CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 23 ottobre 2019
259.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Ambiente, territorio e lavori pubblici (VIII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-02364 Vianello: Interventi per l'irrigazione e la distribuzione delle acque nel Salento, anche alla luce della mancata messa in funzione della diga Pappadai.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento alle questioni poste, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta, in via preliminare, che per quanto riguarda la realizzazione della Diga di Pappadai, la stessa fu realizzata con i fondi dell'ex Cassa per il Mezzogiorno per fini irrigui, con una capacità di 13M me, nell'ambito di una pianificazione più ampia che prevedeva l'adduzione delle acque del Sinni, mediante le acque invasate nel serbatoio di Monte Cotugno sul fiume Sinni (in agro di Senise – Potenza), fino alla realizzazione di reti irrigue nelle aree dei consorzi Arneo e Ugento Li Foggi (Puglia), a servizio dei quali era stato costruito l’«Adduttore del Salento», in prosecuzione dell'acquedotto Sinni.
  Secondo quanto riferito dal Ministero delle politiche agricole, a seguito della soppressione dell'ex Cassa per il Mezzogiorno, subentrato il Ministero medesimo attraverso la Gestione commissariale delle Opere ex Agensud, con il progetto A/G.C.3 «Opere integrative per assicurare l'agibilità funzionale dell'Invaso Pappadai», con una spesa di euro 22.519.614,88, è stato finanziato l'aumento della capacità di invaso fino a 20M mc e sono state finanziate anche opere di regolazione della rete distributrice, già collaudate. Il predetto Ministero ha fatto presente, altresì, che l'Invaso Pappadai, dato in gestione al Consorzio di bonifica Arneo, attende di essere messo in esercizio da anni e che, alla base di tale problematica, ci sarebbe stato il mancato accordo tra le Regioni Puglia e Basilicata circa la quantificazione del costo dell'acqua da trasferire.
  Sempre secondo quanto riferito dal Ministero delle politiche agricole, per la messa in esercizio della Diga è necessario eseguire un intervento di manutenzione del canale a cielo aperto che adduce l'acqua al Sinni, danneggiato a seguito di eventi atmosferici, e i cui lavori rientrano nell'ambito di competenza dell'Ente Irrigazione. Quest'ultimo ha, recentemente, avviato le relative procedure di gara con un finanziamento a carico di fondi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  A tal proposito, il Ministero delle infrastrutture ha segnalato che il Concessionario della Diga di Monte Cotugno ha recentemente disposto in autotutela l'annullamento dei provvedimenti di aggiudicazione provvisoria e definitiva dei lavori di ripristino del canale adduttore verso la Diga di Pappadai, nonché la risoluzione del contratto di appalto del 28 giugno 2018 con l'ATI aggiudicataria, ai sensi dell'articolo 135 del decreto legislativo n. 163 del 2006. L'Ente ha, tuttavia, comunicato che con il medesimo atto ha deliberato di procedere, ai sensi dell'articolo 140 del citato decreto, all'interpello dei soggetti che hanno partecipato alla procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di addivenire alla stipula di un nuovo contratto per l'affidamento dei lavori in questione.
  Il Ministero delle infrastrutture ha rappresentato, inoltre, che secondo quanto riferito dall'EIPLI, l'intervento di «bonifica e ripristino di alcune tratte collassate della seconda parte in canale a cielo libero del secondo tronco dell'acquedotto del Pag. 120Sinni», è stato finanziato dalla Giunta regionale della Regione Puglia con deliberazione n. 1714 del 30 ottobre 2017, per un importo di 2,9 milioni di euro, a valere sui fondi FSC 2014-2020 del Patto per la Puglia. L'EIPLI ha, peraltro, segnalato che il termine stabilito per l'esecuzione dei predetti lavori (100 giorni naturali e consecutivi decorrenti dalla data del verbale di consegna) appare congruente con il termine ultimo per la chiusura della concessione e la rendicontazione della spesa da parte della Regione, fissato al 31 dicembre 2020. Il Ministero ha, comunque, evidenziato di aver provveduto ad interessare il Segretario Generale dell'Autorità di Distretto Appennino Meridionale, nelle funzioni di Commissario straordinario, affinché valuti la possibilità di un suo intervento acceleratorio.
  Il Ministero delle politiche agricole, da parte sua, ha manifestato la propria disponibilità ad autorizzare l'utilizzo delle economie rinvenienti dal progetto A/G.C.3, per finanziare interventi complementari di rifunzionalizzazione degli impianti ed apparecchiature, o lavori di ripristino e di messa in sicurezza sia dell'Invaso Pappadai sia degli impianti facenti parte del sistema Irrigazione Salento, non appena il Consorzio di bonifica Arneo avrà completato la rendicontazione delle spese effettuate e saranno presentati progetti di livello per lo meno definitivo.
  Fermo restando quanto fin qui esposto, la Regione Puglia ha fatto presente, per quanto concerne l'utilizzo a scopo potabile delle acque dell'Invaso Pappadai, che tale utilizzo era già previsto nel Piano 2009 dell'Ambito Territoriale Ottimale Puglia. Tale previsione è stata confermata nella revisione ed aggiornamento del Piano d'Ambito in corso di completamento, per cui è previsto l'utilizzo della risorsa integrativa del Pappadai in combinazione con la realizzazione di un nuovo impianto di potabilizzazione a monte del serbatoio di San Paolo, in agro di Salice Salentino.
  La Regione ha, inoltre, precisato che la realizzazione dell'impianto di potabilizzazione di San Paolo prevede il trattamento delle acque addotte dall'esistente vettore di adduzione Acquedotto del Sinni promiscuo, attraverso l'accumulo e il compenso stagionale offerto dal Pappadai. Ciò consentirebbe, secondo quanto riferito dalla Regione Puglia, l'utilizzo di ulteriori volvimi e quindi l'incremento della disponibilità di risorsa dall'invaso del Sinni, garantendo una maggiore efficienza dell'alimentazione idrica nelle aree della provincia di Taranto e del Basso Salento e migliorando la flessibilità di alimentazione idrica delle aree stesse. L'impianto di potabilizzazione è previsto per una portata non inferiore a 500 l/s, con un massimo di 1.000 l/s, nel periodo invernale, sfruttando la capacità di compenso e regolazione consentita dall'Invaso di Pappadai, della capacità di circa 20.000.000 di mc. Inoltre, l'adduzione del Pappadai fino al previsto impianto di potabilizzazione di San Paolo potrebbe avvalersi dell'esistente condotta ad uso irriguo del Consorzio. L'Amministrazione regionale ha segnalato, infine, che nello schema ad uso plurimo del Sinni, il riempimento dell'Invaso del Pappadai nel periodo invernale potrà beneficiare della realizzazione del collegamento dalla traversa sul fiume Sarmento all'Invaso del Sinni, di recente completamento, il che consentirebbe di incrementare le disponibilità della risorsa invasata. Conseguentemente, la Regione Puglia ha fatto presente che non è ipotizzabile, allo stato attuale, un riempimento dell'Invaso in argomento con reflui seppur affinati, ai sensi del decreto ministeriale n. 185 del 2003, in considerazione della normativa vigente in materia di acqua destinata al consumo umano e della valenza strategica prioritaria dell'uso potabile della risorsa idrica.
  Ad ogni modo, alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente, per quanto di competenza, rassicura comunque che continuerà a tenersi informato senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sul tema, eventualmente sollecitando il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti.

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ALLEGATO 2

5-02533 Anzaldi: Bonifica dell'area prospiciente il km 72 della SS 407 basentana, attraverso la rimozione dei sacchi contenenti amianto legati all'attività dell'ex sito Materit di Ferrandina (MT).

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento alle questioni poste, si rappresenta, in via preliminare, che il sito industriale ex Materit ricade nel perimetro del sito di interesse nazionale «SIN Tito e Valbasento» per il quale, in data 19 giugno 2013, è stato stipulato tra il Ministero dell'ambiente, il Ministero dello sviluppo economico e la Regione Basilicata un apposito Accordo di Programma Quadro, che prevede la realizzazione di diversi interventi di caratterizzazione e bonifica nelle aree di Tito e Valbasento. Nell'ambito di tali attività, il Ministero dello sviluppo economico svolge attività di vigilanza e garantisce l'erogazione delle risorse, il Ministero dell'ambiente in qualità di autorità procedente nel SIN garantisce lo svolgimento delle istruttorie tecniche per l'approvazione degli interventi previsti dall'Accordo, e la Regione Basilicata ha il ruolo di soggetto attuatore e garantisce l'esecuzione degli interventi previsti dall'Accordo medesimo.
  Si segnala, tuttavia, che l'area posta al chilometro 72 della strada statale SS407 Basentana, in direzione Metaponto, non ricade all'interno del perimetro del SIN.
  Fermo restando quanto esposto, la Regione Basilicata ha fatto presente che il sito in argomento, nel territorio del Comune di Ferrandina in località Finocchio, risulta censito come sito di abbandono di materiali e rifiuti contenenti amianto dal Piano Amianto approvato con legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2001, insieme ad altri quattro siti.
  La Regione Basilicata ha evidenziato, altresì, che anche l'ARPAB, all'esito del sopralluogo effettuato in data 10 agosto 2005, ha segnalato diversi siti nel territorio del Comune di Ferrandina con presenza di cumuli di rifiuti di eternit, già individuati dal Comune medesimo. Per tali siti, il Comune ha anche emesso, a suo tempo, specifiche ordinanze di rimozione e smaltimento a carico dei rispettivi proprietari. Per il sito in località Finocchio l'intervento di bonifica è stato candidato a finanziamento ai sensi della legge regionale n. 27 del 1999 per l'annualità 2009 e riproposto per l'annualità 2012 da parte del Comune di Ferrandina. Tuttavia, sempre secondo quanto riferito dall'Amministrazione regionale, tale finanziamento non è stato concesso per mancato invio, da parte del Comune proponente, delle integrazioni richieste dall'apposita Commissione di valutazione. Dalla documentazione allegata alle predette candidature a finanziamento regionale risulta inoltre che il Comune di Ferrandina ha acquisito l'area dall'ALSIA e che nel corso del 2007 e 2008 ha affidato ad apposita ditta i lavori di rimozione e smaltimento dei cumuli presenti nel sito. I suddetti lavori si sono conclusi nel corso del 2008 con l'insaccamento del materiale rinvenuto in 97 big bags che sono rimaste in loco.
  Sempre secondo quanto riferito dalla Regione, nel permanere del rischio per la salute pubblica, la stessa ha sollecitato il Comune, con nota del 23 febbraio 2016, a procedere alla rimozione e smaltimento dei predetti rifiuti, ai sensi dell'articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, rappresentando l'opportunità di accedere ai contributi regionali disciplinati dalla Pag. 122Dgr. 8 maggio 2012, n. 551. Il sollecito è stato reiterato con nota del 21 dicembre 2017.
  In ultimo, con nota del 12 luglio 2019, l'Ufficio regionale Prevenzione e Controllo Ambientale ha sollecitato nuovamente il Comune ad adempiere agli obblighi di rimozione, avvio a recupero e smaltimento dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi che l'articolo 192 del Codice dell'ambiente pone in capo all'Ente comunale e al proprietario, ribadendo la possibilità di accedere ai contributi regionali previsti per la rimozione di rifiuti abbandonati disciplinati dalla richiamata Dgr. n. 551.
  Il Comune di Ferrandina, da parte sua, ha fatto presente che, con contratto pubblico del 22 febbraio 2008, con il quale è stato trasferito ex lege a favore del Comune medesimo il terreno in questione, l'ALSIA si è accollata integralmente l'onere finanziario della bonifica da amianto, in ragione della titolarità dell'area. Ad ogni modo, anche il Comune ha evidenziato di aver provveduto ad eseguite un intervento di MISE mediante insaccamento del materiale rinvenuto (amianto friabile) in 97 big-bags e contestuale confinamento dell'area, al fine di prevenire e tutelare la salute pubblica. L'Ente comunale ha, inoltre, rappresentato di aver trasmesso, con nota del 30 gennaio 2009, alla Regione Basilicata il progetto relativo agli interventi di smaltimento delle big-bags e alla definitiva bonifica dell'area in località Finocchio. Il progetto veniva escluso dal finanziamento per mancanza del parere ASM, sebbene, a detta del Comune, fosse stato formalmente richiesto. Con nota dell'11 marzo 2010, l'Ente ha inoltrato diffidato l'ALSIA, invitandola, in qualità di originario proprietario, ad adempiere all'obbligo della definitiva bonifica dell'area, in quanto l'onere finanziario computato inizialmente risultava insufficiente allo scopo. In un successivo incontro tecnico, il Comune ha sollecitato la Regione a farsi carico delle problematiche relative alla bonifica dei siti contaminati da amianto, a partite dalla annosa questione ex Materit.
  Il Comune ha ribadito, ad ogni modo, di ritenere responsabile l'ALSIA, in qualità di proprietario originario oltre che per ragioni di contaminazione storica dell'area in argomento. L'Ente comunale ha dato comunque indirizzo ai propri uffici di procedere all'aggiornamento del progetto già a suo tempo presentato alla Regione Basilicata, che sarà sottoposto ad ALSIA, in modo da ripresentarlo all'Amministrazione regionale al fine di accedere ai finanziamenti dedicati.
  Alla luce delle considerazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato al fine di monitorare la messa in sicurezza e bonifica del sito in parola e sollecitare l'eventuale coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti.

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ALLEGATO 3

5-02668 Martinciglio: Iniziative volte a tutelare la salute dei cittadini e la salubrità dell'ambiente nelle aree della provincia di Agrigento in cui erano presenti siti minerari dismessi.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento alle questioni poste, si fa presente, innanzitutto, che, secondo i dati ISPRA, nella Regione Siciliana sono stati censiti 761 siti minerari dismessi. Sulla base del materiale estratto tali siti non presentano però le pesanti problematiche ambientali che caratterizzano i siti di estrazione di minerali metalliferi di altre Regioni italiane (es. Sardegna).
  Inoltre, nell'Inventario nazionale delle strutture di deposito dei rifiuti estrattivi, per la Regione Siciliana i siti minerari con rischio da medio ad alto, non sono 209 bensì 24. Di questi, 5 sono localizzati nelle provincie in argomento. Uno in provincia di Agrigento (Montedoro), 1 in provincia di Enna (Pasquasia) e 3 in provincia di Caltanissetta (Milena, Bosco di San Cataldo, Racalmuto ex ISPEA). Le strutture di deposito dei rifiuti minerari sono costituite da cumuli di rifiuti estrattivi con disposizione disordinata e ordinata. Si tratta di miniere in cui venivano estratti salgemma, sali alcalini misti e zolfo, pertanto anche i rifiuti accumulati dovrebbero essere costituiti dagli scarti della lavorazione di tali estrazioni. Sempre sulla base dei dati ISPRA, il rischio statico-strutturale è generalmente basso mentre quello ecologico-sanitario è condizionato anche dalla presenza di manufatti in amianto e residui dei materiali di lavorazione. Per quanto concerne i depositi dei materiali di scarto del processo di fusione dello zolfo (rosticci) non si hanno indicazioni circa il loro potenziale inquinante. Nella letteratura scientifica non si è riusciti a rinvenire informazioni inerenti la loro eventuale pericolosità. Generalmente, se non mescolati con altre sostanze, sono considerati come depositi di inerti anche nelle altre Regioni italiane dove sono presenti depositi simili (Emilia Romagna, Marche).
  L'ISPRA ha segnalato, inoltre, che alcune delle miniere dismesse in provincia di Agrigento, Palermo, Enna e Caltanissetta sono state trasformate in Parchi o Musei minerari, favorendo la conservazione della memoria storica di un'attività caratterizzante l'economia di quelle aree. La trasformazione Museale può, inoltre, rappresentare una soluzione per il controllo e la vigilanza dei siti dismessi. Più in particolare, le miniere di Cozzo Disi e Comitini sono parte della rete dei parchi e musei minerari Re.Mi. coordinata da ISPRA. L'Istituto sta, inoltre, realizzando il Database Nazionale Geologico Minerario, Museale e Ambientale (db GeMMA) in cm si sta cercando di inserire, oltre ai siti minerari, anche tutte le strutture di deposito dei rifiuti identificate sulla base delle informazioni trasmesse dalle Regioni integrate e, per le miniere a cielo aperto, le analisi di immagini satellitari.
  Per quanto concerne gli aspetti sanitari, l'Istituto Superiore di Sanità ha fatto presente che, sulla base delle conoscenze disponibili, per evidenziare eventuali aree con anomalie nello stato di salute della popolazione, si deve fare riferimento a flussi di dati sanitari accreditati che permettano un confronto tra popolazioni di aree diverse ed una valutazione dell'evoluzione temporale, secondo metodologie condivise e consolidate. In questo quadro, segnalazioni di un'occorrenza «anomala» Pag. 124di patologie in una determinata area, in relazione ad una contaminazione ambientale, dovranno essere basate su un confronto con una adeguata popolazione di riferimento, più simile possibile alla popolazione in oggetto che non esperisca la contaminazione di interesse, considerando specifiche patologie che vedano tra i loro fattori di rischio accertati, o possibili, gli inquinanti presenti nell'area.
  A tal fine, per quanto riguarda la Sicilia, il Dipartimento Attività Sanitarie ed Osservatorio Epidemiologico (DASOE) dell'Assessorato alla Salute della Regione Siciliana, pubblica periodicamente Rapporti sullo stato di salute della popolazione. In tali Rapporti vengono riportati i risultati delle analisi sui diversi esiti sanitari, come ad esempio la mortalità, i ricoveri ospedalieri e l'incidenza oncologica, che vengono elaborate sulla base delle banche dati regionali.
  Sempre in merito al rischio oncologico, l'Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che il territorio agrigentino è costituito da 7 distretti sanitari e che il Comune di Racalmuto è ricompreso nel distretto sanitario di Canicattì. A partire dal 2009 tutta la provincia di Agrigento è stata inclusa nel territorio di pertinenza del preesistente registro di Trapani. Nell'aprile 2018 i dati di incidenza per tumore dell'area di Agrigento sono stati accreditati dall'Associazione Italiana dei Registri Tumori (AIRTUM). A, tal proposito, sempre secondo quanto riferito dall'ISS, l'accreditamento sancisce la validità e la completezza delle informazioni prodotte dal registro e ne garantisce la confrontabilità a livello nazionale e internazionale. Gli standard di qualità adottati nella procedura di accreditamento sono infatti condivisi dalla comunità scientifica internazionale e i dati dei registri tumori accreditati rappresentano la fonte informativa d'elezione per le misure di incidenza.
  L'Istituto ha, peraltro, precisato che dall'ultimo aggiornamento dei dati, reso disponibile dal registro tumori di Trapani-Agrigento, risulta che nel periodo 2011-2014 i tassi standardizzati di incidenza per il complesso di tutti i tumori nella provincia di Agrigento e nei 7 distretti sanitari della provincia medesima sono inferiori alla media regionale e a quelli registrati nella quasi totalità delle province siciliane, in entrambi i sessi. L'analisi dei tassi di incidenza nella provincia di Agrigento evidenzia valori in linea con la media dei registri del Sud o al di sotto degli stessi. Il confronto a livello comunale è disponibile dall'ultimo Rapporto pubblicato dal registro tumori di Trapani-Agrigento (periodo 2011-2013), in cui si confronta il dato di incidenza delle 43 aree comunali con quello medio della provincia e dell'intera Regione siciliana. Dal Rapporto si evince che per il Comune di Racalmuto i tassi di incidenza per entrambi i sessi non presentano differenze statisticamente significative rispetto alla media provinciale o regionale, e non si osservano eccessi di rischio.
  L'Istituto Superiore di Sanità ha, tuttavia, evidenziato che i dati di incidenza per tumore della provincia di Agrigento sono stati accreditati solo nel 2018 e non esiste ancora una serie storica per poter valutare eventuali incrementi temporali del rischio oncologico. A questo scopo è però possibile ricavare elementi utili dall'analisi dei dati di mortalità per causa, forniti dalle statistiche ufficiali (ISTAT) o dai registri di mortalità regionali (RENCAM), che hanno una elevata qualità e completezza, e sono forniti con un esauriente dettaglio geografico (provinciale/comunale). L'analisi dei tassi standardizzati di mortalità, riportata nel volume: «Atlante sanitario della Sicilia», mostra che la mortalità per tumore, nel periodo 2007-2015, in provincia di Agrigento e in tutti i distretti sanitari ad essa afferenti è in diminuzione per entrambi i sessi. Dallo stesso Rapporto risulta che la mortalità per specifici tumori, nel periodo 2007-2015, nell'area complessiva dell'ASP di Agrigento è in linea con la media regionale. Per quanto riguarda l'analisi per singolo distretto sanitario, si rilevano eccessi, rispetto alla Regione, per specifiche sedi tumorali e distretti. I trend temporali della mortalità per le singole sedi temporali Pag. 125è in decrescita in tutti i distretti sanitari afferenti all'ASP di Agrigento.
  Sempre secondo quanto riferito dall'Istituto, il registro tumori di Agrigento opera secondo criteri standardizzati e scientificamente riconosciuti, con un dettaglio geografico atto a rilevare eventuali criticità locali, all'interno di una rete oncologica e di flussi informativi sanitari regionali, coordinati dal DASOE. Alla luce delle considerazioni che precedono, secondo l'Istituto Superiore di Sanità non si ravvisano, dunque, carenze che impedirebbero di evidenziare gli aumenti del rischio oncologico.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero dell'ambiente continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio, mantenendo alto il livello di attenzione su questa delicata questione.