XVIII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 3 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Saltamartini Barbara , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, Marco Bussetti, sugli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Saltamartini Barbara , Presidente ... 3 
Bussetti Marco , Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca ... 3 
Carabetta Luca , Presidente ... 11 
Paxia Maria Laura (M5S)  ... 11 
Moretto Sara (PD)  ... 11 
Bersani Pier Luigi (LeU)  ... 12 
Benamati Gianluca (PD)  ... 13 
Colucci Alessandro (Misto-NcI-USEI)  ... 14 
Giarrizzo Andrea (M5S)  ... 15 
Manca Gavino (PD)  ... 15 
Carabetta Luca , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
BARBARA SALTAMARTINI

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, Marco Bussetti, sugli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, Marco Bussetti, sugli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata.
  Nel dare la parola al ministro, vorrei ricordare che in questa circostanza la nostra Commissione è da sola nello svolgimento dell'audizione del ministro Bussetti e, quindi, a differenza di quanto accaduto in altre occasioni di audizioni in sede di Commissioni riunite di ministri che sovraintendono a competenze di diverse Commissioni, non è stato necessario nessun accordo preventivo tra i Gruppi sulla distribuzione dei tempi per gli interventi. Ci sarà quindi del tempo, per dare la possibilità a tutti i commissari, al termine dell'illustrazione della relazione da parte del ministro, di poter prendere la parola per porre le loro domande.
  Ovviamente, laddove ci siano tanti interventi, invito tutti a contenere il proprio intervento in tempi utili a garantire a tutti i commissari, laddove intendano, di porre delle domande al ministro o fare delle riflessioni: Avverto altresì che il ministro si riserva di poter rispondere in una successiva occasione in maniera compiuta e esaustiva a tutte le domande che verranno poste, laddove ci saranno.
  Do la parola al ministro Bussetti per lo svolgimento della sua relazione.

  MARCO BUSSETTI, Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca. Grazie, presidente, onorevoli deputati. Il vostro invito qui oggi rappresenta per me un momento di particolare rilevanza, in quanto mi fornite l'opportunità di esprimere la mia visione del sistema di ricerca e innovazione nelle sue concrete applicazioni e ricadute nel settore produttivo e sociale del nostro Paese.
  Le esperienze dei principali Paesi industrialmente avanzati evidenziano chiaramente che la dinamica delle attività economiche dipende strettamente dalla capacità del Paese di innovare, attraverso la generazione e l'utilizzo di conoscenze scientifiche avanzate. In particolare, l'innovazione è storicamente il motore dello sviluppo economico-produttivo e di quello sociale.
  Oggi la quarta rivoluzione industriale è fondata sullo sviluppo di sofisticate tecnologie digitali. Questa fase sta portando alla profonda ed estesa ristrutturazione dei processi produttivi aziendali e anche sociali, con rilevanti impatti sulla produttività dei fattori, sulla qualità e sulla performance di prodotti e servizi e sull'occupazione. Le innovazioni della quarta rivoluzione industriale Pag. 4 sono il risultato di un'intensa attività di ricerca e sviluppo e di un efficace sistema di interazione fra strutture tecniche e scientifiche, imprese e società.
  D'altro canto, la ricerca nelle scienze umane è occasione di crescita civile del Paese. Pure essa può essere occasione di crescita economica.
  In questo contesto strategico, il posizionamento competitivo del nostro sistema economico produttivo dipende criticamente: in primo luogo dalle performance dell'ecosistema nazionale della ricerca e innovazione; in secondo luogo dalle risorse umane e finanziarie di cui dispone; in terzo luogo dalla sua produttività; in quarto luogo dall'efficacia dei processi di trasferimento di conoscenze avanzate in prodotti, processi e servizi innovativi competitivi nel mercato globale.
  Negli ultimi decenni in Italia non è stata perseguita con continuità una strategia nazionale della ricerca, con obiettivi chiari da raggiungere che avrebbero favorito, da una parte, la crescita del sistema ricerca e, dall'altra, la creazione di sinergie tra i diversi attori dell'economia e della società, stimolando la crescita globale del Paese.
  È ben noto che il tessuto economico italiano è fatto soprattutto di aziende di piccole dimensioni. L'essere piccoli rende difficile acquisire e adottare metodi e tecniche che, come la ricerca, richiedono investimenti iniziali significativi in capitale umano, formazione e tecnologia. Sono poche le grandi aziende ad alta tecnologia che altrove dispiegano i maggiori investimenti privati di ricerca.
  Nel confronto con Francia e Germania con riferimento al PIL, la spesa pubblica per l'università e gli enti di ricerca è nettamente inferiore.
  La politica dell'ultimo decennio ha comportato un taglio di risorse nel settore dell'alta formazione e della ricerca, con risultati evidenti. C'è stata una diminuzione del 18 per cento dei docenti universitari e del personale tecnico amministrativo, del 20 per cento degli immatricolati nelle università e del 40 per cento degli studenti del dottorato di ricerca, che costituiscono altrove una colonna, con il risultato che in Italia vi sono 0,5 dottorati ogni mille abitanti contro l'1,7 del Regno Unito e i 2,5 della Germania. In totale il finanziamento statale al sistema universitario è diminuito del 21 per cento in dieci anni.
  La produttività scientifica dei nostri ricercatori è, però, buona e il peso percentuale delle pubblicazioni scientifiche rispetto alla produzione di settore mondiale riferito al 2015-2016 può essere ritenuto soddisfacente.
  Dobbiamo valorizzare chi si impegna nella ricerca e dobbiamo offrire concrete opportunità di carriera ai giovani ricercatori.
  Investire sulla ricerca pubblica non è, però, sufficiente per assicurare un efficace contributo all'innovazione e alla crescita economica e industriale. Il sistema dell'università e degli enti di ricerca deve creare delle conoscenze e delle capacità che rappresentano il potenziale indispensabile per poi riuscire a innovare e a dare così impulso al sistema economico. Tuttavia, queste capacità, se non sono ben inserite in un sistema imprenditoriale e industriale adeguato, non possono di per sé generare sviluppo economico.
  Il nostro Paese non può competere se non innovando, anche nei settori più tradizionali come la moda e il turismo. È necessario rigenerare il tessuto produttivo, accompagnando con investimenti significativi le imprese nella direzione dell'innovazione digitale e favorendo la creazione di start-up. Il problema chiave dell'innovazione oggi è saper attivare e governare relazioni sinergiche fra gli attori chiave dell'ecosistema. Nessuna azienda ha al proprio interno le competenze e le capacità per innovare in modo totalmente autonomo. Occorre un coinvolgimento fattivo di grandi e medie imprese, filiere produttive, istituzioni universitarie operanti nella ricerca e nell'alta formazione, istituzioni finanziarie e fondi che rendano disponibile il capitale per l'innovazione.
  Gli investimenti in ricerca in Italia sono inferiori a quelli degli altri Paesi con cui ci confrontiamo, ma la produttività dei ricercatori in termini di pubblicazioni è buona, come detto. Certamente la ricerca italiana Pag. 5ha limiti e problemi che devono essere affrontati, ma può fornire risultati di pregio. L'Italia è all'undicesimo posto al mondo per numero di ricercatori, ma sale al settimo per numero di pubblicazioni scientifiche.
  Ciò che, però, è realmente critico è la capacità di tradurre la ricerca in valore economico: brevetti, innovazioni, esportazioni tecnologiche, investimenti in start-up, collaborazioni tra università e imprese. L'Italia scende al dodicesimo posto al mondo per numero di brevetti, crolla al diciottesimo posto in Europa per percentuale di esportazioni ad alta tecnologia e precipita al ventiquattresimo posto al mondo per incidenza del venture capital sul PIL.
  La valutazione di università e ricerca a opera dell'ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) è sostanzialmente basata solo sull'eccellenza scientifica, peraltro eccessivamente concentrata su metriche quantitative quali il numero di lavori scientifici e le loro citazioni. Questa è la ragione del disastroso paradosso che sta vivendo attualmente la ricerca italiana: ai vertici nella produzione di lavori di alta qualità e quasi inesistente quando si tratta di applicare tali risultati.
  È necessario ripensare il ruolo della ricerca e dell'università, non come luogo di spesa, ma come investimento per lo sviluppo. Gli investimenti in ricerca sono di medio-lungo periodo e, quindi, gli effetti non sono immediatamente visibili. Tuttavia, in assenza di questi investimenti, inevitabilmente si riduce sempre più la capacità di creare nuovi ritrovati tecnologici, nuovi prodotti e nuovi servizi.
  Credo che non possiamo più permetterci programmi di ricerca dai grandi proclami mediatici e dalle grandi attese, seguiti poi da una non certezza del finanziamento, da lungaggini burocratiche e inutili formalismi. Le nostre piccole e medie imprese oggi si allontanano da programmi di ricerca nazionale perché li temono. Non possiamo permettercelo. Le esperienze passate hanno reso più cauti imprese e gruppi di ricerca, a causa di alcuni fattori, quali: tempi di decisione eccessivamente lunghi, burocrazia eccessiva, incertezza sulla disponibilità delle risorse nel medio termine, regole poco chiare che talvolta cambiano senza preavviso, orientamento alle procedure e non ai risultati.
  Prendiamo ad esempio i bandi del Programma operativo nazionale (PON) 2007-2013. Le aziende hanno fatto domanda nel 2010, i progetti si sono conclusi nel 2015 e molte aziende, anche piccole e medie imprese, e consorzi di ricerca, pur avendo investito in personale, in attrezzature e in consulenze, non hanno avuto ancora liquidati i loro compensi, e sono state così messe in serie difficoltà. Si arriva al paradosso che programmi finanziati dall'Europa per incentivare le nostre aziende a investire in ricerca, per produrre beni tecnologicamente avanzati di alto valore aggiunto, abbiano avuto come esito la chiusura di alcune aziende, oltre alla perdita dei contributi già stanziati, solo perché, invece di seguire quanto suggerito dal buon senso, le imprese sono state vessate da regole burocratiche a loro poco comprensibili.
  Semplificazione della burocrazia, maggiore autonomia e libertà operativa, così come non applicazione agli organismi di ricerca delle stesse regole previste per la pubblica amministrazione sono problemi da affrontare. Oggi un vero cambio di passo non può che scardinare le logiche di rendicontazione dei progetti di ricerca. La Commissione europea ha procedure più semplificate e veloci delle nostre attuali. Gli acquisti di strumentazione di ricerca, la rendicontazione del personale, la scelta dei fornitori, la certezza dei tempi, la variazione del partenariato, la valutazione in itinere da parte di valutatori esperti e affidabili sono solo alcuni aspetti su cui bisogna lavorare.
  Occorre dire anche che in molti Paesi il ruolo delle università ha conosciuto una profonda trasformazione, evolvendo da quello di pura istituzione erogatrice di conoscenza verso quello di istituto teso anche a contribuire alla competitività e allo sviluppo socio-economico.
  Oggi in Italia oltre una metà delle università ha creato un ufficio brevetti o trasferimento Pag. 6 tecnologico, con risultati, però, molto differenziati fra i diversi atenei. È un sistema a macchia di leopardo, in cui manca una rete organizzata come avviene in Germania, i cui 24.000 ingegneri e scienziati sono a disposizione delle aziende locali per sviluppare nuovi prodotti o innovare i loro processi e lo fanno anche a pagamento.
  Il Paese non può permettersi il lusso di avere una metrica di valutazione e di premio del merito degli organismi di ricerca tutta centrata sulla produttività scientifica dei ricercatori come conquista a sé, trascurando le esigenze di una nuova politica industriale orientata all'innovazione, dove l'università e gli enti di ricerca sono chiamati a rivestire un ruolo chiave per le loro capacità di ricerca, ma anche di trasferimento al mercato dei relativi risultati.
  È da valorizzare e da reindirizzare il sistema dei cluster tecnologici nazionali, ridefinendo la missione e le politiche degli stessi. Occorre creare pochi poli tematici di altissima specializzazione, concentrati territorialmente e dotati di risorse adeguate su tematiche specializzate.
  Se una parte più consistente dei fondi premiali fosse assegnata anche in funzione delle attività relative alla terza missione e si incentivassero tramite cofinanziamenti queste attività, si potrebbe avere un effetto leva anche in presenza di modesti investimenti iniziali. Ovviamente la valutazione deve sempre tener conto delle condizioni, ovvero del tessuto industriale e culturale del territorio in cui l'università o l'ente di ricerca operano.
  Anche a causa della mancanza di strutture efficienti per il trasferimento tecnologico in collaborazione tra pubblico e privato, l'Italia è in ritardo rispetto agli altri grandi Paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti e di Israele, sul fronte della valorizzazione della ricerca tramite brevettazione e creazione di una nuova imprenditorialità innovativa fondata sulla conoscenza.
  Circa la metà delle università italiane ha istituito i centri di trasferimento tecnologico, ai quali sono addette circa 220 persone. Il portafoglio brevetti comprende 3.900 invenzioni, con un flusso medio di circa 300 nuovi brevetti all'anno.
  La capacità inventiva del corpo docente è misurata dal numero di invenzioni identificate nell'anno sul totale dei docenti in tali discipline e mostra che nel 2016 ogni mille docenti sono stati generate: circa 22 invenzioni, in aumento del 13,5 per cento rispetto all'anno precedente; una media di 10,7 brevetti concessi; 4,3 licenze/opzioni concluse con un importo medio generato pari a soli 34.000 euro, seppure in aumento rispetto al 2015; 3,6 spin off.
  Il volume medio di titoli attivi al 2016 (quindi brevetti inclusivi di domande e concessioni) è pari a 144,7 brevetti per migliaio di docenti, in aumento rispetto al 2015 del 17 per cento, e il numero di spin-off attivati al 31 dicembre è pari a 39,8 imprese per mille docenti. In termini di risorse economiche, i dati raccolti circa la produttività dei fondi di ricerca riferiti al 2015 evidenziano che ogni 10 milioni di euro spesi in ricerca e sviluppo si hanno 5,2 invenzioni, 2,8 registrazioni di concessioni e quasi un contratto di licenza/opzione concluso.
  Ciò che più fa riflettere analizzando queste risultanze è che le entrate economiche complessive derivanti dalle cessioni di licenze e opzioni sui brevetti sono state nel 2016 di solo 1,6 milioni di euro in tutto, che non copre, se non in misura estremamente minoritaria, neppure i costi sostenuti per personale e oneri di registrazione e mantenimento dei brevetti. Gli uffici di trasferimento tecnologico di molte università sono, dunque, una voce di spesa invece che di ricavo.
  Occorre ripensare anche le strutture per il trasferimento tecnologico. Per sviluppare la necessaria cultura del trasferimento tecnologico servono azioni decise, chiare e innovative. Io credo che occorra rivedere accordi di programma e dare alle università mirati e più avanzati ambiti e livelli di flessibilità e autonomia, connessi all'organizzazione e gestione delle relative attività, con la possibilità di dotarsi delle strutture e delle competenze specialistiche che servono. Tutto questo potrebbe realizzarsi in virtù di un accordo di programma avallato dal Ministero dell'istruzione, dell'università Pag. 7e della ricerca e fatto proprio da qualificati partner pubblici e privati.
  Occorre rafforzare le fondazioni universitarie, allineandoci alle tante esperienze internazionali, potenziare e trasformare gli uffici di trasferimento tecnologico degli organismi di ricerca sotto forma societaria o consortile o di fondazione universitaria, affiancati alle università ed enti di ricerca, ma con gestione autonoma, affinché diventino strutture realmente professionali di valorizzazione e trasferimento della ricerca a livello territoriale. Questo permetterebbe di offrire un servizio anche alle piccole e medie imprese, che devono farsi carico di problemi e costi di brevettazione spesso non sostenibili, e di avvicinarle al sistema di innovazione delle università.
  Credo sia importante guardare anche la premialità per il trasferimento tecnologico. Per le università, a fronte di un'indicazione politica circa gli obiettivi di terza missione, vanno inserite misure di premialità nel Fondo funzionamento ordinario, legate all'innovazione e al rapporto con il territorio.
  Alle università e agli enti di ricerca che hanno un patrimonio di innovazione non espresso mancano piccoli fondi per un finanziamento agile e veloce, per passare dall'idea al prototipo pre-industriale. Ciò permetterebbe di verificare la fattibilità e la sostenibilità dell'idea e la sua possibilità di sviluppo nel mercato. Un'azione del genere eviterebbe la fase di abbandono e di svendita delle idee.
  Occorrono, inoltre, nuovi strumenti per il trasferimento tecnologico. Il disegno degli strumenti di sostegno alla ricerca, in gran parte nella forma di finanza agevolata, si basa sull'assunzione che l'unica modalità possibile di innovazione sia quella lineare, basata su attività di ricerca che a cascata generano innovazioni. Se da un lato è evidente che la ricerca è sempre a monte di qualunque processo innovativo, dall'altro va riconosciuto che il modello prevalente di moltissimi settori dell'industria italiana è basato su forme diverse, come ad esempio creatività e imitazione. Queste forme sono sistematicamente dimenticate dalle politiche di finanziamento e sarebbe interessante introdurre misure specifiche di sostegno ai laboratori di contaminazione, luoghi nei quali studenti, ricercatori e imprese provenienti da contesti disciplinari e industriali diversi possono sperimentare la contaminazione tecnologica tra diverse applicazioni.
  Qualche parola sulle start-up. Le start-up sono uno degli strumenti per generare e sviluppare innovazione. Esse sono anche un modo per valorizzare la nostra ricerca e i nostri giovani e per raggiungere nuovi attori imprenditoriali.
  Da questo punto di vista, l'Italia paga ancora un dazio culturale che genera in ambito accademico-scientifico una certa diffidenza verso il percorso imprenditoriale.
  Un ruolo fondamentale rivestono gli incubatori d'impresa. Gli incubatori universitari hanno come obiettivo principale quello di fornire servizi e spazi ai propri studenti, ricercatori e docenti per poter fare evolvere i risultati delle ricerche verso forme imprenditoriali, favorendo così le loro applicazioni industriali. È agli incubatori universitari che compete il compito di stimolare la valorizzazione dell'idea imprenditoriale dei giovani, attraverso business plan competition che ne facciano emergere la potenzialità di successo commerciale, ed è agli incubatori che spettano i compiti di organizzare spazi aperti in cui potenziali imprenditori possano far maturare l'idea e trovare compagni di avventura e di aiutarli nella ricerca di partner industriali e di finanziamenti che supportino le varie fasi di crescita della start-up, senza trascurare l'attivazione di reti di collaborazione sul piano internazionale, perché internazionali e non locali sono in molti casi i mercati delle aziende tecnologiche.
  L'imprenditorialità mette in gioco nei giovani formati dalle università tutta una serie di fattori, come la creatività, l'abilità, il coraggio, nonché i limiti di un individuo, al fine di trasformare conoscenze e competenze in valore concreto. Le università, in quanto luogo di produzione e trasmissione della conoscenza, costituiscono un passaggio naturale per l'imprenditorialità, soprattutto nei settori tecnologici. È mia intenzione favorire il legame naturale tra l'attività scientifica in senso stretto delle Pag. 8università e il suo trovare uno sbocco attraverso percorsi imprenditoriali innovativi, dei quali il Paese ha notoriamente bisogno per mantenere competitivo l'intero sistema economico.
  In Italia, poi, a differenza di altri Paesi dove la ricerca di punta è portata avanti da poche e ben definite grandi università, la tecnologia e la capacità di ricerca sono presenti in alcuni atenei e centri di valore sparsi su tutto il territorio nazionale, anche nel Mezzogiorno. Questo costituisce un fattore che da un lato ha portato alla dispersione delle capacità e delle risorse, ma dall'altro può rappresentare un'opportunità, in quanto combina diverse specializzazioni e offre plurime occasioni per far emergere i talenti che potrebbero dar vita a imprese innovative.
  Occorrono iniziative pazienti e di medio-lungo termine, perché gli incubatori di impresa e le loro start-up sono strutture che iniziano a produrre risultati significativi solo nel medio termine e il loro impatto sul territorio è sia a livello locale che nazionale.
  Vorrei di seguito elencare alcune iniziative che intendo proporre per motivare e valorizzare i nostri giovani.
  La prima riguarda i bandi per strutture di creazione di start-up. Occorre supportare la nascita di imprese innovative operanti in comparti di attività a elevato impatto tecnologico, attraverso un bando per la selezione di specifici progetti e dei relativi soggetti attuatori.
  La seconda è l'investimento sugli incubatori eccellenti. Bisogna potenziare gli incubatori esistenti che abbiano dimostrato efficacia operativa e sostenibilità, avendo il coraggio di evitare la proliferazione. A livello internazionale si assiste a una localizzazione in limitate aree geografiche delle iniziative di imprenditorialità giovanile.
  La terza iniziativa è la collaborazione tra imprese e start-up. È ipotizzabile un sistema di incentivi a imprese italiane affinché dedichino una parte di sostegno a start-up innovative provenienti dagli organismi di ricerca.
  Vorrei anche parlare brevemente della valorizzazione del capitale umano in risposta alle esigenze dell'innovazione, ovvero il dottorato di ricerca. Da molti anni il dottorato non è più il primo passo di una carriera accademica. Lo dicono il tasso di occupazione dei nostri dottori di ricerca e la destinazione della loro occupazione. Al Politecnico di Milano solo per meno della metà i dottori di ricerca sono impiegati in aula; i restanti lavorano in azienda, il 52 per cento, con contratti da subito a tempo indeterminato e con salari superiori a quelli dei laureati magistrali il 39 per cento.
  Dobbiamo, quindi, abbandonare l'idea che il dottorato sia funzionale alla sola accademia e intenderlo come un investimento per la crescita. Serve una chiara direzione politica che individui nel dottorato e soprattutto nelle discipline STEM (science, technology, engineering e math) una priorità per il Paese, da tradursi in un criterio premiale, in una risposta forte alle esigenze di innovazione e di competitività delle imprese, che permetterà loro di crescere e di garantire occupazione.
  Credo sia l'unica ricetta possibile, che penso di declinare in alcune proposte concrete, come aumentare il numero di borse di dottorato e incentivare le convenzioni di borse pubblico-privato. Lo scorso gennaio il ministero ha innalzato del 12,5 per cento l'importo minimo delle borse di dottorato in tutta Italia, un'azione importante, ma non sufficiente per raggiungere standard competitivi a livello internazionale. Vanno ora ipotizzate misure dedicate ad aumentare il numero di borse di dottorato, con particolare attenzione agli ambiti tecnico-scientifici. Una seconda azione può prevedere: un incentivo alla stipula di convenzioni università-imprese che considerino un maggiore investimento in borse di dottorato, borse di studio a tema finanziate prevalentemente o interamente da aziende o enti di ricerca italiani ed esteri, che presumano un'effettiva condivisione delle attività formative e degli obiettivi di ricerca.
  In secondo luogo, occorre incentivare il dottorato industriale, attivare un maggior numero di percorsi di dottorati in cotutela con imprese ed enti esterni, da destinare sia a lavoratori dipendenti sia a neolaureati Pag. 9assunti con contratto di apprendistato in alta formazione. Questo tipo di dottorato si inquadra perfettamente all'interno della visione delle aziende e garantisce la giusta interazione e integrazione tra la ricerca universitaria e la crescita dell'impresa.
  In terzo luogo, occorre sviluppare misure che aiutino l'assunzione di dottorati STEM. Bisogna introdurre sgravi fiscali per le aziende che scelgono di assumere dottori di ricerca con particolare riferimento alle materie tecnico-scientifiche. Si tratta di incentivi per ridurre il costo del lavoro per le imprese che assumono personale altamente qualificato. Un dottore di ricerca costa più di un laureato, in ragione di una preparazione superiore alla quale tendenzialmente la piccola e media impresa italiana rinuncia, privandosi di quello che potrebbe trasformarsi in un alto valore aggiunto in settori altamente innovativi.
  Occorre attrarre risorse per la ricerca. Vi propongo alcune proposte in tal senso. La prima è introdurre la premialità alle capacità di acquisire finanziamenti comunitari e promuovere piani nazionali di ricerca che diano continuità ai progetti europei.
  La seconda è supportare la mobilità degli studenti da e verso l'estero e supportare il reclutamento di ricercatori.
  La terza è ipotizzare un piano di finanziamento pensato al contrario: non valutare progetti che più o meno vengono creati in funzione dei bandi, ma piuttosto potenziare e dar seguito a ricerche in atto di ricerca industriale, in una logica a sportello e trasparente.
  Per rafforzare l'attrazione di investimenti privati in organismi di ricerca mi propongo di attuare misure quali in primo luogo rendere automatico l'incentivo per chi finanzia ricerca, introducendo un credito d'imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della ricerca svolta dalle università, dai centri di ricerca e dalle fondazioni universitarie. Sarà possibile supportare i ricercatori nella loro attività a vantaggio della crescita, della qualità e dell'attrattività del sistema della ricerca italiano.
  In secondo luogo, mi propongo di stimolare e facilitare la realizzazione di grandi progetti strategici per il sistema Paese, mettendo in atto un processo di ricerca di finanziamento. Occorre usare uno strumento di finanziamento innovativo, in grado di cambiare le regole della finanza per l'impresa. Questo vale non solo per l'imprenditorialità tradizionale, ma anche per gli organismi di ricerca, che in questo modo potrebbero finanziare e legittimare i propri progetti di grande respiro.
  In terzo luogo, occorre promuovere esperienze e sperimentazioni pubbliche-private. Un esempio è costituito dalle trasformazioni urbane delle nostre città, che possono offrire grandi opportunità: la connettività, la mobilità, la sicurezza, la digitalizzazione, le trasformazioni digitali della pubblica amministrazione e della salute, la sostenibilità ambientale ed energetica. Devono diventare veri e propri laboratori di trasferimento tecnologico per i nostri organismi di ricerca e occasione per le nostre imprese. Azioni congiunte tra il Ministero dell'istruzione e il Ministero dello sviluppo economico dovrebbero promuovere e cofinanziare la realizzazione di vere e proprie sperimentazioni con le agenzie nazionali e con le pubbliche amministrazioni, anche al fine di favorire l'innovazione della pubblica amministrazione e la nascita di nuovi mercati.
  Noto che sono ancora presenti all'interno di un quadro di governance orizzontale (tra ministeri) e verticale (Stato-regioni) alcune criticità e, dunque, la delega all'innovazione e al trasferimento tecnologico risulta essere poco chiaramente distribuita. Non è stata sufficientemente perseguita la collaborazione fra i vari enti di ricerca, penalizzando le integrazioni e le sinergie tra le diverse strutture e, di conseguenza, tra i diversi ricercatori. Tutto questo ha comportato dispersione delle risorse, distribuzione a pioggia dei finanziamenti, sovrapposizioni di attività di ricerca e mancanza di coordinamento a livello nazionale.
  Gli enti di ricerca sono molteplici e sono vigilati da più ministeri, perseguendo spesso obiettivi propri, con scarso collegamento Pag. 10con il mondo delle imprese e con la programmazione economica e di crescita del Paese. Solo gli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, oltre alle università, sono circa 45.
  È, dunque, opportuno istituire un organismo apposito con il compito principale di definire una strategia nazionale della ricerca, di coordinamento, di concertazione, di collegamento tra le istituzioni preposte a svolgere attività di ricerca e di selezione di progetti e idee.
  Può risultare utile anche l'istituzione di una consulta, composta da personalità di alto profilo, che abbia l'obiettivo di fissare le linee strategiche del Piano nazionale di ricerca.
  Inoltre, il riordino della governance non può che passare da una revisione di ANVUR, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario. Che l'università debba essere valutata e che i comportamenti virtuosi debbano essere giustamente ricompensati è fuori da ogni questione. La valutazione deve essere trasparente e sempre giudicabile. Il processo di valutazione sarebbe poi efficace se il giudizio avvenisse a valle di una definizione chiara degli obiettivi e se i criteri di valutazione fossero discussi e condivisi con la comunità scientifica. Gli indicatori utilizzati per misurare la produttività scientifica appaiono in qualche misura opinabili. In ogni caso, l'impianto di valutazione ANVUR solleva alcune perplessità sulla sua adeguatezza.
  In conclusione, se l'obiettivo ultimo è l'attrattività del nostro Paese e la competitività delle nostre imprese, non possiamo che mettere al centro del nostro pensiero il lavoro di domani. Il nostro Paese ha una grande opportunità nel valorizzare il nostro DNA nella capacità di coniugare tecnologia e creatività, ma è importante prendere consapevolezza che tutto ciò dipende, da un lato, dalla nostra capacità di investire in ricerca, innovazione e formazione e, dall'altro, dalla volontà di non subire, ma governare questo percorso. Occorre un Governo determinato e coraggioso che fornisca linee di indirizzo, che verifichi i risultati, che stimoli collaborazioni, che promuova innovazione, che sorpassi la logica della verifica burocratica. Voglio un ministero moderno, competente e veloce.
  Servono linee di indirizzo coraggiose in grado di scegliere, anche a rischio di creare scontento, sapendo che altrimenti il rischio è di disperdere le risorse e di rimanere esclusi dalla più importante trasformazione tecnologica degli ultimi cent'anni. I megatrend sono chiari: ora serve competenza e formazione nel settore delle STEM, ricerche che siano in grado di portare risultati grazie a innovazioni, collaborazioni con imprese sia grandi che piccole e creazioni di start-up innovative. Serve unire la formazione alla capacità di fare innovazione, la ricerca alle sue ricadute industriali. È necessario spendere di più, ma è ancora più necessario riuscire a spendere meglio, incominciando a utilizzare tutti i fondi stanziati per la ricerca, eliminando burocrazia e lungaggini inutili e rispettando le tempistiche previste.
  Una condizione essenziale per lo sviluppo è, dunque, il rilancio di una forte e stabile alleanza fra università, enti di ricerca e sistema produttivo, con il supporto della finanza e delle istituzioni pubbliche, in un Paese ancora ricco di creatività e di capacità manifatturiera.
  La direzione in cui muoversi insieme ai nostri giovani qualificati, alle nostre strutture di ricerca e di sostegno all'imprenditorialità e alle nostre imprese è fatta di meritocrazia, di investimenti in formazione avanzata, ricerca e innovazione, di competitività. Questa strada appare davvero imprescindibile per il nostro Paese. Essa potrà essere percorsa con successo se riusciremo nel contempo anche a conservare e a coniugare quei grandi valori che sono il capitale intellettuale, le competenze ideative e produttive del nostro Paese, un patrimonio distintivo nel panorama mondiale che i nostri talenti migliori sono chiamati a reinterpretare e valorizzare nel nuovo contesto di tecnologie e bisogni.
  Non vi sarà sfuggito che il ministero dell'istruzione ha concluso un accordo con l'Agenzia spaziale italiana in collaborazione con il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche), tale per cui entro 45 giorni verranno forniti al ministero i dati satellitari Pag. 11che fotograferanno lo stato degli edifici scolastici italiani. All'avanguardia mondiale nella ricerca e nelle missioni spaziali, l'Agenzia spaziale italiana metterà a disposizione in questa nuova missione il sistema COSMO-SkyMed, in maniera tale da garantire un monitoraggio puntuale della stabilità dei compendi e degli edifici scolastici che ospitano i nostri ragazzi.
  Io vi ringrazio per l'attenzione. Mi riservo di rispondere e annotare le vostre domande, per dare successivamente riscontro alle stesse.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
LUCA CARABETTA

  PRESIDENTE. Grazie, ministro. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA LAURA PAXIA. Gentile ministro, come ha ribadito questa mattina, nel corso degli ultimi anni il Paese Italia si è contraddistinto a livello europeo per una riduzione degli investimenti nel comparto del sistema universitario e della ricerca.
  Le pressioni all'università sull'orientamento prioritario verso iniziative scientifiche a sfondo commerciale e di breve periodo potrebbero compromettere il ruolo fondamentale delle università stesse nella trasmissione del sapere e della ricerca di base e di lungo periodo. La probabilità che una parte crescente di conoscenze scientifiche sia considerata come informazione riservata, a causa del suo valore economico, pone ulteriori problemi, in particolare in quelle aree del sapere in cui tradizionalmente sono state considerate come un bene pubblico, in quanto ottenute con fondi statali e, quindi, accessibili a tutti, per esempio nei campi della biologia, della medicina e dell'agraria.
  La generale tendenza verso ricerche sfruttabili a fini commerciali ha incoraggiato l'attività di ricerca applicata, collocando in secondo piano quella di base, che si caratterizza per l'alto costo e, in particolare in alcuni settori delle scienze fisiche, per l'incertezza della sua ricaduta nel mondo della produzione.
  Nel corso degli ultimi anni si è assistito a una riduzione delle risorse umane e finanziarie destinate alla ricerca di base. Anche a livello internazionale, il ruolo dei Governi nel finanziamento di ricerca e sviluppo sta conoscendo una trasformazione rilevante verso una maggiore selettività nella scelta delle ricerche da condurre.
  Gentile ministro, per questi motivi desidero chiederle quali misure intende assumere per bilanciare il necessario sviluppo della ricerca di base e della ricerca a sfondo – mi consenta il termine – commerciale, quella ricerca industriale di cui questa mattina ci ha parlato.
  Inoltre, desidererei conoscere quali misure intende assumere anche per impedire che accordi di collaborazione tra enti pubblici di ricerca e industrie non conducano a una privatizzazione delle conoscenze. Le chiedo se forse la terza missione potrebbe essere una risposta.

  SARA MORETTO. Cercherò di essere veloce, perché, come aveva detto la presidente Saltamartini prima, visto che c'è il tempo, se ci sarà la possibilità di cominciare a sentire già le risposte del ministro per noi sarebbe utile, anche perché altrimenti queste audizioni rischiano di essere monodirezionali.
  Io la ringrazio per la relazione, che parte sicuramente da un quadro generale del nostro Paese che esprime delle fragilità che sono strutturali sul fronte della ricerca applicata. Ovviamente possiamo condividere o meno il suo giudizio sulle scelte fatte negli ultimi cinque anni, che mi pare comunque rientrino nei capisaldi che lei ha delineato nei confronti delle imprese e del collegamento che ci deve essere tra mondo produttivo e ricerca e università, proprio per arrivare a esprimere quel principio che giustamente citava anche lei, ovvero innovare per competere, che possiamo sintetizzare come punto finale di tutto questo ragionamento.
  Tuttavia, ministro, io mi sarei aspettata, oltre a un quadro e a un elenco dei problemi da affrontare, anche degli impegni e delle direzioni più concrete, anche perché Pag. 12questa audizione per vari motivi giunge in prossimità di una manovra di bilancio che, leggendo sulla stampa, pare essere già pronta. Pertanto, rispetto ad alcune linee che lei ha anticipato mi sarei aspettata di sapere anche quante risorse saranno destinate a queste misure, perché quando lei parla di bandi, di investimenti per gli incubatori, di valorizzazione del capitale umano, di premialità, sappiamo benissimo che queste sono misure che hanno un risultato concreto solo se finanziate. Siccome pare che la manovra sia pronta, mi sarei aspettata di sentire da lei anche qualche numero o qualche impegno in più.
  Arrivo a due veloci domande. Lei ha citato solo di passaggio il Piano nazionale per la ricerca, affermando che pensa a una consulta per seguire l'attuazione dello stesso. Io vorrei sapere qualcosa di più: che cosa pensa rispetto alle priorità di questo piano nazionale e come intende dargli risorse, sia in termini di scelte da fare con immediata rapidità sia in termini di fondi che intende affidare.
  Inoltre, si parlava della necessità di un incontro maggiore tra ricerca e industria, si diceva che vi è una scarsa presenza dei ricercatori nelle imprese e che una delle strade per percorrere questo obiettivo può essere il rafforzamento del partenariato pubblico-privato. Vorrei sapere qualcosa in più in merito a questo. Come diceva lei, le imprese hanno spesso rinunciato alla presenza di ricercatori, ma forse è necessario che questo incontro tra mondo produttivo e mondo della formazione avvenga anche prima e, quindi, anche se può sembrare al di fuori delle competenze di questa Commissione, io vorrei capire anche che intenzioni ha sul fronte dell'alternanza scuola-lavoro. Lei ha annunciato in diverse sedi che intende modificarne la disciplina rispetto all'impianto precedente, ha parlato di dimezzamento delle ore nei licei, di alcune misure che, a mio parere, vanno a ridurre l'efficacia dello strumento. Se parliamo di incrocio tra mondo produttivo e formazione, secondo noi deve partire prima, già dalla formazione della scuola superiore. Pertanto, forse indebolirla in quella fase e ricercarla dopo nel momento dell'università non è così coerente.
  Infine, oggi non ne ha parlato esplicitamente, ma in diverse occasioni sulla stampa lei ha annunciato la creazione di un'agenzia nazionale per la ricerca. Più specificatamente, il 26 settembre ha annunciato che il giorno seguente avrebbe portato al Presidente del Consiglio Conte un progetto sull'agenzia nazionale per la ricerca, che è una cosa che il nostro Paese attende da anni e che è richiesta da tutto il mondo della ricerca. Tuttavia, sono andata a vedere il comunicato stampa del Consiglio dei ministri del 27 settembre, il giorno seguente, e non vi è traccia di questa misura. Dunque, le chiedo se la stessa è stata messa nel cassetto o se rimane una sua priorità e ovviamente se accanto a questa vi sarà anche un intervento che va di pari passo, ovvero un budget strutturale che accompagni l'agenzia nell'efficacia della sua azione.

  PIER LUIGI BERSANI. Parto dal presupposto che si può parlare con un ministro che è appassionato ai fatti più che ai tweet, come mi sembra di aver capito guardandolo da lontano, e dico questo, magari con l'aspettativa di avere con calma una riflessione e una risposta.
  I temi sono tutti quelli che il ministro ha elencato. È una giungla di problemi, quindi per chi si affaccia a una nuova legislatura la domanda, secondo me, è da dove prendi il bandolo di una matassa molto complicata.
  Io penso questo: ci sono tre cose da fare. In primo luogo, il piano nazionale della ricerca va fatto anche col Ministero delle attività produttive e bisogna decidere dove si punta. È opinabile, però le scienze della vita, dalla sanità alle biotecnologie, l'efficienza energetica, i temi dei beni culturali, le questioni della digitalizzazione sono i punti sui quali l'Italia ha dei ritardi e delle carte da giocare sostanzialmente. Il primo punto è quindi fare delle scelte, perché non riusciremo a fare tutto.
  Il secondo punto è partire da un dato di realtà. Noi dobbiamo, in quelle aree e non solo, stabilizzare dei ricercatori trentenni che, come lei non può non sapere, Pag. 13ministro, sono tutti su progetti di ricerca con tre o quattro contratti e contrattini diversi, tutti precari: uno ha la borsa dell'università, l'altro è su un progetto dell'Unione europea, l'altro su un altro diverso contratto. Questi sono gli sherpa di quella famosa presenza italiana sulla letteratura internazionale, quindi noi dobbiamo trovare un modo per risolvere il problema. Capisco che questo non è semplice, è più facile da dire che da fare, però bisogna porsi l'obiettivo di stabilizzare questi trentenni, non si può lasciarli attaccati a niente.
  In terzo luogo, occorre vedere col Ministero delle attività produttive come si passa dai brevetti ai prototipi, perché qui c'è un meccanismo: se non hai la prospettiva di industrializzare, se non hai un sostegno per dire che, se azzecchi una cosa, c'è qualcuno che ti dà una mano a fare il prototipo e poi metterlo in produzione, non ti metti neanche a fare un brevetto francamente.
  Io di tutti questi problemi sceglierei queste tre tappe per partire con qualcosa di molto concreto.
  Condivido, infine, il fatto che la nostra struttura produttiva è fatta in questo modo, quindi quando dico «stabilizzare questi trentenni» io incoraggio anche la cosa che ha detto lei, ministro, ovvero dare anche qualche convenienza alle imprese a prendersene un po’, se non altro perché il famoso dialogo fra l'impresa, i centri di trasferimento e le università richiede dei linguaggi. Se non hai dentro l'azienda uno che sa di che cosa si sta parlando e parti sempre dal presupposto che il padroncino ha capito tutto lui, non parte questa cosa. Ci vuole uno che parli e uno che ascolti e che si parlino nella stessa lingua.
  Occorre, quindi, incoraggiare la piccola e media impresa ad avere in casa qualcuno che sappia parlare con l'università, anche se i primi tempi all'imprenditore sembra che sia una perdita di soldi e di tempo. Bisogna fare uno sforzo perché questo avvenga, perché altrimenti effettivamente corriamo il rischio di rimanere indietro, quando abbiamo delle potenzialità intellettuali e di formazione dei nostri giovani che sono eccezionali anche rispetto ad altri Paesi.

  GIANLUCA BENAMATI. Poiché questa Commissione è la Commissione attività produttive, quindi si occupa di ricerca tecnologica, non mi dilungherò su altre questioni attinenti alla ricerca in senso più ampio, perché altrimenti potremmo stare a parlarne per ore. Mi limito ad alcune osservazioni che mi sono nate spontanee mentre lei leggeva la sua ampia e articolata relazione.
  Lei ha parlato di un tema. Vorrei capire bene, quindi glielo chiedo con chiarezza. Il trasferimento tecnologico è uno dei grandi crucci del sistema universitario, di ricerca e industriale italiano. Se ho compreso bene, lei intende rafforzare il sistema del trasferimento tecnologico, ovverosia il collegamento fra l'idea e la realizzazione, mediante un potenziamento delle funzioni specifiche all'interno del sistema universitario e la realizzazione, per quanto riguarda gli enti di ricerca – credo di aver capito che si riferisse a loro – di società, anche consortili, specificatamente dedicate. Questo sarebbe anche un paradigma diverso rispetto a un recente passato, in cui si trattava soprattutto di esternalizzare o utilizzare veicoli esterni agli enti pubblici di ricerca per la trasmissione della loro idea e del risultato della loro ricerca. Questo è un tema molto delicato, perché è cruciale nella buona riuscita, quindi vorrei solo capire se ho inteso bene qual è il suo pensiero.
  Sempre restando in campo industriale, la seconda questione riguarda il tema di come si promuove la ricerca, non solo nel sistema di ricerca e universitario per poi trasmetterla all'industria, ma anche nel sistema industriale stesso, perché la ricerca si fa anche nell'industria.
  Da questo punto di vista, le start-up, al di là di essere alloggiate negli incubatori universitari, sono un potente mezzo di collegamento fra l'industria e la ricerca. Da un'idea nasce un'impresa e l'impresa va avanti.
  Io capisco la questione che lei citava. Le dico francamente che non mi sembra una cattiva idea quella del credito d'imposta Pag. 14 rafforzato su eventuali erogazioni liberali a sostegno delle start-up. Vorrei, però, capire bene, in merito a quel complesso di misure che già esistono sulle start-up, sia in termini di fiscalità per i finanziamenti sia in termini di normative semplificate sugli adempimenti sia naturalmente in termini di facilitazione all'accesso di una serie di servizi, se lei, inteso come ministro con delega, e il Governo intendete mantenere questo tipo di sistema. Dal mio punto di vista è stata una delle migliori introduzioni in questo settore nell'ambito della XVII legislatura. Vorrei sapere anche – mi consenta – se intendete rafforzarlo, tenendo presente il ruolo delle piccole e medie imprese innovative, che sono la naturale evoluzione delle start-up innovative.
  Da questo punto di vista, però, io pongo alla sua attenzione anche il tema del patent box. Il deputato Bersani prima citava il tema dell'utilizzo dei brevetti. Le chiedo cosa pensa del credito d'imposta per la ricerca e sviluppo che si conduce in azienda, che è stata una delle misure che hanno fatto emergere per la prima volta l'attività di ricerca all'interno delle aziende, per cui si ha diritto a un credito d'imposta in ragione del valore incrementale dell'attività sulla ricerca. Queste erano alcune cose collegate.
  Per quanto concerne il tema dei PhD (doctor of philosophy), i dottorati di ricerca, lei dice «aggiungiamo». Le chiedo se intende sugli STEM aggiungere quelli che sono già previsti in finanziamento con l'impresa 4.0 o industria 4.0. Si tratta, quindi, di un rafforzamento ulteriore, se ho ben capito.
  Ho due ultime questioni. Lei ha menzionato i dati provenienti dai satelliti per il monitoraggio degli edifici. Questo mi dà la possibilità di chiederle cosa pensa dei programmi di ricerca di osservazione della terra e di esplorazione spaziale italiani, come pensa il ruolo dell'ASI (Agenzia spaziale italiana), che è il braccio operativo, il ruolo di collaborazione con l'ESA (Agenzia spaziale europea), perché lei è responsabile ministeriale in questo senso.
  Le dico francamente che mi sembra di osservare che con la nuova cabina di regia istituita nella scorsa legislatura e l'estrazione di ASI da questa cabina di regia ci potrebbe essere una sovrapposizione fra le strutture tecniche di appoggio alla cabina di regia e l'ASI, che è il tipico braccio operativo. Le chiedo se lei da questo punto di vista mi riconferma che le modalità operative del sistema italiano nello spazio sono sostanzialmente quelle degli ultimi decenni.
  Le chiedo poi un ultimo giudizio e concludo. Lei parlava dei grandi progetti strategici per il Paese, che fanno avanzare comunque la tecnologia e il sapere scientifico e industriale di questo Paese.
  Durante la scorsa legislatura abbiamo avviato il finanziamento e abbiamo preso la decisione su un grande progetto di ricerca sulla fusione termonucleare, cioè la produzione di energia elettrica dal sole. Mi riferisco al Divertor tokamak test facility, un impianto che studia i plasmi, necessari a questa produzione energetica, che ha le stesse dimensioni del Joint european torus (JET) ed è nelle attività e nella scia di ITER (International tokamak experiment) che è in corso a Cadarache, e che vale 500 milioni e un migliaio di ricercatori, che dovrebbe essere situato qui alle porte di Roma nel centro di Frascati.
  Mi pare che questo sia un risultato assodato della comunità scientifica italiana, ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) e CNR. Vorrei sapere qual è la sua opinione su questo progetto, che sta nascendo, che avrà uno sviluppo e che sarà un qualcosa che per la scienza e la tecnologia italiana sarà rilevante per una ventina d'anni.

  ALESSANDRO COLUCCI. Anch'io ringrazio il ministro per la relazione. Da lombardo, peraltro, conosco la sua passione e la sua concretezza, che ho sempre molto apprezzato e credo che anche in questa sede possano avere un loro valore e una loro attualità.
  Innanzitutto riprendo un tema che ha già affrontato l'onorevole Moretto. Proprio Pag. 15 in vicinanza della discussione nelle aule parlamentari della legge di stabilità, sarebbe veramente interessante, non avendo ancora elementi numerici a nostra disposizione, capire rispetto alle interessanti suggestioni che ci sono state date oggi, quali sono gli elementi, che possono essere rappresentati a questa Commissione, di sostanza economica che vengono impegnati e investiti sulle prospettive che ci sono state illustrate.
  Un altro tema secondo me importante collegato alla nostra Commissione è il ruolo del mondo delle imprese. Io credo che ormai siamo davanti alla possibilità di una forte evoluzione nel rapporto col mondo imprenditoriale, che, come è stato detto dalla prima collega che è intervenuta, ha anche dei ritorni rispetto alla propria attività. Credo che un coinvolgimento delle istituzioni e del ministero possa essere veramente attuale, arrivati al punto dove siamo nell'ambito della ricerca e nel rapporto con le imprese.
  Non mi dilungo sul tema dell'alternanza scuola-lavoro, perché mi ritrovo nelle parole della collega Moretto, però credo che sia molto importante capire quale sarà l'atteggiamento sulla formazione professionale, che vede anche un coinvolgimento importante da parte delle regioni. Il nostro tessuto economico ne ha sempre fatto particolare utilizzo.
  Concludo sull'interessante regia unica nazionale sulla ricerca cui ha fatto riferimento. Le chiedo se si può avere un cenno su un altro ambito a cui il mondo economico è molto interessato, ovvero il tema della genetica, perché mi sembra che sia ormai un ambito dove anche il mondo delle imprese sta investendo molto.

  ANDREA GIARRIZZO. Gentile ministro, vorrei fare una breve domanda riguardo l'inerenza che secondo me c'è tra la nostra Commissione e il Ministero dell'istruzione. Io penso che, oltre a quello che concerne tutta l'attività di ricerca tecnologica innovativa, anche l'educazione imprenditoriale sia di fondamentale importanza.
  Quello che vorrei sapere è come pensate di comportarvi per inserire le dinamiche di educazione imprenditoriale all'interno delle scuole e delle università. Con l'alternanza scuola-lavoro, che a mio avviso è stata gestita abbastanza male in passato, ma che potrebbe essere una risorsa, chiaramente se gestita in maniera opportuna, magari si possono creare dei percorsi interni alle scuole per favorire l'ingresso nell'ecosistema scolastico dell'educazione all'imprenditorialità.
  Mi piacerebbe anche capire se è possibile dare la possibilità a start-up oppure a piccole imprese di essere incubate o di avere degli spazi all'interno delle scuole e delle università, per crescere, insieme alla forza lavoro, dei ragazzi che possono imparare e possono dare il loro apporto, aprendo a un nuovo fronte, che è quello dell'educazione all'imprenditorialità.
  Un ultimo appunto è che qualche anno fa nasceva dal ministero la Coalizione nazionale per l'imprenditorialità. Questa potrebbe essere rivalutata e valorizzata molto meglio rispetto a come era nata. Si potrebbe collaborare con tutti gli enti e gli attori coinvolti per capire anche con loro cosa si può fare in merito a questo.

  GAVINO MANCA. Ministro, la ringrazio innanzitutto per la relazione. Intervengo brevemente su un tema che non è strettamente di competenza della nostra Commissione, ma che è molto rilevante e che lei sicuramente conoscerà, rispetto al quale il precedente Governo ha operato secondo me bene e ha fatto investimenti importanti: il tema dei precari. Nel sistema universitario parliamo di 40.000 persone e negli enti pubblici di ricerca parliamo di 22.000 persone.
  Questo è un tema che è collegato anche a tutti i temi della ricerca tecnologica che noi trattiamo in questa Commissione. Penso che l'interconnessione di cui parlava poc'anzi il collega tra la Commissione attività produttive e quella della pubblica istruzione sia oggettiva. Non so se lei risponderà oggi alle nostre domande, ma penso che questo sia un tema che va affrontato, perché forse è il tema dirimente che riguarda l'opportunità e la crescita della ricerca nel nostro Paese. Pag. 16Questa è una riflessione che le pongo e aspetto una sua risposta.

  PRESIDENTE. Dato il numero e l'eterogeneità delle domande, in relazione anche al tempo a disposizione, come già detto dalla presidenza, l'idea è quella di rimandare, come conferma anche il ministro, le risposte a una nuova seduta organizzata a stretto giro.
  Ringrazio il ministro, ringrazio i colleghi e rinvio l'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.35.