XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (Commissione speciale per l'esame di atti del Governo della Camera dei deputati e Commissione speciale per l'esame degli atti urgenti presentati dal Governo del Senato della Repubblica)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 15 maggio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Molteni Nicola , Presidente ... 5 

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 5 
Caparini Davide Carlo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 5 
Molteni Nicola , Presidente ... 9 
Toma Donato , presidente della regione Molise ... 9 
Molteni Nicola , Presidente ... 10 
Grassi Ugo  ... 10 
Marattin Luigi (PD)  ... 10 
Molteni Nicola , Presidente ... 11 
Garavaglia Massimo (LEGA)  ... 11 
Molteni Nicola , Presidente ... 11 
Garavaglia Massimo (LEGA)  ... 11 
Pichetto Fratin Gilberto  ... 12 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 12 
Mallegni Massimo  ... 13 
Molteni Nicola , Presidente ... 13 
Mallegni Massimo  ... 13 
Molteni Nicola , Presidente ... 13 
Mallegni Massimo  ... 13 
Molteni Nicola , Presidente ... 13 
Bignami Galeazzo (FI)  ... 13 
Molteni Nicola , Presidente ... 13 
Caparini Davide Carlo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 14 
Molteni Nicola , Presidente ... 15 

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 15 
Fracassi Gianna , segretaria confederale CGIL ... 15 
Ganga Ignazio , segretario confederale CISL ... 18 
Veltro Luigi , funzionario UIL ... 21 
Abbrescia Vincenzo , segretario confederale UGL ... 22 
Molteni Nicola , Presidente ... 24 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 24 
Galli Dario (LEGA)  ... 24 
Polverini Renata (FI)  ... 26 
Benamati Gianluca (PD)  ... 26 
Fassina Stefano (LeU)  ... 27 
Fusacchia Alessandro (Misto-+E-CD)  ... 27 
Molteni Nicola , Presidente ... 28 
Turco Mario  ... 28 
Zennaro Antonio (M5S)  ... 28 
Molteni Nicola , Presidente ... 28 
Fracassi Gianna , segretaria confederale CGIL ... 28 
Ganga Ignazio , segretario confederale CISL ... 29 
Veltro Luigi , funzionario UIL ... 30 
Abbrescia Vincenzo , segretario confederale UGL ... 31 
Molteni Nicola , Presidente ... 32 

(La seduta, sospesa alle 13.45, riprende alle 15.05) ... 32 

Audizione di rappresentanti di Confapi e Alleanza delle cooperative italiane (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Mandelli Andrea , Presidente ... 32 
Napoli Francesco , vicepresidente di Confapi ... 32 
Mandelli Andrea , Presidente ... 36 
Venturelli Marco , segretario generale di Alleanza delle cooperative italiane ... 36 
Mandelli Andrea , Presidente ... 38 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 38 
Pesco Daniele  ... 39 
Benamati Gianluca (PD)  ... 39 
Crippa Davide (M5S)  ... 40 
Misiani Antonio  ... 40 
Galli Dario (LEGA)  ... 40 
Mandelli Andrea , Presidente ... 41 
Napoli Francesco , vicepresidente di Confapi ... 41 
Mandelli Andrea , Presidente ... 42 
Venturelli Marco , segretario generale di Alleanza delle cooperative italiane ... 42 
Mandelli Andrea , Presidente ... 43 

Audizione di rappresentanti di Confindustria (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Mandelli Andrea , Presidente ... 44 
Montanino Andrea , direttore del Centro studi di Confindustria ... 44 
Mandelli Andrea , Presidente ... 48 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 49 
Pichetto Fratin Gilberto  ... 49 
Vallardi Gianpaolo  ... 49 
Bagnai Alberto  ... 49 
Benamati Gianluca (PD)  ... 50 
Turco Mario  ... 51 
Galli Dario (LEGA)  ... 51 
Misiani Antonio  ... 52 
Buompane Giuseppe (M5S)  ... 53 
Mallegni Massimo  ... 53 
Zennaro Antonio (M5S)  ... 54 
Mandelli Andrea , Presidente ... 54 
Montanino Andrea , direttore del Centro studi di Confindustria ... 54 
Mandelli Andrea , Presidente ... 56 

Audizione di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Mandelli Andrea , Presidente ... 56 
De Luise Patrizia , presidente di R.ETE. Imprese Italia ... 56 
Mandelli Andrea , Presidente ... 59 
Galli Dario (LEGA)  ... 60 
Zennaro Antonio (M5S)  ... 60 
Crippa Davide (M5S)  ... 60 
Fregolent Silvia (PD)  ... 60 
Turco Mario  ... 61 
Polverini Renata (FI)  ... 61 
Pichetto Fratin Gilberto  ... 61 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 61 
Russo Paolo (FI)  ... 62 
Garavaglia Massimo (LEGA)  ... 62 
Fusacchia Alessandro (Misto-+E-CD)  ... 62 
Mandelli Andrea , Presidente ... 62 
De Luise Patrizia , presidente di R.ETE. Imprese Italia ... 62 
Mandelli Andrea , Presidente ... 62 
De Luise Patrizia , presidente di R.ETE. Imprese Italia ... 63 
Mandelli Andrea , Presidente ... 63 

Audizione di rappresentanti di ANCE, di Confedilizia e di Confprofessioni (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Mandelli Andrea , Presidente ... 63 
Buia Gabriele , presidente di ANCE ... 63 
Spaziani Testa Giorgio , presidente di Confedilizia ... 67 
Valente Franco , direttore di Confprofessioni ... 71 
Mandelli Andrea , Presidente ... 73 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 73 
Braga Chiara (PD)  ... 73 
Garavaglia Massimo (LEGA)  ... 74 
Pesco Daniele  ... 74 
Zennaro Antonio (M5S)  ... 75 
Guidesi Guido (LEGA)  ... 75 
Galli Dario (LEGA)  ... 76 
Mandelli Andrea , Presidente ... 77 
Buia Gabriele , presidente di ANCE ... 77 
Spaziani Testa Giorgio , presidente di Confedilizia ... 79 
Valente Franco , direttore di Confprofessioni ... 80 
Galli Dario (LEGA)  ... 81 
Valente Franco , direttore di Confprofessioni ... 81 
Mandelli Andrea , Presidente ... 81

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
NICOLA MOLTENI

  La seduta comincia alle 11.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
  Sono presenti: il presidente della regione Molise, Donato Toma, neoeletto, a cui diamo il benvenuto; Davide Carlo Caparini, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e assessore al bilancio, finanza e semplificazione della regione Lombardia; Alessandra Sartore, coordinatore vicario della Commissione affari finanziari e assessore alla programmazione economica, bilancio, demanio e patrimonio della regione Lazio; Antonello Turturiello, segretario generale della regione Lombardia; Roberto Nepomuceno, dirigente delegazione di Roma della regione Lombardia; Marco Marafini, direttore Direzione regionale programmazione economica, bilancio, demanio e patrimonio; Onelio Pignatti, responsabile politiche finanziarie e di bilancio della regione Emilia-Romagna; Linda Winkler, ufficio di Roma della Provincia autonoma di Bolzano; Ulla Schwienbacher, ufficio di Roma della Provincia autonoma di Bolzano.
  Per la segreteria della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome sono invece presenti Marina Principe, segretario generale, Paolo Alessandrini, dirigente per i rapporti con il Parlamento e Stefano Mirabelli, capo ufficio stampa.
  Do subito la parola al coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e assessore al bilancio, finanza e semplificazione della regione Lombardia, Davide Caparini.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Grazie, presidente, e grazie a tutti voi per essere qui numerosi ad ascoltare quelle che non sono delle lamentele, ma delle giuste rivendicazioni del lavoro svolto sino ad ora da parte delle regioni. Le regioni hanno infatti contribuito, per quanto riguarda le manovre di finanza pubblica dal 2015 al 2020, per qualcosa come oltre 67 miliardi di euro.
  Vi abbiamo distribuito alcune slide con delle tabelle riassuntive, e purtroppo servono tabelle riassuntive per definire quanto le regioni in questi anni abbiano contribuito. Basti pensare che l'incremento del contributo tra il 2018 e il 2019, per quanto Pag. 6riguarda la manovra, è del 14,85 per cento, quindi già con il nuovo anno noi ci troveremo a far fronte a degli impegni che – ahimè – le amministrazioni centrali non hanno sostenuto e non stanno sostenendo in egual modo.
  A pagina 3 abbiamo fotografato la situazione dal 2014 al 2021. Dal 2014 al 2017, ovvero in relazione a quello che è già stato fatto, potete osservare come, per quanto riguarda le amministrazioni locali, c'è stato un contributo pari all'8,4 per cento. Nel medesimo periodo, le amministrazioni centrali hanno invece incrementato la spesa del 5,9 per cento.
  Questo dato vi fa capire quanto ci sia stato, dal nostro punto di vista, un accanimento nei confronti delle regioni, dal punto di vista dello Stato, invece, quella che viene definita come spending review, realizzata però sui gangli vitali della convivenza civile, vale a dire sulla base fondante di quello che è il rapporto tra cittadini e componenti della Repubblica, come a pieno titolo ci vantiamo di essere, perché chi – e ritornerò più tardi su questo concetto – eroga i servizi fondamentali alle cittadine e ai cittadini di questo Paese sono le regioni.
  Ogni qualvolta si opera un taglio, si incide sulla carne viva dei servizi che noi eroghiamo, ed intendo dire noi tutti perché poi di fronte ai cittadini c'è la Repubblica italiana, non c'è lo Stato, non ci sono le regioni, e quindi ci sono delle responsabilità da condividere, sebbene il peso – lo ripeto – va a gravare tutto sulle amministrazioni regionali.
  Se infatti vediamo i tendenziali, sommando ciò che già è stato fatto e ciò che è previsto si debba fare fino al 2021, per quanto riguarda le amministrazioni locali abbiamo una riduzione del debito del 15,7 per cento, mentre le amministrazioni centrali nello stesso periodo lo incrementano del 10,1 per cento.
  Quando anche in questo DEF si fa una fotografia concernente la riduzione del debito, ovviamente l'obiettivo di indebitamento netto viene centrato – eccome se viene centrato, visto che in base alle previsioni l'indebitamento netto per l'anno 2018 si attesta all'1,6 per cento –, però è un dato di fatto che per centrare questo obiettivo chi contribuisce in quota parte maggiore sono le regioni. Infatti, se noi facciamo lo stesso rapporto per quanto riguarda le amministrazioni locali abbiamo un più 0,2 per cento e per quanto riguarda gli enti di previdenza un più 0,1 per cento, che concorrono a formare poi la performance del meno 1,6 per cento, compensando quella dello Stato che è negativa, per un valore pari a meno 1,8 per cento, quindi stiamo parlando di un contributo determinante da parte di tutti noi, ossia da parte delle regioni.
  Se andiamo a pagina 5, possiamo constatare ciò anche per quanto riguarda il pareggio di bilancio, che – vi ricordo – è un dato ormai acquisito a queste Commissione e alla politica. Per quanto riguarda le regioni esso è stato raggiunto nel 2015, quindi, oltre a chiederci il pareggio di bilancio, cosa che lo Stato non ha ancora realizzato e prevede di realizzare solo nel 2020, qui ci viene chiesto un ulteriore sforzo, ovvero un avanzo che è un avanzo imponente, come vedete dai dati: per il 2019 si parla di 2.496 milioni di euro.
  Non solo quindi noi abbiamo i conti in ordine, non solo realizziamo il pareggio di bilancio, ma ci viene chiesto un avanzo. Secondo quanto stabilito dalla legge di bilancio per il triennio 2018-2020, l'avanzo richiesto alle regioni è pari a 2,3 miliardi di euro per il 2018 e a quasi 2,5 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, equivalenti a circa lo 0,13 per cento del PIL per ciascuno degli anni dal 2018 al 2020.
  È evidente che siamo di fronte a una programmazione economica severa, draconiana nei confronti delle regioni e molto – anzi, troppo – tollerante nei confronti dello Stato. Se andiamo a vedere la legislazione vigente, abbiamo una manovra per cui le regioni contribuiscono con un totale di 12,6 miliardi di euro per il 2018, e abbiamo visto riassunte nella slide n. 1 tutte le voci che compongono questo contributo imponente, mastodontico; inoltre, noi abbiamo già raggiunto l'equilibrio di bilancio in termini strutturali con la legge di stabilità del 2015, ma nonostante il conseguimento del pareggio di bilancio viene richiesto alle Pag. 7regioni un ulteriore taglio da coprire di quasi 2,5 miliardi di euro sia per il 2019 che per il 2020.
  A pagina 8 troviamo invece la parte contenente le nostre proposte, perché evidentemente noi, essendo stati artefici di questa imponente manovra di riequilibrio dei conti ed essendo tra i principali contribuenti di questa nuova fase, che mi auguro virtuosa per tutte le componenti della Repubblica, abbiamo delle proposte da fare per quanto riguarda questo documento di programmazione, auspicando un'intesa tra Governo e Parlamento per trovare una soluzione strutturale per la copertura del contributo alla finanza pubblica. Noi vogliamo fare ciò qualificando i saldi del bilancio.
  Per quanto riguarda la manovra 2019-2021 vogliamo finalizzare il rilancio degli investimenti, quindi mettere in atto non più una politica di avanzo di bilancio, ma una politica di investimenti. Questo è il punto fondamentale che in questi anni è stato lamentato a tutti i livelli: la mancanza di una capacità di investimento da parte del pubblico.
  Ora noi, creando questo avanzo, siamo anche nella condizione, unica in questo Paese, di poter fare investimenti e quindi creare quel volano fondamentale per il rilancio dell'economia, salvaguardare da una parte i risultati di finanza pubblica, rispettando quindi ciò che la manovra ci chiede, e dall'altra riuscire a liberare le risorse per i motivi fondamentali per cui noi tutti siamo qui, ovvero le politiche sociali, l'istruzione, la sanità, il trasporto, che costituiscono la cifra del nostro impegno politico.
  In più, occorre indirizzare e programmare la spesa delle regioni in nuovi investimenti pluriennali, in modo da consolidare la crescita del Paese, perché, se crescita c'è, essa deve essere necessariamente accompagnata dagli investimenti, prevedendo infine un nostro contributo anche alla sterilizzazione dell'IVA.
  Noi siamo in un quadro in cui gli investimenti pubblici nel 2015 – questo è un dato della CGIA di Mestre che deve veramente far riflettere tutti – sono pressoché gli stessi di quelli del 1995, ovviamente attualizzati: cioè 20 anni fa come sistema Paese avevamo investito 264,3 miliardi di euro mentre oggi nel 2015, ultimo dato disponibile, sono 258,8.
  Negli investimenti pubblici dal 2007 al 2015 siamo passati da 54 a 35 miliardi di euro e il fondo dell'istruzione nel 2007 era di 73 miliardi, mentre oggi è di 65. L'Italia spende pro capite 3.700 euro, la Francia 4.900, la Germania 5.200: e poi ci chiediamo come mai non siamo competitivi! Abbiamo ridotto i fondi per l'università di un terzo. Tutti questi dati cosa ci fanno capire? Che è necessaria una nuova stagione, è necessario fare degli investimenti, e ne abbiamo anche gli strumenti. Lo riconosce lo stesso Governo nel DEF, laddove rileva che «la quota della spesa per gli investimenti fissi delle amministrazioni locali (...) e il contributo del comparto alla crescita reale degli investimenti della pubblica amministrazione è stato quasi sempre negativo nel periodo considerato».
  È evidente che la ripresa passa dagli investimenti e che negli ultimi otto anni c'è stato un decremento degli stessi pari al 28,2 per cento, tuttavia noi abbiamo gli strumenti per farli, perché il Governo precedente con la legge n. 232 del 2016 aveva attuato un piano infrastrutturale per gli investimenti, che poi è stato bloccato a causa della sentenza della Corte Costituzionale n. 74 del 2018, che rivendicava il ruolo delle regioni negli investimenti diretti e indiretti sul territorio, ruolo che in quella legge non era stato riconosciuto.
  Cosa proponiamo noi? Sempre nello spirito della leale collaborazione tra componenti della Repubblica – e credo che abbiamo dimostrato con i fatti di essere leali e soprattutto collaborativi – proponiamo, con un accordo da stipulare in sede di Conferenza Stato-regioni, di sanare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo del 2017, che vale più di 80 miliardi di euro di investimenti, e di definire in quello del 2018, per le materie di rispettiva competenza, un piano di investimenti che sfrutti il ruolo delle regioni come snodo di crescita per i territori. Pag. 8
  A proposito del ruolo delle regioni – e vado alla seconda parte della nostra proposta –, teniamo presente il nostro ruolo fondamentale per quanto riguarda la sanità. A pagina 10 potete vedere qual è il contributo che lo Stato ha previsto in varie forme in tale settore dal 2014 al 2018, anzi, poiché abbiamo inserito anche il Patto per la salute 2010-2012, l'arco temporale si estende dal 2010 al 2018.
  Ci sono alcuni dati che fotografano la situazione: in Europa 14 Paesi investono più dell'Italia nel campo della sanità, tra i Paesi del G7 noi siamo il fanalino di coda per la spesa totale, ma per l’out of pocket, ovvero per quello che chiediamo ai nostri concittadini, siamo i secondi. Ciò vuol dire che il pubblico investe meno e gli utenti, i pazienti, i cittadini sono costretti a pagare molto di più rispetto agli altri Paesi del G7.
  Nella Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni 2015, la Corte dei conti per il quadriennio 2016-2018 rileva una riduzione cumulativa del finanziamento del sistema sanitario nazionale di 10,51 miliardi rispetto ai livelli programmati, che erano già frutto di una contrattazione al ribasso che chiedeva lacrime e sangue alle regioni: ma chiederlo alle regioni in questo caso è chiederlo ai cittadini, chiederlo all'erogazione di uno dei servizi fondamentali.
  A questo aggiungiamo che siamo stati chiamati a contribuire all'incremento degli oneri di rinnovo del comparto della dirigenza e della dirigenza sanitaria, qualcosa che vale più di un miliardo di euro. Cosa è successo? Lo Stato ha rinnovato il contratto e poi ha detto alle regioni: «pagatelo voi!». Questa è la situazione, quindi è evidente che non c'è alcuna possibilità di sbloccare il turnover, assumere ricercatori, abrogare i superticket, investire nell'edilizia e nella strumentazione, tutto ciò che noi invece oggi vi proponiamo di fare.
  Solo nel 2018 – ed anche questo è un dato emblematico e sintomatico di un accanimento – il finanziamento pubblico è stato decurtato di 604 milioni di euro, a cui è stato aggiunto un taglio di ulteriori 300 milioni di euro per il 2018. Nel quarto Rapporto sul monitoraggio della spesa pubblica pubblicato nel 2017 dalla Ragioneria generale dello Stato si attesta che nel quinquennio 2001-2005 c'è stata una crescita del 7,5 per cento all'anno, dal 2006 al 2010 una crescita dimezzata, pari al 3,1 per cento rispetto al quinquennio precedente, mentre dal 2010 al 2016 la spesa è diminuita dello 0,1 per cento.
  Vi ricordo che – vi invito ad andare a pagina 11 –, a causa degli effetti del contenimento della spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo, il 2018 è un anno cruciale: siamo infatti di fronte a un bivio, a una svolta, oltre la quale poi non ci saranno più giustificazioni. I nostri livelli essenziali di assistenza (LEA) non sono più adeguati a un Paese moderno e civile, perché stiamo passando la soglia del 6,5 per cento. Stiamo passando dal 2018 al 2019 – lo vedete nel grafico a pagina 11 – dal 6,6 al 6,4 per cento. Vi ricordo che la soglia del 6,5 per cento è stata definita dall'OCSE come il livello minimo per garantire la tutela della salute, quindi uno Stato democratico già solo davanti a questo dato si deve interrogare.
  È ancora possibile intervenire in questo ambito? È ancora possibile intervenire sul welfare, sul sociale? È ancora possibile fare dei tagli, quando noi, se continuiamo con il trend che abbiamo deciso di intraprendere, come vedete in questo grafico, siamo destinati irrimediabilmente ad andar sotto la soglia che l'OCSE stesso ci indica come limite minimo per fornire delle prestazioni all'altezza? Quindi, noi che cosa vi chiediamo? Vi chiediamo di aggiornare i contenuti del vecchio Patto per la salute 2014-2016, le priorità sanitarie e il quadro finanziario.
  Per stabilizzare la crescita del Fondo sanitario nazionale in rapporto al PIL, noi dobbiamo invertire questo trend – vi ricordo che è un trend degli ultimi sei anni – ed occorre inoltre definire un nuovo programma pluriennale di investimenti per l'edilizia sanitaria e non solo. Dico questo perché bisogna investire. Bisogna investire in persone, capacità, competenze e infrastrutture.
  Se guardiamo la Nota di aggiornamento – trovate questi dati anche nella tabella a pagina 9 –, tutto questo è assolutamente Pag. 9fotografato e, per l'ultimo triennio, dai dati evidenziati emerge qual è la previsione della spesa per quanto riguarda il fabbisogno sanitario nazionale.
  Mi avvio – spero di non avervi tediato – alla conclusione. Evidentemente siamo a una svolta storica e siamo di fronte a un Parlamento nuovo, che è nelle condizioni di poter assumere le decisioni che servono al Paese, pertanto noi vi proponiamo di incentivare il ruolo attivo degli enti territoriali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale, perché abbiamo verificato che siamo efficienti e siamo efficaci. Inoltre, siccome ci sono dei decreti ministeriali che sono fermi in un cassetto e che possono essere da subito attuati, noi vi chiediamo di fare, per quanto riguarda, per esempio, la procedura automatica, come, per gli altri tributi attribuiti alla regione, per quanto riguarda la compartecipazione, quanto già era stato previsto in una risoluzione al DEF del 2017. Vi chiediamo tutto questo per qualificare l'attività di recupero fiscale ai fini dell'IVA nonché, evidentemente, per stimolare e diffondere la cultura della fedeltà fiscale e agevolare la tax compliance.
  È ovvio che, se lo facciamo noi, come abbiamo dimostrato di saperlo fare, contribuiamo in modo determinante all'emersione di una cifra importante, che in questo momento, purtroppo, con altri strumenti lo Stato non riesce a perseguire.
  In sintesi e in conclusione, la nostra proposta per la manovra 2019-2021 è la seguente: un patto per gli investimenti con un accordo in Conferenza Stato-regioni, che abbiamo visto e per il quale abbiamo anche definito di che cifra si tratta, e quindi quale mole riusciamo a liberare di investimenti che sono già lì; un ruolo attivo di tutti gli enti territoriali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale, quindi qualcosa che non richiede un'attività legislativa, ma richiede un decreto o più decreti ministeriali di attuazione; l'autonomia delle entrate in attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011, quindi qualcosa che è già stato scritto e deciso, ma non ancora attuato; un percorso di attuazione di quelle che sono le richieste di maggiore autonomia, di cui molte regioni si sono rese protagoniste e di cui, se non tutte, la maggior parte delle forze politiche presenti in queste Commissioni si è più volte resa disponibile a dar corso. Si tratta, quindi, di quattro misure concrete che possiamo fare da oggi, da subito, terminata quest'audizione e approvato il DEF. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo l'assessore al bilancio della regione Lombardia, Davide Caparini. Chiedo se qualche altro rappresentante della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome intenda intervenire per portare qualche considerazione aggiuntiva.
  Se non ci sono interventi, do la parola al presidente della regione Molise, Donato Toma.

  DONATO TOMA, presidente della regione Molise. Buongiorno a tutti. Sono Donato Toma, appena insediato nella regione Molise, dove stiamo facendo un po’ di ricognizione sulla nostra situazione di bilancio.
  Per la verità, noi abbiamo problemi di liquidità fortissimi, quindi, oltre al problema degli investimenti in materia sanitaria e a quelli evidenziati nelle slide che l'assessore Caparini ha appena illustrato e che effettivamente fotografano la situazione complessiva, vorrei richiamare un'attenzione particolare sulle piccole regioni come il Molise, che hanno bisogno di molti investimenti infrastrutturali.
  Noi abbiamo problemi serissimi in materia di infrastrutture e ciò non ci consente di progredire e di riprendere quello che, una volta, era il nostro sviluppo, che ci ha fatto passare dall'Obiettivo 1 alla fase di transizione in materia di contributi europei, quindi chiederei al Parlamento un'attenzione particolare per sbloccare gli avanzi di amministrazione. Noi abbiamo avanzi di amministrazione che però non possono essere impiegati per i vincoli giuridici esistenti. Consentiteci di sbloccare l'avanzo di amministrazione e consentiteci di ottenere maggiore liquidità, anche sbloccando quegli avanzi.
  Noi abbiamo seri problemi di liquidità e seri problemi di investimenti. I fondi europei Pag. 10 arrivano e, per la verità, li utilizziamo, però abbiamo la necessità di avere maglie giuridiche meno strette, in maniera tale da poter attivare tutta la liquidità possibile che noi abbiamo ma che, per motivi di bilancio, non possiamo attivare. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Toma. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  UGO GRASSI. Sono rimasto colpito dal riferimento al taglio dei finanziamenti all'università. Non c'è alcun dubbio che le università italiane siano tutte sottofinanziate o tra le peggio finanziate d'Europa, però noto che non si pone mai l'accento sul carico burocratico che grava sempre di più sugli atenei italiani. In particolare, le procedure di valutazione – la VQR, l'ANVUR – hanno dei costi molto alti, in ragione di una scarsa efficienza, a giudizio di molti, di queste procedure di valutazione.
  Voglio soffermarmi su questo profilo perché, da più parti, specialmente dal mondo dell'università, si alza la richiesta di contenere l'incremento del profilo valutativo che poi, in realtà, si trasforma in un incremento della complessità delle procedure amministrative. I professori universitari sono chiamati a svolgere attività amministrative che sottraggono tempo allo studio e alla ricerca e sottraggono anche tempo alla didattica, ovviamente.
  Nello stesso tempo, non c'è un aumento del personale amministrativo, il quale viene chiamato dai docenti a condividere questi ulteriori impegni.
  Insomma, aumentiamo pure i finanziamenti, ma non facciamo finta che il resto della macchina accademica e amministrativa delle università sia efficiente, perché non è così: noi rischiamo di iniettare più carburante in un motore che consuma tantissimo, quando l'efficienza deve essere invece un obiettivo prioritario di qualunque cambiamento della legislazione.

  LUIGI MARATTIN. Vorrei ricordare al collega che i finanziamenti all'università in discussione oggi non sono certo quelli agli atenei, che passano attraverso il Fondo di finanziamento ordinario. In questo caso, si parla di finanziamenti per il diritto allo studio, quindi si tratta di due cose diverse.
  Assessore Caparini, ho sentito il suo comizio e vorrei porle tre domande, cortesemente. Riguardo alla prima domanda, lei ha rappresentato uno scenario in cui in questi anni le amministrazioni centrali dello Stato hanno aumentato la spesa per consumi intermedi, mentre quelle locali la hanno diminuita. Vorrei sapere allora che cosa pensa di questi dati che le sto per evidenziare e che sono tratti dai DEF di questi anni, sezione «Analisi e tendenze della finanza pubblica»: la spesa per consumi intermedi delle amministrazioni locali nel 2010 era pari a 107 miliardi e 903 milioni di euro e nel 2017 è stata pari a 112 miliardi e 901 milioni di euro, con un aumento del 4,6 per cento; nello stesso arco temporale, la spesa per consumi intermedi delle amministrazioni centrali dello Stato passa da 25 miliardi e 173 milioni di euro a 24 miliardi e 584 milioni di euro, con una riduzione del 2,3 per cento. Che cosa pensa di questi dati, assessore? Come questi si rapportano con quello che lei ci ha dichiarato?
  Riguardo alla seconda domanda, le chiedo come mai non ha citato, quando ha elencato i tagli operati alle regioni in questi anni, i quattro rifinanziamenti di spesa che lo Stato ha fatto alle regioni in corso di esercizio. Cito i dati della Ragioneria generale dello Stato: un miliardo e 307 milioni di euro nel 2012; un miliardo e 971 milioni di euro nel 2013; 2 miliardi e 44 milioni di euro nel 2014; 2 miliardi e 162 milioni di euro nel 2015. Per spiegare, questi sono rifinanziamenti di spesa che avvengono in corso di esercizio, dopo i tagli che lei ha citato e che, ovviamente, fanno sì che la spesa finale delle regioni e delle amministrazioni locali, consuntivo su consuntivo, in realtà non diminuisca.
  Riguardo alla terza e ultima domanda, lei e il presidente del Molise ci avete lungamente ricordato la questione degli avanzi. Le vorrei chiedere che opinione ha del fatto che negli ultimi anni, tutte le volte che si Pag. 11trattava di ripartire il contributo di finanza pubblica a carico delle regioni in Conferenza Stato-regioni, la posizione ufficiale delle regioni è stata quella – pur di non scaricare questi tagli sulla spesa corrente tramite una riduzione di trasferimenti o tramite un prelievo del gettito IRAP, che avrebbe inciso sulla spesa corrente delle regioni – di preferire vedersi caricare la manovra sul lato degli investimenti, chiedendo di accumulare avanzo per soddisfare l'obiettivo di indebitamento netto, pur di non toccare in alcun modo la dinamica della spesa corrente. Come questa posizione si concilia con la richiesta che ci state insistentemente facendo, ossia quella di scaricare, invece, il comparto investimenti dai tagli, visto che siete stati esattamente voi a richiedere che il contributo di finanza pubblica fosse caricato su quel versante piuttosto che sulla dinamica della spesa corrente, che, infatti, in questi anni, come abbiamo visto, non è affatto diminuita, ma aumentata?

  PRESIDENTE. Deputato Marattin, per rispetto non l'ho interrotta, però le chiedo cortesemente di portare rispetto nei confronti dei nostri ospiti, perché non credo che l'intervento precedente sia stato un comizio. Si tratta di interventi di natura prettamente tecnica, per cui, prima di fare polemiche di qualunque tipo, la invito cortesemente ad avere rispetto anche nei confronti degli uditori – che, tra l'altro, sono stati invitati da noi – e ad avere un minimo di educazione. Ovviamente, poi risponderanno alle sue domande.

  MASSIMO GARAVAGLIA. Il collega Marattin deve anche giustificare il suo ruolo negli ultimi cinque anni: ha fatto lui questi tagli, quindi è comprensibile che lo faccia.

  PRESIDENTE. Deputato Garavaglia, chiudiamo qui questa cosa vicenda.

  MASSIMO GARAVAGLIA. Esatto, rimaniamo ai fatti. Prima di fare due domande secche, vorrei fare una considerazione: per evitare queste discussioni antipatiche, perché il Parlamento – o anche queste Commissioni – non chiedono, come abbiamo già fatto, che venga definitivamente effettuato l'aggiornamento della tabella che prima faceva la COPAFF e che prevede la fotografia certificata di qual è il contributo al risanamento della finanza pubblica di ogni singolo comparto, vale a dire amministrazioni centrali e amministrazioni locali? In questo modo, almeno, si finisce di discutere inutilmente su dati che sono incontrovertibili, visto che queste tabelle sono incontrovertibili.
  Passo ora alle due domande. Quello degli investimenti è un tema fondamentale. È evidente che storicamente in questo Paese gli investimenti sono stati realizzati dagli enti locali e non dallo Stato centrale. Purtroppo, da parte del padre di famiglia la scelta negli ultimi cinque anni è stata quella di tenersi i quattrini e di chiudere il rubinetto ai propri figli e il risultato è stato il blocco della spesa per investimenti.
  Oltre a quello delle risorse, c'è il tema delle regole: come regioni, non ritenete che sia opportuno – anche alla luce della sentenza che, con riferimento ad aspetti anche rilevanti, ha messo in crisi la norma di contabilità di cui alla legge n. 243 del 2012 – , sperimentare, magari iniziando da qualche regione che è già in grado di farlo, modalità più flessibili di utilizzo delle risorse proprio per superare questo ostacolo?
  Il secondo tema è quello del Fondo sanitario nazionale e la domanda è secca. È previsto un incremento in valore assoluto di un miliardo e ci pare di capire che questo se ne andrà tutto – senza neppure bastare – per i contratti. Ora, ove non ci fosse questo miliardo in più in valore assoluto, visto che, in questo caso, si sentono voci sulla copertura delle clausole di salvaguardia che prevedono, per esempio, di togliere, già che c'è un miliardo in più sulla sanità, pure quello, i contratti si potranno comunque perfezionare, sì o no? Penso che la mia sia una domanda retorica, però è importante che i parlamentari sappiano che cosa succede, se non c'è quel miliardo in più.
  Certo è che, per stabilizzare il predetto Fondo al 6,5 per cento, come pure sarebbe Pag. 12opportuno, servirebbe un miliardo o un miliardo e mezzo aggiuntivo rispetto al miliardo in più, però le mie domande si limitano a queste due.

  GILBERTO PICHETTO FRATIN. Parto da una prima considerazione sulla fotografia: il DEF che è stato presentato, di fatto, dovrebbe muovere da una fotografia, ma – ahimè – nemmeno la parte statica di questa fotografia appare condivisa e, forse, un Paese moderno dovrebbe avere almeno i dati di fondo con identiche condizioni di partenza per tutte le parti politiche e i soggetti istituzionali.
  Io devo dire che ho apprezzato la relazione che ci è stata fatta e la relativa proposta. Essendo questa un'audizione sul DEF, sono state evidenziate – molto brevemente, peraltro – non solo le difficoltà del percorso passato, ricordando che sui bilanci regionali l'80 per cento è rappresentato dalla spesa sanitaria. La spesa sanitaria è legata, da un lato, all'organizzazione sanitaria delle singole regioni, punto rispetto al quale alcune risultano essere più efficienti ed altre – io ho avuto, ad esempio, un'esperienza in una regione che in passato si è dimostrata non efficiente per quanto riguarda la spesa sanitaria – molto meno efficienti. Dall'altro lato, c'è il fatto che la spesa sanitaria e la spesa dell'istruzione sono legate al fattore demografico e, di conseguenza, non sono suscettibili di una valutazione strettamente politica: la valutazione politica deve essere piuttosto una conseguenza della fotografia della realtà.
  Sotto l'aspetto di una valutazione rivolta al futuro, nell'ambito della divisione tra gli interventi di investimento e la spesa corrente, non è forse ora di riprendere la questione dei costi standard, che è stata dibattuta in questo Paese per una ventina d'anni e che, una decina d'anni or sono, aveva visto peraltro la convergenza di tutte le forze politiche, al di là delle piccole differenziazioni che potevano esserci, circa la necessità di individuare un criterio di riparto equo – mi si passi questo termine – da applicare alle varie realtà? Devo dire che questo punto di convergenza, per esempio, sul riparto della spesa sanitaria tra le regioni avviene per trattativa, tenendo conto della demografia e quindi dell'età, mentre dovrebbe non solo essere esteso ai ribaltamenti sugli enti inferiori, ma anche essere parificato ai costi dello Stato.
  Sul fronte della spesa corrente questo potrebbe essere un inizio. Naturalmente ne parliamo in occasione di un DEF che non è un DEF, perché manca il Programma nazionale di riforma e quindi mancano le proposte per il futuro, ma è un libero dibattito che potrebbe al limite rappresentare un utile contributo per il Governo che verrà.

  NUNZIO ANGIOLA. L'intervento dell'assessore al bilancio della regione Lombardia è stato sicuramente interessante, però vorrei svolgere una breve considerazione che fa riferimento, in particolare, alla necessità di qualificare la spesa pubblica delle regioni e di tutte le autonomie locali.
  Questo è un tema che ritengo molto importante e al quale, come MoVimento 5 Stelle, prestiamo molta attenzione, quindi mi domandavo se nell'ambito delle valutazioni fatte fosse stato affrontato anche questo tema, perché lei prima ha ricordato che «siamo efficienti e siamo efficaci», perciò vorrei capire se esiste qualche studio a livello sistemico di regioni e autonomie locali dal punto di vista dell'efficienza, cioè della capacità di svolgere la propria attività in condizioni di alti rendimenti e bassi costi, e dell'efficacia.
  Ricordo a tutti che il tema dell'efficacia riguarda non solo quella strettamente gestionale, su cui non mi soffermo per ragioni di brevità, vale a dire la capacità di raggiungere tutti gli obiettivi programmati delle amministrazioni, ma anche il tema dell'efficacia sociale, cioè dell'impatto delle politiche pubbliche, e da questo punto di vista, come sappiamo e come non dobbiamo nasconderci, a livello sistemico sia le regioni sia le autonomie locali sono molto carenti. Per quanto riguarda le regioni e, in particolare, il tema della sanità, penso ad esempio alla questione delle liste d'attesa, vera e propria croce che grava su tutti i cittadini italiani.
  Mi domando quindi se sia stata riposta la giusta attenzione su un tema molto importante, Pag. 13 quello della qualificazione della spesa nel corso di tutti questi anni, se siano stati condotti studi in materia e se siano emersi dati e risultati in merito alla capacità delle regioni e delle autonomie locali di operare in condizioni di efficienza ed efficacia.

  MASSIMO MALLEGNI. Il mio è un intervento di metodo, visto che l'altro giorno non ho avuto modo di terminare il mio intervento nel rispetto del suo punto di vista, che ovviamente è sempre superiore al mio.
  Io invito tutti i colleghi dell'attuale e della passata legislatura, alcuni dei quali hanno ricoperto anche incarichi importanti all'interno di Ministeri o a Palazzo Chigi, ad avere – lo debbo dire con rammarico – un po’ di rispetto per le esperienze e le esigenze maturate sul territorio, che talvolta è visto da lontano e rispetto al quale quindi abbiamo difficoltà a cogliere qualche dettaglio.
  Devo quindi ringraziare l'assessore al bilancio della regione Lombardia per aver posto delle questioni che riguardano non soltanto quella specifica regione, ma tutto il territorio nazionale, e chi finge di non coglierle non reca un contributo utile al dibattito.

  PRESIDENTE. Scusi, senatore Mallegni, ho già fatto io in precedenza un richiamo in tal senso. Cortesemente, lei ha detto quello che doveva dire, ma il richiamo l'ha già fatto la presidenza, quindi il discorso è chiuso.

  MASSIMO MALLEGNI. Ho sentito l'esigenza di stigmatizzarlo.

  PRESIDENTE. Senatore Mallegni, passi cortesemente alle domande, perché poi attendiamo anche le repliche.

  MASSIMO MALLEGNI. No, la mia era solo una questione di metodo sulle modalità della discussione.

  PRESIDENTE. Va bene, grazie per l'intervento.

  GALEAZZO BIGNAMI. Ringrazio il nostro ospite a cui intendo rivolgere due domande, in primo luogo se vi sia la disponibilità da parte delle regioni a fornire un dettaglio sulle singole realtà istituzionali in ordine all'effettivo contenimento della spesa e all'indice di dispersione, che purtroppo dobbiamo differenziare tra regione e regione.
  Forza Italia ritiene essenziale che non si pervenga a un taglio dell'erogazione dei servizi, ma non siamo minimamente disponibili alla dilatazione della spesa burocratica, che purtroppo soprattutto nel comparto della sanità inficia il lavoro di ottimizzazione che viene svolto. In questo senso riteniamo importante, qualora sia nella disponibilità del nostro ospite ma mi rendo conto che nel suo ruolo non poteva dettagliare le singole regioni, poter verificare, regione per regione, in particolare l'andamento della spesa sanitaria, su cui si è concentrata la sua analisi, nonché acquisire, disaggregati per singola regione, elementi di maggior dettaglio in ordine alle infrastrutture e alle cosiddette «opere incompiute».
  Analogamente, mi permetto una domanda che forse tocca più il ruolo di assessore della regione Lombardia ma che, trattandosi di un processo che ha coinvolto diverse regioni, ritengo sia legittima. Vorrei cioè comprendere se siano state valutate anche le dilatazioni di conferimenti e quindi di minori disponibilità dello Stato in ordine ai processi di ampliamento dell'autonomia ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione che, come lei sa benissimo, hanno riguardato diverse regioni soprattutto del Nord, dove si registra un avanzo superiore a quello di regioni più penalizzate sotto altri aspetti.
  Considero importante comprendere, visto che sembra ci sia sostanzialmente una condivisione estesa in ordine all'ampliamento delle competenze, quali variabili e quali variazioni si verrebbero a realizzare nell'eventuale varo della legge con cui verranno ridistribuite le competenze.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'assessore Caparini, per una breve replica alle domande poste.

Pag. 14

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Ringrazio tutti voi per l'attenzione e la precisione delle domande. Ovviamente dovrò fare un intervento riassuntivo, partendo da quella che è un'esortazione, ovvero quella di dare la massima precisione e imputabilità per quanto riguarda i numeri, i dati, e conseguentemente le rispettive responsabilità, perché da un quadro completo e preciso evidentemente potranno emergere le responsabilità di tutti.
  Naturalmente, in questa opera l'aggiornamento della tabella COPAFF proposta dal deputato Garavaglia costituirebbe uno strumento importante, come del resto la definizione dei costi standard aiuterebbe tutti noi ad avere una migliore comprensione – questo è apparso in molti interventi – dell'evoluzione dei costi dei servizi, della loro appropriatezza e della loro imputabilità. È una questione purtroppo annosa ed è evidente che aiuterebbe ciascuno di noi, a tutti i livelli istituzionali, fare chiarezza in questo senso.
  Per quanto riguarda le osservazioni dell'onorevole Marattin, credo sia sufficiente rileggere la relazione della Corte dei conti sul DEF 2018, nella quale troverà la conferma di quanto abbiamo detto. Purtroppo non sono riuscito a trovarla, ma me l'hanno inviata via posta elettronica e i dati sono inequivocabili. Dopodiché i dati che abbiamo portato qui non sono frutto della fantasia di alcuno, ma sono stati valutati dalla Conferenza delle regioni e tratti dai documenti della Ragioneria generale dello Stato, quindi rispetto ai dati contenuti nella tabella di pagina 3, che vi invito a rileggere, secondo cui dal 2014 al 2017 le amministrazioni centrali costano di più e le amministrazioni locali costano di meno, trattandosi di un dato contabilistico, non è che si possano fare ulteriori valutazioni.
  Se poi all'interno di questo quadro ci sono delle spese per i consumi intermedi, queste ultime rappresentano, fino a prova contraria, il valore di beni e servizi, quindi noi abbiamo una funzione e la stiamo svolgendo al meglio, e mi ricollego a quanto è stato detto prima sulla diversa imputazione delle voci e la diversa appropriatezza nell'erogazione dei servizi tra regione e regione. È evidente che qui siamo di fronte a un lungo processo di miglioramento per quanto riguarda tutte le regioni, perché vi assicuro che, anche laddove si eccelle, soprattutto per quanto riguarda materie così importanti come la sanità, l'assistenza sociale e la formazione, l'impegno è sempre quello di fornire una prestazione appropriata.
  Il punto è che ci sono delle differenze che devono essere vagliate, c'è chi veniva da un debito pubblico gigantesco e l'ha affrontato, però il dato comune, il comune denominatore, la cifra di questi anni è che c'è stato un impegno da parte di tutte le regioni. Lei faceva cenno alla regione Lombardia che mi pregio di rappresentare, e noi certamente abbiamo fatto un lavoro in tal senso, ma è evidente che i dati che lei chiede sono disponibili in Conferenza delle regioni e non solo, quindi dopo il processo di ridefinizione degli standard, che ci ha consentito anche di fare delle comparazioni, oggi il processo di confronto di cui lei parlava è sicuramente possibile.
  Per quanto riguarda l'impatto delle politiche pubbliche e la qualificazione della spesa su cui è intervenuto l'onorevole Angiola, è evidente che è un lavoro che noi stiamo facendo e che va di pari passo con la capacità di definire le funzioni e l'appropriatezza dei servizi da erogare. È ovvio che il confronto tra regioni diventa possibile nel momento in cui oggi siamo riusciti ad avere un quadro generale che è ben determinato, e ricordo che la stessa audizione fatta dieci anni fa era molto più difficile, perché non c'erano dei parametri comuni a cui fare riferimento. È un dato di fatto che è un processo che sta andando avanti e sta dando i suoi frutti.
  Per quanto riguarda quello che mi chiedeva il deputato Garavaglia in merito al rinnovo del contratto, che è stato scaricato sulle regioni, noi stiamo parlando di un miliardo di euro, ma se da una parte vengono chiesti dei tagli e dall'altra di supplire – perché di questo si tratta – alle funzioni Pag. 15dello Stato, è evidente che noi non siamo in grado di sostenere questo impegno.
  Non si tratta di un dato che forniamo solo noi, giacché anche il presidente della fondazione GIMBE, Cartabellotta, non più tardi di qualche giorno fa, su Il Sole 24 Ore, a latere dell’Healthcare Summit denunciava questo stato dei fatti, denunciava tutto quello che abbiamo cercato di illustrarvi per quanto riguarda il calo degli investimenti nella sanità, ma anche che non si può chiedere un ulteriore contributo alle regioni.
  Da ultimo, per quanto riguarda gli investimenti c'è un cambio di rotta semplicemente perché c'è chi ha fatto il pareggio di bilancio e ora ha degli avanzi, che gli vengono richiesti per andare a sanare il debito di altri. Noi chiediamo invece di poter utilizzare quegli avanzi per realizzare investimenti, non perché ce lo siamo sognati, ma prima di tutto perché nel nostro Paese – come in precedenza abbiamo visto nel dettaglio – sono calati gli investimenti, e in secondo luogo, elemento questo che va però di pari passo, perché la sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 2018 ha definito le regioni come un nodo cruciale a cui fare riferimento per quanto riguarda gli investimenti diretti e indiretti e ha bloccato una legge dello Stato.
  La Corte costituzionale quindi vi chiede di coinvolgere le regioni per quanto riguarda gli investimenti, pena il non poter smobilitare 80 miliardi di euro per il 2017 e altrettanti per il 2018, quindi siete di fronte a un bivio: o fare quello che la Corte costituzionale vi dice oppure fare una nuova legge sugli investimenti che tenga presente il ruolo cruciale delle regioni.

  PRESIDENTE. Ringraziamo l'assessore al bilancio Davide Caparini e tutti i rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, uno per tutti il presidente Toma, nonché tutti coloro che hanno dato la loro disponibilità a partecipare.
  Nel ringraziarvi per il fondamentale contributo che avete arrecato al dibattito su un tema estremamente importante e delicato, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Per quanto riguarda la CGIL sono presenti: Gianna Fracassi, segretaria confederale; Riccardo Sanna, capo area politiche di sviluppo; Giorgia D'Errico, coordinatrice Segreteria generale; Nicoletta Cerreti dell'Ufficio stampa.
  Per la CISL, sono presenti: Ignazio Ganga, segretario confederale, Maria Antonietta Tosti dell'Ufficio stampa. Per la UIL, è presente Luigi Veltro, funzionario UIL, e per l'UGL sono presenti Vincenzo Abbrescia, segretario confederale, e Fiovo Bitti, dirigente confederale.
  Per una migliore organizzazione dell'audizione, ritengo opportuno dare a ogni sigla sindacale una decina di minuti per il proprio intervento, in modo tale da poter esporre la propria posizione. Tra l'altro, sono stati anche consegnati alla presidenza alcuni documenti, che ovviamente saranno messi a disposizione dei componenti delle Commissioni e di cui dispongo la distribuzione. Dopo gli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali lascerò spazio alle domande dei parlamentari, magari partendo con una domanda per gruppo e poi, se ci fossero ulteriori domande, ovviamente verrà consentita la possibilità di farlo. Chiedo ai colleghi di attenersi unicamente e strettamente a domande, in modo tale da dare poi un sufficiente lasso di tempo alle sigle sindacali per poter replicare alle domande che sono state poste.
  Io partirei con l'audizione della CGIL. Cedo la parola al segretario confederale, Gianna Fracassi.

  GIANNA FRACASSI, segretaria confederale CGIL. Grazie, presidente. Premetto che noi abbiamo consegnato un documento, Pag. 16 e in formato elettronico troverete anche degli allegati.
  La nostra organizzazione, alla luce anche del contenuto di questo Documento di economia e finanza, che sostanzialmente è un documento tecnico e che, per quanto ci riguarda, mantiene un'anima che ben conosciamo: è evidente che, pur nell'assenza di punti programmatici (per le note ragioni che tutti noi conosciamo), riteniamo che i contenuti del Documento di economia e finanza che ci viene presentato siano sostanzialmente in linea con i precedenti Documenti di economia e finanza, quindi siano sostanzialmente in coerenza con quelle politiche di austerità che hanno determinato poi gli effetti che conosciamo nell'economia del nostro Paese.
  Il DEF li fotografa e credo che tutti li conoscono molto bene. Insomma, i dati che sono evidenti a tutti noi sono quelli di una bassa crescita, prevista, tra l'altro, in ribasso nei prossimi anni, quindi ne consegue anche una fotografia pessimista da questo punto di vista. Mi riferisco al dato occupazionale – in modo particolare, sottolineo quello dei giovani e delle donne – e a due punti di cui si parla poco: il quadro di riferimento che è lì contenuto ci parla di una riduzione dei salari reali e della quota lavoro sul PIL.
  Crediamo ci sia ovviamente un tema che va oltre i contenuti di questo Documento e che è evidentemente il rapporto con le politiche europee. Da questo punto di vista, la nostra organizzazione ha sempre espresso con grande chiarezza l'idea che occorresse rinegoziare perlomeno quello che per noi rappresenta un vincolo per le politiche espansive del nostro Paese, cioè il fiscal compact, anche alla luce della discussione che si è aperta nelle settimane scorse in Europa. Tra l'altro, come CGIL, CISL e UIL – lo diranno anche i miei colleghi – abbiamo presentato un documento unitario sul quadro pluriennale finanziario dell'Unione europea perché crediamo che, da questo punto di vista, sia necessario un impegno molto forte in quell'ambito di discussione: è chiaro che lì si sciolgono anche alcuni nodi che necessariamente poi riguarderanno anche i processi economici del nostro Paese.
  Alla luce di tutto questo e tenuto conto anche della situazione in cui ci troviamo dal punto di vista politico, i punti che noi vorremmo collocare all'interno di un quadro di cambiamento delle politiche economiche riguardano, prima di tutto, il tema di come si rimettono in campo investimenti in questo Paese.
  Di nuovo, il DEF stabilisce tra l'altro, se non ricordo male, un aumento minimale degli investimenti, ma solo – non ricordo esattamente la data – dal 2020-2021. Noi abbiamo necessità, da questo punto di vista, di provare a cambiare rotta per quanto ci riguarda.
  Abbiamo sempre sostenuto che occorra rimettere in campo investimenti pubblici per risollevare la leva economica, che occorra cambiare profondamente le politiche che in questi anni hanno caratterizzato questo processo recessivo che ci troviamo comunque ad affrontare e che occorra partire da alcune priorità.
  Allora, dico subito due cose. È evidente che noi abbiamo anche il peso e la zavorra delle clausole di salvaguardia e sollecitiamo le Commissioni ad evitare che questo, che purtroppo è un peso che ci trasciniamo dal 2014, si ripercuota negativamente. Per quanto ci riguarda, ovviamente le clausole vanno sterilizzate per evitare gli effetti sui lavoratori e pensionati, ma chiediamo che questa sterilizzazione non avvenga a fronte di nuovi tagli di spesa pubblica perché crediamo che questo Paese, alla luce dei bisogni e dell'aumento delle disuguaglianze che possiamo tutti rilevare, farebbe un errore davvero grave.
  La seconda questione che vogliamo porre all'attenzione delle Commissioni riguarda un ragionamento rispetto agli interventi e alle risorse che si possono recuperare nonché rispetto a quelle che per noi rappresentano delle priorità.
  Ci tengo a sottolineare che un ragionamento anche di riforma fiscale, perlomeno per la nostra organizzazione, deve essere improntato a criteri di progressività e deve avere, dal punto di vista prioritario, un'attenzione all'imposizione tributaria su lavoratori Pag. 17 e pensionati. Tanto per essere chiari, noi siamo, come abbiamo detto molte volte, contrari a qualsiasi ipotesi di flat tax o di nuovi condoni che sentiamo evocare nella discussione pubblica perché riteniamo che, in questo momento, non sia questa la priorità: il 50 per cento dei contribuenti ha redditi al di sotto dei 20.000 euro, quindi, se vogliamo provare anche a collocare sul versante di quella leva che può aiutare la domanda in questo Paese, forse c'è da fare questo tipo di intervento.
  Quali sono le priorità che poniamo nella discussione che, rispetto anche i profili, probabilmente ed evidentemente riguarderà la Nota di aggiornamento e la legge di bilancio? Noi diciamo che partire dai bisogni significa avere alcuni punti molto fermi. In primo luogo, c'è il tema delle povertà e c'è uno strumento importante che è il REI, il reddito di inclusione, e che, per quanto ci riguarda, è uno strumento che va implementato perché, come sappiamo tutti bene, non riesce a coprire tutte le esigenze, oltre a una serie di questioni di natura tecnica sulle quali lascio ovviamente al punto contenuto nella documentazione scritta.
  In secondo luogo, c'è un tema sanità che, da quanto abbiamo potuto ascoltare via web-tv, è stato anche uno dei punti di discussione della precedente audizione. Non si interviene direttamente sul livello di finanziamento del Fondo sanitario nazionale, ma, di fatto, ci trasciniamo tagli che provengono dagli interventi legislativi passati. Questo significa per il prossimo DEF una riduzione di 600 milioni di euro a partire dall'anno in corso e questo significa che, soprattutto in alcuni territori, noi abbiamo un problema di tenuta di quei sistemi.
  C'è una terza questione che voglio sottolineare. C'è un tema che si chiama «ammortizzatori sociali», sui quali io credo che si debba provare a superare tutte le difficoltà, come, in primo luogo, l'antitesi tra politiche attive e passive, e soprattutto la difficoltà in alcuni contesti a renderli davvero universali. Ci sono dei lavoratori che ne sono completamente privi e questo è un altro punto sul quale vorremmo ci fosse attenzione.
  Il quarto tema riguarda le pensioni. Crediamo, da questo punto di vista, che – l'abbiamo detto anche unitariamente e c'è un documento unitario delle tre organizzazioni sindacali – occorra rivedere la riforma Fornero. Noi poniamo due temi: il tema della flessibilità e la questione della pensione di garanzia per i giovani. Anche per questi temi, però, rimando alla documentazione scritta.
  Ci sono due ultime cose che voglio dire. Per quanto ci riguarda, il punto di partenza, come dicevo in premessa, è un piano di investimenti pubblici finalizzati allo sviluppo. Noi abbiamo presentato un'idea di Piano del lavoro e abbiamo anche definito come si finanzia il Piano del lavoro – per quest'aspetto, vi abbiamo allegato nella documentazione una tabella con le coperture possibili – perché pensiamo che, in questa fase, sia necessario utilizzare questa leva per riportare il nostro Paese a un processo di crescita e di sviluppo sostenibile, che possa aiutare chi lavora e chi vive in questo Paese, a partire da alcuni territori che sono la rappresentazione evidente dell'aumento dei divari. Penso soprattutto al Mezzogiorno. Anche su quest'aspetto, crediamo che ci siano stati degli interventi già nella precedente legislatura, ma sono – penso ai patti regionali – sostanzialmente degli acceleratori di spesa.
  Noi proviamo a fare alcune proposte molto concrete rispetto a che cosa servirebbe, oltre a un'idea di messa in efficienza dei fondi strutturali che già ci sono e che, come sappiamo tutti bene, non vengono spesi adeguatamente. Lo dico perché noi abbiamo un livello di spesa e di impegno dei fondi molto basso in questo Paese, quindi quello è un tema sul quale credo che occorra intervenire.
  Parlando di Sud, voglio segnalare una cosa: da questo punto di vista, credo che al Sud, come al Nord, abbiamo bisogno di rimettere in campo un'idea di politiche industriali, che abbia governo, definizione delle priorità e selezione degli interventi. Per questa ragione, un po’ di tempo fa, abbiamo presentato una proposta di costituzione Pag. 18 di un'agenzia per lo sviluppo industriale, che possa esattamente tener dentro le sfide che il nostro Paese ha di fronte e che non riesce a cogliere, anche perché è evidente che non si fanno da vent'anni politiche industriali in questo Paese, e parli soprattutto ai contesti e alle situazioni più arretrati.
  Da questo punto di vista, un piano di investimenti pubblici che provi anche a costruire le condizioni per la creazione diretta di lavoro per giovani e donne parla moltissimo anche delle zone che non sono esattamente quelle sulle quali si pone l'attenzione. Penso, per esempio, alle aree interne del Paese.
  Colgo quest'occasione, anche perché non sappiamo in questa fase a chi far riferimento, per segnalarvi alcune emergenze a proposito di aree interne e di aree del cratere del sisma. Vi segnaliamo che noi abbiamo un tema che si chiama «busta paga pesante» e che, da qui al 31 maggio, i soggetti che hanno chiesto la sospensione delle imposte devono restituirla, quindi c'è un'urgenza su quest'aspetto.
  Seconda questione: c'è un tema che si chiama «ammortizzatori sociali», sempre per le aree del terremoto, e poi ci sono interventi che possano rendere coerenti quei criteri e quei principi legati alla prevenzione di fenomeni ai quali, purtroppo, abbiamo già assistito e sui quali bisogna intervenire.
  Ci sono due ultime questioni. È chiaro che il punto di riferimento che, per quanto ci riguarda, dovrebbe stare in un piano nazionale di riforme è evidentemente il lavoro. Noi abbiamo presentato lo scorso anno una Carta universale dei diritti del lavoro perché crediamo che in questo Paese sia necessario ripartire con una ricostituzione di tutele e diritti e rafforzare alcuni diritti a favore dei lavoratori, che, soprattutto, vadano nella direzione di eliminare il tanto precariato che conosciamo.
  Lo dico qui e lo dico oggi perché tra i tanti motivi per cui stiamo assistendo in questi giorni a una strage continua e abbiamo più di due morti al giorno dall'inizio dell'anno ci sono anche la precarietà delle forme di lavoro, la mancanza di formazione dei lavoratori e la mancanza di una strategia nazionale sulla prevenzione e sulla sicurezza sul lavoro. Questi sarebbero segnali molto importanti, che su queste cose non costano, tra l'altro, nulla perché le leggi già ci sono, però è necessario da questo punto di vista intervenire per rendere coerenti i soggetti e le istituzioni che di questo si dovrebbero occupare, quindi lo Stato, le regioni e gli istituti, e pensare che, forse, in questo Paese, proprio per effetto dei tagli alle risorse pubbliche, non si è proceduto, per esempio, a rafforzare tutto il sistema ispettivo e di prevenzione.
  Io credo che questo, alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, sia esattamente uno dei temi sui quali è necessario collocare attenzione per evitare che questa strage continui.

  IGNAZIO GANGA, segretario confederale CISL. Il Documento di economia e finanza, come diceva la collega, prevede il mantenimento anche per il 2018 dei tassi di crescita raggiunti per il 2017. Le analisi che ci avete consegnato mettono in evidenza una forte dipendenza della nostra economia rispetto al quadro internazionale, con un modello di sviluppo che si caratterizza soprattutto per l’export come fattore propulsivo e determinante e negli incentivi fiscali temporanei all'investimento in capitale fisso, come il superammortamento o l'iperammortamento della legge di stabilità 2018, quale fattore ausiliario di sostegno aggiuntivo.
  Si tratta di una dipendenza che preoccupa e che va ridotta attraverso un intervento di bilanciamento a favore di un maggior peso della domanda aggregata interna, a nostro parere, nel traino della crescita economica e in un cambiamento di segno nelle politiche comunitarie. Come diceva la collega, anche noi chiediamo che l'Italia spinga affinché dal fiscal compact si passi all’investment compact.
  Due sono le componenti della domanda aggregata interna che, a nostro parere, debbono essere maggiormente sostenute attraverso il bilancio del Paese: gli investimenti pubblici e la domanda per consumi delle famiglie. In Italia, gli investimenti pubblici si sono ridotti in un decennio esageratamente. Pag. 19 Il DEF ci parla del 36 per cento, il che è preoccupante. Per tale motivo, chiediamo al Parlamento un finanziamento di maggiori investimenti sul sistema delle infrastrutture.
  La seconda componente da sostenere è quella della domanda per le famiglie colpite dalla stagnazione salariale pluriennale, da aumenti di tassazione nazionale e locale e dalla crescita delle diseguaglianze di reddito, quindi di ricchezza patrimoniale, oltre che dal ritardo del rinnovo dei contratti collettivi, parte dei quali abbiamo rinnovato a cavallo tra il mese di dicembre e il mese di gennaio.
  Noi evidenziamo una significativa asimmetria fra ripresa e benessere, sottolineando, in particolare, che per le famiglie il benessere si è, in termini di riscontri, fermato. Ecco che, allora, siamo dell'idea che la politica di bilancio, dopo il bonus degli 80 euro, non sia riuscita a mobilitare risorse a sostegno dei redditi delle famiglie e che abbia portato nel 2017 a un incremento della pressione fiscale esagerata su redditi da lavoro dipendente e da pensione. Relativamente alle retribuzioni, riteniamo che la questione dei rinnovi contrattuali debba continuare a caratterizzare la situazione del Paese.
  Abbiamo un Paese con grandi differenze, che caratterizzano moltissime realtà, a partire dal ritardo del Mezzogiorno. Sul ritardo del Mezzogiorno, chiediamo un'azione di governo importante. In particolare, vi raccomandiamo la necessità di mantenere nel bilancio un'analisi disaggregata per regione, genere, classe di età e settore, per accompagnare realmente le politiche.
  Noi chiediamo: maggiori investimenti pubblici; politiche redistributive a favore delle aree sociali medie e basse attraverso una riforma dell'IRPEF e, in tal senso, non intendiamo ovviamente la flat tax, ma ci basiamo su una netta progressività dell'imposta; sostegno non episodico alle situazioni di povertà, destinando risorse aggiuntive al REI; sostegno ai rinnovi contrattuali nazionali; distribuzione dei guadagni di produttività sul secondo livello di contrattazione. Ci sembra che questi possano essere gli strumenti per irrobustire la domanda interna e dare stabilità strutturale alla crescita.
  Sul lavoro, l'occupazione da circa due anni ha ripreso, però si tratta di un'occupazione quasi esclusivamente a termine, per cui bisogna strutturare l'occupazione con misure adeguate, tenendo presente che, in questi anni, si è verificata l'accelerazione di un processo destinato a trasformare profondamente il lavoro. La robotizzazione, quindi, e la digitalizzazione chiedono di guardare con attenzione alle tendenze che vengono avanti, quindi la necessità di mettere in equilibrio lavoro e produzione diventa una sfida che non possiamo non chiedere al nostro Parlamento, oltre al fatto che la ripresina non cancella, anche per parte nostra, l'esigenza di ammortizzatori sociali.
  Vanno quindi reiterate per il 2019 le norme già previste sul bilancio 2018, che consentono la proroga della Cassa integrazione nelle aree di crisi complessa, ma anche nelle aree di crisi non complessa. Noi abbiamo qualche dubbio sulla perimetrazione delle aree di crisi, perché qualcosa è sfuggita alla perimetrazione fatta dal legislatore.
  Occorre accelerare i percorsi che collegano strutturalmente scuola e lavoro, va favorito per conto nostro l'apprendistato duale, va proseguita e migliorata l'operatività dell'alternanza scuola/lavoro, deve essere incentivata la politica del lavoro a tempo indeterminato, è positiva la decontribuzione per le assunzioni di giovani contenuta nella legge di bilancio 2018, deve essere resa strutturale a nostro parere la decontribuzione per le assunzioni nel Mezzogiorno.
  Relativamente alla previdenza noi riteniamo che il cantiere previdenziale, che si è aperto nel 2017 ed è proseguito nel 2018, debba continuare ad operare. A nostro avviso è urgente ripartire al più presto sulla base di un confronto approfondito, iniziando dall'attivazione di due Commissioni che sono previste nella legge di bilancio 2018, una sulla spesa previdenziale e l'altra sui lavori gravosi. Pag. 20
  Ribadiamo la necessità di intervenire per aumentare la possibilità di scelta individuale dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto al momento in cui andare in pensione e proseguire sulla strada del riconoscimento della differenza dei lavori ai fini pensionistici. Contestualmente chiediamo che si possa iniziare il percorso che veda per i giovani promuovere una riforma del sistema previdenziale, introducendo una pensione contributiva di garanzia che consolidi il pilastro pubblico.
  Per garantire poi l'adeguatezza delle prestazioni è necessario ripristinare anche la perequazione secondo il criterio a scaglioni, previsto dalla vecchia legge n. 388 del 2000. Deve essere ripreso il tema della riforma della governance dell'ente previdenziale, va affermato un vero sistema duale, con una più efficace ripartizione dei poteri tra attività di gestione e attività di indirizzo strategico e di sorveglianza.
  Con riguardo sempre alla questione previdenziale vi chiediamo di non perdere di vista la questione del secondo pilastro, che deve essere rafforzato ed esteso possibilmente a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori italiani.
  Sul fisco condividiamo la necessità di scongiurare l'incremento dell'IVA e delle accise, chiediamo al Parlamento di inasprire realmente le norme sull'evasione fiscale, che per la CISL è veramente un tema cruciale per l'equità, chiediamo che si intervenga sulla esagerata imposizione del fisco locale.
  Come organizzazione abbiamo presentato una proposta di legge d'iniziativa popolare per un fisco più equo, proposta che ipotizza, nel rafforzamento del principio della progressività dell'imposizione tributaria, la rivisitazione delle aliquote e il ridisegno del sistema delle deduzioni, delle detrazioni, delle agevolazioni insieme all'ampliamento della fascia della no tax area.
  Sulla sanità si spendono 116 miliardi a crescere, è una componente economica importante che riteniamo debba essere considerata maggiormente nell'ottica dell'investimento piuttosto che nell'ottica del costo. In particolare, ferme restando tutte le criticità che il sistema sanitario continua a porre, noi riteniamo importante insistere sui livelli esigibili delle prestazioni essenziali per tutti i cittadini e in tutto il territorio nazionale. Chiediamo al Parlamento di focalizzare tanto sulle politiche sociali, sulle politiche per la non autosufficienza, sulla famiglia, e in particolare sulla povertà chiediamo al Parlamento di irrobustire le quote di riferimento al REI.
  Relativamente alle istituzioni chiediamo che le province, trasformate in organi di secondo livello, abbiano la capacità di fare realmente la programmazione di area vasta, perché con i tagli che hanno subìto non sono state messe in condizioni di farlo.
  Chiediamo che sulla coesione del Mezzogiorno si insista e in particolare che il 2018 possa essere davvero un anno che porti a sintesi sia i patti regionali, sia le politiche di coesione, spendendo le risorse messe a disposizione dell'Unione europea, insistendo sulle politiche industriali e in particolare sul ruolo che deve assumere la manifattura nel progetto Paese.
  Con riguardo ai temi dell'ambiente e della sostenibilità riteniamo che le misure previste nel DEF siano molto deboli, così come per l'area della prevenzione e della tutela antinfortunistica. Bene l'approccio al turismo, per noi è importante la qualità del lavoro nel settore come determinante fattore di competitività, così come chiediamo un colpo di reni sulle politiche della casa con un progetto nuovo di edilizia economica e popolare.
  Relativamente alle questioni delle aree a rischio sismico, dissesto idrogeologico e messa in sicurezza delle scuole, valutiamo favorevolmente la proroga delle agevolazioni per ridurre il dissesto e per garantire l'adeguamento sismico degli immobili, però vi chiediamo anche noi il reitero del provvedimento sulla busta paga pesante per altri dodici mesi, come chiediamo il differimento di altri dodici mesi per il pagamento per le utenze di acqua, gas e luce delle abitazioni inagibili in scadenza il prossimo 31 maggio. Va bene tutto l'impianto sulle infrastrutture, purché però vengano cantierate.
  In conclusione, proponiamo al Governo che arriverà un grande patto fra istituzioni Pag. 21e sindacato, che nella condivisione di un progetto concreto per il bene del Paese possa rafforzare per lo stesso la democrazia.

  LUIGI VELTRO, funzionario UIL. Ringraziamo i presidenti delle Commissioni speciali di Camera e Senato e i componenti delle medesime Commissioni per averci invitato a questa audizione sul DEF, un'audizione molto particolare in quanto il DEF di quest'anno è un DEF che ha soltanto la parte tendenziale e non quella programmatica, quindi diciamo che ci troviamo un po’ in difficoltà a dare un giudizio di merito su quello che sarà il nostro Paese.
  Il quadro tendenziale del DEF mette in primo piano delle luci del nostro sistema economico e sociale, ma anche molte ombre. Le stime macroeconomiche prevedono che anche per il 2019 continui il trend di crescita, anche se a livelli inferiori degli altri Paesi europei; il tasso di disoccupazione è in leggera decrescita, anche se per arrivare ai livelli pre-crisi ce ne vuole, perché nel 2019 si attesta al 10,2 per cento quando nel 2008 il tasso di disoccupazione nel nostro Paese era al 6,7 per cento.
  Continua a crescere, seppur lentamente, il tasso di occupazione, e, come dicevano i miei colleghi, l'occupazione è un'occupazione sostanzialmente precaria, cioè l'aumento dell'occupazione non riguarda soprattutto i buoni contratti, mentre impensierisce a nostro avviso (mi ricollego anche a quello che dicevano i colleghi) la contrazione degli investimenti fissi della pubblica amministrazione. Questo è un tema su cui come UIL abbiamo molte preoccupazioni, perché senza investimenti fissi della pubblica amministrazione è difficile che il nostro Paese continui a crescere e che soprattutto si creino posti di qualità.
  Resta alta la pressione fiscale, nonostante il DEF stimi una diminuzione per il prossimo anno dello 0,3, per poi risalire nel biennio 2019-2020. Su questo (mi accodo a quanto hanno detto i colleghi) è fondamentale disinnescare le clausole di salvaguardia (questo è uno dei nodi lasciati dalla politica) perché uno scatto in avanti delle aliquote dell'IVA penalizzerebbe la domanda interna che è già penalizzata, mentre al contrario andrebbe stimolata, e avrebbe un effetto recessivo sulla crescita del PIL.
  Questo è uno dei temi, così come noi crediamo che nel complesso i dati dell'economia che emergono non siano ancora allarmanti, ma non siano certo nemmeno incoraggianti perché, come emerge anche dalla nota del primo trimestre diffusa dall'ISTAT, le previsioni prevedono per i prossimi mesi un rallentamento della crescita, rallentamento su cui pesa anche il rallentamento del commercio mondiale anche a causa della guerra dei dazi innescata dagli Stati Uniti.
  Per questo noi crediamo che ci sia bisogno di un nuovo Governo, un Governo in grado di dare risposte al tema del lavoro, della crescita, dell'alta pressione fiscale che grava su salari e pensioni, un Governo che affronti il tema degli investimenti sulle infrastrutture materiali ed immateriali.
  Serve un Governo che affronti anche i grandi temi, oltre che nazionali, europei. Come diceva chi mi ha preceduto, noi oggi abbiamo in agenda per il prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno dei temi molto importanti sul piano sociale, perché si tratta di rivedere il Trattato di Dublino sul tema dell'immigrazione e soprattutto si affronterà il tema del prossimo quadro pluriennale finanziario 2021-2027.
  Come diceva Gianna Fracassi, abbiamo presentato un documento unitario come CGIL, CISL, UIL nelle settimane scorse, che è stato anche inviato ai componenti delle Commissioni speciali. Si tratta di un documento in cui si mettevano in evidenza le priorità strategiche di CGIL, CISL e UIL.
  Rispetto alla proposta che proviene da Bruxelles crediamo che sul quadro pluriennale finanziario potesse essere molto più ambiziosa, perché si potevano sfidare i Paesi cosiddetti «del nord» con la previsione degli Eurobond, i cui proventi potessero essere investiti in un piano pluriennale di investimenti nei Paesi membri.
  Sul fronte delle uscite siamo molto preoccupati per le previsioni che si prospettano circa i tagli inerenti le politiche di coesione e le politiche dell'agricoltura. Per questo serve un Governo nella pienezza dei suoi poteri non solo per affrontare il negoziato, Pag. 22 perché questo negoziato tra l'altro soprattutto sulle politiche di coesione sarà fortemente influenzato dalle performances che abbiamo sull'attuale ciclo di programmazione dei fondi comunitari, e, come diceva Gianna Fracassi, il nostro Paese è molto in ritardo sia per impegni di spesa giuridicamente vincolanti, sia per il livello di spesa certificato.
  A maggio, su 76 miliardi di euro a disposizione, avevamo impegnato 32 miliardi (solo il 42 per cento) e rendicontato soltanto 6,2 miliardi (l'8 per cento), per cui serve un'accelerazione della spesa che, unitamente al tema della selettività degli interventi e della qualità stessa della spesa, possa mettere al centro la crescita, l'occupazione e soprattutto il rilancio delle zone più arretrate del nostro Paese, cioè il Mezzogiorno.
  Occorre poi concentrare gli sforzi sul tema del contrasto all'economia sommersa e all'illegalità, con l'intento di fare emergere in modo strutturale le basi imponibili. Noi crediamo che la politica dei mini condoni non porti da nessuna parte e che sul tema del contrasto all'illegalità e all'evasione fiscale occorra un'agenzia che abbia dei compiti specifici di accertamento, anche con il potenziamento di tutte le banche dati oggi a disposizione, perché è dalla lotta all'economia sommersa che possono derivare risorse per abbassare l'enorme carico fiscale che grava sui salari e sulle pensioni.
  Abbiamo oggi in Italia il costo del lavoro più alto in Europa non per i salari netti, ma per l'alto carico fiscale che grava sulle buste paga, per cui uno dei temi è intervenire sul cuneo fiscale. Anche le pensioni sono le più tartassate d'Europa, perché in Europa c'è una tassazione media sulle pensioni del 12,7 per cento, in Italia del 21 per cento, senza contare le addizionali locali e regionali; quindi chiediamo recupero del potere di acquisto e una riforma del nostro sistema fiscale basata su detrazioni specifiche per lavoratori dipendenti e pensionati che versano il 94,8 per cento del gettito totale dell'Irpef (questo è un dato). Come diceva anche Gianna Fracassi, si dovrà prevedere un sistema basato sulla progressività del nostro sistema, così come sancito dalla Costituzione.
  Come UIL riteniamo che vada anche previsto il riordino delle tax expenditures, troppe volte presenti nel DEF, ma spesso rimandate, così come serve mettere mano ad una riforma del catasto, che deve essere propedeutica a un riordino della fiscalità locale e regionale.
  Per quanto riguarda il tema della previdenza, così come è stato evidenziato dai miei colleghi (CGIL, CISL e UIL hanno una piattaforma unitaria) è indispensabile la ripresa del confronto con il nuovo Governo sui temi della flessibilità in uscita e rivedere il tema degli anticipi pensionistici. Occorre concentrarsi sulle future pensioni dei giovani, colmando i buchi contributivi, e soprattutto bisogna valorizzare il lavoro di cura anche ai fini previdenziali che è svolto soprattutto dalle donne.
  Come affermato anche da chi mi ha preceduto, è essenziale nel nostro Paese far partire finalmente la Commissione che deve valutare la separazione della spesa previdenziale dalla spesa assistenziale.
  Anche per la UIL va bene il reddito di inclusione, ma le risorse attuali stanziate non sono sufficienti per dare risposte a tutti. Sulla sanità anche noi riteniamo che vadano messe più risorse e infine chiediamo che nella prossima manovra di bilancio e nella Nota di aggiornamento del DEF si trovino le necessarie risorse per rinnovare i contratti del pubblico impiego, che scadono quest'anno, quindi dal 2019 si è in costanza di una vacanza contrattuale.

  VINCENZO ABBRESCIA, segretario confederale UGL. Grazie, presidente, ringraziamo i componenti delle Commissioni speciali della Camera e del Senato. Nell'economia dell'intervento, atteso che abbiamo dieci minuti, abbiamo consegnato un documento sintetico della nostra organizzazione e vi invitiamo vivamente a confrontarlo anche perché, al di là delle criticità di sistema, abbiamo anche rapportato le stesse ai dati statistici, in particolare per quanto riguarda il Prodotto interno lordo, il debito pubblico, l'andamento degli occupati, e anche un rapporto statistico rispetto al fenomeno della disoccupazione, in particolare Pag. 23per quanto riguarda i NEET – vale a dire persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione – che reputiamo da sempre essere un dramma sociale del nostro sistema Paese.
  Abbiamo riscontrato criticità nel Documento di economia e finanza, che riteniamo sconti verosimilmente l'evidente limite di essere stato predisposto da un esecutivo il cui mandato è scaduto. Le elezioni del 4 marzo hanno consegnato al Paese una diversa maggioranza politica, con una visione della realtà economica e sociale differente rispetto a quella che ha guidato l'Italia nel quinquennio appena trascorso, cosa che inevitabilmente è destinata a riflettersi soprattutto sulla parte relativa al Programma nazionale di riforma, laddove si traccia il profilo che si intende seguire nei prossimi anni.
  Il Documento di economia e finanza 2018 è comunque utile per alcune riflessioni sullo stato complessivo del Paese, focalizzando l'attenzione in particolare su una serie di aspetti centrali che riteniamo essere quelli delle famiglie, delle imprese, delle infrastrutture e sul rapporto con i partner europei.
  Abbiamo riscontrato, seppure modesta, una crescita del rapporto con il Prodotto interno lordo, che sale all'1,5. Sicuramente, se, da una parte, questo è un elemento positivo, lo riteniamo insufficiente rispetto all'andamento stesso medio che si registra e si sviluppa in Europa.
  In tal senso, riteniamo che si continui a navigare sull'onda dei decimali con il risultato che, piuttosto che ridursi, tende a dilatarsi un doppio gap, quello relativo al nostro Paese e quello in rapporto con il sistema europeo.
  Come dicevo prima, nel documento affrontiamo una parte specifica, statistica e di merito, per quanto riguarda il problema dei NEET, per cui abbiamo registrato che, nell'anno precedente, c'è stato un allargamento in termini di percentuali a sfavore delle regioni del centro-nord.
  Abbiamo, ancor più, esaminato quello che riteniamo essere un elemento portante del sistema lavoristico – ci riferiamo alla Jobs Act e alla legge n. 92 del 2012 – e che fondamentalmente ha portato a un processo di destrutturazione del rapporto di lavoro, andando a incidere fondamentalmente sulle tutele collegate a esso.
  In termini occupazionali, come dicevano i colleghi, proviamo anche un po’ a leggere in particolare i dati, lì dove, se volessimo fondamentalmente darne una lettura propriamente numerica, è pur vero che c'è una componente positiva, ma rispetto ai contratti a tempo determinato – l'abbiamo detto più volte e lo dicevano i colleghi prima – si chiude con un più 323.000 unità. D'altra parte, non dimentichiamo mai il rapporto rispetto ai contratti a tempo indeterminato, per cui nel 2016 registriamo un dato di meno 51.000 unità. Ci sono più posti di lavoro, però, se parliamo di contratti a tempo determinato, va da sé che parliamo di più lavoro precario, peraltro, nel momento in cui l'assenza delle stesse politiche attive è sotto gli occhi di tutti.
  Abbiamo affrontato un esame relativo anche alle risorse insufficienti e rimodulate in negativo per i centri per l'impiego e alla stessa mancanza di corsi di riqualificazione professionale. Con riferimento all'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, non possiamo evitare di segnalare quelle che sono le discrasie relative anche alle linee guida sulla gestione delle risorse finanziarie. Pensiamo ai fondi paritetici interprofessionali, i cui contenuti rischiano di incidere negativamente sulle stesse attività formative in termini di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
  Lo dicevano i colleghi e non possiamo assolutamente tacere quello che è un altro dramma sociale. Ci riferiamo alle vittime del lavoro. Come UGL, quest'anno, abbiamo dedicato la nostra manifestazione del 1° maggio, non solo per cercare di sensibilizzare le forze politiche, ma anche per segnare il passo rispetto a un intervento che ormai non si ritiene assolutamente poter rimandare.
  Tornando sui dati sull'occupazione, qualcosa si è mosso rispetto all'età compresa tra i 18 e i 34 anni, ma, d'altra parte, è aumentata sensibilmente per effetto dell'andamento dell'età relativa alla riforma Pag. 24Fornero. Abbiamo un problema relativo, insomma, a quelle che sono le età più avanzate; pensiamo anche agli over 50.
  In ultimo, abbiamo affrontato nel nostro documento anche quello che è il rapporto – lo dicevo prima – del sistema Italia e dell'economia italiana rispetto ai partner europei, ma anche rispetto alla stessa Unione europea. Abbiamo osservato come negli ultimi anni si stia accentuando un forte squilibrio causato dallo stesso surplus commerciale della Germania. Sappiamo che, per effetto dei vincoli imposti dai trattati europei, la Germania avrebbe dovuto riemettere parte del suo surplus per sostenere la produzione degli stessi partner europei. Come sappiamo tutti, questo non è avvenuto o, per lo meno, se è avvenuto, è stato fatto in maniera assolutamente insufficiente e parziale. Questo è un aspetto che andrebbe rimarcato in sede di confronto per quella che è la definizione del prossimo bilancio comunitario.
  Infine, riteniamo che pesi il ritardo infrastrutturale sia materiale che immateriale per colmare non soltanto il problema del meridione, per il quale servirebbe un programma di investimenti nell'ordine di 4 punti percentuali, mentre andrebbe predisposto anche un intervento pensando alla riduzione dell'inquinamento delle grandi città e di vaste aree, soprattutto nel nord.
  L'abbiamo detto e lo ripetiamo, ma fateci precisare, anche perché è nel nostro ruolo sociale, che rimarchiamo la necessità imprescindibile di porre al centro il lavoro, come medicina essenziale per uscire dalla stato di povertà. La persona in stato di povertà vive in uno stato di privazione che deve essere accompagnato alla riconquista della propria indipendenza economica e sociale, con un sostegno al reddito e un vero percorso personalizzato di riqualificazione e di orientamento che coinvolga tutta la famiglia.
  In conclusione, riteniamo non rimandabile una reale effettiva riforma fiscale. L'esperienza di questi anni sulle clausole di salvaguardia sull'IVA, che, nel complesso, si stima abbiamo drenato risorse per circa 80 miliardi di euro, conferma che occorre ridare equità al sistema che oggi pesa sui redditi da lavoro dipendente e da pensione sulle attività produttive.
  L'ipotesi della flat tax a nostro parere è perseguibile in un coerente sistema di detrazioni per carichi familiari e per tipologia di lavoro e unitamente alla lotta all'evasione e alla elusione fiscale.
  Queste misure hanno sicuramente un costo, parte del quale è copribile attraverso una ragionata e attenta revisione della spesa pubblica, sul volume della quale potrebbe incidere positivamente la ripresa di una partita che, nella passata legislatura, è stata accantonata. Ci riferiamo e pensiamo a quella del federalismo responsabile e sostenibile.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  NUNZIO ANGIOLA. Vorrei parlare del tema della produttività del lavoro in Italia a livello sistemico. Ho letto con attenzione tutte le relazioni che ci sono state consegnate e in cui, probabilmente, ci sono degli spunti, ma vorrei porre una questione sul rapporto tra la retribuzione accessoria e gli incrementi verificati della produttività nel comparto pubblico.
  La Corte dei conti, nel certificare l'ipotesi di contratto collettivo relativo ai comparti della scuola e delle funzioni centrali, esprime una critica, affermando che il contratto collettivo stenta a esplicare la sua funzione di rilancio della produttività, quindi le risorse vengono utilizzate pressoché esclusivamente per finanziare adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione. Questo ci porta lontano rispetto agli obiettivi della legge delega, la legge n. 15 del 2009. Ecco, vorrei avere qualche ulteriore delucidazione, se è possibile.

  DARIO GALLI. Le domande da fare ovviamente sarebbero tante, però mi pare che in tutti gli interventi ci sia stato un riferimento quasi negativo alla volontà – peraltro, non è prevista nella finanziaria, quindi non è in discussione, ma potrebbe essere uno sviluppo futuro – della riduzione delle tasse e, in particolare, al discorso Pag. 25 semplificato nel termine di flat tax. Alla fine, però, tutti si lamentano del fatto che comunque sono (giustamente) i dipendenti e i pensionati che pagano l'IRPEF. Allora, delle due, l'una: o riduciamo questa tassa o non la riduciamo.
  È chiaro che riducendola, magari pagherà un po’ meno tasse anche chi nell'immaginario collettivo è ricco o presunto tale, però ricordo che, tolta una minima no tax area, oggi anche per chi ha lo stipendio minimo da operaio di basso livello, il primo scaglione è comunque al 23 per cento, il che non è una cosa da poco. I primi beneficiari di questa eventuale riduzione (soprattutto del primo scaglione) sarebbero proprio i ceti medio-bassi da un punto di vista del reddito da lavoro, quindi in questa direzione va la riforma. Poi, credo che nessuno abbia in mente di fare cose particolarmente eclatanti, per cui una cosa ragionevole si può fare, ma il concetto di ridurre comunque le prime aliquote dell'IRPEF credo che sia nell'interesse assolutamente di tutti.
  Vorrei aggiungere solo una nota da sindaco (ex e ancora in carica). Quando si parla del fisco locale, bisogna avere un po’ di rispetto. Andiamo a vedere i numeri: quando ognuno di noi ha fatto quattro pieni di benzina, ha pagato più tasse allo Stato di quanto tutta la sua famiglia paga in un anno al comune di residenza. Anche in questo caso, dobbiamo effettivamente vedere i numeri: tutti i comuni d'Italia non arrivano al 10 per cento della spesa pubblica e danno probabilmente il 30 per cento dei servizi, quindi, anche su questa cosa, cerchiamo di chiarire un attimo la questione.
  La cosa di fondo che volevo chiedere a chi poi può rispondere dei rappresentanti sindacali, che ringraziamo ovviamente per essere qui, è: si parla del lavoro e di riqualificare le persone, che sono tutte cose ovviamente ragionevoli e su cui tutti siamo assolutamente d'accordo, però poi si glissa sempre sulla questione di come creare questi posti di lavoro, nel senso che, alla fine, lo Stato deve dare i servizi e i posti pubblici devono servire esclusivamente a coprire i servizi indispensabili, ma non è lo Stato che crea lavoro nel senso strutturale del termine e non credo che lo siano neanche tutte le organizzazioni che hanno a che fare col mondo del lavoro a vario titolo. Alla fine, se non ci sono le imprese, quindi le persone che, con rischio proprio, si mettono a fare impresa e a creare posti di lavoro, quei posti di lavoro non ci sono comunque.
  Credo che voi lo conosciate meglio di noi perché lo fate quotidianamente: il problema è soprattutto per quelle occupazioni di contenuto professionale medio-basso. Lo dico perché il laureato in ingegneria o quello che ha la laurea tecnica o – dico di più – l'operaio specializzato o che sa usare le macchine a controllo numerico eccetera non solo non fa nessuna fatica a trovare un posto di lavoro, ma sono le aziende che non trovano queste persone per coprire i posti di lavoro disponibili, quindi, anche se noi continuiamo ad aumentare le aziende di Industria 4.0, va benissimo per l'amor di Dio e vanno bene tante Ferrari eccetera, però non è lì che facciamo l'occupazione di massa.
  Se noi continuiamo ad ammazzare il corpo intermedio del sistema produttivo, cioè quello che occupa le persone di media professionalità, visto che non tutti possono essere qualificati e diventare ingegneri o specialisti in qualcosa perché ci sono tante persone normali che sanno fare lavori normali e che, per età, istruzione personale e quant'altro, difficilmente possono scostarsi da quel tipo di figura professionale, qual è – questa è la mia domanda – la vostra proposta perché questo corpo intermedio del sistema produttivo, che è quello che veramente è venuto a mancare negli ultimi trent'anni in maniera progressiva, possa comunque recuperare terreno o, quantomeno, mantenerlo? Lo chiedo perché oggi il problema è delle aziende che chiudono e basta oppure delle aziende che si trasferiscono senza essere sostituite da nessun altro.
  Al di là delle cose su cui siamo tutti d'accordo, anche perché è chiaro che tutti vorremmo un bel lavoro per tutti e altre cose su cui è ovvio che siamo d'accordo tutti, alla fine qual è la vostra ricetta per Pag. 26recuperare quello che anche per voi una volta era veramente il core business dell'attività, cioè le aziende dove c'erano i dipendenti.
  Oggi ci sono poche pochissime grandi aziende su scala italiana, anche perché, se solo andiamo in Germania, le nostre grandi aziende fanno ridere, e ci sono tantissime partite IVA, di cui qualcuna vera e qualcuna finta, ma poi, come sapete meglio di me, il grosso dell'occupazione è fatto da aziende tra i cinque e i quindici dipendenti. È un bene che queste ci siano, però non possiamo pensare di andare per sempre avanti così, quindi qual è la vostra ricetta, al di là della critica alla discussione in oggetto oggi, perché il mercato del lavoro vero in Italia possa riprendere?

  RENATA POLVERINI. Vorrei fare solo qualche domanda. Vorrei capire qual è la posizione delle organizzazioni rispetto al reddito di cittadinanza. Mi pare che c'è, nella proposta della CGIL, comunque un apprezzamento per il REI e vorrei capire se c'è una posizione diversa rispetto alla questione del reddito di cittadinanza.
  Vorrei anche sottolineare che le risposte alle domande che ci siamo posti rispetto all'audizione precedente, in particolare sui rilievi fatti dall'onorevole Marattin al Sistema sanitario nazionale, mi pare che siano tutte nel documento formulato dalla CGIL, quando sostanzialmente non soltanto si conferma il definanziamento che c'è stato, ma si analizza anche, punto per punto, tutto quello che al momento non sta funzionando, a cominciare da Livelli essenziali di assistenza, che non sono stati finanziati, fino al Fondo nazionale per la non autosufficienza, agli organici, ai famosi superticket e via dicendo.
  Vorrei chiedere, avendo loro una platea significativa e avendo in qualche modo visto che nella scorsa legislatura molti provvedimenti rispetto alla sanità hanno, di fatto, spostato l'erogazione dei servizi dal sistema pubblico al sistema privato, se hanno degli studi o delle statistiche per valutare se effettivamente c'è stato questo spostamento, sia perché le strutture pubbliche non sono in grado di erogare, rispetto ai servizi in base alle liste di attesa, sia perché i superticket hanno, di fatto, orientato le persone, a parità di costo, a un sistema privato più snello e veloce.
  Come seconda questione, vorrei capire bene, anche perché mi pare che c'è anche un intervento molto critico rispetto al nuovo sistema di ammortizzatori, se, tenendolo com'è e aumentando le risorse, comunque è un sistema che sta andando in una direzione, come tutti auspicavano, di coperture universali oppure se non è così.

  GIANLUCA BENAMATI. Presidente, vorrei brevemente sottoporre solo alcune questioni. Anch'io mi riallaccio al tema del mercato del lavoro e, più propriamente, della creazione di opportunità di lavoro; la definirei in questa maniera, che mi sembra più corretta. Il nostro Paese ha attraversato una crisi nella quale il lavoro non solo se si è perduto e poi ricreato in parte importante, ma si sta trasformando.
  Allora, credo che assistiamo anche, in questa fase, a delle discrasie, che in parte erano indicate negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, cioè il tema di persone che vengono espulse dal mercato del lavoro in età più avanzata e più importante e con problemi di ricollocazione, ma, al tempo stesso, assumiamo e anche vediamo un tema di formazione dei giovani e di formazione anche delle persone già presenti nel mercato del lavoro per l'assunzione di nuovi tipi di occupazione.
  In merito, abbiamo studi anche di diversi centri studi di realtà economiche importanti, che determinano per il nostro Paese nei prossimi anni una mancanza sensibile di figure professionali tecniche qualificate. Senza scomodare gli ingegneri e i ricercatori, mi riferisco a professionisti e tecnici con elevata qualificazione.
  Io chiederei, a chi vorrà rispondere delle organizzazioni qui presenti, se, da questo punto di vista, la ricetta della formazione, ma anche dell'istruzione e del rafforzamento di investimenti in questo settore sia considerata – penso di sì, ma vorrei anche qualche suggerimento – un elemento essenziale non tanto per la sostenibilità del mercato del lavoro quanto per la creazione e il mantenimento del lavoro di qualità. Pag. 27
  C'è una seconda questione sugli investimenti. Si è parlato di investimenti e leggo in alcune delle memorie l'importanza anche degli investimenti sul territorio per il sostegno indiretto. Gli investimenti sul territorio servono perché, se parliamo di dissesto idrogeologico, di servizi sociali eccetera, sono utili alla collettività e al territorio, ma ovviamente questi inducono anche occupazione di figure professionali, per le quali naturalmente c'è in questo momento domanda di occupazione. In questi anni si sono fatti investimenti per le possibilità che si avevano e questi hanno teso a stimolare sul livello del manifatturiero anche investimenti privati. Ricordo che Industria 4.0 con un certo fattore di investimento da parte dello Stato ha mobilitato risorse private di diverse volte superiori a quanto lo Stato aveva messo in gioco.
  Da questo punto di vista, al di là della ripresa, naturalmente compatibile con i limiti di bilancio di una politica di investimento direttamente pubblico, quale strada per gli investimenti, anche per sollecitare richiamare investimenti privati, che sono poi una delle fonti migliori per creare movimento e occupazione, voi immaginate?
  Pongo un'ultimissima questione. Come diceva la collega che mi ha preceduto, sicuramente la riforma degli ammortizzatori può essere migliorata. C'è il tema della formazione collegata all'ammortizzatore sociale e sullo sfondo c'è il tema del reddito di cittadinanza, che non può non essere collegato a un forte ancoraggio alla possibilità di creare e di accettare nuovo lavoro e nuova occupazione. Qual è la vostra opinione in merito?

  STEFANO FASSINA. La tentazione di fare qualche riflessione sulle sollecitazioni dell'onorevole Galli è forte, ma magari ci saranno altre occasioni in cui avremo anche collocazioni formalmente diverse.
  Ricordo soltanto che, per ridurre le tasse a chi ha redditi bassi, non è necessario dare 35.000 euro all'anno a chi ha oltre 100.000 euro di reddito, si può fare senza, perché nella proposta di flat tax che è stata presentata in campagna elettorale non si dà nulla a chi è sotto la no tax area, si dà un migliaio di euro a chi è intorno a 20-30.000 euro di reddito, si danno 35.000 euro di reddito a chi è sopra 100.000 euro, e, data la situazione devastante del nostro welfare (prima avete ascoltato un intervento non particolarmente partigiano di chi ha rappresentato le regioni sulla sanità), credo che sia immorale dare 35.000 euro all'anno a chi ha oltre 100.000 euro di reddito e avere anziani che non si possono permettere le cure minime necessarie, ma avremo altre occasioni per parlare di questo.
  Vorrei invece sottoporre un punto all'attenzione delle rappresentanze sindacali, di cui ho apprezzato la puntualità delle valutazioni sul Documento di economia e finanza, perché mi pare che vi sia stata poca attenzione al quadro macroeconomico dell'eurozona, che fa da sfondo, perché le esigenze giustissime e tutte condivisibili che hanno evidenziato, dal fisco alla sanità, alle pensioni, agli investimenti pubblici, al disinnesco delle clausole di salvaguardia, rendono difficilmente compatibili le esigenze manifestate con gli obiettivi del fiscal compact che sono stati sostanzialmente inclusi nello scenario tendenziale del Documento di economia e finanza.
  Volevo capire quindi se considerino realistiche le previsioni, i dati tendenziali di indebitamento inclusi nel Documento di economia e finanza, lo 0,8 per il 2019, il pareggio di bilancio per il 2020, un avanzo dello 0,2 per cento del PIL per il 2021. A me pare che gli obiettivi indicati nel tendenziale implichino inevitabilmente l'impraticabilità delle esigenze che sono state manifestate, e certamente non ce la possiamo cavare col riferimento al recupero di evasione che va fatta, ma credo che vadano dedicate quelle risorse a ridurre la pressione fiscale, che altrimenti diventa ancora meno sostenibile.

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Io ho solo una domanda molto specifica. Visto che negli ultimi mesi si era parlato di salario minimo e se n'era parlato da più parti, nel senso che più forze politiche in campagna elettorale l'avevano proposto e a un certo punto sembrava un tema di larga convergenza politica su quasi tutto l'arco parlamentare, siccome la cosa adesso per varie vicissitudini è sparita dal dibattito, volevo Pag. 28sapere cosa pensino di questa proposta i nostri ospiti.

  PRESIDENTE. Tutte le forze politiche hanno avuto l'opportunità di svolgere delle domande, ma ci sono altri interventi.
  Chiedo di porre, cortesemente, domande veloci.

  MARIO TURCO. Solo un'osservazione in merito al REI. Mi sembra di aver compreso che, a seguito della recente introduzione di questo strumento contro la povertà, si invochi già una radicale riforma dello strumento. Si lamenta il mancato raggiungimento dell'obiettivo del REI sia legato ai vincoli posti per quanto riguarda lo strumento a favore dei cittadini stranieri, sia per la scarsezza di risorse.
  Più che uno strumento per combattere la povertà, sembrerebbe uno strumento di assistenza caritatevole. Nella riforma auspicata mancherebbe il tentativo di creare un rapporto biunivoco tra il dare e l'avere, in modo da sollecitare chi oggi è povero ad essere reintrodotto nel mondo del lavoro e quindi ad uscire dalla povertà.
  In tema di risorse stanziate, tra gli strumenti che hanno reso inefficace il REI annovero anche la mancanza di integrazione tra questo e gli altri strumenti utilizzati dagli enti locali per contrastare la povertà.

  ANTONIO ZENNARO. Sarò telegrafico. I sindacati hanno accennato al tema della previdenza complementare, ricordo che in Italia abbiamo circa 8 milioni di iscritti, se consideriamo i PIP, cioè i piani individuali pensionistici, i negoziali e i preesistenti. Sicuramente è una platea subottimale rispetto al parco degli iscritti che potrebbero essere molto di più, quindi chiedo ai sindacati quali potrebbero essere gli strumenti o i suggerimenti per aumentare questa platea di iscritti.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, darei a ogni sigla sindacale cinque minuti per poter replicare a tutte le domande poste. Se poi eventualmente vorrete farci pervenire delle note scritte su qualche domanda particolarmente interessante, saranno ovviamente gradite.

  GIANNA FRACASSI, segretaria confederale CGIL. Molto sinteticamente, sulla questione dei contratti pubblici vorrei ricordare all'onorevole Angiola che erano dieci anni che non venivano rinnovati i contratti pubblici, quindi adesso porre la questione dell'applicazione del decreto legislativo del 2009 in una fase in cui per dieci anni a questi lavoratori e a queste lavoratrici non è stato riconosciuto nulla, francamente credo che sia inopportuno.
  Noi poniamo la questione per il prossimo rinnovo; tra l'altro, come veniva ricordato dai miei colleghi, il rinnovo è stato fatto sostanzialmente nell'ultimo anno di vigenza, quindi si ripropone adesso il tema di rimettere risorse per il prossimo triennio, e questo è nella competenza di questo Parlamento.
  Seconda questione sui temi del lavoro: noi sappiamo molto bene (e credo che anche l'onorevole Polverini lo sappia benissimo) che un pezzo di lavoratori, soprattutto quelli collocati nelle piccole e piccolissime imprese, sta fuori dalla possibilità di fruire degli ammortizzatori sociali. Questo è un tema, perché è chiaro che escludere tanta parte di questi lavoratori significa sostanzialmente che gli ammortizzatori non sono universali.
  È evidente che la nostra organizzazione ha criticato in maniera anche dura l'impostazione del Jobs Act sia rispetto a come sono stati rivisti gli stessi ammortizzatori, sia agli strumenti a supporto dei lavoratori – segnalo – in una fase di crisi. È chiaro che questo è un tema che non possiamo derubricare, dopodiché io credo che occorra uno strumento, che per quanto ci riguarda non è il reddito di cittadinanza (anche questa è cosa nota, la nostra organizzazione l'ha detto più volte), ma uno strumento che provi a partire dal lavoro a tener dentro i discontinui, chi (e sono tanti e tanti giovani di questo Paese) ha carriere frammentate e provi a sostenere l'ingresso al lavoro, quindi questo significa formazione, significa più investimenti in istruzione, significa potenziamento delle politiche Pag. 29 attive (scusate se sono molto schematica).
  Questo è il punto e su questo noi siamo interessati a misurarci, ma pensiamo che questa misura debba essere fortemente collegata con il lavoro alla luce anche delle sfide che abbiamo di fronte, perché questo Parlamento dovrà anche affrontare un tema segnalato dai miei colleghi, quello della digitalizzazione, di cosa significherà la grande transizione tecnologica e – aggiungo – ambientale rispetto agli impegni che il nostro Paese ha preso in termini di lavoro, quindi uno o più strumenti dovranno essere trovati.
  Noi abbiamo dati sulle liste di attesa rispetto a tutti i temi legati alla sanità, li possiamo fornire, credo siano anche pubblici sul nostro sito, per cui da questo punto di vista noi segnaliamo un punto di sofferenza molto forte soprattutto in alcuni territori, ed è evidente che, pur non essendoci (l'abbiamo già detto nella precedente legge di bilancio) un taglio esplicito, c'è un sostanziale definanziamento, che rende la percentuale di risorse collocate sulla sanità mediamente più bassa rispetto alla media europea. Questo è il punto.
  Sulla questione del REI e quindi della povertà io dico: il REI è stato sostenuto da una vasta alleanza di soggetti sociali (sindacati, associazioni) e noi diciamo non che vada riformato (mi pare che nessuno di noi abbia detto questo), ma che quello è un primo passo, però per arrivare a coprire la vasta platea mancano ancora delle risorse. Non è elemosina, parla a chi è in una condizione di povertà assoluta.
  Ultima questione sugli investimenti. Noi crediamo che in questi anni si sia fatta una scelta, e lo dico all'onorevole e sindaco Galli, cioè si sia fatta la scelta di dare tanti e tanti miliardi come supporto di vario genere tipo incentivi e decontribuzioni (c'è una tabellina allegata al nostro documento in cui, se ha la volontà di leggerla, si può vedere, ci sono anche i conti) alle imprese. Noi poniamo un punto: in primo luogo è necessario, se si deve fare una scelta di natura fiscale, parlare esattamente a quel 50 per cento di lavoratori che stanno sotto i 20.000 euro di reddito e ai pensionati.
  Seconda questione: con le risorse che in parte si possono recuperare e che in parte ci sono e si possono spendere meglio bisogna determinare le condizioni per fare investimenti pubblici. Una delle cose che dice il DEF a questo Parlamento è che nel nostro Paese si è smesso di fare investimenti pubblici ormai da anni e per creare lavoro non bastano gli incentivi, bisogna scegliere le priorità. Quali sono l'abbiamo davanti agli occhi, dalla manutenzione del territorio alla transizione ambientale, al governo delle politiche industriali perché, se parliamo di imprese, allora io dico che è necessario da questo punto di vista strutturare un luogo, un soggetto che faccia governo e selezione delle politiche industriali, a fronte delle sfide che abbiamo di fronte, a fronte delle sfide che di fronte ha il nostro Paese.
  Su questo gli investimenti pubblici trascinano (lo si sa) investimenti privati, ma la creazione di lavoro parte da qui, da uno Stato protagonista.

  IGNAZIO GANGA, segretario confederale CISL. Parto dal fisco. Sicuramente 7 miliardi in più di addizionali, 12 miliardi aggiuntivi di imposizione sugli immobili e 15 miliardi in meno di IRES e 18 di IRAP sono una risposta alla domanda che ci è stata fatta, nel periodo della crisi intendo, nei dieci anni della crisi, dove noi abbiamo avuto un aumento di gettito sulla casa del 130 per cento, che è una cosa importantissima, e il fisco locale è aumentato rispetto alle addizionali regionali del 61 per cento e della comunale del 105 per cento, ed è su questo che abbiamo costruito il ragionamento.
  Relativamente alla questione flat tax sì, flat tax no, io sono il responsabile del fisco della CISL però non ho ancora potuto esaminare una riforma organica e quindi è complicato partire dal presupposto che in campo ci sia una riforma, perché prima c'era una sola aliquota e oggi noi leggiamo sulla stampa che ci sono due aliquote, però lo leggiamo sulla stampa.
  Prima di «fisco» c'è la parola «riforma»; quando si interviene su fisco e previdenza si sta parlando di questioni che hanno delle ricadute sul popolo molto importanti. Pag. 30 Noi richiamiamo solamente la necessità di un confronto adeguato con le forze sociali e produttive, per esaminare una situazione che, per quanto ci riguarda, deve insistere maggiormente sull'equità, quindi noi, che ci rifacciamo come tutti voi alla Costituzione, non vediamo altro sistema se non uno che sia fortemente radicato sulla dimensione della progressività.
  Relativamente alla produttività sia sul pubblico che sul privato, contestualmente in questo Paese tra il mese di dicembre e il mese di marzo ci sono stati due fatti molto importanti (lo diceva la collega): per il comparto pubblico il rinnovo dei contratti pubblici, che vede una quota importante della ridistribuzione che grava sul secondo livello e quindi sulla quota da destinare alla produttività delle dipendenti e dei dipendenti, un sistema che ha fortemente innovato quel comparto; relativamente al privato il 9 marzo un importante accordo fra sindacati e Confindustria, accordo che fonda la ripartenza di questo Paese sull'idea di produttività, di contrattazione, di misurazione della rappresentatività delle parti.
  La sanità. A noi piace pensare a una sanità che non sia un «Moloc» mangia-soldi, in cui i 116 miliardi messi in gioco possono rappresentare un costo o un investimento, dipende da come la si guarda. Non si può pensare alla sanità solamente come a un «Moloc», pensiamo a quanto contribuisce a generare quote importanti di prodotto interno lordo di questo Paese, pensiamo alle lavoratrici e ai lavoratori che giocano la loro esperienza professionale all'interno di questo comparto che meriterebbe un approccio meno economicistico, così come la scuola.
  Le politiche attive. Probabilmente si è pensato che questa flexicurity, che era facilmente riproponibile in altre realtà economiche d'Europa, potesse supportare ciò che avevano rappresentato le politiche passive. Noi abbiamo derubricato integralmente le politiche passive pensando che fossimo già fuori dalla crisi e abbiamo incasellato alcune aree del Paese come aree particolarmente gravate dalla crisi, escludendone altre.
  Il Paese non è ancora fuori dalla crisi e quindi non possiamo non valutare le politiche passive come un sistema di sostegno al reddito importante, che non può essere sostituito come sistema solamente dalla NASpI, la nuova assicurazione sociale per l'impiego. Penso alla crisi dell'impresa pesante piuttosto che al REI quando c'è la marginalizzazione del lavoratore.
  Un altro tema è quello della previdenza complementare, e ha ragione il parlamentare che lo ha posto perché, su 17 milioni di lavoratori, solo il 16 per cento ha un indice di copertura previdenziale, e dopo le 7 riforme che ci sono state è diminuito il grado di copertura previdenziale dei lavoratori italiani. Quali misure? La leva fiscale, il silenzio/assenso, l'educazione previdenziale, riducendo il fai da te previdenziale, che purtroppo in questo Paese esiste ed è il problema maggiore.
  Guardate, c'è una questione sul salario minimo a cui nessuno di noi ha risposto e mi sembra doveroso fare riferimento. Per quanto ci riguarda, essendo in audizione presso le Commissioni speciali, cosa per noi estremamente importante, continueremo a dare valore al salario contrattuale. Per questo rigettiamo formule extracontrattuali di salario minimo, perché giocano al di fuori dell'approccio contrattuale che questo Paese ha deciso di darsi, quindi o cambia il Paese o altrimenti dobbiamo rimanere all'interno del perimetro dei contratti.

  LUIGI VELTRO, funzionario UIL. Provo a dare velocemente delle risposte. Per quanto riguarda la produttività del lavoro nel pubblico impiego ricordo che, oltre al blocco dei contratti, c'è stato anche il blocco della contrattazione decentrata, e tra l'altro la produttività, il salario accessorio del pubblico impiego sconta l'aliquota ordinaria dell'IRPEF anziché il 10 per cento, come avviene nel privato, e questa è una richiesta del sindacato di allargare anche al pubblico impiego la tassazione del 10 per cento e allargare la produttività e il salario accessorio.
  Come sindacati teniamo infatti a dire che gli investimenti in pubblica amministrazione sono il prerequisito per lo sviluppo, perché una pubblica amministrazione Pag. 31 efficace ed efficiente è sinonimo di attrattività del territorio.
  Per quanto riguarda il tema degli investimenti e di come si crea lavoro, se facciamo contrazione di investimenti pubblici, non riusciamo ad aumentare l'occupazione, servono investimenti pubblici. Tra l'altro, paghiamo ancora oggi alcune scelte operate nel passato: per esempio il tema di usare gli oneri di urbanizzazione per spesa corrente e non per spesa in conto capitale ancora lo paghiamo con le buche nelle nostre città. Questo è uno dei temi.
  In più, servono investimenti in formazione e istruzione, soprattutto l'istruzione tecnica, il rafforzamento degli ITS, gli istituti tecnici superiori. Questi sono alcuni punti che possono permettere di attrarre e creare buona e duratura occupazione insieme all'attrattività del territorio e ad una riforma della giustizia civile, soprattutto quella del lavoro, soprattutto al sud.
  Per quanto riguarda il tema sanità, noi chiediamo un grosso investimento su quello che è il vulnus, cioè le liste d'attesa. Servono investimenti mirati ad abbattere e ridurre le liste d'attesa, che sono il vero vulnus della sanità. Complice anche l’extradeficit sanitario di molte regioni, stiamo governando la sanità più con un sistema ragionieristico che non con un sistema sociale.
  Noi siamo d'accordo con il REI – la UIL, la CGIL e la CISL hanno fatto parte dell'Alleanza della povertà –, lo strumento è buono, ma gli stanziamenti sono insufficienti a rispondere alla domanda, così come sono insufficienti gli stanziamenti nelle politiche attive che devono accompagnare lo strumento del REI, così come andrebbero fatti investimenti in politiche attive nei Centri per l'impiego strutturali per permettere di espletare le politiche attive.
  Sugli ammortizzatori ci sono dei buchi che riguardano anche la NASpI dei lavoratori stagionali, ci sono dei buchi che riguardano le piccole e piccolissime imprese, e come CGIL, CISL e UIL al tavolo con il Governo avevamo richiesto di rivedere il funzionamento del Fondo di integrazione salariale, il FIS, per le piccole e le medie imprese.
  Questi sono alcuni temi, poi vorrei aprire una parentesi sul fisco locale come UIL, perché è stato un cavallo di battaglia in questi anni. Quando noi diciamo che va rivisto il fisco locale, va rivisto il fisco locale insieme alla riforma fiscale, che secondo noi deve avere criteri di progressività. Quando parliamo di fisco locale, parliamo del fatto che oggi siamo a metà del guado dell'applicazione della legge n. 42 del 2009, cioè siamo andati avanti con le aliquote delle addizionali regionali al 33 per cento, lo 0,8, l'IMU, la TASI, ma ci siamo bloccati sul sistema della legge n. 42, la perequazione, il tema dei fabbisogni standard, il tema di come andiamo a rivedere un fisco locale che sconta tre anni di blocco delle aliquote e anche il fatto che oggi si stia ritornando sui trasferimenti piuttosto che sul tema della responsabilizzazione degli amministratori locali.
  Questa è la base, la cornice deve essere la revisione del catasto; ad ogni livello la sua imposta, a livello comunale l'imposta sugli immobili, a livello regionale l'imposta sulle persone fisiche. Noi siamo per superare gradualmente l'addizionale comunale IRPEF, a fronte di una revisione complessiva.

  VINCENZO ABBRESCIA, segretario confederale UGL. Molto velocemente, due punti di riflessione, un momento di sintesi per quanto riguarda il reddito di cittadinanza che qualcuno sollevava come argomentazione e poi la bella domanda fatta da qualcuno, come si crea lavoro. Come organizzazione ci dichiariamo fondamentalmente «atei» al reddito di cittadinanza, visto che oggi si stanno formando quasi dei movimenti a favore e contro il reddito di cittadinanza, ma gradiremmo dare un elemento di contenuto, considerando che è innegabile che è un aiuto economico (perché di questo parliamo, peraltro in linea con tanti Paesi europei, e ove fosse attuato ci sarebbe un allineamento rispetto ad altre realtà nazionali, che peraltro da tanto tempo utilizzano questo strumento), quindi in termini generali siamo assolutamente d'accordo, se è vero che si tratta di una misura che aumenta la stabilità e la protezione sociale. Pag. 32
  Raccomandiamo però due momenti di sintesi. Primo l'identificazione della platea perché, se pensiamo anche al RED, crediamo sia un elemento importante perché dobbiamo avere ben chiaro di chi parliamo quando utilizziamo la parola «povero», che sembra un lavoro semplicistico, ma sappiamo che basterebbe spostare qualche elemento o qualche indicatore per spostare migliaia di destinatari. Secondo aspetto il costo di realizzazione, perché tendenzialmente potremmo essere tutti favorevoli, però poi queste misure impattano sui costi che si rendono necessari.
  Come si crea lavoro? Non voglio ripetere cose già dette, però ribadisco qualcosa di noto nell'ambito della nostra organizzazione. Forse un giorno scopriremo che era molto più facile attuare una ricetta, peraltro consegnataci dalla stessa Costituzione, che trovare formule di altro tipo. La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende è un tema di cui più volte si è parlato, quindi consegno solo un dato: la Germania che da sempre ha realizzato quella che loro chiamano in altra maniera, cogestione, ma fondamentalmente è un interessamento diretto del lavoratore, oggi vede una percentuale di disoccupazione che è al minimo storico, nel senso che sono in piena occupazione.
  Qualcuno ci dice che qualche tentativo di partecipazione è stato è fatto (penso alla contrattazione di secondo livello, alla detassazione dei premi), ma è ben altra cosa rispetto a un cambio di passo culturale che porterebbe a un altro modo di approcciarsi nell'ambito del rapporto di lavoro, e di qui a uno sviluppo anche in termini economici.

  PRESIDENTE. Grazie. Io ringrazio tutti per l'importante contributo che avete portato a questo dibattito su un tema importante quale il DEF e dichiaro conclusa l'audizione.
  Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15.

  La seduta, sospesa alle 13.45, riprende alle 15.05.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
ANDREA MANDELLI

Audizione di rappresentanti di Confapi e Alleanza delle cooperative italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di Confapi e dell'Alleanza delle cooperative italiane.
  Sono presenti Francesco Napoli, vicepresidente, e Annalisa Guidotti, direttore comunicazione e marketing.
  Do la parola al vicepresidente Napoli per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO NAPOLI, vicepresidente di Confapi. Buon pomeriggio a tutti. Confapi ringrazia il presidente della Commissione speciale della Camera dei deputati per l'esame di atti del Governo, l'onorevole Molteni, e il presidente della Commissione speciale del Senato della Repubblica per l'esame degli atti urgenti presentati dal Governo, l'onorevole Crimi, per l'invito a partecipare all'odierna audizione con cui la Confederazione può esprimere le proprie valutazioni sul Documento di economia e finanza 2018.
  Dal momento che questo documento economico-finanziario è stato presentato da un Governo dimissionario all'avvio della XVIII legislatura, non contiene un quadro programmatico di riforma, ma fornisce aggiornamenti della situazione economica e finanziaria.
  Signor presidente, onorevoli deputati, onorevoli senatori, noi di Confapi ci limitiamo ad analizzare solo alcuni temi che Pag. 33riteniamo di maggiore interesse per un rilancio del ruolo delle piccole e medie industrie.
  Cominciamo dal carico fiscale. Signor presidente, non è una novità che in Italia il cuneo fiscale è dieci punti oltre la media europea e il tax burden totale è di quasi 25 punti superiore. È evidente che questo divario, oltre a ingessare la nostra economia, ci penalizza in termini di competitività. Confapi continua, quindi, a sostenere per le imprese la necessità di una fiscalità graduale che tenga conto delle caratteristiche dimensionali e che consenta una riduzione del cuneo fiscale.
  Veniamo al credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno. Signor presidente, ci permettiamo di segnalare una contraddizione sul credito d'imposta per investimenti nel Mezzogiorno. L'Agenzia delle entrate, non essendovi un esplicito riferimento legislativo, ha ritenuto tale credito d'imposta soggetto a tassazione (basta vedere la circolare n. 34 del 3 agosto 2016), a differenza di quanto disposto nella legge di bilancio del 2018, dove chiaramente è espresso il principio della non tassabilità degli incentivi da ultimo introdotti. È necessario intervenire immediatamente per sanare questa situazione di squilibrio.
  Passiamo a IVA e accise. Onorevoli deputati e onorevoli senatori, è ovviamente necessario che il prossimo esecutivo si adoperi per scongiurare l'aumento dell'IVA e delle accise, che rischia di bloccare la competitività delle imprese, determinando l'ennesima contrazione dei consumi e una diminuzione importante della domanda interna, con conseguenze molto negative sull'intero sistema economico-produttivo.
  Per ciò che concerne il mercato del lavoro, siamo favorevoli ad azioni anche drastiche che interrompano la proliferazione dei contratti, quelli sottoscritti da organizzazioni sia datoriali sia sindacali che ben poco o nulla rappresentano. Tale semplificazione del numero dei contratti collettivi nazionali del lavoro non deve, però, portare all'omologazione della rappresentanza. Le esigenze della grande industria non sono quelle della piccola e media, che ha una sua specificità, che deve essere mantenuta e che rappresenta un virtuoso e produttivo patrimonio nazionale da tutelare.
  Arriviamo all'apprendistato. Signor presidente, la riforma dell'apprendistato introdotta con il Jobs Act non ha avuto un impatto considerevole sul piano dell'avvicinamento dei giovani al mondo del lavoro. È necessario rivedere in maniera sostanziale l'apprendistato, affinché diventi lo strumento principale che consenta ai giovani di entrare nel mondo del lavoro.
  Si può attingere a quello che succede in altri Paesi. Si pensi al sistema duale tedesco, che permette allo studente già a sedici anni di seguire un percorso di scuola e lavoro grazie all'apprendistato professionalizzante e di entrare da subito a far parte del mondo del lavoro. Prendendo spunto da tale sistema si potrebbero introdurre negli istituti tecnici tre anni di formazione base uguale per tutti, a fronte di un ultimo anno in cui è possibile, a seconda delle esigenze del mercato del lavoro interno, specializzarsi in discipline che favoriscano l'immediata entrata nel mondo del lavoro.
  Passiamo agli incentivi alla crescita e all'occupazione. Onorevoli deputati e onorevoli senatori, le misure messe in atto con il Jobs Act non hanno sempre avuto l'effetto desiderato nel lungo periodo. I dati Istat confermano che, nonostante gli incentivi, la tipologia contrattuale più utilizzata dalle imprese per le assunzioni resta il contratto a termine. Sicuramente la politica degli incentivi può avere effetti positivi immediati sul trend occupazionale, ma permane la necessità di stabilizzare il mercato del lavoro.
  Per di più, oggi nel nostro Paese registriamo un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d'Europa e nelle nostre industrie il ricambio generazionale è frenato da politiche previdenziali che non agevolano la fuoriuscita dal mercato del lavoro e il contemporaneo ingresso di nuove risorse.
  Bisogna, signor presidente, trovare un equilibrio per consentire un passaggio graduale non drammatico per chi entra e chi esce dal mercato del lavoro senza produrre Pag. 34dei dissesti finanziari ma ponendo le basi per creare nuovi posti di lavoro.
  I piani individuali di risparmio (PIR), signor presidente, nascono con l'obiettivo di indirizzare i flussi di risparmi privati verso le piccole e medie imprese. Per poter emettere, però, tali strumenti finanziari le imprese devono essere quotate sul mercato secondario, il cui accesso richiede anche dei costi fissi di ristrutturazione societaria.
  Oltre al credito d'imposta del 50 per cento dei costi di consulenza sostenuti per l'ammissione alla quotazione a tali mercati regolamentati secondari, introdotto dalla legge di bilancio 2018, andrebbe previsto anche un ulteriore credito d'imposta in favore di quelle piccole e medie imprese che intendono strutturarsi, anche mediante l'apporto di nuove risorse umane e organizzative, per supportare i costi di permanenza in tali mercati borsistici.
  Inoltre, per accompagnare le piccole e medie imprese a una crescita dimensionale, occorrerebbe agevolare anche le aggregazioni e non dotare di strumenti solo quelle già strutturate, oltre che concedere un credito d'imposta per il capitale investito a fronte di operazioni straordinarie di merger and acquisition.
  Passiamo al capitolo relativo ai temi internazionalizzazione e competitività. Onorevoli deputati, onorevoli senatori, Confapi condivide l'importanza data dal Governo alle esportazioni quale fattore determinante per la crescita dell'economia italiana e apprezza l'impegno a finanziare il Piano straordinario del made in Italy.
  Sebbene le strategie siano in linea di principio condivisibili, si ritiene eccessivo destinare un terzo delle risorse complessive al mercato asiatico. Parimenti, sul versante merceologico sarebbe stato opportuno incrementare la quota di risorse attribuite al comparto agroalimentare, che è una delle eccellenze del made in Italy.
  È importante, signor presidente, ribadire anche in tale sede come nell'attuazione del piano risulterà fondamentale il coinvolgimento delle piccole e medie imprese attraverso le associazioni più rappresentative.
  Confapi ritiene, inoltre, positiva la misura di finanziamento per i voucher per l'internazionalizzazione, volti a sostenere le imprese che intendono avvalersi di un temporary export manager. La rilevanza di tale figura è stata messa in evidenza recentemente anche dalla nostra indagine condotta su un campione di 1.500 aziende. Lo studio ha, infatti, sottolineato che le piccole e medie imprese necessitano di figure manageriali di alta professionalità, tra cui quella di un responsabile in grado di sviluppare relazioni commerciali sui mercati esteri.
  Passiamo al sostegno al credito e al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Onorevoli deputati, onorevoli senatori, il rifinanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese disposto con l'ultima legge di bilancio, per quanto apprezzabile, potrebbe ancora non riuscire a coprire il fabbisogno legato all'incremento costante delle richieste.
  Tra le criticità ancora contenute nel provvedimento di riforma si segnalano l'insufficienza della soglia massima stabilita per le operazioni a rischio tripartito (120.000 euro per l'impresa beneficiaria) e la riduzione nel Consiglio di gestione a solo due rappresentanti esperti delle piccole e medie imprese.
  Confapi ritiene che si debba affiancare al Consiglio di gestione un ulteriore organismo che possa rappresentare più efficacemente i sistemi associativi di imprese, banche e confidi.
  Per quanto riguarda l'esigenza di favorire l'accesso al credito, signor presidente, le nostre piccole e medie imprese soffrono di scarsa capitalizzazione, perché è difficile trovare finanziamenti per gli investimenti. Occorre creare un mercato del credito alternativo al canale banche per aiutare le piccole e medie imprese a ottenere finanziamenti.
  È necessario favorire sul piano legislativo e fiscale i finanziamenti diretti di fondi non bancari, oggi esclusi dalle agevolazioni fiscali, presenti invece per i PIR, fondi pensione e casse patrimoniali; seguire l'esempio della Gran Bretagna, che con il Bank referral scheme obbliga le banche che Pag. 35non concedono finanziamenti alle piccole e medie imprese a segnalare la richiesta a specifiche piattaforme di direct lending, agevolando così il prestito per quei progetti che non rientrano negli schemi di affidabilità degli istituti bancari; istituire una banca pubblica quale motore di investimenti nell'industria e nell'economia reale sul modello della tedesca KFW, una sorta di Cassa depositi e prestiti, ma decuplicata e gestita con un'ottica privatistica e strettamente manageriale.
  Veniamo al tema Formazione 4.0. Signor presidente, abbiamo apprezzato il credito d'imposta al 50 per cento per le spese legate alla Formazione 4.0. Da parte nostra, stiamo cercando di valorizzare l'attività dei fondi interprofessionali indirizzandoli verso percorsi che favoriscano una formazione non accademica, ma di utilità pratica, per padroneggiare le nuove sfide tecnologiche. Sarebbe utile trovare delle forme di collaborazione tra il piano «Industria 4.0» e i fondi interprofessionali incentrate sull'implementazione della digitalizzazione.
  Riteniamo, inoltre, che sia indispensabile che il mondo delle imprese sia messo nelle condizioni di poter lavorare in stretta sinergia anche con le migliori università e centri di ricerca per tracciare un sentiero comune che possa permettere di lanciare brevetti e prodotti innovativi.
  Vale la pena, onorevoli deputati e onorevoli sanatori, sottolineare che vi sono dei temi su cui la futura attività legislativa dovrà intervenire, per esempio, la burocrazia.
  Il costo della burocrazia pesa sulle casse delle piccole e medie imprese per circa 30 miliardi di euro ogni anno e, oltre a ingessare la nostra economia, ci penalizza in termini di competitività. Nel rapporto internazionale che misura la «facilità» del sistema fiscale, l'Italia si classifica ultima in Europa e 141ª nel mondo. In Italia, un imprenditore medio effettua in un anno quindici versamenti al fisco, sei in più di un collega tedesco, sette in più di un collega inglese, di uno spagnolo o di un francese, nove in più di un collega svedese.
  Le funzioni burocratiche svolte e sostenute economicamente dalle imprese devono essere semplificate sia qualitativamente sia quantitativamente, individuando due soli enti impositori, uno a livello nazionale e uno a livello regionale, razionalizzando anche il calendario per il pagamento delle varie imposte con una o due date annue.
  Vengo all'IMU su immobili industriali. Signor presidente, Confapi ritiene necessaria una profonda riforma dell'IMU sugli immobili utilizzati per finalità industriali.
  Tale imposta grava in maniera considerevole sul settore manifatturiero, che necessita di strumentazioni importanti e di spazi molto ampi per l'esercizio dell'attività di impresa, a differenza di aziende robotizzate e digitali, che spesso generano notevoli fatturati a fronte di beni strumentali e di spazi esigui. Sarebbe necessario, pertanto, rimodulare l'imposta prendendo come base di calcolo sia il fatturato sia il settore merceologico.
  Un altro intervento dovrebbe prevedere un'esenzione parziale dall'imposta per quei capannoni industriali che, a seguito di un ridimensionamento dell'attività di impresa, non vengono più utilizzati nell'esercizio corrente.
  Passo poi ai ritardi nei pagamenti tra privati e tra privati e pubbliche amministrazioni. Signor presidente, oggi le piccole e medie imprese italiane subiscono un grave squilibrio finanziario, poiché i tempi medi di pagamento tra privati arrivano a 180 giorni, sei mesi. Viene completamente disattesa la direttiva europea n. 2011/7/UE, che stabilisce in 30-60 giorni, ovvero uno o due mesi, i termini entro i quali le fatture devono essere regolate, e prevede sanzioni pecuniarie nel caso tali termini non vengano rispettati.
  La nostra proposta, onorevoli deputati e onorevoli senatori, si ispira al modello vigente in Francia, che prevede un sistema di sanzioni a carico di chi non rispetti i tempi previsti di pagamento, con la possibilità di alimentare con tali introiti un fondo presso il Ministero dello sviluppo economico (MISE) destinato allo sviluppo delle piccole e medie imprese. Pag. 36
  In chiusura, signor presidente, onorevoli deputati, onorevoli senatori, Confapi confida che le proposte formulate possano contribuire a una discussione che, anche a livello politico e normativo, tenga conto del fatto che le piccole e medie industrie, che rappresentano il 95 per cento delle imprese attive in Italia, sono l'asse portante dell'economia e del sistema produttivo e industriale del nostro Paese. È indispensabile, per le aziende, per gli imprenditori, per i lavoratori e per gli investitori, contare su poche regole, certe e chiare, che non vengano stravolte di volta in volta, su misure che ne favoriscano sviluppo, crescita e internazionalizzazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Napoli. Procediamo ora con l'audizione dei rappresentanti di Alleanza delle Cooperative italiane.
  Sono presenti Marco Venturelli, segretario generale di Confcooperative, Filippo Turi, direttore AGCI, e Mauro Iengo, responsabile dell'ufficio legislativo Legacoop.

  MARCO VENTURELLI, segretario generale di Alleanza delle cooperative italiane. Grazie presidente. Preannuncio che metteremo a disposizione dei commissari un documento, articolato in una trentina di pagine, che mi propongo di sintetizzare molto rapidamente in questa sede.
  Noi vogliamo partire riconoscendo che la crescita è evidentemente in atto, come è in recupero l'occupazione. Questa prospettiva di crescita è anche consolidata al nostro interno da un indice di fiducia che continua a crescere. A dire il vero, il nostro sistema cooperativo in questi anni di crisi ha comunque continuato a crescere in termini di occupati, di fatturato, quindi risentendo meno di altri sistemi della crisi stessa.
  Aderisce all'Alleanza delle cooperative italiane circa la metà delle 80.000 cooperative italiane, che però esprimono un fatturato di oltre il 90 per cento e un'occupazione di oltre l'85 per cento della cooperazione italiana. Diamo occupazione a 1.350.000 unità, di cui oltre la metà è occupazione femminile e giovanile.
  La crisi è superata, sì, ma, in realtà, sia la crisi sia la ripresa hanno lasciato forti disuguaglianze, anzi hanno accentuato le già forti disuguaglianze in termini di territori, non solo nord-sud, ma anche di polarizzazione a favore dei territori maggiormente serviti dalle infrastrutture materiali e immateriali. Hanno anche aumentato la disuguaglianza della popolazione più povera e penalizzato soprattutto giovani e donne. È, quindi, una ripresa assolutamente non per tutti, ma che, anzi, produce un allargamento del divario.
  Questa sottolineatura mi serve poi per poter insistere sulle nostre proposte, che ovviamente, dato questo quadro, non possono che prevedere le richieste di continuare a stimolare gli investimenti, sia pubblici che privati, di ridurre il costo del lavoro, ma anche di aumentare le risorse dedicate alle politiche per il contrasto alla povertà, sia in termini di universalità, quindi di destinatari, che di risorse dedicate pro capite. È positivo, quindi, il potenziamento di queste politiche, anche agganciandole maggiormente alle politiche attive del lavoro.
  Vogliamo anche evidenziare come, dopo una prima fase di sperimentazione, il Documento di economia e finanza abbia introdotto stabilmente nel sistema gli indicatori di benessere. Questi devono essere ancor più finalizzati a misurare l'impatto di scelte che sono orientate soprattutto sulla dimensione economica, impatto che, invece, va misurato anche in termini di aggravamento o riduzione delle disuguaglianze di cui parlavo prima (non solo tra fasce di popolazione, ma anche tra territori), di partecipazione al mercato del lavoro e di aumento o diminuzione, in termini di benessere, della qualità e della sostenibilità sociale e ambientale.
  Noi, in occasione di questo inizio di legislatura, come movimento cooperativo, abbiamo proposto un manifesto cooperativo fondato su cinque pilastri, che riassumono la visione che noi abbiamo del futuro del nostro Paese, un Paese che ha bisogno di un lavoro più dignitoso e più equo, di più innovazione, anche più diffusa, di welfare in compartecipazione pubblico-privato, di più sostenibilità e legalità. Lavoro, innovazione, welfare, sostenibilità e legalità sono, Pag. 37quindi, le parole-chiave che devono attraversare, a nostro avviso, le politiche di questo Paese.
  In termini specifici, sulle politiche fiscali, dell'esigenza della riduzione del cuneo fiscale ho già detto, ma auspichiamo anche un aumento delle politiche di contrasto all'evasione. Il contrasto all'evasione si ha, in primo luogo, con il completamento dell'applicazione della disciplina della fatturazione elettronica, che è un provvedimento che noi abbiamo sempre salutato favorevolmente. A regime, quando avrà dispiegato i propri effetti, si dovrebbe anche immaginare il superamento della disciplina dello split payment, che, invece, pur influendo sul volume dei crediti IVA delle imprese verso la pubblica amministrazione, crea situazioni a volte anche insostenibili in termini di effettivi tempi di liquidazione. Dicevo, politiche di contrasto all'evasione e riforma della giustizia tributaria per la riduzione e la certezza dei tempi di risoluzione dei contenziosi.
  Per quanto riguarda la possibilità del settore della cooperazione di aumentare il proprio apporto allo sviluppo del nostro Paese, pensiamo che possa essere accolto favorevolmente un provvedimento di natura fiscale che riguardi il ristorno che i singoli soci lavoratori delle cooperative decidono di destinare alla capitalizzazione della propria impresa. Il ristorno è, grosso modo, una retrocessione legata all'attività mutualistica del socio rispetto alla propria cooperativa.
  Un altro apporto molto specifico che la cooperazione può dare allo sviluppo del nostro Paese può derivare dal potenziamento dello strumento del workers buyout, in base al quale i lavoratori si uniscono in cooperativa per salvare la propria impresa in crisi, diventando loro stessi, quindi, proprietari e soci dell'impresa.
  In occasione dell'approvazione dell'ultima legge di bilancio abbiamo proposto, ahimè senza successo, di poter sperimentare il workers buyout anche per il rilancio di imprese che non abbiano una successione generazionale. Quindi workers buyout non solo per le aziende in crisi, ma anche per aziende senza futuro di successione generazionale.
  Sulle politiche del lavoro, ben venga la contrattazione collettiva maggiormente ancorata alla produttività. Tuttavia il Documento di economia e finanza si limita al perimetro della contrattazione tra le parti sociali. Crediamo che detassazione, decontribuzione e aumento della soglia di reddito possano, invece, far parte di una politica più generale che, senza invadere lo spazio prettamente riservato alla contrattazione tra le parti sociali, possa, invece, dare un ruolo più ampio alla contrattazione collettiva.
  Maggiore stabilità e certezza in materia di lavoro sono auspicate da tutte le imprese e le auspichiamo anche noi.
  La previdenza integrativa a favore dei lavoratori va incentivata. Noi, tra l'altro, come cooperazione, nei mesi scorsi, insieme a CGIL, CISL e UIL, abbiamo promosso una fusione di tre fondi di previdenza integrativa. Penso che sia l'unica esperienza virtuosa in Italia che ha riguardato tre fondi, assolutamente bene in salute e con le migliori performance in termini di redditività, che hanno scelto di fondersi proprio per dare maggiore capacità di risposta alle esigenze dei lavoratori.
  Da ultimo, ma non ultimo, proponiamo un rafforzamento degli strumenti per la lotta contro le false cooperative, contro le quali noi negli anni scorsi abbiamo raccolto oltre 100.000 firme e depositato un disegno di legge d'iniziativa popolare. L’iter non si è concluso. Qualche comma è stato inserito nell'ultima legge di bilancio, ma non basta: la lotta contro le false cooperative, che ci vede assolutamente favorevoli in termini di rafforzamento degli strumenti e della capacità ispettiva e repressiva, è una politica che va, a nostro avviso, ripresa per il futuro. In questo senso, credo che occorra comunque avere strumenti per colpire, non solo chi organizza le false cooperative, ma anche i committenti, cioè chi dà lavoro alle false cooperative.
  Mi avvio alla conclusione, esprimendo l'auspicio di un'accelerazione dei tempi, sperando in una tempestiva emanazione dei decreti correttivi e attuativi della riforma Pag. 38 del terzo settore e dell'impresa sociale, una riforma che ha enormi potenzialità di sprigionare energie, occupazione e intraprendenza da parte del terzo settore italiano. Ne aspettiamo il completamento.
  Cito la necessità, qualora arrivasse a compimento la riforma della disciplina sulla crisi d'impresa, che possa essere salvaguardata la normativa relativa alla liquidazione coatta amministrativa nelle cooperative in presenza di irregolarità compiute dagli amministratori, così come prevede la legge-delega, perché la liquidazione coatta è uno strumento che si è dimostrato in grado di salvaguardare rami di attività di impresa, a differenza di una procedura fallimentare standard a cui vengono ricondotte tutte le tipologie di impresa.
  Per quanto riguarda le politiche delle infrastrutture e il Codice degli appalti, si auspica una maggiore qualificazione delle stazioni appaltanti, il superamento del criterio del massimo ribasso che, a volte, si nasconde dietro le nuove procedure, la valorizzazione delle clausole sociali e ambientali, ancora poco valorizzate, la gestione e la limitazione del contenzioso, che in questi anni ha impedito la nuova partenza di consistenti investimenti pubblici, pur già messi a punto da parte degli enti nazionali e locali.
  Voglio ricordare, infine, con riferimento alla Cooperazione 4.0 (citando Cooperazione 4.0 anziché Industria 4.0), la necessità di completare la politica per la digitalizzazione del sistema produttivo, che non guardi solo alle grandi imprese, ma che guardi alle piccole e medie imprese, che guardi alle filiere, che premi i progetti dove diffusa è la ricaduta nella condivisione di valori o di compartecipazione di posizioni. Diversamente oggi, big data e piattaforme tecnologiche rischiano di portare a nuove posizioni oligopolistiche digitali se non «latifondiste» o di altro genere. È necessaria comunque una politica che guardi anche alla ricaduta diffusa su tutto il sistema produttivo.
  Quanto a credito e finanza, crediamo che vada favorito con ulteriori provvedimenti il mercato dei crediti deteriorati per alleggerire il sistema delle banche. Potrei spendere una parola sul rischio insidioso, da sventare in sede europea, del tentativo di uniformare le politiche del credito sul modello di un'industria creditizia «a taglia unica», senza riconoscere una specificità alle banche di territorio, che non sono certamente uguali alle grandi banche, all'industria bancaria, di cui non si conosce neanche l'effettiva proprietà che si cela dietro la partecipazione di fondi.
  Per quello che riguarda Mezzogiorno e aree interne, vanno bene incentivi, anche automatici, senza lunghe trafile, com'è il provvedimento, recentemente introdotto, «Resto al Sud». Su questo tema, auspichiamo una legge quadro nazionale sulle cooperative di comunità. Diverse regioni hanno con buona volontà tentato di introdurre con proprie leggi uno strumento che valorizzi le cooperative di comunità per tentare di arginare lo spopolamento delle aree interne. Sulle cooperative di comunità pensiamo che la legge quadro possa meglio finalizzare la capacità della cooperazione di valorizzare e organizzare i servizi sul territorio.
  Nella documentazione che lasceremo a disposizione dei commissari, presidente, sono elencate anche proposte di carattere settoriale.
  Mi limito a citare la necessità di presidiare, con più energia possibile per un Governo che cura solo gli affari ordinari, la trattativa a livello europeo sul nuovo bilancio del settennio 2020-2027, che impatta notevolmente su diversi ambiti, con particolare riguardo alla finalizzazione di risorse europee sul settore dell'agroalimentare, soprattutto sul settore dell'agricoltura. Stiamo contando in questa fase anche sull'alleanza di altri Paesi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il segretario generale di Confcooperative, Marco Venturelli.
  Do la parola agli onorevoli deputati e senatori che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  NUNZIO ANGIOLA. Ho ascoltato con molto interesse le relazioni di due tra i principali e più importanti attori nell'associazionismo Pag. 39 delle piccole e medie imprese a livello nazionale. Vorrei chiedere una valutazione ai due rappresentanti.
  Si parla, direi piuttosto diffusamente, del tema della burocrazia e della necessità di una semplificazione legislativa, ma anche nei procedimenti amministrativi. Le due relazioni se ne occupano. Vorrei chiedere il vostro punto di vista su un tema molto importante per il Movimento 5 Stelle, cioè il tema del contrasto alla corruzione.
  È un tema di grande attualità, un fenomeno molto importante, e direi molto pericoloso, che sicuramente grava sulla vita delle piccole e medie imprese. Vorrei chiedere che tipo di valutazioni avete fatto o state facendo su quest'importante tema e quali proposte vi sentite di fare al decisore politico.
  Un altro aspetto riguarda un tema molto approfondito in queste relazioni, quello dell'accesso al credito, cioè del finanziamento delle piccole e medie imprese. Vorrei chiedere il vostro punto di vista sul tema della gestione finanziaria delle imprese, il vostro punto di vista sul tema dello split payment.

  DANIELE PESCO. Grazie per la relazione. Vorrei porre l'attenzione su alcuni problemi che secondo me le cooperative hanno.
  Ho passato buona parte dei cinque anni in cui sono stato deputato a scrivere interpellanze e interrogazioni proprio sulle cooperative e sui loro problemi, a partire dal cosiddetto credito sociale, dai problemi fiscali legati a molte cooperative, che non sono altro che scatole cinesi, per arrivare ai controlli, fatti spesso dalle stesse confederazioni cooperative, che spesso si sono rivelati non all'altezza della situazione.
  Mi chiedo se, secondo voi, l'attuale sistema cooperativo non rappresenti un «bengodi» per molte imprese che, sfruttando questa forma societaria, possono tranquillamente fare ciò che vogliono senza incappare in controlli troppo severi.
  Allo stesso tempo, vi chiedo che cosa pensate delle risorse finanziarie che le stesse cooperative versano per l'effettuazione dei controlli, risorse che arrivano allo Stato e spesso vengono utilizzate per altre cose e non per fare i controlli.
  Vi chiedo cortesemente se, oltre alla vostra proposta contro le finte cooperative, avete anche pensato ad altri strumenti per limitare questi usi distorti dello strumento cooperativo, non utilizzati solo dalle finte cooperative, ma anche dalle cooperative vere, che spesso, probabilmente, utilizzano questi strumenti per guadagnare.

  GIANLUCA BENAMATI. Come diceva chi mi ha preceduto, siamo in presenza di rappresentanze molto significative del tessuto di piccole e medie imprese italiane nelle loro accezioni di azienda e di forma cooperativa. Alcune questioni riguardano entrambi gli auditi, altre invece sono specifiche. La prima riguarda una riforma fiscale, quale mi pare di capire venga auspicata da entrambi i soggetti auditi, sia dal rappresentante della Confederazione italiana della piccola e media industria sia dal rappresentante del mondo cooperativo.
  Una delle grandi priorità della riforma fiscale rimane l'intervento sul cuneo fiscale, quindi sul costo del lavoro. Vorrei qualche parola in più. Mi pare che questo sia stato indicato con chiarezza da entrambi gli auditi, ma direi che è un punto su cui è bene fare una riflessione.
  Il secondo tema riguarda una questione sollevata da Confapi, che credo dovrebbe essere affrontata nella XVIII legislatura nell'ambito delle politiche attive di sostegno alle aziende, delle più ampie politiche industriali, poiché era una riflessione già aperta: quello del sistema con cui si possono aiutare le piccole e medie aziende ad aumentare di dimensioni. Il tema dell'internazionalizzazione, ma anche il tema della digitalizzazione, molti temi di innovazione e sviluppo, compresa la ricerca, sono collegati alle dimensioni delle piccole aziende.
  Confapi sollevava, se ho ben capito, il tema di una politica in questa legislatura – che dovrà adottare il prossimo Governo, quando ce lo avremo – di sostegno attivo ai processi di aumento dimensionale, al di là dei sostegni alle attività di rete d'impresa, ma proprio di sostegno alla crescita.
  Io aggiungerei, ma vorrei conoscere una vostra opinione, anche un sistema di sostegno in occasione dei salti generazionali. Molto spesso, le aziende si trovano in difficoltà, Pag. 40 soprattutto le piccole aziende, quando c'è un passaggio di proprietà conseguenza di un passaggio generazionale. Questo è uno dei temi che, come spesso mi viene riferito, costituisce un problema.
  Mi sfugge, invece, sempre relativamente a quanto detto dal rappresentante di Confapi, il tema della formazione dei tecnici prevista in «Industria 4.0».
  Nell'articolazione attuale del programma è prevista un'attività di formazione degli operatori, ovviamente in cooperazione con i competent center e con le attività imprenditoriali di diversa natura. Vorrei capire di più sulla questione specifica posta dal rappresentante di Confapi.
  Finisco con il tema, sollevato in ultimo dal dottor Venturelli, del Codice degli appalti. Il Codice degli appalti ha evidenziato diverse criticità in fase di applicazione. Diverse, anche se non tutte, sono state indicate nella relazione: il tema dei piccoli appalti, delle sottosoglia e quant'altro. Però in questa sede è richiamato nello specifico il tema della surrettizia reintroduzione del criterio del massimo ribasso.
  Io vorrei capire dal dottor Venturelli se qui ci riferiamo al fatto che anche negli appalti, laddove, tra i parametri di aggiudicazione, c'è una componente di valutazione meritocratica, basata su criteri non troppo ampi, la scelta finisce praticamente per privilegiare l'offerta economicamente più vantaggiosa. Mi piacerebbe capire esattamente se è corretta questa lettura dell'osservazione, perché credo che questo sia un tema importante. Infatti, il Codice degli appalti contiene un'importante indicazione proprio sul superamento dell'offerta semplicemente più vantaggiosa dal punto di vista economico, che spesso non è l'offerta che consente di ottenere un risultato migliore negli appalti e, quindi, nella realizzazione di opere a vantaggio di tutti. Vorrei capire bene questo, perché io l'ho letta in questa maniera, ma mi interesserebbe una risposta.

  DAVIDE CRIPPA. Ho una domanda molto breve a Confapi sui ritardi di pagamento tra privati e pubblica amministrazione. Vorrei comprendere se il meccanismo che voi individuate sulla scia del modello francese è soltanto tra pubblica amministrazione e privati o, a cascata, anche tra privati e privati. Oggi c'è una procedura di infrazione ancora aperta riguardante i tempi di pagamento tra la pubblica amministrazione e i privati; tra privati e privati vorrei capire se, in conseguenza, andando a mettere in piedi un meccanismo in qualche modo sanzionatorio, si rischia che il vincitore dell'appalto diventi un anticipatore di cassa rispetto a tutta la filiera. Non vorrei che, non riuscendo a risolvere a monte il problema dei ritardi della pubblica amministrazione, un meccanismo sanzionatorio faccia sì che chi vince l'appalto e si affida a subfornitori debba fare da anticipatore di cassa rispetto ai tempi di pagamento. Chiedo questo solo per comprendere.
  Inoltre, sempre riguardo ai casi di pagamento tra privati e privati, vorrei sapere se i 180 giorni di cui oggi avete parlato derivano anche dalla pattuizione di questa data, nel senso che prevedono l'accordo tra le parti di arrivare comunque a fare sei mesi di ritardo nei pagamenti, oppure se, di fatto, rispecchiano il mancato rispetto di una data prefissata e, quindi, un ritardo non concordato.

  ANTONIO MISIANI. Pongo una domanda al dottor Venturelli sul tema della riforma della disciplina della crisi d'impresa, in particolare sulla questione della liquidazione coatta amministrativa. Vorrei capire un po’ meglio il senso delle vostre perplessità e della vostra controproposta.

  DARIO GALLI. Sarò molto veloce, perché ovviamente molte domande sono già state fatte. Mi rivolgo soprattutto ai rappresentanti di Confapi. Nello scenario che hanno descritto, se dovessero stabilire una classifica di quello che oggi servirebbe in Italia per ridare slancio al settore industriale in senso generale e, comunque, delle medie e piccole imprese, proprio per poter aumentare il giro di lavoro effettivo, in maniera da dare origine a un'effettiva maggiore occupazione, non solo a un giro diverso di quanto già non ci sia, dal loro punto di vista quali possono essere le leve più significative e più efficaci? Pag. 41
  Si sta parlando di riduzione della tassazione diretta sia dei dipendenti, in questo caso, che delle imprese e del discorso annoso, che però è sempre lì da affrontare con decisione, del cuneo fiscale. Penso ad altre questioni che esulano dalla questione fiscale che, però, certamente non sono collaterali, tipo l'enorme differenziale di alcuni costi, uno a caso (ma non tanto a caso) l'energia elettrica, che, rispetto a Paesi confinanti, penalizza decisamente le nostre industrie. Penso anche ad altre questioni su cui si sorvola spesso, per esempio il fatto che, nei nostri bilanci, alcune voci, che sono costi per le aziende, quali gli interessi, le multe o le sanzioni, per lo Stato non esistono e su quelle di fatto si paga la tassazione normale.
  Ho due domande per capire l'opinione degli auditi. Innanzitutto, vorrei sapere qual è la loro posizione sul discorso annoso degli studi di settore. È una domanda pleonastica, però vorrei sentire una risposta.
  La fatturazione elettronica non rischia, alla fine, di essere un aggravio per chi le fatture di carta le fa già e una cosa totalmente irrilevante per chi già non faceva le fatture di carta?

  PRESIDENTE. Do la parola per la replica al dottor Napoli, vicepresidente di Confapi.

  FRANCESCO NAPOLI, vicepresidente di Confapi. Innanzitutto grazie per le domande, che stimolano il dibattito e, ovviamente, ci consentono di entrare forse più direttamente nel merito delle nostre proposte. Cerco di fare una sintesi. Parto dai ritardi di pagamento, perché qualcuno mi chiedeva la priorità degli argomenti e io darei priorità al nostro sistema Italia, alle nostre piccole e medie imprese, rispetto al problema serio dei pagamenti.
  I 180 giorni quantificati nella relazione riguardano i pagamenti tra privati e chiaramente non c'entrano nulla con la pubblica amministrazione. Con la pubblica amministrazione parte di questo problema è stato affrontato, anche se non del tutto, ma abbiamo un problema annoso che si chiama «ritardo dei pagamenti tra privati», che in alcune aree del Paese supera anche i sei mesi che noi indichiamo come media nazionale in uno studio effettuato dal centro studi della nostra organizzazione.
  Portare a regime nel nostro Paese tempi di pagamenti di 30-60 giorni, sul modello francese, significa far circolare liquidità nel nostro sistema delle piccole e medie imprese, ma soprattutto significa stroncare una volta per tutte quello che fa oggi la piccola e media impresa, cioè finanziare la grande impresa. Infatti, nella stragrande maggioranza degli appalti, i ritardi sono dovuti ai ritardi della grande impresa, che penalizza ulteriormente la piccola impresa.
  L'altra domanda era sulla legalità. Noi abbiamo firmato un protocollo e stiamo pretendendo dai nostri associati l'adesione al protocollo di legalità. Però attenzione: che la legalità non diventi un problema che ingessa ulteriormente il nostro sistema. Attenzione, con questo non voglio dire che non dobbiamo proseguire in questa direzione, ma mi riferisco in modo particolare al Codice degli appalti. Il Codice degli appalti, che è nato per arginare l'infiltrazione o, comunque, la corruzione negli appalti pubblici, di fatto ha ingessato il sistema, perché gran parte delle nostre opere pubbliche sono bloccate.
  Allora, è chiaro che il nuovo Governo dovrà mettere mano anche al problema del nuovo Codice degli appalti, in modo che esso tuteli la legalità, ma, nello stesso tempo, permetta di aprire i cantieri, perché un'altra delle priorità per rimettere in moto l'economia è quella di aprire i cantieri e i cantieri si aprono se si semplificano le procedure.
  Un'altra domanda rivolta al nostro sistema era sulla formazione 4.0 e, quindi, in parte anche sul ricambio generazionale. Come sapete, tutte le organizzazioni datoriali sono dotate di fondi interprofessionali. Noi chiediamo che ci sia un maggior legame tra i fondi interprofessionali e le misure previste dal Governo, per poter procedere rapidamente anche a una formazione meno accademica e più operativa sul cantiere.
  È chiaro che punto di forza in tutto questo sarà anche l'alternanza scuola- lavoro. Pag. 42 Noi invitiamo a prendere come modello quello tedesco, perché l'alternanza scuola-lavoro, avviata ormai da un paio di anni, sta portando dei risultati, ma ancora siamo molto lontani dal creare una vera alternanza scuola-lavoro, e soprattutto dall'offrire alle industrie le figure che chiedono e che spesso mancano sul mercato.
  Altre domande riguardavano il credito. Il PIR è uno strumento che funziona, però dobbiamo mettere anche il nostro mondo, fatto di micro, piccole e medie imprese, nelle condizioni di rendere più agevole questo strumento.
  Noi abbiamo criticato anche le procedure, le procedure costose cui sono sottoposte le nostre imprese per strutturare i piani individuali di risparmio. Sostenere questo mondo con delle forme di credito d'imposta o con figure più specializzate significherebbe consentire anche a un mondo di tante piccole imprese di accedere ai finanziamenti.
  L'altra proposta, e concludo, è quella di una Cassa depositi e prestiti sul modello tedesco, che significa una Cassa parallela alla nostra Cassa depositi e prestiti, con una governance mista, prevedendo, ovviamente, anche il coinvolgimento di nostri dirigenti.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Napoli.
  La parola a Marco Venturelli, segretario generale di Confcooperative.

  MARCO VENTURELLI, segretario generale di Alleanza delle cooperative italiane. Corruzione, legalità, controlli: l'Alleanza delle cooperative italiane chiede strumenti durissimi verso ogni forma di illegalità. Ci tengo a ribadirlo. Non esiste una vera cooperativa che possa applicare un contratto di lavoro in dumping, sotto il livello minimo retributivo previsto dai contratti collettivi di lavoro. In quel caso, non è vera cooperativa anche se aderisce a una delle centrali dell'Alleanza delle cooperative. Se ci accorgiamo di questo, la espelliamo. Chiediamo, anzi, una legge contro le false cooperative. L'abbiamo suggerita e proposta: naturalmente, saremmo felici che fosse rinforzata.
  Fino a ora, anche gli strumenti a disposizione dell'attività ispettiva o degli osservatori provinciali presso le direzioni provinciali del lavoro, costituiti dalle parti sociali e dagli organi ispettivi, hanno pochi strumenti. L'ultima legge di bilancio, che, dicevo, ha mutuato alcuni commi dalla nostra proposta di legge, prevede la possibilità, nel procedimento burocratico-amministrativo, di ridurre i tempi di scioglimento dagli oltre due anni, come è oggi disposto – la falsa cooperativa arriva così a delinquere, sfruttare il lavoro, sparire e non pagare, né personalmente né in termini di impresa – a sei mesi, da due anni a sei mesi. È, però, ancora poco.
  Comunque, le false cooperative vanno sciolte. Vanno dati strumenti agli organi ispettivi per incidere anche sulla falsa cooperazione, come sulle false imprese di altra natura, colpirle e – passatemi il termine – «ucciderle» come società cooperative, chiuderle. Siamo per la lotta alla corruzione, siamo per strumenti più duri, siamo contro le scatole cinesi. Prima, ho ricordato anche la committenza: se le false cooperative prosperano, se i caporali prosperano, c'è chi li foraggia in termini di lavoro, di appalti, di committenza. Bisogna colpire sia le false cooperative sia chi alimenta le false cooperative, ma contro le scatole cinesi o le false cooperative bisogna essere durissimi.
  Quanto alla vigilanza, solo nell'ultimo biennio, noi, come centrali cooperative, abbiamo segnalato al Ministero 1.500 irregolarità lievi o più gravi riguardanti le nostre cooperative. La vigilanza si esercita attraverso la segnalazione di irregolarità agli amministratori, per conoscenza al Ministero. Quindi, si danno 60-90 giorni per adempiere alla riparazione delle irregolarità; nel caso di inadempimento, si segnala e si valuta il commissariamento o lo scioglimento. Gli strumenti devono essere duri, forti, efficaci, e non scontrarsi con la burocrazia, che rallenta o impedisce la possibilità reale di controllo e consente ai caporali o a chi organizza questo di sfuggire.
  C'è una committenza privata ma anche pubblica, dicevo, che indice delle gare dove è impossibile remunerare la manodopera a livello di minimi contrattuali. Sia alcune Pag. 43pubbliche amministrazioni sia la committenza privata non possono permetterselo. Occorrerebbero strumenti per tagliare alla radice questo tipo di possibilità.
  Per quello che riguarda l'accesso al credito, occorre favorire anche la disintermediazione bancaria. Si è tentato, negli ultimi anni, di farlo; questo tipo di mercato sta crescendo. In ogni caso, occorre anche in questo senso capire che le imprese sociali del terzo settore presentano una rischiosità più bassa. È paradossale che le imprese del terzo settore, per quanto ci riguarda, facciano più fatica ad accedere al credito rispetto alle società di capitali quando presentano, statistiche alla mano, una rischiosità più bassa. Occorrerebbe valutare l'adozione di pesi ponderali sul rating di rischio più basso per il prestito del sistema bancario, risultato che ancora non abbiamo ottenuto.
  Quanto alla vigilanza, dimenticavo di citare che ovviamente non è giusto non dotare il Ministero dello sviluppo economico (MISE) di risorse adeguate per svolgere la vigilanza sulle cooperative non aderenti alle centrali: 40.000 cooperative sono per gran parte non vigilate. Vi si annida – sfido a dimostrare il contrario – la maggior parte delle false cooperative. Poi, nella lotta in casa nostra, se ce ne accorgiamo, cacciamo e colpiamo – questo penso che sia stato chiaro – ma i contributi di revisione e le risorse vanno nel capitolo generale dello Stato e non sono finalizzate in un capitolo ad hoc del Ministero dello sviluppo economico (MISE), anche se costituiscono una risorsa per l'attività degli ispettori.
  Dell'accesso al credito ho detto.
  Allo split payment è chiaro che siamo contrari se diventa uno strumento che appesantisce... Chiedo scusa, ma l'istituto può essere giusto in termini di finanza pubblica, però tale strumento arriva a uccidere l'impresa per il troppo credito vantato nei confronti dello Stato. Si può morire e sappiamo che muore anche un'impresa sana ma che vanta troppi crediti verso lo Stato.
  Con la fatturazione elettronica i controlli, gli incroci tra cliente e fornitore, sono certamente più facili, ed è indiscusso che la lotta all'evasione, anche se rende un po’ più oneroso l'adempimento da parte delle imprese, che si devono abituare nell'era della digitalizzazione, può portare enormi benefìci.
  Avevamo salutato il Codice appalti con grande favore, perché è indubbio che il sistema degli appalti in Italia andasse e vada bonificato dalla corruzione, ma ha bisogno di correttivi, perché ha ingessato ulteriormente il mercato. Se non si valorizzano le stazioni appaltanti, le clausole sociali e ambientali e, attraverso i pesi ponderali attribuiti tra prezzo e progetto, si gioca e si orienta la valorizzazione del prezzo, finisce che ritorna il massimo ribasso camuffato. Pertanto, occorre fare ancora molta strada in termini di semplificazione.
  Rispondo sulla liquidazione coatta, l'ultima domanda che veniva posta. Esistono dimostrazioni e dati ormai pluridecennali, rispetto a ipotesi che si sono fatte anche da parte delle commissioni che hanno messo a punto i decreti attuativi della legge-delega di riforma della disciplina della crisi d'impresa, secondo cui con la liquidazione coatta si salvano rami di attività aziendale e si salva occupazione, mentre la procedura fallimentare della giustizia ordinaria rende meno agevole il raggiungimento di questi obiettivi.
  Ci sono casi di imprese e cooperative con fisionomia analoga, che hanno avviato, più o meno nello stesso periodo, un fallimento da parte del tribunale e l'altra, invece, una procedura di liquidazione coatta, che oggi vede risolta la situazione, in particolare, nel settore dell'edilizia abitativa, a cui in questo momento sto pensando. I soci assegnatari oggi si vedono salvaguardata la casa con anni di anticipo rispetto a chi è finito nell’iter giudiziario del fallimento ordinario e il procedimento dopo tre anni è quasi concluso, mentre per il fallimento ordinario se ne parla fra quattro o cinque anni. Grazie a tutti.

  PRESIDENTE. Ringrazio la delegazione di Confapi, ovvero il dottor Francesco Napoli, vicepresidente, e Annalisa Guidotti, direttore comunicazione e marketing, e la delegazione di Alleanza delle cooperative italiane, ovvero Marco Venturelli, segretario Pag. 44 generale di Confcooperative, Filippo Turi, direttore AGCI, e Mauro Iengo, responsabile ufficio legislativo Legacoop.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti
di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di Confindustria.
  Ringrazio la delegazione di Confindustria, Andrea Montanino, direttore del Centro studi, Francesca Mariotti, direttore area politiche fiscali, Simona Finazzo, direttore rapporti istituzionali, Alessandro Fontana, del Centro studi, Anna Candeloro, area comunicazione, Chiara Papaduli, area rapporti istituzionali, e Rocco Cifarelli, area affari legislativi.
  Darei la parola al direttore, Andrea Montanino, per il suo contributo.

  ANDREA MONTANINO, direttore del Centro studi di Confindustria. Grazie, presidenti, onorevoli senatori e deputati. Vi ringrazio per aver invitato Confindustria oggi a presentare le proprie considerazioni sul Documento di economia e finanza.
  Il Governo ha presentato il DEF in linea con il calendario previsto dal semestre europeo. Questa riteniamo sia stata una cosa corretta. Sulla base di questo documento, come sapete, la Commissione europea formulerà tra poco le proprie raccomandazioni per orientare poi il Consiglio europeo, che dovrà approvarle entro luglio.
  Rispetto al passato, è un DEF particolare, perché presenta soltanto un quadro tendenziale a legislazione vigente e non ha obiettivi programmatici di finanza pubblica. Questa è stata, a nostro modo di vedere, la scelta corretta, perché riflette la situazione politica in cui il Governo dimissionario, rappresentativo del precedente Parlamento, non poteva e, direi, non doveva fissare obiettivi. Auspichiamo, però, che quanto prima si definiscano le linee programmatiche che dovranno poi trovare declinazione nel disegno di legge di bilancio, da presentare entro metà ottobre.
  Lo stallo politico interno che ha contraddistinto gli ultimi mesi nell'attuale delicato contesto internazionale rischia di far perdere all'Italia quanto di buono è stato fatto per avviare la ripresa e consolidare un percorso di crescita robusta e sostenibile. Riteniamo sia indispensabile che il nuovo Governo abbia pieni poteri, un mandato politico chiaro, e che sia in grado di agire e rispondere alle esigenze che si pongono di fronte a noi.
  Ne abbiamo bisogno innanzitutto per avere il ruolo che ci compete in Europa, per essere nel gruppo di testa insieme a Francia e Germania, in una fase in cui si stanno discutendo e si compiranno delle scelte importanti per il futuro dell'Europa e dell'Italia.
  In questo senso, riteniamo che il Parlamento e il Governo dovranno lavorare affinché l'Europa venga percepita di più come il luogo che semplifica la vita ai cittadini, che contribuisce in modo diretto a creare un contesto macroeconomico stabile e che realizza le politiche per la crescita.
  Peraltro, una discussione delicatissima di queste settimane è quella del bilancio dell'Unione europea, discussione nuova, perché è la prima volta che avviene con un Paese che sta lasciando l'Unione europea, il che comporterà, a bocce ferme, una riduzione delle risorse. Il Regno Unito infatti era un contributore netto.
  Peraltro, è una discussione delicata anche perché si sta prendendo coscienza di nuove esigenze che si sono poste. Pensiamo, ad esempio, agli ingenti flussi migratori verso l'Europa. La discussione sul bilancio è, quindi, molto delicata ed è importante avere un Governo in grado di incidere.
  Abbiamo bisogno di un Governo che sappia rassicurare. Scelte sbagliate possono complicare non poco il collocamento sul mercato dei 400 miliardi di euro in titoli di Stato di cui ogni anno l'Italia necessita per finanziare il debito pubblico. L'Italia è uno Pag. 45dei più grandi emittenti al mondo di titoli del debito sovrano, ed è fondamentale che venga mantenuta la fiducia nell'Italia da parte dei mercati, soprattutto nella fase attuale, nella quale la Banca centrale europea si avvierà a uscire dalla politica monetaria non convenzionale.
  Il Documento di economia e finanza si inserisce in una fase in cui la crescita mondiale si è consolidata su buoni ritmi, continua a essere sostenuta dal ciclo globale degli investimenti e dall'espansione del manifatturiero. Il commercio internazionale trasmette gli impulsi espansivi da un Paese all'altro, anche attraverso le filiere globali della produzione in cui l'Italia è inserita. Miglioramenti sono sincronizzati, diffusi nelle economie avanzate e in quelle emergenti. È, quindi, un circolo virtuoso che amplifica l'intensità dell'espansione dell'attività mondiale e tende a innalzare il sentiero di crescita potenziale.
  Il Fondo monetario internazionale ha recentemente fatto le sue previsioni e prevede un'accelerazione della crescita mondiale, quest'anno al 3,9 per cento, confermata probabilmente anche nel 2019.
  Va detto che in queste stime viene valutato positivamente l'impatto di breve termine delle riforme fiscali dell'Amministrazione americana, soprattutto per ciò che riguarda la tassazione delle imprese.
  L'economia europea lo scorso anno ha raggiunto il picco di crescita dell'ultimo decennio, 2,4 per cento, e secondo la Commissione europea rimarrà su questi ritmi anche nel 2018, per decelerare al 2 per cento nel 2019.
  La crescita italiana si è rafforzata negli ultimi anni. L'Italia è avanzata soprattutto grazie all'espansione globale. L’export è cresciuto più della domanda mondiale, permettendoci di riguadagnare quote di mercato.
  Un significativo supporto è venuto anche dagli investimenti privati, sostenuti dalle misure agevolative a favore degli acquisti di beni strumentali.
  Riteniamo sarà opportuna una seria valutazione di questi strumenti, ma il giudizio che abbiamo percepito dagli imprenditori è estremamente positivo, perché ha permesso un allineamento delle fabbriche su standard tecnologici più avanzati. È ovvio che ne vedremo i benefìci anche e soprattutto nei prossimi anni.
  I consumi privati, invece, non hanno avuto un andamento così positivo. La crescita è stata modesta ed è avvenuta sacrificando il risparmio, a dimostrazione che bisogna fare in modo che ai lavoratori rimanga di più in busta paga quando ci sono incrementi di produttività.
  Sappiamo che anche gli investimenti pubblici hanno registrato un'ulteriore diminuzione nel 2017 rispetto agli anni precedenti.
  Oggi, la spesa per investimenti pubblici italiana è tra le più basse a livello europeo, circa il 2 per cento del PIL. È ovvio che non ritorneremo ai livelli di investimento degli anni Sessanta o di Paesi che stanno emergendo e facendo catching up, ma è altrettanto indubbio che ormai il continuo calo degli investimenti che si è registrato in questi anni non può più continuare.
  Per quanto riguarda il futuro, nello scenario di previsione delineato dal DEF l'andamento del PIL nel triennio 2018-2020 è sostanzialmente in linea con quello programmatico delineato nella Nota di aggiornamento lo scorso settembre. Per il 2018, le previsioni confermano la crescita all'1,5 per cento, con un graduale rallentamento nel 2019-2020, dovuto principalmente agli effetti dell'aumento delle imposte indirette disposto dai precedenti provvedimenti legislativi.
  L'andamento per il 2018 è in linea con quello previsto al centro studi di Confindustria e anche dai principali previsori internazionali. Il sostegno principale per quest'anno continuerà a venire dalla domanda estera, trainata dal positivo andamento del commercio mondiale e dagli investimenti spinti dal recupero dei margini di profitto e dal miglioramento dei bilanci delle imprese.
  Non possiamo negare, però, che ci siano segnali di rallentamento negli indicatori congiunturali pubblicati in queste ultime settimane (la fiducia, la produzione, la vendita al dettaglio), ai quali potrebbero aggiungersi le tensioni geoeconomiche, i cui Pag. 46effetti sono molto difficili da stimare, ma che certamente impatteranno sulle aspettative.
  Ne cito soltanto alcuni: la rinegoziazione del NAFTA, l'accordo commerciale tra Canada, Stati Uniti e Messico, che potrebbe avere conseguenze negative sulla filiera automotive tra Messico e Stati Uniti; le minacce di un’escalation dei dazi e delle guerre commerciali; la decisione del Presidente degli Stati Uniti di abbandonare l'accordo sul nucleare con l'Iran, firmato anche dagli europei; la negoziazione sulle sanzioni alla Russia.
  È importante che il Parlamento tenga presente, anche nel formulare le sue risoluzioni sul DEF, l'impatto negativo che questi eventi possono avere sulla nostra economia.
  Se, dunque, verrà confermato il rallentamento che si è visto da questi primi indicatori, è probabile che il tasso di crescita nel 2018 assunto nel DEF, l'1,5 per cento, dovrà essere limato al ribasso, con ovvie conseguenze per la nostra finanza pubblica.
  Appare poi sicuramente troppo favorevole l'andamento del tasso di crescita previsto nel 2019 e nel 2020.
  Per il 2019, a fronte dell'1,4 per cento stimato dal Governo, il Fondo monetario prevede l'1,1 per cento. Il centro studi Confindustria stima l'1,2 per cento, come la Commissione europea, ma entrambi non incorporano gli effetti recessivi dell'aumento dell'IVA, cosa che invece fa il Governo. È importante, quindi, in questa fase di avvio della legislatura, ricordare i vari fattori di rischio.
  Ne aggiungo alcuni rispetto a quelli che ho citato finora: le conseguenze della fine delle politiche monetarie ultraespansive della Banca centrale europea; il previsto concludersi entro quest'anno del quantitative easing; la risalita dei tassi di riferimento prevista per la seconda metà del 2019; il contesto internazionale, che appunto sta peggiorando.
  Vi sono poi fattori di rischio interni, legati alla fine degli incentivi sugli acquisti di beni strumentali, che, benché graduale, avrà comunque un impatto negativo sul PIL italiano. L'attivazione automatica delle clausole di salvaguardia, che porterà, come sapete, a un aumento dell'IVA nel 2019 e anche delle accise nel 2020 e 2021, riducendo la capacità di spesa delle famiglie, e che impatterà negativamente sulla crescita tramite un calo dei consumi, se questo non verrà compensato da misure che sostengano il potere d'acquisto dei lavoratori.
  Il centro studi ha provato a stimare gli effetti cumulati nel triennio 2019-2021 dell'applicazione delle clausole rispetto a uno scenario che non ne prevede l'attivazione e, pur essendo numeri preliminari, ci aspettiamo quasi il 3 per cento in meno di crescita dei consumi delle famiglie, con un impatto non trascurabile sul PIL reale. Ne beneficerebbe, però, il rapporto debito-PIL, perché l'aumento dell'IVA si trasla sui prezzi. Quindi aumenta il PIL nominale e nel rapporto debito-PIL conta il PIL nominale, non quello reale. Dunque, il rapporto potrebbe anche ridursi, anche perché avremmo un aumento di gettito, quindi un effetto positivo sul numeratore.
  Ciò vale naturalmente nell'ipotesi che tutto l'aumento dell'IVA vada a riduzione del deficit pubblico e non ci sia una ricomposizione delle entrate. Non sono, infatti, da escludere effetti complessivi positivi sulla crescita se all'aumento dell'IVA si accompagnasse una rimodulazione delle imposte dirette.
  In questa fase Confindustria auspica che le clausole di salvaguardia siano disinnescate. Occorrerà, però, valutare attentamente il modo in cui farlo, evitando misure recessive ovvero capaci di pregiudicare la risalita del potenziale di crescita. Infatti, dati i rischi suscettibili di incidere negativamente sulla ripresa economica in atto, considerato che molte imprese ancora attraversano una fase di transizione e che sono tuttora diversi i deficit di competitività del nostro sistema Paese, è assolutamente determinante salvaguardare imprese e lavoro da un aumento dei carichi fiscali.
  Inoltre, c'è da considerare un altro fatto: rispetto agli anni passati non si può usare la flessibilità di bilancio con l'Europa, che era il modo in cui, in parte, venivano sterilizzate le clausole di salvaguardia. Ci sono Pag. 47almeno due ragioni: in primo luogo, poiché la ripresa è ormai consolidata, è tempo di ridurre più seriamente il debito pubblico e, soprattutto, la flessibilità di bilancio è stata ampiamente utilizzata negli anni scorsi. Sarebbe forse stato più opportuno risolvere la questione nei due anni precedenti approfittando della ripresa che continuare a trascinarci questo fardello che limita gli spazi di manovra della politica economica.
  In ogni caso, al fine dell'annullamento delle clausole di salvaguardia per il prossimo anno, si potrebbero iniziare a rivedere i meccanismi di compartecipazione dei privati al costo dei servizi pubblici. Nei settori ove attualmente il finanziamento dei servizi è quasi totalmente a carico del settore pubblico ci domandiamo se non sarebbe ragionevole chiedere un contributo maggiore a chi ha maggiori redditi e disponibilità.
  Peraltro, la stessa Corte dei conti, nell'audizione presso queste Commissioni qualche giorno fa, ha auspicato «una maggiore correlazione tra i servizi resi e le condizioni economiche e sociali complessive delle famiglie che li richiedono», cioè un maggiore spostamento della progressività dalle entrate alle spese attraverso la compartecipazione alla spesa pubblica.
  Inoltre, andrebbero sviluppati ulteriori meccanismi di tracciatura, come già fatto con la fatturazione elettronica tra privati, quindi lavorare sulla compliance fiscale con gli interventi attuati finora, potenziando gli istituti premiali, investendo maggiori risorse nel contrasto all'evasione diffusa, adottando modelli di memorizzazione elettronica degli scontrini e delle ricevute fiscali e specializzando i controlli. Questi sono fronti sui quali lavorare per recuperare quel tax gap che distorce la concorrenza tra le imprese e sottrae risorse alla crescita e all'equità.
  La questione delle clausole di salvaguardia mi porta a condividere alcune riflessioni in materia di finanza pubblica. Riscontriamo una generale concordanza tra le stime di questo Documento di economia e finanza e il quadro descritto nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza pubblicata a settembre 2017, con un deficit a legislazione vigente pari all'1,6 per cento nel 2018 e poi un miglioramento fino al raggiungimento di un surplus nel 2021.
  È indubbio, però, che ci troviamo di fronte a una situazione nella quale il Governo e il Parlamento saranno chiamati a predisporre misure correttive. Guardando all'anno in corso, va evidenziato che tutto il miglioramento del deficit sarebbe la conseguenza dei risparmi sulla spesa per interessi. È probabile che verremo chiamati a uno sforzo aggiuntivo di correzione dei conti pubblici per avviarci più rapidamente verso l'obiettivo del pareggio di bilancio, soprattutto se il Parlamento deciderà un diverso percorso per il 2019 e il 2020, che oggi incorpora, come detto, l'aumento dell'IVA.
  Il rapporto debito-PIL è previsto proseguire lungo un piano di rientro fino al 122 per cento nel 2021, sempre grazie all'aumento dell'IVA. Dobbiamo, però, notare che, rispetto alle stime presentate nel Documento di economia e finanza 2016, il rapporto nel 2017 è maggiore e anche le previsioni sui valori 2018-2019 sono state riviste al rialzo.
  Le previsioni su deficit e debito contenute nel Documento di economia e finanza appaiono ottimistiche rispetto sia a quelle del Fondo monetario internazionale che a quelle della Commissione europea, ma anche a quelle che aveva stimato il Centro studi di Confindustria a dicembre scorso.
  Per quanto riguarda il deficit, anche tenendo conto della diversa considerazione delle clausole di salvaguardia (nello scenario del Centro studi di Confindustria è ipotizzato che siano disattivate), nel 2019 la differenza tra le nostre stime e quelle del Governo rimane ampia, legata anche a una diversa dinamica del deflatore del PIL.
  Insomma, non possiamo abbassare la guardia sui conti pubblici. Il grado di esposizione dell'Italia è molto elevato e agli aumenti dei tassi di interesse legati alla fine della politica espansiva della BCE si potrebbe sovrapporre, in scenari meno favorevoli, anche l'aumento dello spread sui titoli a medio-lungo termine, aumento che, Pag. 48peraltro, in qualche modo stiamo già osservando in questi ultimi giorni.
  L'Italia, come sapete, ha un elevatissimo debito pubblico e tra il 2014 e il 2017, una volta usciti dalla seconda recessione, il debito in rapporto al PIL è rimasto praticamente allo stesso livello di fine 2014. Negli ultimi tre anni abbiamo fatto peggio nella riduzione del debito di tutti gli altri Paesi euro, a parte Francia, Lussemburgo e Finlandia, che hanno, però, debiti pubblici ben inferiori al 100 per cento del PIL e non hanno ragione di temere pressioni dei mercati finanziari.
  A questo dobbiamo aggiungere che negli ultimi tre anni l'Italia ha goduto di condizioni particolarmente favorevoli per quanto riguarda i tassi di rendimento reale sui titoli di Stato. I rendimenti di questi ultimi anni erano poco più della metà di quanto si aveva nella fase di avvio dell'euro, quando, come ricorderete, i tassi di interesse erano scesi notevolmente.
  Il mancato rientro del debito è da collegare al perseguimento di avanzi primari molto al di sotto di quanto necessario. Negli ultimi tre anni questi sono stati pari in media all'1,5 per cento del PIL, circa un terzo di quelli registrati tra il 1994 e il 2000.
  In questo senso, l'inerzia politica potrebbe improvvisamente rendere molto più costoso finanziare questo ingente debito, mettendo a rischio la tenuta economica del Paese. Insomma, i mercati stanno dando tempo all'Italia, ma l'attesa non potrà essere troppo lunga.
  Per quanto concerne, infine, la parte del Documento di economia e finanza che riguarda il Piano nazionale delle riforme, naturalmente questa guarda alle passate riforme della legislatura che si è chiusa, proprio perché il Documento di economia e finanza non è in questo caso un documento programmatico.
  Mi limito a dire che Confindustria ritiene che ci sia bisogno di un Governo che porti avanti alcune delle riforme che sono state fatte, che non smonti riforme che hanno avuto effetti positivi sull'economia. Il Documento di economia e finanza dà conto di quali potrebbero essere gli impatti economici sul PIL di Industria 4.0 o del Jobs Act. Insomma, bisogna partire da quello che è stato fatto e costruire qualcosa di nuovo, soprattutto per rendere il Paese più efficiente.
  Riteniamo che l'inefficienza del sistema giudiziario e dell'amministrazione pubblica, la presenza di ostacoli alla concorrenza e al processo di liberalizzazione dei mercati, un quadro regolatorio in materia di insolvenza e di escussione di garanzie non sempre organico e coerente con i tempi e le ragioni dell'economia siano ancora un freno alla crescita.
  Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, andrei a chiudere questo mio intervento ricordando che la fase economica e geopolitica è complessa ed è necessaria un'Italia che rassicuri. Il graduale rientro del debito pubblico rappresenta una precondizione necessaria per confermare la fiducia dei mercati e quella di imprese e cittadini. Non si tratta di fare drastici tagli di bilancio né di inseguire ricette miracolose. La strada maestra è un mix di avanzi primari, efficienza della spesa pubblica, politica dei fattori, cioè puntare ai fattori che determinano crescita economica a prescindere dai settori produttivi, e compliance fiscale. Al contempo, occorre riscoprire il nostro senso di appartenenza all'Europa, senza alibi e pregiudizi.
  Confindustria auspica che la risoluzione al DEF o le risoluzioni al DEF fissino alcuni punti fermi: rispetto assoluto degli accordi coi nostri partner europei sul graduale rientro del debito pubblico; impegno a ricercare soluzioni con misure non recessive per la tenuta dei conti pubblici; valutazione non ideologica delle riforme che hanno funzionato.
  Confindustria, come ha sempre fatto, si mette a disposizione di questo Parlamento in uno spirito di fattiva collaborazione nell'interesse generale di un'Italia più prospera e inclusiva.
  Vi ringrazio. Naturalmente, se ci sono domande, i miei colleghi e io siamo qui a disposizione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Montanino. Pag. 49
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  NUNZIO ANGIOLA. La relazione del rappresentante di Confindustria mi sembra molto interessante. Ho ascoltato con grande interesse le cose che ha detto. Vorrei fare una considerazione sul comportamento delle imprese che aderiscono a questo grande attore del mondo imprenditoriale italiano.
  L'ISTAT ha provato anche a chiedere agli imprenditori quali fossero le politiche di stimolo agli investimenti che erano loro più piaciute, perché il prodotto interno lordo italiano è cresciuto grazie agli investimenti interni lordi, quindi alla domanda interna.
  Si è parlato di superammortamento, di iperammortamento e di credito d'imposta per quanto riguarda l'investimento in ricerca e sviluppo.
  Sul piano del ragionamento che si colloca a valle di questa considerazione, si osserva come le imprese abbiano poi deciso, nell'ambito dei programmi di investimento, per il 40 per cento di ampliare la capacità produttiva; per il 25 per cento di sostituire gli impianti obsoleti; per il 20 per cento di razionalizzare; qualcos'altro per il 12 per cento. Se guardiamo le imprese più piccole, esse si concentrano sulla sostituzione degli impianti obsoleti nel 41 per cento dei casi.
  Benissimo, ne esce un quadro su cui vorrei interagire, direttore, con lei.
  Sui temi di innovazione e digitalizzazione, come si colloca il sistema imprenditoriale italiano? La risposta reale, effettiva, qual è stata in questi anni, visto che le decisioni di investimento si sono concentrate per percentuali così alte sull'incremento della capacità produttiva o sulla sostituzione degli impianti obsoleti?

  GILBERTO PICHETTO FRATIN. Brevemente, condividendo molte delle considerazioni fatte e dell'analisi svolta, che richiama peraltro il documento che Confindustria aveva presentato a Verona, ho solo una domanda, che è anche una curiosità.
  Si parla del rientro dal debito pubblico, marcando il fatto che il rientro deve avvenire con la tenuta dei conti pubblici, quindi con un intervento che deve essere basato sull'avanzo primario, chiaramente.
  La valutazione di un non rientro dal debito pubblico, ma di un riequilibrio percentuale, agendo sul prodotto interno lordo e non sul debito pubblico, come è presa in considerazione? Nella relazione si parla solo di politiche per il pareggio di bilancio.

  GIANPAOLO VALLARDI. Vorrei fare una riflessione assieme a Confindustria alla luce della recente direttiva sulle emissioni in atmosfera, che vincola gli Stati membri alla luce dei contenuti del Protocollo di Kyoto, e anche della decisione n. 2013/162/UE, che, come sappiamo, impone entro il 2030 una riduzione di oltre il 40 per cento, o almeno fino al 40 per cento, delle emissioni di gas serra in atmosfera.
  Giustamente, condivido il pensiero espresso di maggior coesione con l'Europa, maggior collaborazione, ma vorrei capire che cosa pensa Confindustria di questo provvedimento, che chiaramente l'industria italiana dovrà rispettare.
  Sappiamo che la geografia dell'industria italiana è molto a macchia di leopardo, concentrata soprattutto al nord. Per rispettare questa direttiva, le nostre aziende dovranno riconvertire dal punto di vista tecnologico la propria capacità produttiva, dovranno investire molto per raggiungere questi obiettivi. Ci sarà bisogno di notevoli investimenti. È chiaro che questo ci porterà notevoli difficoltà nella competizione, non solo con il resto dell'Europa, ma anche con il resto del mondo, dove, come sappiamo, spesso queste direttive non sono rispettate.
  Alla luce di questo, che cosa può fare Confindustria? Che cosa possiamo in questa fase procedurale di esame del DEF? Che cosa ci si aspetta dal prossimo Governo affinché l'industria possa comunque rispettare le disposizioni europee in materia di emissione e possa comunque rimanere competitiva all'interno dell'Unione europea, ma soprattutto anche nei confronti del resto del mondo?

  ALBERTO BAGNAI. Anche riallacciandomi all'ultimo intervento, vorrei fare qualche Pag. 50 domanda puntuale al dottor Montanino, che ringrazio per la sua esposizione molto chiara.
  Il dottor Montanino ha detto che il calo degli investimenti non può continuare, e questa è una visione comune espressa anche in audizioni precedenti a vari livelli. Ha anche detto che dobbiamo rassicurare i mercati, e a questo proposito mi sentirei di chiedere al dottor Montanino se Confindustria troverebbe poco rassicurante un'eventuale proposta in sede europea di adottare la cosiddetta golden rule, cioè di tenere le spese per investimenti pubblici al di fuori della valutazione dei parametri di stabilità finanziaria.
  Ho una seconda domanda puntuale. Il dottor Montanino ha detto che l'effetto inflattivo dell'aumento dell'IVA in qualche modo può controbilanciare l'effetto recessivo sul rapporto debito/PIL, dal momento che, in effetti, quello debito/PIL è un rapporto tra grandezze nominali. Naturalmente, però, se spingiamo questo ragionamento all'assurdo, allora portare l'IVA al 50 per cento ci darebbe dei benefici notevoli in termini di riduzione del rapporto debito/PIL.
  In termini tecnici, mi chiedo se il modello di valutazione di Confindustria di questi effetti prevede delle non linearità e se il dottor Montanino ci può dare una valutazione un po’ più puntuale di quale sarebbe l'effetto sulle due componenti del denominatore del rapporto, la componente reale e la componente di prezzo.
  Il dottor Montanino ci ha anche esortato, ha esortato chi dovrà gestire l'economia del nostro Paese nei prossimi mesi, a proseguire sul sentiero del consolidamento. Ora, noi abbiamo attraversato diverse fasi, anzi direi una fase, una lunga e prolungata recessione, che ultimamente si è alleviata. Ci siamo sentiti dire che dovevamo stare attenti ai conti pubblici e fare sacrifici in recessione, ce lo stiamo sentendo dire anche in espansione. Io vorrei capire una cosa in particolare, la domanda specifica è questa.
  Ci viene detto che adesso abbiamo un'opportunità da cogliere, a causa del livello particolarmente basso dei tassi. Voglio far notare che, quando abbiamo fatto sacrifici, nella stagione iniziata con il Governo Monti, partiti da un rapporto debito/PIL più basso, lo spread era molto alto; poi il rapporto debito/PIL è cresciuto, e adesso lo spread è di nuovo sceso. Sostanzialmente, non si vede la relazione tra livello del debito e livello dei tassi, che mi sembrava emergesse nel quadro analitico che il dottor Montanino ci ha prospettato.
  Sarei interessato a sapere esattamente come vede la questione. Se, pur comportandoci in un certo modo, abbiamo fatto crescere il rapporto debito/PIL, magari comportandoci nel modo opposto lo facciamo diminuire. Forse questo mio approccio è semplicistico e sicuramente il dottor Montanino potrà spiegarci perché.

  GIANLUCA BENAMATI. Sul tema dell'importanza del contenimento del bilancio pubblico e, quindi, di una gestione sostenibile del debito in rapporto al prodotto interno lordo sono già intervenuti i colleghi, quindi penso che le puntualizzazioni del direttore soddisferanno anche la mia la mia curiosità.
  Faccio riferimento, invece, alla parte del Documento di economia e finanza denominata «Programma nazionale di riforma», perché, ovviamente, per contenere il rapporto debito/PIL non è sufficiente contenere l'evoluzione del debito, ma è auspicabile incrementare la crescita, che è stato lo scopo precipuo delle politiche di questi anni. Infatti, ovviamente negli anni lontani più citati avevamo una crisi economica tale per cui perdevamo molti punti di prodotto interno lordo all'anno.
  Da questo punto di vista mi pare – e questa è la mia domanda – che le indicazioni del Centro studi di Confindustria siano abbastanza chiare. Cito dal testo, mi vorrà scusare il direttore: «Bisogna partire da quello che è stato fatto. Le riforme adottate costituiscono una preziosa eredità per il nuovo Governo». Nell'ottica dello slogan di Confindustria, «più lavoro, più crescita, meno debito pubblico», alcune di queste politiche vengono definite importanti, direi architravi, per una ripresa che è stata aiutata da molti fattori, export incluso. Come ha ricordato il direttore, è aumentato in Pag. 51maniera percentuale più il nostro export della domanda mondiale.
  Tuttavia, da questo punto di vista ho una domanda. Sono elencate alcune delle riforme di questi anni, il Jobs Act, Industria 4.0, la riforma fiscale, la finanza per la crescita, la promozione dell'internazionalizzazione delle imprese e quant'altro, e su alcune di queste viene fatta anche specificatamente un'analisi di sensitività relativa all'effetto di crescita che potranno avere nei prossimi anni (su un quinquennio, se non erro). Nella sua relazione c'è una valutazione dell'incidenza positiva sul PIL di queste riforme.
  Io le girerei la domanda, direttore: c'è un'analisi dell'effetto sul PIL ove queste riforme fossero in parte sterilizzate, in parte inattuate o del tutto cancellate?

  MARIO TURCO. Io vorrei soffermarmi sulla politica dei tassi d'interesse. In particolar modo, nell'attuale debolezza dei tassi di interesse, che ha garantito all'Italia, dal 2012 a oggi, risparmi per interessi per oltre 15 miliardi di euro, pari a circa l'1 per cento del PIL, a fronte del protrarsi di questa situazione, in questi ultimi anni noi abbiamo avuto una politica degli investimenti pubblici in contro tendenza, in quanto gli investimenti pubblici sono crollati in termini nominali del 30 per cento dall'inizio della crisi, ovvero del 2,2 per cento del PIL.
  La domanda è questa: secondo lei, a questo punto, i Governi che si sono succeduti in questi anni non hanno perso una grande occasione di attuare una massiccia politica di investimento? Vorrei conoscere il suo pensiero.

  DARIO GALLI. Sarà molto veloce perché i colleghi hanno già fatto moltissime domande estremamente interessanti. Faccio solo un paio di domande.
  Nella sua relazione mi pare di cogliere una tendenza quasi ragionieristica più che confindustriale. Vedo che voi siete molto attenti all'importanza di tenere sotto controllo il numerino, lo «zero virgola», però la sostanza della questione è che, anche se c'è stata un'inversione nominale di tendenza, credo che con l'1 e qualcosa per cento di crescita, dato che, già per l'anno prossimo, si prevede in realtà in riduzione, tanto lontano non andiamo.
  Sul discorso del pareggio di bilancio, visto che c'è questo obiettivo a prescindere, mi pare che sia almeno il terzo anno di fila che si dice che sarà raggiunto l'anno prossimo, ma quell'anno prossimo sappiamo benissimo tutti che non arriverà mai, perché, negli ultimi anni, 50, 60, 70 miliardi di euro di deficit all'anno comunque sono stati fatti. Con un PIL che non cresce o cresce al massimo dell'1 per cento, quindi con un denominatore che cresce, se va bene, di 15 miliardi all'anno, sarà difficile che con un numeratore tre volte più grande arriviamo velocemente al pareggio di bilancio.
  Da una parte vorrei capire perché si persegue questa tendenza quasi ad accompagnare il «piano generale della politica» del Governo, mentre dalla rappresentanza delle grandi industrie italiane io mi aspetterei, proprio per avere un contributo positivo, indicazioni su qualche cura shock da somministrare al sistema. Noi con lo 0,9 o l'1 per cento all'anno di crescita non andiamo da nessuna parte, non assicuriamo nessun futuro né al Paese né alle nostre future generazioni.
  Il concetto è che noi siamo completamente fuori da moltissimi settori strategici, dove altri Paesi emergenti, in particolare l'Estremo Oriente, ma anche i grandi Paesi europei, sono invece assolutamente presenti, e con quello che ci è rimasto in casa sarà ben difficile fare i grandi numeri.
  Secondo me, dovrebbero venire da parte dei rappresentanti degli industriali delle indicazioni, non necessariamente politicamente corrette, che magari al momento possono sembrare anche un po’ bizzarre, ma che diano la possibilità di avere un cambio di tendenza effettivo.
  Ne dico una su tutte, visto che prima si parlava di emissioni. Sulle batterie di futura generazione, il grafene per esempio, su quello che sarà il futuro dei prossimi anni, noi siamo totalmente fuori, a parte qualche trascurabile iniziativa. Altri Paesi stanno investendo pesantemente nel settore e fra qualche anno, oltre al petrolio e al carbone, Pag. 52dovremo andare a comprare anche le batterie, ammesso di avere i soldi per comprarle.
  Tuttavia, dette queste cose sul senso profondo delle scelte tecnologiche su cui basare eventualmente i grandi piani, da una parte, possiamo anche andare avanti a fare raccordi autostradali, viadotti e gallerie, facendo girare un po’ di soldi, ma non aumentiamo il PIL, non facciamo prodotti per l'esportazione, non stiamo al passo con gli altri. Sono cose che si dovrebbero fare a prescindere, ma che comunque non comportano il salto di qualità.
  Dall'altra parte, restando magari più nello specifico del Documento di economia e finanza, vorrei indicazioni precise su quelle che potrebbero essere, eventualmente, le leve competitive per contribuire alla crescita. In questo senso, dal vostro punto di vista, quali sono le cose più significative? La tassazione, perché comunque, se riduco un po’ di tassazione gravante sulla busta paga, come minimo aumento i consumi interni e chi lavora per il mercato interno ha qualche vantaggio? Il cuneo fiscale è significativo? L'avevo chiesto anche nelle audizioni precedenti, ma non ho avuto risposta.
  Alcune cose ci lasciano completamente fuori mercato rispetto ad altri. Non sento mai parlare, ad esempio, del costo dell'energia elettrica. In Lombardia, rispetto alla vicina Svizzera, paghiamo la corrente due volte e mezzo. Non è una cosa da poco per chi ha gli altoforni, i forni elettrici o industrie di questo tipo.
  Senza farla tanto lunga, vorrei qualche idea, oltre al fatto di fare i bravi studenti che fanno i compitini a casa. Rispettiamo i parametri, rispettiamo le indicazioni europee, rispettiamo tutte queste cose qui, ma vorrei sentire qualcosa che ci faccia pensare almeno di poter ripartire in maniera significativa su qualche grande filone industriale, che non è quello che stiamo facendo negli ultimi anni.

  ANTONIO MISIANI. Ho tre domande. Nel dibattito pubblico, prima, durante e dopo la campagna elettorale, sono state avanzate proposte molto ambiziose dal punto di vista dell'impatto sui conti pubblici, dall'abolizione della legge Fornero alle varie proposte di reddito di cittadinanza e quant'altro.
  Nell'ipotesi in cui questi programmi ambiziosi vengano finanziati in deficit e sostanzialmente si traducano in uno shock espansivo, per riprendere un'espressione usata da un collega, che impatto avrebbe uno shock espansivo, quindi un forte allontanamento dal sentiero verso l'obiettivo di medio termine, sulle condizioni di finanziamento del debito pubblico italiano e, in ultima istanza, sulle variabili macroeconomiche?
  L'impressione è che le politiche espansive di questo genere in un'economia aperta e integrata come quella italiana, che fa parte di un'unione economica e monetaria come quella europea, alla fine verrebbero vanificate da un rapido e drastico peggioramento delle condizioni. Mi interessa un vostro parere.
  In secondo luogo, voi insistete molto sul ruolo delle riforme strutturali per colmare il gap di crescita che ormai l'Italia manifesta da vent'anni rispetto alle altre economie della zona euro: che opinione avete, invece, sul peso della demografia italiana e della disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza nel nostro Paese? Non avete l'impressione che anche queste variabili pesino almeno altrettanto dei ritardi italiani nella giustizia civile, nelle infrastrutture e in tutti gli ambiti che, legittimamente e giustamente, menzionate nelle vostre prese di posizione?
  Con la terza domanda concludo. Su «Industria 4.0» c'è un giudizio molto positivo. Oggettivamente, è un programma che ha aiutato, e speriamo aiuti anche in futuro, il settore produttivo italiano a colmare il gap rispetto alle altre economie in materia di digitalizzazione.
  Che valutazione date, però, dell'impatto della digitalizzazione del sistema produttivo sull'occupazione? Leggiamo studi molto divergenti da questo punto di vista, dalle ipotesi catastrofiste di forti riduzioni dell'occupazione in seguito alla robotizzazione dell'industria ad altre più prudenziali. Mi interessa un parere di Confindustria in questo senso.

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  GIUSEPPE BUOMPANE. A prescindere dalla puntuale e tecnicissima disamina che Confindustria fa del DEF con questo suo contributo, io mi sarei aspettato, sull'onda di un po’ di intraprendenza imprenditoriale, che dovrebbe connotare Confindustria, una serie di proposte piuttosto che «numerini», anche con dei passaggi che mi hanno lasciato non poco basito. Dire che l'aumento dell'IVA, più o meno, non sarebbe un danno così grave, perché ridurrebbe il rapporto tra debito pubblico e PIL, mi sembra lanciarsi in territori alquanto pericolosi. Andiamo a spiegarlo ai cittadini che aumentiamo l'IVA e abbiamo l'effetto positivo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e PIL, ma mi sembra che non si aiuti l'Italia in questo modo.
  A prescindere da questo, vorrei fare alcune domande. In tema di green economy, non sentiamo mai parlare di un investimento intelligente su questo settore, che sicuramente potrebbe aprire scenari nuovi nell'economia italiana. Su un piano energetico nazionale non so come la pensi Confindustria. Forse, è arrivato il momento di cominciare ad avere una visione di più ampio respiro, magari decennale, quindicinale, che ci permetta di abbandonare determinati combustibili fossili, magari ripiegando sulle energie rinnovabili.
  Inoltre, a proposito delle tax expenditures, vorrei sapere se Confindustria ha mai fatto qualche studio per stimare l'effetto di un loro spostamento a settori a più alto moltiplicatore occupazionale e se può darci suggerimenti in tal senso.

  MASSIMO MALLEGNI. Sarò breve, perché gli elementi emersi, in particolare negli ultimi due interventi, rappresentano un po’ quello che avrei voluto dire io. Cerco di riassumere rapidamente, per poi fare alcune domande specifiche. La prima è una constatazione.
  Debbo dire che anch'io mi aspettavo da Confindustria un atteggiamento diverso su questo Documento di economia e finanza, che, come lei ha ricordato all'inizio del suo intervento, è scarno dal punto di vista di indirizzo politico, quindi di sostanza, poiché viene presentato da un Governo uscente. Avendo voi, però, l'opportunità di confrontarvi con i gruppi parlamentari del nuovo Parlamento, che comunque pare si accinga a formare un nuovo Governo, francamente – glielo dico da parlamentare e da membro di Confindustria – sono rimasto abbastanza deluso.
  Io voglio vedere una Confindustria che si interfaccia con la politica battendo il pugno sul tavolo, che porta all'attenzione della politica elementi, come diceva prima l'onorevole Galli, che possano anche apparire fuori dalla logica che ha guidato l'attività di Governo in questi anni. Francamente, l'avrei gradito.
  È un esempio tutta la questione del Codice degli appalti. Con l'applicazione del Codice degli appalti abbiamo bloccato tutta l'economia nazionale, partendo dall'economia del territorio. Io incontro di continuo rappresentanti degli industriali, delle imprese, l'ho fatto da amministratore locale e oggi lo faccio da parlamentare, mi ci sono confrontato anche nella recente campagna elettorale, e la prima questione che mi è stata posta è stata proprio quella del Codice degli appalti, anche nel rapporto con la pubblica amministrazione locale.
  Se mettiamo imprenditori, iscritti a Confindustria e non iscritti a Confindustria, che svolgono attività sul territorio nelle condizioni di tornare a dialogare con le amministrazioni locali, in modo tale che riprendano a fare investimenti nel territorio, oggi completamente bloccati, credo che l'impulso all'economia di questa Nazione potrebbe essere importante. I temi sono, quindi, quello del Codice degli appalti e quello del rapporto con gli enti locali, che sono 8.000 e rappresentano un'economia incredibile e possono dare una spinta immediata al prodotto interno lordo del territorio.
  La terza questione è stata accennata brevemente dai colleghi che mi hanno preceduto: il costo del lavoro.
  Non dobbiamo buttar via il bambino con l'acqua sporca – ci mancherebbe altro – ma non possiamo accontentarci del «Jobs Act» o del superammortamento. Io da imprenditore l'ho fatto, ho cercato di fare tutto quello che era possibile, ma questo non vuol dire che sono soddisfatto; vuol Pag. 54dire che mi sono avvalso di tutti gli strumenti che erano a disposizione, anche se totalmente insufficienti rispetto a una necessità reale, oggettiva, dell'impresa nazionale. Gli imprenditori non chiedono nulla, chiedono solo di lavorare, di essere messi in condizione di fare, come non è avvenuto, compresa la questione dell'energia.
  È possibile che debbano essere le imprese a costituirsi, e lei sa di che cosa parlo, perché Confindustria lo fa tutti i giorni, in consorzi energivori che all'estero acquistano l'energia elettrica, in Svizzera o in altri Paesi europei o extraeuropei? E noi carichiamo in maniera incredibile la bolletta di accise e di cosiddetti strumenti di trasporto dell'energia. Le imprese hanno grandissima difficoltà.
  Mi trovo sempre dalla parte sbagliata. Io, al posto vostro, sarei arrivato qua dicendo: questo è un nuovo Parlamento, dimostrateci che potete invertire la rotta. Questo chiedono le imprese, non chiedono altro. Avrei preferito veramente, e mi scuso – non ce l'ho col dottor Montanino, si figuri se mi permetto di avercela con lei – dire queste cose al suo presidente, dico la verità. Sono, però, questioni che questo Parlamento deve risolvere. Se avessimo anche il supporto, una volta gradito, delle imprese, a noi francamente non dispiacerebbe.
  Chiedo scusa se mi sono dilungato, presidente.

  ANTONIO ZENNARO. Mi riallaccio agli interventi precedenti. Di fatto, noi arriviamo da anni in cui è stata fatta una politica espansiva, perché vorrei ricordare che il debito pubblico negli ultimi anni non è diminuito, ma è cresciuto. Se consideriamo gli ultimi tre anni, siamo intorno ai 110 miliardi di euro. Dunque, i timori che in questo momento sono agitati dai media, ma più in generale da grandi opinionisti, di tenuta dei conti pubblici, messa a repentaglio da eventuali politiche espansive, forse sono del tutto infondati.
  Vorrei porre questa domanda. Di fatto, arriviamo da tre anni di politica espansiva. Mi chiedo se questi effetti hanno comportato (non mi sembra, però questa è una domanda) una crescita strutturale o se la crescita che abbiamo registrato è, piuttosto, una conseguenza dell'attività della Banca centrale europea, che ci ha garantito in questo caso la forza strutturale necessaria alla tenuta dei conti pubblici.
  La seconda domanda concerne il tema dell'accesso al credito. In questi anni in Europa si è verificato il fenomeno di deleverage a causa di un minor ruolo del sistema bancario in tema di accesso al credito. In Italia abbiamo magari chi riesce comunque ad avere accesso ai finanziamenti attraverso strumenti di finanziarizzazione (parliamo dei «mini-bond» o, comunque, dell'accesso al mercato dei capitali attraverso la borsa) e chi, invece, non riesce a entrare sul mercato dei capitali, magari perché più piccolo o anche perché opera in settori merceologici che non sono trainanti. Parlo dell'edilizia, ma anche di attività tradizionali. In questo caso, qual è la proposta di Confindustria per migliorare l'accesso al credito?

  PRESIDENTE. Do la parola al direttore del centro studi Andrea Montanino per la replica.

  ANDREA MONTANINO, direttore del Centro studi di Confindustria. Innanzitutto ringrazio per gli interventi, che valuto tutti in senso positivo, nel senso che mi sembra si sia instaurata una bella discussione intorno alla relazione che abbiamo predisposto. Non potrò rispondere puntualmente a tutti. Ci riserviamo, quindi, di mandare risposte scritte a queste Commissioni.
  Mi soffermo sulla questione principale che è emersa, che è quella della crescita. È evidente che la riduzione del rapporto debito/PIL non si ottiene soltanto con l'avanzo primario, quindi aumentando le entrate o tagliando le spese pubbliche. Come dicevo nella relazione, è il risultato un mix di azioni.
  Probabilmente quello di cui l'Italia ha bisogno molto più che nel passato è un tasso di crescita più elevato. L'1,5 per cento di crescita che abbiamo fatto nel 2017 è un punto di PIL in meno rispetto alla media dell'eurozona. La Spagna cresce il doppio di noi; la Francia, la Germania, i nostri Pag. 55principali competitor europei, crescono più di noi; gli Stati Uniti crescono a tassi superiori al 3 per cento. È, quindi, ovvio che quell'1,5 per cento non è assolutamente sufficiente. Non è sufficiente né per garantire, come diceva qualcuno, contro una demografia avversa, cioè una demografia che, in qualche modo, porta le persone a vivere sempre più a lungo e a fare sempre meno figli, e non è sufficiente a garantire il livello di welfare a cui siamo abituati finora.
  Dunque, come si cresce? A Verona qualche mese fa Confindustria ha presentato un documento abbastanza articolato, con delle stime. Abbiamo valutato in modo molto prudenziale – invito a leggere quel documento – che si possono movimentare in cinque anni 250 miliardi di risorse. Con la riallocazione di queste risorse, si potrebbe arrivare a creare 1,8 milioni di posti di lavoro; non 1,8 milioni in più in assoluto; infatti, rispetto a un trend che comunque è positivo (a legislazione invariata l'occupazione dovrebbe crescere), ci sarebbe un aumento di circa 800.000 posti di lavoro se si facesse un'operazione così massiccia. Si potrebbe ridurre il debito pubblico in rapporto al PIL di venti punti, arrivando intorno al 110 per cento, e avere un tasso di crescita medio reale intorno al 2 per cento.
  Quel documento presenta una serie di proposte e di articolazioni su cui Confindustria si impegna a lavorare e su cui, in qualche modo, vorrebbe lavorare con questo Parlamento, perché è evidente che è necessario per noi confrontarci e ci piacerebbe entrare nel dettaglio delle singole misure. Ovviamente non potevamo farlo in questa relazione.
  Una parte importante di questo programma per generare più crescita passa per l'Europa ed è per questo che noi insistiamo sulla necessità di lavorare per un'Italia forte in un'Europa forte. Ci sono due questioni importanti. La prima è il completamento del mercato unico.
  Lei prima faceva riferimento al tema dell'accesso al credito. L'accesso al credito è una questione importante, ma il mercato unico dei capitali in Europa è altrettanto importante per avere credito. Sono regole europee, quindi dobbiamo lavorare per avere un mercato unico dei capitali. Pensando al tema dell'energia, se non abbiamo un mercato unico dell'energia in Europa, i costi dell'energia italiani rimarranno sempre elevati.
  L'Europa deve contribuire a generare quel contesto di regole che favorisce la crescita, anche perché noi competiamo, non più con i francesi o i tedeschi, ma con gli indiani e i cinesi, quindi è l'Europa contro il resto del mondo (mettiamola così).
  Un'altra questione importante sono le risorse. Prima si faceva riferimento alla golden rule. La golden rule può essere una possibilità e un'opzione dal punto di vista di un intervento temporaneo. Sfruttando tassi d'interesse bassi, oggi si potrebbe immaginare un aumento degli investimenti utilizzando il bilancio pubblico nazionale per recuperare il gap, ma è anche vero che, se si avessero risorse a livello europeo – noi abbiamo parlato in maniera molto esplicita di eurobond. È una parola che ai tedeschi non piace; chiamiamolo pure in un altro modo –, se dotassimo l'Europa di risorse finanziarie proprie, non per la mutualizzazione dei debiti nazionali, ma per finanziare reti infrastrutturali, capitale umano e ricerca, che è un'altra delle gambe di cui abbiamo parlato, a questo punto non servirebbero più i bilanci nazionali, perché avremmo delle risorse a livello europeo. Ecco perché, secondo noi, l'Italia deve battersi per portare avanti una propria proposta in Europa, per fare in modo che l'Europa abbia risorse per la crescita.
  Quindi – ripeto – senza entrare troppo nel merito delle varie questioni, è evidente che i prossimi anni sono gli anni in cui noi dobbiamo generare più crescita economica. Non ci possiamo accontentare di quell'1,5 per cento di PIL. Si devono fare tante cose.
  A me non piace parlare di riforme strutturali, perché cos'è una riforma strutturale? Le riforme si fanno sempre e ci sono anche quelle non strutturali, che sono altrettanto importanti. Far funzionare la pubblica amministrazione o avere un Codice degli appalti che funziona non sono riforme strutturali, sono magari micro-riforme che, però, possono avere effetti altrettanto Pag. 56 positivi. Penso anche ad avere un'amministrazione fiscale efficiente. Sono piccole cose, magari perché sono poco visibili, ma hanno un grande impatto sull'economia. Dunque, non parliamo sempre di riforme strutturali, parliamo di manutenzione del Paese attraverso un efficientamento dello stesso.
  Sono tante le cose da fare. Confindustria ha le sue idee, che vorrebbe condividere con voi e probabilmente, finita questa fase di avvio del nuovo Parlamento e di questa legislatura, ci sarà sicuramente l'occasione per entrare nei dettagli di tutte queste misure.

  PRESIDENTE. Ringrazio la delegazione di Confindustria. Saluto Andrea Montanino, direttore del Centro studi; Francesca Mariotti, direttore area politiche fiscali; Simona Finazzo, direttore area rapporti istituzionali; Alessandro Fontana, del Centro studi; Anna Candeloro, area comunicazione, Chiara Papaduli, area rapporti istituzionali, e Rocco Cifarelli, area affari legislativi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.
  Sono presenti Patrizia De Luise, presidente di R.ETE. Imprese Italia e di Confesercenti; Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti; Giovanna Nanna, responsabile relazioni esterne di Confesercenti; Giuseppe Fortunato, responsabile relazioni istituzionali di Confesercenti; Rolando Antonelli, responsabile area fiscale di Casartigiani; Danilo Barduzzi, responsabile area economica di Casartigiani; Claudio Giovine, direttore divisione economica e sociale di CNA; Stefania Multari, direttore relazioni istituzionali di Confartigianato imprese; Luciano Gaiotti, responsabile direzione centrale politiche e servizi e per il sistema di Confcommercio-Imprese per l'Italia e, in ultimo, Valerio Maccari, responsabile ufficio stampa di Confesercenti.
  Do la parola alla presidente De Luise per lo svolgimento della sua relazione.

  PATRIZIA DE LUISE, presidente di R.ETE. Imprese Italia. Buona sera a tutti. Grazie, presidente, per l'invito e grazie a tutti voi che siete qui ad ascoltarci per il tempo che ci dedicate.
  Sono qui in rappresentanza di R.ETE. Imprese Italia e delle associazioni CNA, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti e Casartigiani.
  Noi abbiamo consegnato un documento e vi risparmierò di darne lettura, cercando piuttosto di compierne una sintesi ed indicando ovviamente le questioni che noi riteniamo fondamentali.
  Faccio un breve preambolo: il Documento di economia e finanza ha il compito di presentare un quadro economico e le linee di politica economica che il Governo intende seguire negli anni successivi. Naturalmente nel Documento di economia e finanza 2018, in assenza di un Governo, non sono esplicitati i programmi di politica economica per i prossimi anni. Dal punto di vista delle previsioni macroeconomiche, viene quindi proposto solamente il quadro a legislazione vigente mentre non è reso disponibile il quadro programmatico, ovvero quello scenario che incorpora le misure che il Governo intende mettere in campo e che per noi sono fondamentali per capire come poter investire, fare impresa e far rendere al meglio le nostre imprese.
  Lo scenario del Documento di economia e finanza si basa su un'ipotesi di ripresa che, seppure a ritmi non eccezionali, si manterrebbe comunque su livelli vicini all'1,5 per cento sino al 2021. Sono presenti, però, diversi elementi di incertezza che ci preoccupano non poco. Le stime sulla crescita italiana nel primo trimestre di quest'anno hanno mostrato una variazione del PIL dello 0,3 per cento. La fase di volatilità che ha caratterizzato i mercati finanziari ci ricorda come uno dei temi principali del Pag. 57quadro economico del 2018 sia rappresentato dai programmi di superamento del quantitative easing da parte delle banche centrali.
  Inoltre, preoccupano anche gli effetti che possono derivare dall'apertura del fronte delle guerre tariffarie innescate dall'annuncio dell'introduzione di dazi da parte degli Stati Uniti.
  C'è un altro elemento, non ultimo per preoccupazione ed anzi assai importante, che è rappresentato dal quadro politico internazionale, in particolare dalla crisi in Siria.
  Dal 2019 la politica economica del quadro tendenziale del Documento di economia e finanza si basa su assunzioni di finanza pubblica relativamente restrittive: una discesa del deficit continua, particolarmente marcata nel 2019 e nel 2020, quando in due anni si passerebbe da un deficit dell'1,6 per cento nel 2018 ad un pareggio nel 2020.
  Questo quadro ha il suo sostanziale perno sugli effetti delle clausole di salvaguardia, con aumenti di gettito significativi legati all'aumento dell'IVA. Come R.ETE. Impresa Italia noi riteniamo che questo sia un punto fondamentale in vista della prossima legge di bilancio, che dovrà in quella sede essere affrontato e risolto, perché dopo quasi due anni di lento recupero dei livelli di attività economica finalmente nel 2017 l'Italia sembrava aver imboccato questo percorso di sviluppo più sostenuto. Tuttavia, nonostante i segnali positivi, il quadro attuale evidenzia persistenti fattori di debolezza, misurati dall'ampia distanza che continua a registrarsi rispetto alle dinamiche dell'Eurozona. Le stesse previsioni governative contenute nel Documento di economia e finanza appena diffuso scontano, a partire dal 2018 e fino al 2021, un differenziale cumulato di crescita di ulteriori due punti rispetto alla media dell'Unione europea.
  Se, dunque, dal 2014 l'Italia è uscita tecnicamente dalla crisi, occorre che la fase di ripresa, per quanto non a ritmi eccezionali, si protragga affinché le gravi condizioni di disagio determinatesi nel corso dell'ultimo decennio riescano ad attenuarsi.
  Le prospettive dell'economia italiana dei prossimi anni dovranno essere pertanto sostenute da un'azione politica che dia finalmente piena attuazione ai princìpi contenuti nello Statuto delle imprese, in base al quale le norme devono essere semplici, chiare, di diretta applicazione, ma soprattutto proporzionali alle dimensioni di impresa e al settore di attività dell'impresa stessa. Questo è fondamentale: le imprese non sono tutte uguali, né come dimensioni né come capacità.
  Voglio ricordare che come R.ETE. Imprese Italia noi rappresentiamo un mondo di micro, piccole e medie imprese, dove l'imprenditore è il lavoratore della propria azienda, apre la saracinesca la mattina e la chiude la sera.
  Le clausole di salvaguardia dominano dal 2011 il palcoscenico della finanza pubblica, riproponendo uno schema inalterato: l'assunzione dell'impegno ad adottare determinati provvedimenti di spesa o di entrata, fatta salva la possibilità di sostituirli con misure di pari importo. A distanza di sette anni, il sistema delle clausole appare confinato in una realtà virtuale.
  È bene, quindi, porsi alcuni interrogativi. Il primo riguarda le finalità di un istituto che sembra ormai connotarsi più come una presa d'atto delle difficoltà e dei ritardi nella revisione della spesa pubblica e nel riequilibrio del prelievo, che come uno strumento utile per raggiungere gli obiettivi di bilancio. Il secondo interrogativo attiene agli effetti che le clausole di salvaguardia potrebbero avere sul grado di manovrabilità della leva fiscale. Il terzo, ma certo non ultimo per importanza, riguarda gli effetti che l'introduzione e la cancellazione di una clausola di salvaguardia possono avere sulle decisioni delle famiglie e delle imprese.
  Le imprese per poter investire e programmare il loro investimento e il loro sviluppo hanno bisogno di certezze, hanno bisogno di sapere quali sono le regole del gioco. Non si può sapere solo quello che avviene da qui a tre mesi; noi abbiamo bisogno di sapere qual è la visione di sviluppo del Paese che si intende dare, altrimenti Pag. 58 rimane difficile poter decidere e realizzare gli investimenti.
  Allo stesso modo, nel gioco delle aspettative che guidano comportamenti e scelte delle famiglie e del mondo produttivo, non può risultare indifferente né rassicurante sapere che fra pochi mesi occorrerà fare i conti con un aumento automatico delle imposte come quello previsto dalla clausola di salvaguardia inserita nella legge di bilancio per il 2018.
  Nell'attuale situazione di ripresa economica non solida appena avviata e soprattutto di consumi non ancora consolidati – perché di questo stiamo parlando –, l'operare delle clausole di salvaguardia attraverso l'aumento delle aliquote IVA sui beni di consumo provocherebbe un aumento dei prezzi, rilevato peraltro anche nel Documento di economia e finanza, che, anche ipotizzando un parziale assorbimento da parte delle imprese e della distribuzione, in particolare considerato come la domanda non sia sostenuta, avrebbe comunque un grave impatto sulle famiglie, soprattutto su quelle meno abbienti di cui l'ISTAT ci ha dato notizia proprio nei giorni recenti.
  Tenete conto che l'ultimo aumento dell'IVA è stato principalmente assorbito dalle imprese, ma allora le imprese erano in una condizione in cui potevano anche farlo, mentre adesso stanno vivendo momenti ben più difficili. In sostanza, quindi, per una prospettiva di ripresa duratura dell'economia italiana occorrono delle politiche a misura delle micro, piccole e medie imprese, affinché l'Italia possa davvero consolidare e irrobustire la crescita economica in atto e soprattutto guardare con fiducia al futuro.
  Teniamo conto che nel nostro Paese il 95 per cento delle imprese – e parliamo di oltre 4 milioni di imprese – ha non più di dieci dipendenti. Che ci piaccia o meno, questa è la fotografia del nostro Paese, quindi queste imprese vanno sostenute per poter consolidare lo sviluppo economico del Paese stesso e soprattutto favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, altro elemento fondamentale per garantire certezza e stabilità alle famiglie.
  Infatti, come dicevo, l'importanza delle micro e piccole imprese è evidente anche in termini economici, dal momento che offrono contributi molto ampi alla formazione del fatturato, del valore aggiunto, degli investimenti, delle esportazioni. Trovate i numeri e le percentuali nel nostro documento.
  La XVIII legislatura, quindi, dovrà confrontarsi con una scelta di fondo, cioè se ricominciare o meno dal punto in cui si sono interrotte le riforme interne e gli interventi relativi al confronto internazionale avviati nella scorsa legislatura.
  Inoltre, consentitemi questa riflessione: non ci può essere uno sviluppo senza un dialogo interattivo tra gli attori politico-istituzionali e le imprese, poiché sono tutti coinvolti nei processi di consolidamento del Paese e di innovazione attesa.
  Il futuro dell'Italia, infatti, si gioca proprio sulla sua capacità di accogliere e rendere operativo il cambiamento, soprattutto se verranno create sedi e procedure per mettere assieme quei soggetti che hanno lo stesso interesse e la stessa spinta per raggiungere questo obiettivo di sviluppo. I partiti, le associazioni di impresa, le istituzioni, i sindacati, in una società civile ed evoluta rappresentano dei punti di riferimento fondamentali per garantire la piena democrazia.
  Ognuno di noi, per quanto gli compete, deve saper rispondere, quindi, alle esigenze dei cittadini, delle imprese, dei lavoratori, ed essere aperto al confronto e al dialogo. Solo così si possono porre delle solide basi per la crescita del Paese. Noi mettiamo a disposizione di questo Parlamento tutte le nostre conoscenze del settore – e noi abbiamo il polso della situazione con le nostre imprese – per far sì che gli interventi siano mirati a raggiungere al più presto possibile gli obiettivi perseguiti, per cercare di perdere meno tempo possibile e per affermare lo sviluppo delle imprese, che vuol dire lo sviluppo del Paese.
  L'Italia potrà essere ancora un grande Paese europeo occidentale? Certamente sì, dentro l'Unione europea e dentro l'euro, ma solo se la crescita del PIL riprenderà a ritmi più sostenuti dei nostri competitor di Pag. 59riferimento, se verrà riportato sotto controllo il debito pubblico e se il nostro sistema dei poteri si sarà assestato su un maggiore equilibrio tra centro e periferia, riducendo quel divario Nord-Sud che sappiamo quanto pesa su un armonico sviluppo economico del Paese.
  Per ricapitolare e riassumere velocemente i punti che ho cercato di illustrarvi, noi auspichiamo che la futura legge di bilancio raccolga queste nostre proposte e riteniamo che occorra agire per ridurre e rendere più equo il prelievo fiscale già esistente, a livello centrale e locale, soprattutto armonizzando il prelievo locale, in quanto la sua mancata armonizzazione non permette alle imprese di lavorare sulla base delle stesse condizioni. È un prelievo molto alto, che va oltre il 60 per cento del reddito prodotto. Anche la web tax è molto importante. Al riguardo, occorrono infatti azioni efficaci contro le concorrenze sleali e l'abusivismo, con cui ci dobbiamo confrontare quotidianamente.
  Per sbloccare lo sviluppo dobbiamo agire anche sulla zavorra della burocrazia, intervenendo non tanto sul numero delle regole cui noi siamo sottoposti quanto sulla tempistica con cui si danno le risposte. Questo è un punto fondamentale. Per fare impresa non si possono aspettare mesi per poter affrontare il progetto d'impresa, perché un'idea d'impresa che abbiamo oggi fra sei mesi o un anno non ha più valore di essere. Questa burocrazia costa alle imprese 22 miliardi di euro l'anno.
  Tra gli obiettivi di semplificazione c'è anche la necessità di una giustizia più certa e più rapida. I processi civili non possono durare in media 991 giorni. Questo spiega anche come per noi sia difficile essere attrattori per il nostro Paese nei confronti degli investitori esteri. Hanno proprio timore di questo. Quando noi li incontriamo e ci confrontiamo con loro, questo è il timore fondamentale che vedono nel nostro Paese.
  Venendo al capitolo del credito, dal 2011 a oggi il credito bancario alle imprese è diminuito del 20 per cento, eppure le imprese solo dal sistema bancario riescono a reperire i fondi necessari per poter portare avanti il loro sviluppo.
  Noi siamo convinti che la competitività delle imprese e del Paese passi proprio attraverso la diffusione dell'innovazione – ho sentito che se ne è parlato anche nella precedente audizione –, ma evidentemente l'innovazione non può essere pensata solo per una determinata tipologia di impresa. Proprio perché nel nostro Paese c'è questo 95 per cento di piccole e medie imprese, occorre che l'innovazione sia concepita ed attuata in modo che sia anche a favore e a disposizione delle piccole e medie imprese, altrimenti non centreremo mai l'obiettivo.
  Il made in Italy è un bene primario per il nostro Paese, da tutelare e promuovere, perché valorizza la nostra economia ed è un motore delle nostre esportazioni.
  È altresì di fondamentale importanza per tutte le imprese non fare un passo indietro sul lavoro. Il Jobs Act ha introdotto novità importanti, condivise e necessarie, però occorre attenzione, perché ogni sforzo che viene compiuto sul piano del lavoro sarà reso nullo se noi non faremo progressi anche sul fronte della formazione. Per troppo tempo la formazione nel comparto delle piccole e medie imprese è stata sottovalutata.
  Pensiamo anche agli imprenditori. Negli ultimi dieci anni noi abbiamo perso 630.000 imprenditori. Molti di loro non sono usciti per andarsene in pensione, ma sono degli imprenditori da ricollocare. Bisogna pertanto pensare anche per loro un modo per essere ricollocati.
  Occorre anche una nuova Europa, un intervento più incisivo dell'Europa stessa sui temi che hanno una portata che va oltre i confini degli Stati, come la sicurezza, l'immigrazione, le dogane, il commercio elettronico.
  Infine, noi auspichiamo che vengano finalmente rese operative l'entrata in vigore dell'IRI, la deducibilità dell'IMU sugli immobili strumentali e la riduzione dell'IRAP.
  Vi ringrazio e spero di essere stata sintetica come avevo promesso.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Pag. 60
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DARIO GALLI. Sarò molto veloce. Innanzitutto la ringrazio per la sua esposizione, ma una chiosa di dieci secondi va fatta: in mezz'ora abbiamo avuto un importante rappresentante che ha detto che l'aumento dell'IVA aumenta il PIL e un altrettanto importante rappresentante che, mi pare più correttamente e con più buonsenso, ha affermato che con l'aumento dell'IVA il PIL un po’ diminuisce. Poi ci si lamenta di come va il Paese. Se in mezz'ora in un luogo come questo, vale a dire presso le Commissioni speciali di un Paese che non sa come partire, arrivano due rappresentanti di alto livello a dire, non marginalità, ma uno che il PIL aumenta e l'altro che diminuisce, noi povera «casta» cosa ci possiamo fare?
  Fatta questa premessa, tornando un po’ sulle questioni serie – e non che quella di prima non lo fosse –, la ringrazio perché rappresentando le piccole imprese, quindi il cuore, il sangue e la carne del Paese, lei ci ha sicuramente detto cose che, rispetto ad altre esposizioni più filosofiche, a me sono parse essere più concrete.
  Le voglio porre una domanda, anche se lei ha già fornito un elenco degli interventi auspicabili. Non potendo fare tutto o tutto subito ovvero dovendo individuare una priorità, tra le cose che lei ha detto e per semplificare gliene dico qualcun'altra io, vale a dire tra una riduzione delle tasse, comunque la vogliamo chiamare, sulla busta paga e sul reddito da impresa, che porta come minimo maggior potere d'acquisto e maggior mercato interno, soprattutto per le piccole imprese e gli esercizi commerciali, un intervento pesante sul cuneo fiscale, un intervento pesante sulla normativa o altre misure quali potrebbero essere un intervento sugli studi di settore o altri interventi di questo tipo, dal vostro punto di vista quale tra le predette misure potrebbe risultare nell'immediato più efficace?

  ANTONIO ZENNARO. Mi ricollego agli interventi che sono stati in precedenza svolti sul tema dell'accesso al credito. Quest'ultimo rappresenta un tema centrale soprattutto per le piccole e medie imprese, gli artigiani e i commercianti, in questo momento di crisi e di cambio di modelli da parte delle banche, che utilizzano il modello matematico dei rating finanziari con sempre maggior rigore in termini quantitativi.
  In quest'ambito oggi l'unico strumento che concede delle garanzie suppletive ai piccoli imprenditori è il Fondo di garanzia. Vi chiedo pertanto dei suggerimenti in ordine ad eventuali provvedimenti volti a migliorare il funzionamento del Fondo di garanzia ed aumentarne la dotazione.

  DAVIDE CRIPPA. Vorrei comprendere – non lo trovo all'interno del documento che è stato distribuito, ma presumibilmente c'è, visto che quello del prezzo dell'energia è uno dei temi ricorrenti – quanto ha inciso e quanto inciderà, secondo le vostre previsioni ed analisi, il cosiddetto «decreto energivori», che di fatto sposta sui consumatori medio-piccoli un aumento del costo dell'energia dovuto alla riduzione prevista per coloro che ne consumano di più.
  Inoltre, vorrei sapere se in qualche modo questa incertezza previsionale sul costo dell'energia è suscettibile di limitare e condizionare l'azione delle imprese rispetto ai margini, anche in tempi stretti. Mi spiego meglio: se una impresa ha una commessa da qui a sei mesi e stabilisce un prezzo, e poi, come in questo caso, a gennaio scatta un'aliquota rispetto agli energivori, naturalmente ciò incide sul margine di produzione dell'impresa stessa. Che cosa può comportare questo in termini di difficoltà?

  SILVIA FREGOLENT. La mia domanda, invece, riguarda il piano Industria 4.0. Posto che probabilmente è sbagliata la denominazione, perché avrebbe avuto più senso chiamarlo Impresa 4.0, il senso di quel provvedimento era proprio quello di rivolgersi alle piccole e medie imprese, per le quali è più difficoltoso, rispetto alle grandi, stare dietro ai cambiamenti produttivi di questi anni.
  Visto che lei ha sottolineato questo aspetto, ovvero la necessità ancora irrisolta Pag. 61di incentivare le misure relative alle piccole imprese, ciò significa che l'obiettivo che noi ci eravamo prefissi è stato colto solo fino a un certo punto, quindi il mio suggerimento per il futuro, se si vorrà mantenere questo provvedimento, è quello di definire le modalità attraverso cui arrivare capillarmente alle medie e, in particolare, alle piccole imprese, considerato che era quello l'obiettivo principale. Sappiamo che esso peraltro in parte è già stato raggiunto.
  Vorrei dunque capire come poter migliorare il provvedimento.

  MARIO TURCO. Ho solo una domanda. In merito alle attese delle imprese nei confronti del Governo e del Parlamento si accenna alla problematica del divario Nord-Sud. Vorrei conoscere quali sono i possibili strumenti che le imprese si attendono per ridurre tale divario.

  RENATA POLVERINI. Vorrei dire solo un paio di cose. La prima è che c'è una grande attenzione rispetto alle clausole di salvaguardia soprattutto per quanto riguarda la loro neutralizzazione in via definitiva. Ora noi ci troveremo a dover dare una risposta, atteso che sono ancora previste, quindi vorrei capire se c'è un orientamento da parte di R.ETE. Imprese Italia in ordine ad un provvedimento da adottare per sterilizzare già in questa tornata le citate clausole.
  La seconda questione riguarda l'importante accordo interconfederale – così viene definito, giustamente – tra CGIL, CISL, UIL e le associazioni datoriali sugli assetti contrattuali e la misurazione della rappresentanza. So che quello della moltiplicazione dei soggetti di rappresentanza è un tema ovviamente molto sentito, con riferimento non solo alle associazioni dei lavoratori ma anche, e soprattutto, alle associazioni di rappresentanza delle imprese.
  Voi rivendicate questo e chiedete anche una legislazione di supporto all'accordo eventualmente? Avete intenzione di farlo?
  Infine, lei giustamente sosteneva – ed io lo condivido – che il fatto di essere di così piccole dimensioni vi porta a un contatto più diretto con la realtà. Probabilmente rispetto a Confindustria questo è vero. Confindustria nella precedente audizione di oggi – non sono intervenuta, perché di interventi ce n'erano già stati tanti – ignorando completamente l'esito del referendum del 4 dicembre sulle riforme allora messe in campo, che ha bocciato l'idea di Costituzione che era stata prospettata, riproponeva di riportare a livello statale alcune materie come porti, aeroporti, infrastrutture, comunicazione, energia, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
  La mia domanda è soprattutto rivolta all'ultimo tema, quello della sicurezza nei luoghi di lavoro, visto che nelle piccole imprese il sistema risulta ovviamente ancora più complesso. Vorrei sapere se da questo punto di vista avete qualche rivendicazione o qualche idea per aiutare il legislatore, atteso che sappiamo benissimo di avere una legislazione nel campo della sicurezza nei luoghi di lavoro molto importante e significativa anche rispetto a Paesi del Nord Europa, che molto spesso prendono esempio da noi, ma che forse è un po’ complessa nella sua applicazione, non soltanto rispetto alle imprese, ma anche e soprattutto per quanto concerne i dispositivi di sicurezza riguardanti i lavoratori, che a volte, proprio sulla base della loro esperienza, diventano purtroppo un elemento negativo e non positivo.

  GILBERTO PICHETTO FRATIN. Lei nella sua relazione ha fatto cenno ad una serie di richieste: l'IRI, la deducibilità dell'IMU, la riduzione dell'IRAP e il mantenimento delle attuali aliquote IVA.
  Considerato che lei rappresenta diversi milioni di piccole imprese, che sono essenzialmente ditte individuali, nella forma ad esempio della Snc o della Sas, in una classifica a punti – lei ha diritto di non rispondermi o può rispondermi con un «sì» o con un «no» – rispetto alla flat tax e non rispetto al PIL, su cui lei ha già espresso un'opinione, per le sue imprese preferirebbe evitare l'aumento dell'IVA o la flat tax o, addirittura, la riduzione dell'IVA?

  NUNZIO ANGIOLA. La relazione mi lascia parzialmente soddisfatto, anche se Pag. 62mi sarei aspettato più una narrazione delle dieci piaghe d'Egitto che tutti i giorni devono soffrire i milioni di aziende aderenti alla rete, però mi limito semplicemente a chiedere: rispetto al tema annoso del passaggio generazionale, dal suo punto di vista, il Governo che tipo di ruolo potrebbe avere e in quali misure potrebbe concretizzarsi il suo intervento? In merito al tema del passaggio generazionale, quali misure potrebbero avere il diritto di cittadinanza in un DEF propriamente politico piuttosto che tecnico come quello in esame?

  PAOLO RUSSO. Sarò telegrafico. Io ho avuto il privilegio di ascoltare la sua relazione anche in occasione della recente assemblea. Su due questioni non ho trovato risposte e proverò ora a farle la seguente domanda: per quanto riguarda la flat tax e il reddito di cittadinanza, che peraltro mi paiono temi di straordinaria attualità in queste ore, come incidono queste due vicende rispetto alla prospettiva delle micro, piccole e medie imprese che lei rappresenta?

  MASSIMO GARAVAGLIA. Vorrei fare una domanda al volo. I PIR, i piani individuali di risparmio, sono un successo per la raccolta e molto meno per gli impieghi: ci sono 11 miliardi di euro di raccolta che, alla fine, in minima parte vengono veramente impiegati.
  Non ritenete utile rivedere un po’ la destinazione di questi strumenti, da un lato mantenendone una quota con la finalizzazione attuale – ma senza esagerare, onde evitare anche il rischio di bolle, perché, essendo pochi i soggetti che possono attivare questi percorsi, è anche pericoloso sotto questo aspetto – e destinandone invece una quota, per esempio, a due finalità di buon senso, come una nuova «legge Tremonti» e un deciso ampliamento del Fondo di controgaranzia per i confidi, sempre lasciando queste risorse dove stanno, cioè fuori dal perimetro di bilancio della pubblica amministrazione?

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Io vorrei sollevare solo un punto. È chiaro che stiamo parlando di questo DEF e ci concentriamo pertanto su ipotesi di politica economica che non conosciamo, per i ragionamenti che sappiamo tutti rispetto alla mancanza di un Governo, però ne volevo approfittare per chiedere una cosa molto specifica.
  Chiaramente le imprese che lei rappresenta sono di natura anche molto diversa perché andiamo dal commercio all'artigianato, quindi probabilmente quello che le sto per chiedere vale più per alcune che per altre, però a me preoccupa il fatto che, ogni volta che parliamo di piccole imprese, venga raramente fuori il tema per cui, forse, la cosa più importante che ci sarebbe da fare è aiutarle a crescere. Siamo cioè un po’ troppo affezionati al fatto che «piccolo» è bello, quando invece «piccolo» spesso è più una necessità che una virtù, nel senso che, se riuscissimo a far crescere molte di queste aziende, principalmente quelle artigiane, conosciamo tutti i vantaggi che ne deriverebbero. Lo dico perché avremmo aziende più attrezzate per competere, avremmo probabilmente aziende più in grado di fare formazione interna e avremmo aziende e imprese più capaci di trattenere o di offrire posti di lavoro interessanti a tanti giovani, che ovviamente, non avendo queste occasioni, poi si arrabattano come possono e spesso lasciano l'Italia.
  Vorrei chiederle anzitutto se condivide questa impostazione di fondo e, in secondo luogo, se è così, quale riflessione voi ritenete che possa essere fatta per il prossimo Governo e per questo Parlamento in termini di misure che facilitino e incoraggino la crescita delle aziende.

  PRESIDENTE. Cedo la parola alla presidente De Luise per una breve replica.

  PATRIZIA DE LUISE, presidente di R.ETE. Imprese Italia. Devo trattenermi, perché le vostre domande sono state estremamente stimolanti.

  PRESIDENTE. Se lei pensa di mandare un contributo scritto rispetto a quelle domande che non può in questa sede affrontare, sarà poi premura nostra metterlo a disposizione dei commissari.

Pag. 63

  PATRIZIA DE LUISE, presidente di R.ETE. Imprese Italia. Sicuramente è quello che vi propongo. State infatti correndo un grande rischio, perché state parlando con la presidente di R.ETE. Imprese Italia che, in realtà, di professione è una commerciante, quindi ci vado a nozze con tutte queste domande che, puntualmente, ho cercato anche di annotarmi. Avrei proprio voglia di stare qui e potermi confrontare con voi.
  Manderemo una nota scritta, però vorrei dire che mi fa piacere che, non solo nell'ultimo intervento, ma anche in molti di quelli che lo hanno preceduto, sia stato sottolineato il fatto che nel nostro Paese ci sono diversi tipi di imprese – stiamo parlando, in particolare, di micro e piccole imprese – e quindi rispetto a tutti i provvedimenti che si possono adottare, e il piano Industria 4.0 è stato uno di questi, le ripercussioni sono inevitabilmente diverse.

  PRESIDENTE. Ringrazio la presidente De Luise e l'intera delegazione di R.ETE. Imprese Italia e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ANCE,
di Confedilizia e di Confprofessioni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti di ANCE, di Confedilizia e di Confprofessioni.
  Abbiamo il piacere di audire per l'ANCE il presidente Gabriele Buia accompagnato da Massimiliano Musmeci, direttore generale; Flavio Monosilio, direttore Affari economici e Centro studi; Stefania Di Vecchio, dirigente responsabile Ufficio rapporti con il Parlamento.
  Per Confedilizia è presente il presidente Giorgio Spaziani Testa accompagnato da Alessandra Meucci Egidi, segretario generale e Giovanni Gagliani Caputo, responsabile rapporti istituzionali.
  Infine, per Conprofessioni sono presenti: Franco Valente, direttore; Francesco Monticelli dell'Ufficio studi; Lucilla Deleo, consulente per i rapporti istituzionali.
  Do la parola per primo al presidente di ANCE, Gabriele Buia.

  GABRIELE BUIA, presidente di ANCE. Illustri senatori e onorevoli deputati, desidero ringraziarvi intanto per l'opportunità di poter illustrare il punto di vista dell'Associazione sul contesto economico e sulle prospettive di sviluppo del settore delle costruzioni che mi pregio di rappresentare.
  A tale proposito abbiamo consegnato un documento, che contiene dettagliate analisi sui contenuti del Documento di economia e finanza e specifiche proposte di intervento per il rilancio delle costruzioni in Italia.
  Il settore delle costruzioni vive il decimo anno consecutivo, purtroppo, di profonda crisi, che ha causato la perdita di oltre 100.000 imprese e 600.000 posti di lavoro: numeri impressionanti. Di fronte a un contesto economico che ha ritrovato il suo sentiero di crescita, il settore delle costruzioni rappresenta ormai il vero punto debole dell'economia italiana: non riusciamo a crescere.
  Le costruzioni rappresentano l'8 per cento del PIL italiano, con una filiera al 95 per cento del made in Italy, che attiva 32 settori industriali su 36, in grado di generare una fortissima ricaduta sull'economia e sull'occupazione. L'effetto sul PIL sarebbe certamente del 20 per cento, considerando tutto il settore immobiliare. Stiamo parlando di un numero altissimo che impatta sullo sviluppo del sistema Paese.
  In assenza del crollo osservato negli investimenti in costruzioni, l'economia italiana avrebbe potuto crescere mediamente di circa lo 0,10 per cento in più ogni anno. Oggi, quindi, potremmo commentare una crescita del PIL superiore al 2 per cento, in linea con quella degli altri Paesi europei. La causa risiede in un colpevole ritardo nell'attuazione degli investimenti pubblici: di fronte a un ammontare complessivo di risorse destinate alle opere pubbliche, stimato dall'ANCE in circa 140 miliardi di Pag. 64euro nei prossimi quindici anni, assistiamo increduli alla più completa inefficacia delle procedure di spesa.
  Questa difficoltà appare sancita anche nel presente DEF, che, come ogni anno, sposta al futuro quanto il precedente DEF aveva previsto. La stima della crescita del 2,5 per cento per gli investimenti pubblici nel 2018 appare eccessivamente ottimistica per noi e sarà ridimensionata, come sempre, già nella revisione di settembre.
  Valga come esempio quanto accaduto lo scorso anno. Il DEF 2017 prevedeva un aumento del 2,8 per cento (pari a maggior spesa di un miliardo) degli investimenti pubblici, l'aggiornamento di settembre riduceva tale crescita a un più modesto 0,4 per cento (pari soltanto a 150 milioni) e il dato consuntivo è stato drammatico: la spesa degli investimenti fissi lordi nella pubblica amministrazione si è ridotta del 5,6 per cento, pari a 2 miliardi in meno.
  L'ANCE ribadisce la necessità di un'azione incisiva per far ripartire gli investimenti: le risorse si trasformano in investimenti quando partono i cantieri, le imprese assumono, l'indotto lavora.
  Il rigore a senso unico del Codice degli appalti ha spento il motore degli investimenti pubblici nell'economia. Non lo diciamo solo noi, ma anche i sindaci, gli amministratori locali e la grande committenza legata alle infrastrutture strategiche.
  Dopo quasi due anni dall'entrata in vigore della riforma, su 60 provvedimenti attuativi ne sono stati adottati poco meno della metà. Il risultato di quest'azione è facilmente sintetizzabile: risulta inattuato il sistema delle qualificazioni delle stazioni appaltanti e l'albo dei commissari esterni. Troppe le deroghe: i Mondiali di sci di Cortina, il G7 di Taormina e le Universiadi del 2019 sono tutti casi di fuga dal Codice degli appalti e delle stesse pubbliche amministrazioni. L'incapacità di selezionare le imprese migliori e la pratica del sorteggio umiliano le imprese. I controlli solo formali che non tutelano la legalità penalizzano le imprese serie, ci sono contenziosi incerti con tempi lunghi e norme contrarie alle regole europee come limiti al subappalto. È necessario, quindi, ripensare il codice attraverso la predisposizione di un articolato più semplice accompagnato da un buon regolamento attuativo.
  Abbiamo predisposto un pacchetto di proposte anticrisi da inserire in un provvedimento ponte da applicare, cioè, fino a quando il nuovo quadro normativo a regime non sarà completato. Noi chiediamo la possibilità di competere e di lavorare sulla qualità delle imprese.
  Il degrado e la vetustà del patrimonio immobiliare sono, da tempo, al centro dell'attenzione politica e dell'opinione pubblica, nella consapevolezza che sia necessario avviare una profonda e radicale opera di riqualificazione delle città. Le città sono e saranno sempre più al centro dell'economia del futuro e dobbiamo fare in modo di renderle accoglienti e coerenti con le nuove esigenze dei cittadini e delle attività economiche in genere.
  Per questo motivo, riteniamo necessario, in tempi rapidi e all'interno degli ambiti predefiniti dalla pianificazione territoriale: introdurre norme di riqualificazione e sostituzione edilizia attraverso uno specifico percorso normativo, anche di tipo, se occorre, sperimentale; demandare a una agenzia a livello nazionale il coordinamento e il monitoraggio delle iniziative intraprese, soprattutto in presenza di finanziamenti pubblici nazionali ed europei, per accelerare e razionalizzare i processi decisionali dei vari enti preposti; riconoscere l'interesse pubblico agli interventi, anche di iniziativa privata, di demolizione e ricostruzione. Si tratta di interventi finalizzati alla sicurezza statica e alla qualità ambientale e all'efficienza energetica del nostro patrimonio edilizio. Solo in questo modo riusciremo a recuperare le aree degradate e gli immobili dismessi o in via di dismissione.
  Sul settore italiano delle costruzioni, sia pubblico che privato, grava un insopportabile eccesso di burocrazia, che pesa sui bilanci delle imprese, provoca ritardi, genera opacità nei rapporti con la pubblica amministrazione.
  Nell'ambito del mercato privato, è necessario ridurre e rendere perentori i procedimenti amministrativi, anche responsabilizzando Pag. 65 i funzionari preposti e dando loro un quadro di regole certe di riferimento, nonché coordinare le funzioni sugli sportelli unici per l'edilizia con quelli delle attività produttive.
  Nell'edilizia privata e nei progetti di sviluppo, il tempo e la certezza delle regole sono fattori chiave. A maggior ragione, servono procedure snelle nel settore delle opere pubbliche per velocizzare la cantierizzazione e la realizzazione, nel rispetto della trasparenza e della legalità.
  Abbiamo individuato alcune azioni prioritarie, che troverete nell'esteso documento scritto che abbiamo consegnato alla presidenza: eliminare i passaggi al CIPE successivi all'approvazione del Documento pluriennale di pianificazione e razionalizzare le attività di controllo della Corte dei conti; eliminare inutili duplicazioni tra Ministeri dei passaggi decisionali; potenziare la struttura di missione esistente (Italia Sicura e Casa Italia, per esempio); dare tempistiche certe e perentorie per la conclusione delle operazioni di gara, per l'apertura dei cantieri e per le decisioni che spettano alle stazioni appaltanti; garantire tempi certi alle imprese per il pagamento del corrispettivo di appalto, chiudendo la procedura di infrazione contro il nostro Paese in sede europea; potenziare lo sviluppo di tutele alternative al contenzioso giudiziario, il famoso «accordo bonario».
  Altra leva fondamentale per lo sviluppo del settore è quella fiscale. Per troppo tempo, infatti, l'investimento immobiliare è stato penalizzato da un sistema tributario miope e tanto oneroso da scoraggiare qualsiasi decisione d'investimento.
  Innanzitutto, occorre disattivare, anche per il 2019, la cosiddetta «clausola di salvaguardia», che comporterebbe l'aumento dell'aliquota IVA. Ciò produrrebbe una forte contrazione degli investimenti privati, tali da compromettere un'eventuale ripresa del settore, e aumenterebbe i costi degli investimenti pubblici. È essenziale poi che, fin dai primi provvedimenti del nuovo Governo, vengano introdotti strumenti innovativi di politiche fiscali diretti a favorire i programmi di rigenerazione urbana.
  In merito, l'ANCE ha definito un pacchetto di misure fiscali per favorire l'efficientamento energetico e la messa in sicurezza statica del patrimonio edilizio esistente, attraverso incentivi ai programmi di sostituzione edilizia e l'ottimizzazione di bonus fiscali.
  È assolutamente necessario dare certezza e stabilità al processo di riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio immobiliare, se vogliamo evitare in futuro di aggravare il debito pubblico italiano per affrontare i tremendi danni derivanti dalle calamità naturali. In merito, ricordo che, dal dopoguerra a oggi, sono stati spesi più di 180 miliardi per interventi di emergenza per calamità sismiche e quasi 70 miliardi per calamità idrogeologiche. Questi potevano essere impiegati in maniera diversa, programmando delle manutenzioni, come fanno tanti altri Paesi europei.
  Tengo oggi a sottolineare che, in questo momento, il ripensamento su tali strumenti, anche se collegato a una rivisitazione del sistema fiscale, sarebbe ulteriormente depressivo, non solo per il settore in questione, ma per la qualità e la sicurezza della casa, principale patrimonio delle famiglie italiane, che, dal 2000 a oggi, si è mediamente svalutato del 30 per cento, impoverendo, pertanto, le famiglie italiane. Il bene casa è sempre stato il bene rifugio delle famiglie italiane e, oggi, questo bene è stato ormai deprezzato per un 30 per cento.
  In particolare, l'ANCE propone di: equiparare la fiscalità sull'acquisto degli immobili nuovi ad alta efficienza energetica con quello degli usati, come fatto con successo negli anni 2016 e 2017; estendere alle zone a rischio sismico 2 e 3 le detrazioni IRPEF per l'acquisto di case antisismiche derivanti da interventi di demolizione e ricostruzione; rimodulare i benefici fiscali (Ecobonus e Sismabonus) in funzione della tipologia e dimensione degli immobili industriali; garantire un regime di tassazione agevolata all'impresa per la permuta di interi stabili condominiali da demolire e ricostruire.
  Vorrei anche sollecitare un intervento urgente sul tema della fiscalità relativa ai Pag. 66contratti pubblici. Lo split payment sta drenando liquidità alle imprese di costruzione, già fortemente colpite dalla stretta creditizia, che il settore delle costruzioni in questi ultimi anni di crisi ha subito in maniera particolare.
  A nostro avviso, l'estensione dell'obbligo della fatturazione elettronica ne rende del tutto superfluo l'utilizzo come strumento di lotta all'evasione dell'IVA. In attesa, è indispensabile almeno intervenire per ripristinare il principio di neutralità, estendendo l'applicazione del reverse charge, in modo da evitare alle nostre imprese l'accumulo dei crediti IVA, oggi non più sopportabile per i problemi di finanziamento di cui parlavo poc'anzi.
  Nel settore delle costruzioni da diversi anni l'eccessivo costo del lavoro contribuisce ad accentuare il divario rispetto ad altri comparti produttivi, con conseguenze gravose per le imprese e l'andamento del relativo mercato. Il comparto delle costruzioni patisce in maniera sempre più incontrollata la fuga della contrattazione di settore verso forme contrattuali sempre più vantaggiose. È, quindi, necessario stabilire definitivamente e inderogabilmente l'obbligo di applicazione del contratto nazionale di lavoro edile anche nel settore privato, come già accade per gli appalti pubblici.
  Non è più procrastinabile la riduzione del costo del lavoro in edilizia. Nell'industria delle costruzioni, un'impresa spende complessivamente circa 4.300 euro per un operaio specializzato, a fronte di una retribuzione netta di circa 1.700. Si tratta di un cuneo fiscale contributivo enorme, che fa sì che il contratto nazionale dell'edilizia non venga applicato. Occorre intervenire con urgenza sull'istituto della Cassa integrazione guadagni ordinaria, in ragione dei rilevanti avanzi di gestione della stessa e delle specifiche del settore delle costruzioni.
  Il mercato dell'edilizia sta cambiando, sia per la tipologia di progetto richiesto in termini di risparmio energetico, di sicurezza, di riduzione degli impatti ambientali, di durabilità e flessibilità dell'uso. Per una vera rivoluzione industriale in edilizia, è necessaria una strategia nazionale per la digitalizzazione del settore delle costruzioni, da adottare a livello governativo, similmente a quanto fatto da altri Paesi europei.
  Serve realizzare una piattaforma digitale, specifica del settore e aperta a tutti i soggetti coinvolti nelle varie fasi e attività delle costruzioni, sia pubblici che privati. Al riguardo, la Commissione europea ha previsto di stanziare fondi per le piattaforme digitali europee di specifici settori industriali, che serviranno a mettere in relazione le singole piattaforme nazionali. In Italia, possiamo avviare la piattaforma nazionale, sfruttando le competenze e le conoscenze derivanti da un prototipo, che abbiamo già creato, sviluppato dal bando Industria 2015 sull'efficienza energetica. Occorre a questo punto portare la piattaforma da prototipo a prodotto funzionale, tenendo conto di aggiornamenti ed evoluzione delle tecnologie informatiche.
  Chiudo sull'argomento (non ultimo per importanza) delle sofferenze bancarie. Chiudo partendo da una riflessione e una preoccupazione sul tema delle sofferenze bancarie collegate al settore immobiliare: se non poniamo grande attenzione al tema richiamato, potranno esserci conseguenze molto pesanti, sia per le imprese che per l'intero comparto immobiliare.
  Ho già segnalato come il valore delle case sia ridotto del 30 per cento negli ultimi dieci anni, penalizzando il risparmio delle famiglie. Alla luce delle grandi dismissioni già avvenute, dobbiamo trovare soluzioni d'intesa fra imprese, banca e legislatore che riescano ad evitare che l'unica opzione sia la svendita incontrollata degli immobili a soggetti speculativi, favorendo, invece, la possibilità di sviluppare le iniziative a sofferenza in un rapporto diretto banca-impresa.
  Sottolineo, infine, uno degli aspetti più preoccupanti per la gestione del mercato del credito nei prossimi anni ovvero le decisioni assunte dalla BCE, dalla Commissione europea e dall'EBA (European Banking Authority), che, prevedendo un accantonamento accelerato da parte delle banche, anche in presenza di garanzie reali, Pag. 67determineranno una diminuzione del capitale a disposizione per il finanziamento delle imprese e spingeranno le banche a vendere il prima possibile gli asset deteriorati fin dai primi segnali di difficoltà del debitore, in modo da evitare ulteriori accantonamenti di patrimonio costosi e difficili da reperire.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, presidente di Confedilizia. Rivolgo innanzitutto un saluto ai presidenti e ai componenti delle due Commissioni speciali e un ringraziamento per la possibilità data a Confedilizia di dire la sua, non tanto, come molti hanno fatto nel corso di queste audizioni, sul Documento di economia e finanza in quanto tale, che, com'è stato più volte detto, è un documento anomalo che risente della situazione che tutti conosciamo e sulla quale naturalmente non mi soffermo, quanto dire qualcosa sulla situazione più generale che ci riguarda, quindi sul settore immobiliare e su quello della proprietà edilizia in particolare.
  Anche noi abbiamo trasmesso un documento scritto alla presidenza delle Commissioni, che faremo avere poi all'intero Parlamento perché, in questa fase, pur particolare, credo possa avere l'occasione di fare alcune riflessioni su un settore così importante come quello immobiliare e speriamo che qualche spunto ci possa essere anche ai fini delle risoluzioni che verranno presentate e di quella che verrà approvata.
  Per quanto riguarda noi, il documento che abbiamo presentato si divide in tre parti. La prima riporta un quadro generale sulla situazione economica rappresentata nelle forme che sappiamo dal DEF. La seconda è un'analisi della situazione immobiliare e di alcune storture delle quali dirò fra poco. Poi, c'è qualche esempio di buona tassazione e infine abbiamo allegato al nostro documento un testo che, insieme ad altre undici associazioni del settore immobiliare, abbiamo presentato prima delle elezioni politiche e che presenta ancora la sua più stretta attualità in vista di un Parlamento maggiormente nel pieno dei suoi poteri, per le vicende che potranno esserci nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.
  Per quello che abbiamo letto nel Documento e per quello che abbiamo ascoltato poi nelle prime audizioni, quelle degli organismi e degli enti istituzionali, come Banca d'Italia e Ufficio parlamentare di bilancio, c'è un primo punto in cui abbiamo notato una certa timidezza su un aspetto che, forse, andrebbe considerato maggiormente nella situazione in cui ci troviamo. Sono state più volte citate le clausole di salvaguardia ed è stato più volte fatto riferimento al tema del debito. Sì, credo che ci sia stata una certa timidezza sia nel DEF sia negli interventi di Banca d'Italia e Ufficio parlamentare di bilancio dal punto di vista della necessità di ridurre la spesa pubblica in Italia. C'è un riferimento, sia nel primo dei due documenti citati (Banca d'Italia) sia nel secondo (Ufficio parlamentare di bilancio), condivisibile sulla necessità di preservare il percorso di crescita dell'avanzo primario, ma non c'è – lo ripeto – altrettanta forza o spinta con riferimento a un tema di spending review, che andrebbe, secondo noi, approfondito e sviluppato.
  Ciò sarebbe necessario al fine di liberare risorse per l'economia, anche perché questa dovrebbe essere la finalità, e non solo al fine di evitare quegli aumenti di tassazione dei quali si è parlato più volte nel corso di queste audizioni e altri aumenti possibili dei quali, però, parlerò io, ma anche al fine di liberare risorse per l'economia eventualmente attraverso ulteriori riduzioni dell'imposizione tributaria, al di là di quelle da evitare.
  Venendo più in particolare al settore immobiliare, quanto al cenno che facevo prima su una distorsione esistente anche dal punto di vista internazionale, richiamo nuovamente la Banca d'Italia per rappresentare tutta la nostra contrarietà e le nostre perplessità (a dir poco) su una tesi che è stata nuovamente riproposta in questa sede, in audizione, da parte della medesima Banca d'Italia e ripresa da alcuni importanti organismi internazionali.
  Mi riferisco a quella teoria che noi abbiamo già chiamato in altra occasione «visione OCSE», secondo la quale, volta per volta, sulla proprietà e sui consumi (o meglio Pag. 68 sempre sulla proprietà e, a volte, anche sui consumi) questo tipo di tassazione sarebbe meno distorsivo per la crescita o, come si legge, «amico della crescita» e «favorevole alla crescita» rispetto ad altre forme di tassazione, che vengono individuate in modo, a nostro avviso, poco corretto nella tassazione sul lavoro e sui fattori produttivi, come se questi fattori fossero slegati da ciò che riguarda, invece, la proprietà e i consumi.
  Questa visione è stata un po’ stancamente ripetuta nell'audizione della Banca d'Italia e riproposta rispetto a questa visione che viene rappresentata dagli organismi internazionali. Gli organismi internazionali in questione sono quelli dell'OCSE, del Fondo monetario internazionale e della Commissione europea, che, anche negli ultimi mesi, hanno ripetuto questi concetti. Perché torniamo noi su questi concetti? Lo facciamo perché, come sappiamo, quando ci sono situazioni, tra l'altro, di instabilità come quella nella quale ci troviamo, ci sono situazioni di debito pubblico come quello italiano e, in più, vi è il problema delle clausole di salvaguardia, aleggia sempre il tema o – non so come definirlo – lo spettro della fantomatica patrimoniale, che non viene mai ben definita da parte di chi la auspica né da parte di chi poi la teme. In realtà, sappiamo che, quando si parla di tassazione patrimoniale, alla fine l'obiettivo finisce per essere quasi esclusivamente, se non esclusivamente, quello immobiliare, per i motivi che tutti conosciamo e che sono dati soprattutto dalla facilità di intervento su questo settore.
  Ecco, noi ci soffermiamo nel nostro documento su ciò che viene portato da questi organismi internazionali a fondamento della tesi secondo la quale questo tipo di tassazione (quello sulla proprietà), oltre che – lo ripeto – sui consumi, sarebbe maggiormente favorevole alla crescita.
  Portiamo all'attenzione delle Commissioni e di tutto il Parlamento anche uno studio recentissimo, appena pubblicato da una rivista internazionale molto prestigiosa di scienza delle finanze, l’International Tax and Public Finance, che mostra come l'evidenza empirica alla base di quelle teorie che ho appena citato sia molto fragile e mostra che, addirittura, accada esattamente il contrario, cioè che, nel breve termine, un aumento della tassazione sulla proprietà si correli negativamente con il PIL pro capite. Si tratta di uno studio del quale nel documento forniamo gli elementi per il reperimento delle informazioni anche nella rivista che ho citato.
  Questo è il tema teorico, cioè quello che dicono, da una parte, quei tre organismi internazionali che citavo e, dall'altra, gli studiosi che provano a confutare con successo queste teorie. Poi, c'è la realtà. La realtà è quella che è stata dimostrata in Italia perché il problema vero della trasposizione (errata, secondo noi) di questa teoria in Italia è che in Italia abbiamo già sperimentato cosa sia accaduto attraverso una tassazione eccessiva di un settore e di quello immobiliare in particolare.
  I dati e gli indicatori di ogni tipo di Eurostat e ISTAT, ma anche, di fatto, quelli di Agenzia delle entrate attraverso i dati relativi al numero di compravendite e, ancor di più, quelli sui valori ci dicono che l'Italia è in questo momento – nel 2017, era uno dei tre Paesi insieme a Cipro e Grecia – l'unico Paese in cui continua la spirale negativa dei prezzi degli immobili, cioè, come ripetiamo e diciamo perché va detto, dei risparmi degli italiani e dei risparmi delle persone. Il risparmio in Italia è in gran parte concentrato nell'immobiliare e l'effetto di una svalutazione e di una deflazione immobiliare in Italia è particolarmente grave, anche rispetto ad altri Paesi.
  Quello che esprimiamo in questo documento e che poniamo all'attenzione delle Commissioni è, oltre alle indicazioni teoriche che prima riportavo, l'esperienza della realtà, che ci dice che quello immobiliare è un settore malato dell'economia che porta ad ammalare altri settori dell'economia.
  Noi facciamo alcuni esempi nel documento, ma non sono neanche esaustivi. Il primo esempio è quello dell'effetto ricchezza sui consumi. Le teorie economiche, oltre che le realtà più avanzate, ci dicono che la sensazione di diminuzione del valore del proprio patrimonio da parte dei cittadini, Pag. 69 delle persone e delle famiglie porta queste persone e queste famiglie a spendere meno. Questo accade molto di più, naturalmente, per gli investimenti finanziari perché è più facile conoscere e valutare il livello del proprio investimento, sia azionario o di altro tipo, ed è più facile capirne le oscillazioni, ma studi recenti dicono che avviene sempre di più e avviene anche per la parte immobiliare, comunque per i motivi che dicevo: oltre il 70 per cento di risparmio degli italiani è nell'immobiliare, per cui è più grave ciò che avviene nel nostro Paese.
  Sugli effetti sull'edilizia vado per flash perché, naturalmente, i problemi di tempo non consentono di approfondirli. Per gli effetti sull'edilizia e sull'economia collegata all'edilizia, mi riferisco al nuovo, ma parliamo anche di manutenzione dell'esistente, quindi, in senso lato, di interventi sull'esistente. Nonostante le fortissime agevolazioni fiscali esistenti in Italia da alcuni anni, sia per la ristrutturazione in senso lato sia per il risparmio energetico sia, da ultimo, per la messa in sicurezza degli immobili, ci sono ancora numeri molto negativi da questo punto di vista in Italia. Non può essere indifferente quello che è accaduto dal punto di vista della tassazione.
  Citiamo nel documento anche gli effetti sulle dismissioni immobiliari, sulle possibili o sulle realizzate dismissioni immobiliari, e diciamo con un'espressione non tanto da Commissione parlamentare che in questo senso lo Stato si fa un po’ male da solo, perché, poiché quella della dismissione immobiliare è una delle modalità di reperimento delle risorse da parte dello Stato, è chiaro che gli effetti di una tassazione ordinaria eccessiva sul settore portano lo Stato stesso a ricavare meno (lo dico molto semplicemente) dalle proprie dismissioni immobiliari.
  Gli effetti sulle garanzie in capo alle banche: non se ne parla adeguatamente, si parla molto delle sofferenze bancarie in Italia, non si parla in maniera sufficiente secondo noi del legame esistente fra l'andamento del mercato immobiliare e il tasso di recupero sui crediti in sofferenza. La componente di garanzia immobiliare dei crediti è talmente elevata che non può non esserci questo rapporto.
  Li ho citati in maniera molto schematica, ma gli effetti sull'economia che abbiamo visto in Italia sono davvero rilevanti e – prima hanno parlato in audizione esponenti di R.ETE Imprese Italia – sono anche su quelle imprese. Noi stiamo attivando un dialogo anche con R.ETE Imprese Italia e con tutte le loro rappresentanze, e le micro, piccole e medie imprese italiane in molti casi lavorano con e nell'immobiliare, sono quelle micro, piccole e medie imprese che non hanno la possibilità, nei momenti di crisi, di chiusura, di perdita dei posti di lavoro, di farsi sentire adeguatamente, come riescono a fare le grandi imprese per ovvi motivi, ma sono tanti, piccoli numeri che insieme fanno un numero elevatissimo e sono spesso collegate all'immobiliare.
  Nel documento citiamo alcuni esempi, venendo all'aspetto propositivo, ma in questo caso riferendoci a qualcosa di già avvenuto, perché citiamo alcuni buoni esempi di tassazione, bassa, certa, comprensibile, e due casi in particolare, il primo dei quali è la cedolare secca sugli affitti abitativi. Si parla molto di flat tax e c'è una flat tax che in Italia ha funzionato e sta funzionando moltissimo.
  La Nota di aggiornamento, l'ultimo documento relativo al DEF 2017 di qualche mese fa, ha detto in maniera chiara qualcosa, cioè che il tax gap del comparto, ossia il divario fra il gettito teorico e il gettito effettivo in questo comparto, quello degli affitti, è diminuito del 42 per cento e la propensione all'inadempimento (dati MEF e DEF) si è ridotta del 40 per cento, prove senza alcuna possibilità di smentita del fatto che una tassazione più bassa in quel caso, più semplice e più chiara del reddito da locazione che si accompagna – ricordiamolo – ad una tassazione patrimoniale sugli immobili oggetto dell'investimento, quindi solo un modo per salvare quel settore e non un privilegio, ha prodotto effetti positivi.
  Così come ne ha prodotti l'altro esempio che facciamo, quello della cessione agevolata dei beni ai soci, una norma prevista Pag. 70dalla legge di stabilità del 2016 che è stata poi rinnovata nel 2017. Non abbiamo dati scorporati rispetto ad altre disposizioni di questo tipo, ma la somma dei dati disponibili ci consente di ritenere che sia stato addirittura sottostimato il gettito proveniente da questa previsione legislativa.
  Cosa fare? Sappiamo che stiamo parlando ad un Parlamento in una situazione particolare, non è il caso di fare liste di desideri, però è il caso di fare quello che abbiamo fatto con questo documento, cioè segnalare un problema enorme che esiste nel settore immobiliare e che non è solo fiscale, ed è il caso forse di richiamare (lo dicevo in apertura, citando il documento che abbiamo allegato) alcune proposte che abbiamo presentato alle stesse forze politiche che si sono presentate alle elezioni e sono presenti in questo Parlamento e che abbiamo poi fatto giungere ad ogni singolo parlamentare; una serie di proposte che Confedilizia non ha presentato da sola, ma ha presentato insieme ad altre undici organizzazioni dell'immobiliare.
  Nei pochi minuti che mi restano vorrei passare molto brevemente in rassegna almeno le principali. La prima, che potrebbe essere considerata l'aspirazione di tutti, è relativa alla necessità di ridurre il carico fiscale. Si tratta di un'aspirazione di tante categorie, ma un'aspirazione particolare in un settore che ha subìto (va detto e ricordato perché non sempre è chiaro) un aumento di tassazione patrimoniale elevatissimo alcuni anni fa, che forse nella mente di qualcuno è rimasto un’una tantum, ma non lo è, perché dai 9 miliardi di tassazione patrimoniale ICI del 2011 siamo passati ora ai 21, passando per i 25, e questa cosa continua ogni anno, continua su una forma di investimento che, se poi non è produttiva di reddito, come spesso non è produttiva di reddito, è chiaro che produce tutti quegli effetti negativi di cui parlavo.
  I problemi non sono però solo fiscali. In questo documento che spero vivamente non che possa essere tradotto domani in realtà, ma essere oggetto di attenzione da parte delle Commissioni e del Parlamento ed essere uno spunto per valutazione di interventi per il settore, ci sono altre singole proposte o richiami all'attenzione.
  Mi riferisco in particolare alla necessità di sviluppare l'investimento immobiliare, e questo è un fatto, ancor prima che normativo, di impostazione. Bisogna infatti comprendere che l'immobiliare ha bisogno di spinte all'investimento in quel settore per gli effetti virtuosi che non ci sono più da molti anni, e poi di misure specifiche come la liberalizzazione dei contratti del commercio in un settore che non ha bisogno solo della cedolare secca – come pure proponiamo in questo documento insieme alle altre organizzazioni riprendendo l'esperienza positiva dell'abitativo – ma ha bisogno anche di regole più snelle, perché nel 2018 non è più pensabile che contratti di locazione fra soggetti che non si incontrano attualmente per tanti motivi (ovviamente non solo quello fiscale e non solo quello normativo) siano compressi da regole che impongono contratti di 9, 12 o 18 anni a seconda delle tipologie. Sono necessari inoltre incentivi fiscali per le permute immobiliari.
  Faccio un ultimo riferimento agli incentivi fiscali. Si è parlato molto in questi giorni degli incentivi per interventi di manutenzione, risparmio energetico e messa in sicurezza del patrimonio; si tratta di misure che si sono finalmente non dico stabilizzate, perché avrebbero ancora bisogno di stabilizzazioni, però importanti, che consentono in qualche caso di limitare i danni ai quali facevo riferimento prima, e in altri di iniziare pian piano a migliorare il patrimonio immobiliare di questo Paese.
  Bisogna fare molta attenzione, perché quando si parla di spese fiscali, si fa riferimento ad un documento pieno di tante cose, si mischiano i dati, si mettono in quei numeri persino (lo segnalo a chi non lo sapesse) la non tassazione IRPEF della prima casa che in Italia esiste dal 2000, quindi in quei numeri c'è anche questo. Ebbene, andare a verificare quando e se un Parlamento interverrà sulle spese fiscali, che non sempre – ripeto – andrebbero definite così, bisognerà fare molta attenzione, ma particolare attenzione andrà fatta per queste misure che sono una possibilità per il Pag. 71settore immobiliare di fare qualcosa in più rispetto a quello che la fortissima tassazione patrimoniale non consente.
  Ovviamente la prima urgenza è quella di iniziare a ridurre il carico ordinario patrimoniale, eventualmente, per non intaccare le risorse dei comuni e il delicato equilibrio fra Stato e comuni, attraverso un sistema di deduzioni come esiste in tante parti d'Europa e del mondo intero.

  FRANCO VALENTE, direttore di Confprofessioni. Il ringraziamento non è solo per l'invito, ma anche per la pazienza con cui siete giunti ormai a questo nostro ultimo contributo.
  Oggi è la prima occasione di incontro con le nuove Camere e contiamo che sia l'avvio di un dialogo, che sarà sicuramente fruttuoso e andrà poi a maturare nel corso della legislatura. Confprofessioni è la principale organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia e come tale è inserita nel nuovo CNEL, riunisce al proprio interno le libere associazioni dei professionisti di tutti i comparti professionali, sia delle professioni ordinistiche che delle nuove professioni, quindi un universo complessivo di 2.400.000 professionisti.
  Per questi firma il contratto di lavoro degli studi professionali, più di un milione sono i dipendenti e i collaboratori, e dà un contributo al PIL nazionale per una quota del 13 per cento, quindi sono dati che vanno a testimoniare l'importanza del settore delle professioni e che vengono confermati dalla consapevolezza del contributo che i professionisti possono offrire.
  È in questo senso che andiamo ad analizzare il contesto in cui ci troviamo, un Documento di economia e finanza che sembra dipingere un quadro quasi rassicurante dell'andamento dell'economia italiana nel breve e lungo periodo, dando conto dell'incremento del PIL, della ripresa dei dati dell'occupazione, della perdurante disponibilità di credito, di una stabile propensione al consumo degli italiani, ma lascia anche intravedere dei segnali di incertezza della situazione economica, perché il prodotto interno cresce, sì, ma ad un ritmo indubbiamente inferiore a quello globale e dei Paesi dell'area euro, i dati dell'occupazione vanno letti nella prospettiva di progressiva crescita dei contratti a tempo determinato e della stagnazione piuttosto dei salari, e in generale è una ripresa economica su cui pesano mali antichi del nostro Paese, quali l'eccessiva pressione e complessità fiscale, la debole modernizzazione e la lentezza della macchina burocratica, il mercato del lavoro asfittico.
  Sono temi cruciali, che dovranno essere oggetto di un'azione attenta e integrata da parte di Governo e Parlamento, temi che velocemente vorremmo analizzare. Da un lato il discorso della semplificazione fiscale, che effettivamente deve cercare di recuperare i princìpi di correttezza del rapporto fisco/contribuente, che sono enunciati dallo Statuto del contribuente, che tra l'altro andrebbe elevato a rango costituzionale.
  Pensiamo (questa è una prima nota che vorremmo dare sulla semplificazione fiscale) che l'obiettivo possa essere raggiunto ad una condizione, cioè il coinvolgimento delle categorie interessate nei processi amministrativi e fiscali. Questi settori complessi devono necessariamente prevedere una condivisione di questi obiettivi della procedura con gli attori. Nel recente passato, pur con riforme che dal punto di vista della mole sono state numerose, dobbiamo dire che questa attenzione alla condivisione con le parti sociali è stata insufficiente.
  A nostro parere, due dovrebbero essere le linee di azione da intraprendere: da un lato una programmazione delle politiche fiscali, perché occorre abbandonare la stagione delle misure una tantum e ad efficacia temporale limitata, preferendo misure permanenti, strutturali e con effetti programmati nel tempo (segnaliamo a tal proposito l'urgenza di definire con certezza le aliquote IVA, che non devono aumentare, ponendo fine a dubbi che aleggiano attorno a questo tema e impedendo una programmazione degli investimenti privati), e, seconda azione, uno snellimento degli adempimenti e informatizzazione.
  Arriviamo quindi al secondo tema, lo snellimento amministrativo e normativo. Questo è un obiettivo strategico perché può determinare la fiducia dei cittadini, dei Pag. 72professionisti, delle imprese nei confronti dello Stato, e ad una semplificazione normativa che non vada quindi semplicemente attraverso tecniche abrogative o di delegificazione, ma che punti piuttosto a una raccolta sistematica di testi unici misti per settori e materie, in modo da offrire all'operatore un quadro normativo di agile consultazione.
  Una semplificazione amministrativa che può realizzarsi anche attraverso il ruolo sussidiario dei professionisti, una strada che è stata avviata con lo Statuto del lavoro autonomo attraverso una delega che però adesso andrebbe in questa legislatura rinnovata, in quanto al momento non attuata.
  Vado velocemente e rimando al documento scritto che è stato distribuito. Il terzo tema è il sostegno all'occupazione soprattutto per quanto riguarda i giovani. Noi lanciamo l'esigenza dell'attivazione di una task force per il rilancio dell'occupazione. ANPAL (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro), regioni, parti sociali, professionisti devono avviare un nuovo percorso, che porti alla realizzazione di un matching tra domanda e offerta.
  I bonus e gli sconti fiscali e contributivi per le assunzioni sono stati molteplici, però non hanno portato a un reale cambio di passo, quindi crediamo che la strada dell'abbattimento del cuneo fiscale sia corretta, ma allo stesso tempo va sostenuto con lo stesso vigore l'avvio di attività professionali e d'impresa. Spesso questi conclamati interventi di accesso a fondi per lo start-up sono risultati complicati e poco efficaci, e va incoraggiato e sostenuto chi è riuscito a farcela, quei giovani che magari faticosamente hanno avviato un'attività autonoma.
  Quasi provocatoriamente abbiamo lanciato durante la campagna elettorale un Progetto giovani, proponendo una defiscalizzazione e una contribuzione totale per gli imprenditori e i professionisti under 35 che assumano lavoratori under 25, provocatorio ma in ogni caso capace di dare un senso all'intervento che vada a favorire l'offerta e la domanda.
  Chiudo velocemente con un'agenda per la legislatura che dia senso alle linee di sviluppo per le libere professioni. Le professioni hanno effettivamente l'esigenza di interpretare e di essere accompagnate in un'evoluzione necessaria per l'acquisizione di nuovi strumenti manageriali, in innovazione tecnologica e la collaborazione con altri professionisti.
  In particolare sottolineiamo l'esigenza di favorire e sostenere lo sviluppo delle società tra professionisti quale strumento per rendere sempre più competitivi i professionisti italiani nel mercato integrato. Auspichiamo da tempo una revisione delle norme sulle società tra professionisti, uno strumento che è stato anche introdotto da alcuni anni con una normativa incompleta e non bilanciata, che oggi registra un sostanziale fallimento, mentre in Europa esso rappresenta effettivamente una leva di aggregazione molto importante.
  Per incentivare il ricorso alla forma societaria sentivo citare prima il discorso dei piccoli che devono essere in qualche maniera accompagnati a crescere. Una delle proposte che possiamo fare è quella di escludere le STP, cioè le società tra professionisti, dalla assoggettabilità all'IRAP per i primi cinque anni di attività. Si tratta di un provvedimento che comunque è a costo ridotto per l'erario, poiché nella maggior parte dei casi i singoli professionisti che convergono nelle società sono al di fuori del perimetro IRAP, ma può essere poi bilanciato dall'incremento della produttività, come l'estensione del contratto di rete ai liberi professionisti. Su questo lo Statuto del lavoro autonomo ha aperto una porta, ma limitata a bandi ed appalti, quindi ancora molto fragile e limitata.
  L'ultimo argomento riguarda un sostegno agli incentivi di innovazione tecnologica, sulla carta disponibili. Si è parlato anche precedentemente in questa sede di Impresa 4.0, e i liberi professionisti sono attualmente esclusi dall'accesso a questi strumenti operativi (l'iperammortamento per l'acquisto di beni strumentali, il credito d'imposta), cioè il settore professionale è ancora escluso dai voucher per la digitalizzazione della piccola e media impresa e l'accesso ai benefici della cosiddetta nuova Sabatini. Ci deve essere un equilibrio tra le Pag. 73categorie produttive, formalmente i professionisti possono accedere, ma poi, nella realizzazione operativa reale, le richieste che vengono espresse li escludono nella sostanza.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  NUNZIO ANGIOLA. Due sole considerazioni che riguardano la relazione dell'ANCE. C'è un riferimento – non so fino a che punto condivisibile – per quanto riguarda il Codice degli appalti, l'obiettivo mancato, e mi interessava approfondire il riferimento alla «pratica del sorteggio che umilia le imprese». Sulla base di quali dati viene fatta questa affermazione, in quanto risulta che il criterio del sorteggio, che è alla base della ratio che anima il MEPA, il mercato elettronico della pubblica amministrazione, abbia accontentato tantissime piccole imprese, che diversamente si sarebbero viste escluse dagli appalti? Mi interessa capire qualcosa in più da questo punto di vista.
  Ci sono poi, sia nel capitolo dell'accelerazione alla realizzazione delle opere pubbliche, sia successivamente nel capitolo riguardante il superamento della paralisi decisionale della pubblica amministrazione, due riferimenti molto forti al ruolo della Corte dei conti. In particolare, vorrei capire meglio, perché non mi risulta molto chiaro il riferimento alla limitazione della possibilità di richieste di risarcimento per danno erariale da parte della Corte dei conti, che viene riproposto in almeno un paio di casi. Ad esempio si giunge ad affermare come obiettivo primario «la razionalizzazione delle attività di controllo della Corte dei conti, al fine di concentrarne l'azione sulle attività di programmazione iniziale e successivamente sull'operato delle amministrazioni».
  Mi interessa capire se andiamo incontro rispetto a questa proposta ad uno svilimento del ruolo della Corte dei conti, che è stato molto apprezzato negli ultimi anni.

  CHIARA BRAGA. Brevemente, per ringraziare per il contributo apportato alla nostra discussione dalle associazioni. Anch'io, visti i tempi, mi concentro solo su qualche aspetto: il primo è il tema degli investimenti, che è stato una costante della discussione che fin qui abbiamo fatto su questo DEF.
  Nell'audizione che abbiamo svolto la scorsa settimana con il Presidente dell'ISTAT ci è stato sottolineato come, in un quadro di ripresa complessiva degli investimenti, il settore delle costruzioni abbia mostrato segnali incoraggianti con una ripresa continua anche nell'ultimo trimestre e con una continuità della crescita con il quarto rialzo consecutivo dal dicembre scorso, riportato nella relazione dell'ISTAT.
  Questo ovviamente non significa che non ci siano delle criticità, che sono state evidenziate anche dai rappresentanti oggi auditi, ma su questo punto ho due questioni da sottoporre ad ANCE e ai rappresentanti di Confedilizia. La prima si ricollega al Codice degli appalti, sul quale c'è un giudizio molto netto nella nota presentata dall'ANCE, a mio avviso anche abbastanza sommario, perché alcuni aspetti possono essere certamente migliorati, ma la messa in campo di una riforma strutturale delle regole degli appalti pubblici sconta anche la necessità di una piena entrata in vigore e di una razionalizzazione, e peraltro non ho trovato un riferimento positivo a un'operazione di programmazione delle risorse nei tanti settori delle costruzioni pubbliche e private, soprattutto degli investimenti infrastrutturali pubblici, che è una delle precondizioni per una ripresa effettiva degli investimenti.
  Su un aspetto, ribadendo dal mio punto di vista la validità della scelta fatta di revisione delle norme, anche alla luce della domanda fatta dal collega che mi ha preceduto su questo aspetto di dettaglio della pratica del sorteggio, laddove si dice che umilierebbe le imprese e poi tra le proposte si chiede il divieto della pratica del sorteggio, prevedendo meccanismi idonei, vorrei capire quali possano essere questi meccanismi idonei, che salvaguardino comunque le esigenze per cui si è intervenuti su questo fronte. Pag. 74
  L'ultima questione che vorrei porre ai nostri interlocutori riguarda il tema delle misure fiscali. Mi sembra che ci sia un giudizio largamente positivo e condiviso sulla validità e sulla efficacia delle misure fiscali sulla riqualificazione energetica e sismica del patrimonio edilizio, vengono da tutti auspicati una stabilizzazione e anche un affinamento di queste misure per premiare l'efficacia degli interventi, per favorire anche un'evoluzione del settore su questo fronte.
  Come si lega questa richiesta ad alcune discussioni, che pure sono oggetto della nostra analisi di questo documento e dell'attualità delle proposte di cui discutiamo, che propongono invece una revisione delle misure fiscali volta al sostanziale annullamento di tali misure, a fronte invece di una misura fiscale riconducibile in particolare alla flat tax o a quello che sarà, che annullano completamente un settore sul quale abbiamo rilevato un aspetto positivo? Quindi qual è la preoccupazione e come vedono i rappresentanti di questo settore un'ipotesi di questo tipo?

  MASSIMO GARAVAGLIA. Finalmente si torna a sentire la voce del mondo normale fuori dal palazzo. Alla luce di questo, posto che noi viviamo una specie di paradosso, abbiamo più piccole e medie imprese degli altri Stati e quindi siamo penalizzati per le regole europee, abbiamo più spiagge e quindi siamo penalizzati, abbiamo più case e quindi siamo penalizzati, addirittura c'è qualcuno che paventa una patrimoniale.
  Alla luce di questo, posto che, come avete giustamente evidenziato, è paradossale che quando hai un asset penalizzi proprio il tuo asset maggiore, è veramente da «matti» nel momento in cui noi abbiamo più casi di tutti pensare di mettere la patrimoniale e penalizzarci da soli; quali possono essere invece le vie per invertire, come veniva giustamente detto, e quindi far ricrescere il valore degli immobili, che significa far ripartire i consumi, ridurre gli NPL (Non performing loans) delle aziende che si garantiscono con gli immobili?
  Posto che c'è anche un tema di effetto annuncio, qualora fosse chiaro che la patrimoniale non solo non si mette, ma da quei 21 bisogna gradualmente tornare ai 9 o 10 di buonsenso come prima, quando tutto funzionava in maniera abbastanza ordinata, le domande sono diverse. Innanzitutto, cosa si può fare oltre a un effetto annuncio che chiaramente dica: «no, la patrimoniale proprio non esiste, perché questo è il nostro asset maggiore e sarebbe stupido penalizzarsi nel proprio asset maggiore»? Pensare a qualcosa del tipo semplificare ulteriormente la cedolare secca per gli affitti turistici e renderla molto più veloce e semplice, anche lì migliorando la compliance, e altre cose che si possono fare per il settore privato?
  La seconda domanda, per il settore pubblico, gli investimenti. Sono stati drammaticamente bloccati gli investimenti, ma non ritenete che il problema è che venga penalizzato chi li fa, cioè gli enti territoriali? Ad oggi, lo Stato centrale ha tenuto per sé la quota di investimento, l'anno scorso del famoso e cosiddetto «Fondo Renzi» è stato speso, sui 47 miliardi da qui al 2033, la bellissima cifra di zero, quindi era prevista una spesa di quasi 1,2 miliardi ed è stato speso zero.
  Non ritenete più ovvio riportare la spesa laddove viene fatta, posto che poi le asfaltature non si importano e quindi è più ragionevole fare spesa tendenzialmente tutta nazionale e quindi tutta interna?

  DANIELE PESCO. Una domanda veloce facendo riferimento alla nostra nazione e al nostro patrimonio immobiliare, che sicuramente è ricco dal punto di vista dei numeri (abbiamo un alto numero di immobili in Italia), sicuramente è abbastanza scarso dal punto vista della qualità degli immobili, però abbiamo un Paese a forte vocazione turistica (mi collego anche agli interventi fatti). Nello stesso momento abbiamo anche lo sviluppo della sharing economy, che sta portando vantaggi a molti proprietari immobiliari e per l'indotto all'intera nazione.
  Volendo cercare di non lasciare tutto al pubblico, cioè di trovare le soluzioni giuste al Parlamento, allo Stato e alla nazione, ma cercando di sfruttare anche le iniziative private, secondo voi è auspicabile cercare misure condivise tra proprietari immobiliari, Pag. 75 imprese edilizie, professionisti, con lo scopo di incentivare la riqualificazione immobiliare finalizzata all'affitto turistico? Una misura del genere secondo voi è auspicabile, è fattibile e – perché no? – potrebbe essere anche incentivata dal settore pubblico?

  ANTONIO ZENNARO. Sarò molto veloce. Sul tema specifico della ricostruzione del dopo terremoto (la mia domanda è per l'ANCE) abbiamo sicuramente una serie di problemi sul tavolo, soprattutto chi come me viene da territori che sono stati colpiti dal sisma del 2016, quindi sul territorio si segnala che c'è un problema di burocrazia, di lentezza nella ricostruzione.
  Chiedo quindi all'ANCE di darci la propria opinione e magari anche di farci avere un documento specifico sul tema, perché ovviamente questa sarà una questione che dovrà affrontare il futuro Governo e sicuramente anche il Parlamento, perché ricordo che ci sono gravi ritardi sul piano della ricostruzione, ma anche di accesso alle risorse, tralasciando poi il problema tasse, che dal 1° giugno copriranno i cittadini residenti nel territorio del cratere, ma anche indirettamente tutto il tema sulle imprese.

  GUIDO GUIDESI. Sarò velocissimo, facendo presente che la discussione che stiamo avendo e che avremo ancora sul DEF e tutti coloro i quali sono venuti a portarci le loro istanze e le loro proposte partono da un presupposto che vorrei ricordare anche a tutti i colleghi: se è vero che questo Paese cresce, è altresì vero che, in un momento favorevole come quello che stiamo vivendo dal punto di vista economico, questo Paese cresce esattamente un terzo rispetto agli altri Paesi europei dell'area euro, per cui qualche problema ce l'abbiamo, e probabilmente qualche problema e anche qualche limite è anche conseguenza di politiche economiche sbagliate.
  Faccio due esempi per cercare anche di portare all'interno di questa Commissione un po’ di sensibilità rispetto ad alcune problematiche che abbiamo avuto durante la scorsa legislatura su due proposte che sono arrivate qui oggi. Parlo per esempio della cedolare secca rispetto agli immobili non residenziali e ne parlo anche rispetto ai limiti per quanto mi riguarda di questi immobili magari dal punto di vista della metratura, nel senso che preferirei parlare di piccoli commercianti, se così possiamo dire.
  Oggi è noto a tutti che, se facciamo un giro sui nostri territori, nelle nostre aree urbane parecchie vetrine sono completamente sfitte, ed essendo sfitte non creano nessun gettito nelle casse dell'erario e nelle casse dello Stato. Noi sulla cedolare secca per gli immobili non residenziali abbiamo fatto tante proposte e abbiamo discusso parecchio, ma ci siamo sempre scontrati con la Ragioneria generale dello Stato sulle coperture.
  È bene che prima o poi ci chiariamo sul metodo che utilizziamo, perché se oggi questi negozi sono sfitti e non creano nessun gettito perché non hanno un contratto d'affitto, non vedo per quale motivo una misura di agevolazione dal punto di vista fiscale debba contenere una copertura quando tutti sappiamo che oggi è zero e questa potrebbe portare magari uno o due che oggi non arrivano.
  Faccio questo esempio dicendo che, anche nelle tipologie di scelte che facciamo, un cambio di mentalità non solo da parte nostra, ma anche da chi con noi controlla e concretizza alcune misure sarebbe assolutamente efficace.
  Questione appalti. Io ho ben presente il motivo per il quale è stata fatta quella scelta, quella decisione sull'affidamento degli appalti (sto parlando del sorteggio), ho ben presente tutto quello che è successo e tutto quello che è stato fatto. Ciò non toglie che noi oggi abbiamo due problemi, uno dal punto di vista chiamiamolo contabile: ci sono enti locali e regioni che hanno disponibilità finanziarie negli avanzi di bilancio che non possono spendere, perché noi non gli permettiamo di spendere quei soldi, e potrebbero essere soldi che vanno in investimento, per cui, prima di discutere che tipo di metodologia attuiamo per fare l'assegnazione degli appalti, sarebbe opportuno consentire agli enti che hanno a disposizione Pag. 76 quei soldi di poterli spendere per procedere a fare appalti, a fare investimenti.
  Ci sono anche alcune soluzioni (questo è l'altro problema grosso che secondo me dobbiamo affrontare) che sono state pragmatizzate da Paesi dell'Unione europea sempre nell'area euro, e sto parlando di criteri di premialità per favorire gli appalti a chilometro zero in maniera assolutamente trasparente, che migliorerebbero molto probabilmente la qualità del lavoro, limiterebbero l'impatto ambientale e soprattutto avrebbero un controllo diretto sul territorio, facendo assumere meno rischi.
  Di tutte queste cose credo, facendo questi due esempi, che dobbiamo discutere in maniera concreta, non strumentalizzando continuamente le nostre posizioni e non raccontandoci la storia che questo è un Paese che cresce, perché poi facciamo un giro nei nostri territori e ci rendiamo conto che è esattamente il contrario.
  L'ultima cosa la dico a coloro i quali sono venuti in questa sede tra oggi e gli altri giorni in rappresentanza delle imprese. L'invito che faccio a voi e che faccio a noi soprattutto è quello di fare una valutazione specifica sul suicidio del quale siamo «complici» rispetto alle banche di credito cooperativo, perché se va in porto quella autoriforma, il rischio è che chi oggi è venuto a parlarci di credito non abbia assolutamente nessuna possibilità di credito all'interno del territorio, e rischiamo di compromettere circuiti territoriali economici che già oggi sono stati compromessi dalla crisi economica.
  Una riflessione da questo punto di vista dovremmo farla perché corriamo secondo me un rischio veramente grosso.

  DARIO GALLI. Mi ricollego all'intervento del collega Guidesi su un altro aspetto, ma il concetto di fondo è lo stesso, cioè mi auguro che questa legislatura, se mai riuscirà a partire, tolga le incrostazioni ideologiche più stupide che ci hanno caratterizzato negli ultimi anni. Una è stata quella di cui si è appena parlato dei Patti di stabilità, che è una cosa totalmente incomprensibile da qualunque punto di vista la si guardi; un'altra, visto che parliamo di questioni edilizie, riguarda il fatto che poi italianamente si risolvano i problemi in maniera stupida, ossia il discorso dei capannoni sfitti. Alla fine c'è tanta gente che ormai scoperchia i capannoni per non pagare le tasse sul capannone medesimo, quindi ci facciamo veramente del male da soli facendo un danno al nostro patrimonio, che potrebbe essere utilizzato successivamente, solo per non fare una norma dove si dice che se non produce reddito non paga le tasse, punto.
  Spero quindi che questa sia una delle cose che in questa legislatura si riescano a mettere a posto. Peraltro, visto che qualche collega prima ha citato gli enti locali, ricordo che gli enti locali soprattutto al Nord, dove ovviamente c'è la maggior parte dei capannoni coperti (poi in tante zone ci sono quelli scoperti già dalla nascita), di fatto si portano a casa il «fastidio» di averli sul proprio territorio, ma non portano a casa la tassazione, perché la tassazione ad esempio sugli immobili industriali è in gran parte diretta alle casse dello Stato e solo la quota eventualmente aggiuntiva va al comune di residenza; però, anche quando si applicano le aliquote massime o quasi, al massimo un terzo resta al comune e due terzi vanno a prescindere allo Stato, quindi anche questi sono aspetti da mettere a posto in qualche modo.
  Voglio invece fare una domanda ai rappresentanti dei professionisti, perché c'è un aspetto su cui volevo deste qualche valutazione. Ovviamente i professionisti in senso generale occupano una platea grandissima di attività, però sono indiscutibili due cose: una è che la parte professionale «più ricca» si appoggiava nel campo privato soprattutto alla classe media, per cui è chiaro che avvocati, medici e dentisti quando c'è una famiglia da 6.000 euro al mese fanno un certo tipo di lavoro, quando c'è la famiglia da 2.500 ne fanno un altro; l'altra è la gran parte di professionisti che sono stati sostanzialmente interessati dall'esternalizzazione degli ultimi trent'anni di quelli che prima erano servizi interni alle imprese, quindi quello che era il cosiddetto «terziario avanzato» in campo di progettazione, di amministrazione e quant'altro, che era Pag. 77appunto la parte uscita dalle grandi o dalle medie imprese in questi campi.
  Il fatto è che, come giustamente diceva il collega, al di là dei numeri la classe media è sempre più piccola da un punto di vista percentuale e più povera da un punto di vista del reddito; infatti questo incremento del PIL ci sarà anche, però si nasconde bene, perché si fa veramente fatica a vederlo e soprattutto i dati sull'occupazione, come abbiamo detto nelle settimane scorse, sono dati di occupati che magari lavorano due ore alla settimana, non sono posti di lavoro da almeno 40 ore alla settimana, quindi il numero totale degli occupati in realtà è aumentato di numero, ma le ore lavorate nel Paese sono diminuite di valore assoluto e alla fine il nostro è un Paese che produce meno.
  La crisi conseguente delle imprese, che da una parte sono sempre più piccole per sopravvivere, come abbiamo sentito pochi minuti fa, dall'altra sempre più risicate nei margini, quindi cercano di stringere il più possibile anche queste attività verso l'esterno. Quindi voi come professionisti come valutate queste due cose, come le rilevate ed eventualmente che idee avreste per cercare in qualche modo di risolverle?

  PRESIDENTE. Non essendoci altri iscritti a parlare, do la parola ai nostri ospiti per una breve replica.

  GABRIELE BUIA, presidente di ANCE. Cercherò di essere molto rapido nelle risposte. Mi sono stati sollevati alcuni problemi, parto dalla considerazione che riguarda il sorteggio.
  Il Codice degli appalti ci chiedeva maggior professionalità delle imprese, ci diceva che dovevamo andare in Europa sul modello delle imprese europee, che si voleva imprese di qualità. Bene, cosa è contenuto in questo Codice degli appalti, cos'è il sorteggio? Il sorteggio è uno strumento che io ho definito barbaro (mi scuso per l'espressione, ma prendetela in senso positivo, collaborativo) per segnalare il fatto che fino a un milione di euro – e sono il maggior numero di appalti come numero, perché al di sotto del milione di euro è quasi l'85 per cento degli appalti in Italia, considerando tutti gli appalti che vengono banditi – per poter presentare offerta si fa una manifestazione d'interesse, le imprese aderiscono a una manifestazione di interesse; poi di 100-200 imprese ne vengono scelte in media 20 italiane (in alcuni territori ne vanno meno, in altri territori di più, diciamo una media di 20), il nome di queste imprese viene messo in un'urna e se ne sorteggiano 20, alle quali viene detto: «è possibile per te presentare offerta».
  Voi ditemi che qualità di impresa possiamo avere con questi concetti, spiegatemi come fa un'impresa di costruzioni a ipotizzare un budget iniziale per l'anno quando il proprio nome viene messo in un'urna e sorteggiato solo per poter partecipare.
  Preferiamo andare a giocare al casinò, che siamo sicuri che in ogni caso, se esce il numero, vinciamo; dobbiamo giocare sulla dea bendata solo per essere sorteggiati e poter presentare offerta. Dov'è la professionalità che ci si chiede? Io voglio saperlo, perché questa non è professionalità, questa si lascia alla sorte, e così le imprese di qualità non le avremo mai in Italia, perché si tenterà sempre più di depotenziare l'azienda, di non strutturarsi, perché non si ha la possibilità di determinare quello che sarà il futuro e le possibilità di lavoro che un'impresa può avere nell'ambito della propria attività.
  Per questo motivo l'abbiamo definito uno strumento barbaro, perché non è idoneo, ci sono altri strumenti che sono previsti, altre possibilità di semplificazione, qualcuno dei parlamentari intervenuti ha introdotto il fatto della territorialità, benissimo, preferiamo metodi diretti sulle piccole entità, ma di qualità, dove si vada a selezionare la qualità dell'impresa e non il sorteggio fine a se stesso.
  Si è toccato il problema della spesa, e certo, la spesa è bloccata, questo Codice ha praticamente bloccato la spesa in questi ultimi due anni. Devo sottolineare che gli ultimi due Governi hanno dato maggiori risorse agli investimenti infrastrutturali, i 140 miliardi che ho citato nella relazione sono indicativi di una volontà continua di aumentare le risorse. Il problema è che Pag. 78quei soldi noi non riusciamo ad utilizzarli, perché i processi burocratici e amministrativi rendono impossibile l'utilizzo di quelle risorse, perché quando pensiamo che un contratto di programma dell'ANAS 2016-2020 ha impiegato due anni solo per essere sottoscritto dalla Corte dei conti, capite bene che abbiamo praticamente congelato 30 miliardi di risorse, di cui 7 per manutenzioni, 30 miliardi bloccati per due anni perché la Corte dei conti doveva sottoscrivere il contratto di programma.
  Questo chiaramente è legittimo e non si vuole assolutamente obiettare sulla legittimità e l'operatività della Corte dei conti di cui abbiamo grande rispetto, però non possiamo aspettare due anni per utilizzare risorse quando un sistema Paese è così fortemente penalizzato e siamo l'ultimo Paese di crescita europeo, perché cresciamo l'1,5 per cento quando la Grecia, che era in default, cresce all'1,9 per cento.
  O utilizziamo rapidamente le risorse, visto che la carenza di investimenti dell'utilizzo di risorse pubbliche è quella che ci lascia indietro rispetto agli altri sistemi europei, o qualsiasi legge di bilancio che potrà essere fatta, se ha tempi di attuazione così lunghi, non porterà alcun beneficio al sistema Italia, e dobbiamo dircelo, abbiamo chiesto semplificazione e chiediamo che venga tolta burocrazia. Vi ho citato l'esempio della Corte dei conti, ma potrei citarvene tanti altri, come l'utilizzo dei fondi europei, perché abbiamo utilizzato solo il 5 per cento sul programma 2014-2020 e siamo al 2018, praticamente non utilizziamo le risorse per tanti adempimenti e balzelli burocratici che ne bloccano l'utilizzo, e non cresceremo mai a questo livello.
  Abbiamo sottolineato nella relazione i motivi di questo continuo calo del settore che, come ho detto, da dieci anni sta vivendo una crisi unica. Perché il danno erariale? Vi faccio un esempio: le amministrazioni locali si sono bloccate quando è stata approvata la normativa sul Codice, perché chiaramente lo shock da innovazione ha portato il blocco, questo blocco non è stato solo per il 2016, è stato anche per il 2017, perché l'anno scorso gli enti territoriali hanno appaltato il 7 per cento rispetto all'anno prima, perché c'è diffidenza, forse scarsa collaborazione, forse non conoscenza delle norme, forse non qualificazione delle stazioni appaltanti, come il Codice stesso recita e richiede, ma ancora oggi, dopo due anni, non abbiamo una qualificazione delle stazioni appaltanti, non abbiamo un Albo dei commissari di gara per l'offerta economicamente più vantaggiosa, elementi cardine di questo Codice degli appalti.
  Senza questi istituti noi non avremo mai legalità, non avremo mai trasparenza, non avremo tutte le cose che erano state chieste nell'ambito della legge delega iniziale, che era stata data al Governo per arrivare a definire un nuovo Codice degli appalti. Allora sono queste le problematiche che vogliamo sottoporre, affinché questi denari, una volta stanziati, vengano veramente utilizzati, perché è vero che, come ho già detto, gli investimenti sono aumentati, che nei primi mesi di quest'anno finalmente ci sono segnali di ripresa, ma ricordo che anche l'anno scorso all'inizio dell'anno c'erano questi segnali di ripresa e, come ho detto, il DEF che è stato modificato nel settembre dell'anno scorso portava l'incremento degli investimenti dal 2,8 allo 0,4 per cento, e poi alla fine dell'anno purtroppo si è registrato un calo del 5,6 per cento.
  Comparando l'inizio del 2018 con il 2017 prendiamo atto con favore di questo aumento dei bandi sia in numero che in importo, ma vogliamo aspettare la fine dell'anno per vedere effettivamente se quello che è successo nel 2016 e nel 2017 avrà ancora un ritorno nel 2018, perché oggi la storia ci insegna questo, quindi vogliamo essere sicuri, perché in un sistema come il mondo delle costruzioni, che è quello che è in termini di PIL e traina quel sistema dell'indotto così forte, o ha veramente la possibilità di risorgere o altrimenti il pianeta Italia non riparte.
  Benissimo quindi i dati, ma vediamo cosa succede perché la conditio sine qua non è che gli investimenti pubblici riescano ad arrivare rapidamente ad essere cantieri, senza i quali qualsiasi sistema iniziale non troverà applicazione finale. Pag. 79
  Quello che è venuto a mancare nel 2017 sono stati gli investimenti pubblici, che sono il motore anticongiunturale che altri Paesi europei hanno attuato immediatamente all'inizio della crisi storica in cui ci troviamo.
  L'occupazione continua a scendere nel mondo delle costruzioni, l'ISTAT è un valore, noi abbiamo dei valori molto concreti perché la nostra bilateralità, dove è obbligo per i lavoratori l'iscrizione, ci sta dicendo che stiamo scendendo ancora del 3,6 per cento, stiamo perdendo occupazione ulteriormente, per cui abbiamo necessità di misure rapide e urgenti per invertire questo andamento che ormai non riusciamo più a contenere.
  Mi è stato posto anche il problema di utilizzare le risorse e il problema del credito, che è molto legato al fatto che non c'è più la circolazione di quei denari che sono oggi dentro le banche. Le banche sono ricche di liquidità, ma non c'è circolazione di denaro, e, mancando la circolazione, il primo impatto negativo si ripercuote sull'immobiliare. Dobbiamo cercare di dare ancora sicurezza agli investitori, di far uscire questi denari e rilanciare l'economia con gli investimenti. In questa maniera si possono attuare tutti quei princìpi anche sugli investimenti turistici privato/pubblico, per rilanciare un sistema Paese che sul turismo si dovrebbe basare molto, perché abbiamo delle bellezze naturali uniche in Europa, e penso che questa sia una grande opportunità per far crescere rapidamente il nostro Paese.
  Dico però che abbiamo necessità rapidamente di un Governo, abbiamo necessità che questo Governo metta in atto rapidamente misure anticongiunturali e di sviluppo, senza le quali il nostro segmento economico del mondo delle costruzioni continuerà a soffrire, perdendo occupati. Guardate che sono 600.000 unità, ma sono numeri reali, non numeri ipotizzati, sono numeri reali che noi abbiamo potuto constatare e verificare sistematicamente nel nostro sistema della bilateralità. Penso di aver dato spiegazioni chiare su quelle che sono state le domande.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, presidente di Confedilizia. Rispondo a qualche sollecitazione sui temi che ci riguardano più direttamente.
  L'onorevole Braga innanzitutto faceva riferimento alle agevolazioni fiscali, in particolare a incentivi e detrazioni fiscali per il risparmio energetico, ristrutturazioni e messa in sicurezza degli immobili, dicendo di aver ascoltato grande apprezzamento anche da noi, e ci chiedeva dei rischi di eventuali annullamenti di tutto ciò con la flat tax.
  Naturalmente noi non possiamo giudicare qualcosa che ancora non esiste e che non vediamo; il fatto certo è che attualmente queste detrazioni servono, funzionano in presenza di una fiscalità sia reddituale che patrimoniale esagerata, quindi si tratta di sistemi che consentono di fare quello che altrimenti non si farebbe. Certo, in ipotesi, qualora vi fosse una drastica riduzione della fiscalità patrimoniale o una drastica riduzione della fiscalità reddituale, si potrebbe valutare la nuova situazione, al momento vanno sostenute e, come diciamo nel documento firmato con altre organizzazioni, stabilizzate queste agevolazioni. Di fronte a situazioni diverse ci porremo con la serietà che è dovuta a situazioni da valutare caso per caso e che non conosciamo.
  Con riferimento all'onorevole Garavaglia, che chiedeva quali misure si potessero proporre, naturalmente rimando a quel documento di dieci proposte, ma ne cito una alla quale faceva riferimento in parte egli stesso.
  Prima però parlava dell'effetto psicologico della patrimoniale, e un no alla patrimoniale da parte di un Governo che arrivasse o di un Governo in procinto di arrivare sarebbe fondamentale, come è stato ed è dimostrato che anche l'annuncio di patrimoniali crea effetti negativi (avvenne fin dal novembre del 2011 e poi arrivò, perché di patrimoniale si tratta, in quel caso con l'IMU e poi la TASI). Certo, anche qualcosa in negazione di un pericolo servirebbe, servirebbe a poco, servirebbe ben altro, come diceva lo stesso onorevole Garavaglia, servirebbe correggere molto quello che si è Pag. 80fatto nel passato e quindi tornare ai livelli di tassazione patrimoniale, nessuno dice di togliere tutto da un momento all'altro, ma certamente l'effetto psicologico che si avrebbe anche sui consumi da una almeno graduale riduzione di quel carico sarebbe fondamentale.
  Qui mi collego anche a quello che diceva il senatore Pesco, ma anche in parte l'onorevole Garavaglia con riferimento al turismo. Siamo assolutamente favorevoli ad ipotesi di interventi di incentivi finalizzati all'utilizzo a fini turistici degli immobili.
  In quel manifesto c'è anche un punto che dice di favorire il turismo anche attraverso la proprietà immobiliare privata, è un punto fondamentale, non è scontato per due motivi: primo perché per turismo spesso si intende il turismo più tradizionale attraverso le imprese alberghiere, che fanno un ottimo lavoro che è però una parte della messa a disposizione di immobili e comunque di ospitalità dei turisti; il secondo motivo è che bisogna addirittura contrastare i limiti che vengono messi all'utilizzo degli immobili privati a fini turistici spesso da legislazioni regionali non sempre legittime dal punto di vista costituzionale, perché entrano addirittura nei rapporti fra privati, tema rimesso alla competenza dello Stato, ma anche si vocifera spesso di interventi a livello nazionale e statale.
  Bisogna invece favorire al massimo il turismo proprio per i motivi che abbiamo detto finora, cioè per utilizzare un patrimonio immenso, bellissimo, ma in molti casi in difficoltà dal punto di vista non solo estetico, ma anche della sicurezza, favorirlo il più possibile nel rispetto delle esigenze di tutti. Spesso quei limiti vengono posti perché c'è il piccolo o grande problema condominiale in una città o c'è il rischio in una città turistica di accesso, di offerta di immobili in affitto, mentre si dimentica il patrimonio immenso che c'è nei piccoli centri italiani, borghi abbandonati, centri storici abbandonati che con il turismo potrebbero rinascere.
  Ultimo riferimento che ci riguarda direttamente è quello dell'onorevole Guidesi. Non posso che sottoscrivere quanto detto, ma non mi soffermo tanto sulla proposta sulla quale noi abbiamo detto e ridetto, la cedolare secca sugli affitti non abitativi, perché per gli effetti positivi che ha avuto nell'abitativo sarebbe quasi scontato portarla nel non abitativo, ma mi soffermo soprattutto sull'appello a quello che l'onorevole ha chiamato cambio di mentalità, forse anche cambio di qualche regola, certamente non può accadere che, dopo che quasi tutte le forze politiche del precedente Parlamento avevano detto sì a una misura anche iniziale di intervento almeno sugli immobili scontatamente vuoti, quindi che non prendono IRPEF, non prendono cedolari, non muovono né l'economia, né IVA, né imposte dirette delle attività commerciali e artigianali che ci possono essere, neanche su quello si è riusciti a fare qualcosa, perché si è pensato di fare altro o perché si paventava la necessità di copertura.
  Lì davvero non c'è proprio necessità di copertura, e spero che questo Parlamento possa salutare finalmente una misura che è solo di buonsenso e che non risolverà il problema delle vetrine che vediamo ovunque chiuse, ma contribuirà ad iniziare a far rinascere almeno qualche centro storico, anche se con difficoltà. Sappiamo infatti che ci sono tanti altri problemi, ci sono i centri commerciali mal collocati, c'è il commercio elettronico, però certamente quei locali che sono nelle nostre città non li possiamo far sparire con la bacchetta magica, quindi o li si fa fruttare in qualche modo e si favorisce l'incontro fra domanda e offerta oppure il legislatore trovi un altro modo di non lasciarli al degrado, perché poi quella è l'alternativa.

  FRANCO VALENTE, direttore di Confprofessioni. Rassicuro il presidente sul fatto che la mia risposta sarà breve, anche se la richiesta dell'onorevole Galli comporterebbe tempi più lunghi. Volevo solo sottolineare questo: la posizione dei professionisti effettivamente è una posizione molto particolare, perché da un lato sono i primi testimoni quotidiani nell'accompagnamento, nell'ambito della crisi, del proprio cliente o paziente, che sia cittadino, azienda, impresa, quindi il fatto di accompagnare la crisi del settore edilizio si va a testimoniare Pag. 81con un calo dei redditi delle professioni tecniche del 35 per cento e dei notai del 49 per cento, quindi sono dati che effettivamente dicono che si accompagna e si vive tale situazione.

  DARIO GALLI. Per i notai non piangiamo.

  FRANCO VALENTE, direttore di Confprofessioni. No, non piangiamo, piangiamo piuttosto per i loro dipendenti, piangiamo in una situazione complessiva, perché è chiaro che c'è un discorso di partenza e poi un discorso di arrivo, ma è una situazione complessiva che si ripercuote.
  Indubbiamente questo tipo di testimonianze di accompagnamento, che li rendono quindi più consapevoli e partecipi perché sta a loro molte volte spiegare al fruitore finale la situazione, si ritrova nello stesso tempo in prima persona nel proprio comparto, che con grande difficoltà si cerca di far percepire come tale. È vero, come lei dice, che è appoggiata alla classe media, anzi vorrei quasi dire che era la classe media, rappresentava la classe media. L'esternalizzazione dei servizi in modo forse meno poetico è l'uscita, quasi la cacciata dall'azienda, cioè le professioni autonome in molti casi hanno rappresentato anche una sorta di cassa di ammortamento, in cui si è andata poi ad esprimere magari in maniera più spontanea una propria esperienza, una propria competenza. Vive chiaramente all'interno della crisi quelle difficoltà che citavo prima della piccola dimensione, della non aggregazione, della non forza d'insieme che la pone in una situazione di concorrenzialità perdente nei confronti dell'Europa nel momento in cui c'è un mercato che si apre e che gioca la partita con regole diverse.

  PRESIDENTE. Ringraziamo nuovamente per ANCE il presidente, Gabriele Buia, Massimiliano Musmeci, direttore generale, Flavio Monosilio, direttore affari economici e centro studi, Stefania Di Vecchio, dirigente responsabile dell'Ufficio rapporti con il Parlamento; per Confedilizia ringraziamo Giorgio Spaziani Testa, presidente, Alessandra Meucci Egidi, segretario generale, Giovanni Gagliani Caputo, responsabile rapporti istituzionali, e poi Confprofessioni ringraziamo Franco Valente, direttore, Francesco Monticelli, Ufficio studi, e Lucilla Deleo, consulente rapporti istituzionali.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.25.