esempio, di soggetti svantaggiati nella parte di raccolta, ma anche nell'ultimo anello, ovvero i microimprenditori dell'usato, che possono così commercializzare gli indumenti che vengono preparati per il riutilizzo, quindi ridiventano dei beni che possono essere ricommercializzati. Anche nella fase finale, sul commercio, si genera occupazione, oppure nelle esportazioni all'estero di questi indumenti in alcuni casi, oltre a sviluppare l'ambulantato locale delle persone impiegate in Paesi soprattutto dell'Africa subsahariana e dell'est Europa, si generano anche degli effetti a catena di produzione di posti di lavoro, per esempio nel riadattamento in base agli usi e costumi locali delle sartorie sociali o delle sartorie individuali che vengono prodotte grazie alle esportazioni.
  Altri studi, mettendo in parallelo l'occupazione generata dal settore dell'usato rispetto a quella generata dal settore del nuovo, parlando del pezzo finale, ovvero della distribuzione, ci dicono addirittura che il valore di 10.000 dollari di merce rivenduta dal settore dell'usato genera circa cinque posti di lavoro, mentre la stessa catena di distribuzione dello stesso importo genera 0,2 lavoratori sulla catena del nuovo.
  Dico questo per sottolineare che il settore dell'usato è un settore labor intensive, che impiega molta manodopera, divisa in diversi anelli della filiera, con diversi attori che entrano in gioco in base alle loro competenze, in base alle loro capacità di posizionarsi sul mercato, ma anche, come spesso accade in Italia, per altre ragioni. Alcune di queste sono legate all'intimidazione da parte di alcuni soggetti che inibiscono l'avanzamento nella catena del valore di altri soggetti della filiera.
  Ripercorro ora brevemente gli anelli della filiera, che più che una vera e propria filiera lineare, è una sorta di albero che ha diversi rami, che si intrecciano molto spesso nelle diverse fasi della gestione del rifiuto e del trattamento degli indumenti. Il primo anello è sicuramente l'affidamento del servizio da parte di comuni, stazioni appaltanti, consorzi di comuni e aziende di igiene urbana.
  Il secondo anello è quello rappresentato dalla raccolta dell'indumento, che può avvenire in diversi modi, principalmente due. Il primo, volto al riutilizzo in questo caso, riguarda gli indumenti che vengono raccolti direttamente presso le sedi degli enti caritatevoli o, per esempio, gli indumenti che sono frutto di scambi tra privati o gli indumenti usati che sono intercettati dalle catene di negozi in conto terzi o dai negozi dell'usato. In questo caso si parla di riutilizzo, quindi non entra in gioco la normativa sui rifiuti.
  Entra in gioco, invece, nelle raccolte stradali, quelle a cui siamo abituati, i classici contenitori gialli stradali. In quel caso, si entra nella vera e propria gestione dei rifiuti, quindi per l'attore che si appresta a raccogliere l'indumento, che prima naturalmente partecipa alla gara per poter accedere allo svolgimento del servizio, sono necessarie le dovute autorizzazioni al trasporto dei rifiuti, in questo caso per i CER riferiti alla gestione dei rifiuti 20.01.10 e il 20.01.11.
  La fase successiva è quella dello stoccaggio, dove gli indumenti raccolti vengono posizionati per essere poi avviati, attraverso una vendita, direttamente agli intermediari o a impianti di preparazione per il riutilizzo, autorizzati anche questi a norma di legge, con l'operazione R3, che consente di attuare quelle azioni di igienizzazione, laddove necessario, e soprattutto di selezione Pag. 15 che fanno cessare la qualifica di rifiuto all'indumento raccolto, che quindi diventa un nuovo prodotto da commercializzare. Questo avviene molto spesso all'ingrosso, verso canali esteri oppure verso canali italiani. Questi vengono gestiti da intermediari e da grossisti, che poi si occupano, nell'anello successivo, di rifornire altri intermediari, magari internazionali, che a loro volta effettuano delle ulteriori selezioni per rispondere alle domande del mercato locale, oppure gli ambulanti locali del territorio, che possono così rifornirsi di questi indumenti.
  C'è da precisare che nella fase di selezione e igienizzazione di questo primo stock, che è uno dei temi che affronteremo nel corso della relazione e che è uno dei nodi oggetto di indagine, di cronaca giudiziaria e di cronaca giornalistica, il 70 e il 60 per cento è riutilizzabile. Dalla selezione emerge cioè un quantitativo che è quello che viene posto sul mercato e che garantisce di ripagare il servizio della raccolta e gli altri passaggi di filiera all'operatore che lo gestisce.
  C'è poi orientativamente il 23 per cento di parti riciclabili, che vengono, invece, inviate all'industria del riciclo per realizzare nuovi filati e nuovi tessuti, che rappresenta sempre più un costo, in base a un'analisi di mercato fatta dai diversi operatori, rispetto a qualche anno fa.
  C'è poi circa il 3 per cento, in salita anche questo, di materiale non conforme che deve essere inviato a smaltimento o al recupero energetico.
  Questa è grosso modo la catena del valore che si sviluppa dalla parte di raccolta degli indumenti usati intesi come rifiuti.

  PRESIDENTE. Non so se ho capito male, ma la somma non fa cento.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Probabilmente sì, perché ho dato delle cifre variabili. Nell'ultimo periodo sono state indicate delle cifre molto variabili. Tra il 60 e il 70 per cento è la parte riutilizzabile, che è quella che dà valore all'indumento raccolto, circa il 23 per cento è la parte riciclabile e poi circa il 7 per cento in crescita è la parte di smaltimento, o forse il 3 per cento. Con i numeri non ci siamo. Comunque, la parte residuale, quella che va a smaltimento, che è la parte...

  PRESIDENTE. È così bassa la percentuale? Mi aspettavo...

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Quella che va a smaltimento sì, ma è una frazione in crescita, in primo luogo per i cattivi conferimenti, in quanto vengono conferiti anche altri materiali che non sono conformi all'interno dei contenitori stradali, e in secondo luogo per una tendenza di mercato che dipende soprattutto dallo sviluppo del fast fashion e, quindi, i materiali che vengono posizionati all'interno dei contenitori non sono qualitativamente elevati e arrivano già a un ciclo di vita già molto avanzato quando vengono conferiti all'interno dei contenitori.
  Alcune indagini ci dicono che l'acquisto del fast fashion dal 2000 è aumentato di circa il 60 per cento. L'utente medio acquista il 60 per cento in più, però il ciclo di vita è dimezzato per la qualità dei materiali utilizzati per la realizzazione del prodotto.

  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Posso aggiungere una cosa, per dare anche una pausa a Gianfranco Bongiovanni? C'è una questione tecnica: il fast fashion utilizza molto acrilico e molta poca materia naturale. Sopra il 50 per cento di acrilico, il riciclo del tessuto è molto costoso, poco redditivo e molto difficile, quando non impossibile industrialmente.
  Da un lato, come diceva Gianfranco Bongiovanni, sono aumentati del 60 per cento i capi acquistati, ma dall'altro il loro ciclo di vita è enormemente abbreviato. Tutti noi lo vediamo: oggi una maglia in un qualsiasi negozio del centro di una qualsiasi città costa pochissimo. Quella maglia è molto più difficilmente riciclabile di una maglia di dieci anni fa, che era al 70-80-90-100 per cento fibra naturale.

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  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Per tornare agli attori della filiera degli indumenti usati, abbiamo precisato che il primo attore in realtà sono le stazioni appaltanti, che decidono i criteri, in base al codice degli appalti, per affidare il servizio. Ciò può avvenire secondo procedure di gara pubbliche o con affidamenti diretti a chi poi si dovrà occupare del servizio di raccolta e recupero dell'indumento stesso.
  C'è, quindi, un importante ruolo giocato dalle stazioni appaltanti, che possono valorizzare la parte legata alla qualità del servizio e alla tecnica, anziché puntare su altri elementi, come può essere l'elemento prezzo, che invece sta divenendo un elemento molto orientante per quanto riguarda l'affidamento delle gare. Questo avviene in Italia, in Spagna e in altri Paesi. Soprattutto le gare al massimo rialzo rischiano di inserire un elemento troppo rigido all'interno di una filiera degli indumenti usati che ha delle fortissime oscillazioni di mercato.
  Negli ultimi anni il valore del prodotto venduto, del raccolto, è sceso tra il 20 e il 25 per cento. Questa è un'anomalia anche rispetto ad altre frazioni della raccolta differenziata. Forse è l'unico servizio in cui l'operatore che raccoglie e poi recupera il materiale non viene pagato con quota parte delle stazioni appaltanti, ma in realtà all'operatore stesso viene richiesto un contributo per la raccolta degli indumenti. Questo avviene perché storicamente il settore riusciva, e riesce ancora per certi versi, a mantenere un punto di equilibrio rispetto ai costi di gestione della frazione tessile e ad avere dei piccoli utili, che in alcuni casi, se si tratta di aziende profit, sono dei veri e propri utili, mentre nel caso delle tante organizzazioni no profit che sono all'interno del settore vengono reinvestiti a fini sociali sia in Italia per attività in loco che in attività di cooperazione internazionale.

  PRESIDENTE. Per quanto riguarda il massimo rialzo, una cooperativa, un soggetto o un operatore, che magari fa un'offerta più alta rispetto alle oscillazioni e alle previsioni, rischia di fallire perché ha fatto un'offerta più alta? Questo si presta anche a episodi di nero per rientrare in qualche modo da questa offerta più alta che è stata fatta? Che meccanismi si innescano con queste gare al rialzo?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Gli operatori hanno segnalato questo tipo di rischio. Abbiamo visto anche per le altre frazioni, per la plastica eccetera, quanto possono oscillare i valori di mercato della rivendita di questo prodotto e di questi rifiuti. In questo caso, rischia di essere un elemento molto orientante e, quindi, il rischio è che gli operatori non riescano più a mantenere il loro punto di equilibrio. Lo vediamo oggi nella filiera degli indumenti usati, ma il rischio concreto è che questo si possa ripercuotere in futuro, per esempio, sulle altre filiere dei beni durevoli.
  Anche nei nuovi testi che sono in discussione ci sono degli incentivi per il settore dell'usato che rischiano di essere annullati proprio per la propensione a valorizzare l'aspetto prezzo anziché quello tecnico o quello dei fini sociali, che il settore richiederebbe e anche gli stessi cittadini.

  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Bisogna dire anche alcune cose chiare. In primo luogo, le gare al massimo rialzo vanno assolutamente contro le direttive europee, che prescrivono che i bandi debbano avere degli elementi qualitativi e non solo quantitativi.
  In secondo luogo, è evidente che le gare al massimo rialzo eliminano esattamente quello di cui parlava il mio collega. Se io sono un comune italiano, piccolo o grande, e faccio una gara al massimo rialzo e chiedo all'operatore di darmi il più possibile rispetto a ogni chilo raccolto, ciò vuol dire che non mi pongo il problema in primo luogo di chi è questo operatore, in secondo luogo di qual è la filiera che persegue in terzo luogo dei fini solidaristici.
  Infatti, non dimentichiamo che i contenitori che noi troviamo per le strade sono oggetto di conferimento da parte dei cittadini perché i cittadini credono nell'assoluta e totale buona fede che vengano usati per Pag. 17fini solidaristici. Se questo non viene indagato dalle stazioni appaltanti, noi siamo di fronte a dei fenomeni che permettono in alcuni casi di fare cassa, ma che, come giustamente diceva il presidente Vignaroli prima, rischiano di risultare un boomerang, perché colui che vince l'appalto non è in grado di ottemperare alle cifre che aveva promesso.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Il rischio del nero a cui faceva riferimento è un rischio concreto.
  Le fasi successive sono ancora più rischiose, se mi si consente, per quello che si innesca. Si innescano delle filiere che sono assolutamente poco trasparenti. Banalmente, se io rivendo al nero oppure non faccio la parte di selezione come mi viene imposto all'interno di impianti che sono autorizzati per farlo, con i quantitativi certificati di quello che viene raccolto e di quello che entra all'interno dell'impianto, sarò inevitabilmente costretto a smaltire illegalmente quello scarto della selezione illegale e abusiva. Questo ha dato il la purtroppo a dei fenomeni che sono quelli della terra dei fuochi, per esempio. Molto spesso gli indumenti che vengono da questa parte di filiera non tracciata fungono da innesco per i roghi tossici che hanno accompagnato il fenomeno della terra dei fuochi, non presente soltanto in Campania, ma anche in altre parti d'Italia. Sono fenomeni abbastanza diffusi.
  Questo dipende dalla trasparenza e anche dalla responsabilità della trasparenza di filiera. Come dicevamo, dipende dall'orientamento delle stesse gare, ma dipende molto anche da quanto il secondo anello in questo caso, che è la parte della raccolta, si rende responsabile agli occhi della stessa stazione appaltante della trasparenza della filiera.
  Come spiegava il presidente, l'interfaccia con le stazioni appaltanti sono molto spesso sigle che richiamano e rimandano al mondo della solidarietà, ma non sempre sono le stesse realtà che troviamo descritte sui contenitori a svolgere quel tipo di servizio o gli utili di quel servizio non sono completamente reimpiegati a fini solidali.
  Ci sono casi in cui legittimamente aziende profit utilizzano il logo di associazioni no profit per poter dare un contributo per l'utilizzo del marchio all'associazione in questione, però si interrompe quella dinamica di solidarietà e di generazione di utili da poter reinvestire a fini sociali già nel secondo anello, quello di preparazione del riutilizzo e, quindi, della riammissione nel mercato del mondo dell'usato.
  È auspicabile che i fini solidaristici possano essere oggetto di una valorizzazione lungo tutto l'arco della filiera anziché fermarsi soltanto al primo aspetto, dove entrano in gioco altri attori. Dopo la fase della raccolta e dello stoccaggio, come dicevamo, gli indumenti vengono rivenduti a intermediari, a grossisti o agli impianti stessi. Questi vengono preparati per il riutilizzo ed entrano in gioco i meccanismi di filiera più ampia.
  Proprio la fase degli intermediari è il nodo più critico. Sono abbastanza frequenti le notizie di cronaca giudiziaria in merito, per esempio, alla mancata selezione e igienizzazione dei rifiuti in ingresso, a problemi legati alla falsificazione di bolle di trasporto dei rifiuti o a fenomeni di passaggi presso l'impianto senza l'effettiva fase di igienizzazione e selezione del rifiuto stesso. Questo genera quel finale di filiera che dicevamo, con lo smaltimento illegale di ciò che non è stato correttamente censito come rifiuto.
  Bisogna dire che è un settore complesso. Soltanto da questi equilibri si capisce già come possa essere complicato ricostruire l'intero percorso. Tuttavia, ci sono attori che riescono a farlo, per fortuna, e ci sono anche dei processi di consultazione tra i diversi attori e le stazioni appaltanti, come diceva il presidente, che dovrebbero aiutare in questo senso nell'orientare le stesse stazioni appaltanti per l'assegnazione, con delle vere e proprie linee guida che verranno fuori da questo tavolo congiunto che è nato lo scorso anno tra gli operatori del settore, compresi Rete ONU, il Centro nuovo modello di sviluppo e Utilitalia. Queste linee guida dovrebbero essere pronte a giorni, speriamo molto presto, e possono dare un indirizzo un po’ più certo rispetto all'affidamento Pag. 18 del servizio e, quindi, anche in termini di trasparenza delle filiere.
  I dati ISPRA oggi indicano in circa 133.000 le tonnellate che vengono raccolte in maniera differenziata della frazione tessile. In questo computo, però, non vengono conteggiati, per esempio, quei numeri e quei chili che vengono raccolti attraverso contenitori abusivi sul territorio, che è un fenomeno molto diffuso, o attraverso delle raccolte porta a porta di fantomatiche associazioni che molto spesso si rivelano poco solidali. Sono tutti conteggi che sfuggono in realtà al valore indicato dall'ISPRA con 133.000 tonnellate.
  Il dato medio di produzione di indumenti usati pro capite, che viene sempre dal rapporto ISPRA 2018, è di circa 2,2 chili pro capite, però in realtà è lecito pensare anche da altri studi che i quantitativi che vengono generati di indumenti usati effettivi siano almeno il doppio, quindi ci sarebbe da chiedere che strade prendano quegli altri volumi che non vengono conteggiati all'interno delle raccolte differenziate. È un problema che, come abbiamo visto, genera anche altri problemi più grossi.
  Parlavamo dei cambiamenti del mercato in generale degli ultimi anni. Ci sono nuovi attori sul mercato. Dicevamo della bassa qualità che si raccoglie all'interno dei contenitori, che dipende molto dall'industria del fast fashion, ma anche dalla capacità di intercettazione che è stata avviata soprattutto in Europa con la raccolta con i contenitori stradali.
  Ci sono anche altri attori che hanno generato fenomeni nuovi e abbassamento dei prezzi di vendita degli indumenti usati. Uno di questi sono, per esempio, le 550.000 tonnellate che Cina e sud Corea hanno immesso sul mercato negli ultimi anni, che hanno abbassato drasticamente il prezzo della rivendita degli indumenti usati. Dati altrettanto importanti sono quelli riferiti, per esempio, alla guerra tra Russia e Ucraina, che ha bloccato dei mercati di esportazione che in questi anni avevano invece assorbito buona parte della produzione locale italiana. Ci sono altri fenomeni, come per esempio le restrizioni dei volumi di importazione con la Tunisia, che è il principale punto di esportazione per quanto riguarda l'Italia. Sono tutti temi che fanno parte di una dinamica di mercato globale ed è intorno a questa dinamica di mercato che vanno lette le nuove tendenze.
  Poc'anzi parlavamo del massimo rialzo. Prima questo era un settore che generava utile, quindi poteva ripagare il servizio e i costi di gestione della frazione tessile. Oggi questo non è più un punto fermo per gli operatori del settore, che devono sempre più sottostare a queste oscillazioni di mercato.
  Ci sono questi nodi, ma ce ne sono molti altri, come le affermazioni della Direzione nazionale antimafia, che parla di vere e proprie infiltrazioni e gestioni degli indumenti usati da parte di clan camorristici. In particolar modo, i due poli d'attrazione di questa filiera, che sono il polo di Ercolano-Resina da un lato e quello di Prato-Montemurro dall'altro, risultano fortemente inquinati dalla presenza camorristica, un dominio che si estende, come dicevamo, in molti casi con aspetti veramente inquietanti, come intimidazioni di vario ordine nei confronti di operatori che cercano di avanzare nella fase del valore della filiera e che sono invece relegati ai primi anelli della filiera stessa.
  Le problematiche legate a questioni che hanno carattere giudiziario sono diverse. Accennavamo alla mancata selezione e igienizzazione dei rifiuti, ma vi sono anche le frodi doganali, il traffico internazionale di rifiuti, il riciclaggio di denaro sporco, che viene da altre attività e che è facilmente riutilizzabile in questo caso attraverso le dinamiche di transfer pricing, ovvero attribuire del valore eccessivo in alcune catene in paradisi fiscali, per poi avere minori tassazioni laddove avvengono le operazioni. Delle raccolte abusive abbiamo già parlato, così come della «pubblicità ingannevole» contenuta su volantini per le raccolte porta a porta o su alcuni contenitori stradali.
  In questo senso, cosa ha fatto Rete ONU in questi anni intorno alla questione? Rete ONU non ha un comparto degli indumenti usati al suo interno, però ha operatori che fanno parte del mondo degli indumenti usati. Ha favorito, come accennavamo prima, Pag. 19una maggiore trasparenza sulla filiera nei dibattiti pubblici, ma anche al suo interno. Ha avviato un osservatorio sugli indumenti usati già nel 2015, affidandolo a Francesco Gesualdi, che prima citava il presidente, che ha dato alla luce un vero e proprio codice etico, per riuscire a gestire le domande di ingresso all'interno di Rete ONU di soggetti poco chiari all'interno della filiera degli indumenti usati.
  Non c'è una posizione di Rete ONU sulla questione indumenti usati in sé, ma è più che altro un'espressione delle consultazioni interne agli operatori del settore, una fase di analisi complessiva dell'andamento del settore, cose che facciamo sui beni durevoli e che facciamo in particolare anche sugli indumenti usati. Mi taccio qui per il momento.

  PRESIDENTE. Vorrei chiedere alcune cose. Innanzitutto avete parlato di linee guida, di una bozza con Utilitalia. Vi chiedo se potete farcela avere, quando sarà pronta.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Assolutamente.

  PRESIDENTE. Avete parlato di infiltrazioni criminali, della DNA (Direzione nazionale antimafia). Innanzitutto vorrei sapere se ci sono società all'interno della vostra rete che si occupano di abiti usati, quali sono, come si chiamano e se hanno procedimenti giudiziari a carico, a vostra conoscenza.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). A nostra conoscenza no. Gli operatori che fanno parte della filiera degli indumenti usati, che noi sappiamo, non hanno indagini o procedure aperte, il nostro codice etico è molto rigido in questo.

  PRESIDENTE. Chi sono, però, questi vostri operatori?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). I nostri operatori che si occupano della raccolta sono la cooperativa Cauto, la cooperativa Il Grillo, per fare dei nomi, la cooperativa Humana people to people e in parti marginali altre realtà.

  PRESIDENTE. Se poi ci fate avere l'elenco...

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Lo abbiamo consegnato agli atti.

  PRESIDENTE. Ci sono indagini giudiziarie su questi operatori?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). A nostra conoscenza no, ma approfondiremo la questione.

  PRESIDENTE. Per quanto riguarda l'infiltrazione camorristica, voi avete parlato di una filiera abbastanza complessa che ha vari anelli. A vostro giudizio, l'infiltrazione criminale a quale livello opera, a un livello solo? Riesce, direttamente o indirettamente, ad arrivare a tutti i livelli in modo da indirizzare i vari flussi oppure no? Come fa a manifestarsi e a operare l'infiltrazione camorristica o criminale?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Lo deduciamo più che altro dalle inchieste giudiziarie o anche dalla cronaca stessa. È difficile dire fino a che punto riesca a spingersi la parte oscura della filiera. Senz'altro ci sono delle influenze per quanto riguarda il primo anello, l'anello più debole, che è quello della raccolta, banalmente imponendo dei prezzi od ostacolando le realtà che vogliono avanzare nella catena del valore. Ad esempio, mettere da parte la fase di intermediazione per gestire autonomamente le fasi successive in diversi territori è un'operazione molto complicata e molto rischiosa per i soggetti più deboli e più fragili, che sono quelli della raccolta. Sicuramente in questo ambito interviene in maniera pesante e si fa sentire pesantemente la mano delle organizzazioni criminali.

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  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Vorrei aggiungere una cosa, se posso permettermi, in senso anche positivo.
  Nella mia veste di presidente, ho seguito la filiera di uno dei nostri soci – non dirò chi o, se volete, lo dirò, non importa – a partire dalla raccolta per arrivare allo stoccaggio e alla distribuzione, che nel caso specifico avveniva in Malawi. Ho seguito una filiera che qualsiasi player di un certo livello ha l'opportunità di tracciare. Io ho parlato con gli uffici di Bureau Veritas, che è un ufficio internazionale di certificazione, che ha certificato questa filiera. Vorrei spezzare una lancia anche a favore del vostro lavoro. Gli strumenti ci sono: ci sono gli strumenti legislativi, ci sono gli strumenti penali e ci sono gli strumenti scientifici per certificare le filiere.
  Io voglio essere ancora più chiaro del mio collega Bongiovanni. A oggi per noi sarebbe motivo assolutamente di sospensione qualsiasi ombra su chiunque dei nostri soci. Dall'altra parte, siamo fieri di poter dire che i soci che applicano questi strumenti hanno una filiera che è leggibile chiaramente anche da un profano. Non è forse il momento, ma ve la potrei descrivere nei dettagli. Ovviamente nelle percentuali di cui parlava Bongiovanni, dopo la fase di raccolta c'è una fase di stoccaggio. Il materiale viene diviso, anche perché, come potete immaginare, gli abiti si raccolgono indistintamente. Le persone conferiscono ai cassonetti quello che hanno in esubero, estivo o invernale. Ovviamente il materiale invernale non va in Malawi, che è un Paese subtropicale, quindi viene diviso: il materiale invernale viene avviato a Paesi come la Georgia, il materiale estivo viene avviato a Paesi come il Malawi. Nel caso di questa filiera, viene smistato in primo luogo in modo da essere rivenduto.
  Apro e chiudo una parentesi. Come voi sapete, ci sono molte polemiche sull'utilizzo in Paesi in via di sviluppo. Il Malawi è uno di quei Paesi dove non esiste industria tessile locale, quindi non si cozza contro un'industria locale, tant'è che ha delle barriere doganali molto basse, perché non è sostitutivo di qualcos'altro.
  Questo materiale stoccato viene diviso. Ci sono dei centri di approvvigionamento per singoli (i negozi), per piccoli rivenditori, con delle balle o bales, come si chiamano in Malawi, di un tiraggio contenuto, e delle bales più grandi per dei negozi o dei rivenditori maggiori.
  Chiunque voglia certificare questa filiera – il mio viaggio può testimoniarlo in qualche modo, ma soprattutto lo testimonia Bureau Veritas – la può tranquillamente certificare e qualsiasi stazione appaltante voglia una filiera certificata è in grado di ottenerla.
  Io in questo senso mi sento di fare un appello a questa Commissione. Le stazioni appaltanti hanno il dovere di chiedere qual è la filiera dove vanno a finire gli abiti che noi cittadini conferiamo ai cassonetti, posto che ovviamente – ma ça va sans dire, di questo siamo coscienti tutti – i cassonetti salvano migliaia e migliaia di tonnellate – parliamo di 100.000-150.000 tonnellate in Italia – dall'indifferenziato e, quindi, dall'andare a termovalorizzazione.

  PRESIDENTE. Noi come Commissione ci stiamo occupando, tra le tante cose, anche di questo e vogliamo anche scavare fino in fondo, quindi ben venga parlare di infiltrazioni criminali, della DNA – ormai è stato ribadito in più sedi – ma ci potete fare qualche esempio concreto di episodi di criminalità un po’ più specifici?

  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Dal nostro punto di vista io citavo prima, al contrario, uno dei nostri soci, Humana people to people, che è stato fatto oggetto di attività criminali a Roma. Sono stati bruciati tre camion, ma non solo. L'intimidazione non è stata solo nel bruciare, ma nel lasciare appositamente affianco ad altri camion degli stracci imbevuti di materiale infiammabile, non perché siano stati disturbati, ma perché il segnale è: «Se continuerete, questo è il destino che faranno le vostre attrezzature».

  PRESIDENTE. Se continuerete a fare cosa? È una semplice spartizione di territorio, Pag. 21 nel senso «in questo territorio ve ne dovete andare perché c'è un'altra persona»? Qual è la motivazione che vi siete dati o che hanno evidenziato le indagini giudiziarie? Va bene l'intimidazione, però per cosa?

  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). È chiaro, voi dovete capire. Noi ovviamente siamo la società civile, leggiamo i giornali come voi e traiamo delle conclusioni come voi. In questo caso è stato palesemente Humana People to people, ma poteva essere «Pippo». Questa organizzazione, di cui siamo orgogliosi, che è socia di Rete ONU, ha vinto un appalto al comune di Roma per la raccolta di indumenti usati, a condizioni che ha dettato il comune di Roma. In questo caso non c'era una gara al massimo rialzo, ma su queste cose specifiche Bongiovanni potrà essere più preciso.
  È evidente che l'intimidazione è: «Non dovevate fare quella gara, dovete tornare a casa vostra». Siccome per la prima volta aveva vinto per una delle due zone di Roma – l'appalto era diviso in due zone – è evidente che la deduzione che ne traiamo è: «Lì non dovete mettere piede». Chi? Ovviamente lo sanno le autorità giudiziarie, però dal punto di vista della società civile è chiaro che l'intimidazione è: «Questo è un territorio dove comandano altri, dove nessuno si può inserire». A me sembra chiaro in questo senso.
  Questa è anche un po’ una risposta alla legittimissima domanda del presidente Vignaroli. Noi oggi non siamo in grado di darvi delle indicazioni precise, per un motivo molto semplice: non è nelle nostre capacità. Nella nostre capacità c'è quella di costruire un codice etico molto rigido, per cui i nostri soci non sono contaminati da infiltrazioni mafiose e, dall'altra parte, essere, come siamo stati con comunicati stampa, con solidarietà e così via, al fianco dei nostri soci quando sono sotto attacco. Per il resto, io credo che parliamo di un lavoro che voi state facendo egregiamente, la magistratura altrettanto, per non parlare delle Forze dell'ordine.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Forse si può anche aggiungere che, per capire se ci sono altri elementi da poter dare come contributo alla Commissione, magari si potrebbe interpellare le realtà interne Rete ONU che si occupano proprio della filiera e, quindi, convocare o chiedere delle informazioni aggiuntive su questo. Senz'altro lo faremo.

  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Assolutamente ci impegniamo a farlo.

  PAOLA NUGNES. Innanzitutto chiedo, anche a nome del presidente, di farci avere le linee guida appena sarà possibile e saranno disponibili.
  Inoltre vorrei una precisazione circa i dati che ha fornito, ovvero i 60.000 litri di acqua, i 400 grammi di pesticidi e i 3-4 chili di CO2. A che quantitativo faceva riferimento?
  Lei ha affermato: «Abbiamo in questo settore il 60 per cento del riuso, il 23 del riciclabile, che è il settore meno fruttuoso, e poi da un 3 a un 7 per cento di materiale che deve essere conferito per lo smaltimento». Innanzitutto mi chiedevo se è nel riciclabile che ci sono cinque posti di lavoro ogni 10.000 dollari o nel riuso.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Nel riutilizzo, nella parte di distribuzione della parte riutilizzabile.

  PAOLA NUGNES. Perfetto. Come viene smaltito il residuo? Il 3-7 per cento viene portato a incenerimento?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Sì.

  PAOLA NUGNES. Quindi ha un costo. La parte che più mi interessa capire è questa del fast fashion, che è stata anche citata da un audito precedente. Io vorrei sapere se voi avete contezza della provenienza, se questo aumento del 60 per cento Pag. 22è un aumento della produzione italiana, nostrana, o di importazione.
  Sul ciclo di vita, che è una cosa molto importante su cui l'economia circolare sta facendo grandi riflessioni, se lei mi dice che il 50 per cento di acrilico è molto più difficile da riciclare e, quindi, ha un impatto ambientale alto, io mi chiedo: la fibra naturale nella produzione che tipo di impatto ambientale ha? Voi su questo avete fatto una riflessione? Poiché devo valutare sul ciclo di vita del prodotto, posso dire che in assoluto l'acrilico ha un impatto maggiore, perché a fine filiera me lo dà sicuramente maggiore, o è meno impattante nella fase di produzione? Non so se sono stata chiara nella domanda.
  Per quanto riguarda la responsabilità del produttore in questo settore, non ne ho sentito fare cenno. Parliamo di chi ha usato l'abito e lo ha poi donato o comunque smaltito e di tutta la filiera dalla raccolta, ma i produttori in questo settore non vengono nominati.
  Qual è il monte di affari? Questa criminalità organizzata, che è così interessata, che profitti fa da tutto questo?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Ha fatto un po’ di domande. Su alcune riesco a darle delle indicazioni. Quando parliamo di fast fashion parliamo delle grandi catene di distribuzione, dei marchi ben noti che negli ultimi anni si sono affermati: vendita low cost di abbigliamento, qualità del prodotto bassissima, produzioni che non sono evidentemente in Italia, perché non riuscirebbero a gestire i costi della manodopera. Stiamo parlando di grandi catene del fast fashion in questo caso, di importazione.

  PAOLA NUGNES. Aggiungo un'altra considerazione, se il presidente me lo permette. Se si dovesse valutare l'ipotesi di dare un costo ambientale per lo smaltimento del fast fashion, è credibile, è attuabile, secondo la vostra concezione? Visto che c'è un costo che non è evidente nella produzione, quindi nel mercato, ma lo ritroviamo a valle, questo costo sul ciclo di vita può essere caricato?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Intende sul produttore? Sarebbe molto bello, anche per il settore dell'usato per avere meno sgravi. Se pensiamo che su alcuni territori il costo dello smaltimento a tonnellata ha superato i 220 euro, significa riuscire a incidere su questa frazione, che, anche se è al 7 per cento, è in crescita. Questo aiuterebbe molto, così come una tassazione sul produttore di questi tipi di materiale, anche per orientare la produzione su altri materiali che siano più facilmente riutilizzabili, se non riciclabili.
  Mi ha fatto veramente tante domande, alcune le ho segnate. I 60.000 litri di acqua sono sul chilo di indumento. I dati del 60 per cento dell'aumento dei vestiti rispetto al 2000 e la conservazione per metà del tempo rispetto al 2000 sono in uno studio di Mackensen&Co citato come dato. Quello a cui mi riferivo sul chilogrammo e sull'impatto, invece, è uno studio del 2014 dell'Università di Copenaghen sugli impatti ambientali evitati, sempre sul chilo di indumenti. Ce n'erano tante altre.

  PAOLA NUGNES. Mi chiedevo se comunque possiamo valutare che l'acrilico è sicuramente più impattante, perché lo è nello smaltimento, o se le fibre naturali lo sono di più nella produzione.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Questa è una domanda alla quale non saprei risponderle, però possiamo chiedere agli attori del settore, insieme alle altre questioni che erano rimaste in sospeso, di aggiungere anche questo elemento. Spero sappiano rispondere.

  PAOLA NUGNES. Quant'è questo monte affari a cui la criminalità è così interessata e che quota parte si prende la criminalità?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Il monte affari dipende da diverse cose. Consideri che la vendita del raccolto avviene a chili, però alla fine molto spesso si vende al pezzo. In questa fase c'è una attribuzione Pag. 23del valore che può essere di x, che è molto soggettiva e difficile da tracciare.

  PRESIDENTE. Ho della ultime domande. Voi giustamente avete parlato di due tipi di raccolta, quello da donazione (parrocchie) e quella stradale dove comunque compare spesso anche il logo della Caritas. C'è comunque questa ambiguità tra le donazioni e la filiera della vendita. Poi ci sono anche gli scarti industriali tessili. Lungo i vari percorsi, le varie filiere, ci sono dei vasi comunicanti? Alla fine va tutto insieme, nel senso che quello donato alla fine si convoglia in quello stradale e anche gli scarti vanno insieme agli scarti dei prodotti industriali tessili, oppure sono filiere completamente distinte?
  Gli operatori del settore sono in genere sempre le stesse società oppure nel tempo è abbastanza fluido, quindi c'è chi esce e chi entra? Se è così, questa fluidità è vera ed effettiva oppure più o meno sono sempre gli stessi soggetti che magari, anche viste le vicende giudiziarie, cambiano nome? Com'è la fluidità di queste società?
  A Latina, per fare un esempio concreto, addirittura i cassonetti erano abusivi, nessuno sapeva chi li aveva messi e non si riusciva nemmeno a toglierli. Ne toglievano un po’ e poi rispuntavano fuori. Avete analizzato questo fenomeno?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Credo che ci sia una commistione tra le diverse filiere, cioè finisce tutto insieme molto probabilmente. L'impiantistica utilizzata in Italia è veramente scarna, quindi si può risalire almeno all'impiantistica per quanto riguarda la selezione e l'igienizzazione, cioè sugli impianti 3R, sul trattamento e sul recupero. Immagino che in quella fase si possa dire che ci siano delle commistioni in particolare.
  Per quanto riguarda la volatilità delle diverse imprese del mondo dell'intermediazione e dei grossisti, è un fenomeno abbastanza diffuso chiudere delle ragioni sociali per aprirne altre. È un fenomeno che è stato evidenziato spesso.

  PRESIDENTE. Questo ha una motivazione? Vi siete spiegati per quale motivo avviene? C'è una motivazione oppure ce ne sono varie?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Non ci siamo dati delle motivazioni che siano suffragate da atti concreti e pratici, quindi non approfondirei oltre, però qualcosa si può intuire.

  PRESIDENTE. Latina?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Per quanto riguarda il caso di Latina, cioè il posizionamento di contenitori sul territorio di cui i comuni e gli enti locali non sanno nulla, anche questo è un fenomeno abbastanza presente.

  PRESIDENTE. Non succede soltanto a Latina, ma succede anche altrove che le istituzioni non sanno chi ha messo quel cassonetto giallo lì?

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). È abbastanza frequente come dinamica. Speriamo che vada riducendosi sempre di più, però è un vero e proprio rifiuto, che quindi sfugge completamente alla tracciabilità di quello che dovrebbe essere invece tracciato, che è il rifiuto stesso.

  ALESSANDRO STILLO, Presidente della Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Questa estate ho fatto una vacanza in sud Italia, dove ho visto alcuni fenomeni di questo genere, cioè contenitori che evidentemente, anche per le loro condizioni, erano lì abbandonati e non erano autorizzati da nessuno.
  Io penso che sia una questione di filiera, cioè ci sono territori dove non è possibile. Io vengo da un territorio dove è impossibile posizionare un contenitore giallo senza sapere di chi è quel contenitore e senza l'autorizzazione di suolo pubblico. Io mi occupo di attività di libero scambio. Nel mio territorio i contenitori di recupero di tessile possono essere posizionati in aree private, non in aree pubbliche, perché in Pag. 24aree pubbliche l'appalto è stato legittimamente vinto da una cooperativa.
  Questo è un fenomeno molto presente in particolare – lo dico con dolore, essendo io di origine calabrese – in alcune regioni del sud Italia, così come in generale in alcune regioni del sud Italia – ma anche al nord devo dire – è facile trovare affianco ai cassonetti dei rifiuti che non sono evidentemente rifiuti prodotti dal cittadino. Io quest'estate ho visto il mobilio di interi appartamenti affianco a cassonetti che evidentemente non potevano contenerlo.
  In questo senso, mi permetto di dire, tornando all'audizione di ieri, che le proposte di legge presenti, di cui una è a prima firma del presidente Vignaroli, sono fondamentali per noi, perché la possibilità di conferire ai centri di raccolta rifiuti senza pagare delle cifre esose è un vantaggio per la collettività, perché questo vuol dire risparmiare nella raccolta dei rifiuti.
  Allo stesso modo, la raccolta del tessile fatta in modi appropriati fa risparmiare, come diceva il mio collega, le tariffe che vengono scelte, che vanno da 160 a 200-220 euro più IVA a tonnellata. Questo è quello che si paga in Italia per smaltire a termovalorizzatore. Sono cifre che cubano alcuni milioni di euro ogni anno che noi cittadini paghiamo attraverso le tasse.

  GIANFRANCO BONGIOVANNI, Rete nazionale operatori dell'usato (Rete ONU). Vorrei aggiungere una cosa sui contenitori abusivi. Il presidente citava il fatto che ci sono delle realtà che si sono aggiudicate la gara. Molto spesso, in virtù della dinamica del costo di cui parlavamo, per il raggiungimento del punto di equilibrio per la realtà formale che si è aggiudicata la gara la presenza di contenitori abusivi sottrae del materiale al computo stesso, aggravando naturalmente il peso della sostenibilità economica della gestione, quindi è un ulteriore rischio.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la presenza e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.