CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 4 novembre 2020
464.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
Pag. 39

SEDE CONSULTIVA

  Mercoledì 4 novembre 2020. — Presidenza del presidente Mario PERANTONI. – Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Andrea Giorgis.

  La seduta comincia alle 13.35.

DL 130/2020: Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
C. 2727 Governo.
(Parere alla I Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Michele BORDO (PD), relatore, ricorda che la Commissione avvia oggi l'esame, ai fini dell'espressione del prescritto parere, del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 130 del 2020, recante «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale».
  Come si evince dalla relazione illustrativa, il provvedimento risponde all'esigenza Pag. 40di dare seguito alle osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica in sede di emanazione del decreto-legge n. 113 del 2018 e di promulgazione della legge n. 77 del 2019, che ha convertito in legge il decreto-legge n. 53 del 2019. A seguito dell'entrata in vigore di tali disposizioni e della loro prima applicazione, si è manifestata, infatti, la straordinaria necessità e urgenza di chiarirne alcuni profili, tramite una loro rimodulazione che tenga conto dei princìpi costituzionali e di diritto internazionale vigenti in materia e di porre rimedio ad alcuni aspetti funzionali che avevano generato difficoltà applicative.
  Nel passare ad illustrare il contenuto del provvedimento, che si compone di 16 articoli, fa presente che si soffermerà in particolare sugli aspetti di competenza della Commissione giustizia, rinviando, per gli altri profili, alla documentazione predisposta dagli Uffici.
  A tale proposito evidenzia in primo luogo che l'articolo 1, nel recare disposizioni in materia di permesso di soggiorno e controlli di frontiera, apporta numerose modificazioni al Testo unico dell'immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998. Evidenzio, in particolare, che la lettera la lettera c) del comma 1 sopprime la previsione del testo unico dell'immigrazione (articolo 11, comma 1-ter) relativa al procedimento per la limitazione o il divieto di ingresso, transito, sosta di navi nel mare territoriale per motivi di sicurezza pubblica o di contrasto di violazioni delle leggi sull'immigrazione, mentre la lettera d) del medesimo sopprime le disposizioni sulla multa a seguito della violazione del divieto di ingresso, transito o sosta nelle acque territoriali italiane nonché sulla confisca ed eventuale distruzione dell'imbarcazione, di cui ai commi 6-bis, 6-ter, 6-quater dell'articolo 12 del testo unico dell'immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, introdotti dal decreto-legge n. 53 del 2019. Nel dettaglio, il comma 6-bis dell'articolo 12 del Testo unico prevedeva che, in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, e salve le sanzioni penali quando il fatto costituisca reato, si applicasse al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000 (con estensione della responsabilità solidale all'armatore della nave). Si prevedeva inoltre che fosse sempre disposta la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione, procedendosi immediatamente a sequestro cautelare. A seguito di provvedimento definitivo di confisca, era previsto fossero imputabili all'armatore e al proprietario della nave gli oneri di custodia delle imbarcazioni sottoposte a sequestro cautelare.
  Il comma 6-ter dell'articolo 12 del Testo unico disponeva circa la custodia delle navi sequestrate nonché gli oneri relativi alla gestione. Il comma 6-quater disponeva che, quando il provvedimento di confisca fosse divenuto inoppugnabile, la nave fosse acquisita al patrimonio dello Stato e, a richiesta, assegnata all'amministrazione che ne avesse avuto l'uso. La nave per la quale non fosse stata presentata istanza di affidamento o richiesta in assegnazione sarebbe stata, a richiesta, assegnata a pubbliche amministrazioni per fini istituzionali ovvero venduta, anche per parti separate. Le navi non utilmente impiegabili e rimaste invendute nei due anni dal primo tentativo di vendita sarebbero state destinate alla distruzione.
  Le soppressioni previste dalle lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge in esame, sono correlate alle modifiche e integrazioni disposte dal comma 2 del medesimo articolo che dispone che, fermo restando quanto previsto dall'articolo 83 del Codice della navigazione di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni della Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay del 1982 limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri, può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale. Non Pag. 41trovano comunque applicazione tali disposizioni nell'ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare, emesse in base agli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare nonché dello statuto dei rifugiati fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria. Nei casi di inosservanza del suddetto divieto o limite di navigazione, si applica l'articolo 1102 del Codice della navigazione e l'entità della multa è da 10.000 a 50.000 euro.
  Tale previsione si aggiunge a quanto attualmente stabilito dall'articolo 1102 del codice della navigazione che – al di fuori da quanto previsto dall'articolo 260 del codice penale – dispone la reclusione fino a 2 anni e la multa fino a 516 euro per il comandante della nave o del galleggiante, nazionali o stranieri, che non osserva il divieto o il limite di navigazione stabiliti ai sensi dall'articolo 83 del medesimo codice.
  Quanto alla citata disciplina sanzionatoria abrogata dalla lettera d) del comma 1 dell'articolo in esame evidenzio che la stessa era stata oggetto dei rilevi contenuti nella lettera inviata, contestualmente alla promulgazione della legge n. 53 del 2019 di conversione del cosiddetto «decreto sicurezza-bis», dal Presidente della Repubblica ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri.
  L'articolo 2 interviene sulla procedura di esame delle domande di protezione internazionale, sulla relativa decisione e sulle procedure di impugnazione, attraverso alcune modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, di attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
  Viene modificata la procedura di esame prioritario e di esame accelerato delle domande di riconoscimento della protezione internazionale, che le domande presentate da richiedenti per i quali è stato disposto il trattenimento in uno hotspot o in un centro di permanenza per i rimpatri e delle domande presentate da cittadini provenienti da un Paese di origine sicuro, fermo restando l'esame con procedura accelerata, non siano più esaminate in via prioritaria. Inoltre, rientrano nella procedura accelerata le domande presentate da persona sottoposta a procedimento penale, o condannato con sentenza anche non definitiva, per gravi reati. I minori stranieri non accompagnati sono esclusi dall'applicazione della procedura accelerata delle domande. Nel contempo, si prevede che non si applica ai richiedenti portatori di esigenze particolari (quali minori, disabili, anziani) la disciplina in materia di domande manifestamente infondate. In caso di domanda di asilo reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento, questa non viene più considerata automaticamente inammissibile ma è comunque esaminata dalla commissione territoriale entro tre giorni. Viene portata da uno a due anni la durata del permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato, a determinate condizioni, a coloro cui è stata respinta la domanda di protezione internazionale. Infine, si interviene sulla disciplina delle controversie sulle decisioni di riconoscimento della protezione internazionale, ed in particolare sulle ipotesi di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, prevedendo, tra l'altro che: – il provvedimento di sospensione dell'esecuzione della decisione, adottato per gravi motivi, deve essere emanato dal tribunale in composizione collegiale; – la mancata sospensione dell'efficacia esecutiva nell'ipotesi di reiterazione di identica domanda si applica sono in presenza di una seconda decisione di inammissibilità.
  In particolare, per quanto attiene all'esame accelerato delle domande d'asilo, fa presente che la lettera b) del comma 1 dell'articolo 2 sostituisce l'articolo 28-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008, prevedendo, al comma 1 del citato articolo 28-bis, l'introduzione di una nuova fattispecie Pag. 42 di domanda, la cui decisione deve essere assunta entro cinque giorni: si tratta delle domande presentate da persona sottoposta a procedimento penale, o condannato con sentenza anche non definitiva, per uno dei gravi reati la cui condanna preclude l'acquisizione dello status di rifugiato (articolo 12, comma 1, lettera c), del legislativo n. 252 del 2007) e della protezione sussidiaria (articolo 16, comma 1, lettera d-bis), del decreto legislativo n. 251 del 2007).
  Si tratta dei reati di grave allarme sociale previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (tra cui associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di droga e al contrabbando di tabacchi, terrorismo, strage, omicidio, rapina aggravata) e dei seguenti reati: resistenza a pubblico ufficiale (articolo 336); lesioni personali gravi (articolo 583); mutilazioni genitali femminili (articolo 583-bis); lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive (articolo 583-quater); furto aggravato dal porto di armi o narcotici (articolo 624 e 625, primo comma, n. 3); furto in abitazione (articolo 624-bis, primo comma).
  In ogni caso, in presenza di questi reati per la procedura accelerata deve essere espletata previamente l'audizione del richiedente e devono ricorrere anche una delle gravi condizioni che consentono il trattenimento del richiedente nei centri di permanenza e rimpatrio di cui all'articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ossia: il richiedente ha commesso gravi reati (contro la pace o l'umanità) che precludono la concessione dello status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra (articolo 1 paragrafo F); il richiedente si trova nelle condizioni che prevedono l'espulsione: – disposta dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato; – disposta dal prefetto per i soggetti destinatari di misure di prevenzione personali antimafia o antiterrorismo; il richiedente costituisce un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Il comma 2 dell'articolo 28-bis disciplina la procedura accelerata di 9 giorni che prevede entro 7 giorni l'audizione dell'interessato e la decisione entro i due giorni successivi.
  Questa disciplina si applica alle seguenti fattispecie già previste dalla normativa previgente: domande presentate da richiedenti per i quali è stato disposto il trattenimento in uno hotspot a seguito dell'attraversamento irregolare delle frontiere (articolo 10-ter testo unico immigrazione) o in un centro di permanenza per i rimpatri (articolo 14 testo unico immigrazione) a meno che non si tratti di persona sottoposta a procedimento penale, o condannato con sentenza anche non definitiva, per i gravi reati di cui sopra, nel qual caso il termine è ridotto da nove a cinque giorni (articolo 1, comma 2, lettera a) dell'articolo 28-bis come riformulato dalla disposizione in esame); per questa fattispecie il provvedimento in esame aggiunge che non devono ricorrere le condizioni di cui al comma 1, lettera b), sopra illustrate, ossia la domanda presentata da richiedente sottoposto a procedimento penale o condannato per reati di grave allarme sociale); domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli. In tali casi la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (comma 2 lettera b); domanda presentata da richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro (nella versione previgente il tempo di decisione era di cinque giorni); inoltre, si prevedeva la possibilità – non prevista dal testo in esame – di svolgere la procedura direttamente alla frontiera o nelle zone di transito; domanda manifestamente infondata; domanda presentata dal richiedente dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.
  Sottolinea, inoltre, che il comma 1, lettera f) dell'articolo 2 del decreto-legge incide sulla disciplina delle controversie in Pag. 43materia di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale, recata dall'articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008. In particolare, il decreto-legge interviene sulle ipotesi di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. Il comma 3 del citato articolo 35-bis prevede che la presentazione del ricorso sospende l'efficacia del provvedimento impugnato, per il tempo necessario per la pronuncia giurisdizionale, ad eccezione di alcuni casi espressamente indicati. Si tratta dei ricorsi presentati: da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un hotspot o un centro di permanenza e rimpatrio; contro il provvedimento di inammissibilità; avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza; avverso un provvedimento adottato nei confronti di un soggetto proveniente da un Paese designato di origine sicuro, o fermato in condizioni di soggiorno irregolare, o che ha presentato domanda direttamente alla frontiera dopo aver eluso i controlli di frontiera. Tuttavia, anche in questi casi (comma 4, decreto legislativo n. 25 del 2008) è possibile sospendere l'efficacia esecutiva in presenza di «gravi e circostanziate ragioni e assunte ove occorra sommarie informazioni». Il provvedimento di sospensione deve essere adottato entro 5 giorni dalla presentazione del ricorso e deve essere motivato. La disposizione in esame (comma 1, lettera f), n. 3) specifica che il provvedimento di sospensione per gravi motivi debba essere adottato ai sensi dell'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13. La norma da ultimo citata prevede che tutte le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti delle commissioni territoriali e della commissione nazionale per diritto di asilo, anche relative al mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale, e quelle aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale, sono decise dal tribunale in composizione collegiale. Per la trattazione della controversia è designato dal presidente della sezione specializzata un componente del collegio. Il collegio decide in camera di consiglio sul merito della controversia quando ritiene che non sia necessaria ulteriore istruzione. Ai sensi del comma 5 del decreto legislativo n. 25 del 2008, sono previsti due casi di mancata sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento di inammissibilità della domanda di protezione internazionale. Il primo riguarda la reiterazione di identica domanda, dopo una decisione della commissione, senza addurre nuovi elementi. La seconda attiene all'inammissibilità delle domande presentate da soggetti per i quali è in corso un procedimento penale, o è stata emessa sentenza, anche non definitiva, per i gravi reati di allarme sociale (di cui all'articolo 32 comma 1-bis) che precludono l'acquisizione dello status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria. L'articolo 3 reca disposizioni in materia di trattenimento degli stranieri, riconoscendo, allo straniero trattenuto, alcune facoltà. In particolare, evidenzio che il comma 1, lettera c), numero 2), prevede un ordine di priorità nell'effettuazione di tale trattenimento, per soggetti pericolosi (o cittadini di Paesi con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri). Il citato numero 2) infatti introduce il comma 1.1. all'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione, stabilendo che il trattenimento dello straniero del quale non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione o il respingimento alla frontiera sia disposto con priorità per i seguenti soggetti: coloro che siano considerati una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica; i condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati i cui all'articolo 4, comma 3, terzo periodo, e all'articolo 5, comma 5-bis, del Testo unico dell'immigrazione; i cittadini di Paesi terzi con i quali siano vigenti accordi di cooperazione o altre intese in materia di rimpatrio, o che provengano da essi. La lettera c), numero 3, del comma 1 dispone circa la durata del trattenimento, novellando il comma 5 dell'articolo 14 del Testo unico dell'immigrazione. La disposizione vigente prevede che la convalida del provvedimento di espulsione dello straniero comporti Pag. 44 la sua permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l'espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Trascorso tale termine, il questore può chiedere al giudice di pace una o più proroghe qualora siano emersi elementi concreti che consentano di ritenere probabile l'identificazione ovvero sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio. La disposizione prevede in ogni caso un termine massimo, per il trattenimento dello straniero all'interno del centro di permanenza per i rimpatri. Tale termine viene mutato dalla disposizione del decreto – legge in novanta giorni. È così ripristinata la durata massima antecedente al decreto-legge n. 113 del 2018, che aveva elevato la durata a centottanta giorni, rispetto ai novanta giorni stabiliti dalla legge n. 161 del 2014, la quale aveva peraltro diminuito la durata, rispetto ai centottanta giorni previsti dalla legge n. 94 del 2009. Nel corso del tempo si sono dunque susseguiti orientamenti legislativi diversi, per quanto concerne il periodo massimo di trattenimento. La novella ora stabilisce, come detto, una durata massima di novanta giorni, prevedendone però la prorogabilità per altri trenta giorni, qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri. Le medesime modificazioni – circa la durata massima del periodo di trattenimento, stabilita in novanta giorni, e la prorogabilità per altri trenta giorni per stranieri cittadini di Paesi con cui l'Italia abbia accordi sui rimpatri – sono previste con riguardo al trattenimento degli stranieri presso le strutture carcerarie. Decorso tale periodo, permane la previsione vigente secondo cui lo straniero già trattenuto in strutture carcerarie può essere trattenuto presso il centro di permanenza per i rimpatri per un periodo massimo di trenta giorni (prorogabili in casi di particolare complessità di ulteriori quindici giorni, previa convalida da parte del giudice di pace). Il comma 2, lettera b), dell'articolo 3 modifica l'articolo 6, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 142 del 2015, al fine disciplinare la durata massima del trattenimento pre-espulsivo dello straniero richiedente protezione internazionale, in corso di verifica della sua identità e nazionalità, riducendola da centottanta a novanta giorni. Tale termine è prorogabile per altri trenta giorni, qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri. Sempre ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 142 del 2015, il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda, mentre può esserlo (sulla base di una valutazione caso per caso) qualora ricorrano alcune condizioni (enumerate dall'articolo 6, comma 2 del medesimo decreto legislativo). Sono condizioni attinenti allo status di rifugiato o alla pericolosità per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato o alla sussistenza di un rischio di fuga. Il comma 4, lettera b), modifica l'articolo 14 del Testo unico dell'immigrazione relativo all'esecuzione dell'espulsione e al trattenimento in vista di essa. In merito si prevede (mediante l'introduzione di un nuovo comma 2-bis) che lo straniero trattenuto (in condizioni che devono essere rispettose della sua dignità di persona) nei centri di permanenza per i rimpatri possa rivolgere istanze o reclami orali o scritti (anche in busta chiusa) al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Il comma 5 novella il comma 5 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 146 del 2013 (recante «Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria»), che enumera le attribuzioni del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Già secondo la norma vigente, il Garante verifica il rispetto dei diritti riconosciuti ai soggetti i quali siano trattenuti nei centri di permanenza per i rimpatri (secondo la nuova denominazione stabilita dall'articolo 19, Pag. 45comma 1, del decreto-legge n. 13 del 2017, in precedenza denominati «centri di identificazione ed espulsione» (CIE) o nei locali delle strutture di primo soccorso e accoglienza (cosiddetti hotspot, definiti «punti di crisi» dall'articolo 10-ter del testo unico dell'immigrazione, introdotto dal decreto-legge n. 13 del 2017 citato). Si prevede, in aggiunta alla previsione vigente, che il Garante – se accerta la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti dai soggetti i quali siano in condizione di trattenimento – formuli specifiche raccomandazioni all'amministrazione interessata. Quest'ultima, in caso di diniego, comunica al Garante il dissenso motivato, nel termine di trenta giorni.
  Evidenzia che l'articolo 4 interviene in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e dei titolari di protezione mentre l'articolo 5 dispone il supporto a percorsi di integrazione. Segnala inoltre che l'articolo 6 prevede anche con riguardo ai reati commessi in occasione o a causa del trattenimento in uno dei centri di permanenza per il rimpatrio o delle strutture di primo soccorso e accoglienza l'applicazione dell'istituto dell'arresto in flagranza differita. Più nel dettaglio la disposizione aggiunge due ulteriori commi (comma 7-bis e 7-ter) all'articolo 14 del testo unico dell'immigrazione. Il nuovo comma 7-bis stabilisce che, in caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti in occasione o a causa del trattenimento in uno dei centri di permanenza per i rimpatri o nelle strutture di primo soccorso e accoglienza, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto ai sensi dell'articolo 380 del codice di procedura penale e dell'articolo 381 del codice di procedura penale, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del codice di procedura penale colui il quale, anche sulla base di documentazione video‐fotografica, risulta l'autore del fatto. In questi casi è quindi consentito l'arresto entro le quarantotto ore dal fatto. Il successivo comma 7-ter stabilisce che per i delitti indicati nel comma precedente si procede sempre con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini.
  L'articolo 7 modifica l'articolo 131-bis del codice penale, intervenendo sulla preclusione all'applicazione della causa di non punibilità per la «particolare tenuità del fatto» nelle ipotesi di resistenza, violenza, minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale «quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni». La modifica è volta a limitare il campo di applicazione della preclusione ai casi in cui – nelle predette ipotesi – il reato è commesso non più nei confronti di «pubblico ufficiale» ma nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni. La disposizione incide sui limiti all'applicazione della suddetta causa di non punibilità, ossia sull'individuazione dei casi in cui l'offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità (ai sensi del secondo comma dell'articolo 131-bis del codice penale). La disciplina previgente all'entrata in vigore del decreto – legge prevedeva che l'offesa non potesse essere ritenuta tenue, tra l'altro, nei casi di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (di cui all'articolo 336 del codice penale); resistenza a pubblico ufficiale (di cui all'articolo 337 del codice penale) e oltraggio a pubblico ufficiale (di cui all'articolo 341 del codice penale), quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni. La modifica incide sull'ambito applicativo della preclusione, limitandolo ai casi in cui i predetti reati siano commessi ai danni di ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni. In base a quanto previsto dalla disposizione in esame, viene meno l'impossibilità di ritenere tenue l'offesa a pubblico ufficiale, a meno che non si tratti delle specifiche categorie di ufficiale o agente di pubblica sicurezza; ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Fa presente che la disciplina oggetto di modifica da parte del decreto-legge in esame è stata introdotta dalla legge di conversione del decreto-legge n. 53 del 2019 Pag. 46(legge n. 77 del 2019). Al riguardo, come già rammentato, in sede di promulgazione di tale legge, il Presidente della Repubblica ha contestualmente inviato una lettera ai Presidenti del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, e al Presidente del Consiglio dei ministri, evidenziando – tra gli altri – alcuni aspetti attinenti alla norma che rende inapplicabile la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto alle ipotesi di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale e oltraggio a pubblico ufficiale «quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni». Nella lettera il Presidente sottolineava che, potendosi applicare, secondo la giurisprudenza, la qualifica di «pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni» ad una casistica molto ampia di funzionari pubblici e di soggetti privati «questa scelta legislativa impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere, il che, specialmente per l'ipotesi di oltraggio a pubblico ufficiale, solleva dubbi sulla sua conformità al nostro ordinamento e sulla sua ragionevolezza nel perseguire in termini così rigorosi condotte di scarsa rilevanza e che, come ricordato, possono riguardare una casistica assai ampia e tale da non generare “allarme sociale”». Infine con le modifiche apportate dalla disposizione in esame, la preclusione all'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto viene estesa al reato di oltraggio a magistrato in udienza (di cui all'articolo 343 del codice penale). Rammento che l'articolo 343 del codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque offende l'onore o il prestigio di un magistrato in udienza. La pena è della reclusione da due a cinque anni se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato e le pene sono aumentate se il fatto è commesso con violenza o minaccia. Al riguardo, faccio presente che nella citata lettera, il Presidente della Repubblica notava come l'esimente della tenuità del fatto, in modo non ragionevole, venisse invece mantenuta nel caso di oltraggio a magistrato in udienza. L'articolo 8 modifica il codice penale, intervenendo sul delitto di cui all'articolo 391-bis, il quale punisce chiunque consente ad un detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario), di comunicare con altri violando le prescrizioni imposte. In proposito, rammenta che l'articolo 391-bis del codice penale consta di due commi. Il primo punisce chiunque «consente» ad un detenuto sottoposto al regime detentivo di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni imposte. La condotta punita consiste nel «consentire» ad un detenuto di comunicare con altri, in elusione delle prescrizioni del provvedimento impositivo del regime detentivo. Essa, però, non punisce qualsiasi violazione delle restrizioni dettate dal citato articolo 41-bis, ma soltanto l'elusione di quelle finalizzate a limitare la comunicazione, non autorizzata, del detenuto con altri soggetti. Il secondo comma, invece, punisce l'identica condotta, in maniera più grave, qualora sia commessa da un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio o un esercente una professione forense. Essa punisce – con la reclusione da due a cinque anni piuttosto che con quella da uno a quattro anni dell'ipotesi base – il caso in cui la condotta sia posta in essere da un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio o da chi esercita la professione forense. La ratio dell'aggravante, da considerarsi speciale rispetto a quella prevista dall'articolo 61, n. 9, del codice penale, è individuabile nella maggiore gravità del fatto in quanto posto in essere da soggetti che, nello svolgimento di attività o professioni, abbiano contatti con i detenuti senza le limitazioni previste per altre tipologie di colloqui, quali ad esempio quelli con i familiari. Evidenzia che le modifiche apportate dal decreto-legge, in primo luogo, inaspriscono le pene previste, sia quella base sia quella relativa alla fattispecie aggravata che si verifica ove il medesimo fatto sia commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense. In particolare: la pena base diventa la reclusione da 2 a 6 anni in luogo di quella previgente Pag. 47consistente nella reclusione da 1 a 4 anni; la pena per la fattispecie aggravata diventa la reclusione da 3 a 7 anni in luogo di quella previgente consistente nella reclusione da 2 a 5 anni. Il decreto-legge estende inoltre il perimetro di applicazione del delitto anche al detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, che comunica con altri in elusione delle prescrizioni specificamente imposte. Attualmente la violazione delle suddette prescrizioni integra solo un illecito disciplinare. L'articolo 8 modifica, inoltre, la rubrica dell'articolo 391-bis del codice penale, in conseguenza delle nuove disposizioni introdotte. L'articolo 9 inserisce nel codice penale il nuovo articolo 391-ter per punire con la reclusione da 1 a 4 anni chiunque mette a disposizione di un detenuto un apparecchio telefonico. La fattispecie si applica anche al detenuto che usufruisce del telefono e specifiche aggravanti sono previste quanto il reato è commesso da un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio o un avvocato. A tal fine il decreto-legge interviene sul codice penale per inserirvi, subito dopo il delitto di agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti al 41-bis, di cui all'articolo 391-bis, l'articolo 391-ter, rubricato Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti. Questa fattispecie, infatti, diversamente dalla precedente, può essere applicata in relazione a qualsiasi detenuto, e non solo a quelli sottoposti al regime speciale di detenzione: il rapporto tra le due norme è costruito in termini di specialità, potendosi applicare l'articolo 391-ter solo fuori dai casi previsti dall'articolo 391-bis, che sono più severamente puniti. Nel dettaglio, il nuovo articolo 391-ter del codice penale si compone di tre commi mediante i quali prevede la reclusione da 1 a 4 anni per chiunque (si tratta dunque di un reato comune): indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o un altro dispositivo comunque idoneo a effettuare comunicazioni; consente a un detenuto l'uso indebito di tali strumenti; introduce in carcere uno dei predetti strumenti per renderlo disponibile a un detenuto. Il primo comma copre dunque sia l'ipotesi della materiale consegna del telefono al detenuto, che quella dell'abbandono del telefono in carcere affinché un detenuto possa appropriarsene, sia infine quella della cessione momentanea dell'apparecchio per consentirne al detenuto l'uso. Prima dell'entrata in vigore del decreto-legge, per colui che avesse agevolato le comunicazioni del detenuto con l'esterno mediante la messa a disposizione di un telefono cellulare poteva configurarsi il delitto di favoreggiamento personale. L'articolo 378 del codice penale, infatti, punisce con la reclusione fino a quattro anni chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti. Quando il delitto commesso è quello di associazione mafiosa, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni. Rispetto al favoreggiamento personale, il reato introdotto dal decreto-legge circoscrive la condotta, rendendo più agevole l'applicazione della fattispecie penale, e presenta una pena più severa, avendo determinato in un anno la misura minima della reclusione. Il secondo comma dell'articolo 391-ter prevede un'aggravante – pena da 2 a 5 anni – quando il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio o da un avvocato («soggetto che esercita la professione forense»). L'aggravante ricalca la formulazione dell'analoga aggravante prevista dall'articolo 391-bis, secondo comma. La pena aggravata è dunque destinata a trovare applicazione sia in riferimento al personale che opera in carcere – dal direttore del carcere, al corpo di polizia penitenziaria, al cappellano del carcere – sia in riferimento a coloro che esercitano la professione forense. In proposito, rammento infatti che, in base all'articolo 359 del codice penale, l'avvocato non rientra nella categoria degli incaricati di pubblico servizio, essendo egli invece un privato che esercita un servizio di pubblica necessità il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Pag. 48Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi. Con particolare riferimento agli avvocati, peraltro, la formulazione del secondo comma dell'articolo 391-ter fa sì che l'aggravante possa trovare applicazione in relazione a qualsiasi avvocato, non necessariamente quando l'agevolazione delle comunicazioni riguardi il proprio assistito. Infine, il terzo comma prevede che la pena si applichi anche al detenuto che riceve o utilizza l'apparecchio telefonico, sempre che il fatto non costituisca più grave reato. Prima dell'introduzione di questa fattispecie, il possesso da parte dei detenuti di telefoni cellulari era qualificato come mero illecito disciplinare essendo il cellulare semplicemente un oggetto di cui non è consentito il possesso da parte dei detenuti.
  Segnala che l'articolo 10 modifica l'articolo 588 del codice penale, che punisce il reato di rissa, inasprendone le pene. In particolare, l'articolo interviene su entrambe le fattispecie previste dall'articolo 588 del codice penale, ossia sulla fattispecie base consistente nella partecipazione ad una rissa e su quella aggravata che si applica quando in conseguenza della rissa taluno rimanga ucciso o riporti lesione personale. Nel dettaglio, la lettera a) del comma 1, modificando il primo comma dell'articolo 588 del codice penale che prevede la fattispecie base, ovvero la semplice partecipazione ad una rissa, stabilisce un innalzamento della multa prevista per la partecipazione ad una rissa, portandola da 309 a 2.000 euro. La lettera b) del comma 1 modifica invece il secondo comma del medesimo articolo 588, nel quale è previsto che se dalla rissa scaturisce la morte o la lesione personale di qualcuno si applica la pena della reclusione per il solo fatto di aver partecipato alla rissa. Anche in questo caso l'articolo in esame innalza la pena precedentemente prevista, ovvero la reclusione da tre mesi a cinque anni, prevedendo la reclusione da un minimo di tre mesi ad un massimo di sei anni. La stessa pena, aumentata ai sensi della lettera b), si applica anche qualora la morte o la lesione personale si verifichino immediatamente dopo la rissa ed in conseguenza di essa.
  Segnala che l'articolo 11 modifica gli articoli 13 e 13-bis del decreto-legge n. 14 del 2017 per ampliare l'ambito di applicazione delle misure del divieto di accesso ai locali pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, che possono essere disposte dal questore, autorità di pubblica sicurezza, nei confronti di coloro che siano stati denunciati per specifici reati, e per inasprire le sanzioni in caso di violazione dei suddetti divieti. Al riguardo, il comma 1, lettera a), interviene sull'articolo 13 del decreto-legge n. 14 del 2017, che prevede – con finalità di prevenzione dello spaccio di stupefacenti – un divieto di accesso temporaneo, disposto dal questore, ai locali pubblici, aperti al pubblico ed ai pubblici esercizi, nonché a strutture scolastiche e universitarie. Il decreto-legge: estende l'ambito soggettivo di applicazione della misura, anticipandola in una fase precedente all'accertamento, ancorché non definitivo, della responsabilità penale; qualifica come illecito penale la violazione della misura disposta dal questore, sinora sanzionata a livello amministrativo. In proposito, ricorda che in base all'articolo 13 del decreto-legge n. 14 del 2017, prima dell'entrata in vigore del decreto-legge, il questore poteva disporre, per motivi di sicurezza – nei confronti di coloro che abbiano riportato nei tre anni precedenti una condanna definitiva o una condanna confermata in appello per reati di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 – il divieto di accesso nei locali pubblici (o aperti al pubblico), nelle scuole, nei plessi scolastici, nelle sede universitarie o nei pubblici esercizi in cui sono stati commessi gli illeciti. Tale divieto – di durata da 1 a 5 anni – può riguardare anche lo stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi locali. Il divieto d'accesso deve essere disposto comunque individuando modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute, lavoro e studio del destinatario del divieto. Le seguenti ulteriori misure, per la durata massima di 2 anni, possono essere applicate dal questore esclusivamente ai condannati con Pag. 49sentenza definitiva per i predetti reati in materia di stupefacenti: obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia o dei carabinieri; obbligo di rientro nella propria abitazione entro una determinata ora e di non uscirne prima di una determinata ora; divieto di allontanarsi dal comune di residenza; obbligo di presentazione alla polizia negli orari di entrata ed uscita degli istituti scolastici. Rinviando per l'applicazione di queste ultime misure alla disciplina relativa al cosiddetto «Daspo» per le manifestazioni sportive (articolo 6, commi 2-bis, 3 e 4 della legge n. 401 del 1989), il comma 4 dell'articolo 13 richiede, solo in questi casi, la convalida da parte del giudice per le indagini preliminari, che invece non è richiesta per il mero divieto di accesso ai locali pubblici o aperti al pubblico, nonostante tale divieto abbia potenzialmente una durata più lunga. Ai sensi del comma 5 i divieti e le misure sono adottabili anche nei confronti di minori ultraquattordicenni con notifica del provvedimento ai genitori o a chi esercita la relativa potestà. Il comma 6 punisce – salvo che il fatto costituisca reato – con la sanzione pecuniaria amministrativa da 10.000 a 40.000 euro e la sospensione della patente (da sei mesi a un anno) la violazione delle misure adottate dal questore. Spetta al prefetto adottare i relativi provvedimenti. Il comma 7 prevede la possibilità che la concessione della sospensione condizionale della pena per i reati in materia di stupefacenti di cui al comma 1 sia subordinata alla imposizione del divieto di accesso a locali pubblici o aperti al pubblico specificamente individuati.
  Sottolinea inoltre che il decreto-legge, modificando il comma 1 del citato articolo 13, anticipa l'applicabilità della misura e dunque ne estende l'ambito soggettivo, stabilendo che il questore possa disporre il divieto di accesso ai locali pubblici anche ai soggetti che, nei tre anni precedenti, «abbiano riportato una o più denunce» per i reati connessi allo spaccio di stupefacenti. Per l'applicazione della misura di prevenzione, dunque, l'articolo 13, come novellato, non richiede più una condanna penale, quantomeno confermata in grado d'appello; in base al nuovo comma 1 il divieto di accesso ai locali pubblici, la cui durata potrà essere compresa da 1 a 5 anni, potrà essere imposto dal questore anche a colui che abbia riportato una sola denuncia per i reati di cui all'articolo 73 del citato testo unico in materia di stupefacenti. A tale ipotesi viene accomunata quella del soggetto che abbia riportato, per tali reati, una condanna, anche non definitiva. Oltre ad estendere l'ambito di applicazione della misura del divieto di accesso, la nuova formulazione del comma 1 individua gli elementi che dovranno essere presi in considerazione dal questore per decidere in ordine all'applicazione del divieto. Egli dovrà infatti necessariamente: valutare gli elementi derivanti dai provvedimenti dell'autorità giudiziaria; fondare la decisione sugli accertamenti di polizia. Dalla formulazione del testo, che richiede entrambi questi presupposti – provvedimenti dell'autorità giudiziaria e accertamenti di polizia – si ricava che in realtà la mera denuncia non è sufficiente a fondare la misura del divieto di accesso, essendo necessario che alla denuncia abbiano fatto seguito accertamenti di polizia e che il soggetto sia in qualche modo «pregiudicato» essendo già intervenuti, anche non in relazione a quella specifica denuncia, provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Il decreto-legge non interviene invece sul comma 3 dell'articolo 13 citato; conseguentemente le misure più limitative della libertà personale (obbligo di firma, divieto di allontanamento) continueranno a trovare applicazione solo nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva e previa conferma della misura da parte dell'autorità giudiziaria. Anche la violazione di queste misure, però, al pari della violazione del divieto di accesso ai locali pubblici di cui al comma 1, è ora qualificata come illecito penale. Il decreto-legge, infatti, sostituendo il comma 6 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 14 del 2017, punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e con la multa da 8.000 a 20.000 euro colui che viola i divieti e le prescrizioni di cui ai commi 1 e 3. Prima del decreto-legge in esame, invece, tale violazione comportava, salvo che il fatto costituisse Pag. 50 reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 10.000 a 40.000 euro e la sospensione della patente da 6 mesi a un anno.
  Evidenzia, peraltro, che anche prima della novella in esame l'illecito amministrativo del comma 6 era preceduto dalla clausola di salvezza penale («salvo che il fatto costituisca reato»). Ciò valeva a consentire comunque l'applicabilità dell'articolo 650 del codice penale, che punisce con l'arresto fino a 3 mesi o con l'ammenda fino a euro 206 l'inosservanza di un provvedimento dell'autorità dato per ragioni di giustizia o sicurezza pubblica. Il decreto-legge in esame, dunque, più che attribuire rilievo penale alla violazione del provvedimento del questore, ha inasprito la repressione trasformando l'originaria contravvenzione (punita con la pena alternativa dell'arresto o ammenda) in un delitto (punito con la pena congiunta di reclusione e multa). Il comma 1, lettera b), dell'articolo 11 interviene sull'articolo 13-bis del decreto-legge n. 14 del 2017, che consente al questore l'applicazione del divieto di accesso a locali pubblici, pubblici esercizi e locali di pubblico trattenimento nei confronti di persone condannate con sentenza definitiva, o anche solo confermata in appello, nell'ultimo triennio: per reati commessi nel corso di gravi disordini in pubblici esercizi o in locali di pubblico intrattenimento; per reati contro la persona e il patrimonio (esclusi quelli colposi); per produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope. Anche in questo caso il decreto-legge anticipa l'applicabilità della misura, ne estende l'ambito e inasprisce la repressione penale in caso di violazione dei divieti imposti dal questore. In particolare, sostituendo il comma 1 dell'articolo 13-bis, il decreto-legge amplia l'ambito soggettivo di applicazione del divieto di accesso ai pubblici esercizi ovvero ai locali di pubblico trattenimento, prevedendo: il divieto di accesso si possa applicare anche a coloro che, negli ultimi 3 anni, abbiano riportato anche solo una denuncia; in precedenza, come detto, la norma richiedeva una condanna definitiva o comunque confermata in grado d'appello; peraltro, in caso di condanna, ancorché non definitiva, il questore può applicare la misura senza avere riguardo al termine triennale; in merito rammento che, diversamente da quanto previsto all'articolo 13 del decreto-legge n. 14 del 2017 per i reati connessi agli stupefacenti, non sono qui individuati ulteriori presupposti per l'adozione del provvedimento di divieto, essendo sufficiente la presentazione di una denuncia: la disposizione non fa riferimento né ad accertamenti di polizia né a provvedimenti dell'autorità giudiziaria; che la denuncia per quei reati possa riguardare anche fatti commessi nelle immediate vicinanze dei locali pubblici; che i delitti presupposto siano anche tutti quelli aggravati ai sensi dell'articolo 604-ter del codice penale, e dunque commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità; viene contestualmente espunto dal catalogo dei reati presupposto il riferimento all'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, per evitare sovrapposizioni con la misura di cui all'articolo 13 del decreto-legge n. 14 del 2017. Il decreto-legge interviene inoltre per ampliare l'ambito oggettivo di applicazione della misura, cioè i luoghi rispetto ai quali il questore può prevedere il divieto di accesso. Se originariamente l'articolo 13-bis prevedeva il divieto di accesso e di stazionamento nei pressi dei pubblici esercizi e locali di pubblico trattenimento nei quali fossero stati commessi i reati, o in luoghi analoghi, che il questore doveva specificamente indicare, il decreto-legge aggiunge la possibilità di prevedere il divieto di accesso anche a pubblici esercizi o locali di pubblico trattenimento specificamente individuati «in ragione delle persone con le quali l'interessato si associa, specificamente indicati». Un ulteriore ampliamento del campo d'applicazione del divieto d'accesso ai pubblici esercizi o ai locali di pubblico trattenimento è previsto dal nuovo comma 1-bis dell'articolo 13-bis, in base al quale il questore può disporre la misura rispetto a tutti i locali presenti nel territorio dell'intera provincia. In questo caso, però, presupposto Pag. 51 per l'applicazione del divieto è che il soggetto interessato: sia stato condannato per uno dei reati previsti dal comma 1, ancorché con sentenza non definitiva; sia stato posto in arresto o fermo, con provvedimento convalidato dall'autorità giudiziaria. In tal caso, dunque, non è sufficiente la semplice denuncia, ma occorre che l'autorità giudiziaria si sia pronunciata, anche soltanto convalidando la misura restrittiva della libertà personale. Tanto la condanna, quanto la convalida di fermo e arresto, potrebbero essere anche molto risalenti nel tempo, posto che, diversamente dal comma 1 dell'articolo 13-bis, il nuovo comma 1-bis non circoscrive all'ultimo triennio la valutazione dei presupposti per l'applicazione della misura. Il nuovo comma 1-ter dell'articolo 13-bis precisa che al divieto di accesso si accompagna il divieto di stazionamento nei pressi dei locali oggetto di divieto di accesso. Ulteriori modifiche apportate ai commi 2, 3 e 4 dell'articolo 13-bis hanno funzione di coordinamento, estendendo al divieto su base provinciale del comma 1-bis l'applicazione delle disposizioni relative alla durata dei divieti, all'applicabilità a minorenni ultraquattordicenni e alla possibile applicazione dell'ulteriore misura dell'obbligo periodico di comparizione presso l'ufficio di polizia, previa convalida della misura da parte dell'autorità giudiziaria. Il decreto-legge modifica altresì il comma 6 dell'articolo 13-bis, per inasprire la pena in caso di violazione dei divieti. Analogamente a quanto stabilito per la violazione del divieto di accesso previsto per contrastare lo spaccio di stupefacenti, anche in questo caso per la violazione della misura imposta dal questore sono previste la reclusione da 6 mesi a 2 anni (in luogo della precedente reclusione da 6 mesi a un anno) e la multa da 8.000 a 20.000 euro (in luogo della multa da 5.000 a 20.000 euro). L'articolo 12 reca disposizioni in materia di contrasto al traffico di stupefacenti via internet. In particolare, il comma 1 prevede l'istituzione, ad opera dell'organo del Ministero dell'interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione, di un elenco, da aggiornare costantemente, dei siti web che, sulla base di elementi oggettivi, si debba ritenere che siano utilizzati per l'effettuazione sulla rete internet di uno o più reati in materia di stupefacenti, commessi mediante l'impiego di mezzi informatici o di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili al pubblico. Ferme restando le iniziative e le determinazioni dell'autorità giudiziaria, su richiesta della direzione centrale del servizio antidroga del Dipartimento della pubblica sicurezza l'organo per la sicurezza dei servizi di telecomunicazione provvede ad inserire nell'elenco i siti utilizzati per la commissione di uno o più dei reati in materia di stupefacenti, notificando tale inserimento ai provider così da impedire l'accesso ai siti indicati. I provider sono chiamati, ai sensi del comma 2, entro sette giorni, ad inibire l'accesso ai siti web segnalati attraverso l'utilizzo degli strumenti di filtraggio già operanti con riguardo al contrasto ai reati di pedopornografia e pedofilia. A garanzia dell'osservanza dell'obbligo di inibizione gravante sui provider il comma 3 dell'articolo 10 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000. All'accertamento della violazione provvede l'organo del Ministero dell'interno per la sicurezza delle telecomunicazioni; mentre la effettiva irrogazione delle sanzioni spetta agli Ispettorati territoriali del Ministero per lo sviluppo economico. La disposizione esclude la possibilità di pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge n. 689 del 1981. Il comma 4 demanda ad un decreto del Ministro dell'economia, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro dello sviluppo economico, la devoluzione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie. Le risorse devono essere destinate al Ministero dell'interno per il potenziamento ordinario e straordinario delle attività volte a rafforzare le azioni di controllo e di accertamento delle violazioni previste dalla disposizione in esame e al Ministero dello sviluppo economico per il rafforzamento dei servizi connessi alle attività di irrogazione delle sanzioni. Pag. 52
  Ricorda che l'articolo 13 reca alcune modifiche alla disciplina sul Garante nazionale delle persone private della libertà personale, rimodulandone la denominazione e ridefinendone il ruolo di meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. La disposizione, inoltre, proroga di due anni del mandato dell'attuale Garante nazionale. Più nel dettaglio il comma 1, lettera a) interviene sull'articolo 7 del decreto-legge n. 146 del 2013 modificandone la rubrica al fine di espungere, dalla denominazione del Garante nazionale, il riferimento alle persone detenute. La lettera b) del comma 1 dell'articolo inserisce poi dopo il comma 1 dell'articolo 7 del citato decreto-legge del 2013, una ulteriore disposizione. Il nuovo comma 1-bis sancisce l'operatività del Garante nazionale come meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, in coerenza con l'obbligo previsto dalla legge 9 novembre 2012 n. 195 di ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002. Anche la lettera c) del comma 1 aggiunge una ulteriore disposizione all'articolo 7 del decreto-legge n. 146, la quale consente al Garante nazionale di delegare i garanti territoriali per lo svolgimento di specifici compiti nelle materie di propria competenza, quando ricorrono particolari circostanze. Non sono delegabili i compiti di relazione previsti dalla lettera g) del comma 5 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 146. L'articolo da ultimo prevede una proroga di due anni del mandato dell'attuale Garante nazionale (comma 2).
  Segnala che l'articolo 14 reca la clausola di neutralità finanziaria del provvedimento, prevedendo che esso non debba comportare costi aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
  Fa presente che l'articolo 15 introduce alcune disposizioni transitorie finalizzate a stabilire l'applicazione di alcune modifiche introdotte con il decreto-legge in esame anche ai procedimenti in corso, nella fase sia amministrativa sia giurisdizionale. In particolare, il comma 1 stabilisce l'applicazione ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2020) delle disposizioni introdotte dall'articolo 1, comma 1, di cui alla: lettera a), che prevede che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno non possano essere adottati quando ricorrano seri motivi derivanti dal rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato; lettera e), che estende l'ambito di applicazione del divieto di respingimento o espulsione o estradizione di una persona verso uno Stato ai sensi dell'articolo 19 del testo unico in materia di immigrazione; lettera f), che riformula le previsioni in materia di permesso di soggiorno per calamità. L'applicabilità immediata riguarda i procedimenti in corso di natura amministrativa, ossia dinanzi alle commissioni territoriali e al questore, nonché di natura giurisdizionale, ossia i procedimenti dinanzi alle sezioni specializzate dei tribunali. Al contempo, è esclusa esplicitamente l'applicabilità immediata delle disposizioni richiamate con riferimento ai procedimenti giurisdizionali pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nei quali si stia svolgendo il giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione ai sensi dell'articolo 384, comma secondo, del codice di procedura civile. Il comma 2 dispone in ordine all'applicazione delle disposizioni in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all'articolo 2 del provvedimento in esame, anche ai procedimenti pendenti davanti alle commissioni territoriali alla data di entrata in vigore del decreto-legge, ossia al 22 ottobre 2020.
  Ricorda, infine, che l'articolo 16 stabilisce l'entrata in vigore del decreto-legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

  Pierantonio ZANETTIN (FI) desidera svolgere alcune considerazioni preliminari sul decreto-legge in esame, che ritiene non disporre degli indispensabili requisiti di necessità e urgenza. Sottolinea, infatti, che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento precede solo di pochi giorni Pag. 53l'attentato di Nizza, il cui responsabile è giunto in Francia attraverso l'Italia, sbarcando a Lampedusa. Evidenziando il grave imbarazzo istituzionale per la vicenda, ritiene che tale episodio sia la dimostrazione che il provvedimento in discussione non sia necessario né urgente, ma che anzi vada in una direzione opposta a quella che si dovrebbe adottare nei confronti delle politiche in materia di immigrazione. Rileva, inoltre, per quanto attiene al merito del decreto-legge, che l'articolo 2, disponendo in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, prevede che il provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva per gravi motivi debba essere adottato dal tribunale in composizione collegiale. In proposito sottolinea che il disegno di legge delega sulla riforma del processo penale all'esame della Commissione Giustizia prevede che il giudizio di appello possa svolgersi davanti a un giudice monocratico, come peraltro criticamente rilevato da illustri auditi, quale il professor Spangher durante l'indagine conoscitiva in corso. A suo avviso, pertanto, la citata disposizione del decreto-legge, che costituirà un aggravio per gli uffici giudiziari, rappresenta una discrasia, prevedendo il rito collegiale per le decisioni in merito alle domanda dei richiedenti asilo, la cui garanzia viene invece tolta al cittadino ricorrente in appello.

  Mario PERANTONI, presidente, nel dare la parola al collega Turri, lo invita a tenere conto del limitato tempo a disposizione, considerato che a breve è previsto lo svolgimento di una seduta delle Commissioni riunite II e III, rammentando inoltre che alla discussione preliminare sul provvedimento in oggetto sarà dedicata la seduta fissata per domani.

  Roberto TURRI (LEGA) fa preliminarmente presente che il suo intervento, per quanto vertente piuttosto sull'ordine dei lavori, è stato stimolato dai contenuti della relazione del collega Bordo, che ha evidenziato l'ampiezza dei profili di competenza della Commissione Giustizia contenuti nel decreto-legge in esame. Sottolinea di essere tuttora in attesa degli intendimenti del Presidente della Camera con riguardo alla richiesta avanzata dalle forze di opposizione, sull'esito della quale non nutre molte speranze, di riassegnare il provvedimento in sede referente alle Commissioni riunite I e II. Preannuncia pertanto l'intenzione di riproporre la questione in sede di Ufficio di presidenza, chiedendo che quantomeno venga consentito alla Commissione Giustizia di esprimere un parere rinforzato, prevedendo inoltre lo svolgimento di un ciclo di audizioni concentrato sulle parti di competenza.

  Mario PERANTONI, presidente, rinviando alle determinazioni dell'Ufficio di presidenza svoltosi nella giornata di ieri, nel confermare che tutti i colleghi potranno seguire le audizioni previste dalla Commissione Affari costituzionali, avanza la proposta di acquisire anche osservazioni scritte da parte di soggetti competenti per i profili relativi alla giustizia. Assicura che la proposta di parere verrà comunque predisposta dopo la conclusione del ciclo di audizioni presso la Commissione Affari costituzionali, al fine di consentire a tutti di esaminare le questioni poste in quella sede e di sottoporre al relatore le proprie osservazioni. Ritiene che in tal modo si possa raggiungere l'obiettivo di esprimere un parere – che, ricorda, ha natura rinforzata – adeguato all'importanza della materia oggetto del provvedimento.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.10.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO
DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.10 alle 14.30 e dalle 14.45 alle 14.55.

INDAGINE CONOSCITIVA

  Mercoledì 4 novembre 2020. — Presidenza del presidente Mario PERANTONI.

  La seduta comincia alle 15.10.

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Indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello.
Audizione di Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino (in videoconferenza), di Agostino De Caro, professore di Diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise e di Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (in videoconferenza).
(Svolgimento e rinvio).

  Mario PERANTONI, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati. Introduce, quindi, l'audizione.

  Svolgono una relazione sui temi oggetto dell'audizione, Francesco CAPRIOLI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino (in videoconferenza), Agostino DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise e Mauro RONCO, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (in videoconferenza).

  Intervengono, per porre quesiti e formulare osservazioni, l'onorevole Giulia SARTI (M5S).

  Catello VITIELLO (IV), intervenendo sull'ordine dei lavori, chiede di poter rinviare il seguito dell'audizione, e quindi la formulazione dei quesiti da parte dei deputati agli auditi, ad altra seduta, in considerazione dell'imminente ripresa dei lavori dell'Assemblea.

  Mario PERANTONI, presidente, preso atto della disponibilità degli auditi a proseguire in altra data l'audizione, li ringrazia per il loro intervento e rinvia l'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.