CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 28 gennaio 2020
313.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 142

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 28 gennaio 2020. — Presidenza del presidente Sergio BATTELLI.

  La seduta comincia alle 13.50.

Sull'ordine dei lavori.

  Sergio BATTELLI, presidente, propone, concorde la Commissione, di procedere a un'inversione nell'ordine dei lavori della seduta odierna, nel senso di procedere dapprima all'esame del provvedimento in consultiva e, quindi, all'esame dell'Atto del Governo n. 138.

DL 162/2019: Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica.
C. 2325 Governo.
(Parere alle Commissioni I e V).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in titolo.

  Piero DE LUCA (PD), relatore, ricorda che il decreto-legge in esame reca disposizioni che intervengono su numerosi ambiti materiali e che risultano in massima parte legate tra loro dalla comune funzione di prorogare o differire termini previsti da disposizioni legislative vigenti o di operare interventi regolatori di natura temporale. Il testo, composto da 44 articoli, dispone pertanto la proroga e la definizione di termini di prossima scadenza, al fine di garantire la continuità dell'azione amministrativa, recando al contempo misure organizzative e finanziarie per garantire l'efficienza e l'efficacia dell'azione di pubbliche amministrazioni e magistrature, nonché in materia di innovazione tecnologica.
  Rinviando per un'analisi del contenuto del provvedimento alla documentazione predisposta dagli uffici, tra gli interventi di rilievo si limita a richiamare, a titolo Pag. 143esemplificativo, le disposizioni in materia di stabilizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni e di rafforzamento delle dotazioni organiche, la proroga del contributo per l'acquisto di auto e moto elettrici o ibridi e quella della detrazione fiscale per la sistemazione a verde degli immobili privati, la proroga dell'entrata in vigore del superamento del regime di maggior tutela nei settori della fornitura di energia elettrica e gas, le disposizioni in materia di eventi sismici e quelle di proroga delle indennità a favore dei lavoratori privati penalizzati a seguito del crollo del ponte Morandi.
  Sottolinea, inoltre, che tra le tematiche oggetto di maggior discussione sono annoverabili, come è noto, le disposizioni in materia di concessioni autostradali.
  Limitando l'esposizione alle misure che intervengono, ancorché talora indirettamente, su ambiti di interesse della XIV Commissione, segnala anzitutto l'articolo 1, comma 9, che introduce agevolazioni postali all'editoria, estendendo per tutta la durata dell'affidamento del servizio postale universale, ossia fino al 30 aprile 2026, la previsione del rimborso a Poste italiane delle somme corrispondenti alle agevolazioni postali previste dalla legislazione vigente per le spedizioni di prodotti editoriali. L'applicazione di tale disposizione viene subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in quanto trattasi di progetto diretto a istituire o modificare regimi di aiuti. Ricorda, al riguardo, che in tal caso lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale.
  Rileva che l'articolo 5, comma 3, differisce dal 1o gennaio 2020 al 1o gennaio 2021 il termine di decorrenza di alcuni divieti e condizioni in materia di procedure sugli animali a fini scientifici o educativi. In particolare, il differimento concerne, tra l'altro, la decorrenza del divieto di svolgimento di procedure sugli animali per le ricerche sugli xenotrapianti (costituiti dai trapianti di uno o più organi effettuati tra animali di specie diverse) nonché per le ricerche sulle sostanze d'abuso. Segnala che la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione osserva che i divieti e le condizioni oggetto del differimento in questione rientrano tra le norme del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26, in merito alle quali la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione (procedura 2016/2013), in quanto costituirebbero misure più restrittive o, in ogni caso, non conformi alla disciplina europea di cui alla direttiva 2010/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2010 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. La relazione ricorda, altresì, che nel mese di ottobre 2019 alcuni enti di ricerca hanno inviato una nota al Ministero della salute, relativa alla necessità di non limitare le possibilità di ricerca e di connesso accesso a bandi e finanziamenti europei pluriennali.
  Fa presente che l'articolo 6, comma 3, differisce dal 31 ottobre 2019 al 30 giugno 2020 il termine previsto per il perfezionamento, da parte delle università statali, dei contratti integrativi di sede volti a superare il contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera. Ricorda, in proposito, che l'articolo 11 della legge 20 novembre 2017, n. 167 (legge europea 2017), ha stanziato risorse per consentire il superamento del contenzioso relativo alla ricostruzione di carriera degli ex lettori di lingua straniera assunti nelle università statali prima dell'entrata in vigore del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120 (convertito con legge 21 giugno 1995, n. 236), con il quale è stata introdotta nell'ordinamento nazionale la nuova figura del «collaboratore esperto linguistico». Rammenta che la disposizione intendeva risolvere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL, nell'ambito del quale la Commissione europea aveva chiesto chiarimenti all'Italia circa la compatibilità della norma che stabiliva l'automatica estinzione dei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, relativi al Pag. 144trattamento economico degli ex lettori, con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.
  Segnala poi l'articolo 10, comma 2, che differisce ulteriormente al 31 dicembre 2020 l'obbligo di presentare l'informazione antimafia per i titolari di fondi agricoli che usufruiscono di fondi europei per importi da 5.000 a 25.000 euro.
  Infine, porta all'attenzione della Commissione l'articolo 35 in materia di concessioni autostradali, che introduce una disciplina, derogatoria rispetto a quella prevista dal Codice dei contratti pubblici, finalizzata a regolare i casi di revoca, decadenza o risoluzione di concessioni di strade o di autostrade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio.
  Sottolinea, in particolare, che in tali casi, nelle more dello svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento a un nuovo concessionario, per il tempo strettamente necessario alla sua individuazione, viene previsto che ANAS S.p.a. possa da un lato, assumere la gestione delle strade/autostrade in questione, dall'altro svolgere le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria e quelle di investimento finalizzate alla loro riqualificazione o adeguamento.
  In proposito segnala come tale disposizione deroghi a quanto previsto dall'articolo 176 del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), il quale, al comma 5-bis, prevede che in tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio «diversi dalla risoluzione per inadempimento del concessionario», il concessionario abbia il diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell'opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino all'effettivo pagamento delle somme previste dalla legge (valore delle opere realizzate al netto degli ammortamenti, penali o altri costi connessi alla risoluzione e indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno) per il tramite del nuovo soggetto subentrante, fatti salvi gli «eventuali investimenti improcrastinabili individuati dal concedente unitamente alle modalità di finanziamento dei correlati costi».
  Ricorda, invece, che nei casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause «imputabili al concessionario», i commi da 8 a 10 del citato articolo 176 del Codice dei contratti pubblici consentono agli enti finanziatori di indicare un operatore economico che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata; in tale evenienza, l'operatore economico subentrante deve assicurare la ripresa dell'esecuzione della concessione e l'esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito entro il termine indicato dalla stazione appaltante e il subentro dell'operatore ha effetto dal momento in cui la stazione appaltante vi presta il consenso.
  Con riferimento all'attribuzione di compiti ad ANAS, fa presente che la norma in esame precisa che essa avviene in attuazione dell'articolo 36, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), ai sensi del quale ANAS provvede, tra l'altro, a «costruire e gestire le strade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio, e le autostrade statali, incassandone tutte le entrate relative al loro utilizzo, nonché alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria» e a «realizzare il progressivo miglioramento ed adeguamento della rete delle strade e delle autostrade statali e della relativa segnaletica».
  Il secondo periodo dell'articolo 35 del testo all'esame fa salve le eventuali disposizioni convenzionali che escludano il riconoscimento di indennizzi in caso di estinzione anticipata del rapporto concessorio, nonché la possibilità per ANAS, ai fini dello svolgimento delle citate attività, di acquistare gli eventuali progetti elaborati dal concessionario previo pagamento di un corrispettivo, demandando ad un apposito decreto la disciplina dell'oggetto e Pag. 145delle modalità di svolgimento della gestione provvisoria assegnata ad ANAS S.p.a.
  Per ciò che concerne, in particolare, il caso di estinzione della concessione per «inadempimento del concessionario», rileva che l'articolo in esame prevede che spetti al concessionario quanto previsto ai sensi dell'articolo 176, comma 4, lettera a), del Codice dei contratti pubblici – che disciplina la risoluzione della concessione per inadempimento della amministrazione aggiudicatrice o la revoca della stessa concessione per motivi di pubblico interesse – ossia soltanto il «valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario». Osserva, infatti, che la norma, nel richiamare esclusivamente la lettera a) del citato comma 4, esclude in tali casi la possibilità di riconoscere al concessionario le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione, nonché un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno, che ai sensi del citato comma 4, lettera c), risulterebbe pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero, nel caso in cui l'opera abbia superato la fase di collaudo, del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione.
  Sottolinea, inoltre, che la norma in esame precisa che tale disciplina si applica anche in sostituzione di eventuali clausole convenzionali, sostanziali e procedurali difformi, anche se approvate per legge, che sono da intendersi come nulle ai sensi dell'articolo 1419, secondo comma, del codice civile, senza che possa operare, per effetto della disposizione, alcuna risoluzione di diritto.
  Con riferimento a tale ultima previsione, secondo cui le clausole convenzionali difformi sono nulle «senza che possa operare, per effetto della presente disposizione, alcuna risoluzione di diritto», fa presente che essa sembra finalizzata a impedire l'applicazione di clausole, quali quella contenuta nell'articolo 9-bis, comma 4, della Convenzione unica con Autostrade per l'Italia s.p.a. (ASPI), stipulata il 12 ottobre 2007 e approvata per legge in virtù del disposto dell'articolo 8-duodecies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito con legge 6 giugno 2008, n. 101, volte a disporre che la convenzione si intende risolta di diritto in presenza di atti o fatti, ivi inclusi «mutamenti sostanziali del quadro legislativo o regolatorio», che prevedano la inserzione automatica di nuove norme nella convenzione ovvero un obbligo di rinegoziazione alle condizione previste nell'atto e/o fatto e/o provvedimento legislativo o regolatorio, a meno che il Concessionario non comunichi al Concedente, entro un termine prestabilito, la volontà di accettare l'inserzione automatica di norme ovvero di procedere alla rinegoziazione.
  A tale proposito rammenta, peraltro, che nel parere del Gruppo di lavoro di giuristi istituito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con decreto ministeriale n. 119 del 29 marzo 2019 si afferma la tesi della nullità dell'articolo 9-bis della Convenzione unica con ASPI.
  Sottolinea, infine, che l'articolo 35 del provvedimento all'esame dispone che l'efficacia del provvedimento di revoca, decadenza o risoluzione della concessione autostradale non sia sottoposta alla condizione del pagamento da parte dell'amministrazione concedente delle citate somme di cui all'articolo 176, comma 4, lettera a), del Codice dei contratti pubblici (ossia il valore delle opere e oneri accessori al netto degli ammortamenti), anche in tal caso in deroga a quanto a quanto previsto dal comma 6 del medesimo articolo 176, in base al quale «l'efficacia della revoca della concessione è sottoposta alla condizione del pagamento da parte dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore delle somme previste al comma 4».
  Con riferimento alle questioni in oggetto, rileva, per quanto di competenza della Commissione, come anzitutto non sembrino sussistere profili problematici in Pag. 146relazione all'eventuale affidamento ad ANAS della gestione e manutenzione di strade o autostrade oggetto di concessioni sottoposte a revoca, decadenza o risoluzione, atteso che tale affidamento opera, per espressa previsione normativa, in via temporanea, ossia «nelle more dello svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento a nuovo concessionario» e «per il tempo strettamente necessario alla sua individuazione».
  Osserva che non sembrano dunque, in tal caso, rilevare le pronunce giurisprudenziali in tema di obbligo di procedure ad evidenza pubblica a tutela in primis della libera concorrenza, quali, tra le più recenti, la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 18 settembre 2019, che nella causa C-526/17 ha accolto il ricorso della Commissione europea dichiarando illegittima la proroga, senza previa pubblicazione di un bando per la nuova gara, di una concessione autostradale (la tratta A12, Cecina – Livorno), in quanto in conflitto con agli obblighi di cui agli articoli 2 e 58 della direttiva 2004/18/UE del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
  Con riferimento alle restanti e sopra illustrate norme speciali introdotte dal provvedimento in deroga al regime previsto dal citato articolo 176 del Codice dei contratti pubblici, segnala anzitutto che, secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, taluni investitori internazionali di Atlantia, la società quotata che controlla ASPI, hanno inviato alla Commissione europea una missiva in cui si dolgono delle norme in oggetto, lamentando che a loro avviso esse scoraggerebbero gli investimenti e restringerebbero senza giustificazione la libera circolazione dei capitali, risultando in tal senso analoghe a quelle emanate dal Governo italiano nel 2006, che imposero per via legislativa la rinegoziazione dei contratti di concessione autostradali allora vigenti, conducendo in seguito all'introduzione di una Convenzione unica; ricorda che queste disposizioni furono oggetto dell'avvio di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2419/2006), in virtù dell'asserita violazione del principio di libera circolazione dei capitali e del diritto di stabilimento (di cui agli articoli 56 e 43 del Trattato CE), a detrimento dei potenziali investitori dell'Unione europea. Tale procedura di infrazione, come è noto, anche a seguito delle modifiche normative medio tempore intercorse, si concluse nel 2008 senza alcuna condanna dell'Italia.
  Oltre a tali notizie apprese dalla stampa, fa altresì presente che una denuncia per violazione del diritto comunitario è stata presentata alla Commissione europea dalla Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (AISCAT) con riferimento alle misure adottate dal Governo italiano dopo il tragico crollo del ponte di Genova nell'agosto 2018. Rammenta che tale documento censura, tra l'altro, anche le citate disposizioni relative alla risoluzione anticipata dei contratti di concessione in essere e la disciplina relativa all'indennità dovuta al concessionario, rilevando come esse configurino una modifica unilaterale delle clausole essenziali dei contratti di concessione in vigore che alterando la piattaforma giuridica ed economica su cui gli investitori industriali e finanziari hanno deciso di operare nel settore autostradale italiano si porrebbe in contrasto con il diritto europeo. A supporto di tale assunto l'AISCAT evidenzia, tra i diversi profili di contrasto richiamati, come i contratti di concessione, compreso quello stipulato da ASPI, siano stati approvati per legge per evitare futuri interventi unilaterali sui contratti esistenti e, quindi, per garantire la certezza del diritto ai concessionari autostradali e ai loro investitori; ne consegue che, coerentemente con lo Stato di diritto, lo Stato avrebbe dovuto applicare il contratto di concessione approvato per legge nel 2008 e non avrebbe dovuto modificarlo unilateralmente come nella sostanza fa invece l'articolo 35 del provvedimento all'esame, che pur avendo valenza generale modifica unilateralmente e in peggio il regime relativo alla risoluzione dei contratti di concessione in corso. Anche Pag. 147in tal caso, la denuncia rileva come la fattispecie in oggetto si configuri come una reiterazione (aggravata) di quella già contestata dalla Commissione europea nell'ambito della predetta procedura d'infrazione 2006/2419 e che la stessa Commissione aveva accettato di chiudere dopo che le autorità italiane avevano formalmente riconosciuto il principio della modifica non unilaterale dei contratti in vigore (pacta sunt servanda) e modificato la legge al fine di garantire la piena certezza del diritto per il futuro.
  Per approfondire le questioni in oggetto, che com’è evidente sono assai complesse sul piano tecnico-giuridico e di rilevante impatto economico-finanziario, segnala come nel corso dell'audizione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti svoltasi sul provvedimento presso le Commissioni di merito, siano emersi elementi che consentono di meglio comprendere la ratio complessiva dell'intervento normativo in esame e, di riflesso, valutarne la compatibilità con l'ordinamento comunitario.
  Fa riferimento, in particolare, ai passaggi del documento depositato in occasione della predetta audizione in cui è ben spiegato come le Convenzioni uniche del 2007, approvate per legge, contengano «pattuizioni contrattuali di particolare favore per le società concessionarie e del tutto distoniche rispetto al quadro ordinamentale di riferimento», atteso che, in virtù dell'approvazione per legge delle suddette Convenzioni, «è stato previsto, in deroga ai principi fondamentali dell'ordinamento, che al concessionario inadempiente dovesse riconoscersi un importo a titolo di indennizzo, rapportato comunque ai ricavi attesi per il periodo residuo di concessione, subordinando l'efficacia dei provvedimenti di recesso, revoca o risoluzione al previo pagamento di detto importo».
  In questa prospettiva, osserva che le iniziative e le attività del Governo traggono origine proprio dall'esigenza di rimuovere un «ingiustificato squilibrio delle attuali convenzioni a favore dell'operatore privato», attuando una profonda revisione della disciplina vigente volta ad affermare la «prevalenza dell'interesse pubblico relativo alla piena sicurezza e funzionalità della rete autostradale», oggetto anche dell'avvio di una procedura di infrazione con riferimento ai requisiti di sicurezza delle gallerie (vedi infra).
  In tale contesto s'innestano le norme di cui all'articolo 35 in esame, che laddove prevedono, nelle more dello svolgimento delle procedure di gara, l'assunzione da parte di ANAS della gestione delle infrastrutture stradali e autostradali, ritiene siano volte ad escludere «che il concessionario scaduto, in ragione del perdurante esercizio di fatto, possa porre in essere azioni strumentali, anche di natura giudiziale, con i quali rinviare indefinitamente la gestione conseguendone i relativi benefici economici». Nella stessa logica si collocano le disposizioni volte a «superare il vincolo di subordinare il trasferimento dell'infrastruttura al contestuale pagamento dell'eventuale indennizzo da subentro».
  Per quanto concerne, più specificamente, la nuova disciplina prevista in caso di estinzione della concessione per «inadempimento del concessionario», fa presente che la medesima relazione del Ministro osserva come si tratti di un intervento finalizzato in primo luogo a «colmare una lacuna del Codice dei contratti pubblici, che disciplina soltanto le conseguenze patrimoniali derivanti da annullamento d'ufficio della concessione per vizio non imputabile al concessionario, da risoluzione per inadempimento della amministrazione aggiudicatrice ovvero di revoca della concessione per motivi di pubblico interesse», mancando, invece, una regolamentazione specifica con riguardo alle ipotesi di decadenza, revoca o risoluzione derivanti da grave inadempimento del concessionario.
  In tale ultima ipotesi – per la quale, ricorda, si prevede che al concessionario possa essere riconosciuto soltanto il valore delle opere di cui all'articolo 176, comma 4, lettera a) del Codice – segnala che il Ministro ha evidenziato altresì come l'individuazione dell'importo massimo astrattamente Pag. 148riconoscibile al concessionario in caso di anticipata cessazione della concessione per fatto a lui imputabile, «non debba essere in alcun modo intesa come certezza per lo stesso di ottenere l'importo in parola», posto che «secondo le regole generali in materia di inadempimento contrattuale, il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno»; ne discende, pertanto, che l'indennizzo previsto dall'articolo 35 in esame «potrà essere assorbito, in tutto o in parte, da quanto dovuto in concreto dal concessionario al concedente a titolo di risarcimento del danno».
  Ricorda, infine, che il Ministro ha evidenziato come anche la nuova previsione di sostituzione automatica di tutte le clausole convenzionali, approvate per legge, di contenuto difforme alla nuova disciplina, sia nella sostanza volta ad assicurare l'uniformità delle diverse concessioni e ad «eliminare attraverso una disposizione di legge una situazione di privilegio attribuita, sempre per legge, ad alcuni concessionari».
  Ricorda quindi che il Ministro ha conseguentemente rilevato, inoltre, come non sussista alcuna «violazione del principio pacta sunt servanda, né una modifica in senso retroattivo di una regolamentazione di tipo pattizio», ciò anche «in considerazione del fatto che la disposizione è destinata ad esplicare i propri effetti con esclusivo riguardo ai provvedimenti di decadenza, di revoca o di risoluzione delle concessioni che verranno adottati in data successiva al 31 dicembre 2019 (data di entrata in vigore della disposizione). In altri termini, si è inteso ristabilire un giusto equilibrio tra l'interesse pubblico e quello privato, fortemente sbilanciato nell'attuale Convenzione unica a favore del concessionario, tenendo conto del fatto che l'efficacia della stessa è stata disposta per legge».
  Da ultimo, come precedentemente accennato, segnala, ai fini di una esaustiva valutazione della questione in oggetto, che la Commissione europea ha recentemente avviato, con lettera di costituzione in mora del 10 ottobre 2019, la procedura di infrazione n. 2279/2019 nei confronti dell'Italia e di altri Stati membri (Belgio, Bulgaria, Croazia e Spagna) per il mancato rispetto della direttiva 2004/54/CE, che stabilisce i requisiti minimi di sicurezza relativi all'infrastruttura e all'esercizio delle gallerie della rete stradale transeuropea di lunghezza superiore a 500 metri. Gli Stati membri interessati dalla procedura non avrebbero attuato la totalità delle misure infrastrutturali prescritte, volte a garantire i più elevati livelli di sicurezza in alcune gallerie rientranti in tale ambito di applicazione. Gli Stati membri interessati dispongono di 2 mesi per comunicare alla Commissione europea le misure adottate per porre rimedio alla situazione, trascorsi i quali la Commissione europea potrà decidere di adottare pareri motivati al riguardo. Ricorda, al proposito, che alla direttiva 2004/54/CE era stata data attuazione, nel nostro ordinamento, con il decreto legislativo 5 ottobre 2006, n. 264.
  Conclude rimettendosi al dibattito in Commissione all'esito del quale si riserva di presentare una proposta di parere.

  Marco MAGGIONI (LEGA) pur rilevando che la relazione non affronta alcune questioni che pure sarebbero degne di approfondimento, dà tuttavia atto che il relatore ha svolto un ampio esame dell'articolo 35, riguardante l'importante problematica delle concessioni autostradali. Al riguardo, osserva come, anche alla luce dei recenti casi di crollo di parti di gallerie e viadotti delle infrastrutture autostradali e dell'evidente deterioramento della relativa rete, non sia inutile, in via generale, valutare l'opportunità di intervenire sull'attuale assetto delle concessioni autostradali italiane.
  Ritiene, tuttavia, che in ogni caso, anche qualora si intenda procedere a revoche di concessioni, occorre affrontare la questione tenendo adeguatamente conto di tutti i profili giuridici del caso, ciò onde evitare di adottare soluzioni che possano in seguito determinare cospicui danni al pubblico erario derivanti da risarcimenti dovuti alle imprese private che risultino eventualmente danneggiate. Invita in tal senso il relatore a svolgere Pag. 149gli opportuni approfondimenti, ricordando in proposito come proprio in tema di concessioni autostradali fu avviata, nel 2006, una procedura di infrazione comunitaria avverso le norme allora adottate dal Governo italiano; tale procedura, la n. 2419/2006, censurava profili analoghi a quelli della fattispecie oggi in esame, contestando, oltre che la violazione del principio di libera circolazione dei capitali e del diritto di stabilimento, anche il mancato rispetto del principio della modifica non unilaterale dei contratti in vigore (pacta sunt servanda), che è un principio fondamentale dell'ordinamento europeo. Ribadisce quindi l'invito al relatore ad approfondire tali aspetti, nonché le proprie preoccupazioni in ordine alle possibili ricadute negative per il bilancio dello Stato qualora la questione non sia adeguatamente affrontata. Auspica, pertanto, che la Commissione, attraverso l'espressione del suo parere, possa assumere una posizione che contribuisca a chiarire i profili giuridici della vicenda ed evitare possibili contenziosi.

  Sergio BATTELLI, presidente, nessun altro chiedendo d'intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.05.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 28 gennaio 2020. — Presidenza del presidente Sergio BATTELLI.

  La seduta comincia alle 14.05.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 15 novembre 2017, n. 183, di attuazione della direttiva (UE) 2015/2193 relativa alla limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni nell'atmosfera.
Atto n. 138.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto.

  Sergio BATTELLI, presidente, avverte che il termine per l'espressione del parere è scaduto il 27 gennaio. Avverte, altresì, che, non essendo l'atto corredato del prescritto parere della Conferenza unificata, la Commissione potrà avviarne l'esame ma concluderlo soltanto dopo che sarà trasmesso alle Camere il parere della Conferenza.
  Segnala, inoltre, che l'VIII Commissione Ambiente, competente per il merito sullo schema di decreto legislativo, ha deciso di svolgere in proposito un ciclo di audizioni, attesa la complessità della materia trattata.

  Francesco BERTI (M5S), relatore, illustrando, ai fini dell'espressione del parere da rendere al Governo, lo schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative alla disciplina introdotta con il decreto legislativo 15 novembre 2017, n. 183, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva (UE) 2015/2193, in attuazione della delega conferita dalla legge di delegazione europea del 2015 rammenta, in particolare, che la citata direttiva ha dettato la disciplina per il controllo delle emissioni di biossido di zolfo (SO2), di ossidi di azoto (NOx) e di polveri, al fine di ridurle e di limitare i rischi potenziali per la salute umana e per l'ambiente, nonché quella per il monitoraggio delle emissioni di monossido di carbonio (CO). La direttiva si applica agli impianti di combustione medi (con potenza termica nominale pari o superiore a 1 megawatt – MW, equivalente a 1 milione di watt – e inferiore a 50 MW), indipendentemente dal tipo di combustibile utilizzato, e per questi impianti stabilisce, in via generale, l'obbligo di autorizzazione o registrazione. Essa definisce, tra l'altro, le procedure per il monitoraggio e impone agli Stati membri l'obbligo di designare un'autorità competente per l'adempimento degli obblighi derivanti dalle disposizioni previste.
  Ricorda che lo schema di decreto in esame si è reso necessario per superare Pag. 150alcune criticità segnalate dai soggetti interessati nel primo anno di applicazione del disposto normativo, nonché per correggere alcuni refusi contenuti nella normativa vigente. Le modifiche proposte sono volte a semplificare le procedure autorizzative, i sistemi di controllo e gli obblighi relativi alla gestione degli stabilimenti, aumentandone il grado di certezza normativa, nonché a razionalizzare il sistema delle sanzioni.
  Segnala che la relazione tecnico-normativa evidenzia come lo schema si fondi su un'istruttoria svolta nell'ambito del coordinamento tra autorità statali, regionali e locali competenti in tema di emissioni in atmosfera, istituito dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 155 del 2010, nel cui ambito è stata assicurata la partecipazione dell'Istituto superiore di sanità.
  Rinviando alla documentazione predisposta dagli uffici per una descrizione puntuale e dettagliata delle disposizioni, di carattere molto tecnico, introdotte dal provvedimento, segnala talune disposizioni che possono assumere rilevanza in relazione ai profili di competenza della Commissione, avvertendo, peraltro, che l'articolato contenuto del provvedimento ha indotto la stessa VIII Commissione Ambiente, che ha competenza primaria su questo atto del Governo, a prevedere un supplemento di istruttoria attraverso lo svolgimento di un breve ciclo di audizioni.
  Venendo quindi al testo dello schema di decreto, che si compone di quattro articoli e un allegato, ricorda che l'articolo 1, comma 1, lettere da a) a m), apporta una serie di modifiche al Codice dell'ambiente, in particolare alla Parte Quinta, recante le norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera. In tale ambito segnala, in primo luogo, la lettera d), che novella l'articolo 271 del Codice dell'ambiente, concernente valori limite di emissione e prescrizioni per gli impianti e le attività, introducendo semplificazioni e chiarimenti sulle modalità di definizione, controllo e monitoraggio dei suddetti valori limite di emissione negli stabilimenti. Nello specifico, il nuovo comma 7-bis del predetto articolo 271 prevede una norma di principio in base alla quale le emissioni delle sostanze più pericolose per la salute debbono essere limitate il più possibile dal punto di vista tecnico e dell'esercizio e che tali sostanze, assieme a quelle classificate come «preoccupanti» dal regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH), debbono essere sostituite non appena tecnicamente ed economicamente possibile dai cicli produttivi da cui originano. Il medesimo comma prevede che le autorità competenti verifichino il rispetto della suddetta norma di principio in sede di istruttoria autorizzativa. Nella relazione che accompagna lo schema in esame, si evidenzia che non viene inserito un termine predefinito per la sostituzione delle sostanze pericolose dai cicli produttivi – che possono tra l'altro provocare mutazioni genetiche ed essere tossiche per la riproduzione –, poiché si intende lasciare alle autorità competenti la facoltà di declinare caso per caso la tempistica di tale adempimento alla luce di un esame delle specifiche situazioni dei singoli impianti e delle relative possibilità sul piano tecnico e dell'esercizio.
  Segnala poi la lettera f), che interviene in materia di medi impianti di combustione prevedendo, tra l'altro, una novella al comma 10 dell'articolo 273-bis del Codice dell'ambiente che aggiunge all'elenco attualmente previsto di fattispecie che non costituiscono medi impianti di combustione anche la fattispecie degli impianti di combustione aventi potenza termica nominale «pari o superiore a 1 MW» per effetto delle norme di aggregazione degli impianti previste dall'articolo 270 o 272, comma 1, del Codice medesimo, salvo il caso in cui sia previsto l'effettivo convogliamento in punti di emissione comuni; tale novella va letta assieme ad un nuovo comma 10-bis dell'articolo 273-bis, inserito dalla medesima lettera f), in base al quale agli impianti suddetti che non sono assimilati agli impianti medi di combustione si applicano i valori limite di emissione previsti per gli impianti aventi potenza termica nominale inferiore a 1 MW, Pag. 151nonché le norme sui controlli previste per impianti ed attività in deroga non sottoposti ad autorizzazione.
  Al riguardo, segnala che in base a quanto riportato nell'allegata tabella di concordanza allo schema in esame, l'intervento in questione sarebbe finalizzato a restituire migliore aderenza a quanto disposto dalla direttiva (UE) 2015/2193 sui medi impianti di combustione. Ricorda, sul punto, che l'articolo 4 della citata direttiva stabilisce che le norme di aggregazione per i medi impianti di combustione si applicano esclusivamente a due o più impianti medi di combustione. La relazione AIR allegata allo schema precisa che le modifiche introdotte in materia di norme di aggregazione all'articolo 273-bis del Codice dell'ambiente non possono essere qualificate come eliminazione di Gold plating in quanto, in conformità a quanto previsto dalla direttiva 2015/2193, si propongono di chiarire un effetto già insito nel decreto legislativo n. 183 del 2017, ossia che nel caso di presenza di più impianti di combustione di potenza termica inferiore al megawatt, la loro aggregazione non costituisce medio impianto di combustione. Segnala altresì che l'articolo 4 della citata direttiva appare fare riferimento ad una valutazione da parte dell'autorità competente, tenuto conto delle condizioni tecniche ed economiche, circa la possibilità che gli scarichi gassosi di tali impianti di combustione, a giudizio della suddetta autorità competente, possano essere emessi attraverso un cammino comune, ai fini della valenza delle norme sulla aggregazione. Tale valutazione in concreto non sembra essere prevista nella formulazione proposta dalle citate disposizioni della lettera f) dell'articolo 1, comma 1, dello schema in esame, di cui andrebbe pertanto valutata la coerenza con il quadro europeo.
  Porta, quindi, all'attenzione della Commissione, l'articolo 1, comma 1, lettera m), che sostituisce il comma 1 dell'articolo 294 del Codice, in materia di prescrizione per il rendimento di combustione. Il nuovo comma 1 dell'articolo 294, rispetto alla norma vigente, prevede che gli impianti devono essere dotati di un sistema di controllo della combustione – il quale consenta la regolazione automatica del rapporto aria-combustibile – soltanto ove ciò sia «tecnicamente possibile». Questo – secondo la relazione illustrativa – perché solo le istruttorie autorizzative possono stabilire caso per caso, alla luce di un esame degli aspetti impiantistici e tecnologici, la possibilità tecnica di tale adempimento. Si tratta di un aspetto, quello del controllo della combustione – afferma sempre la Relazione –, «che non è preso in esame dalla direttiva comunitaria e che rientra nel complesso delle prescrizioni operative previste da molti anni dalla normativa nazionale per tutti gli impianti di combustione». Fa, inoltre, presente che il nuovo comma 1 dell'articolo 294, prevede che non si applichino più le norme di aggregazione dell'articolo 272, comma 1, del Codice, in base alle quali, attualmente, al fine di stabilire le soglie di produzione e di consumo e le potenze termiche nominali si deve considerare l'insieme degli impianti e delle attività che, nello stabilimento, ricadono in ciascuna categoria. La relazione illustrativa afferma che tale modifica risulterebbe finalizzata a precisare che l'obbligo di dotare gli impianti produttivi di un sistema di controllo della combustione è derogato per gli impianti esclusi dall'autorizzazione, le cui emissioni sono considerate scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico, e che, nell'individuazione di tali impianti, non si applicano le norme di aggregazione che imporrebbero di considerare come unità più impianti della stessa tipologia presenti nello stesso stabilimento.
  Per quanto riguarda l'articolo 1 rileva, infine, che il comma 2, modifica, in taluni punti gli Allegati IV (Impianti e attività in deroga), VI (Criteri per i controlli e per il monitoraggio delle emissioni) e IX (Impianti termici civili) alla Parte Quinta del Codice dell'ambiente. Segnala al riguardo l'Allegato IV, che aggiunge tra gli impianti le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico e perciò possono essere presenti e avere luogo negli stabilimenti senza bisogno di Pag. 152autorizzazione, le turbine a gas e i motori a gas usati su piattaforme off-shore, di potenza termica nominale inferiore a 3 MW se alimentati a metano o a GPL, inferiore o uguale a 3 MW se alimentati a biogas.
  Con riferimento all'articolo 2, si limita a ricordare che esso stabilisce che l'Allegato I, Parte III, alla Parte Quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di emissione per specifiche tipologie di impianti, è modificato sulla base dell'Allegato I dello schema in esame. Segnala che la Relazione illustrativa di accompagnamento rileva che le suddette modifiche sono introdotte con norma primaria in quanto ciò è espressamente previsto dall'articolo 17, comma 1, lettera a) e lettera c) della legge di delegazione europea 2015, mentre successivi aggiornamenti saranno attuati mediante procedimento amministrativo.
  Ricorda, inoltre, che l'articolo 3 reca le norme transitorie e finali. Al riguardo, segnala in particolare il comma 1, il quale prevede che in caso di impianti in esercizio al 19 dicembre 2017, l'adeguamento alle disposizioni dell'articolo 294 del Codice dell'ambiente in materia di prescrizione per il rendimento di combustione, come modificato dalla lettera m) dello schema di decreto in esame, sia effettuato sulla base del primo rinnovo dell'autorizzazione dello stabilimento o, in caso di impianti termici civili, entro il 1o gennaio 2025. Secondo relazione allegata, il controllo della combustione, come accennato, è un aspetto che non è preso in esame dalla direttiva e che rientra nel complesso delle prescrizioni operative previste da molti anni dalla normativa nazionale per tutti gli impianti di combustione. Segnala, peraltro, che nel corso dell'esame in sede consultiva presso la V Commissione Bilancio, il relatore sul provvedimento ha evidenziato l'esigenza di assicurare che la proroga dell'adeguamento alle nuove prescrizioni sul rendimento di combustione per gli impianti in esercizio al 19 dicembre 2017, sia compatibile con la normativa comunitaria e non determini possibili contenziosi con oneri a carico della finanza pubblica.
  Fa, infine, presente che l'articolo 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, mentre l'Allegato I modifica l'Allegato I, Parte III, alla Parte Quinta del Codice dell'ambiente con riguardo alla Parte III inerente ai valori di emissione per specifiche tipologie di impianti.
  Da ultimo rammenta che, relativamente alla qualità dell'aria, l'Italia risulta deferita alla Corte di giustizia dell'Unione europea in due cause (C-644/18 e C-573/19) riferite, rispettivamente, alle procedure d'infrazione n. 2147 del 2014 (cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente – Superamento dei valori limite di PM10 in Italia) e n. 2043 del 2015 (applicazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria ambiente ed in particolare obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto (NO2).
  Conclude ricordando che la richiesta di parere parlamentare avanzata dal Governo non è corredata del previsto parere della Conferenza unificata e che pertanto il parere della Commissione potrà essere reso soltanto dopo la trasmissione di quello della predetta Conferenza unificata.

  Sergio BATTELLI, presidente, nessun altro chiedendo d'intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.15.