CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 23 giugno 2021
611.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Risoluzione n. 7-00644 Spadoni: Sulla definizione in sede G20 di una roadmap per il raggiungimento dell'uguaglianza di genere.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

   La III Commissione,

   premesso che:

    la Leader's Declaration dell'ultimo G20 a presidenza saudita, in particolare lo statement numero 25 in materia di Women's Empowerment sancisce la necessità di creare una roadmap nel corso della successiva Presidenza del G20 per portare avanti appunto le politiche per l'uguaglianza di genere in tutti i Paesi partecipanti. Lo statement 25, ricordando le dichiarazioni e gli inviti all'azione delle Nazioni Unite, afferma l'importanza dell'emancipazione delle donne e delle ragazze come questione trasversale a tutti gli aspetti di ogni politica, riconoscendo alle donne il ruolo di motore chiave della crescita economica. La dichiarazione finale del G20 in Arabia Saudita continua ribadendo l'impegno nella promozione dell'uguaglianza di genere, nella lotta agli stereotipi, nella riduzione dei divari salariali. Ricorda poi l'impegno a raggiungere l'obiettivo di Brisbane, ossia di ridurre del 25 per cento il divario nel lavoro tra uomini e donne, oltre a migliorare la qualità dell'occupazione femminile entro il 2025, chiedendo di portare avanti la definizione di una roadmap per un più rapido raggiungimento dell'obiettivo di Brisbane e all'Ilo e all'Ocse di continuare a fornire input per sostenere i progressi via via conseguiti;

    dal 1° dicembre 2020 l'Italia detiene la Presidenza del G20. L'azione della Presidenza italiana si svolgerà seguendo tre pilastri tra loro interconnessi: persone, pianeta e prosperità. La priorità attuale è dare una risposta quanto più rapida ed efficace alla pandemia con un accesso universale a diagnosi, terapie e vaccini. Inoltre, tra le principali sfide per una ripresa incentrata sulle persone, è necessaria una particolare attenzione alla tutela dei soggetti e dei Paesi più vulnerabili, al ruolo dei giovani e all'empowerment femminile. L'emergenza epidemiologica, infatti, ha colpito interi settori e categorie produttive ma con conseguenze diverse nelle varie fasce della popolazione. Il tasso di occupazione femminile in Italia è uno dei più bassi d'Europa, già prima della pandemia si attestava intorno al 50 per cento contro il 68 per cento degli uomini. Una recente indagine Istat sottolinea il triste dato del nostro Paese secondo cui nel 2020 sono stati oltre 440.000 i posti di lavoro persi di cui circa 312.000 occupati da donne. Questa situazione ha subìto una forte accelerazione alla fine dell'anno, basti pensare che solo nel mese di dicembre la percentuale di donne che aveva perso il lavoro era il 98 per cento del totale (fonte dati Istat);

    gli aspetti da considerare per perseguire l'uguaglianza di genere sono molti: il gender equality work balance, la parità salariale, la rappresentanza femminile nel settore sia pubblico che privato, il contrasto alla violenza di genere e domestica. Il Women 20 è un gruppo di interesse della società civile con l'obiettivo di elaborare proposte ai leader mondiali che si riuniscono ogni anno sul gender equality formato dalle delegazioni dei venti Paesi del G20. Nasce in seguito al summit in Australia del 2014 con la Dichiarazione di Brisbane in cui i Paesi partecipanti si impegnano a ridurre il divario tra uomini e donne nella partecipazione al mercato del lavoro del 25 per cento entro il 2025 («25 by 25»). La prima conferenza del Women 20 si è svolta nell'ottobre del 2015 a Istanbul sotto la presidenza turca e negli anni successivi il lavoro è continuato sotto le presidenze cinese, tedesca, argentina, giapponese e saudita;

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    sempre all'interno della cornice del G20 e, anch'esso rivolto all'empowerment femminile nel 2019 in Giappone nasce il «G20 Empower» che ad oggi comprende 27 Paesi fra Paesi appartenenti al G20 e Paesi ospiti, rappresentando un'alleanza tra settore pubblico e privato per progettare politiche in grado di sviluppare ecosistemi aziendali e organizzativi che promuovano il processo di avanzamento delle donne in posizioni di leadership nel settore privato;

    va tenuto conto del lavoro che l'Employment Working Group sta portando avanti per dare esecuzione all'impegno dei leader G20 per la definizione di una roadmap per l'attuazione dell'obiettivo di Brisbane,

impegna il Governo

ad attivarsi in sede G20 affinché venga rispettato quanto deciso nella Leader's Declaration dell'ultima presidenza in Arabia Saudita, in particolare per quanto riguarda le previsioni contenute nello statement n. 25 «Women's Empowerment» in cui viene indicata la necessità di proseguire nella promozione della parità di genere, nel contrasto agli stereotipi, nella riduzione del gap salariale e di promuovere misure a favore di una più equa distribuzione del lavoro di cura non remunerato e delle responsabilità di cura tra donne e uomini. Inoltre, di delineare sotto la Presidenza italiana, una roadmap comune per accelerare i progressi per il raggiungimento dell'obiettivo di Brisbane, anche attraverso l'adozione di misure per rimuovere le barriere alla partecipazione economica e all'imprenditorialità delle donne.
(7-00644) «Spadoni, Boldrini, Di Stasio, Quartapelle Procopio, Berti, Buffagni, Del Grosso, Del Re, Emiliozzi, Fantinati, Grande, Marino, Olgiati, Orsini».

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ALLEGATO 2

Indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella Comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni.

VARIAZIONE DEL PROGRAMMA DELIBERATA DALLA COMMISSIONE

  Il Novecento può essere definito come il secolo dei diritti umani.
  È stato infatti il secolo delle grandi tragedie umanitarie ma anche di progressi epocali sul terreno della tutela giuridica dei diritti e delle libertà fondamentali.
  Dal genocidio del popolo armeno, dagli eccidi commessi durante la seconda guerra mondiale ai danni della popolazione civile e, soprattutto, dalla tragedia della Shoah è, infatti, derivato per la Comunità internazionale l'impulso ad un sostanziale passo in avanti su questo terreno, nell'esigenza di scongiurare per il futuro il ripetersi di simili accadimenti e, soprattutto, di elaborare nuove e più cogenti forme di responsabilizzazione degli Stati al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali di ogni individuo.
  A livello internazionale la Dichiarazione universale dei diritti umani, proclamata dall'Assemblea generale dell'ONU il 10 dicembre 1948, sancisce l'avvio di una fase di rinascita e rinnovamento, nel segno della centralità dei diritti e del principio che vede tutti gli esseri umani nascere «liberi ed eguali in dignità e diritti».
  Una nuova sensibilità sui diritti umani quale elemento costitutivo dell'identità di ogni Stato democratico, chiamato a garantire i diritti e non solo a considerarli un obiettivo da raggiungere, si afferma negli stessi anni anche a livello nazionale.
  La Costituzione italiana, entrata in vigore nel 1948, pone alla base dell'ordinamento i «diritti inviolabili dell'uomo», facendo da ciò discendere un articolato catalogo di principi costituzionali tutti incentrati su diritti, libertà, pari dignità, uguaglianza, Stato di diritto e assurgendo a modello universale di Carta fondamentale.
  Analoghe esperienze si potranno registrare nella Costituzione francese del 1946, nella Legge fondamentale tedesca del 1949 o nella Costituzione del 1946 del Brasile, non a caso unico Paese latinoamericano ad avere inviato in Europa un contingente a sostegno delle forze alleate.
  La stesura delle principali convenzioni in materia di diritto internazionale umanitario, dopo la lezione di Norimberga, non ha purtroppo impedito il ripetersi di nuovi drammatici strappi, che hanno profondamente segnato le coscienze dei cittadini europei, i quali avevano fatto della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali un pilastro della propria identità continentale, come dimostra la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nota anche come Carta di Nizza, proclamata nel 2000. Come noto, il Trattato di Lisbona ha conferito alla Carta di Nizza valore giuridico pari ai trattati europei, prevedendo anche l'adesione della stessa Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).
  Tuttavia, le epurazioni genocidarie in Cambogia, il genocidio in Ruanda, la pulizia etnica nella Ex-Jugoslavia e il genocidio di Srebrenica hanno aperto crepe profonde nell'architettura giuridica elaborata nella prima parte del secolo, solo in parte ricucite grazie alla istituzione di tribunali speciali, istituiti con il sostegno e l'avallo della comunità internazionale, per processare i responsabili di quei gravissimi crimini di guerra e contro l'umanità.
  La recente evoluzione dello scenario geopolitico internazionale evidenzia, purtroppo, una nuova, inedita ed inaspettata torsione proprio sul tema dei diritti umani, divenuto, nel cuore stesso dell'Europa, terreno Pag. 71 di confronto e scontro tra visioni che divergono sui valori della democrazia liberale e che vedono impegnati i grandi attori globali in partite sempre più spregiudicate.
  Una riflessione sulle ragioni profonde di tale involuzione deve coinvolgere necessariamente un'analisi del processo di globalizzazione, evidentemente compiuto con riferimento alle merci, ai capitali e alla circolazione delle informazioni ma non anche ai diritti e alle libertà.
  Se si può, pertanto, affermare che i diritti umani e, in particolare, la tutela umanitaria delle minoranze rappresentano oggi il termometro sullo stato di salute di ogni democrazia, un'indagine conoscitiva in materia di diritti umani non può oggi eludere i temi dello Stato di diritto nel sistema giuridico internazionale.
  A oltre settant'anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo il corpus del diritto internazionale umanitario appare quindi bisognoso di uno sforzo attuativo nuovo da parte della Comunità internazionale, soprattutto per quanto concerne la difesa dei diritti delle minoranze nelle maggiori aree di crisi in tutto il mondo.
  Questa esigenza appare irrinunciabile per un Paese come l'Italia che tradizionalmente identifica nella tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali una delle proprie linee-guida di politica estera.
  L'azione del nostro Paese a tutela dei diritti umani nel mondo si è caratterizzata per una particolare attenzione alle grandi problematiche umanitarie del nostro tempo: dalla campagna per la moratoria universale della pena di morte alla promozione dei diritti delle donne – ed in particolare le campagne contro le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati – e dei minori, dalla tutela della libertà religiosa alla promozione dei diritti delle minoranze.
  Allo stesso tempo, l'Italia è impegnata rispetto a una pluralità di ulteriori iniziative promosse dalla Comunità internazionale in materia di protezione e promozione dei diritti umani in linea con gli obblighi assunti a livello internazionale in tema di salvaguardia dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.
  Le violazioni del diritto umanitario, la riduzione drastica dell'accesso alla protezione internazionale per i richiedenti asilo, le varie forme di riduzione in schiavitù dei migranti e il traffico degli esseri umani nell'area del «Mediterraneo allargato», le gravi persecuzioni a danno delle minoranze religiose, come ad esempio quella cristiana, rappresentano irrinunciabili ambiti di approfondimento.
  Questi versanti di ricerca trovano in questa nuova fase una chiave di lettura unitaria nel segno della promozione della democrazia e dello Stato di diritto, da cui non può che derivare l'impegno per la lotta contro ogni forma di razzismo, xenofobia, intolleranza, antisemitismo, islamofobia e discriminazione che violi il principio di uguaglianza formale e sostanziale.
  L'indagine deve partire dalla consapevolezza che la protezione delle minoranze etniche e religiose rappresenta un importante strumento per la promozione della pace e della stabilità internazionale.
  A fronte delle drammatiche sfide poste alla pacifica convivenza tra gruppi religiosi diversi in numerose parti del mondo, l'indagine intende verificare le modalità con le quali il nostro Paese può contribuire a promuovere una più efficace tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello internazionale.
  Tale impegno è tanto più doveroso se si considera che dal 1° gennaio 2019 l'Italia è membro del Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite per il triennio 2019-2021. Si tratta del terzo mandato per il nostro Paese dopo quelli del 2007-2010 e 2011-2014.
  L'attività d'indagine si articolerà principalmente in audizioni di soggetti rilevanti ai fini dei temi trattati e, ove necessario, in sopralluoghi al di fuori della sede parlamentare, di cui sarà di volta in volta richiesta autorizzazione alla Presidenza della Camera.

  Termine dell'indagine:

   31 dicembre 2021

  Soggetti da audire:

   Ministro, sottosegretari e direttori generali del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

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   rappresentanti di Organizzazioni internazionali e regionali (UE, Consiglio d'Europa, OSCE);

   rappresentanti del Comitato interministeriale sui diritti umani (CEDU);

   rappresentanti diplomatici, italiani ed esteri;

   rappresentanti di comunità etniche, religiose o minoranze di genere;

   rappresentanti di organizzazioni non governative;

   difensori dei diritti umani;

   accademici, esperti e testimoni qualificati.

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ALLEGATO 3

Interrogazione a risposta immediata n. 5-06299 Lupi: Sulle iniziative per la tutela della dignità umana e dei luoghi di culto in Myanmar.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'Italia è impegnata sin dal primo febbraio a favorire una via d'uscita pacifica al colpo di Stato in atto in Myanmar. Sosteniamo con determinazione un fronte compatto in tutte le sedi internazionali per ribadire la richiesta d'immediato rilascio di tutte le persone detenute arbitrariamente, inclusa la Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi (pron. Aung San Su Cì), il Presidente Win Myint (pron. Uin Mint) e la leadership civile. Il riavvio di un processo di transizione democratica deve essere sostenibile ed efficace.
  L'azione italiana a difesa dei diritti umani in Myanmar si è sviluppata anzitutto in ambito Nazioni Unite, in sede di Consiglio Diritti Umani, Assemblea Generale e Organizzazione Internazionale del Lavoro. In questi contesti abbiamo reiterato la nostra più ferma condanna del colpo di Stato. Abbiamo richiesto con forza ai militari di rispettare i diritti umani e fermare l'uso eccessivo della forza, sia tramite interventi nazionali, tra cui quello del Ministro Di Maio nel segmento di alto livello del Consiglio Diritti Umani, sia attraverso iniziative congiunte con i partner dell'Unione Europea.
  A Bruxelles abbiamo infatti sostenuto l'adozione di ampie misure sanzionatorie nei confronti di individui responsabili del golpe e delle entità economiche loro collegate, fermo restando l'obiettivo di risparmiare inutili sofferenze alla popolazione civile.
  A febbraio Regno Unito e Unione europea hanno promosso la convocazione di una Sessione Speciale del Consiglio Diritti Umani. La Risoluzione adottata in quella occasione, il 12 febbraio, deplora gli sviluppi in materia di diritti umani e richiama con forza l'esercito del Myanmar al loro rispetto, oltre a richiedere il rilascio di tutte le persone arbitrariamente detenute. Nel corso della 46esima sessione ordinaria del Consiglio Diritti Umani, l'Unione europea ha poi presentato una Risoluzione sulla situazione dei diritti umani nel Paese, adottata il 24 marzo. In questo testo le violazioni in atto, incluse le detenzioni e gli arresti arbitrari e l'uso eccessivo e indiscriminato della forza da parte delle forze di sicurezza, vengono duramente condannate. Entrambe le risoluzioni sono state adottate consensualmente da tutti i Paesi membri del Consiglio Diritti Umani.
  In tutti questi documenti grande attenzione viene attribuita al tema della protezione della libertà di religione o credo, invitando con determinazione le Forze Armate e le altre forze di sicurezza e autorità del Myanmar a prendere immediatamente provvedimenti per proteggere, tra gli altri diritti fondamentali dell'individuo, la libertà di religione o credo.
  L'azione dell'Italia in Myanmar, anche su questo importante tema, non è certo nuova. Già prima del colpo di Stato, alla Revisione Periodica Universale di gennaio cui era sottoposto il Myanmar, abbiamo raccomandato di rivedere la legislazione in materia di religione per costruire una società più inclusiva.
  È un impegno in linea con il costante sforzo del nostro Paese nelle sedi multilaterali, nelle relazioni bilaterali con i Paesi terzi e nei programmi di cooperazione allo sviluppo nel mondo, per la protezione e la tutela dei diritti delle persone appartenenti a minoranze religiose, incluse quelle cristiane. A tal proposito si ricorda che per il 2021 è stato rifinanziato il fondo per interventi a sostegno delle comunità cristiane nelle aree di crisi, al quale possono accedere le organizzazioni della società civile, Pag. 74rispondendo a uno specifico bando per la presentazione di progetti.
  Sono temi prioritari anche per l'attuale mandato italiano in Consiglio Diritti Umani.
  Siamo infatti fermamente convinti che la tutela della libertà di religione o credo e dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze religiose contribuisca a rafforzare la salvaguardia degli altri diritti umani e a costruire società inclusive e pacifiche.
  In linea con quest'approccio, continueremo a prestare grande attenzione alla condizione delle persone appartenenti a minoranze religiose e alla tutela della libertà di religione o credo in Myanmar in tutti i fori multilaterali, a partire dalla sessione del Consiglio Diritti Umani attualmente in corso dal 21 giugno al 15 luglio.

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ALLEGATO 4

Interrogazione a risposta immediata n. 5-06300 Osvaldo Napoli: Sui progetti di accoglienza per minori bielorussi ed ucraini alla luce dell'interruzione dei collegamenti aerei da e per la Bielorussia.

TESTO DELLA RISPOSTA

  A partire dal 1986, anno in cui si è verificata la catastrofe nucleare di Chernobyl, sono stati accolti in Italia circa 400.000 minori di nazionalità bielorussa, di fascia di età prevalentemente compresa tra gli 8 e i 12 anni, nell'ambito di programmi di accoglienza temporanea a fini solidaristici.
  Nel 2018 circa 6.600 minori bielorussi sono stati accolti in Italia, di cui indicativamente l'80 per cento in famiglia e il restante 20 per cento presso strutture gestite da associazioni, in collaborazione con famiglie e organizzazioni di volontariato attive sul territorio restante. Simili le cifre nel 2019, con quasi 5.900 minori bielorussi che hanno partecipato a programmi di soggiorno solidaristico nel nostro Paese.
  L'accoglienza temporanea dei minori di nazionalità bielorussa ha potuto giovarsi di una profìcua e costante collaborazione tra le autorità italiane e quelle bielorusse. Il 10 maggio 2007, infatti, è stato firmato un «Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica di Belarus sulle condizioni di risanamento a titolo gratuito nella Repubblica italiana dei cittadini minorenni della Repubblica di Belarus», mentre il 21 gennaio 2016 è stato sottoscritto un Protocollo contenente le «Raccomandazioni per garantire le condizioni di massima sicurezza durante il soggiorno dei minori, cittadini della Repubblica di Belarus, che si troveranno nella Repubblica italiana per il risanamento».
  Oltre al beneficio terapeutico, fisico e psicologico per i minori interessati, i programmi hanno contribuito a costruire nel tempo un legame sociale, civile – e conseguentemente anche politico – particolarmente intenso fra l'Italia e la Bielorussia, che questo Ministero è impegnato a preservare e valorizzare, anche tramite la nostra Ambasciata a Minsk, che segue il dossier con la massima attenzione.
  La pandemia ha purtroppo causato, in primo luogo proprio da parte bielorussa e ucraina, la sospensione cautelativa dei programmi a tutela dei minori e delle famiglie ospitanti «fino alla stabilizzazione della situazione epidemiologica».
  Come Farnesina ne abbiamo sempre auspicato una ripresa, non appena le condizioni epidemiologiche lo avessero consentito. Solo lo scorso maggio, tuttavia, si è ritenuto che l'evoluzione della situazione pandemica fosse tale da permettere la ripresa dei soggiorni terapeutici. Il 18 maggio il Comitato Tecnico Scientifico ha dunque approvato uno specifico Protocollo sanitario, che è stato presentato nei giorni scorsi alle Autorità bielorusse e ucraine dai nostri Ambasciatori a Minsk e a Kiev.
  In tale scenario si è inserito l'episodio del dirottamento del volo Ryanair. Conseguentemente, il Consiglio Europeo ha adottato lo scorso 4 giugno una modifica della Decisione del Consiglio e del Regolamento di attuazione del regime sanzionatorio nei confronti della Bielorussia, stabilendo il divieto di sorvolo dello spazio aereo europeo e di utilizzo degli aeroporti europei da parte dei vettori bielorussi. Su iniziativa italiana è stato chiesto e ottenuto di inserire in tale disciplina una deroga umanitaria che consentirà, nel rispetto delle procedure previste, la possibilità di organizzare eventuali voli per finalità terapeutiche o di necessità medica. Ulteriori eccezioni sono previste per casi di emergenza. Abbiamo del pari ottenuto l'inclusione di analoghe deroghe per scopi umanitari, per i casi di evacuazione o rimpatrio di persone o per Pag. 76iniziative di sostegno alle vittime di disastri naturali, nucleari o chimici, nonché per le procedure di adozione internazionale. Ciò consentirà l'eventuale organizzazione dei voli per i cosiddetti soggiorni terapeutici, non appena il protocollo sanitario sarà ufficialmente accettato da parte bielorussa.
  Per quanto riguarda l'Ucraina, non si ravvedono ostacoli alla ripresa dei percorsi di accoglienza, anzi secondo quanto comunicato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alcuni bambini ucraini sarebbero in questi giorni già in Italia nell'ambito di programmi di soggiorno terapeutico.

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ALLEGATO 5

Interrogazione a risposta immediata n. 5-06301 Olgiati: Sulla situazione dei diritti umani e civili in Nicaragua.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Seguiamo con costanza e attenzione, anche attraverso la nostra Ambasciata a Managua, l'evolversi degli eventi in Nicaragua. La grave crisi politico-istituzionale e sociale, scoppiata nel 2018, è tuttora in corso e resta un motivo di grave preoccupazione.
  Sin dalle prime fasi dell'involuzione autoritaria nel Paese centroamericano, il Governo italiano ha manifestato alle Autorità nicaraguensi forte preoccupazione per la dura e diffusa repressione scatenata dal regime del Presidente Ortega. Io stessa ho avuto occasione di sollevare la questione con il Ministro degli Esteri Denis Moncada Colindres, nel corso di un incontro a Roma nell'ottobre 2019.
  In occasione della mia recente audizione (10 giugno) in seno al Comitato permanente per la politica estera in America Latina, presieduto dall'onorevole Lupi, ho già avuto modo di sottolineare come il Governo nicaraguense – sfruttando le debolezze di una opposizione cronicamente divisa – stia proseguendo nella sua opera di repressione del dissenso «a bassa intensità». Inoltre, con l'approssimarsi delle elezioni parlamentari e presidenziali di novembre, il regime del Presidente Ortega sta mano a mano eliminando dalla corsa tutti gli esponenti dell'opposizione più profilati – personalità quali Cristiana Chamorro, Juan Sebastiàn Chamorro, Arturo Cruz, Felix Maradiaga e da ultimo Miguel Mora – detenuti su ordine della Corte Suprema, con accuse, sembra non provate, di malversazioni di fondi e di corruzione.
  A questi arresti se ne sono aggiunti altri negli ultimi giorni, che hanno riguardato, per motivi ancora non chiari, individui anche non direttamente coinvolti nella campagna elettorale. Il timore è che il regime nicaraguense si stia ora adoperando per comprimere i margini di azione non soltanto di personalità politiche avversarie ma anche di ogni espressione della società civile non in linea con i propri indirizzi e obiettivi. Si tratta di misure repressive, scarsamente fondate sul piano giuridico e contraddistinte da un forte sospetto di arbitrarietà, che logorano ulteriormente il già fragile tessuto democratico del Nicaragua e privano la campagna elettorale e le consultazioni di novembre di qualsiasi legittimità democratica.
  L'Italia ha esercitato la propria azione anche sul piano multilaterale, partecipando attivamente alla definizione della linea politica dell'Unione europea nei confronti del Nicaragua. Si è quindi giunti, nell'ottobre 2019, all'adozione di misure sanzionatorie individuali contro funzionari del regime – appartenenti in particolare al comparto della pubblica sicurezza e a quello carcerario – macchiatisi di violazioni dei diritti umani nei confronti di oppositori del Governo Ortega, anche in stato di detenzione. Tali misure sono state successivamente reiterate, nell'ottobre 2020, con il convinto sostegno del nostro Paese, che non faremo mancare anche laddove l'Unione europea dovesse decidere di adottarne di ulteriori, in reazione ai recenti e ancor più preoccupanti sviluppi.
  Come già in passato, anche quest'anno abbiamo inoltre sostenuto, co-sponsorizzandola, la risoluzione adottata lo scorso 24 marzo in Consiglio Diritti Umani sul tema della promozione e protezione dei diritti umani in Nicaragua. Nel testo si esprime grave preoccupazione per le continue segnalazioni di violazioni e abusi dei diritti umani, l'uso sproporzionato della forza da parte della polizia per reprimere le proteste sociali e gli atti di violenza da parte di gruppi armati, le segnalazioni di Pag. 78arresti illegali e detenzioni arbitrarie, torture e altre pene o trattamenti disumani o degradanti e aumento delle uccisioni legate al genere e della violenza sessuale e di genere durante la detenzione.
  La risoluzione, inoltre, invita con forza il Governo nicaraguense, tra le altre cose, a rispettare la libertà di espressione, ad autorizzare le manifestazioni pacifiche, a cessare immediatamente l'utilizzo di violenze e detenzioni arbitrarie e a impegnarsi in negoziati significativi e inclusivi con la società civile, i partiti e i gruppi di opposizione. Si chiede inoltre al Governo di Managua di collaborare con le organizzazioni internazionali per adottare misure volte a garantire elezioni libere, eque, trasparenti, rappresentative e credibili, in conformità con gli standard internazionali, e che includano la presenza di osservatori elettorali nazionali e internazionali indipendenti.
  L'Italia ha inoltre contribuito all'elaborazione di importanti prese di posizione pubbliche dell'Unione europea in merito alla situazione in Nicaragua. Da ultimo, la dichiarazione dell'Alto Rappresentante Borrell dello scorso 10 giugno, particolarmente dura nei toni. Nel documento si stigmatizzano le azioni delle Autorità nicaraguensi contro i partiti dell'opposizione, gli organi di stampa, i giornalisti, i difensori dei diritti umani e la società civile; si chiede l'immediato e incondizionato rilascio dei pre-candidati alle elezioni presidenziali di novembre e si fa appello alla ripresa di un dialogo inclusivo tra governo e opposizione e al ristabilimento della democrazia quale unica via di uscita dalla crisi politica, economica e sociale in Nicaragua. Inoltre, il 21 giugno l'Unione europea, a nome di tutti gli Stati membri, si è espressa con un intervento del medesimo tenore in Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite, nell'ambito del dialogo con l'Alto Commissario ONU per i diritti umani Bachelet.
  Il Governo italiano continuerà a monitorare la situazione in Nicaragua e a insistere, specie in ambito europeo e multilaterale, affinché nel Paese vengano ristabiliti gli standard minimi di tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali e siano ripristinate condizioni basilari di credibilità democratica per le prossime elezioni. A tal fine è importante – e lo sosteniamo – il ritorno nel Paese di organismi internazionali quali l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e la Commissione Interamericana per i Diritti Umani.

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ALLEGATO 6

Interrogazione a risposta immediata n. 5-06302 Laura Boldrini: Sulla prospettiva di messa al bando del Partito democratico dei popoli (HDP) in Turchia.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Il quadro dei diritti umani in Turchia continua a essere molto preoccupante e caratterizzato da una forte polarizzazione interna. L'unica eccezione è la scarcerazione, il 14 aprile 2021, del giornalista e scrittore Ahmet Altan, avvenuta in seguito alla pronuncia della Corte europea dei Diritti dell'Uomo.
  Anche per cercare un approccio più dialogante in politica estera e nei rapporti con l'Unione europea, l'8 marzo 2021 Erdogan ha presentato il Piano nazionale per i Diritti Umani. Esso si basa su 11 principi, incentrati su dignità umana e ruolo dello Stato nella protezione e nel miglioramento dei diritti dei cittadini senza discriminazioni, e 9 obiettivi relativi, tra l'altro, a miglioramenti nella protezione dei diritti umani, nell'indipendenza giudiziaria, nella libertà di espressione, di assemblea e di religione. Il Piano, che dovrebbe essere attuato in due anni e culminare con l'adozione di una nuova Costituzione, non fa però menzione delle Convenzioni internazionali cui aderisce la Turchia (tra cui la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo), ed è stato duramente criticato dall'opposizione.
  Meno di due settimane dopo, il 20 marzo 2021, la Turchia si è inoltre ritirata dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (anche nota come «Convenzione di Istanbul» perché aperta alla firma a Istanbul durante la Presidenza di turno turca del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa).
  Ankara era stata la prima a firmare la Convenzione nel 2011, a testimonianza della volontà della Turchia a impegnarsi per il miglioramento della condizione femminile, in un Paese in cui il tasso di femminicidi rimane altissimo (oltre 300 nel 2020, ma la stima è con ogni probabilità al ribasso). L'annuncio del ritiro dalla Convenzione ha suscitato un'ondata di proteste e l'Unione europea ha fatto sentire la propria voce (ad esempio attraverso la «Comunicazione Congiunta in risposta al ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul», rilasciata al Consiglio Permanente dell'OSCE il 25 marzo di questo anno), invitando la Turchia a rivedere la propria posizione.
  Su un altro piano, la definizione, nell'ambito della coalizione di Governo, di un equilibrio politico favorevole al partito nazionalista (MHP), ha determinato una maggiore determinazione a colpire il partito democratico dei popoli filo-curdo (HDP) e, più in generale, membri dei partiti d'opposizione. Il 17 marzo 2021, il Procuratore della Corte di Cassazione ha chiesto alla Corte costituzionale la messa al bando del partito democratico dei popoli (HDP) e il divieto di attività politica per 687 membri del medesimo partito, sulla base di asseriti legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). La Corte costituzionale ha rigettato per la seconda volta l'accusa, indicando vizi procedurali e invitando il Procuratore a fornire maggiori prove sul presunto coinvolgimento di membri del partito democratico dei popoli (HDP) in attività criminali volte a colpire «l'integrità indivisibile dello Stato», reato che in Turchia può portare alla messa al bando di partiti politici. Ugualmente preoccupante è la richiesta di revoca dell'immunità parlamentare di 10 parlamentari di opposizione (2 del HDP e 8 del CHP, principale partito di opposizione) per presunti reati di oltraggio al Presidente, incitamento pubblico all'odio e calunnia. Pag. 80
  Sul fronte del rispetto delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, inoltre, malgrado le molteplici decisioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, le Autorità turche continuano a non riconoscere come vincolante la sentenza del 2019 sul caso di Osman Kavala (imprenditore e attivista dei diritti umani in carcere dal 2017 per asserito coinvolgimento nelle proteste di Gezi Park [pron. Ghesi Park] del 2013 e nel tentato colpo di Stato del 2016), sostenendo che essa non può trovare applicazione alla luce di una nuova indagine lanciata contro Kavala per accuse di spionaggio.
  Per quanto riguarda l'ambito bilaterale e l'azione del Governo, riteniamo che sia fuori discussione un punto: l'interesse strategico del nostro Paese è un Mediterraneo prospero e in pace. Questa è una situazione impossibile da ottenere con l'ulteriore isolamento della Turchia, attore imprescindibile per la stabilità della regione. La consolidata posizione italiana è infatti stata sempre diretta a non isolare la Turchia, sia in ambito europeo che in ambito internazionale. La visione di una Turchia agganciata all'Occidente e più integrata in Europa rappresenta non solo un elemento di stabilità in un'area per noi cruciale, ma anche l'unica garanzia per un reale miglioramento della qualità della democrazia, della tutela dello stato di diritto e dei diritti umani.
  Ciò non significa assolutamente sacrificare l'agenda dei diritti umani e dello stato di diritto, ma portarla avanti in maniera determinata ma costruttiva, evitando provocazioni che alimentino una narrativa antioccidentale, agendo insieme ai nostri partner dell'Unione europea. In tal senso, l'Unione è intervenuta l'altro ieri (21 giugno) in Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite nel dialogo con l'Alta Commissaria ONU per i diritti umani Bachelet per esprimere preoccupazione per il continuo deterioramento in Turchia del rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani, incluse le libertà fondamentali e l'indipendenza della magistratura.
  L'Europa ha in particolare espresso preoccupazione per le misure che colpiscono i partiti politici, le persone che partecipano alle attività sindacali, i media indipendenti, i difensori dei diritti umani, gli avvocati e i giudici, e ha esortato il Paese, candidato all'adesione all'Unione europea e membro di lunga data del Consiglio d'Europa, ad applicare i più elevati standard e pratiche democratiche, e a dare attuazione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

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ALLEGATO 7

Interrogazione a risposta immediata n. 5-06303 Delmastro Delle Vedove: Sui contenuti del colloquio del 21 giugno 2021 tra il Ministro Di Maio ed il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, con riferimento alle linee direttrici della politica estera dell'Italia.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Il colloquio telefonico tra il Ministro Di Maio e il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha soprattutto riguardato i principali temi della collaborazione economica tra Italia e Cina, sul piano bilaterale e multilaterale.
  Sul piano bilaterale il Ministro Di Maio ha anzitutto esortato il Ministro Wang alla ripresa di voli diretti tra i principali scali di Italia e Cina, essenziali per le nostre imprese e le nostre esportazioni a sostegno della ripresa economica. Sono stati affrontati poi temi connessi alla transizione energetica, rispetto alla quale il mercato cinese offre opportunità di estremo rilievo per i maggiori gruppi italiani e per la nostra piccola e media impresa specializzata in questo settore.
  Le collaborazioni auspicate nel corso del colloquio favoriranno non solo la ripresa economica ma anche, e passo al piano multilaterale, il sempre maggiore impegno richiesto alla Cina sul fronte ambientale. Oltre alla co-presidenza della Cop 26 e alla linea sancita dal Vertice G7 del 13 giugno, la nostra presidenza del G20 ci impone di affrontare anche questi temi. Dal Ministro Wang Yi abbiamo in questa occasione raccolto l'adesione circa le nostre priorità G20.
  Nel colloquio il Ministro Di Maio ha sottolineato al Ministro Wang Yi la ben nota posizione italiana di fermezza nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nel quadro dell'adesione indiscutibile dell'Italia alla famiglia europea e all'Alleanza Atlantica.
  Pur nella disponibilità ad un dialogo franco e aperto con Pechino, alla ricerca di ambiti di collaborazione in particolare sui temi globali quali lotta ai cambiamenti climatici e ripresa economica, il posizionamento internazionale dell'Italia è chiaro e non ha bisogno di esser ricordato ogni volta. Una collocazione pienamente condivisa con i partner del G7 e dell'Unione europea.
  Sul Piano d'Azione 2021-2023 sono opportuni alcuni chiarimenti. Il partenariato strategico con la Cina risale all'inizio degli anni Duemila, gli stessi in cui simili partenariati venivano formalizzati da Germania, Francia, Regno Unito e da altri Paesi dell'Unione europea e del G7. Il nostro partenariato fu istituito in occasione della visita dell'allora Primo Ministro cinese Wen Jiabao nel 2004, quando il Presidente del Consiglio Berlusconi firmò con l'omologo cinese un Comunicato Congiunto sulla Partnership Strategica e sul suo principale meccanismo di dialogo istituzionale, il Comitato Governativo Italia-Cina. A partire da quegli anni, dunque, come i nostri principali alleati occidentali abbiamo cominciato a tenere annualmente i rispettivi Comitati Governativi con la Cina.
  A margine di questi incontri vengono adottati documenti di programmazione delle attività future, base per la tutela dei rispettivi interessi. Cito a titolo di esempio la firma di Memorandum, facilitazioni all'accesso al mercato e cooperazioni industriali. Questi «Piani d'Azione» hanno appunto la funzione di definire, delimitare e incanalare gli ambiti della collaborazione, in modo da tutelare il nostro interesse nazionale.
  Per dare una dimensione prospettica, il primo Piano d'Azione 2010-2013 fu adottato dall'allora Presidente Berlusconi in occasione della visita del Premier cinese Wen Jiabao nell'ottobre 2010. Il secondo Piano d'Azione 2014-2017 fu concluso durante Pag. 82 la visita in Cina dell'allora Presidente Renzi nel giugno 2014, mentre il terzo, dal 2017 al 2020, a margine della visita in Cina dell'allora Presidente Gentiloni nel maggio 2017. Ciascuno dei Governi responsabili ha così definito le priorità della collaborazione bilaterale con la Cina nel modo giudicato più opportuno.
  In vista del rinnovo del Piano d'Azione, Pechino ha recentemente trasmesso una propria proposta di testo per il triennio 2021-23. Diversamente da quanto riportato, si tratta di una proposta cinese oggetto di attento esame e revisione negoziale, già in corso da parte della Farnesina e di tutte le altre Amministrazioni interessate, proprio con l'obiettivo di definire al meglio l'interesse nazionale. Un chiarimento è doveroso anche per un altro documento talvolta richiamato e denominato «Italia-Cina, collaborazione scientifica e tecnologica. Piano d'Azione verso il 2025». E l'aggiornamento di un analogo testo redatto nel 2015 e razionalizza per l'Italia le attività bilaterali di cooperazione scientifica e tecnologica, anche a sostegno dell'internazionalizzazione delle nostre imprese. Questo «Piano», frutto del lavoro del «Tavolo Cina» al quale dal 2014 partecipano Università ed Enti Pubblici Nazionali di Ricerca, costituisce un documento nazionale e non viene concordato con la controparte. Permette all'Italia di valutare dove concentrare le risorse, allo scopo di accrescere la nostra competitività sui mercati dell'innovazione. Così come fanno altri grandi Paesi europei.
  Il perseguimento della cooperazione economica con la Cina a vantaggio del Sistema Paese non esclude dunque in alcun modo che l'Italia continui a dialogare con fermezza e franchezza con Pechino su tematiche quali i diritti umani e la situazione a Hong Kong. Aspetti a riguardo dei quali emergono, in modo chiaro, differenze strutturali in termini di valori e di gestione della cosa pubblica.

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ALLEGATO 8

Interrogazione n. 5-06248 Bonomo: Sulla posizione del Governo italiano sulla proposta di risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (A/75/L.97) relativa alla necessità di porre fine all'embargo economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti contro Cuba.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Cuba presenta ogni anno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Risoluzione dal titolo: «Necessità di porre fine all'embargo economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti d'America contro Cuba».
  Questa Risoluzione rappresenta il dossier di politica estera probabilmente più importante per il Governo cubano, anche in considerazione del fatto che l'Assemblea Generale costituisce un'eccellente cassa di risonanza per le istanze cubane nei confronti degli Stati Uniti. L'ultima Risoluzione in ordine di tempo, la ventottesima, era stata approvata il 7 novembre 2019 durante la 74esima sessione dei lavori dell'Assemblea Generale con 187 voti a favore, tra cui quello dell'Italia e di tutti gli Stati Membri dell'Unione europea. I voti contrari erano stati 3, mentre 2 le astensioni. Rispetto all'anno precedente, il Brasile si era allineato per la prima volta al voto contrario statunitense e israeliano, mentre la Colombia si era astenuta al pari dell'Ucraina. Il cambio di posizione di Brasile e Colombia aveva rotto la tradizionale unità latinoamericana, creando un precedente negli equilibri regionali. In quella occasione, nella dichiarazione di spiegazione del voto, l'Unione europea aveva espresso una posizione di condanna dell'embargo statunitense.
  La spiegazione del voto si era in particolare concentrata sulle ripercussioni del blocco ai danni della situazione economica di Cuba e del tenore di vita del popolo cubano. Conseguenze negative che ostacolano, tra le altre cose, il raggiungimento degli obiettivi dell'accordo di cooperazione tra Unione europea e Cuba, volto a sostenere le riforme da parte del Governo cubano e promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani.
  Per quanto riguarda la sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Uniti attualmente in corso, la 75esima, il ventinovesimo progetto di Risoluzione per richiedere la fine dell'embargo statunitense viene presentato da Cuba in plenaria proprio oggi 23 giugno, alle ore 16 di Roma, le 10.00 a New York. Il testo è nella sostanza analogo ai precedenti, con l'aggiunta di aggiornamenti tecnici di rito. L'Unione europea ha fatto circolare una bozza di testo di spiegazione del voto, in linea con quello relativo alla precedente risoluzione del 2019. Le poche integrazioni rispetto alla spiegazione di due anni fa riguardano l'impatto della pandemia sulle condizioni di vita del popolo cubano e il rafforzamento dei richiami già presenti nelle precedenti versioni alla necessità che il Governo cubano garantisca ai propri cittadini la piena tutela dei diritti civili e politici e delle libertà fondamentali, anche attraverso l'apertura di un dialogo costruttivo con i rappresentanti della società civile indipendente. Questi chiedono infatti di poter disporre di maggiori spazi di libera espressione, anche in ambito artistico e culturale, in linea con i dettami della nuova Costituzione cubana entrata in vigore ad aprile 2019.
  L'Italia si esprimerà a favore della risoluzione presentata da Cuba, in linea con lo schema di voto consolidato e condiviso con tutti gli Stati Membri dell'Unione europea. La nostra Rappresentanza Permanente presso le Nazioni Unite a New York ha inoltre ricevuto istruzioni di sostenere anche la spiegazione di voto che verrà pronunciata dalla Presidenza di turno dell'Unione europea, a nome di tutti gli Stati Membri, al momento dell'adozione del testo.

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ALLEGATO 9

Interrogazione n. 5-06258 Fitzgerald Nissoli: Sulla riduzione del numero minimo di sottoscrizioni per la presentazione delle liste elettorali in vista delle elezioni dei Comitati per gli italiani all'estero (Com.It.Es.) del 3 dicembre 2021.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Condivido l'opinione e le argomentazioni dell'onorevole Fitzgerald Nissoli circa la rilevanza delle elezioni dei Comites: in primo luogo e in via generale, per l'importante ruolo di rappresentanza che i suddetti organismi svolgono nel raccordo fra le comunità italiane all'estero e gli uffici consolari; in secondo luogo, alla luce del forzato rinvio deciso lo scorso anno, quando le consultazioni non hanno potuto avere luogo a causa dell'emergenza sanitaria.
  Un'emergenza, come ben sappiamo, ancora non completamente superata e su cui il livello di cautela rimane alto, nonostante molti Paesi si siano ormai lasciati alle spalle il picco della crisi sanitaria. In molte aree del mondo sono tuttora vigenti limitazioni agli spostamenti e misure di distanziamento sociale e prevenzione, visto il ruolo non ancora chiaro che assumono le varianti del virus nella sua diffusione e rispetto alle campagne vaccinali in corso, tanto è vero che siamo a conoscenza di una richiesta di rinvio delle elezioni.
  Stante questo scenario, si ritiene ragionevole un'eventuale apposita modifica normativa volta ad agevolare il rispetto e l'attuazione dell'adempimento elettorale in questione, in particolare consentendo la sottoscrizione delle liste e, di conseguenza, la loro presentazione nei tempi stabiliti dalla legge.
  Una proposta di modifica normativa di questo tenore – che il Governo è pronto a valutare – potrebbe effettivamente ispirarsi ai principi presenti nelle misure adottate con decreto-legge 5 marzo 2021 n. 25 per le prossime elezioni comunali e circoscrizionali, che prevedono la riduzione del numero minimo di sottoscrizioni richieste per la presentazione di liste e candidature.