CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 19 dicembre 2018
117.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Sugli esiti della missione svolta a Bruxelles in occasione della riunione interparlamentare organizzata dal Sottocomitato della Commissione affari esteri del Parlamento europeo sui diritti umani e della Conferenza di alto livello di apertura della Settimana celebrativa del 70mo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell'uomo (20 novembre 2018).

COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENTE

  Il 20 novembre 2018 l'onorevole Simona Suriano ha preso parte, in rappresentanza della III Commissione, alla riunione interparlamentare organizzata dalla Sottocommissione del Parlamento europeo sui diritti umani e alla successiva Conferenza ad alto livello. Entrambe le iniziative si sono svolte nell'ambito della cosiddetta «settimana dei diritti umani» (dal 19 al 23 novembre), voluta dal Parlamento europeo per celebrare il 70mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
  La prima sessione della riunione interparlamentare è stata introdotta dall'onorevole Antonio Panzeri, presidente della Sottocommissione per i diritti umani del PE, che ha illustrato i tre temi principali dell'incontro: integrare la dimensione dei diritti umani nell'azione esterna dell'UE; la tutela dei diritti umani nell'attività delle imprese, in particolare delle multinazionali; la promozione dei diritti umani nel contesto degli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall'Agenda 2030. Ha inoltre ricordato le priorità del quadro strategico su diritti umani e democrazia, adottato dal Consiglio dell'UE il 25 giugno 2012, sottolineando, in particolare, la promozione dell'universalità dei diritti umani, da perseguire attraverso una coerente azione sul piano bilaterale e multilaterale. Tali obiettivi generali sono stati articolati in un successivo piano d'azione dell'UE per i diritti umani e la democrazia 2015- 2019, adottato dal Consiglio dell'UE nel luglio 2015, che individua 34 obiettivi suddivisi nelle seguenti 5 aree strategiche: aumentare il coinvolgimento degli attori locali con misure tese a interagire con gli attori esterni governativi e non governativi; equilibrio tra i diritti civili e politici, da un lato, e quelli economici, sociali e culturali, dall'altro; adottare un approccio globale sui diritti umani in situazioni di conflitto e di crisi, supportando lo sviluppo di strumenti nazionali, regionali e internazionali volti a prevenire, affrontare e contrastare le violazioni dei diritti umani; favorire la coerenza tenendo maggiormente conto dei diritti umani nelle politiche dell'UE, come ad esempio quelle legate a commercio e investimenti, migrazione e asilo, cooperazione allo sviluppo e lotta al terrorismo; accrescere l'efficacia sviluppando approcci orientati ai risultati. L'onorevole Panzeri ha dunque auspicato che la riunione interparlamentare agevoli lo scambio di buone pratiche tra i membri del Parlamento europeo ed i rappresentanti dei Parlamenti nazionali, al fine di creare un quadro coerente di attuazione degli obiettivi sopra menzionati sia a livello UE che a livello nazionale.
  Nel suo intervento, il Rappresentante Speciale dell'Unione Europea per i diritti umani, Stavros Lambrinidis, ha sottolineato il ruolo di leadership che l'Unione europea esercita, a livello globale, in materia di diritti umani, confermato dal fatto Pag. 33che tra i più recenti vincitori del Premio Nobel per la pace figurano personalità (come Nadia Murad e Malala Yousafzai) che erano state in precedenza insigniti del Premio Sacharov per la libertà di pensiero, il più importante riconoscimento per i diritti umani in Europa assegnato dal Parlamento europeo.
  Per riaffermare il primato dei diritti umani nel quadro complesso delle sfide del nuovo ordine internazionale, a suo avviso l'UE dovrebbe operare sia con un approccio difensivo, utilizzando gli strumenti della diplomazia «silenziosa», sia con un approccio più propositivo, volto a esportare le proprie buone prassi nei Paesi terzi. In tale contesto, sarebbe opportuno adoperarsi per costruire «coalizioni in difesa dei diritti umani», soprattutto nei fori di dialogo multilaterale (ONU, OSCE, ASEM, Unione degli Stati africani, Organizzazione degli Stati americani): al riguardo, ha ricordato che il 28 settembre scorso, a margine dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l'UE ha lanciato, insieme a 13 Paesi partner (Argentina, Burkina Faso, Capo Verde, Cile, Corea del sud, Gambia, Georgia, Indonesia, Nuova Zelanda, Norvegia, Perù, Tunisia e Uruguay), la «Good Human Rights Stories Initiative»: in una fase storica in cui emergono pericolose tendenze che indeboliscono l'universalità e l'indivisibilità dei diritti umani, anche attraverso la diffusione di pratiche negative, tale iniziativa aspira a creare una nuova narrativa positiva sui diritti umani nel mondo: a titolo di esempio, sono stati illustrati gli effetti che la cooperazione tra le istituzioni e la società civile determina sul migliore sviluppo sociale ed economico dei Paesi (in Burkina Faso e Corea); le riforme del sistema penitenziario che hanno significativamente migliorato le condizioni di detenzione e la riabilitazione (in Georgia), i benefici determinati dalle normative in materia di emancipazione delle donne e lotta alla violenza di genere (in Nuova Zelanda e Tunisia).
  Lambrinidis ha inoltre sottolineato che l'Unione europea riconosce il ruolo essenziale della società civile nella promozione dei diritti umani: a tal fine ha ricordato che, in occasione degli incontri bilaterali, la delegazione UE chiede sempre di incontrare esponenti della società civile, anche quando i rispettivi governi nazionali esprimono riserve al riguardo. Ad avviso del Rappresentante Speciale, il ruolo di impulso dell'Unione nella tutela dei diritti umani dovrebbe dunque concretizzarsi nel supporto ai processi di institution building: il rafforzamento delle istituzioni è infatti un prerequisito per garantire l'indipendenza della magistratura e la libertà di espressione.
  Petras Auštrevičius, deputato del Parlamento europeo e relatore del rapporto 2017 sui diritti umani e la democrazia nel mondo, ha sottolineato il ruolo positivo che il Parlamento esercita sia nell'attività di monitoraggio (il cui strumento principale è proprio il citato rapporto annuale) sia nella definizione degli standard in materia di diritti umani che i Paesi terzi devono rispettare per concludere accordi commerciali con l'Unione. I Parlamenti nazionali, a loro volta, dovrebbero garantire l'applicazione degli stessi orientamenti e princìpi, sia a livello interno, attraverso la ratifica delle convenzioni e dei trattati internazionali, sia nelle sedi di confronto multilaterale, in modo da assicurare coerenza ed efficacia all'azione delle Istituzioni europee.
  Nel successivo dibattito, si è registrata una sostanziale convergenza tra i rappresentanti dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo sulla necessità di applicare con maggior rigore le regole del sistema di preferenze generalizzate, che consente agli esportatori dei Paesi in via di sviluppo di ottenere l'esenzione totale o parziale dai dazi all'esportazione verso l'UE, condizionata alla tutela dei diritti fondamentali ed alla promozione di uno sviluppo sostenibile. È previsto, infatti, che i benefici dell'SPG possano essere revocati per violazioni gravi e sistematiche dei principi contenuti nelle Convenzioni essenziali delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sui diritti umani e sul diritto del lavoro: è stato richiamato, come esempio negativo, Pag. 34il caso della Cambogia, che continua a beneficare del sistema di preferenze generalizzate nonostante la repressione attuata dal regime, culminata con lo scioglimento del principale partito di opposizione. È stata altresì evocata l'opportunità di porre l'accento, sia a livello europeo sia a livello nazionale, sulla promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030: le diseguaglianze economiche, l'esclusione sociale, le disparità di genere, infatti, sono alla base dei fenomeni di discriminazione verso i gruppi più vulnerabili, in primis le minoranze etniche.
  La seconda sessione, dedicata alla tutela dei diritti umani nell'attività delle imprese, in particolare le multinazionali, è stata introdotta dall'intervento dell'onorevole László Tokés, Vicepresidente della sottocommissione per i diritti dell'uomo del PE, che ha sottolineato l'esigenza di un quadro normativo concordato a livello internazionale che vieti lo sfruttamento di manodopera nelle catene di approvvigionamento e di produzione: al riguardo, ha ricordato i cosiddetti «Principi guida su imprese e diritti umani», adottati dal Consiglio per i diritti umani dell'ONU con la risoluzione 17/4 del 16 giugno 2011, basati su tre pilastri: gli obblighi degli Stati di rispettare, proteggere e attuare i diritti umani e le libertà fondamentali; la responsabilità da parte delle imprese di evitare un impatto negativo su terzi e di rispettare tutte le leggi applicabili e i diritti umani; la possibilità di accedere, in caso di abuso, a meccanismi di ricorso, anche giurisdizionale, che siano appropriati ed efficaci. Ha altresì menzionato la risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 4 ottobre scorso, nella quale si sollecitano le Istituzioni dell'UE e i singoli Stati membri ad impegnarsi in modo concreto e costruttivo nei negoziati del gruppo di lavoro intergovernativo, istituito in ambito ONU, per la redazione di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante in tema di responsabilità delle imprese per le violazioni dei diritti umani.
  Makbule Sahan, direttore dell'Ufficio legale della Confederazione internazionale dei sindacati, ha evidenziato gli squilibri dell'economia globalizzata: l'80 per cento degli utili d'impresa è concentrato nelle mani del 10 per cento delle aziende quotate, mentre il 60 per cento dei lavoratori non ha un contratto regolare. Inoltre, in base alle denunce ricevute dal sindacato, l'80 per cento dei lavoratori non percepisce un salario sufficiente a garantire condizioni di vita dignitose, e in taluni casi si configurano situazioni di vero e proprio sfruttamento. Peraltro, solo il 3 per cento delle aziende consente di accedere a mezzi di ricorso contro le violazioni. Occorre dunque una radicale riforma del quadro normativo, che rimetta il tema dello stato di diritto al centro dei processi di globalizzazione.
  Juan Andrés Cano, direttore di Business Development, società di consulenza spagnola che si occupa dell'applicazione dei principi guida su imprese e diritti umani, ha osservato che, grazie alla sapiente azione delle organizzazioni non governative, si sta rafforzando la consapevolezza, sia nell'opinione pubblica sia negli organi direttivi delle aziende, del nesso tra rispetto delle norme etiche fondamentali e buon funzionamento dei processi produttivi. Gli stessi investitori (soprattutto i fondi di private equity) prestano maggiore attenzione al profilo della responsabilità sociale nelle loro scelte di investimento, privilegiando le imprese che hanno una policy più attenta alle questioni sociali ed ambientali.
  Dominique Potier, membro della Commissione affari economici dell'Assemblea nazionale francese, ha illustrato la legge, di recente approvazione, in materia di vigilanza, riguardante le imprese multinazionali aventi sede legale in Francia. La disciplina, che si applica alle imprese che occupano più di 5.000 dipendenti in Francia e 10.000 dipendenti in tutto il mondo, impone alle imprese stesse l'obbligo di sviluppare e attuare un piano di vigilanza che identifichi i rischi e prevenga le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali, della salute e sicurezza delle persone, nonché dell'ambiente che possono derivare dalle attività della capogruppo, dalle società da essa controllate e Pag. 35dai loro fornitori e subappaltatori situati in Francia e all'estero. L'elemento di novità della normativa in questione risiede nel carattere vincolante del piano, con validità sul territorio nazionale e su tutta la catena produttiva delle multinazionali. Inoltre, qualsiasi persona portatrice di interesse può presentare ricorso per il risarcimento dei danni dinanzi al tribunale competente.
  Manuel Altava, presidente della Commissione giustizia del Senato spagnolo, ha descritto il piano d'azione nazionale adottato dalla Spagna in attuazione dei Principi guida su imprese e diritti umani: approvato nel luglio 2017, con durata triennale, esso prevede misure di sostegno, anche finanziario, per la realizzazione di programmi di formazione in tema di responsabilità sociale delle imprese, da attuare con il concorso delle organizzazioni della società civile. Ha altresì ribadito l'impegno del Governo spagnolo, nell'ambito del gruppo di lavoro intergovernativo; per l'approvazione di uno strumento giuridico vincolante a livello internazionale.
  Isabel Albornoz, incaricata d'affari dell'Ambasciata dell'Ecuador presso l'UE, ha ricordato che il suo Paese e il Sudafrica sono stati i principali promotori della costituzione del gruppo di lavoro in sede ONU. Nell'ultima sessione di lavoro, svoltasi ad ottobre, è stata definita una bozza di accordo che si basa su quattro direttrici: prevenzione delle violazioni di diritti umani; diritto effettivo ad avere accesso a mezzi di ricorso giurisdizionale; cooperazione internazionale; meccanismi di monitoraggio dei risultati. Riguardo al seguito dei lavori, ha segnalato che i Governi nazionali interessati possono presentare osservazioni sulla bozza di accordo entro febbraio 2019, sulla base delle quali verrà elaborato un nuovo testo di compromesso.
  Durante il successivo dibattito è emersa una sostanziale convergenza sulla necessità di garantire un'effettiva applicazione, in tutti i Paesi membri, della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che sancisce un quadro chiaro e coerente in materia diritti sociali ed economici. È stato altresì espresso apprezzamento per la normativa francese sulla vigilanza delle imprese multinazionali: il dibattito sull'adozione di legislazioni analoghe è già aperto in Austria, Germania e Paesi Bassi, nonché, al di fuori dell'UE, in Svizzera. Il senatore Airola (M5S) si è associato alle valutazioni positive sull'esempio francese, evidenziando, tuttavia, l'esigenza di adottare strumenti vincolanti a livello internazionale: il negoziato in sede ONU, tuttavia, può presentare insidie, dal momento che nelle Nazioni Unite siedono rappresentanti di Paesi nei quali persistono situazioni di grave sfruttamento della manodopera; pertanto, oltre alle multinazionali, occorrerebbe denunciare perseguire anche la condotta dei responsabili politici.
  La terza e ultima sessione è stata incentrata sull'intervento di Ai Weiwei, artista, designer, architetto e regista cinese, nonché attivista per i diritti umani. Il relatore ha sottolineato i cambiamenti radicali che si sono prodotti, a livello globale, negli ultimi due secoli: il declino delle istituzioni democratiche e l'emergere di regimi autoritari; il divario sempre più profondo tra i ceti abbienti e le classi sociali disagiate; i cambiamenti climatici e le loro conseguenze disastrose per l'equilibrio ecologico; il progresso tecnologico, che se da un lato ha aumentato in maniera esponenziale i canali di comunicazione, dall'altro esclude intere fasce di popolazione dall'accesso alla cultura e all'istruzione; i potenziali conflitti tra libertà di espressione e violazione della privacy. Di fronte a queste sfide epocali occorre creare le condizioni per giungere ad un rinnovato consenso, quanto più possibile condiviso a livello internazionale, sul concetto di dignità umana, per evitare che la discussione sui diritti umani diventi un vuoto esercizio di retorica. In questo contesto, l'arte può assumere un ruolo fondamentale perché tende ad avvicinare le società e le culture, agendo sui sentimenti e sulle emozioni.
  Nel pomeriggio del 20 novembre si è svolta la Conferenza di alto livello sui diritti umani, che si è aperta con gli interventi introduttivi del Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, e Pag. 36dell'Alta Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini.
  Il Presidente Tajani ha ricordato l'impegno del Parlamento europeo per i diritti umani, e in particolare le iniziative adottate nell'ambito della «settimana dei diritti umani» e il Premio Sacharov per la libertà di pensiero, assegnato ogni anno a persone che abbiano contribuito in modo eccezionale alla lotta per i diritti umani. In occasione della Giornata mondiale per l'infanzia, ha quindi richiamato le nuove regole per i media audiovisivi, approvate dal Parlamento europeo, per una maggiore protezione dei minori dai contenuti violenti. Ricordando il caso di Asia Bibi, il Presidente ha quindi raccomandato all'Unione europea e agli Stati membri di parlare con una sola voce a sostegno dei diritti umani e a tutela delle vittime di violenza per la loro fede religiosa. Ha sollecitato iniziative a tutela della libertà di stampa, anche a fronte dei recenti gravi casi di giornalisti uccisi o detenuti, e infine si è soffermato sul tema della violenza alle donne e sulla necessità di una rapida ratifica da parte di tutti gli Stati firmatari della Convenzione di Instanbul.
  L'Alta Rappresentante ha evidenziato il rischio di un approccio volto a mettere in discussione e limitare i diritti umani sulla base di considerazioni legate alla sicurezza o agli interessi nazionali. Si è quindi soffermata sulla nozione di universalità della dichiarazione, che è tale in quanto rappresenta tutti e tutte le parti del mondo, e contiene principi alla base della nostra coesistenza. L'Alta Rappresentante ha quindi richiamato i risultati positivi ottenuti dall'azione dell'UE a tutela dei diritti umani, dalla liberazione di attivisti in Azerbaijan alle iniziative adottate in relazione alla situazione in Birmania.
  Successivamente, si è svolta una sessione dedicata all'universalità ed indivisibilità dei diritti umani nel mondo digitale e globalizzato, nella quale sono intervenuti l'Alta Commissaria ONU per i diritti umani, Michelle Bachelet, la Procuratrice capo della Corte penale internazionale Fatou Bensouda, il Rappresentante speciale dell'UE per i diritti umani Stavros Lambrinidis, l’Ombudsman europeo Emily ÒReilly, il Presidente di Open Society Patrick Gaspard. L'onorevole Panzeri ha presieduto e introdotto la sessione osservando come l'azione a tutela dei diritti umani deve essere accompagnata da iniziative per la riduzione delle disuguaglianze.
  La signora Bachelet ha osservato come il quadro giuridico internazionale a tutela dei diritti umani sia sotto pressione in un contesto sempre più turbolento e polarizzato. Anche in Europa si assiste ad un'erosione delle libertà fondamentali, prodotta anche dal ricorrente linguaggio d'odio. La sfida di oggi è rendere gli standard di protezione dei diritti umani più comprensibili e comunicare, attraverso concreti esempi positivi, come il loro rispetto possa contribuire a creare società più forti. Tale tema è stato ripreso anche dal Rappresentante speciale dell'UE per i diritti umani, il quale ha ricordato il citato programma «Good Human Rights Stories Initiative» e ribadito l'impegno dell'UE a cooperare con l'ONU per la tutela dei diritti umani e dello stato di diritto.
  La signora Bensouda ha richiamato le origini della Corte penale internazionale, istituita a seguito della Conferenza di Roma del 1998. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo rappresenta il riferimento dell'attività della Corte, competente a giudicare individui responsabili dei più gravi crimini di rilevanza internazionale. La Procuratrice ha evocato i casi attualmente all'attenzione della Corte, rispettivamente in fase di esame preliminare e per i quali è stata avviata un'indagine, e ha osservato la necessità di uno sforzo di cooperazione da parte dei Paesi in cui opera la giurisdizione della Corte. La relatrice ha quindi illustrato il progetto di rafforzamento delle capacità della Corte, anche attraverso un maggiore uso delle tecnologie (con riferimento ad esempio alle prove digitali).
  Come osservato dalla signora Emily ÒReilly, l’Ombudsman europeo, organo deputato a ricevere le denunce dei cittadini riguardanti casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni dell'UE, ha in Pag. 37senso lato un mandato legato anche al rispetto dei diritti umani. Spesso, infatti, i reclami lamentano la violazione di diritti fondamentali tutelati dalla Carta di Nizza (ad esempio in materia di trasparenza, equità procedimentale, conflitto di interessi). Talora, tuttavia, nell'esercizio del potere soft di raccomandazione nei confronti delle amministrazioni, il mediatore preferisce contestare errori amministrativi o violazioni procedurali, piuttosto che il mancato rispetto di diritti umani. Per una tutela più ampia dei cittadini europei, la relatrice ha inoltre evidenziato la necessità di una stretta cooperazione con i mediatori nazionali, attraverso la Rete europea dei difensori civici.
  Secondo il Presidente di Open society, infine, occorre una nuova progettualità per la tutela dei diritti umani, e un atteggiamento coraggioso, persino spregiudicato, da parte dei politici nell'affrontare tale tema. Bisogna puntare i riflettori sulle azioni che gli Stati intraprendono a tal fine, proteggere gli attivisti dei diritti umani, affermare in Europa leadership basate sui valori contenuti nell'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea (rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze), coinvolgere ed investire anche sui leader delle aziende private.
  Nel dibattito, parlamentari nazionali e organizzazioni non governative hanno affrontato il tema della standardizzazione e universalità dei diritti umani contemplati dalla dichiarazione. È stato poi ricordato l'impegno del Parlamento europeo per l'abolizione della pena di morte e ripreso il collegamento tra tutela dei diritti e lotta alle ineguaglianze, che presuppone una svolta nelle politiche socioeconomiche a livello globale.
  L'onorevole Suriano ha illustrato l'impegno della Commissione affari esteri della Camera nel campo dei diritti umani, richiamando in particolare la deliberazione di indagini conoscitive sui diritti umani, tutela delle minoranze, e su un settore, quale quello del commercio internazionale, che può avere evidenti ricadute sulla tutela dei diritti. La parlamentare ha inoltre preannunciato l'istituzione di un Comitato sui diritti umani, in seno alla Commissione. L'onorevole Suriano ha quindi ribadito la necessità di interventi anche nel mondo del lavoro e ha menzionato le misure italiane per una redistribuzione della ricchezza per superare situazioni di povertà assoluta, nonché le iniziative per garantire un accesso più equo al mondo dell'istruzione e contrastare il conflitto di interessi. Per una piena tutela dei diritti umani, sociali e civili, la parlamentare ha sottolineato l'esigenza di un intervento più coerente e deciso da parte delle Istituzioni europee.

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ALLEGATO 2

Sugli esiti della missione a Belgrado, Serbia (29-30 novembre 2018).

COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENTE

  Una delegazione della Commissione esteri, guidata dalla Presidente Marta Grande e composta dai deputati Dimitri Coin per il gruppo della Lega e Andrea Del Mastro Delle Vedove per il gruppo Fratelli d'Italia, si è recata in visita a Belgrado nei giorni 29 e 30 novembre 2018.
  Si è trattato della prima visita della legislatura di carattere bilaterale svolta dalla Commissione. Come più volte sottolineato dalla Presidente Grande nel corso degli incontri, la scelta in favore della Serbia è stata motivata dall'esigenza di dare priorità ad un Paese e ad una regione, i Balcani Occidentali, decisivi per la pace e la stabilità dell'Europea, del Mediterraneo e dell'Italia.

Contesto della visita

  La visita in Serbia è stata deliberata in modo unanime dell'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, in considerazione del ruolo chiave assolto da Belgrado per la pacificazione e la stabilità della regione balcanica e, di riflesso, per tutto il quadrante mediterraneo. Lo stallo del negoziato europeo e l'emergere di una nuova stagione di crisi acuta nelle relazioni con Pristina hanno rappresentato i temi salienti al centro dei colloqui. Con la Serbia, che detiene lo status di paese candidato, sono stati avviati 14 capitoli su 35, di cui soltanto 2 chiusi. Da parte di Bruxelles l'andamento del negoziato con Belgrado è dettato dai progressi in materia di Stato di diritto (di cui al capitolo 23) e dalla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Queste ultime hanno d'altra parte subito, proprio nei giorni precedenti la missione, un drammatico peggioramento a fronte del successo della campagna serba contro l'adesione di Pristina ad Interpol e della conseguente decisione di Pristina di innalzare del 100 per cento i dazi delle merci importate da Serbia. Il rischio conseguente è la revisione da parte di Pristina dello status delle proprie forze di sicurezza, al fine di trasformarle in vere forze armate.
  In questo quadro la delegazione è stata destinataria di un gesto di speciale cortesia e amicizia istituzionale in occasione dell'incontro con il Capo dello Stato, ad incoraggiamento di un sostanziale rilancio delle relazioni bilaterali a livello parlamentare.

Gli incontri

  La missione, per il cui programma è stata incaricata l'Ambasciata italiana a Belgrado e il Capomissione, l'Ambasciatore Lo Cascio, si è caratterizzata sul piano istituzionale per il livello particolarmente elevato degli incontri, con specifico riferimento al colloquio con il Capo dello Stato, Alexander Vucic, che ha inaugurato l'agenda della delegazione.
  Il presidente Vucic ha accolto la delegazione auspicando maggiore cooperazione bilaterale, sia parlamentare sia governativa, in vista delle celebrazioni nel 2019 per il 140o anniversario delle relazioni diplomatiche italo serbe, nonché per il decennale del partenariato strategico tra Italia e Serbia.
  Il presidente Vucic, ringraziando l'Italia per il sostegno al percorso di integrazione europea della Serbia, ha dato risalto al Pag. 39successo nel superamento della povertà diffusa e all'avvio di una stagione di prosperità economica. Il problema della Serbia resta uno, la gestione della tensione con Pristina, per il cui superamento l'Italia costituisce un partner importante anche grazie alla sua forte presenza nel tessuto economico serbo. È pertanto auspicabile che il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, e i due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, si rechino presto a loro volta in visita a Belgrado per sancire un ulteriore passo nell'avvicinamento dei due Paesi. Vucic ha riferito degli ottimi rapporti con il presidente Mattarella, il cui approccio per la soluzione dei problemi della regione riesce sempre a sortire un effetto di distensione. Sul terreno della cooperazione economica, il presidente ha manifestato la disponibilità ad accogliere in Serbia ulteriori aziende italiane pur comprendendo le difficoltà connesse alla scelta di delocalizzare. Ha, quindi, approfondito i connotati della più recente crisi con le autorità di Pristina, legata all'elevazione di dazi doganali pari al 100 per cento del valore delle merci serbe destinate al mercato kosovaro. Per Vucic, Pristina è al momento irremovibile malgrado le pressioni internazionali ed è tangibile una preoccupante crescita di tensione.
  In questo contesto il Capo dello Stato serbo ha rivolto un non scontato tributo ai militari italiani impegnati nella missione della Nato in Kosovo per la salvaguardia dei monasteri ortodossi, come pure a tutela della sicurezza della minoranza serba insediata nel sud della regione. Richiamando il riconoscimento da parte dell'Italia al Kosovo come entità statale, ha mosso un rilievo polemico evocando la possibilità che la Serbia conceda visti ai 300.000 albanesi del Kosovo che, in alternativa, potrebbero chiedere di venire in Italia, dichiarando al contempo di non avere alcuna intenzione di ostacolare la prospettiva europea del Kosovo.
  Vucic ha rassicurato gli interlocutori italiani sul proprio impegno a favore della stabilità e dell'integrità territoriale della Bosnia Erzegovina, pur segnalando il favore diffuso tra la popolazione serba per la prospettiva di riunione con la Repubblica Serpska ma, d'altra parte, precisando che la priorità del momento è rappresentata dallo sviluppo economico della Serbia, non da quello territoriale. Ha, infatti, richiamato i dati relativi alla crescita del Pil, alla significativa riduzione del debito pubblico, pressoché dimezzato, alla riduzione della disoccupazione e alla sensibile crescita dei salari.
  Ha, avviandosi alla chiusura, ribadito la costanza dell'Italia nel sostegno alla Serbia laddove altri Paesi europei hanno spesso frapposto sempre nuovi ostacoli. Si è poi espresso sul terreno delle politiche migratorie chiedendo di potere ricevere dall'Europa indicazioni univoche, che la Serbia non avrebbe alcuna riserva ad attuare.
  La presidente Grande, nel ringraziare per l'opportunità di un colloquio al più alto livello delle istituzioni serbe, ha esplicitato le ragioni della scelta di venire in visita in Serbia come prima destinazione per una missione della Commissione esteri italiana: ha, infatti, indicato nella prosperità della regione dei Balcani Occidentali la chiave per la pace che la stabilità dell'Unione europea del futuro. Ha espresso apprezzamento per lo sforzo che la Serbia ha profuso e continua a profondere nel processo di riforme e consapevolezza sulle tensioni regionali che Belgrado sta affrontando, seguendo finora una più che apprezzata linea di difficile equilibrio, finalizzata alla riduzione della tensione e alla ricerca di soluzioni. La presidente Grande ha auspicato che la gestione di questa fase delicata, unita agli sforzi finora compiuti, possano insieme favorire l'accelerazione dell'integrazione europea della Serbia.
  L'incontro con il Presidente della Repubblica si è caratterizzato per un evidente richiamo ai temi dello sviluppo economico del Paese, come emerse anche in occasione di una rilevante intervista rilasciata dal presidente Vucic nei giorni precedenti la missione, e alla cooperazione commerciale con il nostro Paese, senza omettere i filoni della cooperazione scientifico-tecnologica (non a caso la nostra Pag. 40Ambasciata è l'unica nell'area ad ospitare un esperto scientifico, considerati i rapporti con il CNR o con l'Istituto di fisica nucleare di Catania). Il presidente Vucic è certamente una figura controversa, assai criticata dall'opposizione, che gli addebita una gestione accentrata ed autoritaria del Paese, di stampo di fatto semi presidenziale, ma che riconosce il tuo tentativo di dare soluzione al dossier kosovaro. Proprio questo impegno Vucic è esposto a critiche da parte delle diverse forze politiche di maggioranza e di opposizione.
  L'elogio ai nostri militari impegnati in Kosovo sotto l'ombrello Nato ha rappresentato peraltro un passaggio non scontato ed un elemento di novità, considerati gli attacchi mediatici alla Nato che lo stesso Vucic ha mosso dopo la ripresa di tensione con il Kosovo a causa dei dazi. D'altra parte oggi più che mai la presenza delle forze internazionali in Kosovo è elemento che rassicura la stessa comunità serba in Kosovo, tanto che appare impensabile un ritiro del contingente o un passaggio di consegne da parte della Nato all'Unione europea.
  In generale, la disponibilità del Capo dello Stato serbo ha rappresentato un forte segnale di attenzione e di ricerca di un dialogo ancora più stretto con l'Italia.
  L'incontro con la Ministra per l'integrazione europea, che ricopre anche il ruolo di segretario internazionale del partito progressista, ha consentito di fare il punto sullo stato di avanzamento del negoziato di adesione all'Unione europea, avviato nel 2004, per il quale ha ringraziato l'Italia per il sostegno costante. La Ministra ha definito la situazione attuale soddisfacente in termini relativi, alla luce della complessa fase che sta attraversando l'Unione europea, nell'auspicio che l'esito delle elezioni europee nel 2019 possa tuttavia comportare un cambio di passo favorevole alla Serbia o almeno un chiarimento di scenario per il futuro. Quanto al percorso di riforme in atto, ha dato conto della difficoltà del percorso e dell'impopolarità di talune misure richieste da Bruxelles, che non hanno però finora avuto un impatto negativo sui partiti di governo, data la riconferma ricevuta con il 55 per cento dei voti alle ultime elezioni. Ha poi ricostruito le tappe del percorso segnalando l'errore strategico di governi passati che hanno promesso irrealistiche date di ingresso con il risultato di fiaccare l'opinione pubblica rispetto alla prospettiva europea. Se dunque il rapporto con l'Ue è cambiato rispetto al passato, l'integrazione resta comunque un obiettivo perseguito dal governo serbo.
  Alla richiesta della presidente Grande su quale potrebbe essere il contributo della comunità internazionale e del nostro Paese al cammino della Serbia verso l'Europa, la ministra ha risposto che occorrerebbe maggiore univocità da Bruxelles e non messaggi contraddittori. Quanto alla riforma costituzionale all'esame del Parlamento per realizzare la riforma del settore giustizia, la presidente Grande ha posto il tema della percezione da parte dei cittadini, considerato che si tratta di un primo pacchetto di riforme che prelude ad altri importanti passaggi ed ha anche chiesto se la riforma in atto può andare incontro ad un rallentamento e se è oggetto di consenso bipartisan. La ministra ha richiamato il difficile rapporto instaurato con la Banca Mondiale quando la Serbia, tre anni, fa era sull'orlo della bancarotta. Da quell'esperienza si è tratto l'insegnamento che il criterio vincente non è la velocità ma la qualità delle riforme, Per l'Unione europea la Serbia deve realizzare risultati innanzitutto sui capitoli 22 e 23 in tema di stato di diritto, che sono precondizioni per ogni altro capitolo. Si tratta di un settore molto ampio e ad alto tasso di politicità, che include la libertà dei media, la tutela delle minoranze, la lotta contro la corruzione, questioni che molti Stati membri dell'UE stanno rielaborando. La Ministra ha comunque espresso ottimismo per quanto dipende dall'impegno della Serbia, mentre ha manifestato profonda preoccupazione per l'impatto della nuova crisi doganale con il Kosovo anche rispetto alla disponibilità di finanziamenti e fondi europei. Ha giudicato la scelta di Pristina come frutto di una politica che tiene la popolazione in ostaggio di un Pag. 41progetto del tutto avulso dai principi europei. Le forze politiche parlamentari serbe sono coese nel procedere spedite sulla riforma, su cui è stata consultata la Commissione di Venezia per assicurare la massima adeguatezza agli standard giuridici internazionali considerato che la rule of law non rientra nell'acquis comunitario.
  La Ministra ha chiesto aiuto all'Italia e alla comunità internazionale nel dialogo con Tirana, che avrebbe espliciti progetti espansionistici nella regione, come tradisce l'iniziativa politica dei dazi assunta da Pristina. Si tratta di una questione che va oltre la Serbia, come pure la tutela dei monasteri ortodossi in Kosovo, che configurano un patrimonio dell'umanità che l'Italia protegge meritevolmente con i suoi militari dal 1999. Di questo impegno la Serbia è riconoscente al nostro Paese.
  Anche l'onorevole Delmastro, che è intervenuto dichiarando di rappresentare l'opposizione, ha rafforzato il convinto sostegno italiano alla Serbia anche per quanto concerne la tutela dei monasteri in Kosovo, che rappresentano molto di più di una semplice «costola» del Paese.
  Ha concluso l'incontro un intervento dell'onorevole Coin che si è unito alla delegazione nel plaudere alle riforme intraprese dal governo serbo nell'interesse dei cittadini, oltre che del negoziato. Ha, quindi, sollecitato la ministra a guardare al risultato delle elezioni europee del prossimo anno, per il cui esito conteranno, forse per la prima, volta i fatti.
  La delegazione ha quindi incontrato il Primo Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari esteri, Ivica Dacic, personalità politica di lungo corso essendo deputato dal 1992 ed avendo ricoperto incarichi governativi all'indomani della caduta di Milosevic.
  Il lungo intervento di apertura del Ministro ha riguardato, quanto alle relazioni bilaterali, il richiamo al 140mo anniversario delle relazioni diplomatiche e il decennale del partenariato strategico, che ha chiesto di rafforzare sul piano economico, considerata la posizione apicale dell'Italia come partner e investitore in Serbia. Nell'auspicare un intensificarsi delle visite anche a livello governativo e la costituzione di un gruppo di amicizia parlamentare, considerata la promettente collaborazione con il governo italiano in carica, ha velatamente rappresentato il riconoscimento da parte dell'Italia del Kosovo come unica questione negativa, nel contesto di un rapporto bilaterale consolidato, testimoniato dal convinto sostegno dell'Italia all'integrazione europea della Serbia.
  La partecipazione della Serbia al gruppo dei Paesi che aderiscono all'Accordo centroeuropeo di libero scambio (CEFTA) permette di considerare tale Paese come un valido interlocutore nei rapporti con Paesi extraeuropei come la Russia o la Bielorussia e di un'area di mercato dove vive un miliardo di persone. Entrando nel vivo del nodo kosovaro, Dacic ha ricostruito storicamente il percorso che ha portato il Kosovo, da provincia della Serbia paragonabile alla Vojvodina, a dichiarare unilateralmente l'indipendenza sulla base di un principio di autodeterminazione che, secondo Dacic, non trova giustificazione in quanto i kosovari di etnia albanese, che oggi rappresentano la maggioranza della «provincia», hanno nell'Albania la propria patria di riferimento e non hanno bisogno di creare un nuovo Stato. Ha quindi definito il caso kosovaro come un tipico caso di secessione senza consenso, paragonabile al caso della Catalogna, che però può meglio argomentare le proprie ragioni non avendo uno Stato alternativo alla Spagna da portare come patria di riferimento. Nel sottolineare la particolare amicizia che lega la Serbia alla Spagna per motivi intuibili, ha lamentato da parte della comunità internazionale e dell'Unione europea l'applicazione di doppi standard nella valutazione del caso Kosovo rispetto al caso Catalogna, al caso Falkland o alle aspirazioni della Repubblica Serpska di ricongiungersi alla Serbia. Ha quindi dato conto della campagna di persuasione che Belgrado ha intrapreso nei confronti di Paesi che hanno riconosciuto il Kosovo e che sta dando qualche risultato significativo in termini di mutamento di orientamento. Ha Pag. 42espresso preoccupazione per le dichiarazioni rese in quei giorni dal premier albanese Rama e dal primo ministro kosovaro Haradinaj rispetto al progetto di riunificazione dei due Paesi entro il 2025, cui avrebbe fatto seguito la decisione di innalzare del cento per cento i dazi tra la Serbia e il Kosovo. Non ha omesso il rischio di presenza nella regione kosovara di foreign fighters rientrati dall'area siro-irachena. Ha rinviato al vertice governativo di Milano nell'ambito della presidenza italiana dell'OSCE per la discussione della tematica. Come unica questione di politica estera di comune interesse Dacic ha fatto cenno alla crisi russo-ucraina, dichiarando la disponibilità del suo Paese a schierarsi per l'integrità di un'Ucraina senza Crimea.
  La presidente Grande ha dato atto dell'importanza delle questioni sollevate dal Ministro e ha espresso apprezzamento per la linea di equilibrio tenuta finora dalla Serbia rispetto al nodo kosovaro e per l'impegno sulle riforme. Ha, quindi, preannunciato un invito affinché la Commissione esteri del Parlamento serbo voglia restituire la visita venendo in Italia in occasione delle celebrazioni del 140mo anniversario delle relazioni diplomatiche italo-serbe.
  L'agenda di incontri a livello parlamentare ha avuto inizio con i colloqui con i componenti della Commissione per l'integrazione europea, guidati dal vicepresidente leader di opposizione Nenad Cenak e cui ha preso parte anche la vicepresidente dell'Assemblea nazionale, Gordana Comic, che ha rimarcato la nazionalità italiana di due importanti funzionari internazionali, con riferimento al capo della Missione dell'OSCE e della Delegazione della Commissione europea in Serbia. Erano presenti anche deputati del partito socialdemocratico (onorevoli Muaver Bacevac e Dusica Stoikovic) e ulteriori esponenti del partito del presidente della repubblica (onorevoli Zvonimir Jokic e Karkonovic). Il tono del colloquio è stato improntato alla massima preoccupazione per l'impatto della nuova crisi con il Kosovo, destinata ad avere effetti su tutta la regione balcanico. Il vicepresidente Cenak ha descritto lo stato dell'iter di esame della riforma costituzionale in tema di giustizia, che contemplerà anche un dialogo aperto a circa 700 associazioni non governative. Quanto al negoziato, ha segnalato che l'aspettativa è per l'apertura di meno capitoli del previsto e che questo avrà un effetto negativo sulla popolazione, sebbene la percentuale di consenso pro-UE sia ferma al 52 per cento, mentre il 70 per cento dei cittadini è favorevole alle riforme. Il deputato Jokic ha enfatizzato i toni antieuropei, lamentando una sudditanza di Bruxelles nei confronti degli Stati Uniti ed un'ingiusta posizione di equidistanza tra le ragioni di Belgrado e Pristina, che è però l'unica responsabile di questa nuova crisi. La delegazione italiana ha ribadito l'importanza per Belgrado di tenere una posizione di equilibrio e dichiarato il proprio impegno a collaborare con l'ambasciata di Roma per dare visibilità alle celebrazioni del 140mo anniversario delle relazioni diplomatiche. Se la presidente Grande, oltre a dare conto degli incontri già avuti, ha sottolineato l'importanza della diplomazia parlamentare, l'on. Coin ha osservato che l'Unione europea ha bisogno che la Serbia non si snaturi rispetto alla sua identità nazionale, poiché questo sarebbe un danno per l'Europa stessa.
  L'ulteriore incontro è stato con il Vice Presidente dell'Assemblea nazionale Vladimir Marinkovic, il quale ha sottolineato il ruolo essenziale che il Parlamento serbo gioca nel processo di adesione all'Unione europea. Ha sottolineato l'esigenza che l'Italia e la Serbia cooperino strettamente sui temi del Mediterraneo, esprimendo forti aspettative nei confronti della presidenza rumena dell'Unione Europea, insieme all'auspicio affinché il semestre austriaco si concluda con un forte impulso al negoziato di adesione: la Serbia contribuisce, infatti, in modo sostanziale alla stabilità della regione e la questione kosovara potrà concludersi in modo positivo solo se si cercherà il dialogo. Certamente Pristina non ha realizzato quasi nessuna delle riforme richieste laddove Belgrado ha invece adempiuto al 100 per cento dei compiti Pag. 43assegnati. Analogamente ai colleghi già incontrati, Marinkovic ha paragonato il caso Kosovo a quello curdo e catalano. D'altra parte, ha insistito affinché il contingente della Nato in Kosovo rimanga, dimostrando di avere profonda conoscenza sull'operato e sulla consistenza del contingente italiano. La presidente Grande ha colto l'occasione per informare l'interlocutore della approvazione nella stessa giornata da parte del Consiglio dei ministri italiano di un disegno di legge di ratifica di un rilevante accordo bilaterale in materia di cooperazione militare. Il deputato Coin si è impegnato nel favorire da parte dell'Unione europea una reazione di maggiore incisività sulla questione dei dazi, mentre il deputato Delmastro Delle Vedove ha nuovamente sottolineato come la capacità di non reagire alle provocazioni dimostri forza e lungimiranza.
  Incontro di maggior spessore politico è certamente stato quello con la Commissione esteri, condotto dalla vicepresidente Dubravka Filipovski, la quale ha espresso forte apprezzamento per la scelta dei colleghi italiani di svolgere in Serbia la prima visita a carattere bilaterale. Il suo intervento introduttivo ha analizzato i pilastri della politica estera serba individuandoli soprattutto nel processo di adesione all'Unione europea e, in generale, in una visione incentrata sull'interesse nazionale quale riferimento dell'azione politico-diplomatica della Serbia. Ha analizzato i versanti di lavoro comune tra Italia e Serbia, assai sviluppati in tema di difesa, cooperazione di polizia, lotta contro il terrorismo e contro il narcotraffico, nelle missioni internazionali e nella gestione del fenomeno migratorio. Ha osservato come la cooperazione tra i due paesi a livello regionale sia anche particolarmente fruttuosa a livello di singole città. Se i rapporti con l'Italia evidenziano come unica criticità il riconoscimento del Kosovo, d'altra parte l'Italia ha sempre dato segno di sostegno alla Serbia, da ultimo anche rispetto alla istituzione di un tribunale speciale a Pristina per i crimini commessi durante il conflitto. Rispetto alla crisi con il Kosovo, ha espresso preoccupazione sul terreno dei diritti umani, paventando il rischio di una catastrofe umanitaria. Al pari dei colleghi precedentemente intervenuti, ha auspicato da parte dell'Unione europea e della comunità internazionale una assertività maggiore. Ha ringraziato poi il supporto che l'Italia ha assicurato rispetto alla Commissione d'inchiesta sulle operazioni della Nato in Serbia alla fine degli anni ’90, istituita presso il Parlamento serbo e che si è avvalsa fruttuosamente del lavoro svolto in Italia dalla Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, istituita nella scorsa legislatura e presieduta dall'allora onorevole Scanu. Ha chiesto maggior sostegno rispetto alla politica di sicurezza della Serbia e al lavoro in atto per l'armonizzazione dell'ordinamento all’acquis comunitario. Ha proposto, infine, di proseguire il modello di cooperazione trilaterale esteso all'Albania, che è solito convocarsi con regolarità annuale. Ha anche auspicato di potere ricambiare quanto prima la visita in Italia, a bilanciamento di una reiterata presenza italiana in Serbia dal 2006 ad oggi.
  La presidente Grande, ribadendo le posizioni già tenute nei precedenti colloqui, ha dato conto della recente costituzione del gruppo di amicizia parlamentare nell'ambito della Uip, presieduto dal senatore Vescovi del gruppo della Lega. Ha soprattutto auspicato che nel 2019 i due Parlamenti facciano la propria parte, oltre ai governi, per rafforzare l'amicizia bilaterale.
  La vicepresidente serba ha riferito della particolare consistenza dell'omologo gruppo di amicizia con l'Italia, a cui aderiscono ben 81 deputati e che è presieduto dal presidente della Commissione bilancio. L'onorevole Coin ha espresso apprezzamento sul tema della cooperazione con la Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, evidenziando come gli stessi militari italiani non fossero informati delle condizioni di sicurezza nelle quali operavano nel contesto Nato. In tema di immigrazione ha parlato il deputato Dragan Sormaz, in Parlamento dal 2000, che ha ricordato il 2016 come anno di particolare emergenza alla luce dei 2 milioni di arrivi Pag. 44di profughi in Serbia: se in tale occasione non è venuta meno la cooperazione con l'Unione europea, adesso Belgrado registra con delusione l'andamento del negoziato per il Kosovo. Ha espresso aspettative in vista delle elezioni europee. Manifestazioni di amicizia sono pervenute anche dalla deputata Dusica Sto   ovic, che ha ricordato l'aiuto assicurato dall'Italia alla Serbia in occasione delle grandi alluvioni del 2014, con un contributo di circa 800 mila euro.
  Di particolare interesse è stato l'intervento della deputata Sanda Raskovic Ivic, già ambasciatrice della Serbia in Italia tra il 2008 il 2011, che, rivolgendosi in lingua italiana, ha ricordato il proprio lavoro in occasione dei 130 anni delle relazioni diplomatiche e sul terreno della cooperazione economica culturale e militare. Ha paventato il rischio di crisi umanitaria derivante dalla guerra doganale iniziata da Pristina, che potrebbe colpire anche gli stessi albanesi kosovari. Ha auspicato la pressione dell'Italia in sede di gruppo Quint. La nuova crisi appare dannosa e preoccupante poiché è il frutto di una chiara determinazione degli albanesi ad ottenere una piena indipendenza della provincia. Quale questione di particolare interesse ha segnalato che nel 2019 la Chiesa ortodossa serba, nata in Kosovo, celebrerà 800 anni di autocefalia e che qualora il Kosovo diventasse davvero uno Stato indipendente con seggio alle Nazioni Unite, si produrrebbe un effetto sulla Chiesa ortodossa serba in quanto i monasteri che si trovano in territorio kosovaro ricadrebbero sotto la nuova responsabilità della Chiesa ortodossa albanese, con conseguente perdita definitiva di un pezzo sostanziale dell'identità serba. Per la deputata la ripresa del negoziato a Bruxelles è dunque fortemente connesso al tema dello status della Chiesa ortodossa serba, che deve necessariamente fare parte dei colloqui. Ha, quindi, ringraziato a sua volta il contingente italiano che nel 2004 ha strenuamente difeso i monasteri ortodossi dalle aggressioni dei kosovari di etnia albanese. Per questo motivo il contingente italiano è stato insignito della medaglia di San Sava, l'onorificenza più importante dello Stato serbo. Ha concluso il suo intervento auspicando una speciale sensibilità da parte dell'Italia su questa tematica.
  Il deputato Jovan Palalic ha criticato il voto del giorno precedente del Parlamento europeo sulla risoluzione concernente la Serbia, al fine di smentire la veridicità storica di un genocidio da parte della Serbia in Bosnia: gli atti commessi durante il conflitto hanno certamente rappresentato atrocità anche di tipo criminale ma non configurano un genocidio nei confronti di alcun popolo. Il deputato socialista Zarko Obradovic ha chiesto alla delegazione di portare all'Unione europea un messaggio di forte serietà sui problemi della Serbia e sull'impostazione data dalla risoluzione n. 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sui rapporti tra Serbia e Kosovo. La posizione serba è stata, infine, ribadita dalla deputata Ljiljana Malisic, ricordando come il Kosovo sia e resti una provincia autonoma, al pari della Voivodina, che racchiude il nucleo profondo della spiritualità del popolo serbo.
  L'agenda della delegazione ha contemplato anche un incontro con esponenti della società civile serba: Milan Pajevic, presidente del Centro affari e sicurezza internazionale (ISAC), co-fondatore del Movimento europeo in Serbia e coordinatore del Patto di Stabilità per il sud-est europeo; Srdjan Majstorovic, presidente del Centro per le politiche europee (European Policy Centre) e membro del Balkans Europe Policy Advisory Group (BiEPAG), che dal 2015 partecipa ai negoziati per l'adesione della Serbia all'UE; Milan Antonijevic, direttore del Lawyers Commitee for Human Rights, fondatore della Casa per i diritti umani di Belgrado e direttore della Open Society Foundation Serbia.
  L'incontro è stato inquadrato dall'ambasciatore Lo Cascio che ha sottolineato come, data la centralità della questione «stato di diritto» per il negoziato europeo, Bruxelles e gli Stati membri dovrebbero incoraggiare di più la Serbia invece di lesinare aperture minime sui capitoli del Pag. 45negoziato poiché, così facendo, il negoziato non potrà progredire in modo soddisfacente. Pajevic ha evidenziato come nei diciott'anni che sono trascorsi dalla fine del regime di Milosevic il percorso europea sia avanzato ad un ritmo troppo lento e senza un esito prevedibile. Lo stesso ritmo vischioso caratterizza il dialogo serbo-kosovaro, su cui l'attuale Presidente della Repubblica ha il merito di avere quantomeno inaugurato un dibattito pubblico e di avere mosso qualche passo nella direzione della soluzione. Il 2019 sarà un anno importante per la Serbia, alla quale occorre tutto il sostegno da parte degli Stati amici, in particolare dell'Italia in quanto primo partner economico, dopo la Germania. Lo stress che l'Europa sta sostenendo – alla luce del recesso del Regno Unito, del dibattito sul prossimo bilancio, della campagna elettorale il nuovo Parlamento – rende ancora più incisivo il ruolo di Stati sensibili al processo di allargamento. Il sostegno dell'Italia deve andare nella direzione di favorire che la prossima Commissione europea abbia un portafoglio dedicato ai Balcani Occidentali e che il budget contenga fondi per lo sviluppo di questa regione. Se il capitolo n. 23 sullo Stato di diritto è al centro dell'attenzione della società civile, per la popolazione serba è rilevante il numero dei capitoli aperti. Purtroppo l'attuale governo stenta a indire tavoli operativi sui vari temi del capitolo: dalle riforme costituzionali in tema di giustizia alle leggi contro la corruzione e per la libertà dei media. Un quesito della presidente Grande è stato incentrato sulla condivisione da parte della società civile del merito delle riforme di cui è artefice il governo e che sono oggetto di esame parlamentare, aldilà delle critiche sul metodo. La risposta è stata nel senso di segnalare un forte sostegno da parte di tutta la società civile e della magistratura alla riforma in tema di giustizia ma anche di stigmatizzare come il governo non abbia dato alcun rilievo pubblico ai messaggi giunti dalla società civile, che al momento è impotente. In Serbia l'opinione del Consiglio d'Europa è per questo molto ascoltata e può svolgere un ruolo importante. Majstorovic ha usato toni ben più critici rispetto al governo serbo in carica, rappresentando una situazione del paese caratterizzata da assenza di pluralismo, di dialogo politico, da totale sterilizzazione del Parlamento, il quale da anni non esamina gli atti prodotti dalle autorità indipendenti, dal 2015 non approva il proprio bilancio e, in generale, non rispetta il proprio regolamento, consentendo al Governo di tenere del tutto coperto l'iter di esame della riforma costituzionale. Su questo tema la presidente Grande è intervenuta chiedendo quale sia il livello di partecipazione dei cittadini rispetto al lavoro parlamentare. Antonijevic ha risposto spiegando che si tratta di una questione chiave in quanto, in assenza di pubblicità dei lavori parlamentari, i cittadini non sono al corrente di quanto sta avvenendo e conseguentemente non si forma un dibattito. L'accesso ai media è infatti assai circoscritto ad attori filogovernativi, che contribuiscono a non rendere evidenti le richieste provenienti dall'Unione europea e a non chiarire appieno gli obiettivi della riforma. Il quadro è complicato dall'azione del Ministro della giustizia che è attestato su posizioni fortemente antagoniste rispetto alla magistratura. Al quesito della presidente Grande sul ruolo supplente dell'opposizione parlamentare Majstorovic ha dipinto un quadro assai sconfortante, riferendo di una opposizione parlamentare paralizzata dalle sistematiche violazioni regolamentari. In questo quadro il governo mostra di assumersi una responsabilità assai grave indebolendo le istituzioni, rese ulteriormente fragili da leader troppo forti. Se le riforme procedono a rilento non è certo per l'assenza di progetti di legge conformi alle richieste europee, che però non vengono calendarizzate né votate. Le istituzioni sono, in generale, assai condizionate dei partiti politici che sono decisivi in chiave clientelare rispetto alla gestione dei posti di lavoro. Alla domanda dell'ambasciatore su che cosa possano fare di più l'Unione europea e la comunità internazionale per sostenere i cittadini serbi, Majstorovic ha risposto sostenendo che Pag. 46l'Unione europea dovrebbe riaprire un dialogo sull'allargamento e dare il giusto peso ai Balcani Occidentali mentre fino ad ora la tematica è stata strumentalizzata in vario modo. I Balcani Occidentali accrescerebbero la sicurezza dell'Unione europea. D'altra parte il potenziale del governo serbo è venuto in evidenza in occasione dell'emergenza migratoria che Belgrado ha gestito in modo positivo e nel rispetto dei valori europei, a suo avviso più della Grecia e della stessa Italia. Stupisce invece l'andamento rallentato che tiene oggi il governo serbo, totalmente sprovvisto di piani strategici e piani d'azione. La società civile rispetto a questo quadro muove critiche ma è anche costruttiva e chiede all'Europa di esercitare la propria influenza. L'onorevole Delmastro Delle Vedove ha espresso scetticismo rispetto alla necessità che una riforma costituzionale in tema di giustizia debba essere sottoposta al vaglio della società civile, oltre che dei magistrati e degli operatori del settore: parametrare il grado di democraticità della Serbia rispetto al dialogo con le ONG appare eccessivo, poiché il legislatore è l'artefice unico delle leggi. È seguito l'intervento di Antonijevic che ha precisato come la società civile in Serbia sia anche rappresentata dalle associazioni dei magistrati e degli avvocati che non sono stati coinvolti nella riforma, di cui peraltro non sono noti nemmeno i parlamentari relatori.
  L'ultimo impegno della delegazione è stato con rappresentanti di Alleanza per la Serbia, coalizione di opposizione formatasi tra marzo e settembre del 2018, cui aderiscono circa venti partiti e formazioni, tra cui il Partito Democratico, Insieme per la Serbia, Serbia Sana e che ha sviluppato un programma di trenta punti alternativi al Partito progressista serbo del presidente Vucic rispetto ai maggiori dossier, quali la lotta alla povertà, la risoluzione della questione Kosovo, le riforme costituzionali in tema di stato di diritto. Erano presenti Vuk Jeremic, ex ministro degli esteri sotto la presidenza Tadic, già presidente dell'Assemblea Generale dell'Onu nella 67ma Sessione e concorrente di Vucic nella campagna presidenziale del 2017; Dragan Dijlas, sindaco di Belgrado fino al 2013 e fondatore dell'Alleanza; Borko Stefanovic, fondatore di Sinistra della Serbia e vittima il 23 novembre di un'aggressione in occasione di un evento del suo partito; infine, Nebojsa Zelenovic, sindaco dal 2014 della città di Sabac, una delle pochissime municipalità la cui amministrazione non sia riconducibile alla maggioranza di governo.
  Il colloquio ha contribuito a formare un'idea plurale della vita politico-istituzionale in Serbia e a consolidare le preoccupazioni sulla tenuta democratica del Paese, in parte già esposte dai rappresentanti della società civile. Nel ribadire le critiche al governo sulla condizione delle opposizioni, in particolare il sindaco di Belgrado Dijlas ha chiesto ai delegati italiani di persuadere l'Unione europea a non drammatizzare i dati sull'indebitamento della Serbia. Jeremic, che è parso la figura più autorevole, ha manifestato apprezzamento per l'interesse della delegazione italiana ad incontrare l'opposizione serba, a testimonianza di uno spirito collaborativo apprezzabile tra Italia e Serbia al di là delle maggioranze di governo. Per Jeremic l'Italia è un portavoce speciale per l'integrazione della Serbia nell'Unione europea, obiettivo oggi sempre più remoto a causa dell'allontanarsi della Serbia dagli standard europei in termini di diritti umani, libertà di stampa e ruolo del Parlamento. Ha riferito che da ben tredici mesi il presidente del partito democratico non appare in televisione a livello né nazionale né locale, come avviene per tutta l'opposizione. Ha toccato l'esempio della legge di bilancio esaminata dall'Assemblea nazionale senza alcun dibattito essendo inserita in un ordine del giorno in aula insieme ad ulteriori sessanta punti. Gli esponenti dell'opposizione al Partito progressista sono oggetto di attacchi anche fisici che testimoniano il carattere non europeo della Serbia, che è oggi un paese più vicino alla Bielorussia che a Bruxelles. Per Jeremic se la Serbia continua nella direzione sbagliata sarà necessario perdere ulteriore tempo per correggere il tiro. Ha comunque ringraziato gli italiani per il Pag. 47presidio dei monasteri in Kosovo. Stefanovic ha riferito della condizione di povertà in cui versano più di 500 mila bambini, del basso livello delle pensioni dei salari e del prodotto interno lordo, oltre che della svendita in atto delle società a partecipazione statale in condizioni di assoluta opacità. Il quadro è completato dal consolidamento di ingenti patrimoni privati nella sfera personale del presidente Vuci e dei suoi familiari, secondo una visione quasi feudale dello Stato. Gli esponenti dell'opposizione non possono organizzare raduni e d'altra parte ben 70.000 persone all'anno lasciano la Serbia per le pessime condizioni del mercato del lavoro, oltre che per l'assenza di libertà e per il clima di profonda illegalità. Ha sostenuto che gli accordi che il governo di Vucic sta raggiungendo in segreto sul Kosovo non possono giustificare la difesa del governo in carica da parte dell'Unione europea. Il sindaco di Sabac ha ulteriormente riferito dell'assenza di Stato di diritto alla luce della drammatica riduzione delle risorse a favore delle municipalità, destinatarie complessivamente di 400 milioni di euro, ridotti di 120 milioni rispetto all'anno precedente, di cui la sua municipalità riceverà un importo decurtato di 4 milioni rispetto all'anno precedente in quanto amministrazione non allineata con la maggioranza di governo. I fondi per i comuni vengono peraltro distribuiti in base ad un criterio personale, dettato dal presidente Vucic senza alcuna trasparenza o regolarità contabile. Di queste circostanze sarebbe stata data informativa alla Corte di Strasburgo. La presidente Grande ha chiesto se l'opposizione condivide quantomeno gli stessi obiettivi della maggioranza e cioè entrare nell'Unione europea e ha anche chiesto come sia percepito dei cittadini l'assenza di dibattito parlamentare sulla legge di bilancio. Dijlas ha risposto che l'obiettivo è certamente l'ingresso in Europa, la differenza è data dal metodo e dal merito delle riforme. Jeremic ha chiosato che, in una certa analogia con il caso turco, la Serbia ormai simula l'intenzione di entrare in Europa e i tempi si allungano ormai drammaticamente. Per Jeremic chi vuole che la Serbia entri in Europa deve parlare apertamente per aiutare i cittadini serbi che oggi sono confusi in quanto bombardati da un'informazione di propaganda governativa che per il 95 per cento dirama messaggi antieuropei. Le otto testate nazionali sono tutte controllate dal governo tranne una, ed incoraggiano un'opinione pubblica euroscettica. L'opposizione serba muove a sua volta delle critiche a Bruxelles per la linea di freddezza tenuta nei confronti di Belgrado, soprattutto da quando Juncker ha congelato il processo di allargamento. La presidente Grande ha preso atto che la richiesta diffusa che emerge dalle forze politiche serbe è per una maggiore presenza ed efficacia dell'Unione europea. Il governo serbo sta certamente portando avanti delle riforme che, se inadeguate rispetto agli standard, saranno oggetto di critiche nel senso auspicato dall'opposizione. Jeremic ha obiettato che potrebbe essere già tardi e che la situazione sta raggiungendo livelli emergenziali alla luce degli attentati ai danni di attivisti soprattutto in Kosovo. Stefanovic ha lamentato il livello puramente tecnico dell'interazione tra Belgrado e Bruxelles laddove sarebbe invece importante poter contare su interlocutori di alto livello, che guardino ai valori e non alle questioni tecniche, considerato che l'Europa non è un’enclave di privilegiati ma è un consesso di popoli che collaborano su basi paritarie. Il sindaco veleno vice ha ulteriormente dato conto di arresti arbitrari. L'incontro si è chiuso con l'auspicio della Presidente Grande affinché la Commissione esteri serba che visiterà l'Italia possa essere rappresentata da una delegazione composta anche da colleghi dei partiti di opposizione.
  La missione della delegazione parlamentare a Belgrado è stata completata da una visita al sacrario militare dedicato ai soldati italiani caduti nella Prima guerra mondiale presso il cimitero Novo Groblje, dove riposano 1063 soldati italiani dei circa 10 mila caduti sul fronte balcanico, accorsi nel dicembre del 1916 in aiuto al fianco dell'esercito serbo contro l'Impero austro-ungarico.