CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 5 maggio 2021
581.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO
Pag. 52

ALLEGATO 1

Risoluzione n. 7-00273 Delmastro Delle Vedove: Sulla tutela della libertà religiosa in Pakistan.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

   La III Commissione,

   premesso che:

    nel mondo, un cristiano ogni 7 vive in una condizione di persecuzione, oltre 300 milioni di persone discriminate per il loro specifico credo. Dal XV Rapporto sulla libertà religiosa di «Aiuto alla Chiesa che Soffre» emerge una situazione fortemente cupa per i cristiani, la comunità di fedeli maggiormente perseguitata al mondo;

    la libertà religiosa è violata in quasi un terzo dei Paesi del mondo (31,6 per cento), dove vivono circa due terzi della popolazione mondiale. 62 Paesi su un totale di 196 registrano violazioni molto gravi della libertà religiosa. Il numero di persone che vivono in questi Paesi sfiora i 5,2 miliardi, il 67 per cento della popolazione mondiale, poiché tra i peggiori trasgressori vi sono alcune delle nazioni più popolose del mondo (Cina, India, Pakistan, Bangladesh e Nigeria);

    sono 62 gli Stati in cui si registrano gravi o estreme violazioni della libertà religiosa: 26 sono classificati come «PERSECUZIONE»: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Cina, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, India, Iran, Corea del Nord, Libia, Malesia, Maldive, Mali, Mozambico, Myanmar, Niger, Nigeria, Pakistan, Somalia, Sri Lanka, Turkmenistan, Yemen;

    in questi 26 Paesi vivono 3,9 miliardi di persone, ovvero poco più della metà (il 51 per cento) della popolazione mondiale. Questa classificazione include 12 Stati africani e 2 Paesi in cui sono in corso indagini per un possibile genocidio: Cina e Myanmar (Birmania);

    36 sono luoghi di «DISCRIMINAZIONE»: Algeria, Azerbaijan, Bahrain, Brunei, Cuba, Gibuti, Egitto, Etiopia, Indonesia, Iraq, Giordania, Kazakistan, Kuwait, Kirghizistan, Laos, Madagascar, Mauritania, Mauritius, Marocco, Nepal, Nicaragua, Oman, Palestina e Gaza, Qatar, Singapore, Sudan, Siria, Tagikistan, Tanzania, Thailandia, Tunisia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Uzbekistan, Venezuela e Vietnam;

    in questi 36 Paesi vivono 1,24 miliardi di persone. Sono stati identificati leggeri miglioramenti in 9 Paesi, mentre in 20 nazioni la situazione sta peggiorando;

    in 30 Paesi delle persone sono state uccise in attacchi a sfondo religioso a partire dalla metà del 2018;

    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan, che si colloca al 5° posto nel ranking della «World Watch List 2020», l'annuale rapporto della Ong Porte Aperte sulla libertà religiosa dei cristiani nel mondo, che fotografa la classifica dei primi 50 Paesi dove più si perseguitano i cristiani;

    il Pakistan nasce come Stato laico, il tratto islamico si è affermato a partire dal 1956, anno in cui la denominazione fu cambiata in Repubblica Islamica del Pakistan. Pakistan vuol dire «terra dei puri»: la parola è un neologismo che combina i termini pāk, «puro» in urdu, e – stan, che significa Paese. Da allora il Pakistan ha assunto un orientamento nettamente islamista specialmente sotto la dittatura del generale Zia ul-Haq, al potere dal 1977 al 1988, durante la quale la legge islamica (shari'a) ha acquisito un ruolo predominante all'interno del sistema giuridico pachistano;

    qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze Pag. 53 religiose è la cosiddetta legge sulla «blasfemia», disciplinata nel codice penale pachistano dagli articoli 295 B, 295 C, 298 A, 298 B, 298 C;

    la legge è entrata in vigore nel 1986 e limita fortemente la libertà di religione e di espressione. Contempla, nei casi estremi, la condanna a morte, con ciò limitando di fatto il proselitismo religioso e l'affermazione del pluralismo religioso;

    la legge sulla blasfemia è un'eredità dell'ordinamento dell'impero britannico del 1947, anno di nascita dello Stato pakistano. Inizialmente, la norma prevedeva il carcere o una sanzione amministrativa per chi «dolosamente e deliberatamente oltraggi, con parole, scritti o altre rappresentazioni, qualsiasi religione». Risale al 1986 l'aggiunta di due commi, il 295 B che prevede l'ergastolo «per chi offende il Corano o ne danneggi una copia in tutto o in parte o lo utilizzi per scopi illeciti» e il 295 C che commina «la pena capitale o carcere a vita e/o multa per chiunque offenda il nome o la persona del Profeta Muhammad con parole, scritti o altre rappresentazioni». Dal 1990 per il comma 295 C viene applicata solo la pena di morte;

    dati recenti diffusi dal Centre for Social Justice (Csj, Centro di giustizia sociale), mostrano che le leggi sulla blasfemia creano sempre più vittime. Dal 1987 fino al dicembre 2020, almeno 1855 persone sono state accusate di offese legate alle «leggi sulla blasfemia»;

    il 2020 è l'anno in cui vi sono stati più accusati: 200. Il fatto considerevole è che il 75 per cento degli accusati sono musulmani e il più alto numero di vittime sono sciiti (il 70 per cento). Le altre vittime sono ahmadi (20 per cento); sunniti (5 per cento); cristiani (3,5 per cento) indù (1,5) e altre religioni, o religioni non confermate (0,5 per cento);

    almeno 78 persone sono state uccise con assassini extra-giudiziari, dopo essere stati accusati di blasfemia o apostasia. Di questi, 42 sono musulmani; 23 cristiani; 9 ahmadi; 2 indù; 2 la cui identità religiosa non è chiara; è evidente come l'uso della legge sia diventato uno strumento facile nei confronti degli avversari economici, politici o religiosi. Dall'inizio, in cui musulmani accusavano non-musulmani, si è giunti a una situazione in cui musulmani accusano anche altri musulmani;

    diverse fonti lamentano uno squilibrio processuale nei procedimenti penali incardinati per il reato di blasfemia, anche a seconda del credo professato;

    per il momento, nessun condannato a morte per blasfemia è stato giustiziato in Pakistan. La prima donna condannata a morte per effetto della legge è stata Asia Bibi nel 2010. Tuttavia, spesso accade che coloro che vengono rilasciati siano assassinati a seguito di agguati o attentati da parte di estremisti islamici;

    un altro caso si è concluso con la condanna a morte in primo grado di un cristiano, a Lahore, al termine di un processo durato sette anni. La condanna si riferiva a messaggi inviati dal 37enne Asif Pervaiz nel 2013 e per i quali è rimasto in carcere per sette anni. Il suo capo in una fabbrica di abbigliamento lo aveva accusato di aver inviato messaggi sacrileghi sui social dal suo cellulare. Da allora, la moglie Marilyn e i suoi quattro figli piccoli sono dovuti fuggire per salvarsi la vita. Il suo avvocato riferisce che in tribunale «non è stato veramente provato» che abbia commesso blasfemia, aggiungendo che presenterà ricorso all'Alta corte di Lahore;

    per chi viene accusato, la prigione è già di per sé una punizione ma a questo si aggiunge l'isolamento dagli altri detenuti perché si teme che qualcuno possa uccidere il blasfemo. Secondo il Centre for Research and Security Studies, dal 1990 almeno 65 persone – tra cui giudici e avvocati – sono state linciate o assassinate per sospetto di blasfemia o per aver difeso persone accusate di tale reato;

    l'assoluzione di Asia Bibi rappresenta un momento storico per i cristiani e in generale per tutte le minoranze religiose del Pakistan. Tuttavia quella della cosiddetta legge anti-blasfemia e in particolare dell'abuso della stessa, resta una questione Pag. 54aperta. Negli ultimi anni, i tentativi dei governi di combattere la violenza interreligiosa, di contrastare la discriminazione contro i non musulmani e i vari tentativi di riformare o definire i limiti della norma non hanno avuto grande successo, e la società pakistana ha subito un processo molto evidente di islamizzazione;

    quando dei cristiani sono accusati di presunta blasfemia, si verificano spesso episodi di violenza e intimidazioni ai danni loro e delle loro comunità. Ne deriva un sempre più diffuso senso di insicurezza che spinge le minoranze religiose pakistane a lasciare il Paese. I numeri a riguardo sono chiari: nel 1947 le minoranze nel Paese raggiungevano il 30 per cento della popolazione. Nel 1998 la percentuale è scesa al 3 per cento;

    i cristiani non saranno mai al sicuro fino a quando ci sarà la legge sulla blasfemia perché viola la libertà religiosa, e la libertà di espressione: oggi un cristiano è libero di dire cosa pensa del Corano o non è libero di dire che Gesù è figlio di Dio perché, altrimenti, sarebbe accusato di avere dichiarato che Maometto è un falso profeta;

    nell'apice degli scontri sul caso Asia Bibi, le chiese hanno chiesto a tutti i cristiani di non parlare della propria fede con i musulmani e hanno deciso di non diffondere in nessun modo il cristianesimo, anche se la Costituzione lo consente come diritto;

    San Giovanni Paolo II sosteneva che «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese»: se in una nazione non viene rispettata la libertà religiosa, difficilmente saranno rispettati anche gli altri diritti della persona;

    per la sua importanza per la sicurezza e la stabilità dell'ordinamento internazionale, numerose dichiarazioni e convenzioni ne incoraggiano la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e degli organismi internazionali;

    il diritto alla libertà religiosa è tutelato, tra le altre, dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ed inteso come il diritto di ogni individuo alla libertà di cambiare di religione o credo, di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti;

    la Costituzione pakistana del 1973 stabilisce, nel suo preambolo ed agli articoli 20, 21 e 22, che tutti i cittadini godono della libertà di praticare e professare liberamente la religione che desiderano. Tuttavia, il diritto alla libertà religiosa è considerevolmente limitato dalle previsioni costituzionali che non considerano gli appartenenti alle minoranze religiose cittadini pieni al pari dei musulmani. Vale la pena citare, a titolo di esempio, l'articolo 41.2 afferma che il Capo dello Stato deve essere un musulmano e l'articolo 91.3 stabilisce che anche il Primo Ministro deve essere musulmano;

    da un punto di vista politico, invece, il cosiddetto sistema di «elettorato separato» ammette esplicitamente la rappresentanza politica delle minoranze religiose nelle assemblee elette del Paese: secondo questo schema, dieci seggi del Parlamento federale sono riservati alle minoranze religiose, che tuttavia in questo modo sono considerate come un qualcosa di distinto dal resto della nazione. All'inizio del gennaio del 2018, gli Stati Uniti hanno posto il Pakistan in una «watch list» speciale di Stati in cui avvengono gravi violazioni della libertà religiosa, insieme a nazioni come la Birmania, la Cina, l'Iran, la Corea del Nord e l'Arabia Saudita;

    il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, poi, ha sospeso gli aiuti Usa al Pakistan per l'anno fiscale 2018, circa 3 miliardi di dollari statunitensi, fino a quando il governo pachistano non otterrà maggiori risultati nella lotta contro le organizzazioni terroriste islamiste attive nel Paese, le cui azioni incidono anche sul livello di sicurezza in Afghanistan;

    il 20 aprile 2021, Asia Bibi ha lanciato questo appello al primo ministro pakistano Pag. 55 Imran Khan: «Abolisca la legge sulla blasfemia o ne impedisca l'abuso», definendola «una spada nelle mani della maggioranza del Paese, composta per il 95 per cento da musulmani». Asia Bibi poi ha chiesto «alla comunità internazionale e alle autorità in Pakistan di far rispettare il diritto alla libertà religiosa»,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni opportuna iniziativa affinché il Pakistan proceda all'abrogazione delle disposizioni normative che prescrivono pene per presunti atti di blasfemia;

   a definire l'erogazione di aiuti e contributi finanziari al Pakistan anche sulla base delle condizioni in cui versano le minoranze religiose;

   ad adottare ogni utile iniziativa, anche normativa, per ricomprendere l'effettivo rispetto della libertà religiosa tra i criteri tenuti in considerazione per la concessione di aiuti a Paesi terzi;

   ad inserire il tema del rispetto effettivo della libertà religiosa tra gli argomenti da trattare nel corso degli incontri ufficiali tra il Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale con gli omologhi degli Stati in cui sono presenti discriminazioni di carattere religioso;

   a prevedere che una parte degli aiuti economici destinati agli Stati dove non viene pienamente garantita la libertà di religione sia destinata a progetti specifici che favoriscano l'emancipazione, l'accesso all'istruzione, alla formazione professionale e alla casa per le minoranze religiose.
(8-00111) «Delmastro Delle Vedove».

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ALLEGATO 2

Risoluzione n. 7-00645 Quartapelle Procopio: Sulla tutela della libertà religiosa in Pakistan.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

   La III Commissione,

   premesso che:

    in questi giorni, Asia Bibi – la donna pakistana che ha trascorso quasi dieci anni in carcere con l'accusa di blasfemia, divenuta simbolo della persecuzione contro i cristiani in Pakistan –, ha lanciato un appello al Primo ministro pakistano Imran Khan: «Abolisca la legge sulla blasfemia o ne impedisca l'abuso», definendola «una spada nelle mani della maggioranza del Paese, composta per il 95 per cento da musulmani. Noi cristiani siamo perseguitati da questa legge del codice penale pakistano» e ha chiesto «alla comunità internazionale e alle autorità in Pakistan di far rispettare il diritto alla libertà religiosa»;

    la presenza dei cristiani in Pakistan rappresenta una minoranza: su circa 180 milioni di abitanti, sono in 4 milioni a professare la fede cristiana rappresentando quindi il 2 per cento di tutto il territorio nazionale. Ancor di meno i cattolici che si contano in un numero che si aggira intorno a un milione;

    il Pakistan è firmatario della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e ha ratificato il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr) nel 2010. È, pertanto, tenuto, ai sensi dell'articolo 18, a garantire la libertà di pensiero, di coscienza e di religione al suo popolo. Inoltre sebbene l'articolo 2 della Costituzione pachistana del 1973 affermi che «l'Islam è la religione di Stato del Pakistan», lo stesso documento garantisce formalmente anche i diritti delle minoranze religiose. Purtroppo, lo status delle minoranze religiose è ulteriormente influenzato dalle cosiddette «leggi sulla blasfemia» del Pakistan, introdotte tra il 1982 e il 1986, una serie di emendamenti al codice penale pachistano, che limitano fortemente la libertà di religione e di espressione. I reati punibili includono la «profanazione» del Corano e le offese al Profeta Maometto, che comportano rispettivamente come pena massima l'ergastolo e la condanna a morte. Poiché il concetto di «blasfemia» è piuttosto ampio, la norma viene facilmente usata in modo improprio per sanzionare vari tipi di condotta, inclusa l'irriverenza verso persone, oggetti di culto, costumi e credenze;

    le accuse di blasfemia vengono mosse sia contro i musulmani, che contro i membri delle minoranze religiose. Tuttavia, quando il presunto colpevole è un non musulmano, le accuse sfociano spesso in linciaggi, attacchi di folle ai danni di interi quartieri e uccisioni extragiudiziali. Inoltre, il numero di appartenenti alle minoranze che sono stati accusati di blasfemia è altamente sproporzionato rispetto alla loro percentuale sulla popolazione;

    le minoranze pakistane, inclusi gli indù, i cristiani e i sikh, sono state spesso prese di mira grazie alle rigide leggi sulla blasfemia. Le donne appartenenti ai gruppi minoritari sono il gruppo più vulnerabile in Pakistan, e, difatti, sono diventati all'ordine del giorno rapimenti forzati, stupri, conversioni forzate, matrimoni forzati;

    anche la tutela legale di queste persone risulta complessa e imbavagliata: le difficoltà per la difesa riguardano, in particolare, la clausola che specifica che la menzione o la ripetizione del contenuto blasfemo stessa costituisce una bestemmia, Pag. 57 impedendo così una linea difensiva efficace;

    la pandemia COVID-19 ha ulteriormente acuito la situazione della discriminazione religiosa. Vi sono state numerose segnalazioni di pacchi, viveri e dispositivi di protezione individuale negati a indù e cristiani. Stando a quanto riportato nel report della fondazione pontificia «Aiuto alla Chiesa che Soffre», nella zona di Korangi, a Karachi, i cristiani locali sarebbero stati costretti a recitare la kalima, la dichiarazione di fede islamica, per poter ricevere gli aiuti. Dal momento che si sono rifiutati, sono stati loro negati i beni di prima necessità. Al contrario, la Chiesa cattolica ha distribuito cibo e beni di prima necessità a tutti i bisognosi, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Per quanto riguarda le misure relative al COVID-19, mentre chiese e templi nel Punjab e nel Sindh sono stati chiusi volontariamente dai rispettivi leader religiosità seguito di un aumento delle infezioni, le moschee sono rimaste aperte;

    inoltre, la crisi economica peggiorata da quella sanitaria, ha amplificato ancora le diseguaglianze sociali e religiose. Da una intervista alla stampa, Aneeqa A (nome di fantasia), avvocato pachistano che da tempo collabora con ADF International, organizzazione cristiana di patrocinio legale in prima linea per difendere la libertà religiosa ovunque nel mondo, ha affermato: «La gente è così disperata che è costretta a scambiare la religione professata in cambio di cibo. Le persone sono costrette a convertirsi all'islam solo per un sacco di farina»;

    a tutto ciò, si somma, il fenomeno, in costante aumento, delle conversioni e dei matrimoni forzati di ragazze o bambine cristiane e indù. Reati che dovrebbero essere perseguiti in base al Child Marriage Restraint Act del 2014 – che fissa l'età minima per sposarsi a 18 anni per i ragazzi, 16 anni per le ragazze –, la cui applicazione tuttavia è spesso ostacolata dalle forze di polizia e da membri dell'autorità giudiziaria in forza di consuetudini sociali e tribali. Il Pakistan è uno dei Paesi al mondo in cui il fenomeno delle spose bambine è più diffuso: in base ai dati dell'Unicef relativi al 2018, il 18 per cento delle ragazze pakistane che nel 2018 avevano tra i 20 e i 24 anni si sono sposate prima dei 18 anni, di cui il 4 per cento prima dei 15 anni. La provincia del Sindh è quella con il numero più elevato di nozze infantili: la percentuale si attesta intorno al 72 per cento per le ragazze, 25 per cento per i ragazzi;

    l'educazione scolastica è un altro ambito in cui si è registrato un aumento delle accuse di blasfemia e delle violenze contro le minoranze. Nello studio «Educazione e Libertà Religiosa», la Commissione nazionale giustizia e pace della Conferenza episcopale cattolica del Pakistan ha rilevato come i programmi scolastici e universitari promuovano la discriminazione contro i non musulmani;

    secondo il Rapporto, «imprecisioni fattuali, revisionismo storico e omissioni facilmente riconoscibili insegnano una versione della storia decisamente monolitica, rafforzano gli stereotipi negativi e creano una narrativa ostile nei confronti delle minoranze religiose»;

    sempre secondo il rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2021, pubblicato dalla fondazione pontificia «Aiuto alla Chiesa che Soffre», in 26 Paesi del mondo, la libertà religiosa è soffocata dalla persecuzione. In particolare, viene evidenziato che, in una nazione su tre, si registrano gravi violazioni della libertà religiosa. Secondo lo studio, questo diritto fondamentale non è stato rispettato in 62 dei 196 Paesi sovrani (31,6 per cento del totale) nel biennio 2018-2020. Il Pakistan è uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata. Si colloca al 5° posto nel ranking della «World Watch List 2020», l'annuale rapporto della Ong Porte Aperte sulla libertà religiosa dei cristiani nel mondo, che fotografa la classifica dei primi 50 Paesi dove più si perseguitano i cristiani;

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    nel 2020 il Governo pakistano ha creato una Commissione nazionale sulle minoranze (Ncm). Il provvedimento è stato sollecitato da un'ordinanza della Corte suprema del Pakistan che, nel giugno 2014, aveva chiesto di istituire un'agenzia per la tutela delle minoranze, in seguito al tragico attacco contro la chiesa di Ognissanti di Peshawar avvenuto nel settembre 2013. Nel maggio 2020, il Ministero degli affari religiosi e dell'armonia interreligiosa ha ratificato la ricostituzione della Commissione nazionale sulle minoranze, che ha il mandato di assicurare che i luoghi di culto delle comunità non musulmane siano preservati e mantenuti in condizioni funzionali. Tuttavia, lo status della Commissione è incerto, poiché si tratta semplicemente di un organismo istituito ad hoc dal gabinetto federale e non di un organismo stabilito da un'apposita legge, pertanto i suoi poteri sono limitati;

    nell'ottica di arginare il fenomeno delle conversioni forzate, nel 2020, il Senato pachistano ha iniziato a valutare il reato attraverso il proprio comitato permanente per la protezione delle minoranze dalle conversioni forzate, che, dal luglio dello stesso anno, ha incominciato ad esaminare la questione. La «Legge sulla protezione dei diritti delle minoranze» – il cui disegno di legge era stato presentato ad agosto 2020 dal senatore Javed Abbasi, membro della Pakistan Muslim League N. – è stata presentata in Senato, ma il Comitato permanente per gli affari religiosi e l'armonia interreligiosa l'ha respinta un mese dopo, con la motivazione che «alle minoranze in Pakistan sono già stati concessi diversi diritti». Il disegno di legge è stato più volte presentato in Senato e all'Assemblea nazionale, ma, alla data del marzo 2021, non è stato ancora approvato. Il testo contiene una serie di misure per tutelare le minoranze: afferma che discorsi di odio e materiale offensivo contro le minoranze religiose non possono far parte dei libri di testo scolastici, e suggerisce che il Governo fornisca protezione e assistenza a qualsiasi persona costretta a una «conversione forzata», stabilendo pene fino a sette anni di carcere per i rapimenti e le conversioni forzate di ragazze delle minoranze. La proposta di legge, inoltre, considera «matrimonio forzato» quello interreligioso tra un uomo musulmano e una minorenne di altra religione, e dunque lo ritiene «nullo», prevedendo pene per quanti organizzano tali matrimoni;

    il leader cristiano Aftab Alexander Mughal, direttore del magazine «Minority concern» ha denunciato che «Dall'agosto 2018, da quando il Primo Ministro Imran Khan ha preso il potere, almeno 31 membri delle comunità di minoranze sono stati uccisi, 58 sono stati feriti in attacchi mirati e 25 casi di blasfemia sono stati registrati, mentre almeno sette luoghi di culto delle minoranze hanno subito attacchi o intimidazioni»;

    secondo il Centro per la giustizia sociale in Pakistan, almeno 1.855 persone sono state accusate in base alle leggi sulla blasfemia tra il 1987 e il febbraio 2021, con il maggior numero di accuse nel 2020. Tra queste, la coppia pakistana Shagufta Kausar e Shafqat Emmanuel è stata condannata a morte per blasfemia nel 2014, sulla base di prove che possono essere considerate profondamente insufficienti ed è detenuta in carcere in attesa di una sentenza del tribunale sul ricorso contro la loro condanna a morte che doveva essere esaminato nell'aprile 2020, sei anni dopo la condanna, ma è stato rinviato più volte, da ultimo il 15 febbraio 2021;

    il Parlamento europeo ha approvato il 29 aprile 2021 una risoluzione del Parlamento europeo sulle leggi sulla blasfemia in Pakistan, in particolare il caso di Shagufta Kausar e Shafqat Emmanuel,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni iniziativa, bilaterale con il Pakistan e nei consessi europei ed internazionali, utile per favorire il rilascio di Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar e la revoca della loro condanna a morte;

   ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché il Pakistan abroghi le cosiddette leggi sulla blasfemia e garantisca la Pag. 59libertà di religione o di credo, la libertà di parola e di espressione e i diritti delle persone appartenenti a minoranze quali diritti umani sanciti dalla Costituzione pakistana, nonché pervenga alla definitiva approvazione la «legge sulla protezione dei diritti delle minoranze»;

   a rispondere positivamente, nel quadro del coordinamento UE in loco, all'invito del Parlamento europeo di fornire, attraverso il personale diplomatico, protezione e sostegno a Shagufta Kausar e Shafqat Emmanuel, anche presenziando ai processi, chiedendo visite in carcere e sollecitando costantemente e risolutamente le autorità coinvolte nel caso.
(8-00112) «Quartapelle Procopio».

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ALLEGATO 3

Risoluzione n. 7-00629 La Marca: Su iniziative per il rafforzamento e la semplificazione dei servizi consolari.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

   La III Commissione,

   premesso che:

    i cittadini italiani all'estero iscritti all'Aire sono attualmente 5,6 milioni, mentre quelli che nel 2020 sono risultati iscritti negli elenchi consolari sono 6.093.729, una cifra che supera i 6,2 milioni, se si aggiungono coloro che di fatto si trovano all'estero senza avere formalizzato la loro condizione: in percentuale, all'incirca, il 10 per cento della popolazione risiede oltre i confini nazionali;

    la comunità italiana nel mondo, per la lunga sedimentazione dell'emigrazione storica e per gli apporti derivanti dai nuovi flussi in uscita, che si avvicinano ormai ai livelli dei primi decenni del secondo dopoguerra, è dispersa in 236 Paesi del mondo; calcolando solo i partenti nel 2020, sono stati 186 i Paesi verso i quali essi si sono diretti. Inoltre, soprattutto nelle realtà di più ampia consistenza territoriale, le comunità di connazionali sono distribuite in grandi spazi, spesso distanti centinaia di chilometri tra loro e separate da ore di aereo;

    tale consistente massa di connazionali esprime una crescente domanda di servizi che si rivolge alle strutture amministrative decentrate dello Stato, presenti in consolati e ambasciate, che prestano assistenza anche alle imprese – in particolare a quelle piccole e medie che sono il tessuto più diffuso del nostro articolato sistema di internazionalizzazione commerciale –, ai protagonisti delle «nuove mobilità», ai viaggiatori per turismo, ai giovani che studiano e si specializzano all'estero e ai professionisti che si muovono con sempre maggiore frequenza nella sfera globale;

    questa articolata presenza si rapporta all'estero, oltre che con 128 ambasciate, con 9 consolati generali di prima classe, 60 consolati generali, 2 consolati di prima classe, 20 consolati, 1 vice consolato, 1 ufficio di promozione economica, commerciale e culturale;

    la rete amministrativa all'estero, di per sé insufficiente ed esposta, per altro a riduzione in conseguenza delle politiche di contenimento della spesa adottate nell'ultimo decennio, sarebbe di per sé inadeguata ai compiti se non fosse supportata da una rete consolare onoraria, a sua volta articolata in oltre 500 uffici, di cui poco più di 350 effettivamente in funzione in quanto dotati di un titolare effettivo;

    la forbice tra la domanda di servizi da parte di cittadini e imprese e l'offerta che avviene tramite la rete consolare si è allargata non solo per la progressiva dilatazione della comunità italiana nel mondo e per il moltiplicarsi dei compiti che sono assegnati ai consolati in base allo sviluppo di specifiche normative, ma anche per la riduzione delle risorse umane dovuta al contingentamento del turn over del personale, che ha portato, dal 2009 al 2019, a una contrazione della pianta organica per le sole aree funzionali da 3.657 unità a 2.575 (-29,5 per cento);

    i programmi di digitalizzazione dei servizi amministrativi, di cui l'Amministrazione si è fatta promotrice in una prospettiva di costante rafforzamento di tale modalità di relazione con l'utenza e di trattamento delle pratiche, alla prova dei fatti, non hanno reso più agevole l'accesso degli utenti ai consolati, come le diffuse criticità dei sistemi di prenotazione online dimostrano, né hanno finora consentito una riduzione dei tempi di erogazione dei servizi, soprattutto per i vuoti seri e diffusi di personale nelle piante organiche;

    le regole volte alla prevenzione del contagio da COVID-19, imposte praticamente Pag. 61in tutti i Paesi dove sono presenti le maggiori comunità italiane, hanno ristretto ulteriormente le possibilità di accesso ai consolati e di fruizione dei servizi in tempi compatibili con le necessità anche ordinarie, quali, ad esempio, il rinnovo di un passaporto e dei documenti di identità anagrafica;

    il concorso di queste situazioni induce a valorizzare e a rafforzare la rete di supporto degli incarichi onorari per una triplice ragione: i titolari di tali funzioni prestano la loro attività a titolo gratuito, ricevendo solo il rimborso delle spese di funzione realmente sostenute; la rete onoraria è quella di maggiore prossimità per l'utenza e in genere consente un accesso diretto, semplificato e abbastanza fluido al servizio; tale rete, inoltre, è distribuita sul territorio e almeno per alcune essenziali funzioni consente agli utenti di risparmiare viaggi e permanenze presso le sedi consolari di riferimento;

    l'esperienza accumulata dai consoli onorari, che in genere possano accettare tale incarico non retribuito in una fase avanzata della loro vita, viene spesso vanificata dal fatto che, al compimento del settantesimo anno di età, è prevista l'interruzione dell'incarico, con conseguente dispersione di esperienze e prolungato decorso di tempo fino alla nomina di un nuovo responsabile;

    le risorse intestate nel bilancio preventivo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per i contributi alla rete consolare onoraria (cap. 1284), secondo i firmatari del presente atto, sono insufficienti; si rileva ad esempio che nel 2019 la dotazione iniziale prevista nel suddetto capitolo di bilancio è stata di circa 200.000 euro: un livello del tutto inadeguato, che annualmente deve essere reintegrato con spostamenti interni di bilancio che naturalmente sottraggono risorse ad altre voci e ritardano l'erogazione degli stessi contributi,

impegna il Governo:

   a valutare l'utilità sul piano degli interessi generali di un maggiore riconoscimento della rete consolare onoraria, dando ai consoli l'indicazione di definire, rispetto alla specificità delle singole circoscrizioni di competenza, le modalità di un più stabile, fluido e dialogante rapporto con le figure onorarie, strutturando e semplificando l'interazione con gli uffici, anche con numeri telefonici dedicati e funzionari di costante riferimento, promuovendo riunioni periodiche con gli interessati, favorendo indicazioni operative più continue e certe e dando indirizzi di formazione soprattutto sulle procedure amministrative più difficili;

   a considerare l'opportunità di adottare iniziative di competenza per adeguare ai più numerosi e complessi compiti, nei prossimi bilanci del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale il capitolo di bilancio per contributi destinati ai consolati onorari rendendo strutturale la spesa impegnata ed elevando la dotazione attualmente prevista per il cap. 1284;

   a valutare l'opportunità di avviare la procedura di nomina degli incarichi onorari più necessari e urgenti fra quelli vacanti negli uffici attualmente riconosciuti, in modo da non lasciare le relative comunità italiane senza il riferimento più agibile sul piano territoriale;

   a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative per promuovere una modifica dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 in materia di ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri, relativo al limite di età compatibile con la nomina a tale incarico;

   ad adottare iniziative per estendere la fornitura di dispositivi per la rilevazione delle impronte biometriche ai consoli e vice consoli che ne siano ancora sprovvisti, iniziando da coloro che operano nelle aree più distanti e/o meno collegate con le sedi dei consolati;

   a considerare di adottare iniziative per procedere a una semplificazione della modulistica attualmente in vigore per la rendicontazione;

   a verificare la possibilità, tenuto presente quanto al precedente secondo punto, di anticipare per quanto possibile l'invio dei contributi destinati alla rete consolare.
(8-00113) «La Marca, Schirò».

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ALLEGATO 4

Risoluzione n. 7-00647 Fassino: Sull'integrazione dei Paesi dei Balcani Occidentali nelle istituzioni euro-atlantiche.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

   La III Commissione,

   premesso che:

    i Balcani occidentali sono parte integrante del continente europeo, della sua storia, delle sue civiltà. Lo sono stati nei secoli, lo sono oggi. Tutto ciò che accade nei Balcani ha un impatto sulla vita dell'Europa, e reciprocamente, ogni dinamica europea investe anche la regione balcanica;

    fin dagli Accordi di Dayton la prospettiva dell'integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche era stata indicata come la chiave per dare stabilità ai Balcani Occidentali, storicamente percorsi da guerre e aspri conflitti;

    con la integrazione europea, popoli e nazioni dei Balcani – superando secoli di conflitti – sono sollecitati a pensare e costruire il proprio futuro «non contro il vicino, ma con il vicino»;

    la prospettiva europea è stata formalmente assunta dal Consiglio europeo nel 2003 a Salonicco e ripetutamente confermata anno dopo anno, fino alla Dichiarazione di Zagabria del maggio 2020;

    l'ingresso della Slovenia nell'Unione europea nel 2004 e dei Paesi dei Balcani Orientali (Romania e Bulgaria) nel 2007 e la decisione della Nato di aprire le porte ai Paesi della regione avevano suscitato nelle capitali dei Balcani Occidentali l'aspettativa di una rapida integrazione;

    al fine di accompagnare e preparare il processo di adesione sono state attivate istituzioni di cooperazione regionale, quali Iniziativa centro europea (In.C.E.), Iniziativa Ionico-Adriatica, Processo di Berlino e creato, con la strategia UE per la Regione Adriatico e Ionica (Eusair) uno strumento di sostegno finanziario a politiche di modernizzazione e sviluppo della regione;

    rispettivamente dal 2012 e dal 2014, la Commissione ha avviato negoziati di adesione, con Montenegro e Serbia, che tuttavia – soprattutto con Belgrado – procedono con lentezza;

    l'accordo intervenuto tra Skopje e Atene per la denominazione «Macedonia del Nord» rappresenta un positivo contributo alla stabilità della regione, aprendo la strada alla integrazione europea dello Stato nord-macedone di Skopje;

    nonostante nel marzo 2020 il Consiglio europeo abbia autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati con Albania e Nord Macedonia, le Conferenze intergovernative di avvio dei negoziati non sono state finora convocate a causa di un veto della Bulgaria nei confronti della Macedonia del Nord;

    per superare il conflitto tra Serbia e Kosovo, l'Unione europea ha nominato un Inviato speciale con l'obiettivo di giungere ad una normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina, passaggio essenziale per l'integrazione europea dei due Paesi;

    la Bosnia Erzegovina ha presentato domanda per passare dallo status di «potenziale candidato» allo status di «candidato», impegnandosi alle riforme costituzionali e politiche necessarie a tale scopo;

    la Commissione europea ha dichiarato che il Kosovo ha adempiuto alle condizioni necessarie alla liberalizzazione dei visti;

    la Commissione europea ha dichiarato che il Kosovo ha adempiuto alle condizioni necessarie alla liberalizzazione dei visti;

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    le politiche attuate da Unione europea e Nato dalla Pace di Dayton ad oggi hanno consentito di avviare i Balcani sulla strada della pace, della stabilità e della crescita economica;

    all'impegno internazionale per la stabilità della regione l'Italia ha dato e continua a dare un significativo contributo con la partecipazione alle missioni KFOR e EUFOR-Althea, con l'assistenza civile, con programmi di cooperazione economica e di intense relazioni politiche;

    tuttavia le tante turbolenze vissute dall'Europa – la crisi «greca», la Brexit, l'emergenza migratoria, le troppe instabilità nel Mediterraneo, il conflitto russo-ucraino, le divaricazioni tra i Paesi europei sulle politiche di bilancio e, da ultimo anche la grave crisi pandemica – hanno indotto a dilazionare nel tempo l'ingresso di nuovi Paesi: i negoziati con Serbia e Montenegro sono ancora lontani da una conclusione, bloccato l'avvio dei negoziati con Albania e Nord Macedonia, indefinite le prospettive di integrazione di Bosnia-Erzegovina e Kosovo;

    il tempo ormai trascorso – ventisei anni da Dayton e diciotto da Salonicco – suscita sentimenti di delusione e frustrazione non solo nelle cancellerie governative, ma soprattutto nelle opinioni pubbliche, rischiando che si rallentino i processi di riforma necessari all'adozione di standard europei e all'acquis communautaire e tornino a manifestarsi pulsioni nazionalistiche che già tante tragedie hanno causato in passato;

    nei Balcani occidentali sono nate e cresciute generazioni di giovani che si sentono e vogliono essere europei e che guardano con speranza all'Unione europea che a quelle aspettative e a quei sogni deve offrire un futuro di crescita e prosperità;

    è stato diffuso nelle settimane scorse un non-paper, di cui non sono noti gli autori, ma che rappresenta un pericoloso campanello di allarme, che propone di sovvertire i delicati assetti costruiti dopo Dayton, tracciando nuovi confini, spartendo territori, riorganizzando l'intera regione in tre nazioni etniche: la grande Serbia, la grande Croazia, la grande Albania. Progetto che, se attuato, precipiterebbe i Balcani ancora una volta in sanguinosi e devastanti;

    cresce nella regione la presenza di altri player: la Cina considera i Balcani come il terminale adriatico della nuova Via della seta; Russia e Turchia puntano a rivitalizzare i legami derivanti dall'appartenenza della regione agli imperi russo e ottomano; gli Emirati Arabi Uniti si propongono come tutori delle presenze islamiche della regione. E con l'Amministrazione Biden torna una attenzione strategica Usa alla regione, tanto più nel momento in cui la Nato ha integrato cinque dei sette Stati balcanici. Uno scenario che deve sollecitare l'Unione europea a uscire da incertezze e ambiguità perché ogni spazio non coperto dalla Unione europea rischia di essere immediatamente riempito da altri, come è successo sui vaccini, per il cui approvvigionamento alcuni Paesi balcanici si sono rivolti a Russia e Cina;

    è decisivo che i Paesi che aspirano all'adesione attuino con determinazione e tempestività quelle riforme di adeguamento agli standard e ai valori dell'Unione europea su Stato di diritto, libertà dei media, indipendenza della magistratura, lotta alla corruzione, tutela delle minoranze. Così come altrettanto rilevante è che nei Paesi dei Balcani occidentali la dialettica politica interna, le normative elettorali, i rapporti tra maggioranza e opposizione siano improntati agli standard europei di reciproco riconoscimento e di rispetto della volontà popolare;

    le riforme richieste ai Paesi balcanici richiedono anche da parte dell'Unione europea un cambio di passo, con segnali chiari di determinazione nella volontà di integrazione, mentre ogni segnale di incertezza fornirebbe alibi al rallentamento dei processi riformatori;

    un cambio di passo da parte dell'Unione europea è tanto più necessario per far fronte alle conseguenze di COVID-19: i Balcani occidentali devono essere parte dello spazio europeo di approvvigionamento dei Pag. 64vaccini; Next Generation EU deve essere riferimento anche per i Paesi dei Balcani occidentali; tutte le decisioni della Commissione europea sulle migrazioni e sull'asilo devono tenere conto dei Paesi della regione, superando i drammi della rotta balcanica. La Conferenza sul futuro dell'Europa offre da questo punto di vista un'occasione proficua per integrare tali Paesi in una riflessione decisiva per il futuro di tutto il continente;

    la NATO ha svolto e continua a svolgere un ruolo vitale per la pace e la sicurezza nei Balcani occidentali; per sostenere la ricostruzione, il rafforzamento delle istituzioni pubbliche, la riforma del settore della sicurezza, perseguendo una strategia volta ad assicurare la rapida integrazione dei Paesi della regione balcanica nella propria architettura di sicurezza ed economico-politica;

    l'assistenza politica, militare ed economica e, da ultimo, sanitaria, assicurata dalla Nato ha consentito di completare un gran numero di progetti per sostenere la ricostruzione, lo sminamento, lo smaltimento di munizioni, il rinnovamento di basi militari abbandonate, così come progetti per aiutare la riforma del settore della sicurezza e una più ampia efficacia e trasparenza istituzionale dei Governi. Particolare attenzione è stata prestata al contrasto all'influenza russa e cinese e alla presenza di foreign fighters nella regione;

    l'Italia è da sempre sostenitrice dell'integrazione europea dei Balcani occidentali sia per gli stretti legami storici, economici, culturali e politici che il nostro Paese ha con la regione, sia perché fortemente convinta che la stabilità e la prosperità dei Balcani siano nell'interesse dell'Europa;

    l'integrazione europea dei Balcani occidentali è sostenuta unanimemente da tutte le forze politiche presenti nel Parlamento, italiano come dimostra l'approvazione unanime della risoluzione n. 8-00031 sull'integrazione dei Balcani occidentali nelle istituzioni euro-atlantiche;

    la III Commissione della Camera dei deputati ha sviluppato una intensa collaborazione con le analoghe istituzioni parlamentari dei Paesi balcanici e dei Paesi dell'Unione europea, sottolineando così quanto l'Italia voglia essere partner e sponsor dell'integrazione europea dei Balcani occidentali;

    la stessa Commissione ha promosso il 26 aprile 2021 un Seminario interparlamentare sulle prospettive di integrazione dei Balcani occidentali in un mondo multipolare, che ha visto la partecipazione dei presidenti delle Commissioni Esteri di 17 Paesi, del Commissario dell'Unione europea all'allargamento, del Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, del Segretario Generale del Servizio europeo per l'azione esterna, dei rappresentanti europei nei Balcani e dei Segretari Generali dell'Ince e della Iniziativa Ionico-Adriatica e la cui Dichiarazione finale sollecita l'Unione europea ad una accelerazione del processo di integrazione;

    in vista della riunione del Consiglio Affari esteri prevista per il prossimo 10 maggio, al cui ordine del giorno è prevista una riflessione sull'importanza geopolitica dei sul processo di integrazione dei Paesi dei Balcani occidentali per l'Unione Europea,

impegna il Governo:

   a ribadire e sostenere in ogni sede iniziative per integrazione dei Balcani occidentali nelle istituzioni euroatlantiche;

   ad adottare iniziative volte a sollecitare la Commissione europea ad accelerare i negoziati di adesione di Serbia e Montenegro;

   ad adottare iniziative per promuovere la convocazione delle Conferenze intergovernative per l'avvio dei negoziati con Albania e Nord Macedonia, facendo appello alla Bulgaria a rimuovere la sua contrarietà all'apertura dei negoziati con Skopje incoraggiando tutti i Paesi della regione a contribuire a creare un clima costruttivo e favorevole al negoziato;

   a sostenere il riconoscimento la concessione dello status di «candidato» alla Bosnia;

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   a promuovere ogni iniziativa utile alla normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo;

   a chiedere al Consiglio europeo di considerare la proposta della Commissione di liberalizzare i visti di circolazione per i cittadini del Kosovo;

   a promuovere nella sede della Conferenza sul futuro dell'Europa forme di coinvolgimento delle istituzioni e delle opinioni pubbliche dei Balcani occidentali;

   a favorire la inclusione dei Paesi dei Balcani occidentali nello spazio europeo di approvvigionamento dei vaccini;

   ad adottare iniziative volte a sollecitare i Paesi dei Balcani occidentali ad armonizzare i loro programmi di investimento ai settori strategici (climate change, infrastrutture, digitalizzazione, innovazione, formazione) indicati nel Recovery Plan;

   a coinvolgere i Paesi della cosiddetta «rotta balcanica» nel dibattito sul «Nuovo patto per l'immigrazione e l'asilo» proposto dalla Presidente Von der Leyen;

   a sostenere le iniziative promosse dall'Ince, dall'Iniziativa Ionico-Adriatica, dal Processo di Berlino e i programmi di Eusair;

   a sostenere con iniziative di carattere diplomatico un rilancio del ruolo della Nato volto in particolare a favorire una maggiore cooperazione tra la Bosnia Erzegovina e l'Alleanza nel contesto della politica della porta aperta della NATO.
(8-00114) «Fassino».

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ALLEGATO 5

Sugli esiti del Seminario istituzionale in videoconferenza «Balcani Occidentali: tra multipolarismo e processo di integrazione europea», svolto il 26 aprile 2021.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

  Nell'intervento introduttivo il Presidente Fassino ha sottolineato che l'integrazione europea dei Balcani occidentali è una priorità non solo per l'Italia – da sempre fortemente legata ai Paesi della regione – ma una priorità strategica dell'agenda europea e che è necessario imprimere una accelerazione ad un cammino che, se troppo lungo, rischia di frustrare aspettative e far riemergere antiche tensioni.
  Quando 26 anni fa con la pace di Dayton si mise fine alle guerre balcaniche, la comunità internazionale indicò nella integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche l'obiettivo strategico per dare stabilità e sicurezza ai Balcani e alle nuove nazioni sorte sulle ceneri della Jugoslavia. Un impegno assunto formalmente dall'Unione europea con il Consiglio europeo di Salonicco.
  Ha ricordato che l'ingresso della Slovenia e dei Paesi dell'Europa centrale nel 2004 suscitò nei Balcani l'aspettativa di una rapida integrazione; aspettativa alimentata anche dalla decisione della NATO di aprire le sue porte ad alcune nazioni della regione.
  La crisi economica che ha colpito l'Europa dal 2008 al 2015 e le molte turbolenze vissute in questi anni dall'Unione Europea – da Brexit alle divergenze sulle politiche di bilancio, dalla crisi Ucraina alla emergenza migranti – hanno via via dilazionato nel tempo l'accoglimento delle nazioni balcaniche. Ha rilevato che le istituzioni europee hanno ribadito costantemente l'obiettivo dell'integrazione dei Balcani occidentali e sono state messe in campo iniziative di cooperazione regionale – dall'INCE alla IAI, dall'Eusair al Processo di Berlino – per accompagnare e preparare l'integrazione.
  Tuttavia, sarebbe un errore sottovalutare i sentimenti di delusione e frustrazione suscitati dal decorrere del tempo. Ha segnalato che in questi giorni circola nelle cancellerie europee un non paper anonimo che propone di scardinare i delicati equilibri del post Dayton, scambiare territori, tracciare nuovi confini, riconsegnando i Balcani ai nazionalismi che già tante tragedie hanno provocato in quelle terre. Nessuno ha rivendicato la paternità di quella proposta, ma il solo fatto che sia stata messa in circolazione deve suonare come un campanello di allarme.
  Ha evidenziato che per secoli ciascun popolo balcanico ha pensato il suo futuro contro il vicino. L'integrazione europea offre la possibilità di ribaltare questa visione sollecitando ogni nazione dei Balcani a costruire il proprio futuro insieme al vicino.
  Ha sottolineato, altresì, che grazie all'integrazione la Serbia può legarsi all'Europa, sanando le ferite del '99; Skoplje e Atene hanno messo fine a un conflitto che durava da trent'anni e nella stessa direzione Pristina e Belgrado, grazie alla mediazione europea, potranno normalizzare i loro rapporti. E l'integrazione europea è essenziale per consentire alla Bosnia Erzegovina di consolidare la sua identità statuale pluricomunitaria, sempre esposta a rischi di separazioni.
  Ha ricordato che, sollecitati dalle richieste dell'Unione europea, tutti i Paesi della regione saranno spinti a realizzare le riforme in materia di Stato di diritto, indipendenza della magistratura e dell'informazione, lotta alla corruzione, tutela delle minoranze. Riforme necessarie per superare l'aspra conflittualità che spesso turba la vita politica interna di quei Paesi. Ma tutto ciò rischia di essere vanificato se al Pag. 67cammino dell'integrazione non si offrono tempi certi.
  Ha evidenziato, quindi, l'opportunità di un cambio di passo e un'accelerazione del processo di integrazione dei Balcani occidentali con una road map che preveda la ripresa dei negoziati avviati con Montenegro e Serbia, la convocazione delle Conferenze intergovernative per avviarli con Albania e Macedonia del Nord – superando l'ostilità della Bulgaria –, il riconoscimento alla Bosnia-Erzegovina dello status di candidato e l'indicazione di una prospettiva europea per il Kosovo, con atti di inclusione come la liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari.
  Un cambio di passo è tanto più necessario per far fronte alle sfide comuni: per sconfiggere Covid-19 i Balcani occidentali devono essere parte dello spazio europeo di approvvigionamento dei vaccini.
  I programmi europei su green economy, digitalizzazione, ricerca e innovazione, modernizzazione infrastrutturale siano riferimento anche per il rilancio economico dei Paesi dei Balcani occidentali, così come il «Nuovo patto per le migrazioni e l'asilo» proposto dalla Commissione Europea deve coinvolgere i Paesi della regione, facendoli uscire dai drammi della rotta balcanica.
  Ha rilevato, peraltro, che le tante turbolenze che percorrono il Mediterraneo orientale e la crescente presenza nella regione di altri attori internazionali – dalla Cina alla Russia, dalla Turchia agli Emirati arabi – sollecitano un pieno coinvolgimento dei Balcani nella politica estera e di sicurezza europea e la scelta del Presidente Biden di rilanciare un solido rapporto transatlantico sollecita a un'accelerazione della integrazione dei Balcani per coinvolgerli in una nuova stagione di relazioni tra Europa e Stati Uniti.
  Tutto ciò rende evidente anche la necessità che la Conferenza sul futuro dell'Europa coinvolga pienamente classi dirigenti e opinioni pubbliche di Balcani, facendoli così sentire da subito parte integrante dell'Unione europea.
  Conclusivamente, ha sottolineato la necessità che i Balcani occidentali diventino come una priorità dell'agenda europea, responsabilità delle istituzioni europee e dei Governi, ma anche dei Parlamenti nazionali che, con un'attività di dialogo e cooperazione interparlamentare – raccogliendo la sollecitazione più volte espressa dal Parlamento Europeo – devono sostenere e accompagnare il percorso di integrazione europea dei Balcani occidentali, passaggio decisivo nel completamento di quel grande disegno perseguito dall'89 ad oggi che è l'unificazione dell'Europa in nome di valori di pace, libertà, democrazia, equità sociale, parità di genere, promozione umana.

  Il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha ricordato che il PE è sempre stato un forte e attivo sostenitore dell'allargamento dell'UE ai Balcani occidentali, che rappresenterebbe una riconciliazione storica e geografica dell'intera Europa, con la prospettiva di avere un continente finalmente stabile e prospero. Ha quindi rilevato la necessità che i Paesi candidati rispettino i criteri politici introdotti all'interno della nuova metodologia proposta dalla Commissione europea. Una volta rispettati tali parametri, l'Unione deve però dimostrarsi all'altezza delle aspirazioni dei Balcani occidentali: in questo senso, sarebbe a suo avviso opportuno avviare quanto prima le Conferenze intergovernative con Albania e Macedonia del Nord. Segnalando che la pandemia ha messo alla prova la resilienza di tutti i Paesi ed evidenziato la necessità di un approccio solidale – a partire dai nostri vicini più prossimi e quindi anche dai Balcani –, ha ricordato il consistente piano di aiuti finanziari messo a disposizione dei Paesi della regione e l'avvio delle prime consegne di dosi vaccinali.
  A suo avviso, i Parlamenti nazionali possono dare un contributo significativo nella costruzione del consenso sociale all'interno delle opinioni pubbliche: in tale contesto, ha preannunciato l'intenzione di convocare entro la fine del 2021 un nuovo vertice con i Presidenti dei Parlamento dei Paesi candidati all'adesione.
  Il Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, ha sottolineato l'importanza di proseguire il dialogo in un'area cruciale del continente europeo: le assemblee parlamentari Pag. 68 possono promuovere una proficua cooperazione sui temi di interesse comune (infrastrutture, trasporti, lotta al terrorismo e alla criminalità transnazionale). Ribadendo che il Parlamento italiano esprime un sostegno unanime all'adesione dei Balcani all'Unione europea, ha evidenziato la necessità di dare concreto impulso al processo di integrazione: da un lato, superando le recenti incertezze ed i ritardi delle istituzioni UE, dall'altro, sollecitando i Paesi candidati a completare il processo di riforme finalizzato ad allineare le legislazioni nazionali agli standard europei in materia di Stato di diritto, indipendenza della magistratura, lotta alla corruzione e tutela delle minoranze.

  Il Commissario all'Allargamento e alla politica di Vicinato, Oliver Varhelyi, ha sottolineato che l'Unione europea è, senza alcun dubbio, il futuro dei Balcani occidentali. Di conseguenza, a logica politica ed economica su cui si fonda l'Unione europea si applica anche ai Balcani occidentali.
  A suo avviso, la pandemia COVID-19 ha chiaramente dimostrato che siamo strettamente interconnessi e che possiamo superare le sfide solo insieme.
  Ha segnalato i forti segnali di cooperazione e solidarietà che sin dalla scorsa primavera si sono manifestati, in entrambe le direzioni: l'Albania, che ha inviato medici e infermieri in Italia per aiutare a combattere la pandemia; l'UE, che ha immediatamente lanciato un pacchetto di sostegno da 3,3 miliardi di euro per la regione e, successivamente, ha varato un piano economico e di investimento per sostenere la ripresa.
  Ha ricordato anche l'impegno per fornire vaccini alla regione, annunciando l'accordo per un meccanismo finalizzato a donare 651 mila vaccini Pfizer alla regione nei prossimi mesi. Questi si aggiungeranno al meccanismo COVAX, di cui l'UE è uno dei maggiori contributori e che ha già consegnato quasi 300 mila dosi di vaccini nella regione.
  Ha ribadito che l'obiettivo è la piena adesione, non solo la partnership. Tuttavia, sul percorso ci sono sfide da entrambe le parti: le riforme nei Balcani occidentali sono state spesso lente, portando alcuni Stati membri dell'UE a mettere in dubbio il potere di trasformazione del processo di allargamento. D'altro canto, l'UE a volte non ha risposto adeguatamente quando i partner hanno mantenuto gli impegni di riforma.
  Ha evidenziato che, per affrontare meglio queste sfide, è stata rivista la metodologia dell'allargamento, con l'obiettivo di rafforzare la credibilità e la prevedibilità del processo di allargamento, aggiungendo dinamismo e orientamento politico e, naturalmente, mantenendo i fondamentali al centro del processo.
  La metodologia rivista si riflette già nei progetti di quadri negoziali per l'Albania e la Macedonia del Nord. Osservando che gli Stati membri non hanno ancora raggiunto un accordo e le discussioni in seno al Consiglio proseguono, ha rilevato che la Commissione sostiene questi sforzi ed auspica che le prime Conferenze intergovernative possano essere convocate quanto prima durante la Presidenza portoghese del Consiglio.
  Infatti, a suo avviso entrambi i Paesi meritano questo riconoscimento per le difficili riforme che hanno già attuato negli ultimi anni, a cui l'Italia ha offerto un costante e convinto sostegno. In particolare in Albania, a cui l'Italia ha offerto la consulenza di magistrati ed esperti di alto livello e dove il Governo italiano e la Guardia di Finanza sono stati determinanti nella lotta alla corruzione, alla criminalità organizzata e al riciclaggio di denaro. Anche con riguardo alla Macedonia del Nord ha espresso apprezzamenti per le riforme adottate nei settori della magistratura, della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, sottolineando che la necessità che entrambi i Paesi continuino a mantenere lo slancio delle riforme, che sono innanzitutto a vantaggio dei loro cittadini.
  Ha confermato l'impegno ad applicare la metodologia rivista anche al Montenegro e alla Serbia, con il loro accordo. Ciò implica un cambiamento più visibile per la Serbia, con la quale i negoziati si sono evoluti molto lentamente nell'ultimo anno. La possibilità – prevista dalla nuova metodologia Pag. 69 – di aprire cluster può portare più dinamismo ai negoziati, fermo restando che la decisione sull'apertura di tali cluster spetta agli Stati membri.
  Con riferimento alla Bosnia-Erzegovina, ha segnalato che sono state identificate quattordici priorità chiave per il suo percorso verso l'UE, che includono anche la modifica della sua Costituzione per conformarsi ai requisiti dell'adesione.
  Per il Kosovo, ha auspicato un proficuo dialogo con le istituzioni neoelette – presidente, Governo e nuova Assemblea –, evidenziando che la stabilità politica può contribuire ad accelerare il processo di riforma, anche nello Stato di diritto e nello sviluppo economico e sociale.
  È inoltre fondamentale che il Kosovo e la Serbia colgano l'attuale finestra di opportunità per compiere progressi nel dialogo bilaterale agevolato dall'UE, che è di fondamentale importanza per le loro aspirazioni europee. In materia di liberalizzazione dei visti, ha ricordato che la Commissione ritiene che il Kosovo abbia soddisfatto tutte le condizioni, e spetta ora al Consiglio assumere una decisione.
  Ha quindi rilevato che tutti gli sforzi appena elencati avranno successo solo se saranno sostenuti da Parlamenti forti e da un ampio consenso sociale.
  Sul piano economico, ha rilevato la necessità di accelerare la convergenza economica della regione con l'Unione europea. Sviluppi positivi in questo campo, infatti, faciliteranno anche tutti gli altri processi di riforma. Per questa ragione è stato lanciato il piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali, con una dotazione finanziaria di 28 miliardi di euro. Con un mix di sovvenzioni, garanzie e prestiti preferenziali da istituzioni finanziarie internazionali come la BEI e la BERS, l'UE può offrire le migliori condizioni possibili per grandi investimenti nei Balcani occidentali. Gli investimenti nella connettività dei trasporti e delle infrastrutture energetiche, le transizioni verdi e digitali e lo sviluppo del settore privato aiuteranno il processo di adesione, stimoleranno il potenziale di crescita per le imprese locali e miglioreranno la vita dei cittadini.
  Ha espresso anche apprezzamento per le discussioni costruttive sulla costituzione di un mercato regionale comune. Rispetto all'attuale frammentazione economica, un mercato regionale comune di 18 milioni di persone basato sulle norme dell'UE rappresenterebbe infatti come un punto di svolta, agevolando la rimozione dei permessi di lavoro, la libera circolazione delle persone, il taglio delle commissioni bancarie, la rimozione dei certificati di conformità non necessari per le merci già controllate.

  L'On. Sergio Sousa Pinto, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento portoghese, ha ricordato la recente riunione dei Ministri degli Affari europei, svoltasi la scorsa settimana, nel corso della quale è stato discusso lo stato di avanzamento dei negoziati, ma non è stata assunta alcuna decisione circa l'avvio delle Conferenze intergovernative. Persiste, infatti, il veto della Bulgaria nei confronti della Macedonia del Nord, benché Skoplje abbia rispettato tutti i criteri per l'adesione. Segnalando che il tema dell'allargamento ai Balcani occidentali è stato anche oggetto della conferenza interparlamentare PESC/PSDC del 4 marzo scorso, ha convenuto sulla opportunità di superare le incertezze che hanno caratterizzato l'approccio europeo nei confronti della regione balcanica: il mancato rispetto degli impegni assunti dall'Unione europea potrebbe, infatti, determinare una crescente insicurezza e instabilità nell'area balcanica, con evidenti effetti negativi sull'intero equilibrio del continente europeo.

  L'On. Monika GREGORČIČ, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento sloveno, ricordando che la Slovenia eserciterà la presidenza del Consiglio dell'UE nel secondo semestre del 2021, ha concordato sul fatto della stabilità e la prosperità dei Balcani occidentali sono fondamentali per l'intera Europa: in tal senso, ribadendo l'invito a rispettare il calendario delle riforme interne da parte di ciascuno Stato candidato all'adesione, ha sottolineato che occorre opporsi ad ogni tentativo di mettere in discussione gli attuali equilibri Pag. 70della regione balcanica, respingendo fermamente le ipotesi contenute nel non paper menzionato dal presidente Fassino. Stigmatizzando lo stallo attuale dei negoziati, ha auspicato una rapida convocazione delle Conferenze intergovernative con Albania e Macedonia del Nord, ribadendo che il piano di investimenti varato dalla Commissione europea costituirà un'efficace volano per la ripresa economica della regione.

  Roberto Antonione, Segretario Generale dell'Iniziativa centroeuropea (InCE), ha illustrato il ruolo della propria organizzazione regionale nella promozione dell'integrazione europea dei Balcani occidentali, che si esplica soprattutto attraverso l'esecuzione di progetti transfrontalieri in grado di coinvolgere tutti gli stakeholders.
  In particolare, ha menzionato l'iniziativa, realizzata in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, finalizzata all'empowerment dei giovani, allo scopo di porre un freno al fenomeno della «fuga dei cervelli» che depaupera il capitale umano dei Paesi balcanici. Ha infine auspicato un maggiore coordinamento delle agende politiche in sede di cooperazione bilaterale e multilaterale, in modo da evitare duplicazioni e migliorare l'efficacia della cooperazione.

  L'Amb. Stefano Sannino, Segretario Generale del Servizio europeo per l'azione esterna, segnalando che nel corso della settimana avranno luogo a Bruxelles incontri tra l'Alto Rappresentante Borell ed i leader di Serbia e Kosovo e che la riunione del 10 maggio prossimo dei Ministri degli Affari esteri dei degli Stati membri prevede una discussione sull'allargamento ai Balcani occidentali, ha ribadito la necessità di un approccio più deciso in tema di integrazione, a partire da un concreto sostegno alle campagne di vaccinazione e da una rapida implementazione del piano di investimenti. Evidenziando che i Parlamenti nazionali possono esercitare un ruolo essenziale per contenere le tendenze alla frammentazione della regione, ha auspicato che i Balcani possono associarsi sistematicamente alle posizioni dell'Unione europea in materia di politica estera e di sicurezza comune, anche al fine di una maggiore coerenza ed omogeneità dell'azione esterna dell'UE. Riguardo all'instaurazione di un mercato comune regionale, ha espresso l'auspicio che i Paesi della regione possano investire adeguatamente nella transizione ecologica e digitale, che costituiscono una scelta strategica per l'Unione. Con riferimento al dialogo tra Belgrado e Pristina, ha rilevato l'esigenza di una rapida ripresa dei negoziati facilitati dall'UE. Sulla Bosnia Erzegovina, ha sottolineato che la situazione politica rimane ancora piuttosto precaria, evidenziando la necessità di rafforzare la governance tripartita.

  L'On. Mimi Kodheli, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento albanese, ha sottolineato che la diplomazia parlamentare costituisce un importante strumento per migliorare la cooperazione regionale, che deve andare oltre i rapporti di buon vicinato, eliminando tutte le barriere non fisiche che ostacolano gli scambi di merci, servizi e persone. Ribadendo che l'integrazione nell'Unione europea è l'unica prospettiva reale per i Balcani occidentali, ha rilevato che non tutta la regione balcanica è nelle condizioni – in questo momento – di aderire all'UE: tuttavia, occorre portare avanti il processo, anche per evitare che possano inserirsi attori terzi, che già ora stanno estendendo pericolosamente la propria area di influenza nella regione. A tal fine, ha auspicato che le istituzioni europee onorino le promesse e gli impegni assunti e che, pertanto, il Consiglio europeo di giugno possa approvare l'avvio dei lavori delle Conferenze intergovernative con Albania e Macedonia del Nord.

  L'On. Davor Ivo Stier, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento croato, ha rilevato che tre attori regionali operano, con approcci distinti, nei Balcani: l'UE, la Russia e la Turchia. Ad essi si aggiungono le due superpotenze globali, gli Stati Uniti e ultimamente la Cina, che sono presenti, con interessi spesso divergenti.
  Benché i Balcani rappresentino uno dei tre poli della politica di Vicinato – insieme Pag. 71al Vicinato orientale al Vicinato meridionale –, la regione balcanica conta su una distinzione precisa: è l'unica a cui è stata promessa una prospettiva di piena adesione all'UE.
  Nel vicinato orientale, l'approccio dell'UE si scontra con il progetto geopolitico Near Abroad della Russia, che non intende ricreare l'Unione Sovietica, ma stabilire una sfera di influenza russa, in modo che nessuna decisione strategica in questa vasta area possa essere presa contro la volontà di Mosca. Gli effetti di questa politica sono visibili in Ucraina e nel Caucaso.
  Con Erdogan, la Turchia ha intrapreso una strategia simile al confine del vecchio impero ottomano, come dimostra anche l'ingerenza nella crisi libica.
  Pertanto, a suo avviso sia nel Vicinato orientale sia in quello meridionale, l'UE deve confrontarsi con un approccio assertivo dei suoi concorrenti regionali, un approccio che include anche l'uso della forza.
  Ha evidenziato che, proprio poiché la politica di allargamento dell'UE ha gradualmente perso visibilità e sostanza, la presenza russa e turca nella regione è aumentata. Tuttavia, né Mosca né Ankara si oppongono ufficialmente alle aspirazioni di adesione all'UE dei paesi balcanici. Nonostante sottolinei i legami slavi e ortodossi con alcune delle nazioni balcaniche, la Russia non li include nel vicinato. Tuttavia, la sua maggiore presenza nei Balcani serve a dimostrare che la Russia è una potenza regionale che non può essere evitata nell'architettura di sicurezza del continente. Allo stesso tempo, ha rilevato che se alcuni di questi Paesi riescono a entrare nell'UE, la Russia conta su di loro come futuri Stati membri favorevoli agli interessi di Mosca, una sorta di voce filo-russa all'interno dell'UE. Qualcosa di simile si può dire del sostegno di Ankara all'adesione dei Paesi balcanici, con l'elemento aggiuntivo che la Turchia sostiene la loro adesione anche alla NATO.
  Pertanto, a suo avviso occorre valutare, in primo luogo, se un Paese candidato sia disposto ad allinearsi agli interessi dell'UE piuttosto che a quelli russi o turchi; in secondo luogo, se tali Paese intendono imitare i progetti geopolitici del Near Abroad o neo-ottomani, sviluppando un regime autoritario e cercando di costruire una posizione egemonica sulle altre ex repubbliche jugoslave.
  Di conseguenza, l'UE dovrebbe affrontare le seguenti sfide: in primo luogo, promuovere e monitorare l'allineamento dei candidati agli interessi ed ai valori democratici dell'UE; in secondo luogo, affrontare insieme agli alleati democratici, principalmente gli Stati Uniti, le questioni in sospeso all'interno e tra i Paesi dei Balcani; infine, impedire l'ascesa di qualsiasi Paese della regione ad una posizione egemonica. A tal fine, è essenziale rafforzare l'indipendenza di ogni Paese, in particolare il Montenegro, la Bosnia-Erzegovina, il Kosovo e la Macedonia del Nord.

  L'On. Jean-Louis Bourlanges, Presidente della Commissione affari esteri dell'Assemblea nazionale francese, ricordando la sua esperienza di parlamentare europeo, nel 1989, sulla scia di Simone Veil, quando Jacques Delors presiedeva la Commissione, ha ricordato che l'UE è un'associazione di popoli liberi e Stati sovrani che esercitano solo i poteri che le sono stati delegati: il Trattato di Lisbona prevede espressamente la possibilità di lasciare l'Unione e la presenza a questo seminario del collega inglese Tom Tugendhat dimostra che si può lasciare l'Unione senza diventarne un avversario.
  A suo avviso, occorre, inoltre, respingere il pregiudizio che l'Unione europea sia un club dominato dai Paesi più grandi e più ricchi: in primo luogo, perché nessuna condizione per l'adesione diversa da quella morale e politica è mai stata posta a nessun candidato; in secondo luogo, perché il sistema istituzionale dell'Unione lascia spazio a Stati di media o anche piccola dimensione; e, infine, perché tutti gli allargamenti hanno portato ad un rafforzamento della politica di coesione.
  Allo stesso modo, occorre respingere la suggestione che l'adesione all'Unione costituisca una sorta di risarcimento per i torti subiti in passato: al contrario, si basa sull'idea che gli orrori del passato possono essere superati solo a condizione di voltare Pag. 72pagina e costruire un futuro condiviso sui princìpi del rispetto reciproco e della solidarietà.
  Ha quindi evidenziato la necessità di basare l'adesione sul riconoscimento di un'identità morale: per aderire bisogna ovviamente appartenere all'Europa nel senso geografico del termine, ma anche e soprattutto accettare che il sistema di valori su cui si basa l'Unione, ispirato alla tradizione culturale dell'illuminismo, del liberalismo e del cristianesimo.
  In secondo luogo è necessario accettare il principio che l'Unione Europea è un metodo, basato sull'idea che gli interessi egoistici di tutti saranno adeguatamente tutelati solo se si terrà pienamente conto anche degli interessi legittimi degli altri.
  In terzo luogo, l'Unione europea è un patto istituzionale, composto da tre elementi: rispetto della sovranità degli Stati, perché l'Unione ha solo poteri delegati, gestione sovranazionale dei poteri delegati, poiché non solo i Trattati, ma anche il diritto derivato prevalgono su quelli di ciascuno Stato; infine, rappresentatività democratica, dal momento che tutte le istituzioni dell'Unione procedono direttamente o indirettamente dai popoli che la compongono.
  Pertanto, ha sottolineato la necessità di concepire l'adesione non come il risultato di un negoziato internazionale inteso in senso classico, ma come una vera rivoluzione finalizzata a fondare un nuovo tipo di comunità politica. In questo senso, potrebbe essere utile discutere con i Paesi candidati i cambiamenti – istituzionali in particolare – che sarebbero necessari per il pieno successo del loro ingresso nell'Unione: dall'estensione della maggioranza qualificata e della codecisione Consiglio-Parlamento allo sviluppo delle risorse proprie e alla «democratizzazione» delle risorse di bilancio, tutti temi che condizionano direttamente il successo di una politica di solidarietà nord-sud e ovest-est.

  L'On. Pamela RENDI-WAGNER, Presidente della Commissione affari esteri del Nationalrat austriaco, ha convenuto sull'opportunità di riportare il tema dell'allargamento al centro dell'agenda europea, obiettivo peraltro condiviso anche dall'Alto Rappresentante Borrell. Evidenziando che il processo di adesione deve passare necessariamente attraverso il rafforzamento delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi candidati, ha rilevato l'esigenza di combattere la «fuga di cervelli», investendo adeguatamente in posti di lavoro di qualità per le giovani generazioni balcaniche. A suo avviso, il processo di adesione deve essere trasparente e chiaro, non inficiato da ritardi da parte dell'Unione europea, a patto che gli Stati che richiedono l'adesione rispettino i criteri politici stabiliti. Infine, ha espresso riserve sull'opportunità di inserire nella dichiarazione finale da adottare in esito all'odierno incontro un riferimento esplicito al Patto per la migrazione e l'asilo, dal momento che non è stato ancora raggiunto un accordo sulla nuova strategia proposta dalla Commissione europea.

  L'On. Safet SOFTIĆ, Presidente della Commissione affari esteri del Camera dei rappresentanti della Bosnia, ha sottolineato l'importanza di un dialogo trasparente e chiaro: da un lato, l'Unione europea è chiamata a rispettare gli impegni, dall'altro, i Paesi candidati devono portare a termine le riforme concordate. Un contributo costruttivo può venire anche dalla cooperazione regionale messa in atto nell'ambito dell'Iniziativa centroeuropea (InCE) e dell'Iniziativa adriatico-ionica (IAI). Infine, ha rilevato che per la Bosnia è essenziale superare la polarizzazione interna: in questo senso, la prospettiva di adesione può dare grande impulso alla riconciliazione nazionale.

  L'On. Žarko OBRADOVIC, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento serbo, ha ribadito che la prospettiva dell'integrazione europea è prioritaria per la Serbia, che ha già dimostrato di potersi adeguare agli standard UE, a cominciare dalla campagna vaccinale, su cui il governo di Belgrado sta investendo grande impegno e cospicue risorse, distribuendo dosi di vaccino anche ai Paesi limitrofi. Sottolineando il buon esito della cosiddetta area «mini-Schengen» – zona economica di libero Pag. 73 scambio e libera circolazione delle persone, istituita tra Serbia, Albania, Macedonia del Nord e Kosovo – ha confermato l'impegno del proprio Paese a normalizzare i rapporti con Pristina nell'ambito del processo negoziale facilitato dall'UE e dagli Stati Uniti; Tuttavia, ha riconosciuto che il tema dello status delle municipalità serbe in territorio kosovaro costituisce tuttora una criticità. In generale, le lentezze e i ritardi dell'Unione europea sull'allargamento ai Balcani stanno determinando un significativo malcontento tra le opinioni pubbliche locali.

  L'On. Rozália IBOLYA BIRÓ, Presidente della Commissione affari esteri del Camera dei deputati romena, ha sottolineato che l'allargamento ai Balcani occidentali costituisce una priorità per la Romania. In questa ottica, occorre rafforzare i meccanismi di cooperazione regionale esistenti, a partire dal processo di Berlino. Un significativo progresso potrebbe essere il riconoscimento reciproco dei titoli di studio, strumento utile per agevolare la circolazione dei giovani. Concordando con il rischio che attori terzi possano estendere la propria influenza nella regione, ha evidenziato l'esigenza che i Paesi balcanici operino una scelta chiara e definitiva a favore dell'integrazione europea, sfruttando pienamente i vantaggi del piano di investimenti proposto dalla Commissione europea.

  L'On. Antonijo MILOSHOSKI, Presidente della Commissione affari esteri del Camera dei deputati della Macedonia del Nord, ha ricordato che la piena integrazione dei Balcani occidentali rappresenta un presupposto indispensabile per assicurare stabilità e sicurezza all'intero continente europeo. In questo contesto, ha ricordato l'importante contributo fornito dalla Macedonia del Nord nella gestione dei flussi migratori provenienti dall'Africa. Ha infine sottolineato che l'eventuale apertura della Conferenza intergovernativa entro il prossimo mese di giugno costituirebbe non solo un'ulteriore incentivo per Skoplje a proseguire nel cammino delle riforme, ma restituirebbe anche credibilità all'Unione europea e fiducia agli altri Paesi candidati.

  L'On. Anastasios CHATZIVASILEIOU, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento greco, confermando il sostegno di Atene al processo di allargamento, ha espresso apprezzamento per gli sforzi profusi dall'Albania nella tutela delle minoranze etniche. Ha inoltre evidenziato il proprio paese intende monitorare con attenzione la corretta attuazione dell'accordo di Prespa con la Macedonia del Nord. Rilevando la necessità di intensificare gli sforzi sulle 14 priorità indicate dal Commissario Varhelyi per la Bosnia Erzegovina ed auspicando una positiva evoluzione dei negoziati tra Serbia e Kosovo, ha sottolineato che l'apertura delle Conferenze intergovernative con Albania e Macedonia del Nord deve essere subordinata ad un'attenta verifica del rispetto dei criteri previsti.

  L'On. Peter OSUSKÝ, Presidente della Commissione affari esteri del National Council slovacco, ha ricordato che la Slovenia sostiene l'allargamento dei Balcani fin dall'inizio del processo di adesione, purché rispettino i loro impegni. Peraltro, eventuali ritardi ingiustificati da parte dell'Unione rischierebbero di creare una situazione analoga a quanto accaduto con la Turchia: a suo avviso, le continue esitazioni di Bruxelles hanno infatti contribuito ad alimentare la sfiducia dell'opinione pubblica turca rispetto alle prospettive di integrazione europea, incentivando indirettamente la strategia egemonica di Erdogan. Ha inoltre rilevato che l'ingresso nell'UE dei Paesi balcanici dovrebbe essere preceduto dall'ingresso nella NATO, quale conferma definitiva della loro piena adesione al sistema di valori occidentali, che continuano ad essere minacciati dalla Russia di Putin.

  L'On. Miodrag LEKIĆ, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento del Montenegro, ha ricordati che i Balcani occidentali si considerano europei sul piano geografico, politico e culturale. Pur nella consapevolezza che occorre rispettare tutti i criteri politici ed economici concordati con Bruxelles, ha convenuto sulla necessità di imprimere un nuovo slancio al processo Pag. 74di adesione. A suo avviso, il multilateralismo deve essere inteso come una forma di democrazia nelle relazioni internazionali: in questo senso, gli attori terzi che stanno gradualmente estendendo la loro influenza nella regione – Cina, Turchia e Russia – non sono ispirati da questi valori, ma approfittano della lentezza dell'Unione europea e della conseguente frustrazione delle opinioni pubbliche balcaniche. A titolo di esempio, ha segnalato che in Montenegro è in corso una competizione geopolitica sul piano della distribuzione dei vaccini, dal momento che circolano dosi di produzione europea, russa e cinese. Infine, ha confermato la piena disponibilità del Montenegro ad aderire alle iniziative avviate in ambito di Iniziativa centroeuropea (InCE) ed Iniziativa adriatico-ionica (IAI).

  L'On. Haki ABAZI, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento del Kosovo, ha sottolineato che una possibile piattaforma di cooperazione può essere il comune impegno per la transizione ecologica. Ribadendo che il Kosovo è impegnato da sempre per una piena integrazione nelle strutture euro-atlantiche, poiché l'appartenenza alla NATO è garanzia di sicurezza, ha auspicato che il processo di adesione del Kosovo sia sganciato dai negoziati per la normalizzazione delle relazioni con la Serbia. Inoltre, ha rilevato l'esigenza di concludere rapidamente la procedura per la liberalizzazione dei visti, dato che Pristina ha rispettato tutti i vincoli richiesti dalle istituzioni europee. In particolare, ha segnalato l'impegno del nuovo Governo a proseguire le riforme volte rafforzare la società civile e a tutelare l'indipendenza dei media, come pure le misure per arginare l'emigrazione dei giovani.

  L'On. Tom TUGENDHAT, Presidente della Commissione affari esteri della House of Commons inglese, ha evidenziato che Regno Unito e Stati Uniti sono interessati a cooperare per il felice esito del processo di adesione all'UE dei Balcani occidentali: in particolare, la Gran Bretagna, pur avendo completato il percorso di recesso dell'Unione, considera strategicamente prioritario l'allargamento per garantire stabilità e sicurezza all'intero continente europeo.

  L'Amb. Giovanni CASTELLANETA, Segretario Generale della Iniziativa adriatico-ionica (IAI), ha ricordato che fin dalla sua fondazione, nel 2000 – su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri Amato e del Ministro degli Affari Esteri Dini e con il forte sostegno dell'ex Presidente della Commissione europea, Romano Prodi –, l'IAI ha contribuito in modo significativo a costruire la fiducia, intensificare la cooperazione, integrare i valori e gli standard europei nella regione balcanica. Ha segnalato che l'Iniziativa Adriatico-ionica e la Strategia dell'UE per la Regione adriatico-ionica (EUSAIR) svolgono un ruolo essenziale nella promozione dello sviluppo sostenibile e della crescita di tutti i Paesi partecipanti attraverso concrete attività di cooperazione, a partire da un processo di coinvolgimento dal basso dei rappresentanti della società civile (Municipalità, Università, Camere di Commercio), fondamentale per ogni strategia macro-regionale.
  Ha osservato che da giugno 2020, la Presidenza dell'IAI/EUSAIR è stata assunta dalla Slovenia, che ha sviluppato un programma con un'attenzione particolare alla connettività verde, al turismo e alla cultura, alle questioni giovanili, alla digitalizzazione, alle pari opportunità e all'imprenditorialità femminile.
  In particolare, in occasione della 17° Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti IAI, svoltasi il 15 aprile scorso, si è focalizzata specifico sullo sviluppo della società digitale e sulle opportunità di lavoro per le giovani generazioni. La dichiarazione congiunta adottata in esito alla riunione ha inoltre riconosciuto l'importanza del processo di integrazione e allargamento dell'UE ai Paesi dell'Iniziativa adriatico-ionica, quale motore chiave per rafforzare la pace, la sicurezza e la stabilità nell'area.
  A suo avviso, la dimensione parlamentare è una risorsa fondamentale, poiché la legittimità delle istituzioni rappresentative conferisce valore aggiunto allo sforzo di potenziare la cooperazione regionale: i cittadini, infatti, sono i veri destinatari e beneficiari di ogni azione di cooperazione, in Pag. 75linea con il principio di sussidiarietà, che è alla base dell'EUSAIR.
  Ha quindi segnalato che il prossimo 11-12 maggio avrà luogo ad Isola il sesto Forum EUSAIR, convocato congiuntamente con il Consiglio adriatico-ionico (organo di vertice dell'IAI, che riunisce i ministri degli Affari esteri): in esito alla riunione dovrebbe essere approvata una dichiarazione che richiami la storia e i valori comuni, rafforzando il senso di appartenenza a uno spazio europeo comune.

  L'On. Alexander MEREZHKO, Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento ucraino, esprimendo apprezzamento per le sanzioni approvate dalle istituzioni europee contro la Russia, ha manifestato profonda preoccupazione per l'escalation militare messa in atto da Mosca al confine con l'Ucraina. Ha quindi ribadito l'impegno di Kiev a proseguire il percorso di riforme concordato nell'ambito dell'Accordo di associazione UE-Ucraina, dal momento che la prospettiva di integrazione rimane strategicamente prioritaria per il suo Paese, anche ragione della precaria situazione in termini di sicurezza determinata dalla minaccia russa. In questo contesto, oltre rafforzare i meccanismi del partenariato orientale, sarebbe opportuno coinvolgere anche i Paesi del Vicinato orientale nei lavori della Conferenza sul futuro dell'Europa.

  Tomáš SZUNYOG, Rappresentante speciale dell'UE in Kosovo, ha auspicato che le neoelette istituzioni kosovare diano nuovo slancio al percorso di riforme interne, nonché al processo di normalizzazione delle relazioni con la Serbia. Ha altresì espresso apprezzamento per la scelta di Pristina di approvvigionarsi esclusivamente di vaccini approvati dall'Agenzia europea del farmaco, rinunciando alle forniture di Paesi terzi. Sottolineando che il 95 per cento dei cittadini del Kosovo è a favore dell'integrazione nell'Unione europea, ha sottolineato l'urgenza di adottare le riforme concordate in materia di Stato di diritto. L'Unione europea, dal canto suo, dovrebbe procedere, senza ulteriore indugio, ad introdurre la liberalizzazione dei visti.

  L'On. Fabio Massimo CASTALDO, Vicepresidente del Parlamento europeo, ha concordato sulla profonda frustrazione che i ritardi delle istituzioni europee hanno determinato nelle aspettative dei cittadini balcanici. A suo avviso, l'eventuale vuoto lasciato dall'Unione europea potrebbe essere rapidamente e pericolosamente colmato da Paesi terzi, come già sta accadendo, in parte, nell'ambito della distribuzione dei vaccini. Ha quindi auspicato la piena inclusione dei Balcani nei lavori della Conferenza sul futuro dell'Europa.

  Johann SATTLER, Rappresentante speciale dell'UE in Bosnia-Erzegovina, rimarcando l'efficacia della nuova metodologia negoziale in materia di allargamento, ha rilevato la necessità di concentrare energie e risorse sulla cooperazione regionale, a partire dall'avvio del progetto di un mercato comune. Con riferimento specifico alla Bosnia, ha rilevato che l'accordo raggiunto sullo status della città di Mostar ha finalmente consentito lo svolgimento delle elezioni locali: nel corso del 2021 non sono previste ulteriori consultazioni elettorali, e questo dovrebbe agevolare il dialogo con l'Unione europea. Per quanto riguarda i vaccini, ha segnalato che, a partire dal prossimo mese, dovrebbero essere consegnate le prime forniture da parte dell'Unione europea.

  In conclusione dei lavori, il Ministro per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, congratulandosi per l'intensa attività sui Balcani della Commissione esteri e per il successo del Seminario odierno, rinnovando l'apprezzamento per l'impegno e la dedizione del Commissario Varhelyi nel processo di allargamento, ha evidenziato l'importanza della diplomazia parlamentare quale strumento privilegiato per la comprensione e la conoscenza reciproche. In vista della seduta inaugurale della Conferenza sul futuro dell'Europa, ha auspicato che i Balcani possano partecipare attivamente al dibattito, con l'obiettivo di unificare l'intero continente europeo in un'unica cornice valoriale ed istituzionale. In particolare, l'Italia intende organizzare un evento speciale sulla gioventù, a Pag. 76cui saranno invitati anche i giovani dei Balcani, i quali hanno sempre dimostrato un forte approccio europeista, che non può e non deve essere frustrato dall'Unione. Ha altresì sottolineato l'esigenza di dare impulso ai processi di riforme interne per adeguare le normative nazionali agli standard europei. Sul piano economico, ha osservato che gli effetti della pandemia sul turismo e sulle rimesse degli emigrati hanno reso ancora più vulnerabili le economie dei Paesi balcanici: l'Unione europea è intervenuta prontamente attraverso il piano per gli investimenti, nonché, più recentemente, con l'avvio di un piano di distribuzione dei vaccini, con uno stanziamento di 70 milioni di euro la somministrazione di 651 mila dosi. Ha quindi ribadito che per l'Italia l'allargamento ai Balcani occidentali è una priorità strategica, auspicando che la progressiva sfiducia delle opinioni pubbliche locali non provochi il fenomeno di «stanchezza negoziale», lasciando adito alle ingerenze di attori terzi. Per questa ragione, a suo avviso è opportuno convocare quanto prima la Conferenza intergovernativa con l'Albania, incoraggiare l'apertura di nuovi capitoli negoziali con la Serbia, proseguire con regolarità il negoziato con il Montenegro, liberalizzare visti con il Kosovo, operare attivamente per assicurare concordia e coesione in Bosnia. Infine, ha sottolineato che i Parlamenti nazionali possono svolgere un ruolo decisivo in questo percorso, incoraggiandoli a proseguire l'interlocuzione e la cooperazione.

  In esito alla riunione è stata approvata la seguente dichiarazione comune:

«BALCANI OCCIDENTALI: TRA MULTIPOLARISMO E PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA»

Dichiarazione finale dei Presidenti delle Commissioni per gli affari esteri dei Paesi partecipanti al Seminario interparlamentare del 26 aprile 2021

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IL DESTINO DEI BALCANI OCCIDENTALI È NELL'UNIONE EUROPEA

  I Balcani occidentali sono parte integrante del continente europeo, della sua storia, delle sue civiltà. Lo sono stati nei secoli, lo sono oggi. Tutto ciò che accade nei Balcani ha un impatto sulla vita dell'Europa e reciprocamente ogni dinamica europea investe anche la regione balcanica.
  Nei Balcani si incontrano Occidente e Oriente, nord e sud, est e ovest, in un crogiuolo di popoli, etnie, religioni, culture, alfabeti che hanno dato vita a feconda convivenza, ma anche a aspri conflitti, come è accaduto con la guerra che ha scosso la regione negli anni '90.
  Con gli accordi di pace di Dayton si indicò nella integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche la scelta strategica per dare stabilità, sicurezza e prosperità alla regione. Scelta ufficialmente adottata dall'Unione Europea nel 2003 con il Consiglio Europeo di Salonicco e ripetutamente riconfermata nel corso degli anni dai vertici europei fino alla Dichiarazione di Zagabria del 2020.
  Il cammino della integrazione è stato avviato, favorito e accompagnato da iniziative di cooperazione regionale quali l'Iniziativa Centro Europea, l 'Iniziativa Ionico Adriatica, il Processo di Berlino, l'Eusair e altri fora multilaterali. Così come importante è l'azione di accompagnamento svolto dalla Commissione europea e dai Rappresentanti speciali dell'UE. E analogo processo di integrazione è stato varato dalla NATO.
  Tuttavia non possiamo ignorare la lentezza con cui procede il percorso di integrazione. 26 anni sono passati da Dayton e 18 da Salonicco. I negoziati con Serbia e Montenegro sono ancora lontani da una conclusione, bloccato l'avvio dei negoziati con Albania e Macedonia, indefinite le prospettive di integrazione di Bosnia-Erzegovina e Kosovo.
  Il rischio è che nelle opinioni pubbliche e nei governi della regione si diffonda delusione e frustrazione, si rallentino i processi riforma necessari alla integrazione, riemergano pulsioni nazionalistiche e si faccia strada la tentazione di sovvertire i Pag. 77delicati equilibri realizzati dopo Dayton. E là dove l'Unione Europea appare incerta, si afferma la presenza di altri attori internazionali.
  Nei Balcani occidentali sono nate e cresciute generazioni di giovani che si sentono e vogliono essere europei e che guardano con speranza all'Unione Europea. Alle aspettative e ai sogni di questi giovani l'Unione Europea deve offrire un futuro di crescita e prosperità.
  Per questo è urgente un cambio di passo e, parallelamente al processo di adattamento dei Paesi candidati ai criteri per una adesione riuscita, un rilancio del percorso di integrazione, rispondendo alle giuste aspettative della regione, accelerando i negoziati con Serbia e Montenegro, convocando le Conferenze intergovernative per avviare i negoziati con Albania e Macedonia del Nord, nel rispetto dei criteri previsti, riconoscendo alla Bosnia-Erzegovina lo status di candidato, promuovendo ogni azione utile alla normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, liberalizzando i visti per il Kosovo e riconfermandone la prospettiva europea.
  Un cambio di passo è tanto più necessario per far fronte alle conseguenze di Covid-19: i Balcani occidentali devono essere parte dello spazio europeo di approvvigionamento dei vaccini; Next Generation EU e i programmi europei su green economy, digitalizzazione, ricerca e innovazione, modernizzazione infrastrutturale siano riferimento anche per i Paesi dei Balcani occidentali. Così come tutte le decisioni della Commissione Europea sulle migrazioni e sull'asilo tengano conto dei paesi della regione, superando i drammi della rotta balcanica.
  La Conferenza sul futuro dell'Europa dovrà coinvolgere pienamente le classi dirigenti e la pubblica opinione dei Balcani occidentali, così da farli sentire subito parte integrante dell'Unione Europea.
  E quanto più l'Unione europea dimostrerà di essere determinata, tanto più i Paesi della regione saranno sollecitati a realizzare riforme coerenti con gli standard europei, in materia di Stato di diritto, indipendenza della magistratura e dei media, lotta alla corruzione a tutela delle minoranze.
  Un salto di qualità è dunque urgente ed è responsabilità delle Istituzioni Europee non sottrarsi a questo imperativo. Così come è responsabilità di ogni governo essere consapevole che offrire stabilità e sicurezza ai Balcani è questione che riguarda la stabilità e la sicurezza di tutto il continente europeo.
  È un obiettivo che richiama anche la responsabilità dei Parlamenti nazionali che – raccogliendo la sollecitazione più volte espressa dal Parlamento Europeo – sono chiamati a sostenere e accompagnare il percorso di integrazione europea dei Balcani occidentali che rappresenta passaggio decisivo nel completamento di quel grande disegno perseguito dall'89 ad oggi che è l'unificazione dell'Europa in nome di valori di pace, libertà, democrazia, equità sociale, parità di genere, promozione umana.

  Hanno partecipato al Seminario e hanno condiviso la presente Dichiarazione i Presidenti delle Commissioni per gli affari esteri dei Parlamenti di: Albania, Austria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Francia, Grecia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Portogallo, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Regno Unito, i rappresentanti speciali dell'UE in Bosnia Erzegovina e in Kosovo e i rappresentanti dell'Iniziativa Centro Europea (InCE) e dell'Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI).