CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 5 febbraio 2020
319.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza
COMUNICATO
Pag. 216

  Mercoledì 5 febbraio 2020. — Presidenza della presidente Licia RONZULLI. — Interviene, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, il dottor Vittorio Zappalorto, prefetto di Venezia e del professor Vittorio Rizzi, vice direttore generale della pubblica sicurezza e direttore centrale della Polizia criminale, accompagnato dal dottor Stefano Delfini, primo dirigente della Polizia di Stato.

  La seduta comincia alle 8.50.

Sui lavori della Commissione.

  Il PRESIDENTE avverte che della seduta odierna verrà redatto il resoconto sommario e che, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento del Senato, è stata richiesta l'attivazione dell'impianto audiovisivo, con contestuale registrazione audio, e che la Presidenza del Senato ha fatto preventivamente conoscere il proprio assenso.
  I lavori della Commissione, che saranno oggetto di registrazione, potranno essere quindi seguiti – dall'esterno – sia sulla web TV Camera che su quella del Senato.
  Non essendovi osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.

PROCEDURE INFORMATIVE

  Mercoledì 5 febbraio 2020.

Seguito dell'indagine conoscitiva sulle forme di violenza fra i minori e ai danni di bambini e adolescenti.
Audizione del prefetto Vittorio Zappalorto e del prefetto Vittorio Rizzi.

  Prosegue la procedura informativa, sospesa nella seduta del 16 gennaio scorso.

  La PRESIDENTE ringrazia gli auditi per la disponibilità a partecipare ai lavori della Commissione e a fornire il loro contributo sulle questioni afferenti alla violenza tra i minori e ai danni di bambini e adolescenti, con particolare riguardo al fenomeno delle baby gang. Dà quindi la parola al prefetto Zappalorto.

  Il prefetto Vittorio ZAPPALORTO osserva preliminarmente come la questione «baby gang», più correttamente inquadrabile Pag. 217all'interno della patologia dei fenomeni aggregativi giovanili, abbia avuto un suo significativo sviluppo dalla seconda metà dell'anno 2018 fino all'estate dell'anno 2019.
  Dà quindi conto di alcune concrete vicende legate alle baby gang che hanno avuto luogo nella provincia di Venezia. L'importante attività posta in essere da parte delle Forze dell'ordine di controllo e deferimento all'autorità giudiziaria dei soggetti a vario titolo collegati ai fenomeni aggregativi deviati ha portato all'identificazione di cinquanta soggetti.
  Al momento – precisa l'audito – la situazione appare sotto controllo, anche se non sono state rimosse le cause socio-culturali del disagio giovanile, le quali hanno dato il via ai fenomeni criminali in esame; fenomeni caratterizzati da unicità virulenta fino ad ora sconosciuta per l'area veneziana.
  Altra fonte di preoccupazione è il rilevante consumo di sostanze stupefacenti, comunque tabellate, da parte di giovani ed il loro pericoloso abbinamento con il consumo di bevande alcoliche. I singoli episodi verificatisi nel territorio risultano accomunati dal modus operandi particolarmente abietto, in quanto i sodali, facendo leva molto spesso sulla propria appartenenza al «branco», hanno infierito su vittime vulnerabili o soggetti appartenenti alle minoranze etniche.
  Con riguardo alle iniziative di contrasto fa presente che la prefettura ha convocato varie riunioni del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, anche alla presenza della procura presso il Tribunale dei minorenni, per avviare un'attenta analisi del fenomeno, capirne le origini ed affrontarlo con un'attività di squadra delle varie istituzioni.
  Proprio nell'ambito delle attività connesse alla prevenzione dei fenomeni di delinquenza giovanile, si inserisce il Protocollo d'intesa per la prevenzione ed il contrasto delle dipendenze giovanili da sostanze stupefacenti, del bullismo e del cyberbullismo, siglato con la procura generale della Repubblica e la procura della Repubblica per i Minorenni, le forze dell'ordine, la polizia postale, le U.L.S.S. della provincia veneziana, l'ufficio scolastico territoriale, la Città metropolitana di Venezia e il comune di Venezia.
  L'Accordo persegue l'obiettivo di promuovere, attraverso una strategia di rete ed un'azione coordinata ed unitaria, una sana crescita dei giovani, ispirata alla condivisione dei valori fondamentali della vita e della salute e dei principi di legalità sanciti dalla Carta Costituzionale.
  Un approccio multidisciplinare ed integrato alle problematiche del disagio giovanile, con il coinvolgimento diretto delle famiglie, degli studenti, delle istituzioni scolastiche, riveste un ruolo di fondamentale importanza per pianificare e realizzare mirati e più efficaci interventi di prevenzione e di contrasto, creando momenti di confronto e di dibattito su tali delicate tematiche, sui maggiori fattori di rischio, sugli effetti dannosi causati dall'assunzione di sostanze stupefacenti, sui rischi derivanti da un inappropriato utilizzo della rete e sugli eventuali profili di carattere penale, nonché sulle misure educative e sui corretti comportamenti da adottare per la prevenzione e la gestione delle molteplici situazioni correlate, soprattutto in ambito scolastico.
  Particolarmente significativa è stata l'azione di supporto delle forze dell'ordine alle istituzioni scolastiche, che grazie all'impegno profuso dai suoi operatori con elevate capacità professionali ed alto senso del dovere, hanno tenuto degli utili corsi di formazione e informazione agli alunni, ai docenti ed alle famiglie sui temi della dipendenza dalle droghe e del bullismo e del cyberbullismo.
  Conclude sottolineando come, dietro ai fenomeni criminosi in esame che interessano minori appartenenti a tutte le classi sociali, si celi di fatto una situazione di abbandono e di trascuratezza da parte delle famiglie di origine. Particolarmente elevata è la percentuale di minori stranieri responsabili di condotte violente. Molte famiglie infatti a motivo della assorbente attività lavorativa svolta non riescono a Pag. 218seguire i minori, che abbandonati a sé stessi, finiscono più facilmente nella rete del branco.
  A suo parere sarebbe opportuno prevedere forme di responsabilizzazione più stringenti per i genitori, i quali dovrebbero essere chiamati a rispondere direttamente delle condotte criminose poste in essere dai figli. Nel caso delle famiglie straniere si potrebbe addirittura arrivare ad ipotizzare il riconoscimento di una qualche rilevanza della condotta dei figli anche ai fini del rilascio o del mantenimento del permesso di soggiorno.

  Prende la parola il prefetto Vittorio RIZZI il quale osserva come il fenomeno delle baby gang sia molto ampio e complesso e non si identifichi necessariamente con quello della criminalità minorile. Tale fenomeno va peraltro tenuto distinto dal bullismo del quale potrebbe rappresentare un'evoluzione.
  Si tratta di un fenomeno che desta allarme sociale non solo per la giovane età dei componenti, ma anche per la particolare aggressività attraverso la quale vengono compiuti i delitti e l'amplificazione mediatica che ne deriva. L'opinione pubblica è molto sensibile al tema avvertendo una sensazione di pericolo per gli atti perpetrati dai giovani che sovente scaturiscono da futili motivi. I contesti familiari di provenienza degli appartenenti alle baby gang non sempre coincidono con ambienti degradati o problematici; infatti i giovani provengono anche da famiglie di estrazione sociale medio alta e con un buon livello di istruzione. Fanno parte del gruppo oltre ad elementi molto giovani, anche soggetti di diversa etnia, spesso maggiorenni. I consociati al medesimo gruppo seguono sovente riti di iniziazione, indossano e usano distintivi o segni di appartenenza e frequentano gli stessi locali. Tra loro sono molto diffusi l'ascolto della musica trap e l'uso di sostanze stupefacenti e di alcolici.
  Il modus operandi contempla l'impiego di una violenza sproporzionata nei confronti delle vittime che vengono individuate nei coetanei – anche in ambito scolastico – negli anziani, nei disabili e nei soggetti ai margini della società. Le azioni compiute si connotano per una particolare efferatezza rispetto ai motivi o alle cause che le originano, quasi sempre del tutto futili. I giovani criminali, attraverso la forza della banda, manifestano la voglia di trasgressione nonché l'assoluta mancanza di assunzione delle responsabilità per le azioni che vengono compiute. Con specifico riguardo alle vittime delle baby gang, il Prefetto segnala che le stesse si identificano in soggetti considerati deboli o diversi, sia per le loro caratteristiche fisiche, intellettive, comportamentali che per gli orientamenti religiosi o sessuali. L'obiettivo delle azioni criminali viene preliminarmente individuato, e viene successivamente avvicinato e provocato, nel tentativo di innescare una lite, per motivi inesistenti. Alla violenza verbale fa seguito la violenza fisica che genera nel malcapitato una condizione psicologica di panico. Le azioni nei confronti della vittima possono essere estemporanee od assumere il carattere della continuità.
  Con riguardo ai tratti salienti di queste bande criminali, individuati dalle forze dell'ordine si osserva come le baby gang siano guidate da un capo banda che affida i compiti ai propri gregari sulla base degli illeciti obiettivi che intende raggiungere. I delitti che vengono maggiormente consumati sono costituiti dai reati contro il patrimonio e contro le persone. Le baby gang sono diffuse prevalentemente nei grandi agglomerati urbani e, non si può escludere, che gli appartenenti si ispirino, sovente, anche ai modus operandi di consorterie criminali più strutturate dalle quali mutuano gli esempi. Il fenomeno appare significativo, soprattutto nella città di Napoli e nell'intera provincia, ove risulta caratterizzato da un'ingiustificata ferocia che sfocia in episodi di bullismo metropolitano, atti vandalici (consumati in pregiudizio di istituti scolastici, edifici e mezzi pubblici) nonché, in alcuni casi, in azioni violente nei confronti di persone. Tali condotte si manifestano, talvolta, anche nei confronti delle Forze di Polizia, Pag. 219considerate un «nemico» verso il quale viene mostrato un atteggiamento fortemente irrispettoso.
  Si sofferma quindi sul fenomeno delle bande giovanili sudamericane strettamente collegato ai flussi migratori regolari che, dalla metà degli anni Novanta, hanno portato in Italia, dai paesi dell'America Latina (in particolare Ecuador, Perù e Colombia), numerose persone.
  Le motivazioni alla base di questa tendenza derivavano tra l'altro, nel crescente bisogno di collaborazione domestica (colf e badanti) da parte delle famiglie italiane. La predetta migrazione, nel suo stadio iniziale, quasi tutta al femminile, ha prodotto, nel tempo, una crescita esponenziale di presenze di famiglie sudamericane. In tale contesto, i giovani immigrati, giunti nel nostro Paese successivamente alle madri, pur venendo inseriti nelle strutture scolastiche statali, non hanno raggiunto una piena integrazione nel tessuto sociale locale, mantenendo, al contrario, una forte coesione all'interno della comunità etnica di appartenenza. I medesimi, tra cui molti di minore età, vivono per lo più nelle grandi città del Nord e del centro Italia e spesso sono insofferenti di fronte al nuovo stile di vita diverso da quello della madrepatria.
  Questi gruppi di ragazzi hanno iniziato a destare l'attenzione delle forze di polizia a seguito della commissione di alcuni episodi criminosi in danno, quasi sempre, di soggetti provenienti dalla loro stessa area geografica. Le indagini svolte hanno così documentato l'esistenza delle cosiddette bande di strada sudamericane, conosciute come «Pandillas», operanti in particolare a Genova e a Milano. Le bande, dotate di proprie simbologie, insistono in alcuni quartieri e sono in contrapposizione con altri gruppi della stessa etnia. Al proprio interno tali sodalizi hanno riprodotto la struttura delle gang sudamericane, gerarchicamente organizzate con vari gradi di comando, regole interne, codici d'onore e rituali di ingresso, la creazione di proprie simbologie, che vanno dalla gestualità, ai graffiti, rintracciabili sui muri della città nelle aree di maggiore frequentazione (come ad esempio sui treni delle linee metropolitane), fino all'abbigliamento o agli inconfondibili monili. I gruppi sudamericani sono generalmente dediti alla commissione di reati contro il patrimonio e la persona nonché allo spaccio di stupefacenti.
  Fornisce poi elementi informativi sulle «bande giovanili cinesi» presenti principalmente nelle aree del Nord e Centro Italia e, nell'ultimo periodo, soprattutto a Milano, dove si è assistito alla loro crescente operatività, che si è espressa nella consumazione di significative attività delittuose. Tali aggregazioni sono composte sia da minori di seconda generazione, che da giovani connazionali immigrati che, giunti in Italia, vivono in condizioni di sostanziale emarginazione non disponendo ancora di un sistema di relazioni e conoscenze che consenta loro di integrarsi nella comunità di riferimento.
  Perduto progressivamente il carattere di formazioni delinquenziali episodiche e dedite a manifestazioni criminali di basso profilo, i sodalizi in questione si atteggiano, con sempre maggiore frequenza, a strutture criminali stabili, gerarchicamente organizzate su un modello verticistico, che prevede un leader indiscusso, in grado di coordinarle e determinarne le strategie criminali, coadiuvato da uno o più collaboratori e da affiliati incaricati di porre materialmente in essere le attività pianificate. Le consorterie in esame si connotano, inoltre, per la spiccata propensione all'uso della violenza, prevalentemente finalizzata all'affermazione della supremazia su sodalizi omologhi e concorrenti: sono emersi, infatti, nel corso di indagini riguardanti omicidi ed altri gravi reati, violenti scontri per il predominio nella gestione delle attività illecite.
  Particolare attenzione merita poi la questione del coinvolgimento dei giovani in fatti delittuosi di criminalità organizzata; fenomeno questo che si registra prevalentemente nelle regioni meridionali, ove le consorterie sono radicate storicamente. Gli appartenenti ai gruppi criminali, infatti, si avvalgono dei minorenni anche per la commissione di gravi delitti, come il traffico Pag. 220di stupefacenti e di armi, le estorsioni e gli omicidi. Le organizzazioni camorristiche, in particolare, utilizzano i minori come bacino di manovalanza da impiegare nella microcriminalità. Tale circostanza, in alcuni casi, stimola nei giovani più inclini a delinquere l'emulazione dei comportamenti criminali che sfocia in azioni delinquenziali, anche violente, compiute da gruppi di fuoco o da piccole bande, composte da giovanissimi, capaci anche di commettere omicidi per eliminare testimoni scomodi o rivali nella leadership del gruppo. Il modus operandi volto a realizzare un radicale ricambio generazionale, con l'avvicendamento dei vecchi esponenti di vertice, contempla un uso smodato della violenza, ritenuto indicatore di caratura delinquenziale, nonché il ricorso a modalità di affermazione del potere perseguite innanzitutto con l'eliminazione di appartenenti a clan contrapposti. In questo contesto una particolare attenzione merita la cosiddetta «Paranza dei bambini» che indica un gruppo criminale omogeneo composto da violenti giovani camorristi che, al fine di darsi un'identità, riconoscersi fra loro e distinguersi dagli avversari, adottano anche particolari elementi estetici.
  Di fronte ad una realtà così complessa, a parere dell'audito, la risposta non può essere solo di tipo repressivo, ma occorre un'azione corale delle istituzioni che sappia fornire valide alternative ai giovani provenienti da questi territori «difficili» offrendo loro formazione ed opportunità di lavoro.
  Conclude dando conto dei dati statistici (estratti dalla banca dati interforze) dell'anno 2019, relativi al numero complessivo dei minori autori di reati. I reati commessi dai minori sono, generalmente, riconducibili nell'alveo della cd. microcriminalità, pur non mancando condotte delittuose di rilievo, registrandosi anche casi di minori coinvolti in associazione per delinquere e associazione per delinquere di tipo mafioso.
  I dati mostrano come il numero dei minori denunciati/arrestati abbia evidenziato un trend crescente per le rapine, le percosse, i danneggiamenti, lo sfruttamento della prostituzione e pornografia minorile, le estorsioni e gli omicidi volontari consumati.
  Dopo aver svolto alcune brevi considerazioni sul cyberbullismo e sul pericoloso fenomeno della cosiddetta blue whale, si sofferma sui dati relativi al reato di revenge porn di recente introduzione. Nel corso del 2019 le denunce ex articolo 612-ter del codice penale sono state 115, di cui sedici hanno riguardato minori.

   La presidente RONZULLI dichiara quindi aperto il dibattito.

   Il senatore PILLON (L-SP-PSd'Az) chiede al prefetto Zappalorto di precisare quali misure specifiche, a suo parere, il legislatore debba introdurre per poter meglio contrastare questo drammatico fenomeno delle baby gang. È un problema che in altri Stati europei, come è emerso nella missione della Commissione nel Regno Unito, ha raggiunto dimensioni preoccupanti. Per tale ragione sarebbe quanto mai opportuno intervenire tempestivamente per arginare questo fenomeno nel nostro Paese.

   L'onorevole Ubaldo PAGANO (PD) chiede al prefetto di Venezia di voler far pervenire alla Commissione copia del Protocollo d'intesa al quale ha fatto cenno nel suo intervento. Al prefetto Rizzi chiede chiarimenti in merito alla istituzione di una unità specializzata proprio sul fenomeno delle baby gang.

   L'onorevole Maria SPENA (FI), dopo aver sottolineato come il fenomeno della violenza giovanile sia diffuso su tutto il territorio nazionale, ribadisce l'importanza che, in chiave di prevenzione, rivestono le due principali agenzie educative: famiglia e scuola. Con riguardo alla scuola evidenzia come sia quanto mai necessario, al fine di individuare precocemente i segnali del fenomeno, sia attiva che subìta, istituire degli sportelli di ascolto.
  Chiede poi al prefetto di Venezia in che modo il carcere minorile, e in particolare Pag. 221quello di Treviso, sia riuscito a svolgere una funzione formativa ed educativa.

   L'onorevole SIANI (PD) osserva come dagli interventi degli auditi emerga con chiarezza come la via della repressione nel nostro sistema sembri funzionare adeguatamente. Il pronto e sinergico intervento delle forze di polizia e delle altre istituzioni ha consentito infatti in alcune aree del territorio di consegnare alla giustizia i giovani responsabili di terribili atti di violenza collettiva.
  Pone quindi quesiti sul ruolo rieducativo del carcere. A ben vedere infatti un recente studio realizzato dall'Università degli Studi «Suor Orsola Benincasa» di Napoli, con la collaborazione del procuratore generale, dottor Giovanni Melillo, ha posto in luce come i minori condannati che avevano superato positivamente la misura della messa alla prova, a distanza di pochi anni di fatto fossero di fatto rientrati nel circuito detentivo.
  Chiede poi agli auditi di indicare quali siano i possibili interventi in favore delle famiglie per contribuire al recupero della funzione educativa e formativa che ad esse dovrebbe competere. Domanda loro in particolare se ritengano opportuni aiuti di carattere economico ovvero la istituzione di un «tutor» familiare.

   L'onorevole Laura CAVANDOLI (Lega) chiede al prefetto di Venezia se si stia valutando l'opportunità di estendere il sistema del Protocollo d'intesa anche ad altre province del territorio. È evidente che il fenomeno delle baby gang può essere contrastato in modo più efficace con una strategia a rete. Un aspetto che andrebbe in particolare approfondito è quello legato alla stretta correlazione fra fenomeni violenti e consumo, o meglio abuso, di alcool e droghe.

   L'onorevole Giuseppina VERSACE (FI) fa presente alla Commissione e agli auditi di aver personalmente, nella propria duplice veste di sportiva e di parlamentare, preso parte con alcune istituzioni scolastiche e con le forze di polizia a pregevoli iniziative di sensibilizzazione sui temi della violenza giovanile e soprattutto del bullismo e cyberbullismo. Fra queste un indubbio rilievo merita il progetto «Una vita da social» proprio sull'importanza di diffondere e promuovere un corretto utilizzo dei social network. Chiede quindi agli auditi se tale progetto sia ancora attivo e quali altre iniziative siano portate avanti dalle forze di polizia sui temi della violenza giovanile e del bullismo e cyberbullismo.

   Non essendovi ulteriori richieste di intervento la PRESIDENTE dichiara conclusa la discussione e dà la parola agli auditi per le repliche.

   Il prefetto ZAPPALORTO ritiene che le misure da adottare per affrontare questi fenomeni non debbano essere di carattere strettamente normativo. A suo parere, sarebbe preferibile intervenire con misure economiche finalizzate ad introdurre specifiche figure educative all'interno delle scuole. In merito alla richiesta di acquisizione di copia del Protocollo si riserva di inoltrarlo alla Commissione quanto prima. Fa presente peraltro che tale Protocollo sarà condiviso anche con i prefetti delle altre province della Regione Veneto. Relativamente alla giustizia minorile esprime pieno apprezzamento per le attività educative e formative svolte dal carcere minorile di Treviso, le quali assicurano una piena funzione risocializzante dei minori condannati.
  Conclude sottolineando come con riguardo al fenomeno del bullismo le forze dell'ordine abbiano fin dall'inizio lavorato in stretta connessione con l'Osservatorio nazionale sul bullismo.

   Il prefetto RIZZI, dopo aver sottolineato come la legislazione a tutela dei minori del nostro Paese si possa considerare all'avanguardia nello scenario europeo, ribadisce l'importanza del ruolo della scuola nella politica di prevenzione dei fenomeni violenti giovanili e nella promozione di una sana culturale della legalità. In merito al progetto «Una vita da social» Pag. 222fa presente che tale iniziativa è giunta ormai alla settima edizione e che proprio in questi giorni il camper di «Una vita da social» ha raggiunto la città di Sanremo. Dà conto poi della iniziativa portata avanti dalle fiamme gialle in alcune aree della periferia del casertano volte a favorire l'avvicinamento allo sport dei giovani. Conclude osservando come le analisi compiute dalla Direzione centrale della polizia criminale non siano in grado di per sé di spiegare il possibile rapporto tra disagio minorile e propensione al crimine, essendo questa tematica più di carattere psico-criminologico.

   La PRESIDENTE, dopo aver ringraziato gli auditi per il prezioso contributo, dichiara chiusa l'audizione e rinvia il seguito dell'indagine conoscitiva.

Sui lavori della Commissione.

  La PRESIDENTE, alla luce delle audizioni testé svolte, propone alla Commissione di svolgere quanto prima un sopralluogo presso il carcere minorile di Treviso.
  Ricorda inoltre che nella giornata di lunedì è stata inoltrata a tutti i componenti una bozza di relazione relativa all'attività svolta dalla Commissione nel 2019. Invita quindi i commissari a far pervenire entro giovedì 13 febbraio eventuali rilievi, osservazioni o integrazioni.
  Avverte poi che, come convenuto nel corso della missione svolta a Londra nel mese di gennaio, la Commissione ascolterà, in ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, in videoconferenza, il sottosegretario britannico, Wendy Morton, e il suo staff sui temi collegati alla giustizia di famiglia. Tale audizione, alla quale sono invitati a partecipare tutti i componenti della Commissione, avrà luogo il prossimo martedì 11 febbraio alle ore 11,30.
  Ricorda infine che martedì 18 febbraio alle ore 12 sarà ascoltata nell'ambito della indagine conoscitiva sulla violenza il Ministro dell'interno.

  La Commissione prende atto.

  La seduta termina alle 10.30.

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