CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 3 novembre 2020
463.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
COMUNICATO
Pag. 21

COMITATO DEI NOVE

  Martedì 3 novembre 2020.

Istituzione della Giornata nazionale degli italiani nel mondo.
C. 223-A e abb.

  Il Comitato si è riunito dalle 13.50 alle 14.10.

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 3 novembre 2020. — Presidenza del presidente Piero FASSINO. – Interviene Pag. 22la viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Marina Sereni.

  La seduta comincia alle 14.10.

DL 130/2020: Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
C. 2727 Governo.
(Parere alla I Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Piero FASSINO, presidente, ricorda che la discussione generale in Aula del provvedimento è calendarizzata a partire da lunedì 16 novembre.

  Gennaro MIGLIORE (IV), relatore, segnala che il provvedimento delinea un radicale cambiamento di strategia in materia di immigrazione, protezione internazionale e di politiche di integrazione, mirando soprattutto a recepire le osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica in sede di emanazione del decreto-legge n. 113 del 2018 e di promulgazione della legge n. 77 del 2019, di conversione del decreto-legge n. 53 del 2019 (c.d. «decreto sicurezza-bis»).
  Come recita la relazione illustrativa, è emersa la straordinaria necessità e urgenza di chiarirne alcuni profili per tenere conto dei principi costituzionali e di diritto internazionale vigenti in materia, ponendo rimedio ad aspetti funzionali che hanno generato difficoltà applicative.
  Osserva che il principio del rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali costituisce, pertanto, il primo fondamento del provvedimento, che si esplica, tra l'altro, nel richiamo inserito all'articolo 5, comma 6, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, concernente le disposizioni sul rifiuto e sulla revoca del permesso di soggiorno adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali.
  Rileva che, d'altra parte, la materia dell'immigrazione chiama ormai in causa la complessiva Comunità internazionale e il sistema delle relazioni internazionali, in cui il nostro Paese si colloca e che impongono di guardare al fenomeno nella sua dimensione esterna, oltre che interna.
  Sottolinea che è apparsa necessaria e urgente la riarticolazione del sistema di prima accoglienza e di accoglienza dei richiedenti e dei titolari di protezione internazionale, per i beneficiari di protezione complementare e per i minori stranieri non accompagnati. Si è reso inoltre necessario e urgente introdurre nuove norme in materia di iscrizione anagrafica dello straniero e di cittadinanza, unitamente alla previsione di nuove norme di carattere penale, al rafforzamento delle misure di tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica. Il provvedimento si occupa anche di prevenire e contrastare il traffico di stupefacenti via web.
  Evidenzia che, in materia di protezione internazionale, occorre assicurare coerenza tra le disposizioni interne in materia di procedura per il riconoscimento della protezione internazionale e le norme della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione).
  Segnala che il provvedimento, inoltre, incide sulla disciplina relativa al divieto di transito e di sosta nel mare territoriale. Nel caso in cui tale divieto sia fondato su ragioni di ordine e sicurezza pubblica, esso è adottato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri. Queste disposizioni non trovano applicazione in caso di operazioni di soccorso, immediatamente comunicate Pag. 23alle Autorità italiane e dello Stato di bandiera della nave e condotte nel rispetto delle norme di diritto internazionale e delle indicazioni della competente autorità di coordinamento per la ricerca e il soccorso in mare.
  Sotto il profilo del pieno rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale, assume particolare rilevanza l'intervento effettuato sull'articolo 19, comma 1.1, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, che prescrive il divieto di espulsione e di respingimento nel caso in cui il rimpatrio comporti per l'interessato, il rischio di tortura.
  In primo luogo, alla predetta ipotesi si aggiunge il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, così da conseguire piena conformità all'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848.
  In secondo luogo, si introduce una nuova fattispecie di divieto di espulsione, che consegue al rischio di violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, secondo una formulazione che richiama quanto disposto dall'articolo 8 della CEDU e tenendo presente la rilevante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di limiti ai provvedimenti di rimpatrio, nonché la giurisprudenza elaborata dalla Corte di cassazione sul tema, a partire dalla sentenza della I sezione civile n. 4455 del 23 febbraio 2018. Nelle suddette ipotesi, è previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
  Ulteriori modifiche sono apportate al procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25. Vengono riscritte in chiave di maggiore conformità alle direttive europee vigenti le norme relative all'esame prioritario, per istanze manifestamente fondate o presentate da persone vulnerabili, e alla procedura accelerata, che ricorre quando si possa presumere un uso strumentale della domanda da parte di richiedenti sottoposti a procedimento penale o condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati che costituiscono causa di diniego dello status di rifugiato o di esclusione dallo status di protezione sussidiaria. Per evitare l'uso strumentale della domanda, in tali casi è peraltro previsto il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale negli appositi centri e strutture per il rimpatrio.
  Segnala che si prevede, inoltre, un ampliamento delle competenze delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 25 del 2008, organismi di specifica competenza tecnica in materia, composti anche da un esperto in materia di protezione internazionale e di tutela dei diritti umani, designato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Si estende, infatti, la potestà decisionale delle suddette Commissioni a fattispecie diverse da quelle della protezione internazionale, in particolare con riguardo al divieto di espulsione per stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità. Sempre per quanto concerne la protezione complementare, le Commissioni informano il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni degli elementi assunti in sede di esame della domanda di protezione internazionale, per le valutazioni e l'adozione delle eventuali iniziative di competenza finalizzate al rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 31, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998: il tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può infatti autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato.
  Sempre in materia di procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, segnala che si incide sulla presentazione di una prima domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento individuando nella Commissione territoriale l'autorità competente Pag. 24alla decisione. Allo scopo di rendere effettiva l'eventuale decisione di inammissibilità, si prevede che il richiedente sia trattenuto nei centri previsti dall'articolo 14 del testo unico, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998.
  Osserva che per meglio definire la condizione giuridica dello straniero, si interviene in materia di iscrizione anagrafica. In proposito, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 186 del 9 luglio 2020, ha dichiarato l'illegittimità della normativa introdotta dall'articolo 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, che precludeva l'iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, per violazione dell'articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto-legge; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l'accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti. L'intervento in esame è diretto a dare ordine alla materia affermando il diritto all'iscrizione anagrafica, con la disciplina delle relative modalità e del rilascio della carta d'identità.
  Precisa che, in materia di condizione giuridica dello straniero, il provvedimento in esame affronta anche il tema della convertibilità dei permessi di soggiorni in permessi per motivi di lavoro, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla normativa vigente.
  È prevista un'ampia riforma del sistema di accoglienza destinato ai richiedenti protezione internazionale e ai titolari di protezione individuando un nuovo Sistema di accoglienza e integrazione (destinato a succedere al Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati – SIPROIMI) come caposaldo per lo svolgimento delle operazioni di accoglienza. Le attività di prima assistenza continueranno a essere svolte nei centri governativi ordinari e straordinari, previsti dagli articoli 9 e 11 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998.
  Rileva che il Sistema di accoglienza e integrazione si articola in due livelli di prestazioni, di cui il primo è dedicato ai richiedenti protezione internazionale, mentre il secondo è relativo ai titolari di protezione e prevede servizi aggiuntivi, finalizzati all'integrazione.
  Tale differenziazione segue anche le indicazioni fornite dalla Corte dei conti, rese con la deliberazione 7 marzo 2018, n. 3/2018/G. Nel documento, dedicato alla prima accoglienza degli immigrati, la Corte rilevava la necessità di evitare di riconoscere un «diritto di permanenza indistinto» a tutti coloro che sbarcano, compresi gli stranieri che non dovessero avere diritto a una forma di protezione, con il loro conseguente inserimento in percorsi di formazione professionale finalizzati all'integrazione, con gravosi oneri finanziari a carico del bilancio dello Stato.
  Vengono, infine, ridefinite le categorie degli stranieri che possono essere accolti nel Sistema di accoglienza e integrazione, anche allo scopo di colmare alcune omissioni della normativa previgente che avevano dato luogo a difficoltà applicative.
  Sottolinea che una particolare attenzione è dedicata dal presente provvedimento al tema dell'integrazione, prevedendo l'individuazione di percorsi specifici a supporto dei beneficiari del Sistema di accoglienza e integrazione, da avviare alla scadenza del periodo di accoglienza.
  Tali iniziative devono essere inquadrate nella cornice generale del Piano nazionale per l'integrazione, previsto all'articolo 29, comma 3, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251.
  Si prevede un concreto impulso all'aggiornamento del Piano nazionale, da adottare per il biennio 2020-2021, secondo linee direttrici che riguardano la formazione linguistica, l'informazione sui diritti e sui doveri individuali, l'orientamento ai servizi e l'orientamento all'inserimento lavorativo. A tale proposito, il Tavolo di coordinamento nazionale, istituito presso il Ministero dell'interno, è chiamato a formulare proposte per l'attivazione di Fondi europei.
  In materia di trattenimento degli stranieri in strutture di permanenza per il Pag. 25rimpatrio, evidenzia che il provvedimento appronta un'articolata serie di misure dirette, da un lato, a ridurre i tempi massimi di trattenimento, ad individuare delle categorie di persone destinatarie di un provvedimento di espulsione da trattenere prioritariamente e a definire norme di garanzia dei diritti delle persone trattenute e, da un altro lato, a rafforzare l'azione repressiva dei delitti commessi in queste strutture.
  Rileva che il decreto-legge non trascura il rafforzamento dei dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, rendendo più severe le norme in materia di agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, 354 (sull'ordinamento penitenziario).
  Si introduce, inoltre, una nuova figura di reato, di cui all'articolo 391-ter del codice penale, mediante la quale sono sanzionate l'introduzione e la detenzione, all'interno degli istituti penitenziari, di telefoni cellulari e di dispositivi idonei a consentire la comunicazione con l'esterno.
  Sono aggravate le sanzioni penali previste per il reato di rissa, di cui all'articolo 588 del codice penale e sono previste le misure del divieto di ingresso nei pubblici esercizi e nei locali di pubblico trattenimento o nelle loro adiacenze (rafforzando la capacità preventiva sul cosiddetto «DASPO urbano»), nonché ulteriori misure di contrasto del fenomeno dello spaccio di stupefacenti attraverso siti web mediante l'oscuramento dei siti web che, sulla base di elementi oggettivi, devono ritenersi utilizzati per la commissione di reati in materia di stupefacenti.
  Precisa che, in conseguenza delle nuove misure, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale viene ridenominato «Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale». Viene sancita l'operatività del Garante nazionale come meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, in coerenza con l'obbligo previsto dalla legge 9 novembre 2012, n. 195, recante ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002.
  Fatta questa premessa introduttiva, evidenzio ai fini di questa Commissione gli articoli di nostra competenza e interesse, a partire dall'articolo 1.
  Nel dettaglio, la lettera a) del comma 1 dell'articolo 1 modifica il comma 6 dell'articolo 5 del Testo unico, che prevede che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti.
  Nella formulazione antecedente al decreto-legge n. 113 del 2018, la disposizione concludeva: «salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». Tale inciso è stato abrogato dal decreto-legge n. 113 del 2018, con ciò facendo venire meno l'ambito di discrezionalità nella valutazione dei «seri motivi», attribuita al questore. Nell'emanare quel decreto-legge, il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri (il 4 ottobre 2018) richiamando, in via generale, come restassero «fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall'articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia». Il presente decreto-legge ripristina dunque l'obbligo di rispettare gli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato aggiungendo il seguente periodo: «fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».
  A tale proposito, ricorda come l'articolo 10 della Costituzione – oltre a prescrivere la conformità dell'ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute (primo comma) – si soffermi sulla condizione giuridica dello straniero, prescrivendo per essa (al secondo comma) sia una riserva di legge sia Pag. 26la conformità alle norme ed ai trattati internazionali (per quest'ultimo riguardo superando il principio della reciprocità rispetto alla disciplina degli altri Stati, com'era nell'antecedente ordinamento).
  Ancora, il medesimo articolo 10 della Costituzione prevede (al terzo comma) che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto all'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», ponendo inoltre (al quarto comma) il divieto di estradizione dello straniero per reati politici.
  Sottolinea che tale novero di previsioni – che formulano la generale garanzia della persona straniera nell'ordinamento italiano – si collocano entro i «princìpi fondamentali» della Carta repubblicana.
  Per lungo tempo l'Italia ha avuto una disciplina limitata al riconoscimento dello status di rifugiato, a seguito dell'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che definisce appunto lo status di rifugiato (ratificata dalla legge n. 722 del 1954; solo con il decreto-legge n. 416 del 1989 veniva però meno la riserva geografica apposta al momento della ratifica). La Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990 è intervenuta sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea (ratificata dalla legge n. 523 del 1992).
  A dare impulso ad una maggiore articolazione della disciplina normativa interna è stata l'incidenza delle disposizioni comunitarie. L'asilo, infatti, nelle sue varie articolazioni, è materia di competenza dell'Unione europea, la quale vi persegue una «politica comune», mediante un «sistema europeo comune di asilo» (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
  Segnala la lettera b) del comma 1 dell'articolo 1, che individua specifiche tipologie di permessi di soggiorno per le quali è ammessa la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ove ne ricorrano i requisiti. Si tratta dei permessi di soggiorno per protezione speciale (ad eccezione dei casi per i quali siano state applicate le cause di diniego ed esclusione della protezione internazionale), per calamità, per residenza elettiva, per acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, per attività sportiva, per lavoro di tipo artistico, per motivi religiosi e per assistenza di minori.
  Segnala, altresì, la lettera c), che sopprime la norma introdotta dal citato decreto-legge n. 53, in base alla quale il Ministro dell'interno poteva limitare o vietare l'ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale – salvo che si trattasse di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale – per: motivi di ordine e sicurezza pubblica; ovvero quando si concretizzassero le condizioni di cui alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (cd. Convenzione di Montego Bay), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione. Al riguardo, ricorda che a norma della Convenzione si considera come «pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero il passaggio di una nave straniera se, nel mare territoriale, la nave sia impegnata, tra le altre, in un'attività di carico o scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero».
  Osserva che la soppressione di tale norma è correlata alle modifiche e integrazioni disposte dal comma 2 del medesimo articolo 1: la nuova disciplina dispone, in particolare, che il provvedimento di limitazione o divieto possa riguardare il transito e la sosta delle navi, senza più fare riferimento all'ingresso delle medesime.
  È al contempo disposta l'esclusione per le operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare, emesse in base agli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali in materia di diritto del mare nonché dalla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo statuto dei rifugiati. Pag. 27
  Resta espressamente fermo quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria del 2000, entrato in vigore il 1° gennaio 2004.
  Evidenzia che nei casi di inosservanza del divieto o del limite posto è prevista una multa da 10 mila a 50 mila euro. Sono contestualmente abrogate le disposizioni del citato decreto-legge 53 del 2019 che prevedevano una sanzione amministrativa da 150 mila a 1 milione di euro, la responsabilità solidale dell'armatore con il comandante e la confisca obbligatoria della nave utilizzata. Segnala che, anche in questo caso, sono state recepite le osservazioni formulate dal Capo dello Stato in sede di promulgazione della legge di conversione del decreto-legge n. 53 del 2019, laddove il Presidente Mattarella ha rilevato la necessità di assicurare un'adeguata proporzionalità tra sanzioni e comportamenti.
  Relativamente alle Convenzioni internazionali in materia di diritto del mare richiama, in particolare, quanto disposto dalla Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (cosiddetta Convenzione SAR), che obbliga gli Stati contraenti a dividere, sulla base di accordi regionali, il mare in zone di propria competenza S.A.R. (soccorso e salvataggio). A sua volta, la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (cosiddetta Convenzione SOLAS) obbliga il comandante di una nave – che sia in posizione tale da poter prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare – a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza. La richiamata Convenzione di Montego Bay dispone, inoltre, che ogni Stato esiga che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita e proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo. Tra l'altro, dal 1° luglio 2006 sono entrati in vigore per l'Italia gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, che impongono agli Stati competenti per la regione SAR di cooperare nelle operazioni di soccorso e di fornire al più presto la disponibilità di un luogo di sicurezza (Place of Safety), inteso come luogo in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza dei sopravvissuti garantita.
  Evidenzia la lettera e), numero 1), che reca una complessiva riformulazione dell'articolo 19, comma 1.1, del testo unico. Al riguardo ricorda che il decreto-legge n. 113 del 2018 ha soppresso la disciplina per la protezione temporanea, una procedura di carattere eccezionale che garantiva – nei casi di afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea – una tutela immediata e temporanea, in particolare qualora sussista il rischio che il sistema d'asilo non possa far fronte a tale afflusso. In sua sostituzione il decreto-legge del 2018 ha introdotto un elenco tassativo di ipotesi umanitarie: per casi speciali (vittime di violenza domestica e particolare sfruttamento lavorativo); per cure mediche; per calamità; per motivi di particolare valore civile.
  Il medesimo decreto-legge ha introdotto un nuovo permesso di soggiorno per «protezione speciale» per i casi in cui lo straniero «possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione», oppure esistano fondati motivi di ritenere che rischi di essere sottoposto a tortura.
  Sottolinea che, in aggiunta a queste fattispecie, il provvedimento in esame precisa che il divieto di respingimento previsto dal testo unico vige anche nei confronti di coloro per i quali sussiste il rischio di essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti, oltre che per il rischio di tortura come previsto dalla formulazione previgente della norma in questione, in piena applicazione dell'articolo 3 della CEDU. Inoltre, prevede che non siano ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona Pag. 28 verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica.
  La nuova norma, inoltre, individua i casi di divieto di espulsione per i quali è previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale.
  In secondo luogo, si prescrive il divieto di respingimento e di espulsione nei casi in cui il rimpatrio determini il rischio di una violazione del diritto alla vita privata e familiare, in attuazione dell'articolo 8 della CEDU.
  Segnala anche il numero 3) che, incidendo sull'articolo 19, comma 2, lettera d-bis), del testo unico, sancisce il divieto di espulsione o di respingimento per gli stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità, includendo anche le patologie relative alla sfera psichiatrica.
  Sottolinea che la lettera f), numeri 1) e 2), si occupa del permesso di soggiorno per calamità, previsto dall'articolo 20-bis del testo unico, introdotto dal decreto-legge n. 113 del 2018, ripristinando la formula già affermata nella prassi amministrativa, che dava rilievo alla calamità qualificata come grave e consentendo la conversione dei permessi di soggiorno per calamità in permesso per motivi di lavoro.
  Le ulteriori lettere del comma 1 recano disposizioni per la convertibilità in permesso per motivi di lavoro del permesso di soggiorno per ricerca scientifica, nonché per la convertibilità in permesso per motivi di lavoro o di studio di quello rilasciato al minore di età al compimento della maggiore di età.
  Senza entrare nel merito, pur significativo, dell'articolo 2, che ridisciplina il procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, menziona l'articolo 3, sul trattenimento e sull'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e dei titolari di protezione. In particolare, il comma 2, lettera b), prevede la riduzione a novanta giorni (anziché centottanta) del trattenimento dello straniero richiedente protezione internazionale (il quale sia trattenuto per difficoltà di verifica della sua identità o provenienza). Tale termine è prorogabile di trenta giorni, se lo straniero è altresì cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri.
  Al riguardo, ricorda che il Ministero dell'Interno ha sottoscritto accordi bilaterali di riammissione ed intese tecniche con Algeria, Costa d'Avorio, Egitto, Filippine, Ghana, Gibuti, Kosovo, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan e Tunisia.
  Sottolinea che tra le importanti innovazioni figura anche, alla lettera b), del comma 4 dell'articolo 3 l'istituzione di uno specifico strumento di reclamo al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale avverso le condizioni di trattenimento. L'innovazione normativa si fonda sulle conclusioni della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 1° settembre 2015 – ricorso n. 16483/12 – causa Khlaifia, che prevedeva una condanna per l'Italia in relazione all'assenza di un tale strumento di impugnazione.
  Alla luce di queste considerazioni, si riserva di presentare una proposta di parere anche in considerazione dell'andamento dei lavori presso la Commissione di merito.

  La Viceministra Marina SERENI ricorda che il provvedimento in discussione, sebbene di primaria competenza di altra Amministrazione, presenta – come illustrato dal relatore – alcuni aspetti di interesse per il MAECI e per la III Commissione, in particolare per quanto concerne le norme in materia di immigrazione e protezione internazionale, anche alla luce dei pertinenti obblighi internazionali assunti dall'Italia.
  In tale ambito, rileva in primo luogo l'articolo 1, che reintroduce nella disposizione del testo unico immigrazione (di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998), relativa al rifiuto e alla revoca del permesso di soggiorno adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, l'esplicito riferimento al rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, Pag. 29 recependo un rilievo formulato dal Presidente della Repubblica.
  In secondo luogo, sottolinea che viene nuovamente estesa la protezione ad alcune categorie vulnerabili, prevedendo il divieto di espulsione ed il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Si tratta di coloro che, se respinti, correrebbero il rischio di essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti o di subire una violazione del diritto alla vita privata e familiare. Coloro che giungono in Italia per chiedere asilo, infatti, vengono da contesti contraddistinti da varie gradazioni di abuso, a cui è opportuno far fronte con uno spettro di strumenti in grado di adeguarsi alle situazioni più vulnerabili, nel pieno rispetto del diritto internazionale.
  In questo quadro, evidenzia comunque l'esigenza di assicurare che le domande di asilo non si convertano in uno strumento dilatorio, utilizzato da migranti che non abbiano titolo alla protezione, unicamente allo scopo di allungare i tempi per il rimpatrio forzato. Il decreto-legge in esame, all'articolo 2, razionalizza dunque i casi di domande per le quali si prevede un esame prioritario – tra cui rientrano le istanze verosimilmente fondate o relative a persone vulnerabili, in particolare i minori non accompagnati – differenziandoli da quelli per i quali è adottata una procedura accelerata, tra cui le domande presentate da cittadini provenienti da un Paese di origine sicuro.
  A questo riguardo, ricorda che nell'ottobre 2019 il MAECI, di concerto con il Ministero dell'interno e il Ministero della giustizia, ha emanato il decreto che istituiva una lista dei Paesi di origine considerati sicuri per i richiedenti asilo. Tale decreto, che elenca tredici Paesi dei Balcani, del Maghreb e dell'Africa occidentale, consente di ritenere manifestamente infondate le domande presentate da migranti provenienti da quei Paesi, pur consentendo a ciascun richiedente di dimostrare che nel proprio caso permangono esigenze di protezione.
  Quanto alle operazioni in mare, rileva che il provvedimento si pone l'obiettivo di impedire per il futuro che le navi delle organizzazioni non governative che conducono operazioni di ricerca e soccorso in linea con le normative internazionali e nazionali sul rispetto dei diritti umani fondamentali e della sicurezza della navigazione siano lasciate indefinitamente fuori dalle acque territoriali italiane, in attesa della designazione di un posto di sbarco sicuro. Questa è la ratio delle disposizioni introdotte dall'articolo 1, comma 2, che si pongono in linea con le convenzioni internazionali ratificate dall'Italia.
  Nello spirito del provvedimento in esame, sottolinea come l'azione del Governo sia sempre tesa al bilanciamento delle esigenze di protezione dei migranti e dei rifugiati con quelle di un'ordinata gestione dei flussi irregolari nel Mediterraneo. Evidenzia che da anni l'Italia non si sottrae all'obbligo, giuridico e morale, di salvare i migranti in mare. D'altra parte, intratteniamo relazioni significative con i Paesi di origine e transito dei flussi, specialmente in Africa, al fine di contrastare e prevenire gli arrivi di irregolari e velocizzare i rimpatri.
  Precisa che la collaborazione con i Paesi africani ha portato eccellenti risultati, come dimostrato dalla netta diminuzione del numero dei migranti irregolari osservato quest'anno (circa 27 mila al 29 ottobre) rispetto al 2016 (oltre 181 mila) o al 2017 (oltre 119 mila). Questo sensibile decremento è dovuto, tra gli altri fattori, anche all'azione decisa che la Farnesina ha portato avanti con tali Paesi, in particolare con Libia, Niger e Tunisia, utilizzando anche strumenti di cooperazione appositamente istituiti, come il Fondo migrazioni.
  Segnala che grazie a tale Fondo, siamo riusciti ad investire in Africa per il miglioramento delle condizioni di migranti e rifugiati; per il rafforzamento delle capacità istituzionali di quei Paesi nella lotta al traffico dei migranti; per intensificare i rimpatri volontari assistiti, che consentono a migranti bloccati in Paesi di transito di tornare in patria; per lo sviluppo delle comunità locali e di origine.
  Da ultimo, ricorda che il Ministro degli esteri Di Maio, insieme alla Ministra dell'Interno Lamorgese, ha mantenuto contatti costanti e intensi con le autorità libiche Pag. 30 e con quelle tunisine, al fine di ottenere un più efficace contrasto delle operazioni dei trafficanti di esseri umani. Si inquadra in tale contesto la missione congiunta svolta dai due Ministri a Tunisi nell'agosto scorso, insieme ai Commissari europei per gli Affari interni e l'Allargamento e il Vicinato, proprio a voler sottolineare la dimensione comune europea della questione migratoria.
  Infine, sottolinea che il Governo ha sempre assicurato anche un impegno attivo per far sì che i rifugiati particolarmente vulnerabili possano arrivare in Italia in sicurezza, in linea con il nostro costante impegno a tutela dei diritti umani. Il nostro Paese continua infatti ad essere in prima linea in materia di reinsediamenti, corridoi umanitari ed evacuazioni dirette. Ad oggi, L'Italia è l'unico Paese che organizza evacuazioni di rifugiati dalla Libia direttamente in Italia.
  In conclusione, ritiene che il provvedimento in esame vada nella giusta direzione, contemperando le diverse esigenze al fine di assicurare un'azione coerente con il rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali. Esso si presenta inoltre come complementare rispetto all'azione messa in atto dalla Farnesina con riferimento alla dimensione esterna della migrazione, nel dialogo e rapporto con i Paesi di origine e transito.

  Alberto RIBOLLA (LEGA), in premessa, sottolinea che quanti fuggono dalle guerre hanno diritto alla protezione internazionale e dunque, hanno titolo ad essere accolti in Italia, o meglio in Europa. Rileva, tuttavia, che negli ultimi tre anni solo il 7-8 per cento di coloro che giungono nel nostro Paese hanno ottenuto l'asilo e, pertanto, la stragrande maggioranza degli immigrati sono qualificabili come clandestini. Il precedente Esecutivo, e in particolare l'allora Ministro dell'interno Salvini, con l'approvazione dei «decreti sicurezza» era riuscito a ridurre sensibilmente le partenze dai Paesi d'origine e, di conseguenza, il numero dei naufragi in mare e dei clandestini presenti in Italia. Ricorda che, oltre alle difficoltà di ordine economico e sociale connesse alla pandemia, l'Europa, negli ultimi giorni ha dovuto fronteggiare una nuova minaccia terroristica di matrice islamica: al riguardo, oltre a formulare un messaggio di solidarietà alle comunità nazionali francese e austriaca, sottolinea la necessità di inasprire le norme per impedire, a chi non ha diritto, di approdare nel nostro Continente.
  Evidenzia che il programma elettorale del Movimento 5 Stelle in vista delle elezioni del 2018 conteneva espliciti riferimenti all'esigenza di bonificare il sistema di accoglienza e fermare l'immigrazione irregolare: obiettivi che vengono del tutto sconfessati dalla normativa in esame. Ribadisce, quindi, la totale opposizione del proprio Gruppo rispetto al provvedimento in discussione, che allarga a dismisura la casistica per la concessione dei permessi di soggiorno, limita in maniera incomprensibile i poteri del Ministro dell'interno sul transito delle navi, che spesso contribuiscono ad alimentare il fenomeno della tratta di esseri umani, riduce le sanzioni alle ong che violano le norme e reintroduce il diritto all'iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, un adempimento assai oneroso per le amministrazioni comunali.
  Auspica, pertanto, che i colleghi del Movimento 5 Stelle valutino bene la portata del provvedimento in esame, del tutto incoerente con le posizioni da essi sostenute nella campagna elettorale del 2018 e nel precedente Governo: al riguardo, evidenzia che gli attuali Ministri pentastellati hanno più volte assicurato che i «decreti sicurezza» sarebbero stati modificati solo nelle parti oggetto delle osservazioni del Presidente della Repubblica.
  Ricordando che la precedente disciplina aveva contribuito anche a tagliare in maniera significativa i costi del sistema di accoglienza, preannuncia che in sede di Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti di gruppo, la Lega chiederà di organizzare un breve ciclo di audizioni per approfondire taluni profili della nuova normativa, afferenti alle competenze della III Commissione, in un orientamento complessivamente contrario sul provvedimento.

  Laura BOLDRINI (PD) esprime apprezzamento per l'accurata relazione del collega Pag. 31 Migliore, nonché per l'intervento della Viceministra Sereni, che ha introdotto interessanti spunti di riflessione in materia di politica estera. Replicando al collega Ribolla, sottolinea che il provvedimento in esame riallinea il nostro Paese agli obblighi costituzionali ed internazionali, che erano palesemente violati dai «decreti sicurezza» del precedente Esecutivo. Ricorda che con la precedente disciplina, che aveva abrogato la fattispecie della protezione umanitaria, circa 140 mila migranti sono diventati irregolari, determinando un grave vulnus non solo per la loro condizione, ma anche, potenzialmente, per l'ordine pubblico, dal momento che venivano privati di ogni forma di tutela e assistenza. In tema di obbligatorietà dell'iscrizione anagrafica, osserva che tale istituto, lungi dall'essere un mero aggravio burocratico, consentirà ai tanti amministratori locali di riacquisire un controllo su chi risiede nei propri territori: inoltre, si tratta di una misura che ottempera ad una sentenza della Corte costituzionale – già menzionata dal relatore – n. 186 del 9 luglio 2020.
  Evidenzia, altresì, che la convertibilità dei permessi di soggiorno in permessi di lavoro consentirà di regolarizzare molti lavoratori, anche qui ristabilendo il rispetto dei princìpi di legalità e giustizia sociale.
  Da ultimo, sottolinea, che il provvedimento in esame ripristina il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, che prevedono l'obbligo di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita.

  Simone BILLI (LEGA), associandosi alle considerazioni del collega Ribolla, ribadisce i contenuti principali della previgente disciplina, introdotta con i decreti-legge promossi dall'allora Ministro Salvini: eliminazione della discrezionalità nella concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari; introduzione dei permessi speciali temporanei; trattenimento nei centri per rimpatri da tre a sei mesi; ampliamento del numero di reati che possono determinare revoca o diniego della protezione internazionale; incremento del Fondi per i rimpatri; revisione del sistema di accoglienza SPRAR, riservato ai minori non accompagnati e a chi ha già ricevuto la qualifica di rifugiato; adozione del Piano nazionale sgomberi; sanzioni più severe per le occupazioni abusive; incremento delle dotazioni finanziarie per la Polizia di Stato e i Vigili del Fuoco; introduzione del reato «blocco stradale e dei binari»; applicazione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare e controllo mediante braccialetto elettronico in caso di maltrattamenti e stalking; nell'ambito della lotta al terrorismo e alla criminalità mafiosa: stretta sul noleggio di tir e furgoni; DASPO urbano per sospettati di terrorismo; revoca della cittadinanza italiana per le persone ritenute pericolose per la sicurezza; sospensione dell'esame della domanda di protezione ed espulsione immediata per i richiedenti asilo che compiono gravi reati e dopo una condanna in primo grado; sequestro dei beni confiscati alla mafia e loro eventuale gestione a famiglie disagiate.
  Evidenzia, altresì, che in materia di concessione dei permessi umanitari la previgente disciplina stabiliva una casistica precisa e ben definita, introducendo le specifiche ipotesi di gravi malattie certificate dall'ASL; catastrofi naturali nel Paese di origine; vittime di violenza domestica; vittime di tratta; vittime di sfruttamento; particolari meriti civili.
  Associandosi alla richiesta del collega Ribolla di approfondire la materia tramite un apposito ciclo di audizioni, ribadisce la totale contrarietà del proprio gruppo al provvedimento in esame, tanto più in una fase storica segnata da una gravissima crisi sanitaria, economica e sociale, nella quale dovrebbe essere garantita assoluta priorità al diritto alla salute e al lavoro dei nostri connazionali. Al riguardo, sottolinea l'assoluta contraddizione tra le misure di restrizione a cui sono sottoposti gli italiani e la sostanziale assenza di controlli di cui beneficia l'immigrazione irregolare.

  Gennaro MIGLIORE (IV), ricordando che il dibattito sul merito del provvedimento spetta, in primo luogo, alla Commissione che lo esamina in sede referente, segnala che i «decreti-sicurezza» non sono più in vigore, sostituiti dal decreto-legge in Pag. 32esame. Pertanto, invita i colleghi ad evitare uno sterile dibattito su una disciplina ormai archiviata. Auspica, altresì di avviare una discussione seria e approfondita sulle nuove minacce terroristiche, alla luce del fatto che diversi attentatori non sono immigrati clandestini, ma sono nati e cresciuti nelle nostre società, ed hanno alimentato il proprio processo di radicalizzazione aderendo a reti transnazionali. Si riserva di formulare una proposta più articolata al riguardo nella sede propria dell'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

  Laura BOLDRINI (PD) si associa alla richiesta del collega Migliore di approfondire il fenomeno del terrorismo internazionale, in special modo di quello che utilizza la rete ed i servizi digitali per reclutare le nuove leve.

  Alberto RIBOLLA (LEGA) si associa, altresì, alla richiesta del collega Migliore.

  Piero FASSINO, presidente, ricordando i tempi di calendarizzazione del provvedimento in Assemblea e precisando che le richieste di eventuali audizioni andranno formulate in sede di Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori.

  Piero FASSINO, presidente, alla luce degli esiti della Conferenza dei Presidenti di Gruppo del 29 ottobre scorso, che ha adottato il calendario dei lavori per il mese di novembre, preannuncia che l'organizzazione dei lavori della Commissione per la prossima settimana si concentrerà nelle giornate di martedì 10 e mercoledì 11 novembre. Tenendo conto che in tale settimana non sono previste sedute con votazioni presso l'Assemblea, segnala l'esigenza di assicurare in ogni caso la presenza in Commissione, anche alla luce dei provvedimenti calendarizzati in Aula, con particolare riferimento alla discussione generale del Doc. XXII, n. 45, concernente la Proroga del termine per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. In generale la Commissione, nello spirito delle deliberazioni assunte dalla Conferenza dei Presidenti di Gruppo potrà essere convocata per lo svolgimento, in particolare, di audizioni formali ed informali.

  La Commissione prende atto.

Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo.
C. 1813 e abb., approvata dal Senato.
(Parere alla VI Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Yana Chiara EHM (M5S), relatrice, sottolinea che il parere richiesto alla III Commissione ha carattere rinforzato ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis, del regolamento in quanto il provvedimento reca disposizioni che investono in misura rilevante la competenza della stessa Commissione.
  In premessa, rileva che sulla medesima materia e sul medesimo provvedimento, presentato dalla allora Senatrice Amati e da altri senatori del tempo, la III Commissione si è già espressa in modo favorevole nella precedente legislatura.
  Osserva che il disegno di legge su cui la Commissione si espresse in tale occasione riprendeva peraltro i contenuti di una proposta di legge della XVI legislatura, l'atto Camera n. 5407, a prima firma dell'onorevole Mogherini, che fu approvato nel dicembre del 2012 in sede legislativa dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati. A causa della fine della legislatura, non fu allora possibile approvare il provvedimento anche nell'altro ramo del Parlamento.
  Ricorda che nella XVII legislatura il provvedimento giunse all'approvazione definitiva ma fu poi rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica (XVII leg. Doc. Pag. 33I, n. 2), in quanto privo della cd. «clausola di salvaguardia penale» per le condotte dolose di finanziamento poste in essere da soggetti qualificati, e perciò determinando, per la medesima condotta di finanziamento, due regimi punitivi diversi – l'uno penale, l'altro amministrativo – in ragione soltanto dell'incarico ricoperto dal soggetto agente nell'ambito di un intermediario abilitato o della natura del fruitore (società e non imprenditore individuale). In ragione degli «evidenti profili di illegittimità costituzionale» derivanti da tale disparità di trattamento, si chiedeva alle Camere un intervento in grado di assicurare la rilevanza penale delle condotte di assistenza finanziaria, da chiunque realizzate, alle attività proibite dalla proposta di legge.
  Evidenzia che il provvedimento in esame, già atto Senato n. 1, è frutto della automatica ripresentazione del disegno di legge S. 57 della XVII legislatura, il cui iter si era interrotto – dopo la deliberazione conforme di Camera e Senato – con il rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica.
  Ciò premesso, ai fini dell'esame della III Commissione ricorda che, oggi come già in precedenza, la proposta si connette a due distinti accordi internazionali: la Convenzione di Ottawa sul divieto di impiego, stoccaggio, produzione e trasferimento delle mine antipersona del 1997, ratificata dal nostro Paese con la legge 26 marzo 1999, n. 106, e la Convenzione di Oslo per la messa al bando delle munizioni a grappolo o cluster munitions, adottata a Dublino nel maggio del 2008, ratificata dall'Italia con la legge 14 giugno 2011. n. 95 ed entrata in vigore a livello internazionale il 1° agosto 2010.
  Quanto alla Convenzione di Ottawa, firmata da 127 Paesi nel dicembre 1997, a conclusione del processo negoziale denominato «processo di Ottawa», pone divieti più radicali di quelli previsti da precedenti strumenti internazionali – come, ad esempio, il Protocollo rivisto della Convenzione del 1980 contro le armi ad effetto indiscriminato – impegnando le Parti a non usare, sviluppare, produrre, acquisire, accumulare riserve, conservare o trasferire mine anti-persona, né ad aiutare, incoraggiare o indurre chiunque ad impegnarsi nelle suddette attività.
  Inoltre, per i profili che qui rilevano, la Convenzione impegna altresì le Parti a distruggere le scorte di mine che si trovino nella loro proprietà o possesso (viene peraltro autorizzata la conservazione ed il trasferimento di un certo numero di mine antipersona per lo sviluppo di tecniche e l'addestramento per la bonifica e la distruzione) e ad adottare «tutte le misure giuridiche, amministrative e di altro tipo appropriate, incluso l'imposizione di sanzioni penali, per prevenire e sopprimere qualsiasi attività vietata».
  Osserva che, ai fini dell'ordinamento interno, per le mine antipersona il riferimento normativo è ulteriormente rappresentato dalla legge n. 374 del 1997 (Norme per la messa al bando delle mine antipersona), come modificata dalla già citata legge n. 106 del 1999 di ratifica della Convenzione di Ottawa del 1997.
  In particolare, l'articolo 1 della legge n. 374 del 1997 vieta l'uso a qualsiasi titolo di mine antipersona, vieta la ricerca e la produzione, la cessione a qualsiasi titolo e la detenzione delle mine e dei relativi diritti di brevetto. L'articolo 7 sanziona penalmente (reclusione da 3 a 12 anni e multa da 258.228 a 516.456 euro) chiunque usa, fabbrica, vende, cede a qualsiasi titolo, esporta, importa, detiene mine antipersona o parti di esse, ovvero utilizza o cede, direttamente o indirettamente, diritti di brevetto o tecnologie per la fabbricazione, in Italia o all'estero, di mine antipersona o di parti di esse. La disciplina ad oggi vigente, dunque, non punisce il finanziamento di imprese che svolgano tali attività vietate, nonostante la Convenzione di Ottawa obbligasse gli Stati contraenti a «non aiutare, incoraggiare od indurre comunque nessuno ad impegnarsi in qualsiasi attività vietata».
  In merito alla Convenzione di Oslo del 2008 sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, ricorda che in occasione dell'esame del disegno di legge di ratifica proprio dalla III Commissione fu espresso l'auspicio affinché il Parlamento italiano adottasse Pag. 34 un provvedimento atto ad impedire il finanziamento e il sostegno alle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e sub-munizioni cluster.
  Segnala che la Convenzione di Oslo – adottata il 30 maggio 2008 – vieta l'uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo e impone la distruzione degli stock esistenti. Precisa che le cluster bombs sono armi costituite da un contenitore (o dispenser), lanciato da mezzi aerei o da sistemi di artiglieria, che si apre a mezz'aria spargendo da 200 a 250 sub-munizioni più piccole (del peso inferiore ai 20 kg) su aree che possono anche raggiungere un chilometro quadrato di ampiezza. Lo scopo delle bombe a grappolo, quindi, non è quello di colpire un singolo bersaglio, ma di distruggere una serie di potenziali bersagli collocati all'interno di una data area. Le sub-munizioni sono progettate in modo da esplodere al momento dell'impatto al suolo, ma il meccanismo non è tra i più sicuri, al punto che le case produttrici garantiscono un tasso di mancata esplosione intorno al 5 per cento (ma molte ong sostengono che la percentuale di ordigni inesplosi sia molto più elevata). Le bombe a grappolo inesplose sono molto pericolose, trasformandosi di fatto in mine anti-persona.
  Precisa che in base alla Convenzione sono escluse dalla nozione di «munizione a grappolo» una serie di munizioni, che quindi non sono vietate, tra cui: munizioni che contengano meno di dieci sub-munizioni esplosive; sub-munizioni esplosive del peso superiore ai quattro kg; sub-munizioni concepite per individuare e attaccare un bersaglio costituito da un oggetto unico (dotate di sistemi guida); sub-munizioni dotate di meccanismi elettronici di autodistruzione o di auto-disattivazione.
  Ciò detto, sia nel processo negoziale che nella sua sostanza, la Convenzione si è largamente ispirata alla Convenzione di Ottawa sul bando delle mine antipersona e dunque anche in questo caso gli Stati contraenti si impegnano a non aiutare, incoraggiare o indurre chiunque a impegnarsi nelle attività vietate.
  Ricorda, infine, che la Convenzione di Oslo qualifica le vittime di munizioni a grappolo ricomprendendo tra esse non solo gli individui direttamente colpiti, ma anche le loro famiglie e comunità. Inoltre, comprende tra le vittime non solo chi ha perso la vita o ha subito un danno corporale o psicologico, ma anche coloro che hanno subito un'emarginazione sociale o un pregiudizio sostanziale nel godimento dei propri diritti.
  Evidenzia che, riguardo all'ordinamento interno, per quanto concerne le cluster bombs, o munizioni a grappolo, il fondamento normativo è la legge di ratifica n. 95 del 2011, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Oslo e che, in analogia con il provvedimento relativo alle mine antipersona, all'articolo 7 sanziona penalmente (con la stessa pena prevista per le mine antiuomo: reclusione da 3 a 12 anni e multa da 258.228 a 516.456 euro) chiunque impiega, sviluppa, produce, acquisisce in qualsiasi modo, stocca, conserva o trasferisce, direttamente o indirettamente, munizioni a grappolo o parti di esse, ovvero assiste anche finanziariamente, incoraggia o induce altri ad impegnarsi in tali attività. La legge, dunque, punisce in questo caso anche il finanziamento. La pena può essere diminuita fino alla metà se il fatto è di particolare tenuità.
  Tutto ciò premesso, passando al contenuto del provvedimento, che consta di sette articoli, segnala l'articolo 1 del testo base in esame relativo alle finalità, concernente il divieto di finanziamento di imprese che producono, commercializzano o detengono mine antipersona, munizioni e sub-munizioni cluster (comma 1, primo periodo). Il divieto riguarda le società che realizzano tali attività in Italia o all'estero, direttamente o avvalendosi di società controllate o collegate secondo i criteri del codice civile. La disposizione ha portata innovativa per quanto riguarda le mine antipersona e ribadisce invece un divieto già espresso (dalla legge n. 95 del 2011) per le munizioni a grappolo.
  Rileva che è altresì fatto divieto di svolgere ricerca tecnologica, fabbricazione, vendita e cessione, a qualsiasi titolo, esportazione, Pag. 35 importazione e detenzione di munizioni e sub-munizioni cluster, di qualunque natura o composizione, o di parti di esse (comma 1, secondo periodo). In questo caso la disposizione ha portata solo parzialmente innovativa – segnatamente per il profilo del divieto di svolgere ricerca tecnologica – rispetto a quanto già vietato dall'articolo 7 della legge n. 95 del 2011 (che vieta lo sviluppo, la produzione, l'acquisizione in qualsiasi modo, lo stoccaggio, la conservazione e il trasferimento di munizioni a grappolo).
  Per le mine antipersona non è necessario prevedere tale ultimo divieto in quanto già previsto dall'articolo 1 della legge n. 374 del 1997.
  Come elemento innovativo rispetto al provvedimento già approvato nella scorsa legislatura segnala che il comma 2 dispone che le disposizioni del comma 1 non si applicano alle attività espressamente consentite dalla Convenzione di Ottawa e dalla Convenzione di Oslo. Si tratta, presumibilmente, di consentire le attività di distruzione delle scorte, il trasporto ai fini di stoccaggio e la conservazione di alcuni campioni con finalità di addestramento degli operatori chiamati allo sminamento. Osserva che tale disposizione non era contenuta nel provvedimento approvato dalle Camere nella scorsa legislatura.
  Ai sensi del comma 3, alle società di cui al comma 1 è preclusa la partecipazione ad ogni bando o programma di finanziamento pubblico.
  Oltre a trattarsi di divieti che valgono per chiunque, in linea con lo spirito delle Convenzioni internazionali, il comma 4 precisa ulteriormente che tali divieti «valgono per tutti gli intermediari abilitati» come definiti dall'articolo 2. Inoltre, la stessa disposizione vieta alle fondazioni e ai fondi pensione di investire il proprio patrimonio nelle predette attività.
  Sottolinea l'opportunità, in sede di parere, di segnalare alla Commissione di merito l'esigenza di chiarire che la norma di cui al comma 4 è da considerare ultronea e comunque non può essere interpretata in modo da attenuare il divieto sancito erga omnes dal comma 1. Si tratta di un profilo delicato in quanto idoneo a impattare sulla coerenza del quadro sanzionatorio per la violazione dei divieti. Infatti, il successivo articolo 6, in tema di sanzioni, introduce sanzioni amministrative per la violazione dei suddetti divieti a carico dei soli intermediari finanziari.
  Precisa che il successivo articolo 2 reca le definizioni rilevanti ai fini dell'applicazione della nuova disciplina. Al riguardo, evidenzia che tra gli «intermediari abilitati», di cui al comma 1, lettera a), figurano anche le banche di Paesi membri dell'Unione europea, le imprese di investimento di Paesi membri dell'Unione europea, le banche extra-comunitarie.
  Segnala anche la definizione di «mina antipersona», di cui alla lettera c), che si riferisce a ogni ordigno o dispositivo corrispondente alle caratteristiche individuate dall'articolo 2, commi 1 e 2, della Convenzione di Ottawa del 1997. La norma specifica che si tratta di mine progettate in modo tale da esplodere quando si trovano in presenza, prossimità, o contatto di una persona, e la cui esplosione è suscettibile di rendere invalide, ferire o uccidere una o incapacitare una o più persone.
  D'altra parte vengono escluse dalla definizione di mine antipersona le mine progettate in modo da esplodere quando si trovano in presenza, prossimità o contatto di un veicolo, quantunque dotate di un dispositivo che ne impedisca la manipolazione a fini di disinnesco (cosiddetto dispositivo anti-handling), e che perciò potrebbe colpire un artificiere eventualmente impegnato a rendere l'ordigno inoffensivo.
  Osserva che la successiva lettera d) reca la definizione di mina, intendendo per tale una munizione progettata per essere posta sotto, sopra o presso il terreno o qualsiasi altra superficie e per essere fatta esplodere dalla presenza, prossimità o contatto di una persona o veicolo.
  La lettera e) reca la definizione di munizioni e sub-munizioni cluster. In particolare, ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione di Oslo del 2008 si tratta di ogni munizione convenzionale idonea a disperdere o rilasciare sub-munizioni esplosive ciascuna di peso inferiore a 20 chilogrammi, Pag. 36 fatte salve le specifiche di esclusione indicate dalle lettere a), b) e c) del comma 2 del medesimo articolo 2 della Convenzione.
  Infine, la lettera f) individua gli «organismi di vigilanza» nella Banca d'Italia, dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), nella Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) e in eventuali altri soggetti cui sia attribuita, in forza della normativa vigente, la vigilanza sull'operato degli intermediari abilitati di cui alla lettera a).
  Evidenzia i profili sanzionatori di cui all'articolo 6, che delinea il seguente quadro: il finanziamento di imprese produttrici di munizioni a grappolo (o cluster) è sempre, chiunque lo effettui, sanzionato penalmente (ex articolo 7 della legge n. 95 del 2011), ed è corredato di sanzione amministrativa quando l'illecito è commesso dagli intermediari abilitati (ex articolo 6 della proposta di legge in esame); in base allo stesso articolo 6 il finanziamento di imprese produttrici di mine antipersona non è mai sanzionato penalmente, ma costituisce illecito amministrativo quando il fatto è commesso dai soli intermediari finanziari abilitati.
  Rileva che si tratta di un profilo che la Commissione Giustizia potrà meglio valutare e su cui la I Commissione ha segnalato l'opportunità di uniformare, nello spirito delle Convenzioni internazionali, il quadro sanzionatorio penale applicabile al finanziamento di imprese che producono mine antipersona, da una parte, con quello applicabile al finanziamento di imprese che producono munizioni a grappolo, dall'altra, in considerazione dell'identico tenore, sul punto, delle Convenzioni di Ottawa e di Oslo.
  Conclusivamente, evidenzia che il provvedimento in esame ha un elevato valore umanitario e rappresenta un ulteriore passo in avanti per il nostro Paese, che già da numerosi anni si spende con sempre crescente credibilità in ambiti di cooperazione internazionale legate all'assistenza alle vittime di ordigni inesplosi e di bonifica umanitaria grazie al Fondo istituito dalla legge n. 58 del 2001.
  L'Italia, peraltro, è stata capace di passare dal triste primato di maggior Paese produttore ed esportatore di mine ad essere uno dei Paesi maggiormente impegnati sul fronte umanitario. Il provvedimento in esame rappresenta il completamento di un lavoro congiunto delle istituzioni e delle organizzazioni della società civile in tema di disarmo umanitario.
  Ad ogni modo, nonostante la normativa internazionale stia contribuendo a limitare il numero dei Paesi produttori, numerose sono ancora le istituzioni finanziarie che forniscono investimenti e servizi alle imprese che continuano a produrre cluster bombs. Un rapporto biennale pubblicato delle organizzazioni non governative riunite nella Cluster Munition Coalition (CMC) rivela come nel 2018 siano ottantotto le istituzioni finanziarie pubbliche e private che continuano a investire nelle sette aziende che producono questo tipo di strumenti di morte (erano 166 nel 2017).
  Sottolinea che questa continua produzione si associa peraltro ad una continua emergenza umanitaria. Degli oltre 440 milioni di bombe a grappolo impiegate dal 1965, si stima che circa cento milioni restino tuttora inesplose, causando morti e mutilazioni a civili inermi, interessando intere aree di Paesi come Iraq, Kuwait, Bosnia Erzegovina, Cecenia, Croazia, Sudan, Sierra Leone, Etiopia, Eritrea, Albania, Kosovo, Afghanistan, Ossezia del sud, Siria, Libia e Yemen.
  Tutto ciò premesso, preannuncia la presentazione di una proposta di parere favorevole che recepisca questi contenuti, unitamente a quanto potrà emergere dal dibattito odierno.

  La Viceministra Marina SERENI si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

  Laura BOLDRINI (PD), esprimendo apprezzamento per la relazione svolta dalla collega Ehm, sottolinea la necessità di proseguire l'azione di armonizzazione della normativa interna in materia di disarmo umanitario.

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  Piero FASSINO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.30.

SEDE REFERENTE

  Martedì 3 novembre 2020. — Presidenza del presidente Piero FASSINO. – Interviene la viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Marina Sereni.

  La seduta comincia alle 15.30.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione nel settore della difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica argentina, fatto a Roma il 12 settembre 2016.
C. 2631 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Cristian ROMANIELLO (M5S), relatore, segnala che l'accordo in esame, che ricalca analoghi provvedimenti già esaminati in passato dalla Commissione, risponde all'esigenza di incrementare la cooperazione bilaterale tra le Forze armate dei due Paesi, con l'intento di consolidare le rispettive capacità difensive e di migliorare la comprensione reciproca sulle questioni di sicurezza.
  Osserva che il testo bilaterale, che si compone di un preambolo e di dodici articoli, dopo aver enunciato princìpi e scopi dell'Intesa (articolo 1), individua le modalità attuative e i settori della cooperazione bilaterale, riferendosi in particolare alla elaborazione di appositi piani annuali e pluriennali ed alla organizzazione di visite reciproche di delegazioni, scambi di esperienze tra esperti e partecipazione a corsi ed esercitazioni militari (articolo 2).
  Fra i campi di cooperazione, sono annoverati i settori della sicurezza comune e politica di difesa, della ricerca, sviluppo e acquisto di materiali e servizi per la difesa, delle operazioni di mantenimento della pace sotto l'egida delle Nazioni Unite, dell'organizzazione e impiego di Forze armate, della formazione delle Forze Armate e della sanità militare.
  Rileva che i successivi articoli disciplinano gli aspetti finanziari dell'Accordo (articolo 3), quelli giurisdizionali (articolo 4) e le questioni relative al risarcimento dei danni (articolo 5).
  Il testo identifica quindi le categorie di materiale della difesa interessate da una possibile cooperazione bilaterale, prevedendo l'impegno delle Parti a non riesportare a Paesi terzi il materiale acquisito, nel rispetto delle legislazioni nazionali di entrambi i Paesi. Ricorda, per l'Italia, la legge n. 185 del 1990 sulle esportazioni di materiali d'armamento, al pari del divieto di esportazione del materiale acquisito, che è di fondamentale e dirimente importanza nella disciplina del settore.
  Evidenzia che l'Accordo disciplina altresì la regolamentazione della proprietà intellettuale (articolo 7) e le modalità per il trattamento di informazioni, documenti e materiali classificati (articolo 8), e definisce le modalità di risoluzione delle eventuali controversie interpretative o applicative (articolo 9), l'entrata in vigore (articolo 10), la possibilità di emendarne i contenuti o di integrarli mediante protocolli aggiuntivi (articolo 11), la durata e il termine (articolo 12).
  Sottolinea che il disegno di legge di ratifica, già approvato dal Senato il 5 agosto scorso, si compone di cinque articoli: con riferimento agli oneri economici, l'articolo 3 del disegno di legge li quantifica in 5.504 euro ad anni alterni a decorrere dal 2020 imputabili alle sole spese di missione. Segnala, per completezza d'informazione, che un disegno di legge di ratifica del medesimo Accordo era già stato esaminato nel dicembre 2017 dalla Commissione esteri del Senato (AS 2969), ma non poté vedere completato il suo iter di esame a causa della conclusione della XVII legislatura.
  Conclusivamente, rileva che tra l'Italia e l'Argentina – come sanno bene i colleghi della Commissione – ci sono legami storici, culturali e sociali, legami imprenditoriali Pag. 38unici che è impossibile non tenere in considerazione, a partire dal fenomeno della storica emigrazione italiana verso il territorio dell'attuale Repubblica Argentina, passando attraverso il commercio bilaterale: un intenso e vivace partenariato che troverà ulteriori motivi di consolidamento nella ratifica di questo accordo come dell'altro, nel campo della sicurezza, che si accinge ad illustrare.

  La Viceministra Marina SERENI si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

  Paolo FORMENTINI (LEGA) ribadisce l'esigenza, già esposta in sede di esame della proposta di legge relativa all'istituzione di una Commissione parlamentare per le questioni degli italiani all'estero, di valorizzare le comunità dei nostri connazionali nel mondo: in tal senso, esprime il massimo sostegno della Lega all'accordo in esame, che porterà significativi benefìci alle nostre imprese del settore della difesa anche grazie alla vivacità della comunità italiana in Argentina.

  Piero FASSINO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, avverte che s'intende si sia rinunciato al termine per la presentazione degli emendamenti e che il provvedimento sarà trasmesso alle Commissioni competenti per l'espressione dei pareri. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica argentina sulla cooperazione in materia di sicurezza, fatto a Buenos Aires l'8 maggio 2017.
C. 2654 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Cristian ROMANIELLO (M5S), relatore, segnala che l'intesa, composta da un preambolo e da tredici articoli, sancisce l'impegno dei due Paesi a promuovere, sviluppare e rafforzare la collaborazione in materia di sicurezza al fine di prevenire e contrastare la criminalità e il terrorismo, ponendosi essa stessa come uno strumento giuridico volto a regolamentare la cooperazione di polizia sotto il profilo strategico ed operativo consentendo, al contempo, l'intensificazione dei rapporti tra gli omologhi organismi dei due Paesi preposti all'ordine ed alla sicurezza pubblici.
  In particolare, l'Accordo, dopo aver indicato l'obiettivo sotteso alla cooperazione bilaterale (articolo 1), individua nel Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica sicurezza, per la parte italiana, e nel Ministero della Sicurezza, per la parte argentina, le autorità responsabili della sua attuazione (articolo 2).
  Rileva che, dopo aver specificato i settori di cooperazione fra le Parti (articolo 3) – che includono, fra gli altri, la criminalità organizzata transnazionale, i reati contro la vita e il patrimonio, quelli relativi al traffico di sostanze stupefacenti, alla tratta di esseri umani, al traffico di migranti e a quello di armi, nonché i reati economici – l'intesa bilaterale definisce le forme della cooperazione (articolo 4), prevedendo scambio di informazioni e di prassi operative nei vari aspetti della cooperazione, identificazione e riammissione di cittadini di uno dei due Paesi presenti in posizione di irregolarità nel territorio dell'altro Stato ed esecuzione delle richieste di assistenza.
  Osserva che i successivi articoli disciplinano le modalità per le richieste di assistenza (articolo 5) e per la loro esecuzione (articolo 7) e i casi per opporre un rifiuto a tali richieste (articolo 6), ascrivibili a situazioni pregiudizievoli per i diritti umani, la sovranità, la sicurezza e l'ordine pubblico di una delle due Parti o a casi di eccessiva onerosità per le disponibilità finanziarie dell'Autorità competente.
  Sottolinea che un articolo specifico (articolo 8) è dedicato ai limiti per l'uso dei dati personali e delle informazioni classificate ed alla protezione dei dati personali soggetti a trasferimento, mentre gli articoli da 9 a 11 prevedono la possibilità di organizzare riunioni e consultazioni fra i rappresentanti delle competenti autorità delle Pag. 39due Parti, disciplinano le modalità per la suddivisione delle spese e dei costi delle richieste e dispongono l'utilizzo dello spagnolo e dell'italiano quali lingue di lavoro.
  Da ultimi, gli articoli da 12 e 13 disciplinano le modalità per la composizione di eventuali controversie interpretative o applicative dell'Accordo, l'entrata in vigore, l'emendabilità e l'eventuale denuncia del testo stesso.
  Evidenzia che il disegno di legge di ratifica, approvato dal Senato il 9 settembre scorso, si compone di quattro articoli. Gli oneri economici per l'Italia sono stimati dall'articolo 3 in poco più di 89 mila euro annui.
  Segnala che la ratifica dell'Accordo consentirà di aggiornare il quadro normativo nel settore della collaborazione in materia di lotta alla criminalità organizzata rispetto alla normativa vigente, risalente ad un accordo dell'ottobre 1992, che cesserà di produrre i propri effetti, adeguando così la normativa alla luce degli sviluppi operativi intercorsi in materia.
  Al tempo stesso si tratta di un importante strumento per favorire un migliore lavoro e una migliore cooperazione tra le forze di polizia a livello internazionale, ancora più rilevante alla luce della diffusione dei vari reati in materia di criminalità organizzata e di terrorismo.
  Conclusivamente, rileva che l'Accordo in esame testimonia la volontà delle parti di consolidare le intense ed eccellenti relazioni esistenti tra i nostri due Paesi che, oltre al profondo legame storico e culturale, si fondano su consistenti collaborazioni bilaterali nei settori della cooperazione economica, scientifica, tecnologica, ambientale e universitaria.

  La Viceministra Marina SERENI si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

  Piero FASSINO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, avverte che s'intende si sia rinunciato al termine per la presentazione degli emendamenti e che il provvedimento sarà trasmesso alle Commissioni competenti per l'espressione dei pareri. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Ratifica ed esecuzione dell'Emendamento al Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono, adottato a Kigali il 15 ottobre 2016.
C. 2655 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Simona SURIANO (M5S), relatrice, ricorda che il Protocollo di Montreal, adottato nel 1987 in attuazione della Convenzione di Vienna del 1985 per la protezione dello strato di ozono, ratificato ad oggi da 198 Paesi ed entrato in vigore nel gennaio 1989, è lo strumento operativo del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) per la protezione dell'ozono stratosferico.
  Segnala che il Protocollo, oltre a disciplinare i propri aspetti organizzativi assegnando funzioni decisorie alla Riunione delle Parti contraenti, stabilisce i termini di scadenza entro cui le Parti firmatarie si impegnano a contenere i livelli di produzione e di consumo delle sostanze dannose per la fascia d'ozono stratosferico, denominate ODS.
  Il testo disciplina, altresì, gli scambi commerciali, la comunicazione dei dati di monitoraggio, l'attività di ricerca, lo scambio di informazioni e l'assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo.
  Rileva che la Riunione delle Parti contraenti del Protocollo (MoP – Meeting of the Parties) è l'organo preposto a valutare la validità e l'efficacia delle misure di controllo imposte dal Protocollo, ad aggiornare le norme d'applicazione e, ove necessario, ad apportare delle modifiche al Protocollo attraverso decisioni, aggiustamenti ed emendamenti.
  Osserva che nell'ottobre del 2016, la Riunione delle Parti contraenti tenutasi a Kigali, in Ruanda, ha approvato l'Emendamento al testo del Protocollo – entrato in vigore lo scorso 1° gennaio – relativo alla riduzione degli idrofluorocarburi (HFC) Pag. 40elencati in un apposito allegato, sostanze, utilizzate in particolare nei settori della refrigerazione e del condizionamento dell'aria, che pur non avendo un impatto sullo strato dell'ozono atmosferico, possono determinare un elevato potenziale di riscaldamento globale.
  Più in dettaglio, precisa che l'Emendamento al Protocollo adottato nella capitale ruandese, oggetto del provvedimento di ratifica in esame, oltre ad introdurre specifici dettagli in materia di riduzione graduale degli HFC, esplicita l'impegno ad applicare nei confronti di tali sostanze gli obblighi e le prescrizioni introdotti nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e del relativo Protocollo di Kyoto.
  L'Emendamento, in particolare, divide i Paesi in tre gruppi in funzione della data rispetto alla quale devono congelare la produzione e il consumo di HFC; per i Paesi sviluppati (Paesi A2), gli impegni di riduzione delle emissioni del 10 per cento rispetto alla loro quota base è previsto prendano avvio sin dal 2019, per concludersi nel 2036 con una riduzione complessiva pari all'85 per cento.
  Al termine delle varie fasi di riduzione, anche gli altri Stati sono tenuti a consumare e produrre non più del 15-20 per cento rispetto alle loro rispettive quote base, rispettivamente entro l'anno 2045 per i Paesi in via di Sviluppo del Gruppo 1, ed entro il 2047 per Paesi in via di sviluppo del Gruppo 2, fra cui vengono annoverati India, Iran, Pakistan e i Paesi arabi del Golfo.
  Evidenzia che l'Emendamento obbliga, inoltre, ciascuna Parte a istituire entro il 1° gennaio 2019 o entro tre mesi dalla data di entrata in vigore dell'Emendamento, un sistema per il rilascio di licenze per l'importazione e l'esportazione degli HFC controllati dal Protocollo ed elencati in un apposito allegato, siano tali sostanze vergini, recuperate, riciclate o rigenerate.
  Segnala che la ratifica dell'Emendamento in esame da parte del nostro Paese non imporrà obblighi addizionali per le amministrazioni centrali e le imprese, dal momento che il sistema giuridico nazionale e dell'Unione europea risultano già conformi alle disposizioni da esso introdotte in ragione del fatto che il Regolamento (UE) 517/2014 ha introdotto misure persino più restrittive rispetto a quelle previste dall'emendamento medesimo.
  Rileva che il disegno di legge di ratifica, già approvato dall'altro ramo del Parlamento, si compone di quattro articoli. Con riferimento agli oneri economici, la relazione tecnica che accompagna il provvedimento specifica come l'Emendamento di Kigali non comporti di per sé alcun onere aggiuntivo.
  Sottolinea che l'Italia è nondimeno chiamata, a seguito della decisione assunta dalla Conferenza delle Parti tenutasi nel novembre 2017 di rifinanziare l'apposito Fondo Multilaterale per l'attuazione del Protocollo di Montreal, ad adeguare la quota del proprio contributo al Fondo, attualmente pari a 6,63 milioni di euro annui. L'articolo 3 del disegno di legge di ratifica valuta, di conseguenza, gli oneri economici derivanti dall'attuazione del provvedimento in 2.118.432 euro annui a decorrere dal 2019, ascrivibili – come detto – esclusivamente alla necessità di adeguare il contributo italiano al Fondo multilaterale per l'attuazione del Protocollo di Montreal. Il contributo complessivo dovuto dall'Italia come quota di partecipazione al meccanismo finanziario previsto dal Fondo è infatti pari a 8.751.822 euro annui.
  In conclusione, auspica il completamento dell'iter di ratifica di questo provvedimento, che consentirà di porre l'Italia in linea con la posizione adottata dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione europea. Ad oggi, infatti, oltre al nostro Paese, solo Spagna e Malta tra i Paesi dell'Unione europea non hanno ratificato l'Emendamento, entrato in vigore il 1° gennaio 2019.
  La ratifica in questione s'inserisce peraltro nel quadro dell'impegno assunto dall'Italia a livello internazionale per la protezione internazionale dell'ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici.
  Nel contesto europeo, infatti, l'Italia è tra gli Stati maggiormente a favore di obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni, avendo già superato i risultati richiesti a livello europeo al 2020 e garantendo opportunità Pag. 41 di crescita per le aziende compatibilmente con la salvaguardia dell'ambiente.

  La Viceministra Marina SERENI si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

  Paolo FORMENTINI (LEGA) preannuncia la richiesta di un ciclo di audizioni, volto ad approfondire i delicati profili di carattere tecnico dell'Accordo, anche in considerazione del fatto che l'Europa nel suo complesso sembra aderire ideologicamente ai processi di riconversione industriale, senza tener conto delle pesanti ricadute sul nostro sistema produttivo e della concorrenza sleale praticata dai nostri competitors, che adottano processi industriali assai più inquinanti.

  Piero FASSINO, presidente, ricordando che il provvedimento è già stato approvato dall'altro ramo del Parlamento, sottolinea la necessità di concentrare il più possibile l'attività istruttoria richiesta, su cui dovrà comunque deliberare l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica gabonese, fatto a Roma il 17 maggio 2011.
C. 2656 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Mirella EMILIOZZI (M5S), relatrice, ricorda che il Gabon, ex colonia francese a netta maggioranza cristiana, indipendente dal 1960, è uno Stato dell'Africa centrale di 1,8 milioni di abitanti, affacciato sul golfo di Guinea ed incastonato fra il Camerun, la Guinea Equatoriale e il Congo-Brazzaville, in una posizione di considerevole importanza strategica.
  Repubblica semipresidenziale dal 1991, il Paese, che ha un Parlamento bicamerale composto da un'Assemblea nazionale di 120 seggi e da un Senato avente un numero di seggi variabile, può vantare abbondanti risorse naturali e considerevoli investimenti stranieri tali da farne, in potenza, uno dei Paesi più ricchi dell'intero continente africano, anche se in realtà finisce con l'essere segnato dalla forte sperequazione nella distribuzione del reddito e da bassi indicatori in relazione all'indice sullo sviluppo umano.
  Segnala che, malgrado recenti difficoltà nei rapporti con l'Unione europea e i suoi Stati membri dovute alla crisi seguita alle elezioni presidenziali dell'agosto 2016, le relazioni bilaterali tra l'Italia ed il Gabon, anche di tipo economico, sono improntate da anni ad uno spirito di amicizia e di collaborazione.
  Rileva che l'Accordo in esame, composto di diciannove articoli, si propone di fornire un quadro giuridico di riferimento per l'approfondimento e la disciplina dei rapporti bilaterali tra i due Paesi nei settori dell'istruzione, culturale e tecnologico.
  L'intesa esplicita innanzitutto l'impegno delle Parti a sviluppare le relazioni tra i sistemi di istruzione superiore dei due Paesi in campo scientifico, tecnologico, letterario, culturale, artistico, sportivo e dell'informazione, al fine di contribuire ad una migliore conoscenza delle rispettive culture e dei popoli che le esprimono (articolo 1).
  Il testo è volto altresì a facilitare al contempo l'ammissione sul proprio territorio di cittadini dell'altra Parte per scopi di formazione e di studio (articolo 2) e ad impegnare le Parti a favorire la conoscenza reciproca attraverso lo scambio di nozioni e a favorire l'equipollenza dei titoli di studio rilasciati dai due Paesi (articoli 3-4).
  I successivi articoli prevedono la reciproca messa a disposizione di borse di studio e di perfezionamento nei settori concordati e lo scambio di studenti, tirocinanti, insegnanti e ricercatori (articoli 5-6).
  Altre misure riguardano l'accesso agli enti museali, di studio e di ricerca garantito agli specialisti, ai ricercatori ed agli insegnanti di entrambe le Parti (articolo 7), gli Pag. 42scambi di materiali di studio e di ricerca, anche nell'ambito musicale (articoli 8 e 10), la collaborazione tecnica e lo scambio di programmi tra le stazioni di radio-diffusione e televisive (articolo 9), la cooperazione nel campo delle arti visive e dello spettacolo (articolo 11) e la collaborazione sul piano sportivo (articolo 12).
  Gli ulteriori articoli si riferiscono alla reciproca partecipazione a manifestazioni culturali, agli scambi in campo giornalistico e alla cooperazione interuniversitaria (articoli 13-15). Una Commissione mista, destinata a riunirsi alternativamente nelle due capitali, è appositamente istituita per dare applicazione all'Accordo e per esaminare il progresso della cooperazione bilaterale nei settori di interesse (articolo 16).
  Evidenzia che il disegno di legge di ratifica dell'Accordo, già approvato dal Senato il 9 settembre scorso, consta di cinque articoli: con riferimento agli oneri economici derivanti dall'attuazione del provvedimento, l'articolo 3 li valuta in poco più di 220 mila euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, e in 234.920 euro a decorrere dall'anno 2021.
  Segnala che un analogo provvedimento – l'A.S. 2813 – era stato discusso dalla Commissione Affari esteri del Senato nel giugno 2017 ma il suo iter non era stato completato a causa della conclusione della legislatura.
  Conclusivamente, sottolinea che l'approvazione dell'intesa concorrerà a rafforzare il quadro giuridico di riferimento delle nostre relazioni con il Gabon, segnato da una rilevante stabilità politica e dalla presenza di rilevanti risorse petrolifere e minerarie che ha consentito a questo Stato dell'Africa centrale di mantenere uno dei livelli di prodotto pro capite più alti a livello continentale.

  La Viceministra Marina SERENI si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

  Simone BILLI (LEGA), associandosi alle considerazioni della collega Emiliozzi, auspica che la ratifica dell'Accordo in esame possa promuovere la conoscenza reciproca tra i due popoli e consenta di approfondire le problematiche dei flussi migratori nel Sahel e contribuire allo sviluppo dell'intera regione.

  Piero FASSINO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, avverte che s'intende si sia rinunciato al termine per la presentazione degli emendamenti e che il provvedimento sarà trasmesso alle Commissioni competenti per l'espressione dei pareri. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 184 sulla sicurezza e la salute nell'agricoltura, adottata a Ginevra il 21 giugno 2001 dalla Conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro nel corso della sua 89a sessione.
C. 2666 Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Laura BOLDRINI (PD), relatrice, segnala che la proposta di legge in esame concerne la ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 184 sulla sicurezza e la salute nel settore agricolo, adottata a Ginevra il 21 giugno 2001. La Convenzione 184 è in vigore a livello internazionale dal 20 settembre 2003, ed è stata sinora ratificata da diciotto Paesi.
  Sottolinea che, come ben evidenziato nella relazione introduttiva, il ricorso all'esercizio dell'iniziativa legislativa da parte del CNEL è finalizzato a richiamare l'attenzione del Governo e del Parlamento sui temi trattati nella Convenzione n. 184, primo fra tutti quello della sicurezza del lavoro, anche nella considerazione del rilevantissimo lasso di tempo (diciannove anni) decorso dalla sua adozione.
  Nel merito, secondo i più recenti dati dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, compilati sulla base delle denunce formalmente pervenute, gli infortuni nel lavoro agricolo Pag. 43ammontano, nel 2018, a 33.677, di cui 144 con esito mortale.
  Evidenzia che, ancorché detti dati, nel confronto con quelli relativi al 2014, registrino un andamento in diminuzione, rispettivamente, del 14 per cento e del 20,4 per cento (ma dai primi dati del 2019 gli incidenti mortali risultano aumentare di oltre il 15 per cento), è evidente che il lavoro agricolo resta tra i più rischiosi.
  Osserva che con la ratifica della Convenzione OIL n. 184 il nostro Paese assumerà l'impegno ad attuare politiche nazionali, orientate alla promozione della salute e della sicurezza nel settore agricolo, e ad adottare adeguati strumenti di ispezione (articolo 5, paragrafo 1), che possono essere affidati, in via ausiliaria, anche ad altri ambiti di governo territoriale.
  Rileva che la Convenzione elenca puntualmente gli obblighi del singolo datore di lavoro, cui è demandato di finalizzare la propria condotta ad evitare il verificarsi di infortuni (articoli 6 e 7).
  A fronte di tale dovere del datore di lavoro, i lavoratori vedono riconosciuto il diritto ad essere informati rispetto alle misure di sicurezza adottate e ai rischi legati alle nuove tecnologie.
  Particolarmente significativa risulta la statuizione del diritto dei lavoratori agricoli di sottrarsi al pericolo rappresentato dal proprio lavoro qualora abbiano un motivo ragionevole di considerare che sussista un pericolo imminente e grave per la propria vita o salute, e di informare immediatamente il superiore, senza che da tale azione possano conseguire trattamenti svantaggiosi.
  Precisa che l'età minima per essere impiegati in agricoltura è fissata nella Convenzione a diciotto anni (articolo 16) ma la legislazione nazionale o l'autorità competente potrà, sentite le organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate, autorizzare il compimento del lavoro fin dall'età di sedici anni, a condizione che venga data una formazione preliminare appropriata e che la sicurezza e la salute dei giovani lavoratori siano totalmente protette.
  Rileva che gli articoli 17 e 18 prevedono l'adozione di misure per garantire rispettivamente che i lavoratori temporanei e stagionali ricevano lo stesso livello di sicurezza e protezione della salute rispetto ai lavoratori permanenti; e per assicurare le speciali esigenze delle lavoratrici agricole in relazione alla gravidanza, all'allattamento e alle funzioni riproduttive.
  Sottolinea che la procedura concertativa tra l'autorità competente e le organizzazioni datoriali e dei lavoratori interessati, ovvero la legislazione nazionale, dovranno garantire la fornitura di servizi di assistenza sociale adeguati anche ai lavoratori agricoli, senza costi per questi ultimi, e inoltre stabilire norme minime di alloggio per i lavoratori tenuti a vivere temporaneamente o permanentemente nell'azienda (articolo 19).
  Evidenzia che dopo l'articolo 20, che stabilisce la necessaria conformità alla legislazione nazionale e ai contratti collettivi dell'orario di lavoro, del lavoro notturno e dei periodi di riposo dei lavoratori agricoli, l'articolo 21 concerne la copertura degli infortuni e delle malattie sul lavoro: tale copertura dovrà essere almeno equivalente a quella di cui godono i lavoratori di altri settori.
  Gli articoli 22-29, infine, recano le clausole finali della Convenzione. In particolare, le ratifiche di essa saranno comunicate al Direttore Generale dell'Ufficio internazionale del lavoro, la cui registrazione renderà la Convenzione vincolante a tutti gli effetti.
  Segnala che l'entrata in vigore della Convenzione è prevista dodici mesi dopo la registrazione delle ratifiche di due Parti. La denuncia della Convenzione sarà possibile dopo dieci anni dalla data di entrata in vigore iniziale di essa, con effetto un anno dopo la registrazione da parte del Direttore Generale dell'Ufficio internazionale del lavoro – che funge a tutti gli effetti da Depositario della Convenzione.
  Rileva che l'articolo 27, in particolare, prevede che l'organo direttivo dell'Ufficio internazionale del lavoro sottoporrà alla Conferenza Generale dell'OIL, ogniqualvolta lo ritenga necessario, un rapporto Pag. 44sull'applicazione della Convenzione, valutando se includere anche la richiesta di una sua revisione totale o parziale.
  Sottolinea che questa iniziativa legislativa, espressione delle prerogative costituzionali del CNEL, s'inquadra in un programma più vasto di rilancio delle attività istituzionali del Consiglio attraverso un programma biennale d'interventi, che va dalla la presentazione di progetti di legge su specifiche materie di competenza del Consiglio al potenziamento della funzione consultiva, in spirito di indipendenza e terzietà, in modo da favorire il raggiungimento di soluzioni positive e condivise nel quadro di una piena collaborazione con Parlamento e Governo, fino al supporto alla contrattazione collettiva e del mercato del lavoro, alla crescita e competitività ed alla valutazione delle politiche pubbliche e della loro sostenibilità.
  In conclusione, ricordando la tragica scomparsa nel 2015 di Paola Clemente, che perse la vita mentre lavorava nelle campagne nei dintorni di Andria, sottolinea l'opportunità di accompagnare la ratifica della presente Convenzione con l'approvazione di un ordine del giorno che impegni il Governo a valutare l'impatto e lo stato di attuazione della legge n. 199 del 2016, che reca disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo, con particolare riferimento all'efficacia delle misure di prevenzione e controllo, nell'esigenza di contrastare i fenomeni di illegalità e sfruttamento e di non penalizzare invece gli imprenditori agricoli che esercitano il proprio ruolo nel rispetto della legge.

  La Viceministra Marina SERENI precisa che il MAECI, condividendo gli obiettivi della Convenzione, coordina il necessario esercizio interministeriale, volto ad acquisire i contributi istruttori da parte delle Amministrazioni coinvolte, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero della salute in primis. Auspica che le Commissioni competenti in sede consultiva possano contribuire a loro volta in modo sostanziale al completamento di una accurata istruttoria legislativa da parte della Commissione.

  Piero FASSINO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, alla luce del dibattito svolto rinvia, quindi, quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.