CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 17 luglio 2018
37.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (X e XIII)
COMUNICATO
Pag. 6

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

  Martedì 17 luglio 2018. — Presidenza del vicepresidente della X Commissione, Luca CARABETTA.

  La seduta comincia alle 13.50.

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare.
COM(2018) 173.

(Esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento, e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento in oggetto.

  Luca CARABETTA, presidente, ricorda che le Commissioni X e XIII avviano oggi l'esame della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare (COM(2018) 173).
  Saluta il Presidente, On. Gallinella, ed i colleghi della Commissione Agricoltura e ricorda che, nell'ambito dell'esame della Proposta in oggetto, giovedì mattina alle ore 8.30, presso l'Aula della IX Commissione Trasporti, avrà luogo l'audizione del primo vicepresidente della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo, onorevole Paolo De Castro.
  Invita i relatori Dara e Gagnarli a illustrare le loro relazioni.

  Andrea DARA (Lega), relatore per la X Commissione, ricorda che la proposta di direttiva (COM(2018)173) è stata, presentata il 12 aprile 2018 dalla Commissione europea ed è volta a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare. Avverte che come relatore per la X Commissione si soffermerà sugli aspetti generali della proposta, mentre la relatrice per la XIII Commissione, la deputata Gagnarli, ne illustrerà nel dettaglio i contenuti.
  In linea generale le principali misure proposte prevedono: l'introduzione di un livello minimo di tutela comune a tutta l'Unione europea comprendente un elenco di pratiche commerciali sleali vietate e un elenco di pratiche che saranno autorizzate solo se concordate in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura; obbligo per gli Stati membri di designare un'autorità pubblica Pag. 7di contrasto, incaricata di far rispettare i divieti di pratiche commerciali sleali a livello nazionale, che possa svolgere indagini, sia su richiesta che di propria iniziativa, comminare sanzioni e pubblicare le proprie decisioni nonché i nomi dei trasgressori; la cooperazione e la reciproca assistenza nelle indagini che presentano una dimensione transfrontaliera tra le autorità nazionali di contrasto; la facoltà per gli Stati membri di mantenere o adottare norme più rigorose rispetto a quelle comuni previste dalla proposta in oggetto, a condizione che siano compatibili con quelle relative al mercato interno. La proposta intende tutelare tutti i soggetti che fanno parte della filiera alimentare, purché di piccole e medie dimensioni (dai produttori agricoli, comprese le relative organizzazioni di produttori, come le cooperative, alle altre piccole e medie imprese fornitrici della filiera, come venditori al dettaglio, trasformatori di prodotti alimentari, grossisti) e limitare il comportamento degli acquirenti che non sono piccole e medie imprese. Per quanto riguarda i prodotti, la proposta concerne i «prodotti alimentari», ossia i prodotti agricoli ad uso alimentare elencati nell'allegato I del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), inclusi quelli della pesca e dell'acquacoltura, nonché i prodotti agricoli trasformati ad uso alimentare (che non rientrano nel citato allegato I) e commercializzati lungo tutta la filiera alimentare. La proposta tiene anche conto del fatto che le pratiche commerciali sleali non sono sempre stabilite in un contratto scritto e possono verificarsi, in linea di principio, in qualsiasi fase dell'operazione commerciale tra l'acquirente e il fornitore della filiera alimentare, anche a posteriori dopo la conclusione di un contratto. Infine, la proposta di direttiva integra, senza sostituirlo, il codice di condotta volontario del settore privato Supply Chain Initiative (SCI – Iniziativa della catena di approvvigionamento) che ha l'obiettivo di migliorare l'equità nelle relazioni commerciali lungo la filiera.
  Con riguardo alla filiera alimentare, ricorda che in questa operano diversi soggetti: agricoltori, trasformatori, commercianti, rivenditori all'ingrosso e al dettaglio e consumatori. In sintesi, la filiera alimentare si suddivide in due componenti: produttiva (agricoltura e industria alimentare e di trasformazione di materie prime agricole) e distributiva e commerciale (commercio all'ingrosso e al dettaglio e settore della ristorazione). Ricorda inoltre che la maggior parte delle aziende della filiera alimentare è di piccole o medie dimensioni con una concentrazione di PMI molto più alta nei settori della trasformazione alimentare e del commercio al dettaglio rispetto al settore agricolo.
  In relazione al contesto normativo nel quale si inserisce la proposta di direttiva in esame, va per prima cosa evidenziato che non esiste una specifica legislazione dell'Unione europea volta a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese. Esistono le norme sulla concorrenza dell'Unione europea che però si applicano nel caso di abusi di posizione dominante e di pratiche anticoncorrenziali, ma la maggior parte delle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese non ricade nell'ambito di applicazione di tali norme poiché la maggioranza degli operatori si trova in una posizione forte ma non dominante. Inoltre, la direttiva 2011/7/UE sui ritardi di pagamento, pur stabilendo che le imprese devono pagare le fatture entro un massimo di sessanta giorni, se non diversamente concordato nel contratto, a condizione, tuttavia, che tale proroga non sia gravemente iniqua per il creditore, non impone un termine massimo di pagamento vincolante nelle operazioni commerciali tra imprese.
  A livello nazionale la situazione si presenta molto variegata: la maggior parte degli Stati membri ha affrontato il problema delle pratiche commerciali sleali adottando approcci diversi, per lo più di tipo normativo, mentre alcuni hanno fatto ricorso a iniziative di autoregolamentazione tra gli operatori di mercato. Secondo la Commissione europea, la diversità di Pag. 8approcci normativi adottati dagli Stati membri può creare condizioni di concorrenza differenti per gli operatori e inoltre il coordinamento tra le autorità di contrasto degli Stati membri è molto scarso.
  Per quanto riguarda specificamente l'Italia, la Commissione europea ricorda, in particolare, alcune disposizioni legislative. Prima di tutto l'articolo 62 (Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari) del decreto-legge n. 1 del 2012, e successive modificazioni, che fissa gli elementi essenziali del contratto avente ad oggetto la cessione di prodotti agricoli (forma scritta, durata, quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento) nonché i principi regolatori dei medesimi contratti (trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni). La norma disciplina inoltre le relazioni commerciali tra gli operatori economici rispetto a questa tipologia di contratti vietando in particolare una serie di condotte. Infine si fissa il termine di pagamento del corrispettivo entro trenta giorni per le merci deteriorabili e entro sessanta per le altre. Rileva poi l'articolo 4 del regolamento del 19 ottobre 2012, n. 199, di attuazione del citato articolo 62, emanato con decreto del Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali (di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico). Tale disposizione chiarisce come rientrino nella definizione di «condotta commerciale sleale» anche il mancato rispetto dei principi di buone prassi e le pratiche sleali identificate dalla Commissione europea e dai rappresentanti della filiera agro-alimentare a livello comunitario nell'ambito del Forum di Alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare (High level Forum for a better functioning of the food supply chain), approvate in data 29 novembre 2011. Si chiarisce inoltre che ai sensi dell'articolo 62 è vietato qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. Da ultimo si dispone che configura, altresì, una pratica commerciale sleale la previsione nel contratto di una clausola che obbligatoriamente imponga al venditore, successivamente alla consegna dei prodotti, un termine minimo prima di poter emettere la fattura. La Commissione indica infine l'articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 51 del 2015, che detta norme specifiche per il rispetto di corrette relazioni commerciali in materia di cessione di latte crudo prevedendo una durata contrattuale minima pari a dodici mesi e un criterio di calcolo per il riferimento ai costi medi di produzione, richiamati anche dal citato articolo 4 del decreto ministeriale n. 199 del 2012, quale parametro per la valutazione della corretta determinazione del prezzo.
  La proposta di direttiva è stata definita anche mediante il processo di consultazione delle parti interessate che si è svolto tra il 17 luglio e il 6 dicembre 2017 mediante consultazioni sulla valutazione d'impatto iniziale, una consultazione pubblica, consultazioni mirate con i portatori di interessi della filiera alimentare, una consultazione con gli Stati membri, un seminario accademico sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare, riunioni ad hoc con i portatori di interessi della filiera alimentare e scambi con i gruppi di dialogo con la società civile. L'obiettivo principale è stato quello di raccogliere elementi su cui basare la relazione sulla valutazione d'impatto finale.
  In particolare dalla valutazione d'impatto è emerso, tra l'altro che: per il 91 per cento dei partecipanti nella filiera alimentare esistono pratiche commerciali sleali; per il 71 per cento dei medesimi partecipanti l'Unione europea dovrebbe intervenire, mentre il 100 per cento dei rivenditori al dettaglio ritiene che l'Unione europea non debba intervenire; per il 62 per cento dei partecipanti dovrebbe esistere la possibilità di sporgere denunce anonime e per il 92 per cento dovrebbero esistere sanzioni contro chi attua le pratiche commerciali sleali.
  Dalla consultazione pubblica aperta, è emerso che: il 90 per cento dei partecipanti Pag. 9è d'accordo o parzialmente d'accordo sul fatto che alcune pratiche nella filiera alimentare possono essere considerate pratiche commerciali sleali. In linea di massima, il risultato è simile per tutte le parti interessate, ad eccezione del settore della vendita al dettaglio; la pratica sleale più citata concerne le modifiche unilaterali e retroattive ai contratti, seguita, in ordine (per citare solo le più segnalate) da: annullamenti all'ultimo minuto di ordini relativi a prodotti deperibili, termini di pagamento superiori ai trenta giorni per prodotti deperibili, termini di pagamento superiori ai trenta giorni per prodotti agroalimentari in generale, imposizione di contributi per spese promozionali o di marketing, risoluzione unilaterale di un rapporto commerciale senza alcuna giustificazione oggettiva, richiesta di pagamenti anticipati per garantire o conservare i contratti, obbligo di risarcimento per prodotti scartati o non venduti; il 95 per cento dei partecipanti ha risposto di essere d'accordo o parzialmente d'accordo circa la necessità di un intervento per affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare. In particolare, l'87 per cento ritiene che dovrebbe intervenire l'Unione europea (in combinazione con gli Stati membri o da sola), l'8 per cento esclusivamente gli Stati membri e il 4 per cento indica che l'intervento dovrebbe concretizzarsi per mezzo di iniziative volontarie; il 92 per cento dei partecipanti si è detto d'accordo o parzialmente d'accordo circa la necessità che vi siano norme minime per l'applicazione delle disposizioni sulle pratiche commerciali sleali.
  Da un questionario mirato rivolto alle imprese, (di cui la maggior parte delle risposte è pervenuta da piccole e medie imprese), è emerso che: il 54 per cento delle imprese acquirenti e l'89 per cento dei fornitori hanno dichiarato che nelle operazioni commerciali i pagamenti tardivi sono una realtà; tra il 14 e il 30 per cento delle imprese acquirenti hanno dichiarato di aver imposto altre pratiche commerciali sleali nelle operazioni commerciali; il 60 per cento dei fornitori ha affermato che i costi delle pratiche commerciali sleali rappresentano più dello 0,5 per cento del fatturato annuo della loro attività commerciale.
  Al termine del processo di consultazione, la Commissione europea ha pubblicato una valutazione d'impatto finale che accompagna la proposta di direttiva in oggetto. Sono stati valutati quattro pacchetti di opzioni. La Commissione europea ha scelto le opzioni del pacchetto 3 che prevede: l'armonizzazione parziale delle norme sulle pratiche commerciali sleali attraverso lo strumento della direttiva, l'inclusione dei prodotti agricoli e trasformati, la tutela delle piccole e medie industrie, norme minime per l'applicazione e un meccanismo di coordinamento a livello dell'Unione europea.

  Chiara GAGNARLI (M5S), relatrice per la XIII Commissione, prima di soffermarsi sui contenuti dell'articolato della proposta di direttiva in esame, richiama l'attenzione dei colleghi sul fondamento giuridico dell'atto in oggetto che, come si evince dai considerando, va rinvenuto nella PAC. Sottolinea dunque che ciò significa che, nell'intento del legislatore europeo, le regole del mercato devono essere contemperate anche con le esigenze che sono poste a fondamento della PAC medesima e devono, ad esempio, mirare anche al miglioramento del tenore di vita degli agricoltori.
  Ritiene opportuno, inoltre, soffermarsi su alcuni dati riportati dalla Commissione europea, utili ad inquadrare la filiera alimentare nell'UE.
  Secondo i dati della Commissione europea, il numero di attori nella filiera alimentare dell'UE varia notevolmente a ogni livello. Vi sono circa 11 milioni di aziende agricole che forniscono lavoro a circa 22 milioni di persone (a tempo pieno e a tempo parziale) e producono prodotti primari da destinare all'industria della trasformazione agroalimentare, costituita da circa 300 mila imprese. I trasformatori alimentari vendono, poi, i loro prodotti attraverso 2,8 milioni di imprese della distribuzione alimentare (commercio all'ingrosso Pag. 10e al dettaglio e settore della ristorazione) per una platea di circa 500 milioni di consumatori.
  Sebbene l'agricoltura impieghi la maggior parte delle aziende della filiera alimentare, la sua quota di valore aggiunto lordo nell'intera filiera è solamente di circa il 25 per cento ed è in diminuzione (nel 2016 il 4 per cento in meno rispetto al 2014). Il valore aggiunto lordo della filiera alimentare è cresciuto del 2,4 per cento all'anno dal 2008 e ammonta a poco meno del 7 per cento del valore aggiunto lordo totale dell'UE.
  Inoltre, secondo quanto riportato dalla Commissione europea, negli ultimi anni si è registrato uno spostamento del potere di contrattazione, che ha avvantaggiato principalmente il settore del commercio al dettaglio e alcune imprese transnazionali a scapito dei fornitori, in particolare dei produttori primari.
  A giudizio della Commissione europea, a causa del loro scarso potere contrattuale rispetto ai grandi operatori della filiera, gli operatori più piccoli sono, in generale, più soggetti a pratiche commerciali sleali. Ad esempio, i produttori agricoli sono particolarmente vulnerabili a tali pratiche, poiché mancano spesso di un potere contrattuale che corrisponda a quello dei loro partner a valle che acquistano i loro prodotti, in particolare perché le alternative di cui dispongono per far giungere i loro prodotti ai consumatori sono limitate.
  In base a un recente sondaggio riportato dalla Commissione europea, condotto presso i produttori agricoli e le cooperative agricole, il danno stimato causato dalle pratiche commerciali sleali ammonta a oltre 10 miliardi di euro l'anno. Inoltre, i produttori di prodotti alimentari hanno riferito che i costi legati alle pratiche commerciali sleali costituivano lo 0,5 per cento del loro fatturato.
  Con specifico riferimento alla filiera alimentare, ad integrazione di quanto illustrato dal collega, onorevole Dara, fa anche presente che norme specifiche a livello europeo sono state introdotte nell'ambito della politica agricola comune (PAC), compresa, tra l'altro, la possibilità per gli Stati membri di imporre contratti scritti obbligatori tra gli agricoltori e le imprese di trasformazione o i distributori con l'eventuale obbligo per i primi acquirenti di offrire agli agricoltori contratti aventi una durata minima. La riforma della PAC e della politica comune della pesca ha rafforzato, inoltre, la posizione nella filiera dei produttori nei confronti degli operatori a valle, in particolare sostenendo la creazione e lo sviluppo delle organizzazioni di produttori. La nuova organizzazione comune di mercato comprende anche elementi volti a ridurre gli squilibri di potere contrattuale tra gli agricoltori e gli altri operatori della filiera alimentare in alcuni settori specifici (latte, olio di oliva, carni bovine, seminativi).
  Venendo ai contenuti dell'articolato della proposta di direttiva, osserva che essa si compone di 14 articoli.
  L'articolo 1 stabilisce l'oggetto della direttiva: definire un elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate tra acquirenti e fornitori lungo la filiera alimentare e stabilire norme minime concernenti l'applicazione di tali divieti e disposizioni per il coordinamento tra le autorità di contrasto. Inoltre, stabilisce che la direttiva si applichi: a determinate pratiche commerciali sleali attuate da un fornitore che è una piccola e media impresa nel vendere prodotti alimentari ad un acquirente che non è una piccola e media impresa; ai contratti di fornitura conclusi dopo la data di applicabilità delle disposizioni di recepimento stabilite all'articolo 12.
  L'articolo 2 reca le definizioni di acquirente, fornitore, piccola e media impresa, prodotti alimentari e prodotti alimentari deperibili.
  L'articolo 3 (divieto di pratiche commerciali sleali) suddivide le pratiche commerciali sleali tra quelle non soggette alla discrezione contrattuale delle parti e quelle subordinate alla libertà contrattuale delle parti. Infatti, il primo paragrafo stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le seguenti pratiche commerciali siano vietate: il pagamento dopo oltre 30 giorni quando la fornitura concerne prodotti deperibili; l'annullamento, Pag. 11da parte dell'acquirente, di ordini di prodotti alimentari deperibili con breve preavviso; la modifica, da parte dell'acquirente, unilateralmente e retroattivamente delle condizioni dell'accordo di fornitura; il pagamento, a carico del fornitore, per gli sprechi di prodotti alimentari che si verificano presso i locali dell'acquirente senza che vi sia negligenza o colpa del fornitore.
  Il secondo paragrafo stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le seguenti pratiche commerciali siano vietate, se non concordate in termini chiari ed univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura: la restituzione, da parte dell'acquirente, al fornitore di prodotti alimentari rimasti invenduti; l'imposizione di un pagamento a carico del fornitore come condizione per l'immagazzinamento, l'esposizione o l'inserimento in listino dei prodotti alimentari di quest'ultimo; il pagamento, a carico del fornitore, dei costi di promozione dei prodotti alimentari venduti dall'acquirente; pagamento, a carico del fornitore, dei costi di commercializzazione dei prodotti alimentari sostenuti dall'acquirente.
  L'articolo 4 impone agli Stati membri di designare un'autorità pubblica incaricata di far rispettare i divieti di pratiche commerciali sleali a livello nazionale.
  Segnala, al riguardo, che in Italia l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha tra i suoi compiti quello della vigilanza sui rapporti contrattuali nella filiera agro-alimentare, ai sensi del richiamato articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012.
  L'articolo 5 (denunce e riservatezza) stabilisce che: un fornitore può presentare una denuncia all'autorità di contrasto dello Stato membro in cui è stabilito l'acquirente sospettato di avere attuato una pratica commerciale vietata; anche le organizzazioni di produttori o le associazioni di organizzazioni di produttori hanno il diritto di presentare una denuncia. Ciò, secondo la Commissione europea, può servire a tutelare l'identità del singolo o dei singoli membri dell'organizzazione che si ritengano vittime di una pratica commerciale vietata.
  Il medesimo articolo stabilisce inoltre che l'autorità di contrasto deve garantire la riservatezza dell'identità del denunciante, se da lui appositamente richiesto, e di qualunque altra informazione la cui divulgazione sia da lui ritenuta lesiva dei suoi interessi.
  L'articolo 6 disciplina i poteri che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare alle autorità di contrasto: avviare indagini di propria iniziativa o a seguito di una denuncia; chiedere agli acquirenti e ai fornitori di fornire tutte le informazioni necessarie al fine di effettuare indagini; adottare una decisione che constati la violazione dei divieti di pratiche commerciali sleali e imporre all'acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata (salvo il caso in cui, con siffatta decisione si corra il rischio di rivelare l'identità del denunciante o qualsiasi altra informazione la cui divulgazione, secondo il denunciante stesso, sarebbe lesiva dei suoi interessi, a condizione che egli abbia specificato quali sono tali informazioni); imporre una sanzione (efficace, proporzionata e dissuasiva e che tenga conto della natura, della durata e della gravità della violazione pecuniaria) all'autore della violazione; pubblicare le decisioni che constatano violazioni o impongono sanzioni; informare gli acquirenti e i fornitori in merito alle sue attività, mediante relazioni annuali che, tra l'altro, indichino il numero delle denunce ricevute, descrivano le indagini avviate e concluse e, per ogni indagine, illustrino sommariamente il caso e l'esito dell'indagine.
  L'articolo 7 (cooperazione tra le autorità di contrasto) stabilisce che gli Stati membri provvedano affinché le autorità di contrasto cooperino efficacemente tra loro e si prestino reciprocamente assistenza nelle indagini che presentano una dimensione transfrontaliera. Inoltre, prevede delle riunioni annuali, agevolate dalla Commissione europea, tra le autorità, anche per discutere delle migliori pratiche attuate, e l'istituzione e la gestione da parte della Commissione europea di un sito web per lo scambio di informazioni Pag. 12con le autorità di contrasto, in particolare per quanto riguarda le riunioni annuali.
  L'articolo 8 (norme nazionali) precisa che gli Stati membri possono prevedere ulteriori norme volte a combattere le pratiche commerciali sleali che vadano al di là del livello minimo garantito dall'Unione, a condizione che esse siano compatibili con quelle relative al mercato interno.
  L'articolo 9 (relazioni degli Stati membri) stabilisce che, entro il 15 marzo di ogni anno, gli Stati membri trasmettano alla Commissione europea una relazione che contenga, in particolare, tutti i dati pertinenti riguardanti l'applicazione e il rispetto delle norme ai sensi della presente direttiva nello Stato membro interessato nel corso dell'anno precedente. Inoltre, prevede che la Commissione europea possa adottare atti di esecuzione circa gli obblighi di rendicontazione degli Stati membri per specificarne determinate modalità e che sia assistita (articolo 10) dal comitato per l'organizzazione comune dei mercati agricoli istituito dall'articolo 229 del regolamento (UE) n. 1308/2013.
  L'articolo 11 (valutazione) prevede che la Commissione europea svolga una valutazione non prima di tre anni dall'applicazione della presente direttiva, presentando una relazione che esponga le principali conclusioni (gli Stati membri devono fornire tutte le informazioni necessarie), e che rediga una relazione intermedia sullo stato del recepimento e sull'attuazione della direttiva stessa sei mesi dopo la data di recepimento.
  L'articolo 12 stabilisce che il recepimento della direttiva deve avvenire entro sei mesi dalla sua entrata in vigore e che le disposizioni di recepimento si applicano a decorrere da dodici mesi dalla sua entrata in vigore, fissata dall'articolo 13.
  In conclusione, rammenta che l'esame della proposta si concluderà con l'adozione di un documento finale, che dovrà recare l'indicazione delle possibili iniziative che le Commissioni chiedono al Governo di adottare in sede europea e che sarà inviato al Presidente della Camera e, da questi, al Governo, al Parlamento europeo, al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea.

  Luca CARABETTA, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.15.