XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (Commissione speciale per l'esame di atti del Governo della Camera dei deputati e Commissione speciale per l'esame degli atti urgenti presentati dal Governo del Senato della Repubblica)

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 1 di Martedì 8 maggio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Molteni Nicola , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Molteni Nicola , Presidente ... 3 
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 
Molteni Nicola , Presidente ... 7 
Borghi Claudio (LEGA)  ... 7 
Boccia Francesco (PD)  ... 8 
Mandelli Andrea (FI)  ... 9 
Urso Adolfo  ... 10 
Fassina Stefano (LeU)  ... 12 
Molteni Nicola , Presidente ... 14 
Misiani Antonio  ... 14 
Crosetto Guido (FDI)  ... 15 
Marattin Luigi (PD)  ... 16 
Bartolozzi Giusi (FI)  ... 18 
Molteni Nicola , Presidente ... 19 
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 19 
Molteni Nicola , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
NICOLA MOLTENI

  La seduta comincia alle 12.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e
delle finanze, Pier Carlo Padoan.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2018, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, che ringrazio per la presenza.
  Buongiorno a tutti. Ringraziamo il presidente della Commissione speciale Crimi e i componenti della Commissione speciale al Senato per la loro presenza.
  Per una buona organizzazione dei lavori della Commissione e per dare a tutti l'opportunità di intervenire in maniera equilibrata e razionale, dopo l'intervento del Ministro chiederei a un componente per gruppo di intervenire, prevedendo poi, eventualmente, altri interventi, anche nel rispetto del principio dell'alternanza Camera e Senato, entro un limite di tempo contingentato anche per ascoltare le eventuali repliche da parte del Ministro. A tal fine chiedo di far pervenire alla presidenza i nominativi di chi intende intervenire.
  Cedo la parola al Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. Presidente Crimi, buongiorno. Grazie per questa opportunità.
  Il testo della mia relazione, che non è molto lungo, è in distribuzione, per facilitare ulteriormente il dibattito.
  Il Governo ha elaborato il Documento di economia e finanza 2018 in un momento di transizione politica, caratterizzata dall'insediamento della nuova legislatura. Tenuto conto di ciò, il Documento non formula – come accade di consueto – un nuovo quadro programmatico, bensì si limita alla descrizione dell'evoluzione economico-finanziaria internazionale, all'aggiornamento delle previsioni macroeconomiche per l'Italia e all'aggiornamento del quadro di finanza pubblica tendenziale che ne consegue, alla luce degli effetti della legge di bilancio per il 2018.
  Il quadro aggiornato della situazione economica e finanziaria è la base sulla quale il prossimo Esecutivo potrà valutare le politiche e le riforme da adottare.
  Il ciclo della programmazione delle finanze pubbliche potrà essere aggiornato attraverso l'elaborazione di un quadro programmatico e, in autunno, con l'adozione degli altri strumenti di programmazione previsti dalla legge n. 196 del 2009: la Nota di aggiornamento del DEF e il disegno di legge di bilancio dello Stato.
  Ricordo che la legislazione in vigore contempla l'aumento delle imposte indirette nel 2019 e nel 2020. Come già avvenuto Pag. 4 negli anni scorsi, il rialzo dell'IVA può essere evitato e il gettito atteso può essere sostituito da misure alternative mediante futuri interventi legislativi, per esempio con la legge di bilancio per il 2019. Ricordo che una parte significativa delle clausole di salvaguardia per il 2019 è stata già disattivata mediante interventi operati nel corso del 2017, dal decreto-legge n. 50 per circa 4,4 miliardi e dal decreto-legge n. 148 per 340 milioni di euro, e infine dalla legge di bilancio 2018 per circa 6,1 miliardi di euro.
  In questi anni, l'economia italiana ha percorso un cammino difficile e in salita, un sentiero stretto fra le esigenze di interrompere la preoccupante impennata del debito pubblico, la cui incidenza sul prodotto è cresciuta di circa 29 punti percentuali fra il 2007 e il 2013, e al tempo stesso rilanciare l'attività economica.
  Tali obiettivi sono stati perseguiti operando sull'intensità della correzione dei conti pubblici e sulla composizione del bilancio, in modo da reperire risorse per il sostegno alla crescita, e introducendo riforme strutturali in grado di migliorare il potenziale dell'economia italiana e la prospettiva di crescita nel lungo periodo.
  È dal 2014 che l'economia italiana cresce ininterrottamente. La ripresa, dapprima debole, si è consolidata nel biennio 2015-2016, per acquistare slancio nel 2017 e nell'anno in corso. Nei primi tre mesi del 2018 il PIL è cresciuto per il quindicesimo trimestre consecutivo, a un ritmo coerente con le previsioni degli analisti, delle istituzioni internazionali e del Ministero dell'economia e delle finanze. Si fa a volte osservare che la crescita italiana sarebbe modesta, si dice: il fanalino di coda dell'Unione europea. È un'osservazione fondata, ma ricordo due cose. Primo, dal 2000 in poi la crescita italiana è stata mediamente bassa; la media del tasso di crescita annuale dell'economia dal 2001 al 2017 è pari allo 0,2 per cento. E se limitiamo l'analisi al periodo precedente la crisi, tra il 2001 e il 2007, la media è pari all'1,2 per cento, analoga a quella degli ultimi tre anni. Quindi, quello della crescita contenuta è un problema di lungo periodo, che trova le sue radici in limiti strutturali.
  In secondo luogo, mentre in passato tassi di crescita modesti si sono ottenuti anche grazie al deficit di bilancio molto ampio – 3,2 per cento la media tra il 2001 e il 2007 – in questi anni si è riusciti a stimolare l'economia correggendo i conti, con un deficit medio, fra 2015 e 2017, pari a 2,5 punti percentuali di PIL.
  Per quel che riguarda il mercato del lavoro, rispetto al punto di arresto della crisi occupazionale, che si può collocare in corrispondenza del numero assoluto di occupati più basso, a settembre 2013, è stato recuperato più di un milione di posti di lavoro. Il numero di lavoratori dipendenti, in particolare, da settembre 2013 a marzo 2018 è aumentato di 1 milione 220 mila unità.
  Di questi nuovi occupati, 443 mila hanno un contratto a tempo indeterminato. Il recupero che le statistiche registrano è significativo anche dal punto di vista della produzione industriale (+3,7 per cento nel 2017), dell’export, della domanda interna e del clima di fiducia. Si tratta di risultati ancor più rilevanti se si considera che nel frattempo è proseguita l'azione di messa in sicurezza dei conti pubblici.
  Sin dal 2014 la gestione delle finanze pubbliche è stata infatti improntata a conseguire una progressiva ma sostanziosa riduzione del deficit. Pari al 3 per cento del PIL nel 2014, il deficit è gradualmente diminuito, raggiungendo il 2,3 per cento nel 2017, che sarebbe l'1,9 per cento al netto degli interventi straordinari per il settore bancario e la tutela del risparmio.
  Parallelamente, dopo sette anni di aumenti consecutivi, il rapporto debito-PIL si è stabilizzato, registrando riduzioni sull'anno precedente sia nel 2015 sia nel 2017.
  Vengo ora alle prospettive, sia di crescita sia di finanza pubblica. Il Documento di economia e finanza conferma per il 2018 la previsione di crescita del PIL già formulata a settembre, pari all'1,5 per cento, il quinto anno di espansione consecutiva del prodotto. Un dato in linea con la stima del Fondo monetario internazionale e con quella della Commissione europea rilasciata giovedì scorso. Una revisione al rialzo della crescita prevista del commercio internazionale Pag. 5 e un livello dei rendimenti sui titoli di Stato lievemente inferiore rispetto alle ipotesi formulate a settembre compensano un tasso di cambio dell'euro e prezzi del petrolio più elevati.
  Alla crescita del PIL contribuiscono, dal lato della domanda, l'aumento degli investimenti privati, che risentono positivamente o negativamente del clima di fiducia, dell'ambiente economico e degli incentivi, la continuazione di una crescita moderata dei consumi privati, il recupero degli investimenti pubblici e, in misura minore, le esportazioni nette.
  Contribuisce alla ripresa di consumi e investimenti il ripristino di condizioni del credito più favorevoli, sostenute dagli interventi che hanno affrontato specifiche crisi bancarie e dalle riforme che hanno contribuito ad accrescere la patrimonializzazione e la resilienza del comparto.
  La previsione di crescita del PIL reale per il 2019 viene leggermente ridotta dall'1,5 all'1,4 per cento, mentre rimane invariata quella per il 2020 all'1,3. Benché l'evoluzione delle variabili esogene rilevanti ai fini della previsione della crescita del PIL nel biennio 2019-20 sia più favorevole rispetto a settembre, si è utilizzata maggior cautela, alla luce sia dei rischi geopolitici di medio termine che si sono evidenziati negli ultimi mesi, sia dell'eventuale protrarsi della fase di incertezza politica nel Paese, potenzialmente in grado di frenare in particolare la ripartenza degli investimenti.
  Il quadro internazionale è contrassegnato da fattori di rischio di segno opposto. La stabilità finanziaria riconquistata in seguito alla crisi globale ha goduto di un elevato grado di accomodamento monetario e dell'irrobustimento del sistema finanziario e bancario internazionale, frutto di interventi di regolamentazione in materia di capitalizzazione, gestione del rischio di credito e di mercato delle banche.
  Vi è però il rischio che il quadro di stabilità finanziaria possa essere messo a repentaglio dagli elevati corsi azionari, i bassi differenziali di rendimento sui titoli corporate a reddito fisso, la prolungata bassa volatilità a cui gli investitori si sono abituati e gli elevati livelli di indebitamento in alcuni comparti.
  Le misure protezionistiche recentemente introdotte dall'Amministrazione americana rappresentano allo stato attuale il rischio più significativo per le previsioni. Si tratta dell'imposizione di dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio e di una serie di manifatture cinesi, in aggiunta a restrizioni sulle acquisizioni di tecnologia statunitense. L'impatto diretto sul commercio mondiale sarà probabilmente limitato, ma l'imposizione dei dazi doganali su molteplici prodotti da parte degli Stati Uniti potrebbe portare a ritorsioni, oltre che dalla Cina, anche da parte di altri Paesi, e causare un forte rallentamento della crescita del commercio internazionale.
  L'impatto sulle filiere produttive potrebbe essere assai negativo, con ripercussioni sull'occupazione e l'inflazione anche nei Paesi europei. Vi sarebbe inoltre una diversione di flussi commerciali, che renderebbe l'Europa ancor più esposta allo sforzo di penetrazione commerciale da parte degli esportatori asiatici.
  Oltre ai possibili effetti delle più recenti politiche commerciali statunitensi, la tendenza al rafforzamento dell'euro costituisce un ulteriore rischio al ribasso sulle prospettive dei settori rivolti alla domanda internazionale.
  Alla crescita dell'economia si accompagna la crescita dell'occupazione e delle ore lavorate. Il tasso di disoccupazione per il 2018 scende al 10,7 per cento, dall'11,2 del 2017, e al 9,8 nel 2019. Questa dinamica si accompagna, come dicevo, all'aumento delle ore lavorate e del numero di occupati. Questo quadro tendenziale macroeconomico 2018-2021 è stato validato dall'Ufficio parlamentare di bilancio.
  Vengo ora alla finanza pubblica. Una compiuta valutazione del quadro previsivo deve tener conto del miglioramento del saldo di bilancio a legislazione vigente in termini sia nominali, sia strutturali – ovvero correggendo il saldo nominale per i fattori ciclici e le misure una tantum e temporanee. In aggiunta a misure di contrasto all'evasione fiscale e di contenimento della spesa pubblica, tale miglioramento Pag. 6riflette gli effetti delle clausole di salvaguardia a gennaio 2019 e 2020.
  La stima del deficit 2018 viene confermata all'1,6 per cento del PIL. L'avanzo primario si porterebbe all'1,9 per cento del PIL dall'1,5 del 2017 (1,9 escludendo gli interventi straordinari per le banche). L'indebitamento netto scenderebbe allo 0,8 per cento del PIL nel 2019 e a zero nel 2020. Parallelamente, il saldo primario migliorerebbe al 2,7 per cento nel 2019 e al 3,4 nel 2020.
  I pagamenti per interessi scenderebbero a poco più del 3,5 per cento del PIL nel 2018, in diminuzione rispetto al 3,8 del 2017, e rimarrebbero intorno a quel livello fino al 2021, nonostante il rialzo dei rendimenti sui titoli di Stato scontato dal mercato per i prossimi anni.
  Per quanto riguarda i saldi di finanza pubblica corretti per il ciclo e le misure una tantum e temporanee, oggetto di monitoraggio da parte della Commissione europea in base al Patto di stabilità e crescita, il saldo strutturale migliorerebbe di 0,1 punti di PIL nel 2018, di 0,6 nel 2019 e di 0,5 nel 2020. Il saldo strutturale raggiungerebbe lo 0,1 per cento del PIL nel 2020 e 2021, soddisfacendo pertanto l'obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio strutturale.
  I dati rappresentati nel DEF si basano sulle stime di prodotto potenziale e di output gap formulate dal Governo. Da parte sua, nelle Spring Forecast pubblicate il 3 maggio, la Commissione europea stima che il deficit dell'Italia quest'anno sarà pari all'1,7 per cento del PIL, contro l'1,6 previsto dal Governo. Ciò fa sì che il saldo strutturale secondo la Commissione rimanga invariato nel 2018, anziché migliorare di un decimo di punto come previsto dal Governo.
  Sottolineo che a sua volta la variazione del saldo strutturale nel 2018 è minore di quanto previsto a settembre, perché il 2017 si è chiuso con un risultato migliore, in misura pari a 0,2 punti percentuali. Il livello del saldo strutturale 2018 è esattamente quello previsto nel settembre scorso.
  L'ultimo aspetto del quadro di finanza pubblica riguarda il debito. Ho già ricordato che il debito è cresciuto dal 100 al 130 per cento circa del PIL in 7 anni, dal 2007 al 2013. Nella passata legislatura questa spirale è stata arrestata e sono stati messi in sicurezza i conti pubblici. A legislazione vigente, il debito, stabilizzato a partire dal 2014, comincia a scendere in modo più consistente da quest'anno.
  Il nuovo quadro tendenziale pone il rapporto debito/PIL a fine 2018 al 130,8 per cento, in discesa dal 131,8 del 2017. Grazie in particolare ai maggiori surplus primari e ad una crescita più sostenuta del PIL nominale, il rapporto debito/PIL calerebbe poi più rapidamente nei prossimi tre anni, fino a raggiungere il 122 per cento nel 2021.
  Concludo con una descrizione molto rapida della novità del DEF che riguarda il benessere equo e sostenibile. Nel corso degli anni passati abbiamo registrato un graduale miglioramento, complessivamente significativo, delle principali statistiche macroeconomiche (PIL, occupazione, disoccupazione, produzione industriale e così via), eppure il disagio sociale non si è arrestato, le diseguaglianze in alcuni casi sono cresciute oppure è aumentato il divario fra chi stava bene e chi stava male già prima della crisi.
  Anche per questo motivo durante la passata legislatura è stato introdotto nel ciclo di programmazione economica un set di indicatori di benessere equo e sostenibile. Questa innovazione vede l'Italia all'avanguardia a livello internazionale. Dopo l'esercizio sperimentale dello scorso anno, in uno degli allegati del DEF 2018 si analizzano le tendenze recenti di dodici indicatori di benessere equo e sostenibile su aree come diseguaglianza, istruzione, salute, ambiente e sicurezza, e si proiettano le future evoluzioni degli indicatori attualmente simulabili. Si formula inoltre un bilancio di genere, che permette di valutare l'impatto delle scelte di finanza pubblica sull'equilibrio tra uomini e donne.
  Dall'analisi si evince come la crisi abbia intaccato il benessere dei cittadini, in particolare accentuando le disuguaglianze e aggravando il fenomeno della povertà assoluta soprattutto fra i giovani. È tuttavia Pag. 7in corso un recupero dei redditi e dell'occupazione, si attenuano fenomeni di esclusione sociale quali la mancata partecipazione al mercato del lavoro e l'abbandono scolastico precoce, migliorano alcuni indicatori di efficienza del settore pubblico quali la durata dei processi civili.
  Molto resta da fare, i progressi non sono uniformi a livello territoriale, ma esiste una base su cui proseguire e allargare lo sforzo di miglioramento del benessere, dell'equità e della sostenibilità sociale, economica e ambientale.
  In conclusione, l'Italia è nelle condizioni per proseguire nell'irrobustimento strutturale della crescita, nell'aumento dell'occupazione e dell'inclusione sociale, nel necessario, ulteriore rafforzamento della finanza pubblica e nella riduzione della pressione fiscale.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro per la relazione.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO BORGHI. Grazie Ministro. Avevo qualche piccola osservazione in merito alla sua relazione. Io non trovo nella sua analisi, però mi piacerebbe conoscere il suo parere, una considerazione sulla sensitività del moltiplicatore della spesa. Lei ci dice – ed è vero perché questi numeri sono storia ormai – che, dal 2001 al 2007, ci sono stati deficit di bilancio molto ampi, pari a una media del 3,2 per cento. Bene, però registriamo che in quel periodo il debito pubblico, a seguito anche evidentemente di questi deficit di bilancio molto alti, è sceso dal 105 per cento al 99. Viceversa, da quando abbiamo cominciato le politiche di austerità, e segnatamente quelle del Governo Monti, c'è stata questa impennata del debito pubblico, che lei tanto stigmatizza; e questo è altrettanto vero.
  Vorrei far notare anche che questa impennata del debito pubblico si è avuta soprattutto negli anni dal 2011 al 2013: in quel periodo c'è stato infatti un rialzo del 13 per cento del debito pubblico, quindi esattamente in corrispondenza con le politiche di austerità ispirate dall'Europa e applicate con massimo rigore dal senatore Monti.
  Mi sarei aspettato, sinceramente, in uno scenario di evoluzione, una considerazione su cos'è l'effetto del deficit su un'economia stagnante come quella dell'Italia, vale a dire: se noi, invece di applicare questi deficit che tendono addirittura al pareggio di bilancio, facessimo delle politiche espansive, quale sarebbe l'effetto sul debito pubblico? Ci sarebbe un effetto di aumento del rapporto debito-PIL oppure, come penso io, ci sarebbe un effetto di diminuzione del rapporto debito-PIL e di miglioramento dell'economia italiana e di tutti i vari parametri?
  Lo dico – e lei lo capisce – perché, se quello che «ci chiede l'Europa» è una diminuzione del rapporto debito-PIL e noi facciamo delle politiche che in passato hanno dimostrato essere distruttive sul rapporto debito-PIL, stiamo facendo una cosa sbagliata e non stiamo facendo una cosa giusta. Anche il suo Governo – lo vorrei ricordare – da questo punto di vista ha costantemente chiesto più deficit all'Europa, in modo tale da evitare di danneggiare l'economia. Quello che valeva per voi suppongo dovrà valere anche per chi vi seguirà.
  Altra cosa: lei è d'accordo – suppongo di sì perché, se l'avete fatto voi, lei sarà d'accordo – con quanto viene riportato, per esempio, a pagina 63 del DEF, dove si dice che un aumento dell'immigrazione porta a una diminuzione del rapporto debito-PIL? Lei è d'accordo sul fatto che un aumento del flusso netto migratorio del 33 per cento, quindi il 33 per cento di migranti in più a partire dal 2018, permetterebbe di diminuire sensibilmente il rapporto debito-PIL? Quindi, lei concorda sul fatto che una delle maniere di fare più deficit sarebbe importare più immigrati per poter avere questa auspicata diminuzione del rapporto debito-PIL?
  Come lei sa, questo è un documento che, a un certo punto, se noi lo approviamo, significa che, nel momento stesso in cui noi approviamo questo scenario, è un po’ difficile poi andare in Europa e chiedere un Pag. 8maggior contenimento dei migranti. Anzi, verrebbe da dire che, se approviamo questo documento, dovremmo chiedere che ce ne mandino di più, così abbattiamo tantissimo il rapporto debito-PIL, quindi c'è qualcosa che non mi torna.

  FRANCESCO BOCCIA. Ministro Padoan, vorrei farle un paio di domande inserite in una cornice che io penso sia necessario evidenziare in questo confronto sul DEF perché, vista anche la mancanza di maggioranze chiare che dovranno esprimersi sulla risoluzione, penso sia nostro compito anche sottolineare qual è la cornice dentro cui ci stiamo muovendo.
  Il Ministro Padoan ci ricorda che veniamo da quindici trimestri consecutivi di crescita del PIL, il che non era scontato. L'inizio della scorsa legislatura partì con meno 2,8 di variazione del PIL – era quella la condizione del Paese – e lo dico indirettamente al collega Borghi: i 30 punti di maggior debito li abbiamo fatti, rispondendo ai vincoli di bilancio che ci arrivavano anche da Bruxelles, nel periodo che va dal 2007 al 2013. Quando inizia il percorso cui fa riferimento il Ministro dell'economia e delle finanze e che è sintetizzato in questo primo DEF tendenziale di questa nuova legislatura, il Paese era in recessione, il portone della Camera dei deputati si è aperto con il Paese a meno 2,8 e i quindici trimestri consecutivi, che son partiti evidentemente un anno dopo le prime cure, ci hanno riportato alla cornice attuale. Lo dico perché non vorrei che fossero utilizzate impropriamente alcune valutazioni.
  L'ultimo atto della scorsa legislatura è il nostro «no», su proposta del gruppo Partito Democratico, al recepimento del fiscal compact nell'ordinamento dell'Unione europea, quindi i conti, rispetto a quanto hanno funzionato e come hanno funzionato alcuni dei vincoli che sono stati richiamati, sono stati fatti al termine della scorsa legislatura. È stato votato il «no» al fiscal compact nell'ordinamento dell'Unione europea nella Commissione bilancio all'unanimità e il nostro Paese non lo recepirà in sede di «manutenzione e rilancio». Il nostro è uno di quei Paesi che hanno già detto alla Commissione da che parte stanno. Il nostro Paese, però, ha votato a favore del Fondo monetario europeo (con la vecchia maggioranza), come ha votato a favore, con una serie di osservazioni e di condizioni, della nascita del bilancio comunitario e, a certe condizioni, della nascita del Ministro dell'economia e delle finanze comunitario.
  Lo dico perché io penso che, nel dibattito pubblico intorno al DEF, noi siamo già oltre l'alternativa vincoli sì – vincoli no; ma dentro quale percorso siamo? Lo dico sul Fondo monetario europeo perché il gruppo Partito Democratico ha sostenuto molto questa ipotesi – ovviamente con il parere favorevole del Governo di allora, che è ancora il Governo di oggi – e perché il Ministro Padoan ci ricorda che i pagamenti per interessi oggi incidono in misura di 3,5 punti sul PIL e ci dice «guardate che, siccome l'abbiamo ristrutturato e allungato, ne abbiamo abbassato il costo e per i prossimi due anni non avremo incidenza diretta sul bilancio dello Stato». Ma, se nella giornata di oggi, qualche minuto fa, i BTP decennali vanno già su di dieci basis point e se rispetto al 25 aprile hanno preso già venti basis point, cosa che è inutile nascondere per la condizione in cui siamo, è evidente che i conti nel breve sono in sicurezza, e di questo volevo la conferma da parte del Ministro ma non si può escludere che l'impatto sui BTP decennali sia un impatto che ci porterà poi nella prossima manovra triennale a rifare i conti esattamente come li avevamo fatti, in maniera abbastanza drammatica, cinque anni fa. Vorrei il punto di vista su questo aspetto del Ministro Padoan.
  Passo alle clausole IVA e poi al BES. Sulle clausole IVA, Ministro, io penso che sia necessario chiarire in questa Commissione che non c'è bisogno di alcuna manovra correttiva e non c'è bisogno di alcun decreto per disinnescare le clausole di salvaguardia oggi. Lo dico perché, altrimenti, si rischia di uscire dai confini istituzionali del confronto sul DEF e si utilizzano alcuni temi per fare propaganda fuori. Anche per i segnali che arrivano dai mercati questa mattina, penso che sia nostra responsabilità evitarlo. Pag. 9
  La domanda è molto secca. La riforma del bilancio, che insieme a quasi tutti i gruppi presenti in quest'Aula abbiamo voluto, ci consente di seguire un percorso molto chiaro: approvando il quadro tendenziale che il Governo Gentiloni ci ha trasmesso, basterebbe una risoluzione unitaria sul no agli aumenti IVA nel 2019 – sono due righe – e sposteremmo il dibattito sull'aumento dell'IVA in sede di Nota di aggiornamento del DEF.
  Continuare a ribadire che c'è bisogno di un decreto per evitare che l'IVA aumenti è oggettivamente strumentale. Io vorrei una risposta chiara dal Ministro sulla necessità o meno di un decreto. Lo dico perché la Nota di aggiornamento del DEF definisce i saldi della manovra e la manovra triennale poi incorpora ovviamente le misure che caratterizzano quelle scelte.
  Va da sé che, se le Camere dovessero essere sciolte a ottobre, lì sì che il problema si porrebbe, nel senso che bisogna intervenire prima o dopo e intervenendo dopo il rischio dell'esercizio provvisorio c'è. Quindi il tema è circoscritto a una sola opzione, cioè l'opzione che il Parlamento a ottobre non sia nelle condizioni di poter operare.
  Vorrei che fosse sgomberato il campo da qualsiasi equivoco rispetto al tema per il quale serve fare una manovra correttiva. Da questa relazione, dai dati che abbiamo letto, dal quadro tendenziale, noi riteniamo che non sia così e vorremmo avere conforto dal Ministro dell'economia e delle finanze.
  Chiudo sugli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES). Lei sa che abbiamo lavorato insieme e io penso che questo – ha fatto bene a ribadirlo – sia un punto d'orgoglio del nostro Paese in Europa. L'anno scorso eravamo partiti con la sperimentazione di quattro indicatori e purtroppo la legge che abbiamo fatto insieme, la riforma del bilancio 2016, prevede che a metà febbraio il Parlamento si esprima su come sono andati quegli indicatori, cioè sui risultati ex-post di quegli indicatori. A febbraio il Parlamento non poteva esprimersi e alla fine penso che si potrà esprimere su questi dodici indicatori, tra i quali, oltre a esserci indicatori importanti che impattano sull'ambiente – penso alla valutazione sulla produzione di CO2 pro capite – ci sono indicatori relativi alle diseguaglianze e alle misure di contrasto alla povertà.
  Lo dico perché le valutazioni che lei ha giustamente sostenuto e difeso potrebbero essere strumento di confronto politico, se la legislatura dovesse proseguire, nella misurazione delle politiche pubbliche. Allegare uno di questi indicatori rispetto ad alcune politiche, che siano connesse al welfare o che siano connesse alle misure che impattano sull'ambiente, può solo arricchire il Parlamento, indipendentemente dai colori delle casacche politiche.

  ANDREA MANDELLI. Grazie, Ministro, per la relazione. Io comincerei proprio dalle sue prime parole. Si presenta il Ministro in un frangente particolare con un documento che, dato atto del momento di transizione, cerca un po’ di valutare la situazione, ovviamente senza troppa possibilità di innovare il quadro e, quindi, sui tendenziali. Proprio da qua voglio partire per fare la mia considerazione.
  È chiaro che questo momento di transizione ci impone una situazione che è difficile da valutare, perché è evidente che fare economia in questo caso vuol dire davvero fare la politica del Paese. Quando lei giustamente dice «il tema del gettito atteso dalle clausole può essere confrontato e affrontato in maniera diversa», è proprio la maniera diversa poi di pensare al futuro del Paese, perché ognuno di noi è d'accordo sulla necessità di disinnescare le clausole, ma è chiaro che ognuno ha formule diverse per ottenere questo risultato.
  Io vorrei fare un passo indietro e dire che sicuramente, anche se il quadro che lei ci descrive è un dato che ovviamente lei ritiene positivo, io rimango sempre dell'idea che forse in questi cinque anni avremmo potuto fare un po’ di più, in un momento particolare nel quale l'economia è tornata a correre in maniera importante. Abbiamo parlato cento volte per cinque anni dei fattori esogeni. Non voglio riaffrontare la tematica oggi, ma indubbiamente ci sono state delle situazioni molto favorevoli per l'economia mondiale, delle quali l'Italia ha beneficiato, secondo me, in maniera inferiore, per alcune scelte strategiche. È un Pag. 10po’ il discorso che facevo all'inizio: fare l'economia vuol dire fare la politica del Paese, perché ognuno affronta la situazione con le ricette che ritiene più opportune.
  Io vorrei proprio partire da qui, per dire che io ritengo che forse noi abbiamo sprecato davvero un'occasione, facendo investimenti e facendo scelte che di fatto hanno sì rimesso un po’ in moto il Paese, ma non alla velocità che potevamo attenderci che l'Italia prendesse.
  Dunque, il mio ragionamento in poche parole è proprio questo: io mi rendo conto che non è il momento di aprire la querelle se fare la manovrina o meno, però noi siamo in una situazione per cui abbiamo davvero da confrontarci con un Paese che diventa sempre più distante nelle sue classi sociali, abbiamo una differenza molto importante che sta aumentando e credo davvero che la crescita, che finora ha potuto approfittare di situazioni esterne, possa trovare condizioni di grande criticità, anche in vista delle politiche americane, come lei ha accennato nella sua relazione.
  Quanto noi potremmo davvero, viste le scelte che voi avete fatto, essere all'altezza della sfida che gli italiani ci chiedono? Questa è un po’ la domanda di fondo che io mi trovo ad affrontare leggendo la sua relazione, che, chiaramente, dal suo punto di vista manifesta i risultati che avete ottenuto, i quali nella mia logica diventano, invece, sicuramente insoddisfacenti.
  È per questo che io auspicavo davvero che la possibilità nostra, del centrodestra, fosse quella di dare quelle idee, quelle formule e quelle ricette che abbiamo pensato in campagna elettorale, che potessero, invece, davvero far cambiare il futuro di questo Paese.
  Mi rendo conto del momento statico, del momento particolare, però io rimango dell'idea che veniamo da una fase in cui non siamo stati in grado di dare una risposta all'altezza di quello che è stato il movimento economico europeo e ora questo periodo di transizione non fa che farci perdere opportunità e anche imboccare situazioni che sono veramente complicate da interpretare.
  Io vorrei porle due domande. Siamo in fondo alla classifica della produttività in Europa. Io credo che forse sia mancata proprio un'azione politica in questo senso e vorrei capirne le motivazioni.
  Inoltre, c'è un passaggio sul mancato rispetto della regola del debito. Le chiedo di dire una parola su questo passaggio che fate nel documento che avete presentato.

  ADOLFO URSO. Ministro, lei giustamente, essendo a fine mandato, come ormai è comprensibile a tutti, ha fatto un bilancio dei quattro anni di gestione del suo mandato e di questo Governo, a suo avviso sostanzialmente positivo.
  Questo bilancio, però, non tiene conto di due aspetti. Il primo sono le condizioni esterne estremamente favorevoli di cui in questi quattro anni abbiamo goduto. Sintetizzo queste condizioni esterne in tre elementi. In primo luogo, vi è stata una situazione internazionale estremamente favorevole alle nostre esportazioni, anche per quanto riguarda il basso prezzo del petrolio. È di stamane la notizia che il petrolio ha raggiunto il suo record storico degli ultimi dieci anni, quindi cambia totalmente il contesto. La situazione internazionale favorevole – dicevo – è dovuta anche alla crescita del commercio internazionale.
  Si ha, invece, notizia – e lei stesso lo ha detto – che questa situazione favorevole internazionale sarà sconvolta. Tra l'altro, ieri l'ISTAT parlava di regressione delle nostre esportazioni ancor prima che entri in campo la politica daziaria degli Stati Uniti, che per noi sono il mercato di maggiore crescita. Abbiamo avuto, quindi, una situazione internazionale favorevole alle nostre esportazioni in questi quattro anni, che sarà profondamente modificata in prospettiva dalle decisioni degli Stati Uniti, dalle reazioni dei cinesi e dal forte incremento del prezzo del petrolio. Cambia il contesto.
  Il secondo elemento di cui lei non ha tenuto conto o di cui comunque non tiene conto in questo intervento è l'ombrello europeo garantito in questi quattro anni dal governatore della Banca centrale europea. Questo secondo elemento estremamente positivo, l'ombrello europeo garantito Pag. 11 dal governatore della Banca, verosimilmente non ci sarà più quando cambierà il governatore e, così come è stato dai partner annunciato, anche la politica della Banca centrale europea. Questo è un secondo elemento estremamente favorevole di cui il nostro Paese ha goduto in questi quattro anni, che non avremo nei prossimi anni.
  Il terzo elemento favorevole in questi anni che le vorrei sottolineare è stato il timore dei partner europei che, dopo il caso greco, si creasse un altro caso, quello dell'Italia, ben più grave. Se la Grecia è un piccolo Paese marginale nel contesto economico produttivo europeo, l'Italia è la terza economia della zona euro. Questa preoccupazione ha portato l'Unione europea a darci delle flessibilità – leggo 30 miliardi di euro di flessibilità – che non ci darà più nei prossimi anni. Questa flessibilità, questa tolleranza concordata in sede europea, è stata utilizzata sino in fondo.
  Ebbene, questi tre elementi importanti favorevoli – la situazione internazionale, l'ombrello della Banca centrale europea e la tolleranza con la flessibilità da parte dell'Unione nei confronti dell'Italia – non sono più riproponibili.
  In questo contesto estremamente favorevole, qual è la condizione dell'Italia? Lei, purtroppo, non fa un raffronto con quello che accade nel resto della zona euro, nel resto dell'Unione europea, nel resto del mondo. Infatti, non siamo un Paese isolato dal resto, siamo un Paese inserito in un contesto euro, in un contesto dell'Unione europea, in un contesto internazionale, e siamo un Paese, tra l'altro, estremamente dinamico sul piano commerciale a livello globale.
  Ebbene, se noi raffrontiamo quello che il Governo ha fatto in questi quattro anni rispetto a quello che hanno fatto altri Governi e altri Paesi della zona euro, dell'Unione europea e del mondo, noi siamo in una fase di clamoroso arretramento, siamo in fondo alla classifica. Siamo in fondo alla classifica come produttività in Europa, siamo in fondo alla classifica come crescita, siamo in fondo alla classifica come divario sociale.
  Lei giustamente rileva alcuni indicatori di benessere, o indicatori sociali. Io vorrei chiederle cosa pensa della Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza al Parlamento italiano presentata – credo – nel febbraio di quest'anno, in cui si evidenziano tre gravi rischi Paese.
  Il primo rischio Paese è proprio il fenomeno demografico, a cui non si può rispondere con quello che prima il collega citava, ossia con la politica dell'immigrazione. Parlo della Relazione ufficiale al Parlamento italiano sul rischio Paese. Per quanto concerne il fenomeno demografico, non c'è nessuna politica che porti a un recupero demografico del nostro Paese, quindi non c'è nessuna risposta al primo grave rischio Paese che viene evidenziato ufficialmente nella Relazione dei servizi al Parlamento.
  Il secondo elemento che evidenziano è l'accresciuto divario sociale in Italia in questi anni, il divario tra ricchi e poveri che aumenta, il divario tra Nord e Sud del Paese che aumenta. Il Mezzogiorno d'Italia è sprofondato anche rispetto agli altri contesti deboli europei, più di qualunque area depressa d'Europa, al punto tale che l'ISTAT l'altro giorno evidenziava come le aspettative di vita tra Nord e Sud del Paese si stiano divaricando, con un'aspettativa di vita nel Sud del Paese di tre anni inferiori rispetto al Nord. Secondo la Relazione ufficiale dei servizi al Parlamento, questo aumentato divario di ricchezza tra ricchi e poveri, che i bonus non hanno affatto ridotto, ma, anzi, è aumentato in questi anni, e questo divario tra Nord e Sud del Paese mettono a rischio il Paese (Relazione ufficiale al Parlamento italiano). Mettono a rischio il Paese perché si prefigurano reazioni rispetto al tessuto e all'unità nazionale.
  Il terzo elemento che vorrei sottolineare è quello della produttività e dei sistemi industriali. Recentemente il Governo ha fatto balzi di gioia perché un'impresa siderurgica straniera sta comprando un polo siderurgico italiano. Si stanno comprando i tre poli siderurgici italiani, imprese multinazionali di una medesima nazione straniera. Pag. 12
  L'altro giorno il Governo ha fatto balzi di gioia perché, con la Cassa depositi e prestiti, un fondo speculativo americano è riuscito a fermare la supremazia di Vivendi. Parliamo di un fondo speculativo americano, cioè un fondo che per sua natura deve massimizzare i profitti in due o tre anni. Come lo farà?
  Ebbene, nella Relazione ufficiale al Parlamento si evidenzia il pericolo, per rischio Paese, dell'azione – cito a memoria – predatoria governata da entità statuali straniere che agiscono in Italia per far comprare a capitali e a imprese straniere il tessuto produttivo del Paese al fine di espropriarci della nostra tecnologia.
  Non lo dice una persona innamorata di sovranismo, lo dice la Relazione ufficiale dei servizi al Parlamento italiano. È in atto una strategia internazionale, ovviamente allocata in entità statuali, quindi Stati, che agiscono per localizzare e individuare le start-up migliori affinché ci vengano tolti i brevetti migliori, che agiscono per acquisire, anche attraverso i cambi nelle strutture manageriali delle aziende a tal fine orchestrati, per appropriarsi del tessuto industriale e produttivo del Paese. A tal fine, consiglio anche di leggere il rapporto ISTAT sulle multinazionali e sulle conseguenze sociali e produttive pubblicato nel febbraio di quest'anno.
  Io penso che dopo quattro anni si lasci un Paese, dal punto di vista produttivo: sottoposto ad azione predatoria; dal punto di vista sociale: con divari tali da creare allarme sociale, definiti in Parlamento; dal punto di vista del debito pubblico: il debito pubblico in proporzione più elevato tra i grandi Paesi dell'Unione europea e tra i grandi Paesi del mondo, quindi a rischio. Tutto ciò avviene a fronte di una situazione internazionale che non è più quella degli ultimi quattro anni, ma che sarà nei prossimi quattro anni estremamente grave per quanto riguarda la politica daziaria e commerciale, per l'Italia assolutamente fondamentale, estremamente pericolosa per quanto riguarda l'asse franco-tedesco che si è appena formato sulla tolleranza in Europa e a mio avviso estremamente significativa per quanto riguarda la tenuta del tessuto industriale del nostro Paese.

  STEFANO FASSINA. Grazie, presidente. Ringrazio anche il Ministro per la sua esposizione. Torno su un punto che ho cercato di evidenziare anche nella scorsa legislatura. Mi perdonino i colleghi che l'hanno già ascoltato.
  A me pare che quando si fa una valutazione di un'economia nazionale che è dentro l'Eurozona e dentro l'Unione europea bisognerebbe fare riferimento, oltre che alle misure attuate dal Governo, anche alle misure che sono state adottate nel quadro in cui è inserita un'economia che non ha il controllo della politica monetaria, che non ha il controllo della politica del cambio, che non ha il controllo della politica antitrust e della politica industriale e che ha i vincoli di finanza pubblica che derivano dalla normativa.
  Se la vediamo in questo quadro, credo che dovremmo essere un po’ più attenti anche alle valutazioni che facciamo delle misure che sono state adottate. Sottolineo questi aspetti, non perché voglia riaprire un dibattito abbastanza stucchevole o portarmi avanti per la campagna elettorale; lo dico perché dobbiamo fare una valutazione il più possibile distaccata delle politiche, per evitare di ripetere comportamenti che non funzionano.
  Allora, se assumiamo questo quadro, è evidente che dobbiamo dire che la leva principale che ha determinato l'inversione di rotta dell'economia reale italiana è stata la politica monetaria della Banca centrale europea, con le conseguenze che ha avuto sui tassi d'interesse, con le conseguenze che ha avuto sul cambio e, quindi, sulla domanda estera.
  Se mettiamo in relazione le nostre performance con quella che è stata la performance media dell'Eurozona, vediamo che siamo sostanzialmente con quel ritardo, che è circa la metà nei tassi di variazione, che abbiamo storicamente avuto negli ultimi 25 anni. Questo vale per il PIL e vale per gli occupati e credo che il Ministro, che è molto consapevole dei termini, dovrebbe evitare di chiamare posti di lavoro il milione di occupati, perché purtroppo sono Pag. 13occupati, non posti di lavoro, e lei sa bene, Ministro, che secondo la definizione ISTAT è occupato colui o colei che nella settimana della rilevazione ha svolto almeno un'ora di lavoro, quindi una definizione decisamente meno impegnativa rispetto a quella di posto di lavoro come è intesa nel senso comune.
  Comunque la nostra variazione anche in termini di occupati è stata, con quel ritardo medio che ricordavo prima, circa la metà di quella avvenuta nell'Eurozona. Dico questo perché a me pare che a questo punto abbia ragione il collega Borghi a sottolineare quella che Krugman da tempo chiama self-defeating austerity, cioè un'austerità che si fa male, perché il debito pubblico è aumentato di oltre 10 punti dal 2011 al 2013, non solo per effetto delle manovre di Monti, ma anche per le manovre fatte dal Governo Berlusconi nel 2010 e nell'estate del 2011 prima di essere sostituito dal Governo Monti.
  Ora, quindi, noi ci troviamo, questa è la parte che più mi interessa, in un quadro molto complicato, perché a mio avviso gli obiettivi di finanza pubblica indicati nei tendenziali sono al contempo irrealistici e molto pericolosi se provassimo a realizzarli, perché renderebbero più soffocante quella spirale che si evidenzia nell'andamento del debito. I nostri sono tendenziali molto preoccupanti.
  Non so chi abbia avuto modo di vedere le tabelle, ma tutte le principali variabili di spesa, quelle che tanti in Parlamento ritengono vadano sostenute – penso alla sanità, alle pensioni, agli investimenti pubblici – sono in netta diminuzione in rapporto al PIL nel periodo di previsione, in particolare gli investimenti. Non capisco come si possa dire che vi sia un aumento: gli investimenti continuano a diminuire in rapporto al PIL, anche se è vero che, se si scompongono le singole voci e non si considerano i contributi alle imprese pubbliche, c'è un leggero aumento, ma il totale degli investimenti pubblici continua a diminuire, con effetti ancora più drammatici sul Mezzogiorno.
  Allora io credo che sarebbe importante fare un'analisi che guardi fino in fondo ai dati e ai risultati che abbiamo raggiunto, che individui anche i pericoli che vengono dal quadro in cui siamo profondamente inseriti. Il Governo tedesco ha presentato qualche giorno fa un bilancio pubblico per la Germania estremamente preoccupante per i riflessi che avrà su di noi, perché prevede una riduzione anche in termini nominali degli investimenti pubblici, che vuol dire meno domanda interna tedesca e conferma il rafforzamento della linea mercantilista, che poi ha conseguenze pesanti anche su di noi.
  Credo che un Governo, per definire i pilastri della propria politica economica, debba guardare anche a questi dati, perché quel bilancio ha effetti molto rilevanti anche sulla nostra possibilità di avere qualche segno espansivo nella politica monetaria.
  A mio avviso, per evitare che quella spirale sul debito pubblico e sull'economia reale diventi più stringente non possiamo confermare gli obiettivi tendenziali di deficit e vanno rinviate al 2022 le clausole di salvaguardia, ma senza coperture occasionali, perché, Ministro, come tutti qua dentro sanno bene, un aumento dell'IVA avrebbe effetti recessivi, ma un aumento dell'IVA coperto con tagli di spesa avrebbe effetti ancora più recessivi del medesimo aumento dell'IVA.
  Coloro che puntano – ce ne sono tanti – a dire «scongiuriamo l'aumento dell'IVA e prendiamo delle misure, magari una tantum, sulla spesa» devono riconoscere che ciò determinerebbe effetti recessivi di gran lunga maggiori, come risulta dalla ormai consolidata letteratura sui moltiplicatori. Quindi un rinvio in deficit per un triennio delle clausole di salvaguardia e un allentamento degli obiettivi, anche per dare ossigeno agli investimenti pubblici, in particolare nel Mezzogiorno, riprendendo quella che era la clausola dell'allora Ministro dell'economia Ciampi, che riservava il 45 per cento di tutti gli investimenti dello Stato e delle aziende partecipate al Mezzogiorno, perché là la carenza è drammatica.
  Noi potremmo seguire il percorso che ho provato a indicare con un deficit programmatico che si mantiene al 2 per cento, quindi senza particolari sconquassi al quadro Pag. 14 di finanza pubblica e con effetti positivi anche in termini di debito, grazie ad un miglior denominatore del rapporto.
  Infine una domanda e chiudo davvero. Il presente DEF è definito a legislazione vigente e come sappiamo ci sono anche le politiche invariate: ogni anno il bilancio pubblico si deve far carico di determinate voci di entrata o di spesa, sgravi contributivi o spese che fanno parte delle cosiddette «politiche invariate», che non sono previste a legislazione vigente. Faccio l'esempio di sgravi per i vari settori che consumano gasolio (autotrazione, pesca e quant'altro). È possibile avere una stima di quanto pesino le politiche invariate qualora si volessero confermare?

  PRESIDENTE. Abbiamo chiuso il primo giro di interventi da parte degli iscritti dei gruppi. Adesso ci sono altri tre interventi e poi la replica del Ministro. Chiedo ai tre iscritti interventi un po’ più sintetici.

  ANTONIO MISIANI. La massima rapidità, presidente. Primo punto: intendo manifestare, anche a nome dei colleghi del gruppo Partito Democratico, l'apprezzamento e la riconoscenza al Ministro Padoan per il lavoro svolto in questi anni. I numeri ricordati dalla relazione e che sono contenuti nel DEF testimoniano un oggettivo miglioramento degli indicatori macroeconomici negli ultimi cinque anni.
  Noi eravamo un Paese in recessione, con un deficit al 3 per cento, un debito e una disoccupazione in aumento. Cinque anni dopo il quadro è oggettivamente migliorato, questo è il quinto anno consecutivo di crescita, il deficit va all'1,6 per cento, il debito e la disoccupazione diminuiscono e l'occupazione aumenta non solo in termini di occupati, ma anche di unità di lavoro standard, quindi c'è un aumento dell'occupazione nel nostro Paese che è oggettivo.
  Poi si può discutere naturalmente sulla velocità e l'intensità di questo miglioramento, sul confronto con le altre economie della zona euro, possiamo ragionare anche sul contesto europeo complessivo, sicuramente favorevole dal punto di vista della politica monetaria accomodante della Banca centrale europea, molto meno dal punto di vista dell'impostazione europea delle politiche di bilancio, che oggettivamente ha ristretto il sentiero su cui il Governo italiano ha potuto muoversi in questi anni. Ecco, io credo che, al netto di queste valutazioni di contesto, comunque sia innegabile che il miglioramento degli indicatori macroeconomici di questi anni sia merito anche della strategia e di una serie di scelte di politica economica di questi anni, dal percorso più graduale di avvicinamento all'obiettivo di medio termine all'alleggerimento della pressione fiscale, a una serie di riforme strutturali fino a provvedimenti come Industria 4.0, che hanno riavviato il ciclo degli investimenti privati nel nostro Paese.
  Credo – e invito tutti a una riflessione – che, se oggi noi non siamo, dopo due mesi di incertezze e di stallo politico, nelle condizioni di altri Paesi, sia merito non solo dell'ombrello della Banca centrale europea, ma anche delle condizioni macroeconomiche di bilancio migliori del nostro Paese rispetto a quelle di cinque anni fa. Lo dico perché, se noi avessimo i numeri del 2013, altro che dieci basis point in più di spread dei nostri titoli di Stato rispetto ai Bund della Germania e credo che comunque su questo noi dobbiamo riflettere.
  Secondo punto, signor Ministro: è più contrastato, invece, il quadro degli indicatori BES. Penso alla disuguaglianza, alla povertà assoluta e all'esclusione dal mercato del lavoro e aggiungo anche il divario territoriale nel nostro Paese, che è non solo del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, ma anche delle aree interne rispetto alle zone urbane. Ecco, credo che la condizione sociale e territoriale del Paese sia un punto che deve interrogare molto il Parlamento, il Governo e il Paese nel suo insieme, sapendo ciò che è stato fatto in questi anni sul fronte del mercato del lavoro, dell'introduzione nel Paese di uno strumento di contrasto universalistico alla povertà, delle misure per il Mezzogiorno, ma sapendo che, oggettivamente, sul versante delle disuguaglianze molto rimane da fare. Vorrei conoscere l'opinione del Ministro su questo Pag. 15tema, che è un punto oggettivamente aperto, come emerge anche dai numeri del DEF.
  Terza e ultima considerazione: noi siamo in una situazione di stallo politico dal 4 marzo, che, per il momento, non ha riflessi gravi sulla stabilità dei mercati finanziari, però inizia a riflettersi anche sugli indicatori prospettici. Il Ministro ha sottolineato nella relazione che la previsione di crescita al 2019 passa da 1,5 a 1,4 per cento e che l'instabilità politica può diventare un fattore di rischio, per esempio, sul tema della dinamica degli investimenti privati.
  Ecco, io credo che questo Paese stia scherzando con il fuoco, sul tema dello stallo e dell'instabilità politica. Sta scherzando con il fuoco un Paese con il quarto debito pubblico al mondo, che sta calando, ma rimane il quarto debito pubblico al mondo in valore assoluto, e non so quanto possa permettersi questo Paese di baloccarsi tra veti, contro-veti ed elezioni anticipate, con la stessa legge elettorale da molti criticata e voluta da noi, con il rischio di riprodurre una situazione simile. Ecco, io credo che su questo – e ho finito – sia utile interrogarsi e forse sia necessario un segnale di una risoluzione condivisa, almeno sul tema delle clausole di salvaguardia e su alcuni punti essenziali che diano un segnale ai mercati e al Paese. Credo che su questo sarebbe utile riflettere nella discussione parlamentare del DEF.

  GUIDO CROSETTO. Sarò brevissimo, anche perché i colleghi Urso, Borghi e in parte Fassina hanno anticipato cose che avrei detto io.
  La mia era solo una riflessione che volevo fare, scendendo dai temi macroeconomici, e volevo sentire il suo parere. Lo dico perché ci concentriamo sui temi macroeconomici, mentre io sono convinto che il confronto con gli altri Paesi europei a noi dia indicazioni chiare. Noi siamo cresciuti, per cui sono vere alcune cose dette anche dal collega Misiani e dal collega Boccia, e abbiamo vissuto cinque anni migliori rispetto agli anni precedenti, ma siamo stati il fanalino di coda – usiamo questo termine, anche se non mi piace – dell'Europa.
  La domanda che noi dovremmo porci anche in questo momento è: perché siamo stati il fanalino di coda dell'Europa, cioè perché, anche se cresciamo, anche se la disoccupazione diminuisce e anche se la crisi del 2008 in qualche modo è stata assorbita, continuiamo a essere il Paese che in Europa cresce meno, dove la disoccupazione diminuisce di meno?
  Lo chiedo perché io sono convinto – e vorrei un suo parere, Ministro – che la fiscalità non sia più un fattore che ogni Stato può disciplinare in base soltanto al proprio bilancio e che la fiscalità, soprattutto quella delle imprese, sia necessariamente uno degli indicatori che può far crescere o meno un Paese. Sono convinto che la nostra debolezza e la nostra mancanza di crescita dipende non dallo spread dei tassi di interesse, ma dallo spread della fiscalità, soprattutto quella delle imprese, e che sia impossibile continuare a considerare la fiscalità delle nostre imprese come un fattore su cui non intervenire, perché non è reso possibile dalle esigenze del bilancio dello Stato, e assistere ogni giorno al fatto che le imprese migliori trasferiscono la loro sede all'estero.
  Lei era Ministro quando la FIAT ha trasferito la sede fiscale in Gran Bretagna e quella legale ad Amsterdam e il Governo non ha detto nulla. Quello era il segnale non di un tradimento da parte di Marchionne, ma di cosa stava accadendo in questo Paese: le imprese non sentivano più la necessità, anzi lo consideravano un problema, di mantenere la sede fiscale, il che è già un problema, ma anche quella legale in questo Paese. Ciò significa che questi due aspetti in questo Paese non sono competitivi e, se esiste un differenziale di crescita così forte rispetto agli altri Paesi europei, esiste per questo motivo.
  Uno degli elementi di cui noi dovremmo parlare, al di là dei temi macroeconomici, è questo: fin quando questo Paese può resistere e può sostenere il debito che ha e gli interessi che ha, se non si interviene sulla fiscalità, che consente a chi produce ricchezza – la ricchezza, purtroppo, non è prodotta dallo Stato, che può in qualche modo spenderla – di rimanere in questo Paese, cioè fin quando la concorrenza sleale attuata dagli altri Paesi, anche all'interno Pag. 16 dell'Europa, potrà continuare e potrà drenarci ricchezza? Lo dico senza intervenire sui temi sollevati dal collega Urso, che non sono irrilevanti e che non cito per amor di patria qua dentro. Ci sono Paesi che si muovono come un sol uomo, cercando di impadronirsi di pezzi di PIL nel confronto con gli altri Paesi.
  Io sono preoccupato dal fatto che quella che una volta si giocava come guerra con gli eserciti adesso si giochi sui capitali e sull'azionariato delle società, ma questo accade. Alcuni Paesi all'interno dell'Europa si sono dimostrati nei nostri confronti predatori, quando arrivano in Italia, e protezionisti nel loro interno. Non voglio citare il Presidente Macron, idolo di una parte di questo Paese, nel comportamento con Fincantieri, ma io ho trovato surreale che nessuno del Governo abbia detto nulla quando il Governo francese ha impedito a una società italiana di acquisire, dal curatore fallimentare, per un cantiere fallito, una quota che era prima coreana.
  Lo dico perché io vorrei sottolineare e vorrei dire in una sede ufficiale che il Governo francese ha detto «no» a un'azienda italiana, che acquisisce una quota dal curatore fallimentare che prima era di proprietà coreana, cioè in questa Europa che ci ama è possibile che i coreani detengano il 76 per cento di un cantiere navale francese, ma, quando ad acquistarlo è un'azienda italiana, tra l'altro proprietà dello Stato italiano, il Governo francese dice «no». Su questo, il commento della politica è stato lo stesso del caso FIAT: non c'è stato.
  Perché faccio questi due ragionamenti che sembrano distanti dal DEF? Li faccio perché il DEF alla fine – soprattutto questo, che è una fotografia – deriva da un insieme di cose e in particolare dalla produzione del Prodotto interno lordo italiano, che viene fatta principalmente dalla parte produttiva del Paese, cioè dal sistema industriale, che poi è quello che dà lavoro, che poi è quello che paga le tasse e che poi è quello che consente allo Stato di sopravvivere. Dobbiamo intervenire sul luogo da cui parte la costruzione di ricchezza, dando una tutela fiscale, dando tutele legali e dando quello che lo Stato deve dare. Il mio non è nazionalismo. Io non sto parlando dei dazi a difesa delle società, ma sto parlando di uno Stato che, secondo quello che dicono i nostri servizi segreti, è, in alcuni settori, soggetto all'intrusione, non di speculatori, ma di Governi stranieri che cercano di prendere pezzi di PIL.
  Vorrei il suo parere perché io sono convinto, invece, Ministro, che non sia possibile mantenere alcuno dei numeri che noi abbiamo inserito nel DEF per i prossimi anni, se non interveniamo almeno sulla fiscalità delle aziende in Italia.
  Non è più possibile subire una concorrenza fiscale al ribasso da parte dei Paesi, soprattutto quelli europei – mi fermo all'interno dell'Europa – e che le tasse che noi dovremmo applicare alle nostre imprese non dipendano dalla volontà e dai dati del nostro bilancio, ma dal livello di concorrenza che c'è in Europa. Ritengo che sia falso un DEF che, ancora in questo momento, ha dati che tengono conto che nulla possa cambiare, mentre invece cambierà il quantitative easing, cambierà il prezzo del petrolio a parità fiscale, se non viene previsto un taglio drastico alle imposte, soprattutto quelle a carico delle aziende.
  Questa è la domanda che vorrei farle.

  LUIGI MARATTIN. In due minuti farò tre considerazioni e tre domande al signor Ministro, che ringrazio per la presenza e per il suo servizio al Paese in questi anni.
  Parto dalle considerazioni. In primo luogo, io credo che in quest'Aula perlomeno dovremmo resistere alla tentazione di affrontare i temi sulla base del sentito dire o degli slogan e affrontarli numeri alla mano. Quando si dice, per sminuire gli sforzi fatti in questi anni, che grossa parte della ripresa sia dovuta alla dinamica del cambio – presumo nei momenti in cui era favorevole, perché adesso certamente non lo è – che ha favorito le esportazioni, si dimentica che, guardando i documenti di finanza pubblica e i contributi alla crescita delle varie componenti della domanda aggregata, quello delle esportazioni nette è quasi zero. La novità per la prima volta è il risveglio della domanda interna, consumi e investimenti. Pag. 17
  In secondo luogo, quando per l'ennesima volta, come si fa in contesti fuori da quelli ufficiali, si dice che i posti di lavoro creati in questi quattro anni in realtà non sono significativi, perché parzialmente o interamente basati su coloro che lavorano da una a due, tre o dieci ore settimanali, io non capisco perché un deputato della Repubblica non possa semplicemente guardare la statistica fornita dall'ISTAT, che ci dice puntualmente quanti sono i lavoratori che lavorano da una a dieci ore settimanali. Se questo si facesse, si vedrebbe che questo tipo di lavoratori, indubbiamente sottoccupati, erano il 2,9 per cento della forza lavoro nel 2014 e sono il 2,3 per cento della forza lavoro adesso, quindi la quota di occupati che ha lavori da poche ore settimanali, non solo non è cresciuta in questi anni, ma in realtà è diminuita.
  Arrivo alla terza e ultima considerazione. Quando si dice, per avocare maggior deficit salvifico, che il deficit serve perché negli anni in cui l'economia cresceva il deficit era alto, invece negli anni in cui l'economia non cresceva il deficit era basso, si fa una violenza ai principali princìpi statistici, perché il rapporto causa effetto non si indaga così, altrimenti dovremmo dire che, visto che l'anno di maggior crescita negli ultimi anni è stato il 2007 e nel 2007 la Juventus era in serie B, l'unico modo per tornare a crescere è che la Juventus torni in serie B.
  Non è che si deve guardare e mettere in correlazione; esistono dei modelli statistici – invito i colleghi a consultare la nota allegata al DEF che esprime la metodologia statistica – che indagano statisticamente il rapporto di causa effetto fra un euro di maggior deficit e un euro di PIL, controllando le altre cause che nel frattempo possono aver causato il maggior PIL e che non sono il maggior deficit.
  Tutta la letteratura scientifica è concorde sul fatto che, a parte i momenti di grande recessione, come quelli che abbiamo passato, nessuna stima del moltiplicatore è superiore all'unità, quindi tutti questi effetti salvifici che si dice verrebbero dal maggior deficit non trovano nessun riscontro empirico.
  Pongo le tre domande velocemente. Signor Ministro, il DEF a legislazione vigente incorpora lo scatto delle clausole di salvaguardia. Ciò nonostante, la dinamica del deflatore del PIL rimane sotto il 2 per cento e la dinamica del PIL nominale rimane piuttosto debole: 3,2 per cento nel 2019, 3,1 per cento nel 2020 e 2,7 nel 2021. Data l'importanza, a mio parere il ruolo cruciale, della dinamica del PIL nominale nel processo di riduzione del rapporto debito/PIL, l'eventuale disinnesco delle clausole di salvaguardia che impatto avrebbe sull'ulteriore riduzione del deflatore e, quindi, del PIL nominale e, quindi, eventualmente del rapporto debito/PIL?
  Vengo alla seconda domanda. Lo citava l'onorevole Fassina: gli investimenti in questo Paese sono cresciuti negli ultimi anni. Il DEF stesso in apertura rileva che gli investimenti fissi lordi delle società private non finanziarie nel 2017 crescono del 7,3 per cento rispetto all'anno prima. È vero che a contrarsi sono gli investimenti pubblici, ma affermando che quello che serve sono più soldi sugli investimenti pubblici si dimentica di guardare allo scollamento che abbiamo osservato in questi anni fra stanziamenti per gli investimenti e impegni.
  Che cosa vuol dire? Di soldi per gli investimenti ne sono stati messi molti, non è vero che non ne siano stati messi, ma semplicemente non riescono a tradursi in impegni e poi a maggior ragione in pagamenti, visto che al momento ISTAT contabilizza la spesa in conto capitale ancora per cassa. Allora, se si guarda questa forbice, soprattutto negli enti locali, ci si accorge che il problema degli investimenti che scendono non è dovuto al fatto che non ci sono soldi. Si è rotto qualcosa nella filiera di produzione dell'investimento, che va dallo studio di fattibilità fino all'apertura del cantiere.
  La domanda al signor Ministro è la seguente: è d'accordo che il gap di crescita che ci separa dall'Europa sarebbe colmabile unicamente da una ripresa degli investimenti pubblici? È d'accordo sul fatto che il problema non siano le risorse stanziate? Quali interventi, a parte quelli che sono già stati adottati, secondo lei sarebbero Pag. 18 utili per intervenire sulle rigidità reali che al momento paralizzano la spesa per investimenti?
  Pongo un'ultima domanda e chiudo. Signor Ministro, lei si è fatto promotore negli anni scorsi di una forte iniziativa nei confronti della Commissione europea, firmata, se non ricordo male, da altri sei o sette Paesi dell'Unione, per aggredire il vero problema del fiscal compact, che è la metodologia di calcolo del PIL potenziale.
  Le rimostranze poste dall'Italia all’Output Gap Working Group fondamentalmente erano due. Si tratta purtroppo di uno degli argomenti più tecnici e ostici in economia, ma anche di quello che ha maggior riflesso su ciò di cui discutiamo quotidianamente. Le rimostranze erano: un cambio della metodologia per la stima del trend della produttività e un affinamento della metodologia per la stima della componente lavoro nella stima del PIL potenziale.
  L'Europa in parte ha accolto queste rimostranze e in parte no, ma nella Spring Forecast di giovedì scorso continua a stimare un output gap per noi significativamente diverso da quello che si otterrebbe adottando quella che per noi, per il Ministero dell'economia e delle finanze, per il Governo e per chi queste cose le ha un po’ masticate, sarebbe la metodologia ottimale.
  La domanda è: che giudizio dà dell'accoglimento parziale dell'Europa nei confronti delle rimostranze tecniche da noi effettuate e quale crede possa essere l'evoluzione di quel percorso, qualora il futuro Governo volesse continuare a insistere, non su un ripudio delle regole fiscali europee, ma su un loro maggior grado di ottimalità?

  GIUSI BARTOLOZZI. Grazie, Ministro. Io non pensavo di dover intervenire in questa sede, perché Forza Italia sta preparando e approfondendo lo studio del DEF, ma l’incipit del discorso del collega Marattin, quando, numeri alla mano, parla di gap con l'Europa, mi impone alcune riflessioni.
  Parto da quel supplemento di riflessione, che, invece, ho colto con molto piacere, di cui parlavano i colleghi Urso e Misiani e che leggo, signor Ministro, anche nelle sue note di conclusione alla relazione, quando lei afferma che molto resta da fare in quest'area e che i progressi non sono uniformi a livello territoriale.
  Di che cosa sto parlando? Del divario Nord-Sud. Mi sia consentito già in questa fase di dire poche parole. Il documento che abbiamo all'esame si limita a registrare quel che è stato fatto nella precedente legislatura e a delineare alcune traiettorie e tendenze nello scenario economico, senza purtroppo individuare, a mio parere, con la dovuta decisione, le iniziative da intraprendere per invertire la tendenza e per affrontare i macigni che rallentano la crescita.
  Il Mezzogiorno, signor Ministro, soffre di drammatici problemi di crescita, di povertà, denatalità ed emigrazione, soprattutto intellettuale, desertificazione imprenditoriale ed endemica incapacità di attrarre investimenti, ma non appaiono ancora individuate le misure adeguate per prospettare un recupero delle condizioni di crescita.
  Come opportunamente sottolineato dal presidente dello Svimez, Giannola, «mutuando da un apparato più propriamente bioecologico, si può dire che l'abbandono del Mezzogiorno come questione nazionale, stralciata dall'NPE – Nuova programmazione economica – e affidata ai fondi strutturali e alle regole europee, ha fatto sì che la fine dell'intervento straordinario avviasse un progressivo indebolimento della carrying capacity del “contesto meridionale”. Un degrado puntualmente rafforzato dagli effetti delle varie agende, alimentate dai fondi strutturali al servizio di improbabili progetti locali senza strategie e con una progettualità, quando c'è stata, su scala ridotta, attenta a “rendicontare” più che a realizzare».
  Tornando alla disamina dei documenti che costituiscono il DEF, va sottolineata una grave carenza di decise misure di riequilibrio economico-sociale. Se queste non sono rinvenibili nei due principali documenti, che accennano solamente al problema irrisolto del Sud, la relazione allegata, della quale devo pur riconoscere l'attenzione alla centralità delle politiche di coesione della questione meridionale come questione nazionale, appare solo una dettagliata Pag. 19 ricognizione degli interventi già previsti, finanziati ed operati.
  Tuttavia, l'intera relazione mi sembra priva di una risolutiva strategia dei veri nodi irrisolti: desertificazione industriale, asfittica perequazione infrastrutturale, carenza di azionabilità delle risorse europee. In tal senso anche la Commissione europea interpellata sul punto ha rilevato profili di tale patologia italiana, riservandosi tuttavia di intervenire nella valutazione ex post del ciclo di spesa sui fondi strutturali 2007-2013.
  A riprova di ciò, giova ricordare che la pura e opportuna quantificazione soglia del 34 per cento degli stanziamenti minimi, sul complesso di quelli statali, in favore del Mezzogiorno, stabilita lo scorso anno, è rimasta sulla carta. Dopo la desertificazione industriale, l'emigrazione – qui torniamo ai numeri che invocava il collega Marattin – prima dei laureati e adesso degli studenti, ha fatto perdere alle università del Sud il 30 per cento di studenti e di risorse, rendendo irreversibile un declino che si aggrava di anno in anno.
  Ciò è confermato dal rapporto della Fondazione RES «Università in declino. Un'indagine sugli atenei da Nord a Sud», dal quale emerge un sistema formativo sempre più differenziato tra sedi più o meno dotate, e le regole dettate dal Governo purtroppo accentuano questa biforcazione.
  Ritorno ai numeri: oltre il 50 per cento del calo degli immatricolati è concentrato nel Mezzogiorno, meno 37.000 dal 2003-2004 al 2014-2015: maggiore è la quota di studenti che abbandona gli studi universitari dopo il primo anno, il 17,5 al Sud contro il 12,6 al Nord e il 15,1 al Centro. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata del 18,3 nel solo Mezzogiorno e un terzo dei giovani meridionali si iscrive nelle università del Centro-Nord che stanno purtroppo cannibalizzando quelle del Sud.
  Tornando al testo presentato dal Governo, piuttosto che un approccio sbrigativamente risolutivo sul tema del Mezzogiorno, dovrebbero prevalere la cautela e la capacità di adottare strumenti correttivi ed innovativi. Anni orsono, in un noto libro di storia economica, si analizzavano le cause che hanno determinato ritardi nel Sud. Gli ultimi anni di drastica riduzione della spesa statale per investimenti, le gravi incertezze che hanno connotato le politiche per il Meridione, ma soprattutto lo smarrimento di una strategia di sviluppo, devono indurre a chiederci cosa occorra fare affinché i forti segnali di disagio possano trovare una tempestiva risposta, che costituisca un'alternativa reale alla protesta e alla disperazione che sembrano prevalere nella società meridionale.
  Occorre quindi, signor Ministro, integrare il documento con una precisa quantificazione degli investimenti infrastrutturali in termini perequativi, da finanziare sui fondi statali nel rispetto della ricordata soglia del 34 per cento; prescrivere in modo puntuale l'aggiuntività degli interventi di coesione di matrice europea, di cui purtroppo deve ricordarsi la preoccupante ipotesi di riduzione in relazione alle nuove politiche di bilancio post Brexit; avviare decise politiche fiscali di vantaggio e di tutela dell'insularità, a partire dalla riconsiderazione della miope disciplina in materia di Zone economiche speciali (ZES), opportunità che ha consentito la crescita tumultuosa di alcune aree europee, penso alla Polonia; prevedere un piano straordinario di investimento della conoscenza rafforzando università e centri di ricerca, che blocchi il drenaggio di capitale umano che sta depauperando il Mezzogiorno.
  Quindi, Ministro, un grande programma di sviluppo per il Sud, che consenta di recuperare e superare, dopo più di 150 anni, il dilemma irrisolto del divario e faccia tornare a essere quest'area un'opportunità per l'intero Paese.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro dell'economia e delle finanze per la replica alle questioni poste.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente. Grazie a tutti per gli interventi che sono stati ovviamente molto ricchi e non contenevano solo domande. Visto il tempo e visto il numero di domande, proverò a rispondere Pag. 20 a quelle specifiche, almeno per come le ho capite, e mi scuso in anticipo se involontariamente ne ho saltata qualcuna. In tal caso ricordatemelo.
  Onorevole Borghi, per sintetizzare il suo iniziale punto, che è stato già toccato anche dall'onorevole Marattin, lei sa meglio di me che, se c'è un deficit che aumenta, questo impatta sul debito da una parte e sulla crescita dall'altra. Se uno dei due deve prevalere, non lo sappiamo e il problema è esattamente questo, quello di trovare il sentiero giusto che eviti che ci sia un andamento self-defeating, cioè che noi facciamo politica espansiva, questa comporta un aumento del debito, che a sua volta aumenta il rischio Paese e ci ritroviamo in una situazione peggiore di quella che avevamo all'inizio.
  La politica descritta quindi da questo DEF tendenziale, che rispecchia l'andamento degli ultimi cinque anni, mostra un sentiero stabile, che si sta stabilizzando. Possiamo lamentarci sull'intensità della crescita, e sono totalmente d'accordo, ma su questo tornerò.
  Riguardo alla relazione fra immigrazione e debito, innanzitutto ricordo agli onorevoli colleghi che la sensitività del debito ad alcune variabili come l'immigrazione e come il tasso di accoglienza è un'analisi richiesta dalla Commissione europea, e in questo senso tutta dettagliata nel DEF. L'intuizione economica è molto semplice: nella misura in cui i flussi di immigrazione si traducono nel medio termine in aumento della crescita potenziale, che, come sappiamo, dipende dalla forza lavoro, dal capitale, dall'innovazione, nella misura in cui ciò avviene, la demografia lavora a favore della crescita e quindi a favore della sostenibilità del debito, invece che in senso contrario, quindi non c'è alcun nesso causale immediato fra politiche sull'immigrazione e crescita e debito, ma c'è una relazione di lungo termine che tutti conosciamo bene.
  L'onorevole Boccia fa una domanda procedurale estremamente importante, non la chiamo procedurale per sminuirla. È chiaro che c'è una diffusa volontà, e questo sicuramente anche da parte mia, di disinnescare le clausole di salvaguardia, facendolo con i modi più appropriati e che abbiano il minore impatto possibile sull'andamento della crescita. Il modo per farlo, sulla base dell'esperienza degli anni passati, è semplicemente quello di agire sia in sede di Nota di aggiornamento del DEF, per cambiare eventualmente il quadro complessivo e i saldi, sia in legge di bilancio, identificando misure specifiche. Non c'è assolutamente bisogno di adottare un provvedimento precedente alla legge di bilancio per il 2019. Questa è l'esperienza degli anni passati, che tutti gli onorevoli conoscono molto bene.
  L'onorevole Mandelli mi fa due domande molto specifiche, anche se complesse, però una è più complessa dell'altra e riguarda la produttività. La produttività è sicuramente un segno della debolezza strutturale dell'Italia, che purtroppo risale nel tempo e ha a che fare con la fine degli anni Novanta e i primi anni 2000 e che adesso si comincia ad aggredire. La produttività come la conosciamo in un Paese a demografia negativa, cioè con invecchiamento, dipende essenzialmente dall'accumulazione di capitale, sia esso fisico, materiale o di tecnologia, quindi bisogna andare in quella direzione e sostenere gli investimenti in innovazione e in capitale umano per far invertire la crescita della produttività.
  Questo è un elemento importante per l'Italia, ma, visto che molti onorevoli colleghi citano sempre l'Europa, anche in molti altri Paesi è un segno, un sintomo di un elemento di stanchezza, non direi declino, ma di stanchezza della crescita in molti Paesi e ha a che fare con misure di natura essenzialmente strutturale, piuttosto che di breve termine o di bilancio.
  La regola del debito legata alla Relazione di cui all'articolo 126, paragrafo 3, del Trattato, che la Commissione europea ha già aperto in più di un'occasione negli anni passati nei confronti dell'Italia, riguarda la valutazione di un Paese ad alto debito come l'Italia, e la domanda che la Relazione si pone è se ci sono gli estremi per l'apertura di un'eventuale procedura di infrazione per via del debito o meno, cioè se ci sono fattori che dimostrano che il debito, pur essendo alto, comincia a migliorare. Pag. 21 In passato queste condizioni particolari sono state rinvenute soprattutto nello sforzo strutturale del Paese, nella tendenza dell'indebitamento a ridursi, quindi in una dinamica di finanza pubblica che va nella direzione giusta, anche se magari va a una velocità che si potrebbe migliorare. La regola del debito ha che fare, quindi, con il giudizio complessivo – direi più qualitativo che quantitativo da parte della Commissione – su quello che un Paese sta facendo in questo senso. Da questo punto di vista, è importante che ci sia un messaggio del Paese di continuazione su una politica di riforme che aggrediscono i fattori strutturali e di un segno dei saldi di finanza pubblica che vada nella direzione giusta.
  L'onorevole Urso, che ringrazio molto per la sua esposizione assai ricca, mi ha fatto una sola domanda e cioè se io valuto i fattori di rischio e se teniamo presente questi fattori di rischio, che l'onorevole Urso ha elencato in modo molto dettagliato.
  Innanzitutto, è vero e sono perfettamente d'accordo che il quadro internazionale stia cambiando. Tra qualche anno, tutti gli istituti internazionali di previsione prevedono un rallentamento della crescita. Il quantitative easing, il sostegno della Banca centrale europea, verrà meno, ma verrà meno, credo, non tanto perché ci sarà un cambiamento al vertice quanto perché in quello scenario ci sarà più inflazione. Da questo punto di vista, anche se in passato non era così, più inflazione ci farebbe comodo, visto che, se avremo una crescita nominale un po’ più intensa, ci sarà, quindi, un andamento del debito più favorevole.
  Detto questo, non è che voglio negare il fatto che, di fronte al venir meno di fattori esogeni, non debba succedere niente. Si resiste a un peggioramento del quadro internazionale agendo sui cosiddetti fondamentali, cioè sui determinanti strutturali della crescita, quindi si ritorna al punto a cui mi riferivo un attimo fa: bisogna insistere sulle misure dal lato del mercato del lavoro, dal lato della capacità di investimento e di innovazione delle imprese, dal lato della pubblica amministrazione e dal lato delle tasse, come diceva l'onorevole Crosetto, su cui poi ritorno. Tutte queste sono cose che devono permettere a un Paese di resistere a un peggioramento del quadro internazionale.
  Poi, ci sono – l'onorevole Urso li ricordava – i rischi demografici: cresciamo troppo poco in senso demografico e siamo un Paese a invecchiamento elevato, come altri. Questo si ricollega alla questione di una politica di immigrazione di ampio respiro e basata sulla legalità di lungo periodo, quindi del contributo positivo al PIL.
  Naturalmente, la coesione sociale è un elemento ulteriormente importante di rischio, se non viene garantita, e questo ha a che fare con una strategia di lungo periodo come, onorevole Bartolozzi, tutta la questione del Sud su cui lei si è soffermata a lungo e con dettaglio. Non le rispondo su questo punto, non perché non penso che sia importante, ma perché penso che non sia nello spirito della discussione di oggi, ma sia da rinviare a un'occasione in cui i temi programmatici possano essere affrontati in modo più esplicito. Io potrei essere d'accordo con molte delle cose che ha detto, ma, anche per risparmiare tempo, non entro nel merito.
  Onorevole Fassina, in parte lei ha toccato il punto della dinamica dell'austerità, che l'onorevole Borghi poneva prima, quindi in parte la mia risposta è dedicata anche a lei.
  Sugli investimenti pubblici, l'onorevole Marattin suggeriva una risposta che condivido, cioè gli investimenti pubblici in Italia è vero che sono andati ancora – ahimè! – diminuendo, sia a livello centrale che a livello di enti locali, e sono del tutto d'accordo con l'idea che, se si potesse invertire questa tendenza, la crescita potenziale dell'Italia andrebbe più in là di dove si trova adesso, cioè attorno all'uno e mezzo, per raggiungere il 2 per cento. Butto lì a titolo totalmente personale un numero, ma ne sono convinto.
  Sono anche molto convinto del fatto che il problema non sia quello delle risorse, che ci sono e sono accantonate, ma dipenda da procedure, scarsità di capacità progettuale e lungaggini burocratiche, di cui bisogna evidentemente entrare nel merito, sia a livello Pag. 22 nazionale che a livello locale. Se si potesse usare bene l'ammontare di risorse in investimenti pubblici che sono disponibili già adesso nel bilancio, si avrebbe un effetto immediato o, comunque, significativo sul PIL.
  Le politiche invariate – sto scendendo giù nell'elenco delle domande – pesano e nel DEF sono citate. Adesso potremmo anche identificare il punto in cui se ne parla, comunque riguardano circa 3 miliardi di euro.
  Onorevole Misiani, se non sbaglio, da quello che ho capito, la sua domanda era un commento al quadro più contrastato che emerge dalla lettura degli indicatori BES. Sono d'accordo: questo è un elemento importante di una strategia che va fortemente rafforzata. Gli indicatori ci danno un quadro di un Paese che ancora è in sofferenza e in cui i ritardi delle azioni di politica pesano e sono d'accordo con le proposte che sono state anche da lei suggerite. Non entro nel merito perché questo avrebbe a che fare con una visione programmatica che esula da questa riunione, ma sicuramente spero che ne avremo occasione in futuro.
  Onorevole Crosetto, sono totalmente d'accordo che più le tasse sono alte meno gli investimenti sono incoraggiati. Sono anche d'accordo che in Europa c'è un problema di piano di gioco uguale per tutti, quindi c'è un problema di concorrenza che deve essere resa leale. Gli accordi in tema di politiche fiscali in Europa sono molto difficili: la sovranità nazionale da parte degli altri Paesi viene difesa strenuamente e l'Italia si è fatta promotrice e ha ottenuto risultati importanti in tema di trasparenza fiscale e in tema di lotta all'evasione, che pure contribuisce ad alleggerire l'onere del debito pubblico.
  Non sono d'accordo sul fatto che il tema fiscale sia l'unico fattore di attrazione degli investimenti, anche se sicuramente conta, e ricordo l'ovvio, come diceva anche lei, per cui il limite alla riduzione delle imposte è la sostenibilità di bilancio pubblico, quindi bisogna agire su una politica di bilancio che faccia spazio alla riduzione fiscale, cosa che in questi quattro o cinque anni è avvenuta, anche se sicuramente si potrà dire che non basta, perché questa non basta mai.
  Una cosa su cui non sono per niente d'accordo riguarda l'episodio che lei ha citato di Fincantieri e Chantiers de l'Atlantique, in cui è stata coinvolta l'Italia e c'è stato uno scambio con la politica francese. Il presidente Macron potrà aver detto «no», però poi ha detto «sì», dopo che l'Italia si è fatta sentire, magari con meno bandiere al vento e con uno stile diverso, ma la situazione non è quella che lei descriveva, quindi in questo caso l'Italia, come Governo, ha risposto e ha ottenuto. Giustamente lei ricordava il fatto che i francesi avessero accettato il 66 per cento di proprietà coreana e non il 51 di proprietà italiana per ragioni che hanno forse a che fare con altri fattori, ma queste sono le cose che sono successe.
  Onorevole Marattin, a parte la Juventus in serie B, che non credo che sia un fattore determinante, la domanda sul deflatore è molto pertinente, ma molto specifica, quindi mi riservo di darle qualche numero. È chiaro che, se ci sono meno aumenti dell'IVA, c'è meno impatto sui prezzi, quindi il deflatore è più piccolo.
  Sugli investimenti pubblici, credo di aver già risposto. Quello del PIL potenziale è un argomento molto noioso ed, essendo l'ultimo della giornata, lo risparmio. C'è, però, un'analisi statistica che ha una forte componente politica perché, come probabilmente sapete, anche nei comitati apparentemente molto tecnici della Commissione europea ci sono schieramenti di tipo politico che vanno messi in conto. L'Italia ha fatto uno sforzo, sia sul piano tecnico che sul piano politico, per migliorare la misura del reddito potenziale, che essenzialmente misura quanto sforzo fiscale un Paese deve fare. Adesso, la dico male, ma ci siamo capiti. Sono soddisfatto? No, non sono soddisfatto. Sono soddisfatto del fatto che l'Italia ha ottenuto qualche miglioramento, ma siamo ancora lontani da una misurazione che dia una vera immagine realistica dello sforzo fiscale di un Paese e mi auguro che Pag. 23si continui in sede europea a perseguire questa battaglia.
  Onorevole Bartolozzi, credo di averle risposto e mi scuso per la brevità dedicata al suo tema, di cui condivido sicuramente la rilevanza, ma avremo altre occasioni per parlarne.
  Mi fermo qui e – lo ripeto – mi scuso se ho lasciato per strada qualcuno per quanto riguarda le domande che ho segnato.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro per la presenza, per la relazione e per le repliche.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.