CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 5 dicembre 2018
107.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-00353 Frusone: Iniziative per garantire i livelli essenziali di assistenza nella provincia di Frosinone.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Come noto all'onorevole interrogante, con atto aziendale n. 354 del 2017, l'ASL di Frosinone ha previsto, per la struttura di Anagni, la configurazione quale Presidio Sanitario, e non come Punto di Primo Intervento (PPI).
  Dico subito che tale configurazione è stata oggetto di specifici rilievi da parte dei Ministeri affiancanti, ai quali la Regione Lazio, nel ribadire la propria decisione, ha voluto precisare che l'ex Presidio di Anagni è una struttura territoriale ed, in quanto tale, non contempla nel suo interno attività legate all'emergenza, né attività di ricovero in regime di «day service» e «daysurgery».
  Presso la struttura di Anagni, infatti, è stata prevista un'attività di Accorpamenti di Prestazioni Ambulatoriali-APA legata ai posti letto di ricovero diurni del Presidio di Alatri, mentre la presenza del Laboratorio per le emergenze è esclusivamente finalizzata ad attività del Presidio ambientale legato all'inquinamento della Valle del Sacco.
  Bisogna rimarcare che i Punti di Primo Intervento (PPI), di cui al punto 9.5 del decreto ministeriale n. 70 del 2015, possono essere istituiti esclusivamente per il tempo ritenuto necessario alla riconversione delle strutture ospedaliere in strutture territoriali.
  Il cosiddetto «punto di primo intervento territoriale», invece, è una postazione territoriale della rete dell'emergenza-urgenza, che rappresenta il punto di riferimento per la stabilizzazione del paziente in fase critica ed il successivo trasferimento in sicurezza presso il Pronto Soccorso o il Dipartimento di Emergenza e Accettazione di riferimento.
  La trasformazione dei PPI in postazione di emergenza territoriale non pregiudica in nessun modo l'attivazione di servizi territoriali, compresi quelli di specialistica ambulatoriale, che – anzi – si auspica possano essere potenziati nelle strutture oggetto di riconversione.
  La riorganizzazione della rete dell'emergenza urgenza e ospedaliera prevista dal decreto ministeriale n. 70 del 2015, infatti, non può prescindere da una vera e propria ristrutturazione dell'assistenza territoriale, che sia in grado di recepire e gestire una vasta gamma di domande di salute.
  Segnalo peraltro che, come richiesto più volte dai Tavoli di verifica, la Regione Lazio, in occasione della più recente riunione dello scorso 22 novembre, ha dichiarato che sta procedendo, a seguito dell'istituzione di una apposita Commissione, alla verifica, di conformità di tutti gli atti aziendali alla programmazione ex decreto ministeriale n. 70 del 2015.
  La stessa Regione ha dichiarato, altresì, che sta procedendo alla definizione della nuova programmazione della rete ospedaliera 2019-2021, che sarà emanata entro la fine del corrente anno.
  Per completezza, si soggiunge che la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Frosinone ha ricordato che il decreto ministeriale n. 70 del 2015 ha previsto che i Punti di Primo Intervento, con una casistica inferiore a 6.000 passaggi annui, devono essere affidati direttamente al 118 Pag. 127come postazione territoriale, implementando le attività erogate con le prestazioni rese dalla medicina di base.
  Presso il Presidio sanitario di Anagni gli accessi per l'anno 2017 sono stati di poco inferiori a tale soglia (sono stati, infatti pari a 5.172, di cui 4 codici rossi) mentre nel primo semestre del 2018 i casi registrati sono stati 2.496.
  Tanto premesso, nel confidare di aver dimostrato l'attenzione del Ministero della salute sulla questione sollevata dall'onorevole interrogante, desidero dare piena assicurazione che si continuerà a vigilare sulle scelte che verranno operate dalla Regione, con particolare riferimento alla rimodulazione dell'assistenza territoriale, in modo che vengano garantiti gli standard fissati dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 e, per questo tramite, il rispetto dei livelli essenziali di assistenza per tutti i cittadini della Provincia di Frosinone.

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ALLEGATO 2

5-00261 Gadda e 5-00735 Schirò: Interventi per contrastare la diffusione del virus Hiv e di altre infezioni sessualmente trasmissibili tra i giovani.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Ringrazio gli onorevoli interroganti poiché con il loro atto ispettivo mi consentono di illustrare le iniziative intraprese dal Ministero della salute su questo importantissimo tema, peraltro proprio a ridosso della giornata mondiale contro l'AIDS che – come noto – ricorreva il primo dicembre scorso.
  Ritengo opportuno non dilungarmi, in questa sede, sui dati generali sul fenomeno, atteso che essi vengono riportati annualmente nella apposita Relazione al Parlamento, alla quale dunque rinvio, in modo da potermi concentrare sugli specifici quesiti posti dagli interroganti.
  In merito alle iniziative per rafforzare le azioni di contrasto alla diffusione del virus HIV, con particolare riguardo alla fascia di età adolescenziale e femminile, si ricordano quelle derivanti dal Protocollo di Intesa sottoscritto il 2 aprile 2015 tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Ministero della salute.
  In esecuzione di tale protocollo, ricordo innanzitutto che il Comitato paritetico «MIUR-SALUTE» ha elaborato le «Linee di indirizzo per l'educazione all'affettività, alla sessualità e alla salute riproduttiva nelle scuole».
  Inoltre, l'Intesa in Conferenza Stato-Regioni del 26 ottobre 2017, concernente il «Piano Nazionale di interventi contro l'HIV e AIDS (PNAIDS)», ha stabilito che, sempre in attuazione del citato Protocollo di Intesa, «il Ministero della salute e il Ministero dell'istruzione promuovono nelle scuole e nelle Università iniziative di informazione, prevenzione ed educazione alla salute e alla sessualità in favore degli studenti e dei docenti, nell'ambito dei piani dell'offerta formativa e nel rispetto dell'autonomia scolastica e universitaria».
  Tra i documenti applicativi delle direttive del PNAIDS, spicca il «Documento per gli interventi di prevenzione e formazione sulla popolazione giovanile, con particolare riferimento alla popolazione scolastica».
  Esso pone in evidenza che gli interventi di prevenzione dell'HIV e delle infezioni sessualmente trasmesse (IST), devono rivolgersi ai giovani attraverso percorsi educativi che li guidino ad assimilare la cultura della responsabilità nei confronti del benessere psicofisico.
  L'inserimento delle tematiche di prevenzione e di educazione alla salute e alla sessualità nel «curriculum» formativo scolastico, costituisce dunque l'intervento cardine su cui si fonda la possibilità di successo nella riduzione della diffusione di HIV.
  Dunque l'intervento cardine su cui si fonda la possibilità di successo nella riduzione della diffusione di HIV.
  Il Documento in questione prevede la preparazione dei formatori, corsi pilota per educatori tra pari nelle scuole medie superiori e un progetto pilota di prevenzione HIV/AIDS per studenti universitari.
  Proprio in base all'Intesa del 26 ottobre 2017, il Ministero della salute ha istituito quattro gruppi di lavoro, composti da esperti del Ministero, dell'ISS e delle Regioni, anche al fine di orientare in modo efficiente le risorse finanziarie disponibili per l'attuazione del PNAIDS.Pag. 129
  In particolare, tali gruppi di lavoro hanno concordato di chiedere alle Regioni e Province autonome di istituire o ricostituire le Commissioni Regionali per la lotta all'AIDS, fornendo indicazioni sulla loro composizione.
  Laddove tali Commissioni Regionali sono già state costituite, i gruppi ministeriali hanno richiesto la loro integrazione con gli esperti regionali che fanno già parte dei gruppi stessi, in modo che ogni Commissione regionale AIDS possa interfacciarsi costantemente con il Ministero della salute sui temi HIV ed IST.
  In merito alle iniziative di comunicazione, oltre alla già citata Relazione al Parlamento, ricordo che il Ministero della salute pianifica ogni anno specifiche campagne di comunicazione che, nel biennio 2017- 2018, hanno riguardato – in particolare – la sensibilizzazione verso le principali misure di prevenzione e l'importanza di effettuare il test dell'HIV.
  Gli «script» dei relativi messaggi – veicolate anche sui più moderni canali social – sono stati redatti sulla base delle informazioni medico-scientifiche proposte dall'ISS e dai contenuti proposti dalle principali Associazioni. Le informazioni sono molto semplici, pratiche e operative anche sull'uso dei dispositivi di protezione individuale.
  Per lo specifico «target» under 18, il Ministero ha avviato, a titolo sperimentale, un'attività di sensibilizzazione/informazione sul «web» in merito all'esistenza e alle misure di prevenzione del virus HIV, utilizzando codici espressivi tipici del mondo dei giovanissimi.
  È stata inoltre realizzata un'attività di «Social Media Networking», nel canale «YouTube», con il coinvolgimento di alcuni tra i maggiori «youtubers» italiani.
  Si è ritenuto, dunque, che le attività di informazione fossero svolte avendo come riferimento, in particolare, la platea dei più giovani.
  In effetti i dati dell'ISS dimostrano che la più elevata incidenza di infezione da HIV in Italia si osserva tra i giovani di età 25-29 anni, e sottolinea che quasi la metà di questi si presenta alla prima diagnosi di HIV in fase avanzata di malattia (diagnosi tardive), suggerendo che, in molti casi, l'infezione sia stata contratta presumibilmente in età giovanile o addirittura adolescenziale.
  Pertanto, i giovani che sono stati diagnosticati tardivamente, non sapendo di essere sieropositivi, non hanno potuto accedere tempestivamente alle cure appropriate, né hanno sentito l'esigenza di mettere in atto le regole del sesso sicuro, finalizzate a prevenire la trasmissione dell'HIV ai partner.
  I giovani di età 15-24 anni rappresentano, infatti, quasi il 20 per cento di tutti i casi diagnosticati per queste patologie, con una frequenza maggiore tra le ragazze. Peraltro, diversamente da quanto accade per le fasce di età più anziane, solo tra i ragazzi di 15-24 anni la percentuale di IST diagnosticate tra le femmine è doppia rispetto a quella osservata tra i maschi.
  Con riferimento alla opportunità, segnalata dagli interroganti, di permettere ai minori di accedere al test HIV, devo far presente che essa investe una questione con aspetti sia legali che etici, in quanto i minori di anni 18 sono sottoposti alla potestà genitoriale e, in assenza dei genitori, lo Stato prevede forme di tutela fino al raggiungimento della maggiore età.
  La questione dell'accesso di questa popolazione al test HIV è peraltro particolarmente attuale, specie con riguardo alla categoria dei cosiddetti «grandi minori», vale a dire quei soggetti che, per prossimità alla maggiore età e per capacità di discernimento, sono da considerarsi dei «quasi adulti».
  Occorre evidenziare che il minore che si rivolge ad un centro diagnostico per effettuare il test, difficilmente può essere disposto a coinvolgere il genitore, o chi esercita analoga potestà, nella decisione di sottoporsi all'accertamento in questione, e questa circostanza mette l'operatore sanitario del centro diagnostico in una posizione difficile sotto il profilo legale.
  Laddove, infatti, dal colloquio pre-test emerga l'esistenza di una effettiva situazione di rischio per la salute del minore e Pag. 130quest'ultimo si rifiuti di informare il soggetto esercente la potestà, il sanitario deve contemperare, in assenza di una esplicita disposizione normativa sulla fattispecie, l'esigenza di tutela della salute del minore con il diritto/dovere dei genitori di assistere ed orientare il minore nell'assunzione di decisioni rilevanti.
  Non mancano casi in cui, in presenza di un accertato rischio e di una indisponibilità/impossibilità di coinvolgimento dell'esercente la potestà, si è ovviato con il coinvolgimento del Giudice Tutelare, ricorrendo a norme che disciplinano situazioni simili.
  La legge n. 194/1978 prevede, infatti, che in alcuni casi si possa essere autorizzati dal Giudice Tutelare all'interruzione di gravidanza anche prima dei 18 anni di età; la legge sul funzionamento dei consultori, inoltre, prevede che i minorenni possano accedere liberamente agli anticoncezionali, così come è previsto che possano richiedere personalmente (oltre che tramite i genitori) di sottoporsi al trattamento di disintossicazione da stupefacenti.
  Dalla presenza di tali disposizioni si potrebbe ricavare un «principio generale di necessario ascolto del minore» che sia capace di discernimento in relazione alla materia trattata.
  Dunque la volontà del minore assume una rilevanza specifica anche nell'ambito degli accertamenti clinici tesi a verificare la presenza di infezioni trasmissibili sessualmente.
  È comunque auspicabile che la fattispecie in esame sia presa in considerazione, al fine di approntare delle modifiche normative che possano consentire un accesso legale e protetto al test per i soggetti minorenni che abbiano tenuto comportamenti a rischio, senza trascurare l'aspetto fondamentale della predisposizione di adeguati strumenti di supporto psicologico e di accompagnamento del minore alla comunicazione dell'eventuale esito positivo del test ai soggetti esercenti la potestà genitoriale.
  A tale riguardo, si sottolinea che il Gruppo di Lavoro coordinato dal Ministero della salute che ha elaborato il nuovo Piano Nazionale AIDS 2017-2019, ha espressamente evidenziato tale esigenza di intervento normativo nel Documento Finale che ha formato oggetto di Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano in seno alla Conferenza Stato-Regioni del 26 ottobre 2017.
  Inoltre, il PNAIDS contempla l'accesso al test HIV dei minori, senza obbligo di richiesta del consenso da parte dei genitori.
  Infatti, occorre garantire al minore la possibilità di accedere al test in autonomia in un contesto protetto, ove egli possa avvalersi di operatori formati che verifichino la necessità dell'esecuzione del test e accompagnino il minore in tutto il percorso diagnostico, ed in caso di positività del test, fino alla comunicazione ai genitori o al tutore ed alla presa in carico specialistica per le cure.
  Da ultimo, con particolare riferimento alle iniziative sviluppate a Bologna, si precisa che i risultati ottenuti dai «checkpoint» nelle infezioni a trasmissione sessuale sono molto incoraggianti.
  I contesti non sanitari sono, infatti, luogo d'elezione per l'esecuzione dei test HIV e IST e l'offerta di test rapidi al di fuori degli ambienti sanitari può contribuire ad aumentare il numero delle diagnosi tempestive e a facilitare l'accesso ai trattamenti.
  Per questi motivi nel Piano Nazionale di interventi contro HIV e AIDS sono già previsti Programmi di offerta di test rapidi HIV e IST.