XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 6 di Giovedì 28 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) – Fondazione ANCI, Guido Castelli, in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Castelli Guido , presidente dell'IFEL ... 3 
Ferri Andrea , dirigente dell'IFEL ... 6 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 8 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 8 
Ianaro Angela (M5S)  ... 9 
Russo Paolo (FI)  ... 10 
De Menech Roger (PD)  ... 10 
Presutto Vincenzo  ... 11 
Ferrero Roberta  ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 11 
Castelli Guido , presidente dell'IFEL ... 11 
Ferri Andrea , dirigente dell'IFEL ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione presentata dall'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) – Fondazione ANCI, Guido Castelli, in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione del dottor Guido Castelli, Presidente dell'Istituto per la finanza e l'economia locale, e del dottor Andrea Ferri, dirigente dell'Istituto per la finanza e l'economia locale, in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione.
  Si tratta della sesta audizione della Commissione. L'occasione è particolarmente significativa in ragione del lavoro che la Commissione sta svolgendo in tema di attuazione dei principi di autonomia degli enti territoriali e locali e del relativo regime finanziario, e sui temi delle iniziative in atto, relative all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione.
  Nel ringraziarlo per la disponibilità dimostrata, cedo quindi la parola al presidente dell'IFEL, dottor Guido Castelli.

  GUIDO CASTELLI, presidente dell'IFEL. Grazie, presidente, rivolgo un saluto a tutti i membri della Commissione, con cui l'IFEL ha collaborato a lungo da quando è stata istituita, occupandosi in particolare dell'apporto tecnico dato al grande tema dei costi e dei fabbisogni standard che, come è noto, è sotteso a buona parte delle riflessioni che si stanno facendo relativamente all'attuazione dell'articolo 116.
  L'IFEL è la Fondazione dell'ANCI che si occupa prevalentemente di economia e finanza locale. Il nostro ruolo (mi permetto di dirlo per chi non conoscesse la Fondazione) è proprio quello di prestare assistenza tecnica ai comuni, di formulare strategie e prospettive di lavoro per l'autonomia in Italia, e di curare formazione, in maniera tale che i meccanismi, una volta definiti, siano implementati e messi a terra attraverso una corretta informazione e formazione degli amministratori e dei funzionari locali.
  Fatta questa premessa, qual è il ruolo dell'IFEL rispetto a questa tematica? Quello di valutarla dal punto di vista dei comuni e in particolare di valutarla in relazione alla dimensione finanziaria, all'impatto finanziario che teoricamente l'attuazione del 116, terzo comma può esprimere rispetto ai comuni stessi.
  Da questo punto di vista quindi, salvi poi l'indicazione e l'indirizzo politico che verrà dall'associazione ANCI di cui noi siamo strumento operativo, possiamo avere individuato alcuni temi, su cui in maniera forte invitiamo tutti a riporre una certa attenzione, punti di criticità o comunque limiti di intervento, e dei punti che invece ci consentono di dire che l'attuazione del Pag. 4116 può anche aprire finalmente (aggiungo questo avverbio) una stagione di ripresa dell'autonomia, dell'autonomia ragionata e consapevole, in questo Paese.
  Le criticità sono state spesso passate in rassegna, la necessità ovviamente di garantire l'unità e l'indivisibilità della Repubblica, principio costituzionale, e aggiungiamo anche l'assoluta necessità di curare che il processo custodisca e valorizzi anche il principio di sussidiarietà e il principio di leale collaborazione fra enti, perché è evidente che il trasferimento di funzioni comporta poi, in una dimensione infraregionale, che la rete dei territori possa curare in maniera efficace ed efficiente la realizzazione degli obiettivi amministrativi, che sono funzionali al trasferimento delle competenze.
  Questo in tema di princìpi; arrivando invece ad un'analisi leggermente più approfondita delle questioni che il mondo dei comuni e delle autonomie considerano prioritario rispetto a questo processo, non posso non premettere che questa azione, questo processo si inscrive in una fase storica, in cui le autonomie in Italia sono state fortemente compresse dalle manovre di consolidamento fiscale e dagli interventi operati dallo Stato centrale, invocando legittimamente il principio di coordinamento della finanza pubblica, fra il 2011 e il 2015.
  L'articolo 5 della Costituzione, che premette l'unità e l'indivisibilità della Repubblica, esprime una chiara opzione costituzionale e ordinamentale verso il sistema Paese, che è un sistema fatto di decentramento e autonomia. Quel decentramento e quella autonomia sono stati logorati fortemente negli ultimi anni per via finanziaria, tanto da considerare complessivamente l'attuale fase storica come una fase in cui un neocentralismo ha sicuramente da un lato tolto risorse (questo si sa), ma ha anche deformato l'impianto della legge 42 del 2009, che aveva provato a definire i princìpi operativi su cui declinare tutto ciò che corre tra l'articolo 116 e il 119 della nostra Costituzione.
  Si è come creata una manomissione complessiva di un principio, di un quadro e di una cornice ordinamentale che poteva funzionare, ma su cui si è poi calata una gelata, che ha in qualche misura fatto assomigliare l'applicazione della 42 (mi si consenta l'espressione colorita) una maionese impazzita, e costi e fabbisogni standard, come dirà dopo il dottor Ferri, sono esattamente il punto di caduta di questa esigenza di tenere insieme un sistema, nonostante il logoramento dei princìpi e della razionalità complessiva di quel sistema che promanava dalla 42.
  Non è stato quindi solo un problema di limitazione delle autonomie in termini di spesa e di entrata, c'è stato un problema che ha direttamente inciso sul principio di perequazione, di cui si parla molto bene.
  Ricordo ai commissari che in Italia la perequazione è garantita unicamente dai comuni verso altri comuni, lo Stato è completamente uscito dal sistema di alimentazione di questo sistema. Tendenzialmente i contribuenti di molti comuni danno denaro, pagando l'IMU con il loro F24, ad altri comuni, cosa che in punto di principio è giusta e necessaria, ma questa è una funzione statale.
  Il fatto che per ragioni di finanza pubblica si sia registrata la ritirata complessiva dello Stato centrale dal sistema di perequazione fa sì che qualcosa, sicuramente non solo in punto teorico, non funzioni. Mi taccio e non mi soffermo, perché è troppo evidente e sarebbe troppo facile ricordare come per via finanziaria si siano destrutturati i pur comprensibili propositi che facevano da sfondo alla legge Delrio, quindi città metropolitane e nuove province in realtà non sono state mai messe in condizioni di operare anche perché dal punto di vista finanziario si sono operati interventi puntuali, che hanno completamente disassato il sistema.
  La discussione sull'attuazione del 116 cade in questa fase storica, non credo che possa essere considerato un fatto secondario, su cui non posare l'attenzione.
  Il mondo delle autonomie, per quanto riguarda quel punto di vista che prima evidenziavo, guarda con estremo favore a un rinnovato slancio autonomistico, perché c'è bisogno di recuperare autonomia (lo dice la Costituzione, la mia non è un'affermazione Pag. 5 ideologica), dall'altro è necessario, senza ideologismi e senza pregiudizi, capire che il mondo dell'autonomia è un sistema complesso, fatto di interdipendenze fra livelli di Governo, quindi mettere mano a questo sistema richiede molta attenzione, prudenza e, se è possibile, anche gradualità, per testare volta per volta gli esiti, la funzionalità, la razionalità di meccanismi che sono fragili proprio perché i fatti di simmetrie, di interdipendenze.
  Questa è la posizione «scientifica» e politica dell'IFEL con tre raccomandazioni. La prima è quella del principio della differenziazione. Faccio riferimento evidentemente al fatto che è giusto e necessario che alcune regioni sostengano e ragionevolmente immaginino di poter erogare servizi a costi più competitivi e nel maggiore interesse del cittadino, chi ritiene di poterlo fare è giusto che possa farlo, tenendo conto del fatto che la battaglia non è tanto sul regolamento di confini e sulle identità regionali, quanto sulla centralità dei bisogni dei cittadini, e, nel momento in cui il bisogno del cittadino, il diritto del cittadino può essere soddisfatto più e meglio e a costi anche performanti in alcuni territori, tutto questo è positivo.
  Attenzione, però, perché il principio di differenziazione deve essere sviluppato alla luce di questa priorità, che è quella del cittadino, e da qui un costante monitoraggio degli esiti di quella che è la ragionevole aspettativa di quei territori di poter fare di più e meglio.
  Il secondo principio è quello dell'antico brocardo (direbbero gli avvocati in esercizio, io non lo sono perché faccio il sindaco di Ascoli Piceno, non ho più tempo) unicuique suum, quindi c'è il livello regionale, ma – attenzione, lo citavo prima – c'è tutto ciò che è sotto il livello regionale, quindi la riflessione è giusto che si sviluppi tenendo conto che, a mente di Costituzione, l'ente regione ha funzione di legislazione e di programmazione, la funzione amministrativa è pressoché esclusivamente dei comuni e degli altri livelli locali, quindi soffermarci sull'attuazione del 116 impone, evoca, stimola la necessità anche di soffermarsi su tutto ciò che poi consentirà al 116 di esplicitarsi funzionalmente all'interno dei territori.
  Da questo punto di vista, quindi, è evidente che, se dovessi immaginare una messa a terra di questi princìpi, eviterei ad esempio la proliferazione (in qualche caso è successo) di enti regionali di secondo grado che possano riassumere funzioni amministrative e valorizzerei invece (non può che essere questo il punto di vista dell'IFEL e dell'ANCI) il sistema della rete istituzionale all'insegna del principio della sussidiarietà verticale, che viene abbondantemente solennizzato dalla nostra Costituzione.
  Faccio un'ultima considerazione e passo la parola al dottor Ferri: questa stagione può essere veramente l'occasione per rimettere mano alla maionese impazzita, al federalismo fiscale, a riordinare complessivamente questo quadro, che è stato così fortemente compromesso dalla crisi del 2011 e del 2012. Per poter cogliere questa occasione, è giusto e necessario riprendere fortemente e anche tempestivamente la questione dei costi, dei fabbisogni standard e dei livelli essenziali di prestazione.
  L'IFEL ha copiosamente operato affinché il sistema potesse, fra mille contraddizioni, consentire il rifornimento delle autonomie e dei comuni nel loro sviluppo annuale, negli esercizi di bilancio.
  Nel migliore degli auspici questo processo sul 116 può consentire, anche in maniera asimmetrica, differenziata, la ripresa di questa vicenda dei costi e fabbisogni standard, che possono esprimere un valore pubblico importantissimo, possono essere la risposta anche a tanti dubbi di chi magari pensa che ci possano essere dei pericoli sottesi all'attuazione dell'articolo 116; in realtà l'attuazione del 116 può essere un passaggio attuativo del federalismo fiscale, l'occasione e il destro per poter completare una riforma, messa purtroppo in condizioni di non poter ben operare proprio per la gelata di una crisi finanziaria che dal 2011 in poi ha pressoché eliminato il concetto stesso di autonomia locale nel nostro Paese.
  Passo la parola al dottor Ferri, che si è lungamente prodigato per quadrare il cerchio Pag. 6 delle perequazioni e dei fabbisogni standard in questi anni.

  ANDREA FERRI, dirigente dell'IFEL. In queste condizioni non è possibile quadrarlo, però noi abbiamo lavorato in modo corresponsabile, perché la legge ce lo impone e perché il lavoro è ovviamente un lavoro di introduzione di criteri di razionalità, che quindi spostano equilibri e risorse all'interno del campo dei comuni, un lavoro delicato evidentemente.
  Non a caso la legge n. 42 e poi le leggi attuative pretendono questa corresponsabilizzazione del sistema delle autonomie dei comuni, noi ne siamo una piccola espressione quando parliamo di fabbisogni, proprio perché si tratta di entrare dentro un campo delicato, che è quello dell'individuazione di criteri di correttezza, di corretta quantificazione di risorse rispetto a criteri precedenti di spesa storica, che si vuole abbandonare.
  Questo è il quadro molto grossolanamente descritto che noi abbiamo dovuto affrontare, però – devo dire – non risolvere. Per quanto riguarda il punto dei tagli che il presidente Castelli indicava, io non voglio enfatizzarlo oltre misura, lo facciamo da sempre, però è fondamentale inquadrare il lavoro che è stato fatto sulla perequazione, che ha molti pregi insieme a diversi difetti, in un contesto quasi impossibile per fare un'operazione del genere. Noi abbiamo infatti preteso nello stesso periodo di fare una riforma della contabilità, una riforma degli appalti, un insieme di restrizioni, quindi una stretta sulla spesa comunale e degli enti locali senza precedenti.
  Non per nostre elaborazioni (fortunatamente in questo caso le elaborazioni coincidono, c'è poco da discutere, se non su 3-400 milioni di differenza), ma per elaborazioni della Ragioneria generale presentate a fine 2017, abbiamo contribuito per 10 miliardi ai risanamenti finali del deficit pubblico negli anni 2011-2016, abbiamo subìto tagli diretti come riduzione di risorse per 9 miliardi nel periodo 2011-2015, restrizioni maggiori di finanza pubblica attraverso il Patto di stabilità prima e ora in maniera purtroppo equivalente con il Fondo crediti di dubbia esigibilità tra i 3,5 e i 4,5 miliardi, quindi sono 12-13 miliardi che si sono accumulati come restrizioni, e abbiamo subìto variazioni di sistemi fiscali anche questi senza precedenti.
  Una delle caratteristiche che si chiede al sistema fiscale locale è invece quella di essere stabile, oltre che giusto, moderato, generalmente legato agli immobili, perché è molto più complicato gestire le variazioni fiscali su migliaia di enti che non un'aliquota IRPEF che cambia o una detrazione IVA che viene assimilata in un certo modo dal sistema, come è ovvio che sia.
  Questo è uno degli elementi di contesto più importanti a mio avviso, dopodiché abbiamo delle caratteristiche che sono conseguenze della crisi finanziaria e del contributo richiesto ai comuni, che rendono la perequazione in queste condizioni un'operazione che non arriverà mai a una conclusione soddisfacente, e questo è a mio avviso un presupposto per poter parlare di un ragionamento di federalismo differenziato fondato, con i piedi nei numeri e nelle simulazioni di sensitività, per dargli un quadro accettabile e prevedibile dal punto di vista statistico e quantitativo.
  Non arriveremo mai a chiudere in maniera soddisfacente il meccanismo perequativo (lasceremo agli atti una relazione tecnica di cui colgo due o tre aspetti fondamentali) perché tutto il sistema molto sofisticato che abbiamo messo su per calcolare i fabbisogni standard, per definire la capacità fiscale, per inventare delle formule che mettono insieme questi numeri, perché il terzo pilastro della perequazione, che può cambiare di molto le cose a parità di fabbisogni e capacità fiscali che hanno una certa idea (si sa cosa può essere un fabbisogno o una capacità fiscale), sono gli schemi di redistribuzione delle risorse che, a seconda di qualche parametro, possono cambiare anche di molto il risultato.
  Non abbiamo orientato tutto questo all'individuazione di quale sia la quantità giusta in termini, cioè il minimo vitale, quella che, in Costituzione, non nella legge n. 42 (quindi non è un'idea intellettuale), è la dose che il comune più povero deve Pag. 7comunque spendere per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni.
  Questa è una domanda fondamentale, ma noi l'abbiamo elusa con la scusa, certo non poco significativa, della crisi finanziaria, forse abbiamo sottinteso che non ce lo possiamo permettere (nessuno l'ha detto, questa questione è stata tralasciata) e invece l'obiettivo oggi per poter chiudere un pezzo molto importante del percorso perequativo è proprio questo, quello di dire se siamo in grado, con questo apparato così sofisticato che calcola fabbisogni standard, che li calcola in valore assoluto e poi non usa più i valori assoluti perché trasforma tutto in frazione. Non diciamo a un certo comune che ha bisogno di «x» euro, lo sappiamo dal sistema ma poi traduciamo tutto in una compartecipazione a somma uno di tutti gli enti, per cui qualsiasi livello di risorse è buono, cioè possiamo adattare lo schema dei fabbisogni sia che abbiamo 50 miliardi di spesa corrente dei comuni di oggi, sia se avessimo 40 domani, ma alla lunga questo è una finzione, se viene stressato troppo. Noi lo abbiamo già stressato abbastanza, avviando il meccanismo in un clima di restrizioni pesantissime, e dobbiamo in qualche modo correggere l'obiettivo della perequazione, individuare dei livelli e, una volta individuati questi livelli, porci il problema del loro finanziamento.
  C'è una polemica in questi mesi su alcuni aspetti della perequazione, il fatto che non salvaguardi abbastanza certi servizi nelle zone più sguarnite del Paese, il sud sugli asili nido per esempio, ma noi dobbiamo essere ben coscienti – al di là di qualsiasi suggestione evocativa che può anche aiutare il dibattito – che con il meccanismo dei fabbisogni standard non costruiamo un mattone in più di asilo nido, questo deve essere chiaro; non è fatto per distribuire redistribuire i servizi da nord a sud, è fatto per attivare una ridistribuzione di risorse volutamente generica.
  Non possiamo dare alla perequazione un vincolo di destinazione, quindi non possiamo sostituire con meccanismi perequativi che sono necessariamente al margine, dei fabbisogni di infrastrutturazione di servizi sociali, civili, educativi, che devono costituire programmi nazionali di intervento e che vanno finanziati.
  Quale sarebbe altrimenti il retropensiero che c'è di fronte a questa ipotesi di perequazione onnipotente? Che all'interno dei comuni ci sono talmente tante risorse che noi possiamo garantire livelli di servizi importanti dove ci sono livelli di servizi importanti, e al tempo stesso togliere quel grasso utile, necessario e sufficiente per attribuire risorse per servizi dove questi servizi non sono adeguati.
  Questo è falso, è falso matematicamente ed economicamente, al di là di qualsiasi errore o forzatura o semplificazione o conservativismo ci possa essere nel calcolo dei fabbisogni standard, così come è altrettanto falsa l'idea (noi la respingiamo anche sul piano tecnico e di analisi storica dell'andamento delle autonomie locali) che distruggendo una parte dei servizi «in eccesso» del nord del Paese si riesca a costruire una quota soddisfacente di servizi in difetto in un'altra parte del Paese.
  Questi sono meccanismi che non possono ovviamente andare avanti in questo modo, non so se l'ho esemplificato in maniera un pochino troppo brutale, però è molto importante comprenderlo, perché noi lavoriamo su una perequazione di tipo generale sulle spese correnti generali, non sul singolo servizio.
  Tutto ciò è particolarmente vero perché siamo di fronte ad un fondo chiuso, come si dice in letteratura, cioè noi facciamo la perequazione con una distribuzione di risorse data, quindi se questa distribuzione di risorse è stata così investita dal calo degli anni precedenti, ci ritroviamo nelle condizioni che ho cercato di descrivere. Dall'altro lato noi abbiamo una composizione delle risorse comunali diversa da prima. Veniamo da un momento in cui si è pensata la perequazione (2001-2009, nuova Costituzione, Titolo II, fino alla legge 42), in cui avevamo – grossolanamente parlando – circa 9 miliardi di entrata principale tributaria dei comuni, l'ICI, su cui poi si è intervenuto in maniera molto rilevante, e tra i 15 e i 18 miliardi di finanziamento statale. Pag. 8
  Lo Stato, quindi, pur immaginando già in Costituzione di abolire questi trasferimenti, immaginava comunque di azionare una leva, tanto è vero che parlava anche in legge 42 di sostituire i trasferimenti dello Stato con partecipazioni a gettiti statali, condizione che ha consentito nel 2011 di mantenere una certa leva distributiva su queste compartecipazioni (nel 2011 abbiamo avuto una compartecipazione simile a quella immaginata dalla Costituzione e dalla legge n. 42).
  Con la crisi nel 2011 siamo passati ad una composizione completamente differente, in cui, salvo una transizione durata 3-4 anni, oggi non abbiamo più nulla di trasferimenti statali che non siano rimborsi e altre cose che non c'entrano con il concetto di trasferimenti che normalmente dobbiamo mantenere, cioè non per rimborsare qualcosa ma per integrare risorse proprie, e abbiamo tutto concentrato, in termini di riequilibrio delle risorse rispetto alla vecchia ICI, al vecchio assetto delle risorse, e perequazione, sull'IMU come monte fondamentale di risorse, su cui si fa tutto il lavoro di regolazione della finanza locale.
  Questo sembra equivalente ed è stato fatto in maniera equivalente, nel senso che alla base, quando abbiamo cambiato da un regime ad un altro, abbiamo detto che il Fondo di solidarietà, che prima si chiamava Fondo di riequilibrio, avrebbe pensato a redistribuire le risorse. Questo però crea una disparità molto importante tra i vari territori, che all'epoca non abbiamo valutato abbastanza, una disparità riguardante la potenza della leva fiscale che veniva sostituita ai trasferimenti garantiti e alla riscossione. Non entro troppo nel merito, però se vedete qualche grafico che noi abbiamo portato, abbiamo che il sud del Paese tra il valore dell'IMU a livelli di base (il 7,6 per mille) e sforzo fiscale applicato, raggiunge più o meno lo standard dei territori più dotati.
  Questo significa che prima il ragionamento si faceva su entrate la cui leva rimaneva allo Stato, era negoziabile, e si discuteva di dove portare i trasferimenti da una parte all'altra (per trent'anni c'è stato un dibattito su come riequilibrare i trasferimenti statali irrazionali), oggi una buona parte di quel discorso è praticamente devoluta alla capacità di aumento dei tributi locali, che è per forza limitata, perché, relativamente al Catasto e anche per condizioni socio-economiche e strutturali, le basi imponibili di certe aree (il sud e le isole) sono sottodotate per definizione.
  Corrispondente a questo c'è il ragionamento sulla riscossione. Noi non abbiamo ancora una riforma della riscossione locale in Italia, gravissima mancanza dopo anni in cui si sono fatte molte norme sulla riscossione nazionale.
  Contemporaneamente a non curare l'aspetto riscossione locale, abbiamo prodotto una situazione nella quale se prima soffrivo per non riscuotere il 10 per cento, cifra quasi fisiologica, dell'ICI, che valeva 400-500 milioni o 900 milioni su base nazionale, oggi quello stesso 10 per cento del tributo immobiliare vale due volte e mezzo.
  A parità di inefficienza di riscossione, non accompagnata da stimoli da parte dello Stato di una riforma, di nuove regole, ho quindi portato in maggiore sofferenza i territori dove (lo vediamo nelle crisi finanziarie in atto oggi, che probabilmente aumenteranno si spera contenutamente nel prossimo futuro) il problema della mancata riscossione è un problema gigantesco.
  Con questo riassetto delle entrate lo abbiamo amplificato, senza accompagnarlo con una assolutamente necessaria riforma della riscossione locale.

  PRESIDENTE. Grazie. Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Grazie, presidente. In parte riprendo la questione sollevata dal Presidente Castelli, nel senso che questa è un'occasione per gli enti locali, perché il tema vero, quando discutiamo di federalismo differenziato, è come questa questione accompagni il tema degli enti locali. Limitarci a discutere del 116, senza innestarlo in una discussione altrettanto importante sul 119, sarebbe altamente limitativo, quindi la vostra esperienza è fondamentale. Pag. 9
  Pongo due questioni da un punto di vista di efficienza e di efficacia di quello che avete svolto in questi anni. La prima è sul fatto che chiaramente siete stati protagonisti, anche all'interno di commissioni paritetiche importanti, di questa costruzione, dello stato di avanzamento dei fabbisogni standard e di tutto il tema che deve supportare una perequazione che, come avete evidenziato, è solo orizzontale, con le criticità di una perequazione solo orizzontale. Giustamente avete lavorato in questi anni anche per inserire dei correttivi, perché, come diceva il dottor Ferri, quando si parte da un dato quantitativo non modificabile, quindi ci si divide solo senza ragionare su eventuali modifiche, chiaramente è più difficile.
  Vorrei capire come, secondo voi, la vostra esperienza sui fabbisogni standard e sulla costruzione dei livelli essenziali debba in qualche modo essere ricondotta anche nella discussione del regionalismo differenziato, quindi di questi benedetti fabbisogni standard e dei LEP, che come abbiamo detto nelle varie precedenti audizioni, devono essere a monte di qualsiasi altra discussione. Infatti, a oggi, come ci ha riferito SOSE la settimana scorsa, non esiste nessun tipo di lavoro di questo tipo rispetto all'ambito regionale, quindi stiamo parlando senza avere una base di discussione vera e importante. Vorrei, quindi, sapere cosa ne pensate.
  La seconda questione che ci preoccupa di più, come Partito democratico, come abbiamo sempre detto, è che, oltre a essere un'occasione, è anche una questione fondamentale quella che in qualche modo il regionalismo differenziato sia l'opportunità per fare un vero federalismo in Italia. Infatti, non c'è solo il tema a cui stiamo pensando, le ventitré o le quindici competenze e via dicendo. Dietro questo trasferimento di competenze c'è un trasferimento importante di PIL, di risorse, di gestione. Come pensate di poter essere protagonisti nella fase del trasferimento, in una sorta di perequazione anche regionale? Infatti, poi ci sarà anche quello. Cosa succederà quando alcune funzioni saranno gestite a livello regionale? Quelle determinate risorse in qualche modo debbono essere perequate anche a livello regionale, come abbiamo visto anche ieri. Ci sono i territori montani e altri territori, c'è un tema che si apre. Il regionalismo non può iniziare a Roma e finire a Milano, per parlare della Lombardia, ma deve finire a Sondrio, a Lecco, a Bergamo e da tutte le altre parti.
  Come pensate di potervi attrezzare anche voi in una discussione che non può essere tra Stato e regioni, ma deve vedere protagonisti i comuni? Questo è un altro tema, perché torno a dire che la perequazione, se si rischia che funzioni o funzioni meglio da un punto di vista verticale tra lo Stato e i comuni, ma poi si interrompe per delle competenze che cubano molto... Infatti, abbiamo visto anche ieri dei numeri impegnativi rispetto alla percentuale di PIL che queste competenze potrebbero interessare. Non stiamo scherzando, quindi il ruolo dei comuni è fondamentale anche in questa logica, non è una partita che può essere limitata alle regioni.

  ANGELA IANARO. Anch'io riprendo le parole del presidente Castelli, ricordando che per giungere all'intesa è necessario rispettare un vincolo di carattere procedurale, che riguarda le istituzioni che voi qui rappresentate, ovvero sentire gli enti locali della regione interessata. La consultazione degli enti locali come condizione necessaria per la realizzazione della simmetria di cui anche lei parlava, presidente, mette in luce che quest'ultima non è funzione della regione come ente bensì della regione come comunità e comprende, oltre alla popolazione di riferimento, anche e soprattutto gli enti territoriali di quest'ultima.
  Detto ciò, restano aperte alcune questioni, quindi io pongo essenzialmente due domande. La prima concerne l'individuazione dell'ente cui spetta sentire gli enti locali, la regione o lo Stato. A suo avviso, quale dei due enti deve attivarsi, attuando correttamente il dettato costituzionale e legislativo di riferimento? Quale dovrebbe essere l'organo regionale o statale competente a svolgere la consultazione?
  Inoltre, la dottrina maggioritaria ritiene che la consultazione degli enti locali debba Pag. 10essere svolta dalla regione, ma che spetti allo Stato, sia in sede governativa durante la negoziazione dell'intesa sia in sede parlamentare in occasione dell'approvazione della legge di differenziazione, verificare i risultati di tale consultazione. Concorda con quanto affermato o propone una diversa procedura e una diversa ripartizione di competenze tra Stato e regione in ordine alla consultazione degli enti locali?

  PAOLO RUSSO. È molto interessante l'audizione di oggi. Ringrazio di questo il nostro presidente, che ci pone nella migliore condizione di affrontare le vicende che andiamo osservando.
  Presidente Castelli, la perequazione sostanzialmente non esiste, se capisco bene. Esiste una redistribuzione di un fondo chiuso che non soddisfa bisogni reali. Potremmo capire in quale misura la perequazione è garantita? Qual è la percentuale di queste risorse che riesce a soddisfare quel bisogno essenziale, peraltro previsto in Costituzione? Questa quantità di risorse è andata scemando negli ultimi anni? Si è ridotta? Si è ridotta sulla base di elementi normativi, sulla base di ulteriori azioni normative che hanno diminuito significativamente questa redistribuzione di risorse?
  Vengo ora all'altro aspetto. Immagino che voi vi occupate prevalentemente o in larga parte del profilo di perequazione rispetto agli standard esistenti o, piuttosto, suggerite anche quella perequazione, a cui avete appena accennato, di carattere infrastrutturale, che è pur necessaria, oserei dire indispensabile, se vogliamo soddisfare il dettato costituzionale di livelli essenziali di prestazioni standard in ogni parte del Paese? Mi spiego meglio: se quella perequazione non serve, come lei utilmente ha detto, a costruire un posto di asilo a Crotone, qual è la sollecitazione che dai vostri studi arriva per garantire un percorso di costruzione, quindi investimenti infrastrutturali, per ottenere che domani quel posto di asilo a Crotone possa in qualche misura essere atteso o immaginato?
  Inoltre, la Costituzione fa riferimento, in chiave di perequazione, alla totalità delle risorse da offrire in risposta al bisogno sperequato. Noi qui offriamo una redistribuzione, peraltro in via orizzontale, peraltro dai comuni, peraltro anche con la difficoltà, a cui lei utilmente faceva riferimento, che le basi imponibili sono naturalmente diverse o, se vuole, socialmente naturalmente diverse. In che misura noi, utilizzando questa stagione di riforme, possiamo provare a invertire questa tendenza e con quali strumenti?

  ROGER DE MENECH. Vorrei fare due domande. Una vi riguarda da vicino: i comuni sono pronti rispetto alla sfida dei fabbisogni, dei costi e dei LEP? Come sappiamo, nella teoria dei fabbisogni e dei costi standard, sono sempre buoni quando li fanno gli altri. Vale per tutti, e dico questo perché il tema vero è quello di ordinamento. Abbiamo allontanato la corrispondenza fra chi chiede le tasse ai cittadini e dove vanno a finire le tasse. Questo è un problema strutturale, culturale e politico che dobbiamo risolvere.
  Il secondo punto è che noi abbiamo anche da completare un percorso – faccio solo un flash – che conoscete meglio di me, ovvero la riforma catastale, che può dare quell'indice di stabilità e anche di concretezza in tutto il territorio nazionale rispetto al carico fiscale di tutti i cittadini in Italia. Sono convinto, però, che queste cose non si fanno solo tramite un intervento legislativo nazionale, ma con una forte collaborazione con gli enti locali. Per questo chiedevo inizialmente se siamo pronti. Dico «siamo» perché, visto che ho fatto il sindaco per qualche anno, mi continuo a tenere dentro la categoria.
  Il secondo punto, invece, riguarda l'articolo 116. Vi faccio una domanda specifica: nelle firme delle intese voi ritenete opportuno che sia richiamato un principio di sussidiarietà vera, quindi una nuova conformazione dell'esercizio dei servizi, onde evitare che quello che oggi viene chiamato «centralismo statale romano» si trasformi in un centralismo regionale? Ritenete, in maniera molto pratica, che le intese debbano riportare una sorta di pre-accordo fra lo Stato, le regioni e gli enti locali, in modo che quelle famose materie vengano subito ridistribuite sui territori? Pag. 11
  Infatti, il principio del 116 era il federalismo dei territori, non era solo un aspetto regionale. Da questo punto di vista, le intese diventano un atto giuridicamente fondamentale, perché poi sulle intese costruiremo la norma nazionale che avrà le caratteristiche di distribuire, come dicevo, le funzioni sui territori.
  Oggi il dibattito sulle intese è nel vivo e, quindi, è chiaro che, se dobbiamo intervenire perché ci sia una rappresentanza degli enti locali, dobbiamo farlo adesso.

  VINCENZO PRESUTTO. Ringrazio il presidente Castelli e il dottor Ferri. La mia domanda sarà molto veloce. Il dottor Ferri ha fatto riferimento ai fondi perequativi, che sarebbero privi di destinazione. Senza entrare nel dettaglio specifico del federalismo, concordando ovviamente che il federalismo è stato ideato per garantire efficacia, efficienza ed economicità nella gestione degli enti locali, vorrei però far presente – e capire anche la sua valutazione rispetto a questa mia affermazione – che l'elemento predominante in ogni caso resta il LEP.
  Nelle altri audizioni è stato riferito da diverse persone che diventa importante per il comune, ad esempio, individuare le domande a servizio individuale. Tuttavia, al di là dell'aspetto prettamente comunale, da un punto di vista legislativo tocca a noi come esponenti del Parlamento individuare i servizi e i livelli di prestazione da garantire rispetto ai servizi. A quel punto, nel momento in cui arriva il fondo perequativo nelle disponibilità dell'amministratore locale, laddove venisse meno il rispetto dei LEP, si vedrebbero applicate le sanzioni previste dall'articolo 120 della Costituzione. Probabilmente ci può essere in teoria una libertà nell'utilizzo del fondo perequativo, ma è estremamente condizionante e pericoloso rispetto a un comune che non garantisce i LEP che verranno definiti – spero – quanto prima, perché il compito nostro è questo.
  Io sollevo qualche dubbio – e pongo la domanda ovviamente per valutare anche la sua considerazione – che il fondo perequativo tanto libero non risulta essere, visto che ci sarebbe un vincolo da rispettare legato ai LEP, altrimenti entra in gioco l'articolo 120 della Costituzione.

  ROBERTA FERRERO. Sarò veloce, anche perché noi sentiremo in differita la risposta, visto che abbiamo l'Aula e dobbiamo assentarci. Il discorso è molto interessante. In particolare mi soffermerei sull'ultimo punto toccato riguardante il problema della mancata riscossione. Visto che in relazione a questo argomento nella legge di bilancio è stato inserito un comma – il 1.091 – all'articolo 1, vorrei capire come secondo voi questa introduzione può essere uno strumento per superare le differenze territoriali di riscossione. Vorrei approfondire questo punto.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GUIDO CASTELLI, presidente dell'IFEL. Vi ringrazio delle domande e dell'attenzione. Capisco che è assolutamente utile compenetrare le nostre esperienze proprio con la dimostrazione concreta dei problemi che mettiamo a terra in queste vicende, perché, come è noto, lo sbattere delle ali di una farfalla a Roma, ad Ascoli o a Milazzo producono effetti diretti, soprattutto a condizioni date.
  In maniera sintetica, il metodo è come curare il coinvolgimento. C'è un documento dell'ANCI; noi abbiamo immaginato evidentemente che come ANCI e UPI – ma poi sarà qualcun altro a dirlo – ci sono tre livelli. Il primo è infraregionale e non può non essere un organo che è costituzionalmente definito, il CAL, eventualmente integrato con le associazioni dei comuni e delle province, a curare l'ordito necessario per esaurire quel bisogno che la proposta di differenziazione sia unitaria con l'idea che la differenziazione produce ai servizi a carico del cittadino, con il coinvolgimento dei comuni e delle province.
  Pensiamo a livello orizzontale che in qualche misura la Conferenza Stato-regioni debba enucleare una cabina di regia che possa garantire, ulteriormente rispetto alle funzioni della Conferenza Stato-regioni, un'attenzione destinata e specifica. Pag. 12
  A livello parlamentare nel nostro documento, che – devo precisare – è di natura ANCI e UPI, è probabile e auspicabile che la Commissione per gli affari regionali possa essere integrata in maniera tale che la rigidità della nozione di intesa, quella che rimanda all'articolo 8, possa essere corretta, guarnita e resa più flessibile. Io non entro nel dibattito sull'articolo 8 della Costituzione. Certo è che molti osservatori e costituzionalisti opinano sulla natura forse anelastica dell'intesa, ma io – ripeto – mi fermo alle funzioni di presidente dell'IFEL, anche perché ho fatto diritto costituzionale tanti anni fa, quando mi sono laureato.
  La perequazione è uno strumento tecnico che, come diceva Ferri, a condizioni date e – aggiungo – impossibili, ha provato a organizzare nella maniera meno irrazionale possibile la quadratura del cerchio, ovvero che i comuni che hanno una compagine immobiliare maggiore potessero dare nella maniera meno inappropriata – uso proprio queste espressioni e queste figure retoriche – ai comuni con meno cespiti immobiliari o con cespiti immobiliari catastalmente obsoleti il massimo possibile.
  Tuttavia, occorre fare attenzione: costituzionalmente è funzione dello Stato quella di garantire l'essenzialità dei servizi in maniera omogenea dalle Alpi alla Trinacria, nel senso che questo processo non può mai escludere che la perequazione è esattamente l'esplicitazione funzionale del principio di unità e indivisibilità della Repubblica, rispetto al quale lo Stato nazionale non può chiamarsi fuori. Ecco perché non possiamo attribuire alla perequazione una funzione che non può avere, perché la perequazione è altro rispetto alla vicenda di questi ultimi anni, che ha descritto magistralmente Ferri.
  La perequazione vera è quella che rimanda ai LEP, ma su questo ribadisco la sottolineatura che giustamente è stata data al tema della responsabilità. L'autonomia è un concetto che non può non sposarsi alla responsabilità, sempre e comunque. Chi promuove sfide di quel genere deve sapere che evidentemente premi e sanzioni sono la logica conseguenza dell'applicazione di questo metodo.
  Detto questo, evidentemente l'importante – torniamo a dirlo – è che il disegno abbia un carattere organico e sistematico. Seppure è possibile sperimentare forme avanzate di autonomismo, è necessario che queste forme segnino il tracciato tenendo già conto dell'insieme complessivo per raggiungere l'obiettivo definitivo. Questa è la cosa che noi comuni temiamo: il carattere episodico, frammentato e nebulizzato del disegno.
  Io penso, invece che, essendo la legislatura appena agli inizi, si possa davvero avere un'idea delle autonomie sapendo una cosa che non possiamo negare: è più facile organizzare autonomia e decentramento in uno Stato che economicamente sta bene, che non ha il debito pubblico che ha, piuttosto che in uno Stato che ha una situazione di ipossia, usando un eufemismo. Questo è ovvio. È chiaro che non si può chiedere alla perequazione di consentire gli asili nido ad Agrigento, non è quella la funzione. Mi riferisco alla perequazione comunale, ha ragione l'onorevole Russo. È altro, su cui – ripeto – rimandiamo all'idea stessa di equità del Paese.

  ANDREA FERRI, dirigente dell'IFEL. L'onorevole Fragomeli ha sottolineato che la perequazione ha una dimensione nazionale ovviamente, ma è anche all'interno dei territori. Questo è molto importante. Come vedete in questo documento, noi abbiamo messo in luce gli effetti perequativi, cioè cosa succede in termini pro capite nelle varie fasce demografiche dei comuni di ciascuna regione.
  Non esiste una sola regione in cui tutti guadagnino o tutti perdano, al di là degli aneddoti per cui in Trentino-Alto Adige e in Lombardia ci sono cinque o sei dei comuni più poveri di IRPEF. Questo è un fatto statistico, non molto rappresentativo dal punto di vista sociologico, però quei comuni esistono. Se quei comuni vivessero di IRPEF, per esempio, o anche di basi imponibili, anche immobiliari, non particolarmente... Infatti, le province nordiche non sono particolarmente dotate di base imponibile, la capacità fiscale non è uniforme, le grandi città hanno un addensamento molto maggiore eccetera. Comunque, anche immaginando Pag. 13 un semplice sistema in cui questi comuni dovessero reggersi su IRPEF e IMU, non ce la farebbero.
  Io non sono costituzionalista, non aspiro a esserlo e mi scuso se mi smarco un po’ da tante domande. Noto soprattutto che oggi noi non abbiamo basi informative adeguate per fare delle simulazioni. Questo è molto importante. Se io da IFEL devo pormi il problema di fare le ipotesi su cui può andare avanti e in quale prospettiva un federalismo differenziato in cui non è chiaro se rimangono dei soldi sul territorio dal gettito o se rimangono da un trasferimento statale, sono differenze molto importanti. Non sapere quello significa dover fare innumerevoli ipotesi.
  Noi siamo certi che lo Stato non si ritira da quel ragionamento, cioè dalla difesa degli interessi di tutto il territorio, delle aree deboli e delle subaree deboli, ovunque esse siano. Di conseguenza, immagino che dobbiamo sempre considerare un prius, almeno logico, il fatto di determinare quali sono i livelli essenziali delle prestazioni che il Paese (Stato, comuni, province, città metropolitane e regioni) deve garantire a priori, indipendentemente dalle latitudini e dalle condizioni di residenza dei cittadini.
  Torniamo al ragionamento LEP versus libertà del meccanismo perequativo. Sono vere tutte e due le cose naturalmente. Se avessimo già definito i LEP, avremmo un'altra situazione. Noi abbiamo fatto il contrario, però, dobbiamo rendercene conto.
  Noi oggi non possiamo applicare il 120, perché non c'è nessun atto, nessuna legge, nessun parametro, nessun giurì che possa dire che il comune di Cogoleto – adesso mi è rimasto in testa per l'incendio, ma è protagonista anche di un episodio relativo ai fabbisogni – o un altro comune non diano abbastanza di qualcosa. Immaginiamoci sempre, per stare agli asili nido, che evocano molta attenzione giustamente, qual sia il bacino giusto. Io devo pormi questo problema, non posso immaginare una dose di asili nido ovunque, se non immagino una rete di asili nido correttamente allocata.
  La nostra ipotesi è che a livello locale questo meccanismo, sufficientemente incentivato, possa arrivare a colmare il gap, però sono processi. Quali sono gli altri strumenti per farlo? Sono quelli che pure abbiamo in atto. Noi non possiamo immaginare di fare un programma di infrastrutturazione senza programmi specifici. Scusate se lo chiamo così, ma l'asilo nido è un'infrastruttura, non è un solo aspetto, cioè il mattone, l'assistente o la mensa, è un insieme di cose. Infatti, abbiamo i programmi specifici, abbiamo un obiettivo di Lisbona, che è il 33 per cento, se non ricordo male, coperto da qualsiasi tipo di servizio alla prima infanzia.
  Per la prima volta negli ultimi anni – ma poi ci sono stati tanti discorsi sugli asili nido – abbiamo un programma di intervento sulla scuola ante-elementare, della prima infanzia, che quest'anno, nel 2018, non ha assegnato il differenziale tra un anno e l'altro a chi già eroga servizi. Questa è una delle polemiche che si fanno.
  È naturale che i territori che offrono servizi in momenti di stretta finanziaria cerchino di tenersi più soldi possibili correlati a quei servizi, ma abbiamo bisogno anche di espanderli dove non ci sono. Il differenziale 2017-2018 di 15 milioni di euro è andato tutto alle regioni in sofferenza rispetto a un obiettivo del tipo quello di Lisbona.
  Quelli sono i meccanismi che permettono di fare dei salti. Dopodiché, per come sono fatti i fabbisogni e ipotizzando che l'introduzione dei LEP aggiusti le situazioni di grave sotto-dotazione, è questo quello che a noi preoccupa: noi non abbiamo un indicatore chiaro di grave sotto-dotazione, se non il fatto che abbiamo una spesa corrente pro capite da 300 a 3.000 euro, che però è un po’ rozzo. Non è vero che tutti quelli da 300 sono completamente sottodotati, ma certamente lì si annida un importante elemento di sotto-dotazione di risorse.
  LEP, meccanismo di redistribuzione dei fabbisogni e programmi nazionali di incentivazione e finanziamento a obiettivi nazionali di miglioramento dei servizi producono anche una diversa redistribuzione di risorse. Le due cose sono legate, perché, se io erogo più servizi, in qualche modo nei fabbisogni mi vengono riconosciuti e così Pag. 14via. Tuttavia, è chiaro che, se non c'è quel supporto all'espansione dei servizi, noi non arriveremo a una situazione ottimale.
  Per quanto riguarda le riforme ci si chiedeva se noi siamo pronti. Noi eravamo molto pronti. Rispetto alla riforma del catasto, che è una riforma molto importante, apro una parentesi. È inutile andare contro i mulini a vento; se non si vuol fare la riforma del catasto, bisogna anche un po’ allargare le maniche. Comunque è certamente una riforma molto importante, perché non riequilibra solo le situazioni soggettive dei contribuenti. Infatti, ci sono alcuni posti dove pagano troppo poco e alcuni posti dove pagano troppo possedendo immobili simili o, viceversa, diversi pagando uguale. Vi sono differenze orizzontali, verticali e territoriali molto rilevanti, come è noto a tutti. Non è importante per il fatto che il catasto vale la metà (prima era un terzo) del valore di mercato, che è del tutto irrilevante, ma perché è squilibrato al suo interno. Il catasto può valere anche il 10 per cento del valore di mercato, basta che sia il 10 per cento del valore di mercato dovunque, non da una parte il 25 e dall'altra il 7.
  Che quindi sia importante da un punto di vista soggettivo è chiaro a tutti, ma è importante anche dal punto vista della finanza locale, perché una parte della redistribuzione di risorse tra i comuni, attraverso il Fondo di solidarietà e prima ancora attraverso i trasferimenti statali, nasce dal fatto che io non posso che calcolare soprattutto la capacità di base e lo sforzo fiscale sulla rendita catastale. Infatti, io non vado da uno a dire che ha una rendita catastale che non mi piace e gliela alzo un po’, perché lo vedono tutti che ha più valore casa sua o il suo negozio. Non ho questa potestà, posso fare degli impulsi molto indiretti sulla variazione del catasto come comune.
  Questa è una cosa molto importante, però io devo metterla tra parentesi, perché le nostre risorse sono scarse come quelle di tutti, non ci possiamo occupare di cose che non hanno soluzioni. Sul catasto c'è un'enciclopedia su come si fa la riforma, segreta, nel senso che è mantenuta presso l'Agenzia delle entrate e del territorio. Noi ne abbiamo discusso soltanto a voce, senza guardare le carte, quindi eravamo pronti a essere coinvolti.
  Se non si fa con i comuni, scordiamoci che si faccia, per motivi banali, perché, se va bene, c'è il 5 per cento di contenzioso. Il 5 per cento di contenzioso sono alcuni milioni di contestazioni, che in buona parte si possono risolvere a voce, in altra parte no, ma, se non le si risolve a voce attraverso un'organizzazione capillare, ti scordi la riforma.
  La riscossione è alla nostra portata immediata. Ci sono normative già abbastanza definite con il Ministero dell'economia nel corso del 2018, che sono state presentate dal Ministero dell'economia al Governo e da noi in forma corretta, cioè dicendo quali sono quelle condivise e quali altre vorremmo in più noi come ANCI. Sono state preparate da noi presso l'IFEL, dato che ci occupiamo di queste cose, nell'ambito della legge di bilancio e dei decreti fiscali. Ci sono tre o quattro cose – non è il caso di entrarci nel merito, ci mancherebbe – che sono molto chiare.
  Gli incentivi sono un pezzo importante, ci mancherebbe, ma non bastano assolutamente. È un segnale importante e anche un meccanismo che, dove si può applicare, produrrà degli effetti, ma certamente le cose importanti sono la riforma della riscossione, lo snellimento delle ingiunzioni di pagamento, capire se l'Agenzia delle entrate e riscossioni vuole avere un ruolo sulla finanza locale.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi, dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

Pag. 15

ALLEGATO

Pag. 16

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

Pag. 29

Pag. 30

Pag. 31

Pag. 32

Pag. 33

Pag. 34

Pag. 35

Pag. 36

Pag. 37

Pag. 38

Pag. 39

Pag. 40

Pag. 41

Pag. 42

Pag. 43

Pag. 44

Pag. 45

Pag. 46

Pag. 47

Pag. 48

Pag. 49

Pag. 50

Pag. 51