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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 710 di lunedì 20 giugno 2022

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

GIORGIO SILLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 17 giugno 2022.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 105, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 4 maggio 2022, n. 41, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contestuale delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2022, nonché per l'applicazione di modalità operative, precauzionali e di sicurezza ai fini della raccolta del voto (A.C. 3591-A​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3591-A: Conversione in legge del decreto-legge 4 maggio 2022, n. 41, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contestuale delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2022, nonché per l'applicazione di modalità operative, precauzionali e di sicurezza ai fini della raccolta del voto.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3591-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Fratelli d'Italia ne hanno chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Francesco Silvestri.

FRANCESCO SILVESTRI , Relatore. Grazie, Presidente. Discuteremo in questa giornata di un provvedimento importante che, in qualche modo, regola la nostra democrazia e tutti i nostri processi democratici. Desidero sottolineare il lavoro svolto dalla Commissione affari costituzionali, ringraziare tutte le forze politiche che la compongono per tutti i contributi apportati durante la fase emendativa; di questi, due sono stati recepiti dalla Commissione. Poi ci sono state, ovviamente, correzioni di forma e di coordinamento del testo. I lavori si sono svolti anche con delle audizioni informali in Commissione che sono state disposte a fine maggio. Vorrei, a questo proposito, ricordare alcuni contributi che sono venuti da parte del presidente dell'Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli; sempre in videoconferenza, dall'Unione delle province, dal rappresentante della “Rete voto sano da lontano”, nonché dal direttore generale della Direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari esteri, del dottor Schiavone nella veste di segretario generale del Consiglio generale degli italiani all'estero. Ci sono stati, quindi, molti contributi per arricchire questo disegno di legge. Entro nel merito del provvedimento, che è composto da otto articoli. Nell'articolo 1, che è composto da un unico comma, si parla delle consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2022. In merito alle elezioni del primo semestre, che si sono tenute nella giornata del 12 giugno, ricordo che si sono svolte le consultazioni per i sindaci e i consigli comunali, nonché le elezioni dei consigli circoscrizionali nelle regioni a statuto ordinario. Poi, c'è stata anche la consultazione per i cinque referendum popolari abrogativi. C'è stato, quindi, un abbinamento tra elezioni amministrative e consultazioni referendarie; storicamente, ricordo i casi del 18 giugno del 1989, referendum consultivo delle elezioni europee, del 21 giugno del 2009 e del 20 e 21 settembre del 2020.

Nell'articolo 1 si parla delle modalità di inserimento della scheda nell'urna, modalità in deroga alla normativa vigente, che dispone la consegna della scheda al presidente del seggio. Questa disposizione è stata modificata prevedendo l'inserimento personale della scheda nell'urna; non sfuggirà che le motivazioni di ciò risiedono nell'esigenza di garantire sicurezza, il distanziamento, riducendo i rischi di contagio. In passato, ahimè, le elezioni sono state occasione di contagio. Questa disposizione che ha aumentato in un certo senso la sicurezza. L'articolo 2 riguarda le modalità di svolgimento delle operazioni di votazione, in caso di abbinamento delle consultazioni elettorali e referendarie del 2022; questo circoscrive un po' le spese derivanti dagli adempimenti dei comuni, ripartendole in maniera proporzionale fra lo Stato e gli enti locali interessati. Lo stesso articolo contiene poi le disposizioni concernenti gli orari di votazione, che hanno riguardato la giornata di domenica, dalle 7 alle 23.

Sempre l'articolo 2 tratta dell'applicazione della normativa prevista per i referendum, per gli adempimenti dei comuni, e del funzionamento degli uffici elettorali di sezione, in caso di abbinamento con le consultazioni amministrative. Le funzioni principali degli uffici elettorali di sezione consistono quindi nell'autenticare le schede, nel registrare gli elettori che si presentano a votare, nello svolgere le operazioni di spoglio e di scrutinio delle schede votate e nel recapitare i plichi contenenti il verbale e gli altri atti delle operazioni di voto e di scrutinio.

L'articolo 3, composto da otto commi, riguarda le sezioni elettorali ospedaliere costituite nelle strutture sanitarie che ospitano i reparti COVID e i seggi speciali nei comuni privi di sezioni ospedaliere. In particolare, al comma 1, si stabilisce come costituire le sezioni ospedaliere in tutte le strutture sanitarie che ospitano reparti COVID con almeno 100 posti e fino a 199.

Le disposizioni vigenti prevedono, invece, tali sezioni solo nelle strutture con almeno 200 posti letto. La sezione ospedaliera, ovviamente, ha la stessa prerogativa di funzionalità e di composizione di una sezione ordinaria ed è abilitata allo scrutinio delle schede votate. Ogni sezione ospedaliera è istituita presso le strutture dei reparti COVID ed è abilitata alla raccolta del voto domiciliare, tramite seggi speciali appositamente costituiti, di coloro che ne fanno richiesta, sottoposti a trattamento domiciliare e in condizioni di isolamento, e dei ricoverati dei reparti COVID. Andando avanti, ricordo e preciso che la rilevazione fornita dal Ministero della Salute sul numero delle strutture ospedaliere che ospitano i reparti COVID evidenzia, sul territorio nazionale, la fotografia rispetto ai perimetri di intervento di questo articolo: sono 155 le strutture da 0 a 199 posti letto, mentre sono 283 le strutture sopra i 200 posti letto.

Continuo con l'articolo 4, relativo all'esercizio domiciliare del voto per gli elettori sottoposti a trattamento domiciliare o in condizioni di isolamento. In questo articolo si intende disciplinare l'esercizio del voto presso il proprio domicilio per gli elettori sottoposti a trattamento domiciliare, quindi in condizioni di quarantena o di isolamento fiduciario. Vorrei sottolineare la parte del comma 2, che è importante perché ne dispone un po' lo svolgimento: parliamo degli elettori interessati, i quali devono far pervenire al comune di residenza, con modalità anche telematiche, tra il decimo e il quinto giorno antecedente a quello della votazione, la dichiarazione di voler effettuare il voto presso il proprio domicilio, indicandone l'indirizzo completo e un certificato medico, rilasciato dall'autorità medica dell'azienda sanitaria competente.

Andando avanti, è importante, anche e soprattutto in questo periodo, dove comunque gli elementi di contagio stanno aumentando, l'articolo 5, relativo a tutta la parte delle sanificazione dei seggi elettorali e ai protocolli sanitari di sicurezza. L'articolo 5, in questo senso, istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'Interno, un fondo molto importante, destinato a interventi di sanificazione locale delle sedi del seggio elettorale per le consultazioni che si sono svolte e che si svolgeranno nell'anno 2022, sia amministrative, sia referendarie. Si dispone, quindi, tutta la parte di controllo dei protocolli sanitari di sicurezza adottati dal Governo, e nello Stato di previsione del Ministero dell'Interno è stato istituito prontamente un fondo con una dotazione di 38 milioni di euro per l'anno 2022, destinati solo alla parte della sanificazione locale.

All'articolo 6 vi sono le disposizioni in materia di elezione del consiglio comunale. Questa parte è molto importante perché, fondamentalmente, riduce a un terzo il numero minimo di sottoscrizioni delle richieste per la presentazione delle liste e candidature, limitatamente alle elezioni comunali e circoscrizionali dell'anno 2022. È importante sottolineare, a mio avviso, la riduzione dal 50 al 40 per cento del numero dei votanti richiesto per la validità delle elezioni amministrative, esclusivamente per il 2022, nei comuni al di sotto dei 15 mila abitanti, nei casi in cui sia stata ammessa e votata una sola lista, e si esclude, ai fini della determinazione del numero degli elettori iscritti nelle liste elettorali di tali comuni, il numero degli elettori iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero che non esercitano il diritto di voto.

Inoltre, molto importante anche questa parte, si rinvia dal 2022 al 2023, quindi al prossimo anno, la sperimentazione, introdotta dalla legge di bilancio 2020, della modalità di espressione del voto in via digitale, che sarà limitata - come precisato in sede referente - alle elezioni politiche, contestualmente alla disposizione di un finanziamento di 1 milione di euro per l'anno 2023. È un punto molto importante, perché riguarda una prospettiva, quella del voto elettronico, molto significativa, in quanto apre alla risoluzione di tante tematiche, spesso affrontate dalle forze politiche, come quella del voto fuori sede e anche della sicurezza del voto.

Andando avanti, c'è l'articolo 6-bis, concernente disposizioni in materia di elezioni politiche, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, che prevede che, per le prossime elezioni della Camera dei deputati e del Senato, l'esonero della raccolta delle sottoscrizioni per la presentazione delle candidature, si applica anche ai partiti o ai gruppi politici che rispettano almeno una delle seguenti condizioni: se sono costituiti in gruppo parlamentare, in almeno una delle due Camere, al 31 dicembre 2021; se hanno presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni per la Camera dei deputati - quelle, ricordo, del 4 marzo 2018 -o alle ultime elezioni europee - quelle che si sono svolte l'anno successivo, il 26 maggio 2019 - in almeno due terzi delle circoscrizioni ed abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale, oppure che abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione, avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti superiore all'1 per cento del totale.

Sempre andando avanti, è importante anche la parte dell'articolo 7, recante disposizioni in materia di voto dei cittadini italiani residenti all'estero. Si apportano modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante “Norme per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero”, da applicare alle consultazioni elettorali e referendarie indette successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge, disponendo l'istituzione - presso le corti di appello di Milano, Bologna, Firenze e Napoli - di un ufficio decentrato per la Circoscrizione Estero. Al termine delle operazioni di scrutinio, gli uffici decentrati per la Circoscrizione Estero inviano all'ufficio centrale i verbali dei seggi. Ricevuti i verbali inviati, l'ufficio centrale per la Circoscrizione Estero - per ciascuna delle ripartizioni della Circoscrizione Estero - proclama gli eletti in corrispondenza dei seggi attribuiti a ciascuna lista e in base ai risultati ottenuti.

Sempre andando avanti, arriviamo all'articolo 8, che riguarda le disposizioni finanziarie, quindi reca, come tutte le disposizioni finali, tutta la parte relativa alle coperture finanziarie e agli oneri determinati dalle previsioni del decreto e autorizza il Ministero dell'Economia e delle finanze ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

Alcuni passaggi li ho già introdotti. Ricordo – importante, purtroppo, in questa fase che vive il Paese - i 38 milioni messi per gli interventi di sanificazione dei locali e delle sedi, i 912 calcolati in via previsionale per le istituzioni delle sezioni elettorali ospedaliere, i 284 mila per lo svolgimento delle attività di vigilanza. Insomma, l'ultima parte riguarda tutte le disposizioni di copertura finanziaria. Concludo in questa fase, aprendo il dibattito d'Aula, ringraziando per tutto il lavoro fatto i commissari e i funzionari della Commissione affari costituzionali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire in una fase successiva.

È iscritto a parlare il deputato D'Ettore: se non è presente in Aula, si intende vi abbia rinunciato.

È iscritto a parlare il deputato Rotelli. Ne ha facoltà.

MAURO ROTELLI (FDI). Grazie, Presidente. Un saluto a lei, alla sottosegretaria, ai colleghi presenti in Aula e, naturalmente, al relatore. Presidente, questo intervento è preliminarmente rivolto a lei e, comunque, al Presidente Fico, a cui la prego di riferirne il contenuto. So che in questo momento il Presidente Fico è impegnato in uno scambio di opinioni interno al suo MoVimento, però ritengo che possa essere importante far arrivare al Presidente anche quello che l'Aula intende dire.

La domanda, quindi, è se, secondo lei, è normale che il Parlamento si trovi a convertire il decreto-legge che regolava lo svolgimento delle elezioni del 12 giugno scorso e i relativi ballottaggi, ricordando, però, che il 12 giugno si è svolta la maggior parte delle procedure elettorali previste - esattamente quelle enunciate -, cioè il referendum, il primo turno delle elezioni amministrative per chi ha il ballottaggio e l'unico turno di elezioni amministrative per chi è sotto i 15 mila abitanti. Forse, Presidente, il Senato non riuscirà neppure a convertire il decreto prima che si svolga il secondo turno di ballottaggio, che le ricordo - ma lei lo sa bene - è domenica prossima, 26 di giugno, nei comuni in cui questo si svolgerà.

Il decreto è stato presentato - e lo ricordo - il 4 maggio scorso: chiedo, quindi, a lei e al Presidente Fico a chi serve umiliare l'istituzione più rappresentativa dei cittadini, quale è il Parlamento.

Vede, Presidente, siamo sicuramente in una legislatura anomala, una legislatura che batte ogni record per richieste di fiducia, in sprezzo continuo e costante del sistema parlamentare, e che, però, fa di tutto per cambiare questo sistema verso un modello che sembra addirittura presidenzialista; un uso sfrenato delle fiducie, nonostante lo specifico richiamo del Presidente della Repubblica Mattarella proprio in quest'Aula, quando ha invitato a rispettare e a far partecipare quanto più possibile il Parlamento. Una legislatura in cui, nel periodo COVID - lo sappiamo bene -, si è tentato persino di sospendere l'attività parlamentare.

Io mi permetto di dire che se non fosse stato per noi, per Fratelli d'Italia, per Giorgia Meloni e per il centrodestra anche, forse ci si sarebbe anche riusciti. Una legislatura in cui si sono spostate le date delle elezioni regionali e amministrative a comodo soprattutto di chi era al Governo. Una legislatura in cui si è tentato di formare un Governo sostenuto addirittura dall'intero arco parlamentare, senza alcuna voce critica. Anche qui, se non fosse stato per l'assunzione di responsabilità di Fratelli d'Italia, che si è erta a una posizione repubblicana e patriottica, se si permette ancora a questa Nazione di definirsi democratica, è perché c'è una maggioranza e anche un'opposizione.

Una legislatura iniziata il 23 marzo 2018 - e questo ritengo che sia un passaggio particolarmente grave - e che qualcuno ora non vorrebbe far terminare a scadenza naturale, ma allungare, addirittura si parla fino al 28 maggio prossimo, cioè il 28 maggio del 2023, di ulteriori 3 mesi, quindi. Una legislatura che vede praticamente scomparso, in queste elezioni - parlo di queste elezioni, delle elezioni amministrative che si sono appena celebrate -, il primo partito in Parlamento, che, invece di assumersi la responsabilità politica della débâcle, della sconfitta, sciogliendo le Camere e andando al voto non a marzo prossimo, non a maggio 2028, ma adesso, fa finta che non sia successo assolutamente niente.

Ma conosciamo anche le regole di questa strana legislatura, tra chi era contro le poltrone della casta e ora è diventato semplice tappezzeria delle poltrone della casta stessa, tradendo per queste qualunque impegno assunto con gli italiani e che, pur non avendo vinto mai le elezioni, governa sempre, in barba al giudizio degli italiani e si permette anche di conferire le patenti democratiche a Fratelli d'Italia, a Giorgia Meloni - in maniera alternata a seconda di chi viene sottoposto al severo giudizio -, che, signori, ricordatelo, è l'unica leader in questo Parlamento che fa quello che dice e rispetta il mandato degli elettori. Lo sapete come si chiama questo, cioè il fatto di rispettare il mandato degli elettori? Si chiama democrazia, quindi le patenti io vi invito ad andare a distribuirle, magari, a qualcun altro.

Preso atto di questo breve richiamo che ho fatto, ci si chiede da cosa dipenda il dato dell'astensionismo, è uno degli elementi dei quali si discute negli appuntamenti televisivi, nelle tribune elettorali, negli incontri. Presidente, può una politica di questo tipo, però, ritenersi credibile agli occhi degli italiani? Lo domando sperando che, in coscienza vostra, una risposta ci sia, perché la risposta la sapete.

E veniamo al merito, signor Presidente, perché non vi sono particolari norme di rilievo in questo decreto che lo rendessero difficile da essere convertito agevolmente prima delle elezioni del 12 giugno scorso, evitando alla democrazia e al Parlamento di partecipare a questa saga del ridicolo, oppure fatto scadere, evitando di spendere inutilmente i soldi degli italiani per convertire norme che avrebbero esperito i propri effetti sostanziali nel momento in cui la legge di conversione sarebbe entrata in vigore. Anzi, a pensarci bene, questo decreto un'innovazione la contiene, ma non riguarda la materia delle elezioni amministrative - ne ha fatto anche cenno il relatore - e del referendum, bensì le elezioni politiche; lo dico al di là delle norme che potrebbero essere anche legittime, seppur decontestualizzate. Infatti, gran parte degli emendamenti, soprattutto penso di maggioranza, ha riguardato la materia della legge elettorale per le elezioni politiche, invece che le norme per il rinnovo dei consigli comunali e del referendum. Di contro, però, le proposte di Fratelli d'Italia - che, naturalmente, ha presentato degli emendamenti alla legge stessa - in materia di elezione diretta delle province sono state rese inammissibili, come se le norme che riguardano le province non fossero inerenti la materia dell'elezione degli enti locali e, invece, quelle delle elezioni politiche sì. Ennesimo cortocircuito.

Per concludere, quello che Fratelli d'Italia ha fatto in Commissione attraverso i colleghi che rappresento qui, oggi, nella discussione generale - cito Emanuele Prisco, Augusta Montaruli e Rachele Silvestri - e che fa oggi in Aula è, ancora una volta, difendere la dignità di questa istituzione, perché custode della rappresentanza dell'unico potere a cui facciamo riferimento e a cui rendiamo conto, quello democratico del popolo italiano, istituzione che dovrebbe essere, innanzitutto, difesa dal suo Presidente. Grazie, Presidente, grazie sottosegretario.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, come ben sappiamo, il 12 giugno scorso, come cittadine e cittadini italiani, siamo stati chiamati a votare contestualmente per le elezioni amministrative in molte parti del Paese e per il referendum.

Mi sia consentito, innanzitutto, ringraziare tutte e tutti coloro che hanno lavorato e continueranno a lavorare il 26 giugno, laddove vi saranno i ballottaggi, per assicurare il regolare svolgimento di questo importante appuntamento democratico.

Relativamente alle disposizioni urgenti, che hanno reso e stanno rendendo possibile lo svolgimento delle elezioni, interverrò per portare all'attenzione dell'Aula alcuni aspetti di particolare interesse per il gruppo del Partito Democratico. Ringrazio per questa opportunità il capogruppo in Commissione affari costituzionali, il professor Stefano Ceccanti, e tutte le colleghe e i colleghi della Commissione.

Abbiamo condiviso e riteniamo sia stata giusta la scelta di concentrare in un unico giorno il voto, una scelta che ha consentito allo Stato di risparmiare senza con ciò pregiudicare la partecipazione ai cittadini.

È una scelta pienamente prevista dall'ordinamento: il cosiddetto election day, ovvero la concentrazione in un'unica data delle elezioni amministrative, regionali e politiche previste lo stesso anno, è stato introdotto con il decreto-legge n. 98 del 2011. Va sottolineato il fatto che il referendum è rimasto fuori dal campo di applicazione del decreto n. 98 del 2011 perché la legge n. 352 del 1970, all'articolo 34, vieta di abbinare il referendum abrogativo alle elezioni politiche, ma questo non esclude, come in questo caso, la contemporaneità con le elezioni amministrative. Il decreto-legge 4 maggio 2021, n. 41, introduce previsioni volte a consentire, limitatamente alle consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2022, il pieno esercizio del diritto di voto da parte di tutti i cittadini attraverso modalità operative che assicurino, individuando apposite misure precauzionali di ulteriore prevenzione dei rischi di contagio, la piena garanzia dello svolgimento del procedimento elettorale e della raccolta del voto.

Si prevede, limitatamente alle consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2022, che l'elettore inserisca personalmente la scheda nell'urna, in deroga alla normativa vigente, che dispone, invece, la consegna della scheda al presidente di seggio, il quale, constatata la chiusura della medesima, provvede all'inserimento nell'urna. Per gli elettori positivi al COVID-19 sottoposti a trattamento ospedaliero o domiciliare e per tutti coloro che siano in isolamento si prevedono modalità operative di sicurezza che mettano tali persone in condizioni di prendere parte attiva alle consultazioni. Si istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'Interno, un fondo destinato a interventi di sanificazione dei locali sedi di seggio elettorale per le consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2022.

Si dispone che le operazioni di votazione si svolgano nel rispetto delle modalità operative e precauzionali di cui ai protocolli sanitari e di sicurezza adottati dal Governo, per garantire un voto in piena sicurezza. Si è prevista, inoltre, l'applicazione, per le elezioni del 12 giugno 2022, della normativa in materia di referendum per gli adempimenti comuni, per il funzionamento degli uffici elettorali di sezione e per gli orari di votazione. Rispetto alla composizione degli uffici elettorali di sezione e all'entità degli onorari spettanti ai componenti dei predetti uffici si fa riferimento alla normativa per le elezioni amministrative. Inoltre, si è stabilito che, al termine del voto, si proceda allo scrutinio delle schede votate per ciascun referendum, e successivamente, dalle ore 14 di lunedì, alle operazioni di scrutinio per le elezioni amministrative. Si è, a nostro avviso, rivelata utile e corretta la scelta di ridurre il quorum strutturale dal 50 al 40 per cento nei comuni con meno di 15 mila abitanti, evitando altresì il computo degli iscritti AIRE non votanti, come si era previsto nel 2021. Al riguardo, sottolineiamo, ancora una volta, la necessità di rendere stabile tale cambiamento, approvando l'articolo 1 della proposta di legge Atto Camera n. 3144, già approvata dal Senato.

Per quanto riguarda, poi, la sperimentazione del voto elettronico, pur consapevoli della complessità delle questioni ad esso sottese, che ne hanno reso necessario un rinvio, dobbiamo con coraggio andare oltre, perché si tratta di uno strumento utile a velocizzare le procedure e a favorire la partecipazione.

Riteniamo positiva, inoltre, la previsione all'articolo 6-bis che consente a forze minori, comunque radicate, di poter scegliere liberamente se collegarsi attraverso candidature uninominali comuni con altre liste aventi già l'esenzione, senza dover anticipare eccessivamente la scelta dei candidati comuni.

Importante, poi, l'articolo 7, che istituisce quattro uffici decentrati per la Circoscrizione Estero presso le corti di appello di Milano, Bologna, Firenze e Napoli, per coadiuvare l'Ufficio centrale per la Circoscrizione Estero presso la corte d'appello di Roma nelle operazioni di scrutinio delle schede degli elettori residenti all'estero che votano per corrispondenza per le elezioni politiche e per i referendum.

Le nuove disposizioni si applicano alle consultazioni elettorali e referendarie indette successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge. L'articolo 8 fissa, infine, le coperture finanziarie degli oneri determinati dalle previsioni del decreto e autorizza il Ministro dell'Economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Nel complesso, come abbiamo potuto constatare, si tratta disposizioni utili, che vogliono rendere più semplice la partecipazione al voto dei cittadini. Un obiettivo che trova, e troverà sempre, il pieno sostegno del Partito Democratico.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Costanzo. Ne ha facoltà.

JESSICA COSTANZO (MISTO). Presidente, oggi discutiamo la conversione del decreto n. 41 del 2022, disposizioni urgenti per lo svolgimento contestuale delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2022 - e lo sottolineo - nonché per l'applicazione di modalità operative, precauzionali e di sicurezza ai fini della raccolta del voto. Ma, Presidente, in questo provvedimento c'è un chiaro attacco alla democrazia, che questa maggioranza vuole occultare, ed è bene che i cittadini, il popolo italiano sappiano che cosa si sta tramando alle loro spalle. Ciò che si è consumato, infatti, in Commissione affari costituzionali alla Camera è degno di un vero e proprio totalitarismo: non contenti dei tradimenti al mandato popolare che vi è stato assegnato, ora spunta persino l'emendamento della vergogna, grazie al placido benestare di Lega e MoVimento 5 Stelle. Stiamo parlando dell'articolo aggiuntivo 6.016, a prima firma Magi, di +Europa. Se verrà approvato in via definitiva, porterà all'esenzione dall'obbligo di raccolta firme le neo forze politiche che vorranno presentarsi alle prossime elezioni, a una condizione, a condizione che siano, di fatto, di questa maggioranza. In Commissione era stato presentato l'articolo aggiuntivo 6.05 Colletti, che garantiva, invece, a tutti gli schieramenti di potersi presentare senza la raccolta firme, ma la relatrice di maggioranza ha avuto il coraggio di dare il parere favorevole solo all'articolo aggiuntivo 6.016, che mira a favorire proprio solo i gruppi di maggioranza. E, allora, francamente, Presidente, non solo è inaccettabile, ma è abominevole che la maggioranza, per l'ennesima volta, utilizzi lo strumento della conversione di provvedimenti d'urgenza, su temi, tra l'altro, già passati come quello delle elezioni amministrative e anche del referendum, per creare di nuovo norme su misura, garantendo un emendamento che, di fatto, è cucito addosso ai partitini di maggioranza. Si tratta, quindi, non solo di un emendamento, ma di un vero e proprio abominio legislativo, perché in questo decreto sono stati giudicati ammissibili emendamenti riguardanti lo svolgimento delle elezioni politiche, mentre sono stati considerati inammissibili, tra l'altro per estraneità di materia, proposte emendative relative all'elezione dei presidenti delle province, considerato che il provvedimento reca disposizioni in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale.

Se in precedenza c'era il dubbio che si fossero verificate ingerenze politiche nella valutazione dell'ammissibilità delle proposte emendative, adesso ne abbiamo la certezza, dal momento che non si riceve risposta a una domanda: qual è la ratio, la valutazione politica obiettiva, generale, astratta, come dovrebbe, di fatto, essere la legge, con cui avete scelto di favorire certi gruppi parlamentari in materia di presentazione delle liste elettorali? Gradiremmo avere una risposta, anzi, i cittadini, in qualità di madri e padri di famiglia, di lavoratori sospesi, inclusi i sanitari, di partite IVA, piccole imprese vessate, le piazze di questi anni, gradirebbero avere una risposta, perché avete capito bene: è un vestito cucito su misura per tutti quei partitini il cui destino sembra ormai segnato alle prossime elezioni. Stiamo parlando di LeU, Italia Viva, +Europa, Noi con l'Italia, Coraggio Italia. L'assist a questo abuso è stato fornito dal MoVimento 5 Stelle, che dapprima ne ha proposto la riformulazione, per poi aver finto di prendere le distanze con un voto di astensione. Un silenzio assenso che vale, però, più di mille parole, considerato che, con tutta l'ipocrisia che ormai da tempo contraddistingue l'ex MoVimento antisistema, ora ci si accorda per salvare da quella canonica raccolta firme necessaria per presentarsi in Parlamento tutte le componenti e i gruppi parlamentari, ma di maggioranza, che sono costituiti entro lo scorso dicembre.

Italexit dichiara battaglia. Italexit, con Paragone, vi annuncia che inizierà una lunga ed estenuante resistenza sotto al Quirinale per ricordare al Capo dello Stato il suo ruolo super partes; diversamente, se metterà firme su una legge o su emendamenti che tutto sono tranne che imparziali, porteremo in piazza il disagio del Paese, a difesa della democrazia, perché la soglia di sbarramento non fa paura.

Sappiamo che volete cambiare la legge elettorale; fatelo pure, ma, in passato, abbiamo constatato che non ha portato bene alle forze che lo hanno fatto. Cambiatela, arrovellatevi su come tagliare fuori l'opposizione e il dissenso, ma le firme o non le raccoglie nessuno e si rispettano anche le componenti politiche di opposizione, oppure, se cominciamo a cambiare le regole in corso d'opera, per vessare chi fa dissenso, allora vi annunciamo una battaglia politica intensa e partecipata, dato che, ancora una volta, il vostro intento, palese, è affossare il concetto stesso di democrazia, in questo Paese. È giunto il momento, Presidente, che chi è chiamato a rivestire ruoli di garanzia si prenda le proprie responsabilità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alessandro Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, ancora una volta ci troviamo a convertire, in quest'Aula, un decreto superato, un decreto che ha già dispiegato i suoi effetti. Infatti, lo scorso 12 giugno si sono tenute le elezioni amministrative in 974 comuni italiani e, contestualmente, le urne sono state aperte in tutto il Paese per lo svolgimento dei referendum sulla giustizia. È proprio dal referendum che voglio iniziare, il referendum flop - così è stato definito, in prima pagina, da diversi quotidiani nazionali, una sconfitta per il centrodestra. Eppure, il dato delle amministrative ha dimostrato il contrario; quella realmente sconfitta, colleghi, è stata la nostra democrazia, a vantaggio di un vero e proprio sistema, perché, qualunque sia l'esito di un voto, esso deve essere rispettato.

Invero, l'unico, univoco e preoccupante, dato che siamo costretti a registrare è quello del fronte dell'astensionismo. I referendum sulla giustizia sono stati i meno partecipati della storia repubblicana: ha votato il 20,8 per cento degli aventi diritto, ossia meno della metà del quorum che sarebbe stato necessario perché avessero valore. Su questo vorrei fare una piccola riflessione. Come sancito dalla nostra Carta costituzionale, l'esercizio del diritto di voto è un dovere civico. Tuttavia, durante l'intera campagna elettorale referendaria in molti si sono spesi in un'interpretazione alquanto creativa di tale enunciato, che ha, nei fatti, reso il dovere civico un vero e proprio diritto all'astensionismo, con l'ulteriore conseguenza che anche alle elezioni amministrative solo il 55 per cento degli elettori è andato a votare.

Ad ogni modo, è importante osservare che in tutti i cinque quesiti hanno vinto i “sì”: quello sulla separazione delle funzioni tra magistrati requirenti e giudicanti ha ottenuto il 74 per cento dei consensi e il 72,5 per cento quello per l'abolizione della raccolta delle firme per la presentazione delle candidature dei membri togati al Consiglio superiore della magistratura. A seguire, poi, i quesiti sul diritto di voto dell'avvocatura sulle progressioni in carriera dei magistrati, con il 71,94 per cento di “sì”; la riduzione dei presupposti in base ai quali è consentito il ricorso alle misure cautelari, con il 56,12 per cento; infine, l'abrogazione della “legge Severino”, col 53,97 per cento dei consensi.

Mi pare, quindi, chiaro l'orientamento dei cittadini sui temi in questione. Gli italiani hanno detto “no” al sistema disegnato dalle vigenti norme dell'ordinamento giudiziario, che prevedono che i magistrati, a semplice domanda, possano indistintamente transitare, nel corso della loro carriera, per 4 volte dall'esercizio delle funzioni giudicanti a quelle requirenti, e viceversa. Il voto espresso è volto a garantire ai cittadini il sacrosanto diritto di difesa all'interno di una cultura giurisdizionale, evitando che il giudice condivida l'orientamento culturale del pubblico ministero. Ebbene, impedendo che i magistrati cambino casacca, tramutando le proprie funzioni, si voleva contribuire a ristabilire una rigorosa cultura della giurisdizione, perché il giudice non può - e non deve - ispirarsi alla cultura dell'azione, ormai propria dell'organo titolare dell'accusa. Gli italiani hanno detto “no” alla correntocrazia, quel sistema che si traduce in uno strapotere vergognoso delle correnti e che impedisce ai magistrati, quelli bravi, quelli che si sporcano le mani con le carte e con i provvedimenti, di fare carriera, quel sistema che ha minato i fondamentali principi di autonomia e di indipendenza della magistratura, creando quella grande cicatrice al sistema giustizia palesatasi nel 2009 con il caso Palamara.

Gli elettori hanno ritenuto che le progressioni in carriera dei magistrati, fino ad oggi un procedimento di carattere squisitamente autoreferenziale, che vede i valutati artefici della propria, scontata, positiva valutazione, dovessero essere sottoposte al voto dell'avvocatura, una voce qualificata, quella dell'interlocutore naturale del magistrato, quella che con i magistrati lavora quotidianamente, quella che ne legge i provvedimenti. Hanno, altresì, espresso la volontà di limitare l'abuso della custodia cautelare, ossia del carcere preventivo rispetto alla condanna definitiva, che, da strumento di emergenza, è divenuta, nei fatti, una vera e propria forma anticipatoria della pena, in palese violazione del principio costituzionale della non colpevolezza. Nella medesima ottica garantista, hanno votato contro la ratio giustizialista sottostante alla cosiddetta “legge Severino”. In sintesi - e mi avvio alla conclusione -, nonostante l'assordante silenzio che ha preceduto la tornata referendaria, i cittadini hanno chiesto il ritorno a una democrazia sostanziale, e non soltanto promessa.

Consentitemi, in chiusura, una piccola digressione. Vorrei, seppur brevemente, porre l'accento su quanto accaduto a Palermo. Si tratta di fatti gravissimi, in un ordinamento democratico come il nostro. Senza preavviso, un elevato numero di presidenti di seggio, 170 su 600, non si è presentato al momento dell'insediamento, a danno dell'esercizio di voto dei cittadini palermitani. Sappiamo che la procura di Palermo valuterà le eventuali responsabilità penali di questi atti di assoluta mancanza di senso civico e di rispetto per le istituzioni.

Al di là di queste storture, va rilevato come questo provvedimento sia stato frutto di un complesso lavoro di mediazione, che ha visto coinvolte le diverse forze politiche che animano l'eterogenea maggioranza di Governo.

Quindi, Forza Italia, da sempre forza politica responsabile, non può che esprimere il proprio positivo apprezzamento su quanto approvato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Rivolgo un saluto ai rappresentanti del NIAF, The National Italian American Foundation, che seguono i nostri lavori dalle tribune (Applausi). Benvenuti alla Camera dei deputati.

È iscritta a parlare la deputata Flora Frate. Ne ha facoltà.

FLORA FRATE (IV). Grazie, Presidente. Colleghi, sottosegretario, con il presente disegno di legge il Governo sottopone alle Camere, per la conversione in legge, il decreto-legge 4 maggio 2022, n. 41, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contestuale delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione, da tenersi nell'anno 2022, nonché per l'applicazione di modalità operative precauzionali e di sicurezza ai fini della raccolta del voto. Il decreto-legge è composto di 9 articoli e contiene norme d'urgenza per assicurare il regolare svolgimento delle operazioni di votazione dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione, in abbinamento con il primo turno delle elezioni amministrative.

La gestione della concomitanza elettorale è disciplinata dall'articolo 2 che interviene sulla normativa previgente, la quale non disciplinava lo svolgimento contemporaneo delle operazioni di voto e scrutinio di consultazioni elettorali e referendarie e, pertanto, le disposizioni applicabili in materia sono differenti a seconda che si tratti di voto amministrativo o referendario.

Con l'articolo 2 del decreto, invece, si detta una disciplina unica, stabilendo che per gli adempimenti comuni per il funzionamento degli uffici elettorali di sezione e per gli orari della votazione si applicano le disposizioni in vigore per i referendum. È una norma importante che ha semplificato i passaggi.

Il provvedimento in esame reca, inoltre, disposizioni finalizzate a consentire, ma solo limitatamente alle consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2022, il pieno esercizio del diritto al voto da parte di tutti i cittadini, attraverso modalità operative che, individuando apposite misure precauzionali di ulteriore prevenzione dei rischi da contagio, assicurino la piena garanzia dello svolgimento del procedimento elettorale e della raccolta del voto. In tal senso, l'articolo 1 del decreto stabilisce che il deposito della scheda nell'urna venga effettuato direttamente dall'elettore. La ratio di tale disposizione va ricercata nella necessità di ridurre al minimo ogni occasione di contatto per contenere la diffusione del virus. Sempre sul versante della prevenzione del contagio appare significativo e importante l'articolo 5, non solo, perché rinvia i protocolli sanitari e di sicurezza già sottoscritti dai Ministeri dell'Interno e della Salute, che prevedono regole di cautela precise, come l'obbligo della mascherina e dei guanti, ma soprattutto perché, al comma 1, viene istituito un Fondo di quasi 40 milioni di euro per l'anno 2022, destinato a interventi di pulizia e di igiene dei seggi. Per gli elettori positivi al COVID sottoposti a trattamento ospedaliero o domiciliare e per tutti coloro che si trovano in condizioni di isolamento si prevedono esplicite modalità operative e di sicurezza che consentono anche a tali soggetti di poter prendere parte attiva alle consultazioni. Sotto tale profilo, le norme ora adottate riprendono quanto già previsto per le elezioni 2021 col decreto-legge 17 agosto 2021, n. 117, convertito dalla legge 14 ottobre 2021, n. 144.

Con l'articolo 3 del provvedimento si introduce una disciplina speciale per la costituzione di sezioni elettorali ospedaliere nelle strutture sanitarie che ospitano reparti COVID e per la raccolta del voto dei malati di COVID in trattamento domiciliare o in condizioni di isolamento, mentre per gli elettori sottoposti a trattamento domiciliare o in condizioni di isolamento per COVID, ai sensi dell'articolo 4 del provvedimento, è disposto l'esercizio domiciliare del voto. Equilibrata è apparsa anche la scelta del Governo di posticipare al 2023 l'introduzione del voto digitale e un buon lavoro è stato fatto anche in sede emendativa in Commissione affari costituzionali prevedendo una prima sperimentazione del voto digitale senza valore legale. Siamo in presenza di un tema complesso e delicato; come è noto, il Ministero dell'Interno ha proceduto all'elaborazione dello studio di fattibilità e dei requisiti tecnici del sistema di voto elettronico, sottoponendolo alla valutazione dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, del Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell'Agenzia per l'Italia digitale. Ebbene, sono emerse rilevanti criticità, come ha fatto emergere anche il professor Baldoni, soprattutto sul piano della sicurezza da attacchi informatici, e la grave situazione internazionale richiede cautela e prudenza. Emerge, dunque, l'esigenza di procedere a un'approfondita attività di valutazione dei rischi, che risulta quanto mai opportuna in questo particolare momento storico. Sul voto digitale non ci può essere una contrarietà a prescindere, ma neppure entusiasmo a tutti i costi e, quindi, risultava necessario, non solo, posticipare la sua introduzione, ma anche prevedere una sperimentazione prima di una sua eventuale introduzione con valore legale.

Da ultimo si segnala l'importanza dell'articolo 7 del provvedimento che concerne il voto degli italiani all'estero. La previgente normativa prevede che tutti gli adempimenti inerenti alle operazioni elettorali siano svolti a cura della Corte di appello di Roma; ciò comporta oneri non più sostenibili e difficoltà di ordine logistico. Si è così ritenuto, a giusta ragione, di distribuire le operazioni di spoglio delle schede elettorali tra più Corti di appello, quali Napoli, Firenze, Bologna e Milano. Insomma, Presidente, si tratta di una semplificazione importante e opportuna che ha trovato il pieno appoggio di Italia Viva.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3591-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Francesco Silvestri, che rinuncia. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Delega al Governo per la riforma fiscale (A.C. 3343-A​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3343-A: Delega al Governo per la riforma fiscale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 15 giugno 2022 (Vedi l'Allegato A al resoconto stenografico della seduta del 15 giugno 2022).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3343-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari Fratelli d'Italia e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.

La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione finanze, deputato Luigi Marattin.

LUIGI MARATTIN, Relatore. “Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, concludendo questa mia rapida disamina sui punti di maggior rilievo emersi nel corso della discussione generale, sento il dovere di esprimere, con tutto il cuore, anche a nome del correlatore Formica, al Ministro Preti (con il quale ho dovuto qualche volta litigare, e spero che mi perdonerà: d'altra parte, un relatore che è sempre ed in tutto d'accordo col Ministro che relatore è?) e al suo validissimo collaboratore sottosegretario Macchiavelli il più vivo apprezzamento per la vigoria e la tenacia con la quale hanno portato avanti, al Senato dopo che alla Camera, il provvedimento di riforma. Ci sono stati momenti di tensione e di difficoltà nei contrasti tra le opposte tesi, ma la Commissione finanze e tesoro del Senato ha dimostrato, in questa circostanza come nelle altre, di meritare la stima di cui gode per il suo lavoro e per il suo impegno al servizio del Paese”. Nel caso non ve ne siate accorti non sono parole di oggi, non sono neanche parole mie, ma della seduta del 4 agosto 1971 del Senato della Repubblica, alla Presidenza quel giorno c'era il senatore Amintore Fanfani e queste parole furono pronunciate da Giuseppe Belotti che era il relatore al Senato della riforma fiscale; qui alla Camera, invece, il relatore era l'onorevole Luigi Bima. Ogni tanto fa bene ricordare che c'è stata una storia prima di noi, in quest'Aula, e ci sarà una storia dopo di noi. Quella del 1971, che fu approvata, in realtà, qualche tempo dopo ed entrò in vigore il 1° gennaio 1974, non è stato l'ultimo intervento in tema di fisco in questo Paese, ma è stato sicuramente l'ultimo intervento sistemico. Il lavoro che arriva oggi in Aula alla Camera non ha certamente la stessa ambizione, perché allora si trattò di istituire un sistema fiscale per questa Repubblica, dopo il primo step della riforma Vanoni, e lì eravamo negli anni Cinquanta, ancora più a ridosso della formazione di questa Repubblica, però, abbiamo l'ambizione di un intervento sistemico, questo sì, il primo dopo cinquant'anni. Lo ripeto, nel corso di questi decenni vi sono stati numerosi interventi sul fisco, parziali, non sistematici, sovrapposti, che hanno forse contribuito ad aumentare la confusione; noi abbiamo l'ambizione di presentare, oggi, in quest'Aula, uno strumento per un intervento sistemico. Questo lavoro nasce da un'iniziativa parlamentare: l'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, che le Commissioni finanze congiunte, di Camera e Senato, hanno condotto dall'11 gennaio al 30 giugno 2021. Quell'iniziativa parlamentare nacque da un'esigenza precisa, quella di smettere di trattare il tema di una complessiva riforma fiscale solo come tema di campagna elettorale. Intendiamoci bene, non esiste tema più politico del fisco, perché attiene al contratto sociale fra rappresentanti e rappresentati, ma è un dato di fatto che, negli ultimi decenni, di fisco, di riforma fiscale in questo Paese si è preferito parlare più sui manifesti elettorali che non con la Gazzetta Ufficiale. Quel lavoro parlamentare che iniziammo un anno e mezzo fa ha, allora, inteso inaugurare un metodo nuovo, un metodo fatto dei seguenti passi: prima ascoltare, poi studiare, poi approfondire, poi discutere, anche litigare, se necessario, e, poi, decidere, trovando un terreno comune o un massimo comune denominatore, come dicevamo in quei tempi. In tempi in cui la politica sembra assomigliare pericolosamente al marketing, è stata un'innovazione non da poco che rivendichiamo in quest'Aula e di cui ringrazio ancora una volta tutti i gruppi parlamentari coinvolti, di maggioranza e di opposizione.

Abbiamo infatti svolto, in quei mesi, 61 audizioni con i maggiori esperti nazionali e internazionali, le istituzioni nazionali e internazionali e, virtualmente, tutte le parti sociali coinvolte; 12 contributi scritti (ogni partito fu invitato a presentare veri e propri position paper, tutti pubblicati online), mesi di discussione e, alla fine, un documento unitario di 23 pagine, approvato dalle Commissioni finanze esattamente un anno fa, il 30 giugno.

Questa legge delega, approvata dal Consiglio dei Ministri il 5 ottobre di quell'anno, lo scorso anno, si basa largamente su quel documento, perché, quando il Governo Draghi si insediò, si trovò di fronte ad un lavoro parlamentare in corso e decise di lasciar fare al Parlamento e di vedere quale risultato ne sarebbe venuto fuori. In tempi in cui si straparla di tecnica e politica, spesso senza conoscere né l'una né l'altra, riteniamo che questo sia un esempio di come la politica, quando ragiona seriamente, non debba temere alcun commissariamento, se così lo si vuol chiamare.

Nel corso di questo esame parlamentare, attraverso momenti di intensa dialettica e grazie alla fondamentale mediazione del Governo Draghi, ad un certo punto tale legge delega è stata resa ancora più vicina a quel documento parlamentare del 30 giugno di quanto non lo fosse quando uscì dal Consiglio dei Ministri. Vado ora brevemente a elencare i contenuti degli articoli.

Come in tutte le leggi delega, il primo articolo detta tempi e i principi generali cui l'attuazione della delega deve attenersi; i tempi sono chiari, diciotto mesi per i decreti legislativi, a cui poi segue ovviamente un tempo cuscinetto per eventuali correzioni, e gli obiettivi sono chiari, sono gli stessi dell'elaborazione parlamentare dell'anno scorso: un sistema fiscale votato alla crescita e alla semplificazione. In particolare, si pone gli obiettivi del completamento di quello scambio iniziato, forse, nello scorso decennio, fra tecnologia e semplificazione - ossia più il sistema fiscale adotta i nuovi strumenti che la tecnologia mette a disposizione più il sistema deve essere semplificato -, della semplificazione di adempimenti, del pieno utilizzo dei dati della fatturazione elettronica, dell'estensione del canale telematico per ottemperare agli obblighi tributari, e si ribadisce il principio del once only, ossia non si possono chiedere al contribuente dati di cui l'amministrazione è già in possesso. Si ribadisce il principio di equità orizzontale, la cui piena attuazione ha implicazioni chiare: l'obiettivo di ridurre l'evasione e l'elusione fiscale attraverso l'applicazione delle più moderne tecniche di intelligenza artificiale, l'analisi del rischio, e il pieno utilizzo delle opportunità offerte dalla digitalizzazione del fisco, la razionalizzazione del sistema delle sanzioni amministrative, garantendo gradualità e proporzionalità.

I successivi quattro articoli - 2, 3, 4 e 5 - attengono alle quattro principali imposte italiane, perché, se si fa una riforma sistemica, non si può prescindere dalle quattro principali imposte italiane.

L'articolo 2 riguarda l'IRPEF, la più importante delle nostre imposte, l'imposta personale sui redditi delle persone fisiche. C'è già stato un intervento nella legge di bilancio per il 2022, attuativo parzialmente del lavoro delle Commissioni finanze di Camera e Senato, per il quale sono state previste una spesa annua di 7 miliardi annui, la riduzione delle aliquote da 5 a 4 e la rimodulazione del profilo delle aliquote marginali effettive.

In questa legge delega. vi sono sette questioni importanti, ovviamente come principio di delega. La prima, se ne è lungamente parlato, è quella della transizione verso un sistema duale: si è dovuto prendere atto dell'impossibilità politica di innescare una transizione definita, anche se graduale verso un sistema duale, ma almeno si prende atto del principio della neutralità fiscale per la tassazione dei redditi derivanti dall'impiego del capitale; vale a dire, non è possibile che lo Stato tratti in modo radicalmente fiscalmente così diverso i redditi derivanti da un impiego di una stessa somma di capitale, perché questo significa distorcere il mercato. Se questo porterà o meno un giorno a far evolvere il nostro sistema verso uno duale, ovviamente lo deciderà solo il futuro. Per il momento, è l'unica cosa che vi è in questa legge delega, quindi, senza alcun tipo di transizione chiara verso un sistema duale, perché si è preso atto che questa era la volontà delle forze politiche.

La seconda questione è la correzione del regime forfetario in senso favorevole al contribuente e pro-crescita. Sappiamo che il regime forfetario, fermandosi a 65 mila euro, rappresenta un'ovvia barriera per chiunque voglia crescere, perché vi è, su quell'euro in più di fatturato, un'aliquota marginale effettiva immensa che scoraggerebbe chiunque dal superare quella soglia. Quindi, un principio di delega importante che è stato inserito è la creazione di un cosiddetto scivolo che accompagni il contribuente che voglia crescere rispetto alla soglia dei 65 mila euro verso un trattamento fiscale che gli consenta di avere questa opportunità, che non lo scoraggi del tutto.

La terza e la quarta questione sono già parzialmente affrontate nella legge di bilancio per il 2022, quindi con valenza quest'anno, vale a dire la riduzione delle aliquote medie, a partire dai redditi medio-bassi, e la riduzione delle variazioni delle aliquote marginali effettive che – ricordiamocelo - sono quelle che danno l'incentivo all'offerta di lavoro.

La quinta questione è il riordino delle spese fiscali, frase che abbiamo sentito centinaia di volte in questi anni, ma che questa volta si avvale di un possibile beneficio acceleratore, facendo uso delle innovazioni tecnologiche che, nel frattempo, ci sono state; mi riferisco alle infrastrutture telematiche che consentono, ad esempio, allo Stato di erogare direttamente al cittadino il beneficio che si vuole fornire sotto il profilo dello stimolo al consumo di un particolare bene e servizio, liberando il sistema fiscale da compiti che non gli sono propri o, meglio, liberando l'imposta personale sui redditi delle persone fisiche da compiti che non gli sono propri, ossia quelli di incentivare questo o quel bene o servizio. Invece, con un meccanismo, che già in questa Repubblica abbiamo visto su altre cose, è possibile procedere a un riordino efficace per il contribuente.

Vi è poi il superamento della distinzione fra redditi da capitale e redditi diversi di natura finanziaria; parliamo di un'armonizzazione della tassazione sul risparmio che possa essere più chiara, più razionale, più semplice, più favorevole al contribuente (uno degli input principali che ci vennero dalla fase conoscitiva dello scorso anno).

Infine, vi è il cambiamento opzionale delle modalità di versamento delle imposte dirette da parte di autonome ditte individuali e soggetti ISA; il meccanismo dei saldi e degli acconti qui può essere superato, procedendo a una progressiva mensilizzazione dei pagamenti in cambio di una riduzione della ritenuta di acconto, fondamentalmente un'agevolazione nei confronti del mondo del lavoro autonomo che oggi, soprattutto con il pagamento del secondo acconto di novembre, si trova spesso in una non necessaria difficoltà.

L'articolo 3, che riguarda l'IRES, prevede due principi di delega che sono due potenziali rivoluzioni. Il primo è la semplificazione e la razionalizzazione dell'intera imposta attraverso un avvicinamento tra i valori civilistici e i valori fiscali. Oggi, gli imprenditori fanno due bilanci, uno ai sensi del codice civile, che poi chiudono, iniziandone un altro ai sensi della disciplina fiscale; questo crea confusione e sovrapposizione, nonché perdita di tempo e di denaro, e noi insistiamo particolarmente con riguardo alla disciplina degli ammortamenti e alla revisione dei costi parzialmente o totalmente indeducibili che creano la maggior differenza fra canale civilistico e canale fiscale. Il secondo è la neutralità della tassazione rispetto alle forme giuridiche di organizzazione di impresa. Se faccio impresa, i miei utili devono essere tassati allo stesso modo, ma, oggi, non è così: le società di persone vengono tassate in un modo molto elevato, potenzialmente anche al 43 per cento, mentre le società di capitali al 24 per cento; non si capisce perché il fisco debba trattare diversamente a seconda di che scelta si adotti sotto il profilo dell'organizzazione dell'impresa.

L'articolo 4 concerne l'IVA: anche tale imposta è stata lasciata andare con il pilota automatico in questi decenni fra successive stratificazioni normative, senza un disegno organico. Questo articolo conferisce al Governo della Repubblica una delega per semplificare e razionalizzare sia l'IVA sia le imposte indirette secondo i seguenti principi: razionalizzazione dell'IVA per quanto concerne il numero delle aliquote, il livello delle aliquote e la distribuzione di beni e servizi, e, attraverso queste aliquote, perseguire l'obiettivo complessivo di semplificazione, di contrasto all'evasione e coerenza con la disciplina europea. L'IVA è un'imposta armonizzata a livello comunitario, ed è ancora l'imposta con maggiore evasione, anche in relazione a quanto accade all'interno degli altri Stati dell'Unione europea; quindi, un principio di delega chiaro è procedere a una radicale semplificazione dell'imposta. Infine, ci si propone il raccordo del sistema delle imposte indirette, le accise soprattutto, sia con gli obiettivi di sostenibilità ambientale dell'European Green Deal, sia con tutto quello che attiene allo sviluppo sostenibile. L'articolo 5, infine, per quanto concerne il pacchetto delle quattro principali imposte, si occupa di IRAP. Anche in questo caso, in legge di bilancio è stato fatto il primo passo: un miliardo all'anno per abolire l'imposta per 835.000 persone fisiche e ditte individuali.

Viene contenuto il principio generale del graduale superamento dell'imposta, perché l'IRAP è un'imposta che compie, quest'anno, 25 anni, ma di cui si avverte tutto il peso, poiché è un'imposta che colpisce anche l'accumulazione dei fattori produttivi - tranne il lavoro a tempo indeterminato, che fu oggetto di una deducibilità, nello scorso decennio -, anche quando l'attività economica non produce utili e, siccome i fattori produttivi sono i motori della crescita - in un Paese che ha registrato, negli ultimi vent'anni prima del COVID, uno dei tassi di crescita media del PIL più bassi del mondo - occorre veramente chiedersi se abbia senso mantenere un'imposta che colpisce in particolare l'accumulazione dei fattori produttivi.

In sede referente abbiamo inserito due novità. La prima è una scaletta di priorità: dopo aver abolito l'IRAP per le persone fisiche, è evidente che i prossimi clienti devono essere le società di persone, gli studi associati e le società tra professionisti, per poi passare alle società di capitali, per le quali l'operazione probabilmente è tecnicamente un po' più complessa. Poi abbiamo inserito la previsione di nessun impatto per le regioni in disavanzo sanitario e per i lavoratori dipendenti e pensionati, vale a dire che quest'opera di graduale abolizione e di sostituzione del gettito non deve danneggiare le regioni che sono ora in disavanzo sanitario e che quindi hanno nell'aliquota dell'IRAP uno sfogo per riemergere da quel disavanzo, né il carico deve finire sul lavoro dipendente o sui pensionati.

I successivi quattro articoli riguardano quattro questioni specifiche, ma anche esse sistemiche: il catasto, il rapporto con la fiscalità locale, la riscossione e la codificazione. L'articolo 6, sul catasto - può darsi che ne abbiate sentito parlare in queste settimane -, è stato modificato dall'esame in sede referente. Il primo comma, in realtà, non è stato modificato e attiene alla lotta all'abusivismo: prevede strumenti da porre in capo dai comuni e dall'Agenzia delle entrate per disporre il corretto classamento, la destinazione d'uso, eccetera, sia degli immobili che dei terreni. Successivamente, nell'articolo si spiega che il maggior gettito eventualmente derivante da queste attività, deve essere non solo destinato ad abbassare l'imposizione tributaria sugli immobili, ma anche, prevalentemente, lasciato nel comune all'interno del quale quell'abusivismo è stato individuato. Il secondo comma, che è privo di effetti fiscali - lo era anche nel testo uscito dal Consiglio dei ministri - prevede che, accanto a ogni rendita catastale venga precisata un' informazione ulteriore, ossia la rendita ai sensi del DPR n. 138 del 1998, e che, non per ogni immobile, ma all'interno di queste nuove informazioni catastali senza fini fiscali, sia liberamente consultabile la banca dati OMI che - come sapete - rappresenta una fonte di informazioni per zone di città, non per singolo immobile, con un range di prezzo di mercato al metro quadro, per quanto concerne il valore patrimoniale. La seconda informazione - quella che dicevo in precedenza – era relativa a una rendita immobile per immobile, calcolata secondo i principi già vigenti del DPR n. 138 del 1998. Queste due integrazioni di informazioni, senza fini fiscali, hanno il solo scopo di consentire, quando queste integrazioni saranno terminate, a chi governerà in quel momento, di avere lo strumento per capire e valutare gli effetti distributivi di un'eventuale vera riforma del catasto, che, nei fatti, qui non c'è, adesso, come non c'era il 5 ottobre 2021.

L'articolo 7 parla di addizionali comunali e regionali: si prevede la trasformazione in sovraimposta: può sembrare una cosa tecnica, e in parte lo è, ma in Commissione abbiamo provveduto ad apportare quattro modifiche. La prima è che, in questa trasformazione, si tratta di due strumenti fiscali: l'addizionale, come base imponibile, il reddito e la sovraimposta come base imponibile, ed il tributo erariale, ma in questo cambio i comuni, le regioni e gli enti territoriali devono conservare la stessa manovrabilità che hanno adesso con le addizionali, in modo da non imporre surrettiziamente qualche diminuzione di risorse. Salvaguardiamo le regioni in disavanzo sanitario, ancora una volta, alla cui sovraimposta si applicherà lo stesso principio che oggi si adotta per l'addizionale, in caso di necessità di rientrare da quel disavanzo. Una quota del gettito derivante dai regimi di tassazione forfetaria andrà destinato ai comuni, affinché anche i contribuenti possano partecipare al finanziamento della spesa pubblica locale. Per quanto riguarda un concetto da cui, in realtà, deriverebbe una riforma epocale, vale a dire per tutto quello che attiene al federalismo fiscale, si specifica che l'attribuzione del gettito dell'IMU, categoria D, ai comuni “può” avvenire, e non “deve” avvenire.

Gli ultimi due articoli, Presidente, riguardano due aspetti fondamentali: la riscossione, sulla quale si insiste per una rivoluzione manageriale, che passi da un'enfasi sull'esecuzione del processo a un'enfasi sul risultato, e la codificazione: una volta conclusa la riforma, il Governo deve raccogliere tutta la normativa tributaria in codici chiari e definiti, facilmente consultabili e con un monitoraggio periodico della normativa tributaria, per assicurare di non rendere la vita impossibile a imprese e famiglie.

L'articolo 10 riguarda la copertura: abbiamo specificato che non deve prodursi alcun incremento della pressione tributaria rispetto a quella vigente.

Ho concluso, ringrazio il Governo, ringrazio gli uffici tecnici del Governo, che hanno svolto un lavoro prezioso, ma, soprattutto, ringrazio tutte le forze politiche che, da 18 mesi a questa parte, quando di riforma fiscale non parlava nessuno, si sono impegnate con l'idea che un altro modo di far politica, lontano da quello cui stiamo assistendo un po' troppo spesso, era possibile, e penso che oggi l'abbiamo dimostrato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, ma si riserva di intervenire in una fase successiva.

È iscritta a parlare la deputata Graziella Leyla Ciaga'. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA LEYLA CIAGA' (PD). Grazie, Presidente. Il provvedimento che affrontiamo oggi è la delega al Governo per la riforma fiscale, una legge delega molto attesa, che ha come obiettivo la revisione del nostro sistema fiscale, un sistema nato nel 1974 - come ha ricordato prima il presidente Marattin - e che, in quasi cinquant'anni, non è mai stato riformato in maniera organica, nonostante la nostra società sia radicalmente cambiata, per effetto della dimensione internazionale dei mercati, con la globalizzazione, del sistema produttivo, con le nuove modalità di organizzazione del lavoro, dell'impatto delle nuove tecnologie, del ruolo sempre più incisivo dell'Unione europea, delle mutate dinamiche della vita familiare e, infine, della crisi climatica. Il nostro sistema fiscale ha cercato di adeguarsi progressivamente a questi profondi mutamenti, ma con una continua stratificazione di norme, che lo hanno reso estremamente complesso, dal punto di vista tecnico, tanto da farne uno dei più complessi al mondo, oltre che caratterizzato da diverse criticità, dal punto di vista dell'efficienza e dell'equità della tassazione, che - ricordo - è tra le più alte in Europa. La riforma fiscale costituisce, infatti, una delle cosiddette riforme di accompagnamento al Piano nazionale di ripresa e resilienza, con l'obiettivo di rafforzare la coesione economica e sociale del nostro Paese. Con l'approvazione della legge delega fiscale, il Parlamento e il Governo raggiungeranno un importante risultato, tanto più se si tiene conto dell'eterogeneità dell'attuale maggioranza, che ha comunque consentito, pur nella differenza delle posizioni in materia fiscale, di raggiungere una convergenza su temi importanti. Insomma, si è raggiunto il massimo risultato possibile, alle condizioni date e, in tal senso, il Partito Democratico auspica che il provvedimento venga rapidamente approvato in via definitiva, in modo tale da licenziare i relativi decreti attuativi, che sostanzialmente mettono in atto il provvedimento. Innanzitutto, vorrei ricordare la genesi della delega fiscale, che ha registrato il diretto coinvolgimento del Parlamento. Le Commissioni finanze della Camera e del Senato hanno svolto una corposa indagine conoscitiva, con ben 61 audizioni svolte nell'arco di sei mesi, da gennaio a giugno del 2021, che si è conclusa lo scorso 30 giugno, con l'approvazione di un identico documento, che ha costituito proprio la base fondamentale di riferimento per il testo della legge delega che il Governo ha approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 5 ottobre. Oggi, dopo otto mesi, il provvedimento inizia il suo percorso in quest'Aula; peccato che il dibattito si sia concentrato quasi esclusivamente sulla questione della revisione del catasto che, per otto mesi, ne ha bloccato l'iter. Comunque, la cosa importante è che poi si sia trovata una sintesi, che ha consentito di superare la situazione di stallo creatasi. Il documento conclusivo delle Commissioni finanze di Camera e Senato ha indirizzato, quindi, la riforma fiscale verso obiettivi di crescita dell'economia e di semplificazione del sistema tributario, tenendo conto della transizione ecologica e digitale prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Infatti, nei sei principi generali della legge delega che dovranno poi essere esplicitati e tradotti in specifiche norme nei decreti attuativi troviamo, innanzitutto, la riduzione del carico fiscale sui redditi derivati dall'impiego dei fattori di produzione, la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, che dovrà avvenire tramite la riduzione degli adempimenti a carico di cittadini e imprese, l'eliminazione di micro tributi, ma anche l'interoperabilità delle banche dati e il rispetto rigoroso del divieto di chiedere i documenti già in possesso dell'amministrazione finanziaria. Questi due elementi sono stati introdotti con emendamenti del Partito Democratico e anche di altre forze politiche. Terzo, la progressività del sistema tributario, che viene ribadita ma che è già sancita dalla Carta costituzionale, a cui si aggiunge, introdotto grazie a un emendamento del Partito Democratico, il rispetto del principio di equità orizzontale. Quarto, la riduzione dell'evasione e dell'elusione fiscale, che “cuba”, diciamo così, 100 miliardi l'anno. Come? Attraverso il pieno utilizzo delle tecnologie e anche la graduale e proporzionale applicazione delle sanzioni amministrative in relazione alle violazioni commesse. Ecco, questa è un'importante specifica introdotta in fase emendativa. Quinto obiettivo, la garanzia del rispetto dell'autonomia tributaria degli enti locali, degli enti territoriali: anche questo elemento, questo principio, è stato introdotto durante il percorso emendativo. Sesto principio è la razionalizzazione delle sanzioni amministrative, garantendone la gradualità e proporzionalità rispetto all'entità delle violazioni commesse, con particolare attenzione alle violazioni formali o meramente formali.

L'articolo 2 si occupa dell'Irpef, ovvero della tassazione dei redditi personali. Ricordo qui, in particolare, tre obiettivi: la riduzione delle aliquote medie effettive, ma con quale criterio? A partire dai redditi medio-bassi. Questo è un principio che è stato introdotto grazie a un emendamento del Partito Democratico e questa riduzione delle aliquote medie effettive ha l'obiettivo di incentivare la partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riferimento ai giovani e ai secondi percettori di reddito, che sono quasi sempre donne. Anche questo riferimento è stato fortemente voluto dal mio partito, che sul punto ha presentato un disegno di legge a prima firma della nostra capogruppo Debora Serracchiani. Ricordo che le donne in Italia rappresentano oltre il 50 per cento della popolazione, cosa che troppo spesso si dimentica, o meglio si fa finta di dimenticare. Pur essendo le donne mediamente più istruite degli uomini hanno un indice di occupazione più basso della media europea. Trascuro tutto il discorso sull'entità del gap salariale.

Il secondo obiettivo è la graduale riduzione delle variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive derivanti dall'applicazione dell'Irpef. La legge di bilancio del 2022 ha già in parte anticipato queste obiettivi, ridisegnando i lineamenti fondamentali dell'Irpef, innanzitutto mediante interventi sulle aliquote e sugli scaglioni. La seconda aliquota, che riguarda, lo ricordo, i redditi dai 15 mila ai 28 mila euro, è stata abbassata dal 27 al 25 per cento. La terza, che riguarda i redditi dai 28 mila ai 50 mila euro, è passata dal 38 al 35 per cento. La successiva aliquota del 41 per cento è stata soppressa, mentre i redditi sopra i 50 mila euro avranno una aliquota del 43 per cento. Altro obiettivo importante è il riordino delle spese fiscali, destinando le risorse della loro eventuale eliminazione o rimodulazione ai contribuenti soggetti a Irpef, e qui ancora una volta con particolare riferimento a quelli con reddito medio-basso. Ricordo anche il cashback fiscale, cioè la possibilità per i contribuenti di avere un rimborso automatico immediato, tramite le piattaforme telematiche, delle detrazioni fiscali che rientrano nelle dichiarazioni dei redditi, con priorità per le spese mediche. E poi, per quanto riguarda i lavoratori autonomi e gli imprenditori individuali, la possibilità di mensilizzare gli acconti e i saldi e l'eventuale riduzione della ritenuta d'acconto. Per quanto riguarda, ancora una volta, professionisti e imprese, l'articolo 3 della delega prevede la revisione dell'Ires con un'operazione di forte semplificazione e la neutralità fiscale rispetto alle modalità diverse di organizzazione delle imprese. Sempre per quanto riguarda le imprese e le attività produttive, l'articolo 5 prevede il graduale superamento dell'IRAP, già in parte anticipato dalla legge di bilancio, dando la priorità alle società di persone, agli studi associati e alle società tra i professionisti. E comunque - questo è un punto, è una condizione ineludibile per il Partito Democratico - è fatto salvo il finanziamento del fabbisogno sanitario.

Per quanto riguarda la razionalizzazione dell'IVA e delle altre imposte indirette, sottolineo in particolare un aspetto, un principio compreso nell'articolo 4, che riguarda l'adeguamento delle aliquote della tassazione indiretta, in coerenza con lo European Green Deal, sulla produzione e sui consumi dei prodotti energetici dell'energia elettrica, in modo tale da tenere conto dell'impatto ambientale di diversi prodotti, nonché con l'obiettivo di contribuire alla riduzione progressiva delle emissioni di gas climalteranti, alla promozione dell'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili ed ecocompatibili e alla promozione di uno sviluppo sostenibile.

In riferimento all'impatto ambientale di diversi prodotti, è stato inserito un emendamento a mia prima firma - e di cui, quindi, sono particolarmente contenta -, che ha come obiettivo quello di sostenere l'economia circolare. L'economia circolare rappresenta, insieme alla transizione energetica, il pilastro fondamentale del Green Deal europeo, tanto è vero che il PNRR ha tra i suoi obiettivi l'adozione, entro il 2022, della Strategia nazionale per l'economia circolare. Nelle linee guida programmatiche di questa Strategia, pubblicate dal Ministero della Transizione ecologica lo scorso settembre, si prevedono incentivi fiscali a sostegno delle attività di riciclo e di utilizzo di materie prime secondarie. La transizione energetica e l'economia circolare possono essere, infatti, anzi devono essere un'occasione importante di sviluppo e, quindi, di occupazione per il nostro Paese, che, come è noto, è privo di materie prime, ma ha una elevatissima capacità nel trasformare queste materie prime, tant'è vero che siamo la seconda manifattura in Europa. Trasformando queste materie prime, siamo in grado di produrre ricchezza e quindi è molto importante che la leva fiscale sostenga e acceleri lo sviluppo sostenibile nell'interesse del Paese, soprattutto in una situazione geopolitica e di crisi economica che stiamo vivendo con l'incremento dei costi dei prodotti energetici e delle materie prime.

L'articolo 6, che è stato riformulato in sede emendativa, prevede la riforma del catasto con la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili attraverso l'ausilio delle più aggiornate tecnologie digitali, nonché l'aggiornamento delle rendite fondiarie che sono ferme da decenni, per stabilire un principio di equità e di parità di trattamento alle medesime condizioni, dal momento che ci sono molti casi di rendite fondiarie più alte in immobili che si trovano in zone periferiche, rispetto a quelli collocati nelle zone centrali. Naturalmente il tutto - come è stato già ribadito - senza conseguenze e senza oneri dal punto di vista fiscale. E poi, naturalmente, c'è tutto il tema degli immobili fantasma, ovvero degli immobili che non sono accatastati e che sono stimati dall'Agenzia delle entrate in più di un milione, oltre che degli immobili che sono accatastati in maniera difforme dalla realtà, dal punto di vista della loro consistenza, piuttosto che della destinazione d'uso.

L'articolo 7 riguarda la revisione delle addizionali comunali e regionali, e prevede la sostituzione dell'addizionale regionale comunale con una sovraimposta sull'Irpef, in modo da consentire una maggiore flessibilità e manovrabilità agli enti locali. Naturalmente, ciò deve garantire - questo è un emendamento inserito dal Partito Democratico e da altre forze politiche - lo stesso incremento di gettito ora garantito dall'applicazione del livello massimo dell'addizionale Irpef. Un altro emendamento molto interessante introduce la possibilità di prevedere la revisione dell'attuale riparto tra lo Stato e i comuni relativamente al gettito dei tributi degli immobili «D», cioè destinati ad uso produttivo.

Un'ultima considerazione sull'articolo 8, che riguarda la revisione del sistema nazionale della riscossione. I due elementi fondamentali sono l'accorpamento delle attività di riscossione in seno all'Agenzia delle entrate, quindi superando l'attuale modello duale, e l'uso delle nuove tecnologie digitali, con particolare riferimento all'interoperabilità delle banche dati, oltre che, naturalmente, l'orientamento delle attività di riscossione verso obiettivi di risultato. Ricordo che il nostro magazzino fiscale ammonta a oltre 1.000 miliardi, con una capacità di riscossione di circa 8,5 miliardi all'anno, che è molto scarsa rispetto agli altri Paesi europei.

In conclusione, tra i principi fondamentali contenuti nella legge delega per la riforma fiscale, sottolineo, in particolare: la forte semplificazione, anche con l'ausilio di nuove tecnologie, che garantiscono maggior trasparenza e facilitano la vita a cittadini e imprese, continuando un percorso avviato nella precedente legislatura con l'introduzione della dichiarazione dei redditi precompilata e della fatturazione elettronica; la riduzione delle tasse e, quindi, delle aliquote fiscali, a partire dai redditi medio-bassi, per sostenere il potere d'acquisto del ceto medio e per incentivare l'occupazione femminile; il rafforzamento dell'autonomia tributaria degli enti locali, che, durante il periodo della pandemia, hanno dimostrato la loro capacità nel sostenere famiglie e imprese in difficoltà (questo, quindi, in attuazione del concetto del federalismo fiscale); l'utilizzo della leva fiscale per accelerare la transizione energetica e l'economia circolare, che sono i presupposti necessari per la riduzione delle emissioni climalteranti e per lo sviluppo sostenibile.

Si poteva fare di più? Certamente, si può sempre fare meglio, ma, stante le condizioni date dall'attuale composizione della maggioranza, come Partito Democratico esprimiamo la nostra soddisfazione per il risultato raggiunto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli assistenti dei parlamentari coreani e gli studenti dell'Università di Illinois, Springfield, che assistono ai nostri lavori. Benvenuti (Applausi).

È iscritta a parlare la deputata Albano. Ne ha facoltà.

LUCIA ALBANO (FDI). Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, colleghi, inizia oggi l'esame in Aula della legge delega al Governo per la riforma fiscale: una definizione altisonante per una legge che di riforma, secondo noi di Fratelli d'Italia, ha solo il nome. Ma veniamo a un breve excursus della legge che abbiamo vissuto in questi mesi.

Il momento storico che stiamo vivendo appare senza dubbio caratterizzato da una rinnovata attenzione nei confronti dei temi della fiscalità e non esiste, come ricordato, tema più politico del fisco. E così, dall'11 novembre 2020, la VI Commissione (Finanze) della Camera e la VI Commissione (Finanze e tesoro) del Senato hanno deliberato una vasta indagine conoscitiva preordinata alla riforma fiscale, dapprima volta alla sola Irpef e, successivamente, anche per il l'intero sistema. Quindi, un'indagine sulle persone fisiche e sugli altri aspetti del sistema tributario, finalizzata a raccogliere le proposte dei diversi portatori di interessi ed approfondire le principali questioni aperte.

L'indagine conoscitiva si è sviluppata nell'arco di sei mesi, con oltre 60 audizioni, tra gennaio e giugno 2021 e, al termine del ciclo delle audizioni, le Commissioni hanno approvato, con il solo voto contrario di Fratelli d'Italia, lo scorso 30 giugno - quindi, circa un anno fa -, il documento conclusivo dell'indagine contenente i principi ispiratori del disegno di legge delega, documento che faceva registrare, con riferimento agli obiettivi relativi alla crescita, alla certezza del diritto e alla semplificazione, principi declinati in maniera del tutto generica, così come generici risultano gli strumenti con cui tali obiettivi si intende siano perseguiti; la genericità del documento non permetteva di fornire precisi indirizzi al Governo, al fine della redazione e della predisposizione della legge delega in materia. La genericità, quindi, è il frutto di un difficile compromesso, quando e dove raggiunto e qualora raggiunto, e di distanze per noi insormontabili tra le diverse forze, presta il fianco alla libertà, notevole libertà di azione da parte del Governo, di fatto, eludendo la possibilità per il Parlamento di esercitare appieno il proprio ruolo di indirizzo nel giocare una partita così importante. Da ultimo, nel documento prodromico, così come nella legge delega, manca un chiaro riferimento alla volontà di riduzione generalizzata della tassazione. Questi, in breve, i motivi per la non condivisione del documento finale. Quindi, il 30 giugno dello scorso anno - l'approvazione del documento - si era in attesa, per il 31 luglio, della legge delega, di cui discutiamo, in realtà, solo oggi. Dopo vari rinvii, dovuti principalmente a diversi nodi da sciogliere e alle divergenze delle forze politiche di maggioranza, alla fine, lo scorso 5 ottobre, il Consiglio dei Ministri ha licenziato il disegno di legge delega da esercitarsi con l'emanazione di singoli decreti attuativi entro 18 mesi dall'entrata in vigore della legge. Il tema fisco è centrale nel dibattito politico nazionale. È noto che il Piano nazionale di ripresa e resilienza indica la riforma fiscale tra le azioni chiave per dare risposte alle debolezze strutturali del Paese e, in tale senso, è parte integrante della ripresa che si intende innescare anche grazie alle risorse europee e auspica, quindi, una rapida riforma fiscale per l'Italia. Ma veniamo all'analisi del provvedimento. Il disegno di legge delega, come abbiamo già ascoltato questa mattina dal relatore e dalla collega, è composto di 10 articoli e definisce la cornice generale degli interventi della possibile, futura riforma, in attesa dei successivi decreti legislativi che andranno in attuazione.

L'articolo 1 del disegno di legge, nel fissare le regole d'ingaggio della riforma fiscale, ossia gli aspetti procedurali di approvazione dei successivi decreti, individua alcuni obiettivi fondamentali, che sono: la crescita dell'economia, la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, la riduzione dell'evasione e dell'elusione fiscale. Come già ricordato, sin dall'incipit manca, però, qualsivoglia riferimento alla volontà politica di riduzione generalizzata delle tasse. Questi criteri generali, certamente condivisibili, così come nel documento prodromico, risultano essere piuttosto vaghi, con il conseguente rischio che l'emanazione dei successivi decreti sarà un mero atto del Governo, con poche possibilità di arrivare a riforme sostanziali. A tutto ciò, si aggiunge un altro punto: non è ancora stato sbrogliato il nodo delle risorse totali che saranno dedicate alla riforma fiscale. Non sembra un tema da poco.

La composizione anomala della maggioranza ha prodotto 467 emendamenti, l'esame dei quali, durato diversi mesi, ha fatto registrare in Commissione - è vero - momenti anche piuttosto burrascosi. Da sottolineare, però, nella discussione per giungere all'approvazione in Commissione, in particolare, una ritrovata unità del centrodestra, che si è concentrato su alcune proposte comuni che ha difeso, con alterne fortune, durante tutto il periodo di esame del provvedimento, che si è rivelato, come dicevo, tumultuoso. Fra queste, la richiesta di cancellare tout court la riforma del catasto, di aumentare la soglia dei ricavi e compensi a cui applicare la mini flat tax, la divisione degli acconti Irpef (quindi la dilazione degli acconti Irpef), l'elevazione dello statuto del contribuente al rango costituzionale. Devo dire che questi temi sono stati difesi fino in fondo solo da Fratelli d'Italia e, in questo, mi preme sottolineare, quindi, il contributo fattivo, costruttivo di un'opposizione che ha voluto sostenere i temi cari a tutto il centrodestra.

Soddisfazione per il lavoro svolto da Fratelli d'Italia. Vediamo solo alcuni emendamenti che sono stati arricchiti dal lavoro che è stato portato da questa opposizione. Intanto, la semplificazione di adempimenti, quindi, non solo razionalizzare e semplificare il sistema tributario, con riferimento agli adempimenti tanto dichiarativi che di versamento. Inoltre, estendere la possibilità di ottemperare agli adempimenti tributari in via telematica, ma con il divieto di richiedere documenti già in possesso delle amministrazioni pubbliche, per snellire e velocizzare l'operato del contribuente ed evitare costi ulteriori (semplificazione e snellimento delle procedure).

È inoltre necessario certamente preservare la progressività del sistema tributario ma anche - ed è un emendamento che Fratelli d'Italia ha presentato - garantire il principio del rispetto dell'equità orizzontale. Per noi è importante, perché, sottosegretario, un sistema fiscale - e ce lo ha ricordato anche il presidente Marattin - che, a parità di reddito, distingua tra persone e la loro fonte di reddito, cioè tra lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti, pensionati e titolari di patrimoni, è semplicemente ingiusto, perché è contrario al buonsenso e perché è contrario ai precetti costituzionali di eguaglianza e capacità contributiva. L'avere introdotto quindi questo principio è fonte di soddisfazione, quindi il principio dell'equità orizzontale del prelievo è una delle priorità della prossima riforma fiscale per Fratelli d'Italia.

Colgo l'occasione per dire che Fratelli d'Italia, in una visione comune al centrodestra, pone nella flat tax, e lo ha fatto in questo provvedimento con l'emendamento Meloni, la possibilità di creare uno shock fiscale che possa fornire uno scossone al sistema tributario, che possa fungere da stimolo alla produzione di ricchezza attraverso un prelievo che sia il più possibile uniforme, tanto più nel momento storico che stiamo vivendo, per far tornare ad essere il nostro sistema produttivo italiano competitivo nel mondo. A tale proposito ricordo che il 7 giugno è scattato, pochi giorni fa quindi, il Tax Freedom Day, la soglia indicata che individua quanti giorni il contribuente in media in Italia deve lavorare per pagare tutte le tasse, e quindi finisce di lavorare per pagare tutte le tasse, finisce di lavorare per lo Stato, e inizia a lavorare per la propria attività. Sono 157 giorni, inclusi i sabati e le domeniche. Questo calcolo della CGIA di Mestre è chiaramente un puro esercizio teorico, ma sicuramente rende l'idea.

Chiediamo, tra l'altro, l'immediata riduzione del cuneo fiscale, che deve essere, proprio nel principio della riduzione del carico fiscale, generalizzato e complessivo, così come la cospicua revisione del sistema delle tax expenditures, che può essere una risposta a una logica di semplificazione del sistema e del reperimento di coperture. Nella linea della flat tax è il nostro emendamento, perlomeno quello relativo all'aliquota flat sui redditi incrementali. Chiaramente, questi emendamenti sono stati respinti. La flat tax sui redditi incrementali è quella che cerca di stimolare una maggiore emersione di materia imponibile, oltreché orientata alla crescita anch'essa del sistema economico, cioè tassiamo il reddito incrementale in maniera proporzionale, quindi con un'aliquota fissa.

Parliamo ora delle sanzioni: c'è un emendamento che è stato presentato anche da Fratelli d'Italia, assorbito e quindi approvato, che definisce il principio di gradualità e proporzionalità rispetto alla gravità delle violazioni commesse, con particolare attenzione alle violazioni formali o meramente formali, sempre nell'ottica della semplificazione, perché ricordiamo che anche l'apparato sanzionatorio dovrebbe essere sottoposto ad un'accurata revisione. Si raccolgono sollecitazioni provenienti dalla giurisprudenza e occorrerebbe assicurare che la materia sanzionatoria sia improntata al rispetto del superiore principio di proporzionalità, con rimodulazione delle disposizioni che prevedono la perseguibilità delle violazioni.

Un tema da affrontare in occasione della riforma fiscale, anche alla luce di una recente risposta resa dall'Agenzia delle entrate nel corso di un Telefisco del 15 giugno, proprio recentemente, è quello delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie, soprattutto con riferimento al comparto IVA. Notoriamente gli uffici dell'amministrazione, nell'ambito degli accertamenti IVA, irrogano una duplice sanzione, infedele dichiarazione e omesso versamento, con un evidente eccesso punitivo a carico del contribuente, che si troverà esposto ad un rischio sanzionatorio addirittura maggiore rispetto all'imposta dichiarata e non versata. Si tratta di una tematica specialistica, ma, a ben vedere, la riforma fiscale, in un'ottica di potenziamento della compliance tra fisco e contribuente, non può non intervenire anche su tale aspetto. Il sistema sanzionatorio ha un ruolo rilevante anche in relazione agli strumenti deflattivi di contenzioso, il cui efficace funzionamento è spesso alterato o compromesso proprio da previsioni sanzionatorie contraddittorie.

Da ultimo, sarebbe anche necessario - lo segnalo - ridefinire i rapporti tra la sfera amministrativa e quella penale, e in definitiva andrebbe ridisegnato il perimetro di applicazione delle sanzioni penali e di quelle amministrative, soprattutto per la pretesa tributaria, mediante istituti deflattivi, ad esempio in adesione o in conciliazione giudiziale, soprattutto quando queste sono al di sotto delle soglie penalmente rilevanti. Altro punto che è stato inserito, il particolare riguardo alla tutela del bene casa, con salvaguardia degli incentivi a più alta valenza sociale. Si tratterà poi di capire quali saranno le scelte del Governo, su cui peserà anche la prossima approvazione della direttiva UE sulle prestazioni energetiche dell'edilizia: se ci sarà l'obbligo di adeguamento, bisognerà capire di chi sarà a carico.

Esprimiamo soddisfazione anche per l'accoglimento, come già detto, delle proposte di superamento del sistema di due acconti annuali, prevedendo un'equa distribuzione del carico fiscale nel corso del tempo e la mensilizzazione degli acconti dei saldi, con la riduzione della ritenuta d'acconto, senza maggiori oneri per le finanze pubbliche.

Alcuni miglioramenti ancora sono stati introdotti grazie a Fratelli d'Italia. In particolare, sottolineo un emendamento, a mia prima firma, che prevede il rafforzamento dell'agognato processo nella redazione del bilancio, anche citato prima dal presidente, di avvicinamento tra i valori civilistici e fiscali, con particolare attenzione non solo alla disciplina degli ammortamenti, che era già sottolineata, ma anche alla revisione dei costi parzialmente e totalmente indeducibili, come, ad esempio, quelli relativi alle auto aziendali. Accolto anche un importante emendamento che riguarda l'IRAP, con priorità per le società di persone. Questo emendamento ha la priorità per le categorie per le quali dovrà essere abolita l'IRAP, società di persone, studi associati e società di professionisti, con una spinta all'aggregazione di studi professionali ed attività che ben conosciamo.

Ma come possiamo valutare gli interventi descritti finora, pur nella loro importanza? Non apportano un cambiamento determinante nel nostro sistema fiscale. Allora che cosa prevede la legge delega di nuovo ed innovativo? Parliamo di incrocio dei dati per la fatturazione elettronica e di ricorso alla tecnologia digitale per il contrasto all'evasione. Sì, perché la legge ha come grande protagonista la tecnologia digitale e il suo potenziamento in ambito fiscale. Gli emendamenti in questione per la maggior parte hanno la firma del MoVimento 5 Stelle e danno la possibilità all'Agenzia delle entrate di ottenere e usare tutti i dati, anche quelli non fiscali, presenti sulla fattura elettronica. Ricordiamo che questo uso indiscriminato era già stato bloccato in passato dal Garante della privacy, che impose solo l'uso dei dati fiscali. Qui si parla anche di introdurre l'intelligenza artificiale, nuova tecnologia, nel pieno utilizzo dei dati che affluiscono al sistema informativo dell'analisi tributaria per il potenziamento dell'analisi del rischio e la possibilità di incrocio delle banche dati per combattere l'evasione fiscale. Insomma, l'amministrazione finanziaria, sia chiaro, avrà a disposizione tutte le informazioni che vuole per dare vita a un vero e proprio Grande Fratello fiscale digitale.

Fratelli d'Italia non è contro l'analisi del dato e l'utilizzo del dato per perseguire scopi di lotta all'evasione e all'elusione fiscale, questo sia chiarissimo; teme, però, che nell'immensa mole dei dati degli italiani possa nascondersi una lesione delle informazioni private e personali del cittadino, che può rischiare di subire ripercussioni anche pesanti. Io stessa al Governo ho presentato un'interrogazione che, pur nel comprendere l'importanza della lotta all'evasione, sottolinea che tutto questo non può avvenire a danno dei dati sensibili dei cittadini, perché l'Esecutivo nella lotta all'evasione fiscale dimentica spesso di proteggere la privacy dei cittadini, e Fratelli d'Italia di questo terrà costantemente conto e vigilerà. È chiaro e va da sé che abbiamo inserito la salvaguardia dei dati personali ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio.

A proposito di Agenzia delle entrate e riprendendo il tema delle sanzioni, non posso non citare il recente messaggio che proprio dal direttore della suddetta Agenzia è passato, ossia che in Italia ci sono 19 milioni di evasori fiscali, ovvero sarebbero un terzo della popolazione totale e, guarda caso, la metà esatta di quella che lavora. Se così fosse, sarebbe veramente un grande fallimento della stessa Agenzia.

Invece, dobbiamo ricordare, sebbene ci sia stata anche qualche deviazione giornalistica, che però sono 19 milioni le persone che hanno ricevuto cartelle esattoriali e che non hanno pagato una multa, negli anni passati. Non averla pagata non significa aver evaso il fisco, anzi, se hai la cartella evidentemente hai dichiarato (non hai eventualmente pagato o potuto pagare). Quindi, dipingere gli italiani sempre come un popolo di evasori è inaccettabile, perché gli italiani onesti che lavorano e che pagano le tasse sono la stragrande maggioranza e devono essere anch'essi tutelati, ma, anche volendo, vorrei sottolineare che molti non riescono a pagare. Come ricordato in precedenza, ci sono 1.100 miliardi di importi di cartelle esattoriali nel magazzino dell'Agenzia delle entrate e recentemente è ripartita la corsa delle cartelle esattoriali. Stanno arrivando in questi giorni gli avvisi di intimazione al pagamento con i quali vengono concessi 5 giorni di tempo per adempiere, pena l'avvio delle azioni di recupero coattivo del debito (pignoramenti, pignoramenti immobiliari, pignoramenti presso terzi e pignoramenti sui conti correnti).

È chiaro che è necessario agire per una ristrutturazione del debito complessivo degli italiani, fiscale e contributivo, che consenta, da un lato, ai contribuenti di poter onorare i propri debiti, con scadenze che siano sostenibili, specie in un momento in cui la crisi, il caro energia e l'inflazione aumentano a dismisura, e, dall'altro, allo Stato di avere una maggiore certezza dell'incasso, mediante una procedura conciliativa e meno costosa rispetto alla riscossione coattiva. Invece di parlare di evasione fiscale e di lavori forzati, un fisco più equo dovrebbe avanzare proposte per denunciare l'elusione delle multinazionali e le tasse ridicole che pagano i colossi del web - e lo sappiamo - e più che citare, dunque, i lavori forzati sarebbe opportuno parlare di lavoro e basta, perché è quello che serve alla Nazione.

Altro tema è la flat tax che è stata approvata, e definita dal MoVimento 5 Stelle easy tax e dalla Lega mini flat tax - insomma, è stata definita e guardata con occhi diversi - e prevede lo scivolo di due anni per coloro che superano i 65 mila euro. I dettagli verranno decisi con successivi decreti. Si avrà più tempo per essere catapultati - per i forfetari che già usufruiscono della mini flat tax - al regime ordinario di tassazione, ma è vero che anche su questo si sceglie un compromesso: non una riforma, ma una norma transitoria per sostenere un compromesso al ribasso non incisivo, né risolutivo.

Anche in questa legge delega la famiglia è la grande assente. Non posso - e lo sa il presidente Marattin - non prevedere un passaggio in questa discussione sulla bocciatura degli emendamenti a firma mia e della collega Ferro, sulla riduzione della pressione fiscale ottenibile introducendo un correttivo che adegui la tassazione in relazione alla composizione del nucleo familiare. Potrebbe essere rappresentato da un sistema che tenga conto, appunto, della composizione del nucleo, ovvero una no tax area rapportata ai costi per la crescita dei figli, dalla loro nascita fino al completamento degli studi o della formazione. La scelta del modello impositivo sotteso a questa legge delega è quello individuale. Noi abbiamo, invece, una visione diversa, in cui riteniamo fondamentale - la nostra è una posizione nota, di valorizzazione del quoziente familiare - la famiglia e introdurre una tassazione su base familiare, sempre con le opportune tutele e incentivi rispetto al secondo percettore del reddito. Il quoziente familiare - come già esiste, in Francia o un modello diverso, come in Germania - servirebbe per combattere l'inverno demografico che, come sappiamo, attanaglia la nostra Italia.

Fratelli d'Italia, pur apprezzando lo sforzo da parte della maggioranza di accogliere alcune nostre proposte volte alla tutela del contribuente, è certa, però, che questa riforma sarà ricordata quasi esclusivamente per l'articolo 6: la questione relativa alla riforma del catasto. Il Governo ha ritenuto di fare una forzatura su una legge delega che ha letteralmente tralasciato tutto il tema della fiscalità, per rendere dirimente - e la parola dirimente intendo sottolinearla - un aspetto importante, ma non centrale, né l'unico, della riforma fiscale, ossia il catasto, su cui si è concentrato tutto il dibattito, fino a interrompere – come ben sappiamo - l'analisi del testo. Questa potrebbe essere – anzi, lo è certamente - l'unica vera novità della presente riforma.

Il testo approvato ha messo d'accordo tutta la maggioranza di Governo e le diverse forze politiche hanno sottolineato come non ci saranno nuovi aumenti sulle tasse e sulla casa dal 2026. Fratelli d'Italia sull'articolo 6, come dichiarato in Commissione dal nostro capogruppo Osnato, ha seri dubbi e li ha ancora, forse più di prima dell'approvazione dell'emendamento del relatore presentato qualche giorno fa in Commissione. Sì, perché si prevede un criterio reddituale, derivando il reddito dal valore e con il pericoloso inserimento di una non meglio precisata consultazione della banca dati OMI, che è l'Osservatorio sul mercato immobiliare dell'Agenzia delle entrate, una banca dati che contiene, secondo quanto dichiarato dalla stessa Agenzia, indicazioni di valore di larga massima su compravendite e locazioni, che nulla hanno a che vedere con il catasto. Abbiamo provato, sino all'ultimo, ad abrogare il comma 2 dell'articolo 6, con subemendamenti all'emendamento del relatore, ma è stato evidente che Palazzo Chigi ha preteso che la delega comprendesse anche tale revisione, insistendo nella forzatura compiuta già all'atto della presentazione del disegno di legge, il cui contenuto - vorrei sottolinearlo - è in contrasto con la volontà espressa dal Parlamento nel mese di giugno 2021, perché in quel momento non vi era l'inclusione della parte sul catasto.

Le volontà del Presidente Draghi e dell'Unione europea sono accontentate. Sì, perché, come ha voluto ricordarci la presidente Meloni qualche giorno fa, nelle sue raccomandazioni all'Italia, la Commissione europea conferma che la riforma del catasto, prevista dal Governo Draghi nella delega fiscale, serve ad aumentare la pressione fiscale sugli immobili, ed è inequivocabile quanto detto dal Commissario dell'Unione europea all'economia, Gentiloni: “Nelle nostre raccomandazioni chiediamo di aggiornare i valori catastali agli attuali valori di mercato”. È la prova di quello che Fratelli d'Italia sostiene da tempo, ossia che l'obiettivo del PD e della sinistra è aumentare le tasse sulla casa. Noi l'abbiamo denunciato, documenti alla mano, fin dall'inizio. L'abbiamo detto chiaramente, ma non siamo stati creduti e, anzi, siamo stati accusati di dire falsità. Noi avevamo ragione e quello che ha detto anche Bruxelles - qualche giorno fa, il 23 maggio - ne è la conferma. Quindi, catasto riformato - e mi avvio alle conclusioni -, non esplicita volontà nella riduzione generalizzata delle imposte fiscali e, nel frattempo, scadenze continue, nuove dichiarazioni, dichiarazioni per gli aiuti e nuove incombenze. Oserei dire, insomma: alla faccia della semplificazione.

Pensare a una riforma fiscale, sebbene richiesta dall'Europa per i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per di più a fine legislatura e sotto forma di delega al Governo, con una maggioranza così eterogenea e mal assortita, non solo è contro ogni logica, ma risulta anche pericoloso. Com'era generico, infatti, il documento scaturito dall'indagine conoscitiva, così è vago l'articolato della legge oggi all'esame dell'Aula, e i rischi di un'azione del Governo che si espliciterà attraverso i decreti delegati, di fatto privi di un controllo parlamentare, come dicevo all'inizio, con una tale maggioranza, sono dietro l'angolo.

Un'occasione persa, dunque, questa? Sì, sicuramente sì. Molti italiani l'aspettavano e l'aspettavano con fiducia.

Fratelli d'Italia continuerà la sua battaglia in Parlamento e in ogni sede. Con questo ringrazio il lavoro svolto in Commissione dai colleghi, il capogruppo Marco Osnato e il collega Galeazzo Bignami. Abbiamo lavorato per lungo tempo, con compattezza e con linearità, in un clima di collaborazione e anche, a volte, di scontro politico, che era assolutamente comprensibile. Dunque, Fratelli d'Italia continuerà la sua battaglia, in Parlamento e in ogni altra sede, come dicevo, per sventare questo ennesimo tentativo - mal celato, devo dire - non solo di non ridurre drasticamente le tasse, ma di aumentarle.

Siamo a fine legislatura e, prima o poi, si andrà al voto. Allora, la visione chiara di un Governo - ci auguriamo possa essere di altro colore, chiaramente un Governo di centrodestra - potrà imprimere un cambiamento al nostro sistema economico, produttivo, sociale e redistributivo. Fratelli d'Italia continua a lavorare per questo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Silvia Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (IV). Grazie, signora Presidente. Rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il sistema fiscale italiano è, a detta di tutti, esoso e insufficiente. La pressione fiscale è molto elevata, attestandosi a circa il 45 per cento sui redditi, ma il dato aggregato non fornisce il quadro esatto della dannosità del sistema fiscale, che dipende anche da altri fattori, quali la sua complessità.

L'Italia ha peculiarità che la posizionano al numero uno, ma è un primato non invidiabile: è prima, ad esempio, per la tassazione sul lavoro ed è ai primi posti per la tassazione sulle imprese; il cuneo fiscale è superiore di 11/13 punti sulla media OCSE. Il sistema fiscale italiano è anche descritto come macchinoso, richiedendo alle imprese un numero di adempimenti fiscali e ore/uomo impiegate molto sopra la media dei Paesi sviluppati. Questi costi si sommano al già enorme carico fiscale che incide ulteriormente sulla competitività delle imprese e sulla capacità del Paese di attrarre investimenti e crescere. L'Italia ha una tassazione per capitale abbondantemente sopra la media, per l'Eurostat, ai primi posti in Europa, e per la Banca mondiale si piazza al primo posto tra i Paesi industrializzati.

Da questa breve introduzione, si rileva l'importanza del disegno di legge delega per la revisione fiscale: una riforma richiesta dal cambiamento che, in questi anni, si è compiuto, dal modo di produrre al modo di vendere, attraverso piattaforme online, alle nuove tecnologie che richiedono un cambiamento radicale su come si fa tassazione.

Nel corso dell'esame in Commissione, sono state apportate modifiche; il disegno di legge si è basato sui seguenti principi cardine: lo stimolo della crescita economica, la razionalizzazione e semplificazione del sistema, la progressività del sistema e il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

L'articolo 1 del disegno di legge delega al Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale, fissando anzitutto principi e criteri direttivi generali, cui deve attenersi la stessa revisione. Si tratta, oltre che dei principi di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione e del diritto dell'Unione europea, dei seguenti principi e criteri direttivi integrati ed emendati nel corso dell'esame in sede referente: stimolare la crescita economica attraverso l'aumento dell'efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui redditi derivanti dall'impiego dei fattori di produzione; razionalizzare e semplificare il sistema tributario, anche con riferimento agli adempimenti dichiarativi e di versamento a carico dei contribuenti, al fine di ridurre i costi di adempimento, di gestione e di amministrazione del sistema fiscale; preservare la progressività del sistema tributario e garantire il rispetto del principio di equità orizzontale; ridurre l'evasione e l'elusione fiscale, anche attraverso la piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell'anagrafe tributaria, il potenziamento dell'analisi del rischio, il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale, ferma restante la salvaguardia dei dati personali; garantire il rispetto dell'autonomia tributaria agli enti territoriali; razionalizzare le sanzioni amministrative, garantendone la gradualità e la proporzionalità rispetto alla gravità delle violazioni commesse.

L'articolo 2 reca i principi e i criteri direttivi concernenti la revisione del sistema di imposizione personale sui redditi. Nel corso dell'esame in Commissione, è stato disposto che, nell'esercizio della delega, sia effettuata una progressiva revisione del trattamento fiscale, aumentando il grado di neutralità fiscale e prevedendo, ordinariamente, l'applicazione di un prelievo proporzionale e regimi cedolari a redditi da capitale, nonché distinguendo tra redditi da capitale mobiliare e immobiliare; venga mantenuto il cosiddetto regime forfettario, con la previsione del regime agevolato di uscita dal medesimo, applicabile per il secondo periodo d'imposta. Resta fermo che la revisione di imposta debba avvenire nel rispetto della progressività e che detta riforma preveda la riduzione graduale delle aliquote medie effettive, ma, come specificato in sede referente, ciò deve avvenire a partire da quelle relative ai redditi medio-bassi, fermo restando, inoltre, il riordino delle deduzioni e delle detrazioni vigenti.

L'articolo 3 reca i principi e i criteri direttivi specifici concernenti la revisione dell'IRES e della tassazione del reddito d'impresa, facendo particolarmente riferimento alla semplificazione e razionalizzazione della tassazione del reddito d'impresa, finalizzate alla riduzione degli adempimenti amministrativi a carico dell'impresa.

L'articolo 4 reca i principi e i criteri direttivi specifici concernenti la razionalizzazione dell'imposta sul valore aggiunto, IVA, e delle imposizioni dirette sulla produzione e sui consumi, accise, facendo particolare riferimento alla razionalizzazione della struttura dell'IVA, allo scopo di semplificarne la gestione e l'applicazione, nonché di contrastare l'evasione fiscale e aumentare l'efficienza del sistema impositivo. Una sottolineatura particolare va fatta sull'impatto ambientale di diversi prodotti soggetti ad accisa, con l'obiettivo di riduzione progressiva delle emissioni di gas climalteranti ed una promozione dell'utilizzo delle fonti energetiche alternative.

L'articolo 5, nell'ambito della revisione della tassazione personale sul reddito e dell'imposizione sul reddito d'impresa, delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi volti al superamento dell'IRAP, imposta regionale sulle attività produttive, garantendo, in ogni caso, il finanziamento del fabbisogno sanitario.

Passo prima all'esame dell'articolo 7, che contiene i principi e i criteri direttivi che servono a guidare il Governo nella riforma della fiscalità locale, nella componente sia personale, sia immobiliare.

Da ultimo, tratto dell'articolo 6 della delega, che pare essere stato l'articolo più citato negli organi di informazione, ossia la norma sul catasto. Sappiamo tutti come, in Italia, la casa sia un elemento di ricchezza delle famiglie e, pertanto, qualsiasi riforma viene considerata molto sensibile; ci fu addirittura una polemica, quando, sotto il Governo Renzi, fu abolita l'IMU per la prima casa. Oggi, si parla di aggiornamento del catasto, prevedendo nuovi strumenti da porre a disposizione dei comuni e dell'Agenzia delle entrate. La norma indica i principi e i criteri utilizzati per l'integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati da rendere disponibili a decorrere dal 1° gennaio 2026. Tali informazioni non dovranno essere utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi derivanti dalle risultanze catastali, né, conseguentemente, a seguito di una modifica introdotta in sede referente, per la determinazione di agevolazioni e benefici sociali. Per unità immobiliari riconosciute di interesse storico e artistico, sono, inoltre, introdotte adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario, considerati i più gravosi oneri di manutenzione e conservazione.

Concludo, ringraziando il presidente Marattin per la determinazione con la quale ha voluto portare a termine l'approvazione di questo importante provvedimento. Con questa riforma, l'Italia cerca di rendere più giusto e facile pagare le tasse nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Raffaele Trano. Ne ha facoltà.

RAFFAELE TRANO (MISTO-A). Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, a dire il vero, noi da questa legge delega ci aspettavamo molto di più, perché doveva rimettere in ordine un sistema tributario devastato da decenni di interventi episodici e scoordinati, che dovevano recuperare gettito e tappare le falle più vistose.

Dopo diversi mesi, nei quali la Commissione finanze ha svolto questa indagine, questa ricerca, questo studio per capire quali fossero le falle e le problematiche che accompagnavano il nostro sistema tributario, intervistando e avendo a disposizione cultori della materia, autorevoli esponenti del sistema fiscale e tributario italiano (che, tra l'altro, ci hanno fornito molti spunti, suggerimenti preziosi e indicazioni su come migliorare il fisco italiano), devo dire che i risultati di questa legge delega sono fortemente deludenti. Infatti, credo che siamo distanti anni luce rispetto alla riforma tributaria degli anni Settanta, che era stata preparata precedentemente con anni e anni di studio, ma, soprattutto, per la quale erano state stanziate risorse importanti. Quindi, possiamo senz'altro affermare che la montagna ha partorito il solito topolino o, per dirla meglio, questa è una riforma che serve esclusivamente a Draghi per portare avanti il Piano nazionale di ripresa e resilienza; quindi, è un pezzo del complesso mosaico del Recovery Fund, ma non serve proprio a nulla agli italiani.

Volendo fare una piccola disamina degli articoli di questa legge delega, sull'articolo 1, in base all'articolo riformulato dalla maggioranza in sede referente, si sostiene che, attraverso la riformulazione, si sia ottenuta, non solo una lotta all'evasione mediante le novità introdotte, ma anche una spinta alla semplificazione, che dovrebbe ridurre gli oneri di adempimento, con il via libera di un emendamento che prevede il rigoroso rispetto da parte del fisco del divieto di richiedere al contribuente documenti già in possesso delle amministrazioni pubbliche. Allora, qui, siamo al tragicomico, perché questa norma era stata già inserita nel “decreto Crescita” (correva l'anno 2019) ed era parte di quello che era stato fatto con la proposta di legge A.C. 1074​ sulle semplificazioni fiscali, confluita, appunto, all'interno di questo decreto, che è stato l'unico lavoro serio che la Commissione finanze ha svolto in questa legislatura.

Poi questa norma è stata interpretata e “smontata” da parte dell'Agenzia delle entrate, con una circolare, e grazie a noi di Alternativa, è stata riammessa, con la sua riproposizione all'interno di questa legge delega. Però, in questo momento dobbiamo fare una riflessione. Sorge spontanea una domanda: ma cosa farà, dopo, l'Agenzia delle entrate? Perché potrebbe commettere lo stesso “omicidio” che è stato compiuto con il precedente decreto. Adesso siamo tutti con i favori delle cronache, questa legge delega sarà bellissima, rivoluzionaria, ma poi, quando vi saranno i cosiddetti decreti attuativi, cosa succederà? L'Agenzia delle entrate presenterà la stessa circolare, quindi distruggerà nuovamente questa norma, che prevede il divieto, da parte del fisco, di richiedere al contribuente documenti già in possesso dell'Agenzia? Poi, un'altra riflessione è relativa al ruolo del Parlamento, o del “mini parlamento”. Il “mini parlamento” è l'Agenzia delle entrate, che fa il bello e il cattivo tempo, in barba alla volontà del legislatore; ecco perché avevamo presentato un emendamento, molto importante, che è stato snobbato, non è stato preso in considerazione dal Governo, relativo all'istituzione di una Authority di garanzia fiscale, con la funzione - tra le altre, la più importante - del rilascio del parere preventivo, con riferimento al rispetto dei principi dello Statuto del contribuente, alla produzione legislativa e governativa, quindi in fase di conversione dei decreti-legge; tra l'altro, prevedeva anche di garantire il rapporto tra il contribuente e l'autorità fiscale, mantenendolo all'interno di un perimetro governato dalla legge e dai provvedimenti amministrativi che ne costituiscono l'attuazione, prevenendo - attenzione a questo passaggio – “derive di valutazioni discrezionali che potessero rievocare l'esercizio dell'antico arbitro indiscriminato”. Questo è lo stato attuale. Il legislatore nazionale vara le leggi, poi arrivano le circolari dell'Agenzia delle entrate, che puntualmente le “smontano”, e, in base alle possibilità che ha l'Agenzia delle entrate, con il suo apparato, quest'ultima riesce, più o meno, a modulare le norme di carattere fiscale. Quindi, sarebbe stato importantissimo approvare l'emendamento che ho richiamato: voi avete bocciato una norma che sarebbe stata dirimente, che avrebbe dato senso a questa legge delega; invece, vi siete limitati a fare piccoli aggiustamenti, insignificanti, che non recheranno alcun beneficio, se non quello, come ho detto in precedenza, di aver fatto una riforma fiscale da annoverare tra i punti programmatici per ottenere e mantenere il Recovery Fund. Questo è il punto, con buona pace di tutte le norme che andavano a potenziare, a dare maggiori garanzie al contribuente, e in relazione alle quali, il rafforzamento dello Statuto non è stato minimamente, in alcun caso, valorizzato.

Poi, tra l'altro, non vi è nemmeno una diretta menzione della riduzione degli adempimenti; vorrei ricordare che solo nel mese di giugno, in base ai dati forniti dalla stessa Agenzia delle entrate, ci sono 141 scadenze, alle quali vanno aggiunti i tributi locali e gli adempimenti relativi agli aiuti COVID, e siamo solo sull'articolo 1.

Articolo 2: in base alla riformulazione, è consentito ai contribuenti, in particolare ai lavoratori autonomi, rateizzare mensilmente le imposte, senza oneri per la finanza pubblica. Attualmente è prevista la rateizzazione delle imposte; qualora il contribuente non versi le somme dovute, arrivano i cosiddetti avvisi bonari. Anche in questo caso il contribuente ha la possibilità di optare per un'ulteriore rateizzazione, pagando interessi e sanzioni. In questo caso, è alquanto difficile prevedere una rinuncia a un gettito, quello delle sanzioni e degli interessi; tra l'altro, avevamo presentato anche un'altra norma per mettere in ordine la parte delle sanzioni, che oggi sono molto sfalsate, tra loro. Sarebbe stato, quindi, molto più logico, all'interno delle modifiche apportate dalla maggioranza, inserire la seguente dicitura: “i lavoratori autonomi hanno la possibilità di usufruire di ulteriori rateizzazioni mensili senza il pagamento di sanzioni e interessi”. Così vi sarebbe stato un elemento di chiarezza e, soprattutto, si sarebbe aiutata una categoria che, in realtà, è sempre vituperata.

Ma andiamo avanti. Passiamo all'articolo 3, con riferimento al quale la maggioranza vorrebbe allineare i valori civilistici e quelli fiscali nell'ambito delle dichiarazioni IRES; è, inoltre, previsto un adeguamento alle variazioni in aumento e in diminuzione, sempre all'interno della dichiarazione di società di capitali. Su questi temi si dibatte ormai da diversi anni e, quindi, non sono state introdotte rilevanti novità, in merito. Anche in questo caso noi di Alternativa abbiamo presentato un emendamento molto chiaro, che poneva fine a queste ambiguità rispetto alla redazione del bilancio fiscale, per fare in modo che si avvicinasse quanto più possibile al bilancio civilistico. Lo avete respinto. Parimenti, è stata bocciata un'altra norma utile per il momento drammatico che stiamo vivendo oggi con l'escalation della guerra, con il post pandemia, quella sul carry back. Era una norma, secondo me, molto importante, che avrebbe aiutato tantissimo le aziende in difficoltà; oggi vi è il riporto delle perdite cosiddette carry forward, ossia esse vanno riportate l'anno successivo, mentre, con la norma che noi di Alternativa avevamo proposto, il carry back, le perdite sarebbero state liquidate, come credito da utilizzare immediatamente, in compensazione, ad esempio, di altre imposte e di altre tasse. È una norma presente in Francia, in Germania - addirittura anche l'Unione europea aveva auspicato l'utilizzo di questa norma -, ma non in Italia, dove la pressione fiscale è al 43,5 per cento, e tale deve rimanere. Anche questa è stata un'occasione persa.

Andiamo avanti: con riferimento agli articoli 4 e 5, non ci sono grandi novità. La questione dell'IRAP ormai è nota, nel senso che, da anni, si sostiene che questa imposta sulle attività produttive debba essere eliminata, tant'è che, per alcuni soggetti, come per i lavoratori autonomi che non hanno dipendenti, è stata già eliminata ma, in realtà, è stata già eliminata all'interno dei contenziosi tributari, da tempo. Quindi, questo è stato l'orientamento, perché poi, tra l'altro, l'IRAP è un'imposta che distrugge la crescita, poiché non tassa l'utile, ma il valore della produzione.

Con riferimento all'articolo 6, apriamo un capitolo assurdo, che ha visto impantanata la Commissione finanze per lunghi mesi, e vorrei ricordare la discussione, l'esame in Commissione finanze. Si è partiti direttamente dall'articolo 6, sulla riforma del catasto; ora, non posso non dimenticare l'iniziale minaccia, ben precisa, della sottosegretaria Guerra, che presiedeva quella Commissione: o passa la riforma così com'è, oppure ce ne andiamo tutti a casa. Così aveva detto, senza troppi fraintendimenti. A me dispiace - è stata un'occasione persa - perché veramente questo Governo poteva andare a casa, con buona pace di milioni di italiani però, in realtà, quella minaccia è servita per creare caos e scompiglio all'interno della maggioranza, che è rimasta per mesi a discutere; rispetto a questa legge delega, che per me è inutile, si è data importanza soltanto alla riforma del catasto, su cui i partiti di maggioranza si sono azzannati gli uni con gli altri, o, meglio, il centrodestra ha posto alcune rimostranze affinché non venisse tassata la casa. Poi la norma è stata riformulata, è arrivato l'emendamento 6.25, che dispone che comunque si farà l'accertamento e la ricognizione sugli immobili fantasma, abusivi, eccetera; viene previsto comunque il doppio valore, anche quello commerciale per ciascuna unità immobiliare; quindi ci sarà la rendita attuale, più una rendita potenziale e, nel 2026, il Governo di turno potrà fare una piccola legge e far entrare in vigore appunto le rendite parametrate ai valori commerciali. Significa che verranno tassate pesantemente le case degli italiani, con gravi effetti che, a mio avviso, saranno nefasti: se, infatti, la Commissione europea dice che, nelle nostre raccomandazioni, dobbiamo spostare la tassazione dalle persone alle cose, questo è un atto di aggressione nei confronti degli italiani, che sono tutti possessori di prime case.

E se pensiamo, Presidente, che noi abbiamo un enorme debito pubblico, che ha superato i 2.700 miliardi, ma abbiamo una grande ricchezza immobiliare e anche una grande ricchezza mobiliare - perché i valori nei nostri conti correnti sono cresciuti in questi anni inverosimilmente, ma sono cresciuti -, nel 2026, quando avremo finito il percorso del Recovery Fund, se si saranno fatte quelle opere e se il Paese sarà ripartito, ma anche se non sarà ripartito e se non ci sarà la crescita economica auspicata, l'unica possibilità che avrà il Governo di turno sarà quella di fare questo storno, di fare una compensazione della ricchezza degli italiani con i debiti che verranno a crearsi, sia in ordine al Recovery Fund, sia con riguardo al debito pubblico italiano. Queste saranno le conseguenze nefaste dal 2026 in poi. Per questo, è importante che noi diciamo e facciamo presente oggi, che è il 2022, quello che avverrà tra quattro anni, perché i piani sono ben chiari e la responsabilità di tutto questo ve la state incollando voi, voi «Governo dei migliori», voi maggioranza scapestrata, che state dando spazio e soprattutto state portando avanti le misure che distruggeranno definitivamente questo Paese nel 2026.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Antonio Martino. Ne ha facoltà.

ANTONIO MARTINO (FI). Grazie, Presidente. Per rendere chiaro, una volta per tutte, l'approccio con il quale Forza Italia si accosta a questo disegno di legge delega sulla riforma fiscale, un testo che riveste un'enorme importanza per il futuro dei cittadini e delle imprese e su cui oggi si è caricato anche il valore supplementare di essere uno degli obiettivi da centrare con il PNRR, appare opportuno fornire alcuni elementi di base. Primo: l'andamento della tassazione sugli immobili, negli ultimi dieci anni, dà un quadro lampante del paradosso italiano. Nel 2012, con il salto dall'ICI all'IMU, il gettito dei tributi sul possesso degli immobili è balzato da 2,2 miliardi a 24 miliardi; da allora, anche con l'esenzione sulla prima casa, il prelievo non è mai sceso sotto i 20 miliardi; se poi ci aggiungiamo l'IVA e le imposte di registro, le tasse sugli immobili hanno raggiunto circa 35 miliardi nel 2021. Questo regime fiscale, che è già a tutti gli effetti una patrimoniale, ha determinato la flessione dei valori di mercato: fatto 100 il valore di un immobile nel 2011, questo valeva poco più di 80 nel 2021. La crisi da COVID ha avuto come conseguenza anche la messa sul mercato di un'ingente quantità di immobili abitativi, oltre 748 mila case sono passate di mano nel 2021, cifra mai vista. Nel rapporto Statistiche catastali 2020, realizzato dall'Agenzia delle entrate, si evidenzia che lo stock immobiliare censito negli archivi catastali italiani al 31 dicembre 2020 consiste quasi in 76,5 milioni di immobili o loro porzioni, di cui 66 milioni non censiti nelle categorie catastali ordinarie e speciali. Il rapporto evidenzia che le attività di fotoidentificazione hanno fatto emergere circa 1,2 milioni di unità immobiliari urbane non censite in catasto. In più, dal Rapporto annuale dell'economia sommersa dell'allegato alla NADEF emerge che, nella classifica delle tasse immobiliari più evase, la regina è l'IMU, che, se fosse pagata regolarmente da tutti, porterebbe nelle casse dei comuni e dello Stato oltre 4 miliardi in più ogni anno. Un secondo elemento dimostra l'importanza del provvedimento al nostro esame. Durante l'audizione sul DEF, il Consiglio nazionale dei commercialisti ha chiarito che la pressione fiscale reale nel 2021 ha raggiunto il 49 per cento del PIL, portando l'Italia al primo posto in Europa. Per il 2022 e per gli anni successivi, il DEF prevede una riduzione della pressione fiscale essenzialmente dovuta alla revisione dell'Irpef, operata nella legge di bilancio per il 2022 e dall'abolizione dell'IRAP per le attività di impresa e lavoro autonomo svolte in forma individuale: si tratta di 8 miliardi inizialmente disponibili per la riduzione delle imposte fiscali, in gran parte utilizzati per i primi interventi su Irpef e IRAP, attuati con l'ultima manovra. Dobbiamo questa svolta all'opera del Governo Draghi, a cui Forza Italia partecipa. Tra gli obiettivi principali della delega in esame, c'è quello della riduzione del carico fiscale sui cittadini e imprese. Un terzo elemento che ritengo opportuno sottoporre all'attenzione dell'Assemblea riguarda gli adempimenti fiscali: le scadenze di giugno sono ben 141 circa, più quelle dei tributi, i quali riguardano 122 versamenti, 8 comunicazioni, 7 dichiarazioni, 81 riguardo alle società di capitale, 49 riguardo agli imprenditori, agli artigiani e ai commercianti e 53 riguardo ai lavoratori autonomi ed alle partite IVA. La situazione non è più sostenibile: il costo degli adempimenti fiscali che grava sui contribuenti è di oltre 60 miliardi di euro l'anno. L'ultimo elemento che ha fornito la CGIA Mestre è che ci sono ben 162 banche-dati circa gestite dalla pubblica amministrazione alle quali essa ha accesso. Il nostro fisco dispone di innumerevoli fonti che riportano fedelmente le capacità reddituali, i consumi e il livello di ricchezza di ogni italiano. Quotidianamente, l'amministrazione finanziaria riceve e cataloga miliardi di informazioni, che però solo in piccola parte riesce a utilizzare, in particolar modo per il contrasto all'evasione fiscale e, anche a questo proposito, la delega supporta le risorse del PNRR.

Poste queste premesse, appare evidente l'assoluta necessità di mettere mano a questa riforma fiscale. Risibili sono le accuse di chi sosteneva che l'impuntatura del centrodestra sul catasto fosse motivata da obiettivi elettorali. Come diceva il premio Nobel, Milton Friedman, al professor Antonio Martino, che non sono io, la mediazione si può fare sui dettagli, ma non sui principi e Forza Italia della casa fa il suo principio fondante, così come della difesa dei risparmi e della proprietà. L'accordo di Palazzo Chigi del 26 maggio ha chiuso una situazione di stallo, generatasi dopo le tensioni in Commissione del 7 aprile: si tratta di un accordo raggiunto in poco più di un'ora di chiarimento con il Presidente del Consiglio, ma la rapidità dimostra la volontà del centrodestra di chiudere sulla delega e di chiudere anche sul “DDL Concorrenza”, che difatti si è sbloccato al Senato ed è oggi alla Camera per il suo esame. Questo ci ha messo nelle condizioni di avvicinarci agli obiettivi relativi al primo semestre del 2022, rispetto ai quali, secondo Draghi stesso, siamo in anticipo. Rammentiamo che le tranche annuali di circa 20 miliardi del PNRR, che vengono erogate a gennaio e luglio, sono condizionate al completamento degli obiettivi che l'Italia stessa si è data nel presentare il proprio Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nell'ambito della riforma dell'amministrazione fiscale, delineata dal PNRR, c'è anche il traguardo dell'entrata in vigore della disposizione regolamentare del completamento delle procedure amministrative per incoraggiare il rispetto degli obblighi fiscali, tax compliance, e migliorare gli audit e i controlli. Il meccanismo era già stato previsto dalla legge di bilancio per il 2020, nell'ottica di migliorare la selezione e di effettuare i controlli mirati. I lunghi mesi dello stallo – e io dico: anche del lavoro – dimostrano che il testo della delega fiscale, oggi al nostro esame, è un compromesso tra posizioni di partenza molto lontane e, in alcuni casi, antitetiche. Quanto alla revisione del catasto, tolto ogni riferimento al valore patrimoniale degli immobili, questo permetterà, da una parte, l'accatastamento di centinaia di migliaia di immobili fantasma, facendo emergere un importante gettito aggiuntivo, dall'altra, consentirà un'operazione verità. Infatti, per ogni unità immobiliare, in aggiunta alle rendite catastali, dovrà essere indicata un'ulteriore rendita che tenga conto dell'omogenea collocazione territoriale, della destinazione d'uso e delle unità di consistenza: i futuri Governi avranno a disposizione un patrimonio informativo assai più accurato e aggiornato. Non ci sarà nessuna variazione delle tasse e delle agevolazioni rispetto alla situazione attuale: le ulteriori informazioni non potranno essere utilizzate ai fini della determinazione della base imponibile dei tributi e non potranno essere utilizzate per la determinazione di agevolazioni e benefici fiscali. Viceversa, il maggior gettito derivante dalla riemersione è destinato alla riduzione delle imposte tributarie sugli immobili attribuiti ai comuni ove si trovano gli immobili riemersi, confermata anche la trasparenza massima in tema di consultazione delle banche dati immobiliari disponibili e rafforzata la modalità di collaborazione tra comuni e Agenzia delle entrate. Un compromesso è stato raggiunto anche in merito alla cancellazione dell'obiettivo di una progressiva e tendenziale evoluzione del sistema verso un modello compiutamente duale, un modello cioè che avrebbe radunato sotto un'unica aliquota – due, nel periodo transitorio - tutti gli imponibili che non sono soggetti a Irpef. Questo modello di riordino ci aveva messo in allarme in quanto metteva in discussione l'applicazione degli attuali regimi cedolari, come la flat tax per le partite IVA e le “tasse piatte” sugli affitti, portando una sola aliquota proporzionale per i redditi da capitale, anche immobiliare, e mantenendo l'Irpef progressiva su quelli da lavoro. Nella stessa parte dell'articolo 2, dedicata alla riforma Irpef, entra il principio di dare la priorità ai redditi medio-bassi.

Nei prossimi interventi per ridurre le aliquote effettive, che salutiamo con favore, oltre all'abbassamento della pressione fiscale, c'è quello incentivante l'offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riferimento ai giovani, i secondi percettori di reddito. Quanto al regime forfettario, non si è riusciti ad ottenere l'innalzamento delle soglie di reddito, attualmente fissato a 65.000 euro, tuttavia l'azione del centrodestra ha consentito di introdurre una previsione in base alla quale il contribuente forfettario che le superi può godere di un'imposta opzionale sostitutiva delle imposte sui redditi e di due periodi di imposta successivi al passaggio. È una disposizione che, a nostro giudizio, non è onerosa ma che, al contrario, genera un gettito di riemersione.

Nel testo, si prevede, altresì, la possibilità per gli autonomi e gli imprenditori…

LUIGI MARATTIN, Relatore. Chiedo scusa, Presidente, è normale che, mentre parla un collega, lei faccia conversazione amabilmente?

PRESIDENTE. Collega, vada avanti.

ANTONIO MARTINO (FI). Io oggi faccio l'esordio con gli occhiali: è un momento particolare nella vita di un uomo, quindi, con un po' di difficoltà, inizio a concepire che la vista, purtroppo, inizia ad abbandonarmi.

Continuiamo. Rispetto ai 65 mila euro, come tetto per la flat tax, nel testo entra anche la possibilità, per gli autonomi e imprenditori individuali, di optare per la mensilizzazione dei versamenti di acconti e saldi, senza penalizzazioni, rivisto il meccanismo previsionale per gli acconti, mentre per la ritenuta d'acconto si ipotizza una progressiva riduzione.

Si rafforza il principio secondo cui il fisco, con un rigoroso rispetto, non potrà più chiedere ai contribuenti i documenti di cui già in possesso e dovrà spingere al massimo sulla digitalizzazione degli adempimenti. Per quanto riguarda il capitolo delle sanzioni amministrative, i decreti delegati dovranno essere scritti, tenendo conto di razionalizzare le sanzioni amministrative, garantendone la gradualità e la proporzionalità rispetto alla gravità delle violazioni commesse, con particolare attenzione alle violazioni formali e meramente formali.

Per quanto riguarda i redditi da capitale, la delega prevede una progressiva revisione del trattamento fiscale dei redditi personali derivanti dall'impegno del capitale, sia mobile che immobile. Si tratta di mettere ordine alle molte aliquote attuali, che vanno dal 10 per cento della cedolare secca degli affitti, al 26 per cento sul capital gain, passando per il 12,5 per cento sui titoli di Stato e il risparmio postale. Il centrodestra ha fatto muro al testo che delegava il Governo a scendere intanto sulle sole aliquote, per poi arrivare a regime a una sola, temendo che questo avrebbe comportato l'aumento di prelievo su cedolare secca e BOT. La tassazione unica ad aliquota proporzionale per tutte le tipologie di reddito esiste solo nei Paesi scandinavi, mentre il sistema fiscale italiano prevede già diverse imposte proporzionali che funzionano bene, diversificando le varie basi imponibili.

Quanto all'IRES e alla tassazione del reddito d'impresa, si arriva alla revisione dei costi indeducibili. La riscrittura dell'articolo 3, dopo l'accordo Governo-maggioranza, introduce, infatti, un espresso riferimento anche alla necessità di ripensare le regole sull'indeducibilità dei costi, sia parziale che totale, avviando una riflessione sull'attuale sistema previsto sugli interessi passivi. Il percorso prevede anche l'obiettivo di un rafforzamento del processo di avvicinamento tra i valori civilistici e fiscali. In questo senso, il focus sarà soprattutto sulla disciplina degli ammortamenti, i cui coefficienti restano tuttora ancorati a un decreto ministeriale del 31 dicembre 1988.

Il graduale superamento dell'imposta regionale sulle attività produttive dovrà, in ogni caso, garantire, come accade oggi, il finanziamento del fabbisogno sanitario. Nel nuovo testo, si specifica che la priorità sarà data a società di persone, studi associati e società tra professionisti. La cancellazione dell'IRAP - si precisa in una clausola di salvaguardia - non dovrà comportare aggravi di alcun tipo su redditi da lavoro dipendente o da pensione. La delega contempla anche la revisione delle tax expenditures, ossia di tutte quelle spese fiscali attraverso le quali lo Stato concede, a famiglie e imprese, sconti, deduzioni, detrazioni, aliquote agevolate e bonus di vario tipo per ridurre il carico fiscale. Nella mediazione delle ultime settimane è stato rafforzato il principio secondo cui le detrazioni e le deduzioni, riviste e corrette dai decreti delegati, dovranno tener conto della loro finalità, ma con particolare riguardo alla tutela del bene casa.

Per quanto riguarda la Superanagrafe dei conti, è stata opportunamente introdotta una previsione per la quale l'algoritmo antievasione dovrà rispettare le regole della privacy. Nel documento, reso noto alla fine di gennaio, dell'Authority di settore, il parere favorevole è stato accompagnato da paletti su una serie di punti: dal diritto di accesso, alla limitazione di trattamento degli obblighi informativi ed all'intervento umano. La Commissione politiche dell'Unione europea, nel suo parere, ha giudicato opportuni i richiami al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 in materia di protezione dei dati personali.

Dopo la sospensione delle limitazioni introdotte a causa dell'emergenza COVID, con la ripresa delle attività si stimano entrate complessive della lotta all'evasione per circa 14,8 miliardi nel 2022, 15,8 miliardi nel 2023 e 16 miliardi nel 2024. In questo contesto, l'Agenzia delle entrate prevede di aumentare le comunicazioni di compliance, ossia gli allert per indurre i contribuenti alla correzione spontanea. Dal consuntivo di 1,37 milioni, inviato nel 2021, si punta quasi al raddoppio nel 2022, per arrivare a circa 3 milioni nel 2024, con un effetto di crescita anche sui versamenti attesi (circa 2,4 miliardi nel 2022). Si tratta di risorse che dovrebbero finanziare la riforma al nostro esame.

La Commissione bicamerale sull'anagrafe tributaria ha posto paletti circa l'autorizzazione e la spersonalizzazione del fisco, nel timore che questo si trasformi in un sistema totalmente gestito da algoritmi. Tale Commissione ha chiesto di escludere esplicitamente che gli atti di accertamento dell'Agenzia delle entrate possano essere frutto esclusivo di una procedura automatizzata o, comunque, basata su un sistema di intelligenza artificiale. Ha chiesto, insomma, di non rendere superfluo l'intervento dell'essere umano. È vero che, nell'ambito del processo dell'Agenzia delle entrate, si prevede come già garantito l'intervento dell'uomo, ma si tratta di un intervento condizionato a un obiettivo di risultato, in termini di gettito da realizzare sulla base di indicazioni che l'Agenzia delle entrate invia ai suoi funzionari.

Su questa parte, non riteniamo compiutamente definita la deroga, per cui Forza Italia preannuncia la presentazione di un ordine del giorno per rafforzare i diritti dei contribuenti nei confronti del cosiddetto “fisco predittivo”.

Nell'impossibilità di ottenere la previsione di un parere rafforzato delle Commissioni parlamentari competenti sugli schemi dei decreti legislativi delegati, con l'obbligo, quindi, in capo al Governo di recepire le condizioni poste dalla Commissione, è stato, comunque, previsto che detti schemi siano corredati di relazione tecnica che indichi per ciascuna misura l'impatto sul gettito e, ove pertinente, l'impatto in termini di tributi locali, corredati, altresì, dalla relazione dell'analisi di impatto della regolamentazione.

Dello stesso tenore, è la norma richiesta espressamente da Forza Italia, che inseriva nell'articolo 10 la previsione per la quale dall'attuazione della delega non deve derivare l'incremento della pressione tributaria rispetto a quella risultante dall'applicazione della legislazione vigente. Una disposizione presa di peso dalla delega fiscale nel 2014 e che riteniamo fondamentale.

Ma veniamo ora a tutti gli aspetti problematici. L'appena citata previsione di divieto di incremento della pressione tributaria complessiva della norma, serve a tenere testa alle disposizioni che non siamo riusciti a modificare.

La prima riguarda la trasformazione delle addizionali regionali e comunali sull'IRPEF, con una sovraimposta. La norma è addirittura peggiorata rispetto al testo originario, in quanto si prevede che la nuova sovraimposta garantisca un incremento di gettito pari a quello ora garantito dall'applicazione del livello massimo dell'addizionale regionale IRPEF. In tale ambito, la previsione va associata ai contenuti della legge sul federalismo fiscale del 5 maggio 2009, in cui l'articolo 28 prevede la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo, salvaguardando l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva. Ne consegue che si dà un po' più a regioni e comuni, e dovrebbe essere scalabile dall'IRPEF pagato dallo Stato.

La seconda riguarda l'adeguamento delle strutture delle aliquote della tassazione indiretta, con l'obiettivo di contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2, in particolare, tramite le accise. La crisi energetica in corso in questa parte dell'anno, dovuta anche ai rincari del combustibile, rende l'ipotesi sostenuta da parte della maggioranza che il sistema fiscale debba essere messo al servizio dello sviluppo sostenibile e reso coerente con il processo di decarbonizzazione, superando il più rapidamente possibile la dipendenza del nostro Paese dai contributi fossili. Ma la norma, per come è proposta, significa l'aumento delle accise e dei carburanti, la riduzione dei benefici fiscali sul gasolio agricolo e su quello dell'autotrasporto, e, più in generale, la revisione di tutti i sussidi ritenuti attualmente dannosi. Qui Forza Italia aveva proposto, senza successo, un emendamento in cui si chiedeva che, in tale processo di revisione, fosse assicurata la neutralità degli impatti su famiglie e imprese, così come chiesto, peraltro, dal documento conclusivo sulla riforma fiscale, approvato nel giugno 2021 dalla Commissione finanze. Anche su questo, preannunciamo la presentazione di un ordine del giorno.

Non sono state accolte anche altre proposte di Forza Italia con interventi importanti relativi all'introduzione del fattore giovani, all'adozione di un articolo che preveda la parità nei rapporti fisco-contribuente, nonché alla previsione che l'Agenzia delle entrate non fosse guidata da obiettivi prefissati di risultato, ma si orientasse verso criteri di efficienza e di processo, sull'accoglimento dell'invito dell'Unione europea volto a consentire alle imprese di monetizzare le perdite maturate durante la crisi, il cosiddetto carry back. Nel pieno della pandemia da COVID-19 (era il mese di maggio 2021), una raccomandazione della Commissione europea, firmata da Paolo Gentiloni, commissario per gli Affari economici, invitava gli Stati dell'UE a consentire la deducibilità fiscale e delle perdite, anche nell'esercizio fiscale precedente a quello in cui si erano manifestate.

Concludo sulla questione delle risorse necessarie per attuare la delega: un problema autorevolmente rappresentato - perché non si possono fare riforme senza investimenti - anche dal presidente della Commissione, il collega Marattin.

Come già detto, gli 8 miliardi inizialmente disponibili per la riduzione dell'imposizione fiscale sono stati in gran parte utilizzati per i primi interventi su Irpef e IRAP attuati con la manovra per il 2022. Il DEF riporta un incremento di quasi 9 miliardi rispetto alla NADEF di settembre 2021: in questa somma ci sono soprattutto i frutti della compliance, ma occorrerà certificare il carattere permanente di queste maggiori entrate, e questo potremo farlo solo con la NADEF di settembre. Il problema è che il meccanismo istituito dalla legge di bilancio 2021 e i frutti della compliance si possono utilizzare solo se la riduzione effettiva della distanza tra gettito potenziale e gettito effettivo sia strutturale, stimata con robuste tecniche economiche. Nel 2022 si guarda al miglioramento della compliance avvenuto nel 2019 e si controlla che esso sia stato mantenuto negli anni seguenti, in modo da passare ai test di strutturalità.

Ma le norme sono congegnate in modo che, in adempimento della dinamica degli ultimi 3 anni, dal 2022 tra DEF e NADEF, ci deve comunque essere una sopravvenienza attiva da compliance ulteriore rispetto all'ultima volta che ci sono stati aggiornamenti tendenziali. Dunque, il reperimento delle risorse per l'attuazione della delega fiscale appare non facile e il Governo si ritrova già stretto nelle innumerevoli esigenze delle crisi in corso. Su questo fronte sarebbe opportuno avere maggiori delucidazioni ed essere più convinti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rizzone. Ne ha facoltà.

MARCO RIZZONE (CI). Grazie, Presidente. Questa legge delega, attesa da tempo, arriva a conclusione di un'importante, a tratti sofferto, ma certamente intenso, lavoro in Commissione finanze, durato oltre 7 mesi. Una prima nota di ringraziamento va, dunque, ai colleghi che, in questi mesi, hanno lungamente lavorato, unitamente ai rappresentanti del Governo, per produrre il testo che oggi arriva in discussione in quest'Aula, un testo che rappresenta inevitabilmente una sintesi dei vari interessi in gioco, ma che è anche il frutto di un metodo di condivisione che, malgrado alcune innegabili tensioni, si appresta a “dare il la” ad una corposa riforma del fisco a questo Paese.

Da troppo tempo, imprese, professionisti e famiglie attendono un concreto cambio di passo sui principali temi oggetto del dibattito politico sul fisco: il rapporto tra pubblica amministrazione e contribuente, il sistema delle agevolazioni, il regime fiscale di professionisti e imprese e, ancora, la riduzione del carico fiscale, la progressività del sistema. Tutto questo non è più - e non sarà più - solo oggetto del dibattito pubblico, ma tra poco sarà oggetto di provvedimenti concreti che, mano a mano, cambieranno il volto del fisco italiano.

Queste necessità sono state costantemente segnalate dal gruppo di Coraggio Italia, perché siamo convinti che si debba attuare un'ampia riforma fiscale, per migliorare l'equità, l'efficienza e la trasparenza del sistema tributario e ridurre il carico fiscale, in particolare sul lavoro, sulle imprese e sui redditi medio-bassi. La realizzazione di una riforma fiscale dai soliti principi liberali è un presupposto per la crescita economica, che passa anche per la semplificazione del sistema tributario, la riduzione complessiva della pressione fiscale, senza tralasciare un organico processo di riforma strutturale della riscossione.

A queste considerazioni, negli ultimi mesi si è affiancata un'ulteriore, imprescindibile necessità: la riforma fiscale è, infatti, essenziale anche per favorire, secondo le linee definite nel PNRR, la transizione ecologica e digitale dell'amministrazione finanziaria, dotandola delle competenze tecniche necessarie. Inoltre, gli interventi fiscali di riforma, orientati alla semplificazione, razionalizzazione ed equità del sistema fiscale, avranno un ruolo chiave anche nel contribuire a realizzare proprio gli obiettivi fondamentali del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il PNRR.

Questo testo, ricordando che si tratta di una delega al Governo e, pertanto, sarà necessario, poi, vederne i risultati concreti di applicazione, risponde alle esigenze che Coraggio Italia ha, fin dalla sua nascita, posto come imprescindibili, ovvero: in primo luogo, l'impulso alla crescita economica attraverso una maggiore efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui fattori di produzione; in secondo luogo, la razionalizzazione e la semplificazione del sistema, anche attraverso la riduzione degli adempimenti e l'eliminazione dei micro-tributi; in terzo luogo, la progressività del sistema, che va preservata, unita all'equità; in quarto luogo, il sostegno ai professionisti e alle imprese.

Riteniamo cruciale che la priorità del Governo, quando i provvedimenti che faranno perno su questa delega verranno elaborati, sia la riduzione del carico fiscale sui redditi. Tutto il sistema tributario dovrà essere razionalizzato e semplificato, anche con riferimento, in particolare, agli adempimenti dichiarativi e di versamento dei contribuenti, per ridurre i costi di adempimento, di gestione e di amministrazione del sistema fiscale.

Altro aspetto cruciale dovrà essere rappresentato dalla minimizzazione documentale. L'amministrazione finanziaria dovrà, cioè, rispettare in modo rigoroso quanto già previsto dal “decreto Crescita” nel 2019, ovvero il divieto di richiedere al contribuente documenti già in possesso delle amministrazioni pubbliche, ampliando, al contempo, la possibilità di effettuare gli adempimenti tributari. Ciò per facilitare e rivoluzionare il rapporto tra fisco e contribuente. Troppo spesso, infatti, il fisco è tanto inaccessibile, quanto rigoroso per il cittadino, mettendo quest'ultimo in una situazione di evidente sudditanza.

La necessità di confermare e potenziare le agevolazioni previste per i redditi professionali cosiddetti forfetari, con la previsione di un regime agevolato di uscita dal medesimo applicabile per due periodi di imposta, rappresenta un altro obiettivo cruciale che il Governo dovrà impegnarsi a realizzare. Inoltre, la revisione dell'Irpef, nel rispetto del principio di progressività, con riduzione graduale delle aliquote medie effettive, il superamento dell'IRAP e la razionalizzazione dell'IVA rappresentano ineludibili esigenze affinché si giunga finalmente a una spiccata semplificazione del sistema fiscale.

Un fisco più equo, maggiormente accessibile, comprensibile e attento alle esigenze della crescita, perciò stesso accanto agli - e non in contrasto con - interessi di imprese e famiglie rappresenta, dunque, l'obiettivo cruciale da raggiungere con questa legge delega. Il lavoro svolto dalla Commissione e dai partiti di maggioranza è, quindi, chiaro nei suoi orientamenti, nei suoi criteri, nei suoi principi, che debbono essere fatti propri dai provvedimenti che costituiranno l'ossatura della futura riforma fiscale.

Dal Governo ci aspettiamo un'applicazione rigorosa e trasparente dell'approfondito lavoro svolto, affinché, finalmente, i cittadini, le imprese e i professionisti italiani possano avere a disposizione il fisco che meritano.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zanichelli. Ne ha facoltà.

DAVIDE ZANICHELLI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi e colleghe, Governo, finalmente la delega fiscale arriva in Aula. Si è già detto, lo hanno detto anche i colleghi di altri gruppi, questo Paese aveva bisogno di un rinnovamento della delega fiscale, una legge ferma a 50 anni orsono, anche per quanto riguarda l'aspetto della digitalizzazione, con le migliorie e le innovazioni tecnologiche che essa può – e deve – apportare, se Dio vuole, anche all'aspetto fiscale, al rapporto che deve intercorrere tra i contribuenti e il fisco. È stato anche ricordato da una collega, nel suo intervento, che numerosi provvedimenti, proprio nell'ottica della digitalizzazione, sono provenuti proprio dal MoVimento 5 Stelle, ma nel tratterò nel prosieguo del mio intervento.

Io intervengo in questa discussione generale, poi la disamina più completa del provvedimento la farà il nostro capogruppo, Nicola Grimaldi, successivamente; quello che intendo fare è lasciare agli atti un aspetto che mi rimane a cuore rispetto all'iter di questa delega fiscale. Infatti - come è stato ricordato -, si è trattato di un procedimento decisamente lungo, partito a inizio del 2021 a seguito dell'indagine conoscitiva durata 6 mesi, i cui risultati sono illustrati nel documento conclusivo, e con il provvedimento del Consiglio dei Ministri, con la legge delega che, successivamente, da giugno, abbiamo iniziato a discutere.

In Commissione vi è stato, come accennato, un iter decisamente lungo, necessario perché alcuni gruppi, su alcuni specifici argomenti, hanno rallentato la discussione. Si sono persi mesi preziosi, per cui ora arriviamo al primo passaggio in questa Camera, poi ci sarà il passaggio nell'altro ramo del Parlamento, e per vedere attuata la vera e propria delega fiscale ci sarà da attendere altri 18 mesi - questo è il termine posto al Governo per varare i decreti delegati – a seguito dei quali potranno essere necessari ulteriori 6 mesi, per i correttivi e anche ulteriori periodi, per l'aspetto tributario.

Una cosa che, francamente, mi lascia - perlomeno come parlamentare di questa legislatura - l'amaro in bocca è che questa delega fiscale, approvata sostanzialmente in questa legislatura, vedrà la luce nella prossima legislatura, con una maggioranza molto probabilmente diversa, sicuramente con una composizione del Parlamento decisamente diversa, con le Commissioni parlamentari competenti che dovranno esprimere il parere - anche in questo caso non vincolante - per la prossima delega fiscale. Quindi, sostanzialmente, questa maggioranza ha fatto la cornice normativa in cui i decreti delegati dovranno inserirsi, e a cui sicuramente anche il prossimo Governo, nella seguente legislatura, dovrà conformarsi.

Senonché, probabilmente, una maggioranza diversa e un Governo diverso dovranno procedere all'attuazione, e, come abbiamo visto anche in questa legislatura, talvolta alcuni temi politici possono diventare oggetto di campagna elettorale, possono diventare dei totem, e, a quel punto, possono frenare un lavoro decisamente lungo e oneroso, forse troppo lungo, ed è a questo che volevo arrivare: è stato troppo lungo perché probabilmente alcune forze politiche, non il MoVimento 5 Stelle, hanno creato incidenti di percorso. Quello che è successo in Commissione ce lo ricordiamo tutti, ma, in realtà, ci sono stati tavoli di maggioranza paralleli e tutto quello che sa chi il dibattito lo ha seguito. C'è stata una perdita di tempo che francamente, per quanto mi riguarda, lascia l'amaro in bocca; Dio non voglia che questo processo, di cui il nostro Paese aveva bisogno, debba arenarsi.

C'è un altro tema che volevo affrontare e che mi sta decisamente a cuore: questa legge delega contiene numerose iniziative e ciò sicuramente anche perché l'esercizio di mettere insieme le diverse volontà politiche, espressioni delle forze parlamentari, è stato notevole, e questo ha creato anche un lavoro con numerosi aspetti positivi, quali la cosiddetta easy tax, per quanto riguarda il regime forfettario, gli interventi sull'IRAP, ma, soprattutto, l'aspetto della digitalizzazione, perché sappiamo benissimo che le transazioni elettroniche - quelle che abbiamo promosso specialmente noi, come MoVimento 5 Stelle, al pari, devo dire, di tutti gli ultimi Governi per portare vantaggi ai contribuenti - devono recare vantaggi immediati. Ecco perché abbiamo spinto molto sul cashback fiscale, che abbiamo introdotto in questa legge delega, proprio per far sì che i vantaggi fiscali derivanti - adesso è scritto prioritariamente per le spese sanitarie, ma l'obiettivo è di estenderli anche ad altri tipi di spesa - possano essere riconosciuti e utilizzabili immediatamente, senza dover attendere l'anno fiscale successivo, quando, a un certo punto, sulla base delle dichiarazioni effettuate, appunto l'anno successivo può arrivare questo credito. Gli aspetti della digitalizzazione che noi promuoviamo servono a far sì che ciò che il cittadino o il contribuente comunica all'amministrazione fiscale e tributaria possa - e debba -essere comunicato una volta sola; è possibile e deve essere un principio sacrosanto, per evitare le duplicazioni e la moltiplicazione delle comunicazioni; i benefici derivanti dalla digitalizzazione non devono essere solamente vantaggi di tipo economico, ci mancherebbe altro, ma anche vantaggi di tipo procedurale.

Anche l'ultimo aspetto che volevo lasciare agli atti con il mio intervento mi sta molto a cuore; l'ho sollevato anche con altri atti parlamentari. Noi veniamo da diversi anni in cui l'inflazione è stata a volte anche negativa, comunque decisamente sotto la soglia del 2 per cento annuo. Mi preme rilevare questo aspetto, anche se questo concetto nella delega fiscale non è presente; l'impostazione della delega fiscale, come ricordavo, è iniziata più di un anno fa, quando l'inflazione nemmeno era concepita, per lo meno da diversi attori; qualcuno cominciava a parlarne, però altri la negavano o addirittura la consideravano transitoria o temporanea, cosa che purtroppo non è, perché, con una nota metafora, si può dire che l'inflazione è come una tigre, una volta che esce dalla gabbia è difficile rimetterla dentro. Se le soglie dell'Irpef dovranno essere dichiarate e fisse per legge, noi rischiamo che, con un'inflazione che comincia a uscire veramente dalla gabbia, noi avremo, quasi certamente, una crescita dei prezzi, ma anche dei salari e questo, ovviamente, vivaddio, perché bisogna mantenere il potere d'acquisto. Ma, se con la crescita dei salari gli scaglioni per l'Irpef dovranno rimanere costanti, noi avremo uno spostamento dei redditi delle persone su aliquote via via più alte. Ma i percettori di redditi fissi non avranno aumentato il loro potere d'acquisto, perché questo sarà, se va bene, rimasto costante; mentre aumenterà per loro l'imposizione fiscale. Su questo presenterò anche un ordine del giorno, perché se il tema era sicuramente residuale negli anni passati - ricordo, l'inflazione era contenuta -, nei prossimi anni probabilmente l'inflazione risulterà decisamente più elevata che nel passato, e allora avere scaglioni che possano essere adeguabili automaticamente sulla base dell'aumento del costo della vita penso sia un aspetto di cui il Governo dovrà tenere conto, altrimenti, come accennato, avremo le persone che manterranno costante il loro potere d'acquisto, ma vedranno anche aumentare l'imposizione, in percentuale delle imposte che dovranno pagare al fisco, perché ovviamente il loro stipendio nominalmente aumenterà, ma il loro potere d'acquisto rimarrà costante. Di questo penso appunto che il Governo debba tenere conto.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Covolo. Ne ha facoltà.

SILVIA COVOLO (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, stiamo concludendo un lavoro volto alla crescita dell'economia e alla semplificazione del sistema tributario, che ci ha visti impegnati in Commissione finanze per oltre un anno e mezzo, dalle circa 60 audizioni che hanno condotto all'adozione del documento di indirizzo sottoscritto dalla maggior parte delle forze politiche che sostengono il Governo Draghi in data 30 giugno 2021, a questi ultimi 7 mesi, in cui abbiamo esaminato le varie proposte emendative.

Siamo consapevoli del fatto che con questo testo rimettiamo a decreti legislativi da emanarsi entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge le future scelte dell'Esecutivo che andranno a incidere sulla vita di cittadini e imprese. Per questo è stata da subito contestata l'eccessiva genericità della proposta governativa sottoposta al nostro esame, affinché non ne sortisse una delega troppo in bianco, priva di paletti per il potere esecutivo, ovvero un mero riassunto dei desiderata dei vari partiti.

Il protrarsi dei lavori è stato dovuto alle mediazioni resesi necessarie per addivenire a uno schema condiviso dalla quasi totalità delle forze politiche che formano la maggioranza di Governo, allo scopo di definire i criteri che l'Esecutivo dovrà necessariamente seguire nella futura decretazione in materia fiscale per poter godere ancora della nostra fiducia.

Anche come gruppo Lega, ci siamo battuti per l'inserimento degli obiettivi principali della nostra azione politica; dalla riduzione della pressione fiscale, alla flat tax, passando per la sburocratizzazione e l'eliminazione degli adempimenti inutili a carico dei contribuenti. Quante volte abbiamo sentito parlare di fisco amico, di semplificazione, quando invece, purtroppo, lo Statuto del contribuente è, ad oggi, uno dei testi normativi più calpestati, tanto da indurci a depositare, nei mesi scorsi, una proposta di legge, a prima firma Gusmeroli, per modificare l'articolo 53 della Costituzione, in modo da garantire maggiore certezza giuridica al sistema contributivo e diminuire il carico fiscale.

Ora vediamo parzialmente accolte le nostre istanze, con l'articolo 9 di questa delega, che impegna l'Esecutivo ad adottare norme finalizzate alla codificazione delle disposizioni legislative vigenti in materia tributaria entro i principi e i criteri direttivi stabiliti dal comma 2 dello stesso articolo, dall'omogeneità dei codici di settore alla coerenza giuridica, logica e sistematica delle norme, all'unicità, contestualità, chiarezza, completezza, semplicità, aggiornamento e semplificazione del linguaggio normativo, all'abrogazione espressa delle norme oggetto di revisione, per evitare quel profluvio normativo volto a favorire la discrezionalità amministrativa, a complicare i controlli e a limitare il potere giudiziario in caso di ricorsi. Ma è soprattutto nell'articolo 1 che vediamo introdotte le disposizioni maggiormente significative. È proprio il caso di dirlo, sembra che fosse necessaria questa delega per mettere nero su bianco quelle che avrebbero dovuto essere regole ovvie per l'amministrazione fiscale, che, invece, ha finora complicato inutilmente la vita di famiglie e imprese.

Viene, infatti, inserito il principio di razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario anche con riferimento agli adempimenti dichiarativi e di versamento, stabilendo che la pubblica amministrazione non possa chiedere ai contribuenti documenti e atti che sono già in suo possesso o reperibili tramite banche dati ovvero resi disponibili dalla fatturazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi oppure tramite scambio di informazioni tra pubbliche amministrazioni.

Anche il sistema di controlli, che dovrà, comunque, sfociare in sanzioni amministrative razionali, graduali e proporzionali, verrà garantito con gli stessi strumenti. Sembravano principi di buon senso; invece - ripeto - è dovuta intervenire questa delega fiscale. È notizia di oggi quella per cui con il nuovo “decreto Semplificazioni”, che verrà incardinato in Commissione finanze alla Camera, è stata apportata un'ulteriore norma a favore del contribuente per limitare i controlli dell'Agenzia delle entrate sulle spese sanitarie inserite nelle dichiarazioni dei redditi e risultanti dal sistema della tessera sanitaria. Per cui, controlli formali ed eventuali contestazioni potranno riguardare soltanto fatture e spese non registrate negli archivi elettronici. Il nostro obiettivo deve rimanere quello di ridurre la pressione fiscale, di restituire potere di acquisto alle famiglie, di contribuire alla riduzione dei costi per le imprese, specialmente in questi momenti di gravi difficoltà economiche e sociali legate al contesto internazionale.

L'articolo 2, relativo a principi e criteri direttivi per la revisione del sistema di imposizione personale sui redditi, è importante non solo perché contiene il riordino delle tax expenditures, ovvero del sistema di deduzioni e detrazioni Irpef, ma soprattutto perché riconosce e amplia ulteriormente l'ambito applicativo della flat tax, che la Lega ha voluto introdurre fin dal Governo “Conte 1” con la legge di bilancio 2019. È ora previsto, per professionisti e imprese che nell'anno precedente non abbiano superato una determinata soglia reddituale, il mantenimento dell'imposta opzionale sostitutiva anche per i due periodi di imposta successivi al passaggio dal regime opzionale a quello ordinario. Valutiamo positivamente pure la razionalizzazione del sistema delle aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi, con la speranza che ciò possa favorire l'inserimento lavorativo dei giovani. Le imprese riceveranno pari tutela rispetto alle persone fisiche, essendo prevista la semplificazione e la razionalizzazione della tassazione del reddito d'impresa e la revisione dei costi parzialmente o totalmente indeducibili attraverso la revisione dell'Ires, contenuta all'articolo 3, e il graduale superamento dell'IRAP, con priorità per le società di persone, gli studi associati e le società tra professionisti, come prescritto dall'articolo 5.

Riteniamo di fondamentale importanza anche la cristallizzazione della tutela del bene casa, nel quale solitamente confluiscono i risparmi degli italiani. Ebbene, l'articolo 2 eleva a principio la salvaguardia dell'abitazione, considerata la rilevanza che nell'ultimo quarto di secolo hanno rivestito gli incentivi per gli interventi sugli immobili, dalla detrazione del 36 per cento istituita nel 1997 al super bonus 110 per cento introdotto nel 2020, che ha contribuito al rilancio del settore edilizio durante e dopo la crisi pandemica, passando per varie tipologie di deduzioni e detrazioni, come quelle sui mutui. Proprio perché la casa è un bene fondamentale, ci siamo battuti a lungo e abbiamo accolto il grido di allarme proveniente dalle associazioni maggiormente rappresentative del settore, come Confedilizia, contro il rischio di aumento della tassazione immobiliare che poteva celarsi nell'originaria formulazione dell'articolo 6, relativo al catasto, che sembrava assecondare la raccomandazione UE a traslare la tassazione dal reddito al patrimonio, benché la delega fiscale non ricada tra le riforme abilitanti ai fini del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Pur rimanendo nell'ambito della normale dialettica politica, anche in Commissione finanze abbiamo ribadito con forza che non ci saremmo accontentati di una generica formula di invarianza della tassazione a fronte dell'accostamento al valore catastale del valore di mercato. Sebbene fossimo concordi da subito sulla riemersione degli immobili fantasma anche al fine di addivenire a una riduzione delle aliquote IMU per gli altri contribuenti, avevamo chiesto la totale abrogazione dell'articolo 6 per scongiurare ogni pericolo. Dopo una lunga mediazione con il Governo affinché venisse meno l'equiparazione tra valori catastali e di mercato eliminando ogni riferimento ai valori patrimoniali, l'articolo 6, nella nuova formulazione, si divide in due commi. Con il primo comma viene ribadito il principio di corretto classamento degli immobili, rispetto al quale - ribadisco - non abbiamo mai avuto alcun tipo di obiezione. Con il secondo comma il Governo viene delegato a prevedere la fotografia aggiornata degli immobili da rendere disponibile dal 1° gennaio 2026, con una valutazione della rendita, da affiancare a quella catastale, che sarà determinata usando i criteri previsti dal DPR n. 138 del 1998, partendo dalla redditività di locazione, tenendo conto della suddivisione del territorio comunale in ambiti omogenei, della rideterminazione delle destinazioni d'uso catastali e della metratura delle unità e che non potrà essere usata per calcolare alcuna imposta. Questa precisazione - ripeto - è frutto di una lunga battaglia della Lega che ha scongiurato un possibile aumento della tassazione immobiliare e che continuerà a spendersi per non assoggettare ad alcuna forma di tassazione gli immobili dichiarati inagibili, occupati abusivamente ovvero gli immobili commerciali sfitti e improduttivi, dopo che è già stata inserita all'articolo 6, comma 2-bis, di questa delega la previsione per cui una quota del maggior gettito derivante dal corretto accatastamento degli immobili sarà devoluta alla riduzione dell'IMU.

Altra battaglia della Lega, che merita di essere citata, è quella contro il sistema duale stabilito dalla riforma, che avrebbe comportato un incremento della tassazione su affitti e titoli di Stato, prevedendo la tassazione dei redditi da capitale in modo proporzionale e quella sui redditi da lavoro con Irpef progressiva. L'articolo 2, nella sua nuova formulazione, prevede ora l'eliminazione dell'automatico aumento della tassazione sui redditi da locazione abitativa, mentre il testo originario, sebbene non fosse mai stato ammesso pubblicamente, avrebbe potuto portare ad un aumento della cedolare secca sugli affitti, considerata la volontà di impostare un'unica aliquota alternativa all'Irpef per i redditi finanziari e immobiliari ipotizzata nel 23 o nel 26 per cento.

Infine, vorrei spendere qualche parola sull'articolo 7, recante principi e criteri direttivi per la revisione delle addizionali comunali e regionali Irpef e per il riparto tra Stato e comuni del gettito dei tributi sugli immobili destinati a uso produttivo. In particolare, per effetto della riformulazione dell'emendamento 7.17 a mia prima firma, l'articolo 7, comma 2, in attuazione dei principi del federalismo fiscale e in linea con il principio della separazione delle fonti di finanziamento tra diversi livelli di governo, prevede ora che il Governo possa rivedere il riparto tra Stato e comuni del gettito dei tributi sugli immobili a uso produttivo di tipo «D», che attualmente è riservato interamente allo Stato, con il calcolo dell'aliquota base dello 0,76 per cento mentre ai comuni spetta il gettito derivante dall'attività di accertamento e riscossione. Lo Stato, a normativa vigente, attua poi dei trasferimenti, in una logica perequativa, attraverso il Fondo di solidarietà comunale per i comuni con minore capacità fiscale, principio che comunque è ribadito dall'articolo 7, comma 3. Riteniamo di fondamentale importanza che i comuni possano godere di risorse autonome, oltre che compartecipare al gettito dei tributi erariali riferibili al proprio territorio ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione. L'articolo 7 nuova formulazione va in questa direzione e non possiamo che esprimere soddisfazione per l'accoglimento delle nostre proposte emendative. Tuttavia, non potremo dirci completamente soddisfatti fintanto che non verrà data finalmente attuazione anche all'articolo 116 della Costituzione, per cui anche le regioni a statuto ordinario possono chiedere e ottenere forme e condizioni particolari di autonomia, nel rispetto dei principi dello stesso articolo che ho sopra citato. La regione Veneto, da cui provengo, e molte altre regioni italiane, tra cui la Lombardia e l'Emilia-Romagna, solo per citarne alcune, stanno attendendo risposta alle loro proposte ormai da alcuni anni. Spero che questi ultimi mesi di legislatura possano permetterci di dare finalmente una risposta. Il nostro atteggiamento è e continuerà ad essere propositivo e teso a una mediazione, come abbiamo dimostrato con l'esame di questa delega fiscale.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3343-A​)

PRESIDENTE. Relatore Marattin, lei ha esaurito i suoi tempi, ma, se vuole intervenire, la Presidenza le può concedere un minuto.

LUIGI MARATTIN, Relatore. Intervengo per un minuto, allora, solo per ringraziare di questa discussione che ha posto in luce alcuni temi che, sono sicuro, verranno meglio ripresi durante la discussione sugli emendamenti e le dichiarazioni di voto. Io rinnovo il ringraziamento a tutti i gruppi parlamentari per aver affrontato questo argomento da un anno e mezzo con la serietà che si doveva.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretario Freni.

FEDERICO FRENI, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie, Presidente. Poche repliche rispetto a un provvedimento che ha visto interessata la Commissione finanze per tanto tempo e che, per tanto tempo, è stato al centro del dibattito.

Si tratta di un provvedimento importante, che oggi vede la luce con un risultato ancora più importante e cioè una strutturale unità della maggioranza di Governo attorno a un testo che ha saputo prendere, dall'inizio sino alla formulazione con cui approda in quest'Aula, tutto il buono che tutte le forze di maggioranza hanno saputo immettere in questo testo.

Per tranquillizzare gli amici dell'opposizione, rassicuro che non ci sarà alcun aumento di tasse; questo era un obiettivo del Governo sin dal primo momento ed è stato ribadito con forza nella formulazione che approda in quest'Aula: nessuna delle norme contenute in questa legge delega potrà in alcun caso portare ad un aumento di tasse. È vero, esiste una raccomandazione comunitaria che prevede lo spostamento della tassazione dalle persone alle cose, ma questo Parlamento e questo Governo hanno scelto, con riferimento a tutte le norme contenute in questo decreto, specificatamente con riferimento all'articolo 6, di non inasprire in alcun modo la tassazione sulle cose e, quindi, sulla casa.

È una legge delega, quindi, che arriva all'esame di quest'Aula, avendo saputo prendere da ciascun gruppo parlamentare, dopo un lungo percorso - e ringrazio per questo il presidente Marattin e tutti i componenti della Commissione -, tutti quei passaggi che certamente ne hanno fatto un testo migliore.

Consentitemi, quindi, di ringraziare, ancora una volta, il presidente, relatore Marattin, tutti i parlamentari che, durante le tante notti, sono stati insieme con noi a lavorare su questa legge delega e consentitemi, soprattutto, di ringraziare tutti i funzionari della VI Commissione che, con impegno veramente encomiabile, hanno collaborato con tutti noi alla stesura del testo che oggi è all'esame dell'Aula.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendiamo, a questo punto, la seduta che riprenderà alle ore 13,35.

La seduta, sospesa alle 13,15, è ripresa alle 13,35.

Discussione della mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00671 concernente iniziative per sopperire alla carenza di personale nei settori del turismo e dell'agricoltura e per sostenere le relative filiere produttive.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00671 concernente iniziative per sopperire alla carenza di personale nei settori del turismo e dell'agricoltura e per sostenere le relative filiere produttive (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto della seduta del 17 giugno 2022 (Vedi l'allegato A al resoconto della seduta del 17 giugno 2022).

Avverto che sono state presentate le mozioni Manzo ed altri n. 1-00672 e Andreuzza ed altri n. 1-00673 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Rotelli, che illustrerà anche la mozione n. 1-00671, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURO ROTELLI (FDI). Presidente, grazie a lei, grazie al sottosegretario per la presenza e ai colleghi presenti in Aula. Questa mozione, presentata dall'intero gruppo di Fratelli d'Italia, a firma quindi di tutti i deputati, ha obiettivi ben precisi che sono elencati nella parte degli impegni al Governo e che puntano soprattutto l'attenzione su due comparti, quello turistico e quello agricolo. Si tratta di settori strategici e imprescindibili per quanto riguarda l'economia della nostra Nazione e rappresentano, come sappiamo benissimo, una parte decisamente molto importante del PIL dell'Italia.

Nello specifico, il valore aggiunto generato dalle attività turistiche nel nostro Paese costituisce il 13 per cento del PIL e, come recentemente dichiarato anche dal Ministro Garavaglia, avrebbe la potenzialità di arrivare addirittura al 20 per cento, mentre quello del settore agricolo rappresenta circa il 15 per cento dell'intera produzione.

Siamo, ormai, a oltre due anni dallo scoppio della pandemia e molti fattori ancora stanno ostacolando la reale ripresa di questi comparti; tra questi, sottosegretario, il problema più urgente e comune ai due settori è sicuramente la difficoltà del reperimento della manodopera. L'obiettivo della mozione è proprio questo, quello di provare a trovare delle modalità e delle forme per poter sbloccare la situazione. Non lo dice Fratelli d'Italia, ma con particolare riferimento alle imprese del comparto turistico, secondo i dati diffusi da Unioncamere, Federturismo e ANPAL, la mancanza di personale per i servizi di alloggio, ristorazione e accoglienza è stimata in circa 200 mila unità, a fronte di un fabbisogno di lavoratori, tra maggio e luglio, di quasi 400 mila. Il che significa che le aziende del comparto riescono ad assumere poco più della metà del personale del quale avrebbero, invece, realmente necessità e bisogno. Come reso noto da Federturismo, le filiere del turismo più colpite sono l'ospitalità, la ristorazione, i parchi permanenti di divertimento, i bus turistici, le linee di gran turismo, gli impianti a fune, gli stabilimenti balneari e il settore termale. Oltretutto, questo aspetto della carenza del personale del settore termale sta ostacolando, addirittura, anche la fruizione del cosiddetto bonus terme, introdotto dopo la crisi patita dal settore nel corso della pandemia.

Altrettanto allarmanti sono i dati relativi alla carenza dei lavoratori stagionali nel comparto agricolo, pari, secondo quanto dichiarato da Coldiretti, a circa 100 mila unità che sarebbero necessarie per garantire la campagna di raccolta estiva; nella sola regione Emilia-Romagna, secondo le stime della locale Confagricoltura, servirebbero 5 milioni di giornate lavorative per soddisfare il fabbisogno di manodopera necessario per i frutteti.

Pur prescindendo dalle tradizionali criticità del lavoro stagionale, le carenze di personale rendicontate negli ultimi anni sono fortemente agevolate dall'istituzione del reddito di cittadinanza che, nato quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro, per conseguire il dichiarato obiettivo di incentivare l'assunzione di lavoratori giovani, si è rivelato, invece, disfunzionale rispetto all'obiettivo e ormai ciò è sotto gli occhi di tutti. Con una incontrastata eterogenesi dei fini, la sua introduzione ha, infatti, determinato una malsana concorrenza tra reddito e lavoro, che porta praticamente la maggior parte, soprattutto dei giovani, a scegliere uno rispetto all'altro, soprattutto quello di carattere temporaneo o interinale a fruizione del sussidio che, dai dati INPS aggiornati nel 2022, risulta che sia stato percepito, solo dall'inizio dell'anno, nella misura almeno di una mensilità, pari quasi a 600 euro, da oltre 3,2 milioni di persone.

È di tutta evidenza che il reddito di cittadinanza, non solo non ha agevolato l'inserimento professionale dei disoccupati, ma ha costituito un disincentivo all'assunzione, quantomeno quella regolare, come ad esempio è emerso anche dal servizio di Non è l'Arena andato in onda il 29 maggio, su LA7, nel quale si vedono in maniera chiara due percettori del reddito che rifiutano il contratto di lavoro per conservare il sussidio, dichiarandosi favorevoli a lavorare, purtroppo, però, in nero. Come segnalato a più riprese, anche dalle competenti associazioni di categoria, infatti, sono centinaia le testimonianze di imprenditori che si sono visti rifiutare proposte di assunzione proprio per non decadere dalla fruizione del reddito di cittadinanza.

La decadenza dalla percezione del sussidio, prevista in caso di mancata accettazione di un'offerta di lavoro congrua, non costituisce, allo stato, un deterrente efficace - sottosegretario, sembra non esserci sinceramente -, anche perché l'incontro tra domanda e offerta del lavoro spesso e volentieri avviene nel mercato privato, al di fuori dell'intermediazione pubblica. In questa chiave, occorre sia reso possibile per l'azienda segnalare i percettori del beneficio che rifiutano un'offerta di lavoro congrua. Oltre ad aver fallito come politica attiva del lavoro, l'erogazione del sussidio non ha rappresentato neanche la via per risolvere il problema dell'adeguatezza del reddito minimo, come pure si afferma nella “Relazione per Paese 2022” della Commissione europea.

Di fatto, per attribuire il beneficio anche a chi sarebbe perfettamente in grado di lavorare, non sono stati invece aiutati davvero coloro che sono impossibilitati a farlo, e si ritrovano di conseguenza in uno stato di povertà; le difficoltà nel reperimento della manodopera rischiano di costituire un problema gravissimo per l'organizzazione della riapertura e potrebbero minare le aspettative di recupero delle aziende di questi due importanti settori. Dobbiamo dire che, già trovandoci verso la fine di giugno, molte di queste strutture sono ormai da tempo in difficoltà. In assenza soprattutto di misure adeguate e tempestive rischiano di subire, dopo il danno della pandemia, anche quello di non poter agganciare al meglio il treno della ripresa. Nella seduta del Consiglio dei Ministri del 15 giugno scorso, è stato adottato un pacchetto di misure per la semplificazione delle procedure di ingresso dei lavoratori stranieri allo scopo di favorire, anche in relazione agli investimenti e agli obiettivi previsti dal PNRR, l'immissione di manodopera nei settori produttivi che hanno espresso il maggiore fabbisogno. Appare difficile comprendere la ragione di questa misura, laddove le stesse immissioni non siano subordinate alla previa verifica dell'impiego, nei citati settori produttivi, di percettori del reddito di cittadinanza.

Alla questione della carenza di personale, che rende materialmente difficile la ripartenza di questi settori, si somma il problema dei rincari dell'energia, delle materie prime e di altri materiali assolutamente indispensabili per l'esercizio dell'attività di impresa, come, ad esempio, i fertilizzanti per l'agricoltura e, dall'altro lato, la difficoltà di approvvigionamento degli stessi beni. In particolare, il settore agroalimentare è in sofferenza per il calo dei fertilizzanti, dei mangimi, dell'energia, delle terre rare e delle produzioni tecnologiche. Non dobbiamo dimenticare anche una questione relativa alla siccità, che lo sta colpendo in maniera veramente molto grave, e quelle, legate alle materie prime, che si sono aggravate dal crollo dei raccolti in Canada, primo Paese al mondo per la produzione di grano tenero e dall'invasione russa in Ucraina, che ha portato all'interruzione di tutti i canali di fornitura relativi all'area strategica del Mar Nero.

In questo contesto di grave dipendenza, anche di carattere energetico, era inevitabile che le variazioni di mercato avrebbero comportato rincari. All'interno della mozione, Presidente e sottosegretario, abbiamo sottolineato una serie di aumenti veramente preoccupanti, così quantificabili: nel comparto mangimistico, del 90 per cento; per l'orzo e la soia, del 40 e del 12 per cento; nel settore lattiero-caseario, del 20 per cento; per il tetrapak, del 15 per cento, per le etichette, del 35 per cento; per il cartone, del 45 per cento, e così via.

Secondo il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'economia agraria, l'attuale livello dei rincari e delle conseguenti speculazioni va stimato in oltre 15.700 euro e sfiora i 47 mila euro per le stalle da latte e i 99 mila euro per gli allevamenti di granivori; la situazione è veramente preoccupante e mette in ginocchio interi comparti e aziende. Oltre ad affossare le imprese, questo aumento dei costi si converte in inflazione dei prodotti alimentari e grava quindi, inesorabilmente, sui consumatori finali. Il rincaro di energia e materie prime pesa anche sul settore turistico e alberghiero, le cui potenzialità rischiano di uscire annichilite da costi sempre crescenti, sia fissi sia eventuali, ma essenziali nell'attuale contesto di incontro della domanda e dell'offerta.

Quanto ai costi fissi, sono parzialmente attenuati, nel corso della pandemia, da misure di sostegno; occorre tener conto che, per le imprese turistiche alberghiere, la questione dei rincari, specie energetici, ha un peso specifico maggiore, dal momento che, di regola, l'attività lavorativa a pieno regime non copre l'intero anno, ma solo alcuni periodi.

Ai costi si aggiungono quelli applicati dalle grandi online travel agencies straniere - le cosiddette OTA –, che oscillano tra il 12 e il 20 per cento della somma incassata come corrispettivo della fornitura del singolo servizio, che sono solo apparentemente costi facoltativi; infatti, in un sistema di offerta profondamente mutato, nel quale gli operatori tradizionali devono convivere con le piattaforme e i grandi player dell'intermediazione, è evidente che l'ospitalità delle piattaforme del web è indispensabile.

Drammatico per le imprese che gravitano nel settore e gestiscono, in particolare, stabilimenti balneari, porti turistici, alberghi e altri pubblici esercizi è stato anche l'impatto della decisione di arrestare al 31 dicembre 2023 l'efficacia delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative attualmente in essere, in esito alla sentenza n. 18 del 2021 del Consiglio di Stato, che ha ritenuto gli atti di proroga, rilasciati dall'amministrazione, finanche in seguito a un giudizio favorevole, tamquam non esset, per asserito contrasto con norme europee direttamente applicabili della legge di bilancio del 2019. Sull'errato presupposto interpretativo, in primo luogo, che questa concessione sia di servizi, anziché di beni, e, in secondo luogo, che nel settore il numero delle autorizzazioni sia limitato dalla scarsità delle risorse, presupposto per l'applicazione della cosiddetta e famigerata direttiva Bolkestein, è stato operato un intervento di taglio assolutamente lineare, inadeguato che sta comportando non solo il fallimento di migliaia di imprese, il cui affidamento sulla validità della norma statale, doveva essere tutelato, ma anche l'abbandono e il degrado delle nostre coste.

Simili errori interpretativi sull'applicabilità dei principi espressi dalla direttiva Bolkestein coinvolgono anche altre due categorie fondamentali che vorremmo citare e abbiamo citato all'interno della mozione, vale a dire gli esercenti la professione di guida e gli esercenti dei servizi di trasporto pubblico locale non di linea. Ai problemi esposti e, in particolare, all'emergenza scaturita dalla carenza di personale deve essere data una soluzione in via immediata. Infatti come dichiarato proprio dal Ministro del turismo in occasione della presentazione della seconda edizione della ricerca “Comunicazione, media e turismo”, appena un mese fa la domanda di servizi turistici è in crescita; per la prima volta, dopo anni, abbiamo un dato di riempimento delle strutture ricettive superiore di 10 punti percentuali rispetto alla Spagna, che è il nostro concorrente più forte. In particolare, “a maggio, il Belpaese è al primo posto con il 32,5 per cento, contro il 21,9 della Spagna, mentre, a giugno, l'Italia è leader nell'andamento delle prenotazioni, facendo meglio di Spagna, Francia e Grecia. Ottime premesse, ma l'industria turistica si scontra con il problema delle carenze di personale, degli stagionali, perché, in vista dell'estate 2022, mancano 300-350 mila addetti”. E' un virgolettato del Ministro.

Le medesime considerazioni valgono per il comparto agricolo che si trova in prossimità delle grandi campagne di raccolta e le cui inefficienze producono effetti preoccupanti proprio nel medio e lungo periodo, neutralizzando le prospettive di crescita del comparto e che rischiano di determinare la mancata commercializzazione dei nostri prodotti agricoli.

Cosa ha fatto Fratelli d'Italia presentando questa mozione? Ha chiesto al Governo di impegnarsi per garantire una serie di condizioni base che sono da ricercare negli impegni che abbiamo sviluppato nella parte seconda della mozione stessa. Intanto abbiamo chiesto che si assuma l'impegno che i percettori del reddito di cittadinanza, secondo il meccanismo dei progetti utili alla collettività, a titolarità dei comuni, i cosiddetti PUC, sia esteso anche alle attività svolte per garantire esigenze dirette e indirette dell'economia dei comuni e in favore delle imprese dei comparti di cui in premessa - chi aderisce, fa parte di questi PUC e utilizza questi piani deve essere messo a disposizione del comparto agricolo e turistico, di cui abbiamo parlato - ovvero che l'erogazione del reddito sia sospesa fino alla totale copertura dei posti di lavoro vacante nei comparti agricolo e turistico, destinando le risorse rinvenienti da tale sospensione all'aumento delle pensioni sociali, degli assegni di invalidità e delle somme riconosciute a titolo di reddito di cittadinanza in favore dei soggetti che non possono lavorare.

Conseguentemente in relazione a quanto abbiamo detto in questo punto, si impegna il Governo a sancire la decadenza della fruizione del reddito di cittadinanza per i soggetti che rifiutano di svolgere i progetti utili alla collettività, a titolarità dei comuni, ovvero non adempiano ad altre attività che devono svolgere a beneficio della collettività; sempre in funzione di quanto abbiamo previsto in quel punto della mozione, a stabilire la sospensione del beneficio del reddito di cittadinanza, nel caso in cui il percettore si renda irreperibile di fronte a richieste della competente amministrazione comunale della sua disponibilità a svolgere progetti utili alla collettività o nei comuni; ad adottare le opportune modifiche normative volte a prevedere che, ai fini dell'erogazione del reddito di cittadinanza, rientrino nella nozione di offerta congrua le offerte di lavoro proposte ai beneficiari direttamente da datori di lavoro privati; quindi non soltanto l'intermediazione dei centri per l'impiego, ma anche le proposte fatte dai privati valgano come utili per poter continuare a usufruire del reddito di cittadinanza oppure no; a verificare quali misure siano state adottate dagli uffici di collocamento dell'INPS in relazione alle politiche attive del lavoro che dovrebbe rappresentare uno dei pilastri del reddito di cittadinanza e che invece ci sembra funzioni particolarmente male.

Inoltre, a subordinare la determinazione del numero dei lavoratori stranieri da includere nel prossimo “decreto Flussi” per colmare le carenze di lavoratori nei citati settori alla preventiva e rigorosa verifica della possibilità di destinare alle medesime finalità i percettori del reddito di cittadinanza; a disporre la reintroduzione dei voucher per i lavoratori impegnati nel settore agricolo e in quello turistico; ad assumere, Presidente, iniziative per garantire alla filiera nazionale agroalimentare un adeguato sostegno, in primo luogo, attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento per quanto riguarda le materie prime.

Abbiamo proposto e stiamo proponendo in questa mozione di assumere le necessarie iniziative, presso i competenti tavoli europei, volte al contenimento dei costi dell'energia, delle materie prime e degli altri beni e prodotti indispensabili allo svolgimento dell'attività di impresa; di adottare tutte le iniziative che possono prevedere - come parametri di accesso per le misure di sostegno a favore dei settori economici di cui in premessa, colpiti dalle ripercussioni soprattutto del conflitto russo-ucraino - la variazione dei costi fissi in relazione al cosiddetto energy cruch e la corrispondente variazione di fatturato rispetto alla fase antecedente del conflitto; a elaborare e proporre, nelle competenti sedi europee, la modifica del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, sottosegretario, ci sembra assolutamente anacronistico, alla luce degli sviluppi purtroppo successivi anche alla pandemia da COVID e a promuovere l'apertura di necessari tavoli europei per rimodulare, non soltanto il PNRR, ma in modo organico le iniziative quali il Next Generation EU, il Green New Deal e il REPowerEU, la politica agricola comune e, ove applicabile e necessario, la politica comune della pesca, nell'ottica dell'incentivo alla produzione nazionale.

Tra gli impegni che Fratelli d'Italia propone con questa mozione al Governo c'è anche quello di adoperarsi, ancora una volta, con maggior energia e con maggior forza, in sede europea, al fine di sostenere l'inapplicabilità della direttiva 2006/123/CE al settore delle concessioni demaniali marittime fluviali e lacuali per finalità turistiche ricreative, rilevando altresì che, ex articolo 195 del Trattato in materia di turismo, l'Unione può limitarsi soltanto a una politica di accompagnamento, richiedendo un trattamento equo e non discriminatorio rispetto ad altri Stati europei che - come sappiamo perfettamente, per quanto riguarda, ad esempio, Spagna e Portogallo - non hanno avuto la stringente di scadenza di queste concessioni, ma che hanno prorogato le concessioni, senza alcuna contestazione da parte dell'Unione europea.

Uno dei punti più importanti, degli impegni, di questa nostra mozione è quello di assumere ogni iniziativa di competenza per escludere le guide turistiche dall'ambito di applicazione della “direttiva Bolkestein”, a salvaguardia dell'interesse prevalente alla tutela del patrimonio artistico e culturale della Nazione, e per escludere gli operatori del trasporto pubblico locale non di linea, in considerazione dell'importante ruolo che essi svolgono nel comparto turistico, da forme di liberalizzazione già escluse dalla stessa normativa europea.

Ultimo punto di impegno, che però a noi sembra assolutamente fondamentale, è volto ad adottare le opportune iniziative, anche normative, per ridurre i costi fissi delle imprese che gravitano nel settore turistico alberghiero, nonché per promuovere la digitalizzazione dell'offerta per chi ancora non riesce ad essere visibile ed accessibile in rete; tutto questo per dare la possibilità agli operatori turistici di potersi rendere più indipendenti dalle cosiddette OTA, le Online travel agency, e per ridurre quindi a loro carico una quantità di spese e di percentuali di costo, di cui possono assolutamente fare a meno.

Noi riteniamo che questa sia una mozione importante da discutere in Parlamento, siamo anche contenti che ne siano state presentate altre da altri gruppi, che si vanno ad affiancare a questa, perché possono essere integrate e discusse insieme. Ma Fratelli d'Italia dimostra, anche in questo caso o soprattutto in questo caso, di voler entrare in maniera verticale sulle problematiche del Paese, in maniera particolare di due settori assolutamente strategici, che penso tutto il Parlamento ritenga tali. Proprio il fatto che queste visioni e queste problematiche siano così strategiche e così centrali comporta che debbano essere affrontate in maniera complessiva da parte di tutti i gruppi, investendo il Governo affinché assuma degli impegni e dei punti di ricaduta per quanto riguarda queste vicende, che per noi diventano fondamentali per dare risposte ai due comparti.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Angela Masi, che illustrerà anche la mozione n. 1-00672, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

ANGELA MASI (M5S). Grazie, Presidente, colleghi e Governo. Siamo qui oggi a discutere le mozioni riguardanti le difficoltà nel reperimento dei lavoratori del comparto agricolo e del settore del turismo. Stiamo parlando di due settori fondamentali per il nostro Paese, che la pandemia, prima, e le conseguenze negative del conflitto russo-ucraino, poi, hanno posto di fronte a una difficilissima sfida nella sopravvivenza. Imprese grandi e piccole sono rimaste bloccate per tantissimo tempo e ora subiscono quel contraccolpo della crisi energetica e delle materie prime. Turismo e filiera agricola hanno subìto - e continuano a subire - perdite di fatturato importanti, una situazione grave che non può non avere ripercussioni sull'economia del nostro Paese, visto che parliamo di asset strategici, che insieme rappresentano circa un terzo del PIL italiano.

In merito alle iniziative atte a sostenere e a rilanciare tali comparti, con l'approssimarsi della stagione estiva, riveste un'importanza primaria la questione del reperimento dei lavoratori stagionali, un tema che, a causa di derive ideologiche e battaglie politiche spesso strumentali, rischia di non essere affrontato nella giusta maniera, danneggiando così imprese e lavoratori; sarebbe un errore imperdonabile che non possiamo permetterci. Per questo, ritengo necessario, prima di tutto, dare un veloce quadro della situazione attuale. Gli ultimi studi di settore ci aiutano ad individuare immediatamente quali siano i settori e le modalità di intervento imprescindibili e per i quali intendiamo richiedere un impegno del Governo. Innanzitutto, a livello generale, voglio segnalare che, secondo un rapporto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, il numero di rapporti di lavoro stagionali attivati nel 2020 da datori di lavoro privati risulta sfiorare una quota pari a 1.800.000. Come ampiamente preventivabile, i rapporti di lavoro riguardano in prevalenza, il settore agricolo, successivamente quello del turismo e poi, in ultimo, quello dei servizi pubblici sociali e personali. Quindi, il 75 per cento circa dei rapporti di lavoro stagionali riguarda questi due settori economici, turismo e agricoltura, caratterizzati da un'occupazione quasi esclusivamente a tempo determinato e, dunque, da una certa discontinuità lavorativa e da alcune criticità, quali spesso la presenza di lavoro cosiddetto sommerso e la difficoltà ad incrociare la domanda e l'offerta.

Recenti rilevazioni Istat, relative al marzo 2022, segnalano che il numero di occupati è tornato a superare i 23 milioni. L'aumento osservato rispetto all'inizio dell'anno, pari a quasi 170.000 occupati, si concentra soprattutto tra dipendenti. Rispetto al marzo del 2021, la crescita del numero di occupati è pari a 800.000 unità; inoltre, la metà dei casi riguarda i dipendenti a termine, la cui stima raggiunge 3.150.000, il valore più alto dal 1977.

Dall'entrata in vigore del noto reddito di cittadinanza, non si rileva alcuna flessione del numero di lavoratori a disposizione del sistema agricolo: infatti, l'Istat, nel 2018, registra 857.000 occupati, per un totale di 604.000 ore di lavoro, costantemente in crescita nel corso degli anni, fino ai 916.000 occupati nel 2021, per un totale di oltre 620.000 ore di lavoro. Tornerò su questo punto anche per quello che riguarda il settore del turismo, ma in questa sede mi preme, ancora una volta, sottolineare quanto i numeri smentiscano, ancora una volta, ricostruzioni strumentali della realtà, che non fanno assolutamente bene alle nostre imprese e alla nostra economia. Rimanendo però sul comparto agricolo, vorrei ricordare che il Crea, quest'anno, ha pubblicato il rapporto L'impiego dei lavoratori stranieri nell'agricoltura in Italia. Anni 2000-2020. Questo rapporto evidenzia come, soprattutto dal 2008 in avanti, si sia assistito a una progressiva sostituzione dei lavoratori italiani con i cittadini stranieri, che, nel 2020, sono arrivati a rappresentare il 18,5% dei lavoratori agricoli totali. Chiaramente, sono diversi i motivi: dalla necessità di procedere urgentemente al reclutamento di personale per determinati lavori a carattere stagionale, alle difficoltà di reperimento, all'effettiva mancanza di offerta nazionale, oltre a un problema culturale che vede il lavoro agricolo spesso rappresentato come povero o poco dignitoso. In questo contesto, è utile rilevare che l'andamento demografico negativo europeo e, in particolar modo, quello italiano, secondo le Nazioni Unite, ci dice che il numero della popolazione in età lavorativa, nel 2024, diminuirà sensibilmente. In tale contesto, il blocco dei flussi migratori rappresenterebbe un ulteriore handicap per il mercato nazionale ed europeo.

Va segnalato anche che, dei circa 900 mila occupati nel settore, 100 mila hanno contratti a tempo indeterminato, mentre tutti gli altri hanno un contratto di tipo stagionale e di questi circa 350 mila, sia italiani che stranieri, non raggiungono neanche i requisiti minimi per la disoccupazione. I lavoratori stranieri, poi, conservano una posizione di debolezza contrattuale - lo sappiamo, è noto - che spesso si riflette, chiaramente, sulle condizioni di lavoro.

La legge n. 199 del 2016 è stata avviata con una serie di positivi strumenti e interventi legati soprattutto alla strumentazione repressiva dello sfruttamento del lavoro, il caporalato. La tutela dei lavoratori agricoli stagionali, però, non ha portato tutti quei risultati auspicati.

Per tutta questa serie di motivi, la mozione del MoVimento 5 Stelle prevede un intervento del Governo affinché venga resa maggiormente efficace la legge n. 199 del 2016, promuovendo tutte quelle azioni di analisi e verifica, tra bisogno, fabbisogno, richiesta di manodopera e lavoro contrattualizzato, con tutta quella serie di strumenti e metodi scientifici che possono prevedere e superare queste problematiche. Inoltre, prevediamo l'introduzione di misure incentivanti per la rete del lavoro agricolo, una migliore gestione dei flussi, un attento controllo e impiego della manodopera, soprattutto in quelle regioni dove è richiesta maggiore stagionalità. A tal proposito, riteniamo fondamentale anche promuovere quella relazione e quel connubio ormai fondamentali tra le aziende agricole del settore agroalimentare e gli istituti agrari, al fine di favorire quell'incontro tra richieste del mercato e istituti di formazione, oltre a potenziare e incentivare tutti gli ITS legati al settore agroalimentare. È questa la direzione da seguire.

Ricordo che la legge e la contrattazione collettiva individuano le tipologie di lavoro stagionali, ovvero quelle che si svolgono solo in alcuni periodi dell'anno, legandole particolarmente al settore agricolo e a quello del turismo.

L'emergenza degli stagionali suggerisce la necessità di ripensare questo tipo di lavoro, che, oltre ad essere spesso poco remunerativo, faticoso e precario, è lungi dall'essere un vero e mero problema di reperimento del personale, ma richiede una necessità di significativi atti e interventi, che riguardano tutti quei diritti e quelle esigenze dei lavoratori, oltre che un'esigenza di valorizzare il ruolo di quel lavoro nella vita delle persone.

Veniamo al turismo, uno dei principali motori per l'economia mondiale e anche per il nostro Paese. Nel nostro Paese, il turismo ha visto una serie di crisi, soprattutto quelle degli ultimi anni legate alla pandemia, ma, comunque, nonostante ciò, ha un'espansione forte e continua. Nel 2019 abbiamo registrato un record assoluto di arrivi e presenze, ma anche il turismo, come l'agricoltura, è un settore caratterizzato da un'elevata variabilità, dovuta alle diversità delle realtà locali e ad una notevole influenza esercitata dalle forze economiche e sociali che sottopongono queste strutture a continue oscillazioni.

La crisi economica derivante dalla pandemia ha avuto riflessi negativi tanto sulle condizioni occupazionali, quanto sul settore. Nonostante le ulteriori incertezze derivanti dalla guerra in Ucraina e del connesso rialzo dei prezzi dei beni energetici e delle materie prime, il 2022 rappresenta per il settore un anno di ripartenza e lo stiamo vedendo nei nostri territori. Negli ultimi mesi, si è registrata un'accelerazione del turismo dal punto di vista occupazionale. Nonostante questo, la stagionalità, anche se fisiologica, del settore comporta criticità, sia per i lavoratori, in termini soprattutto di sicurezza pensionistica e di continuità economica, che per le aziende, sia nella fase di reclutamento di personale con competenze adeguate, che in quella di costruzione di rapporti fiduciari e stabili.

Il XIII Rapporto dell'Osservatorio sul mercato del lavoro e del turismo del 2021 mostra proprio la contrazione tra il 2019 e il 2020 dei contratti a tempo indeterminato, anche nel periodo in cui essi venivano protetti dal famoso blocco dei licenziamenti, accompagnato dalla tendenza dei lavoratori ad abbandonare il settore. Il trend è stato confermato anche dagli ultimi dati disponibili. Il settore turistico e, in particolare, il segmento alberghiero hanno perso tantissimi lavoratori, che hanno deciso, anche a seguito delle numerose chiusure, di puntare su professioni più sicure e meno sacrificate dal punto di vista degli orari. Adesso, con l'allentamento delle restrizioni, il settore vede una ripresa e cresce la domanda di lavoro. Nonostante ciò, si fatica a trovare personale, in particolare stagionale.

Lo si diceva prima, si parla di circa 300-350 mila profili di servizi di alloggio, ristorazione e turistici di cui necessitano il settore e l'impresa. Ma è tutta colpa del reddito di cittadinanza? I dati, ancora una volta, ci dicono e delineano una situazione ben diversa: le assunzioni degli stagionali sono state, comunque, in crescita negli ultimi anni, anche con il reddito di cittadinanza. Ce lo dice il report dell'Osservatorio dell'INPS, che chiarisce che lo scorso anno sono state fatte 900 mila assunzioni di questo tipo, di cui 263 mila in più rispetto al 2020, 187 mila in più rispetto al 2019 e 260 mila in più rispetto al 2018, quando il reddito di cittadinanza non esisteva. In generale, a marzo scorso, secondo il rapporto dell'INPS, in Italia si è registrato un nuovo record di assunzioni stagionali: sono state oltre 79 mila in un mese, contro le 23 mila dell'anno scorso, le 52 mila del mese di marzo 2019 e le 63 mila del 2018. Si tratta del dato più alto da quando l'Istituto pubblica questi dati. Il reddito di cittadinanza, stando ai numeri, non ha dunque scoraggiato i lavoratori ad accettare questo tipo di lavori, come invece sostiene chi è arrivato addirittura a chiederne l'abolizione. Parliamo di una misura che, secondo i dati INPS, aggiornati a dicembre 2021, interessa 1,2 milioni di nuclei familiari, l'86 per cento di nazionalità italiana e con un importo medio dell'assegno mensile pari a 587 euro. Allora, davvero vogliamo sostenere che assegni pari a 400-500 euro possano fare concorrenza a degli stipendi e a dei contratti regolari? Non credo. A scoraggiare gli stagionali non è certo il reddito di cittadinanza, ma sono, purtroppo, spesso - non sempre -, proposte di lavoro che prevedono turni massacranti, contratti part-time che poi si rivelano full-time, con straordinari non retribuiti e poche tutele. È innegabile che negli ultimi 15 anni, non solo con la pandemia, si sia verificato un progressivo peggioramento delle condizioni di lavoratrici e di lavoratori dal punto di vista sia retributivo, che normativo. Certo, ci sono imprese virtuose, fortunatamente, che però, in un contesto del genere, si trovano penalizzate, in quanto la concorrenza di chi è sleale ed utilizza lavoratori sottopagati ha un peso notevole, poiché evitano i contratti collettivi nazionali, le ferie e i permessi che invece le imprese virtuose rispettano. Gli ultimi dati diffusi dall'Ispettorato nazionale del lavoro ci dicono proprio questo. Nel rapporto dell'estate del 2021 si legge che, su circa 10 mila ispezioni effettuate nelle aziende della ristorazione e dei servizi di alloggio su tutto il territorio nazionale, nel 73,4 per cento dei casi sono emerse delle irregolarità, cioè 7 aziende su 10 vedevano la presenza di lavoratori in nero, con violazioni di busta paga e di tracciabilità dei pagamenti, nonché irregolarità in merito alla sicurezza del lavoro e degli orari di lavoro, l'illecita somministrazione di manodopera e di trattamenti contrattuali applicati ai lavoratori. Questo significa che vengono violati i contratti collettivi, le leggi e perfino la nostra Costituzione che, all'articolo 36, prevede per ogni cittadino “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. I costituenti hanno considerato il lavoro come diritto di tutti i cittadini, dunque tutelato dallo Stato, ma anche un dovere che, se adempiuto, rende possibile la piena e reale partecipazione sociale, civile ed economica, del cittadino. Additare i nostri ragazzi di essere fannulloni - anzi, recentemente, qualcuno nelle aule del Parlamento li ha chiamati addirittura parassiti - soltanto perché spesso non accettano di essere sfruttati e non riescono a trovare un lavoro degno di questo nome, è davvero indegno da parte delle Istituzioni che siamo, qui, chiamati a rappresentare. Insistere con questa crociata contro il reddito di cittadinanza, come peraltro previsto anche da una mozione presentata e prima raccontata dall'opposizione, resta dunque un esercizio fine a sé stesso, utile probabilmente per ottenere qualche riscontro dal punto di vista meramente elettorale, ma totalmente inefficace per risolvere i problemi di aziende e lavoratori. Piuttosto, con questa mozione il MoVimento chiede che il Governo si impegni per sostenere le aziende e i lavoratori del settore del turismo e del comparto agricolo, prevedendo opportune iniziative normative per dotare, ad esempio, i centri per l'impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro, di uno sportello dedicato al lavoro stagionale. Il vero punto è, infatti, che la ripresa delle assunzioni nei comparti dei servizi, del turismo e del commercio, si scontra con il tema del mismatch, vale a dire con la difficoltà di reperimento del personale occorrente e di un mercato del lavoro asimmetrico e caratterizzato da lacune informative tra chi cerca e chi offre lavoro. In tal senso sarà utile anche stipulare convenzioni con associazioni di categoria, con il compito di raccogliere le domande e le offerte di lavoro stagionale, fornire le relative informazioni ai lavoratori e alle imprese che ne facciano richiesta e fornire informazioni relative ai diritti e alle tutele previste per il lavoro stagionale. Chiediamo, inoltre, al Governo di promuovere una piattaforma per favorire quei percorsi di incrocio tra domanda e offerta di lavoro, anche migliorando quanto realizzato da ANPAL, integrando le informazioni presenti sia nei database di Agea che dell'INPS, in modo che le imprese possano contattare con facilità le persone di cui necessitano.

Dal lato delle aziende, dobbiamo anche intervenire per ridurre il costo del lavoro nel settore del turismo, della ristorazione e dell'agricoltura, incentivando altresì contratti di lavoro duraturi, in scia a quanto già previsto dal Governo con l'esonero contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo determinato stipulati nel primo trimestre del 2022 nel settore del turismo e degli stabilimenti termali. Sarà utile, inoltre, introdurre delle premialità per le aziende che dimostrano particolare attenzione a quella che è l'etica del lavoro e rafforzare la collaborazione fra imprese ed enti formativi - lo dicevamo per l'agricoltura, ma anche per il turismo -, in particolare con gli ITS e gli enti che organizzano corsi, istituti alberghieri e agrari. Siamo di fronte, infatti, a una perdita che va considerata non solo in termini economici, ma, soprattutto, di competenze. Ecco perché sarà fondamentale adottare iniziative per garantire e supportare forme di upskilling e formazione continua anche nel lavoro stagionale, nel periodo di non lavoro, dando priorità a quei corsi di qualità, innovativi ed esperienziali. Inoltre, andranno rafforzate e prorogate quelle iniziative normative volte a introdurre specifici incentivi per le assunzioni, sostenendo la formazione prevista dalla normativa nazionale e quella regionale nei casi di assunzioni di apprendistato professionalizzante, anche con contratto stagionale. Infine, riteniamo opportuno un intervento del Governo per arginare il fenomeno delle basse retribuzioni, la precarietà e il lavoro nero, che, ovviamente, vanno ad incidere sulle qualifiche professionali e sui contributi dei lavoratori. In tal senso, in questa mozione chiediamo che siano adottate iniziative volte a prevedere misure per incentivare l'emersione del lavoro nero, vantaggiose sia per i datori di lavoro, che per i lavoratori e rafforzare nel contempo azioni di contrasto. Nell'ambito di una riforma degli ammortizzatori sociali occorre, poi, assicurare adeguate misure di sostegno al reddito per i lavoratori stagionali nel periodo di non lavoro, tenendo conto delle peculiarità e delle specificità del lavoro stagionale. Presidente, voglio precisare, sempre in merito al reddito di cittadinanza, che questa problematica non riguarda solo il nostro Paese, quindi smettiamola con questa becera strumentalizzazione. In Spagna, in Grecia, in Francia, in tanti Paesi europei ci sono altrettante difficoltà a reperire lavoratori: sarà anche lì un problema del reddito di cittadinanza italiano? Non credo. Il mondo del lavoro sta cambiando, stanno cambiando i settori e anche la pandemia e le crisi che hanno portato la pandemia ce lo stanno dimostrando. Se continuiamo a semplificare i motivi di queste problematiche, non arriveremo mai a una soluzione: sono problematiche complesse che vanno affrontate in maniera complessa, altrimenti rischiamo di danneggiare imprese e lavoratori. Noi, con la nostra mozione, abbiamo provato ad intraprendere e delineare una serie di interventi che il Governo, insieme al Parlamento, può adottare nel settore dell'agricoltura e del turismo e, dunque, per permettere al Paese una rapida e costante crescita.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Andreuzza, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00673. Ne ha facoltà.

GIORGIA ANDREUZZA (LEGA). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la Lega ha presentato la propria mozione, che pone al Governo e al Parlamento alcune importanti criticità legate alle filiere del turismo e dell'agricoltura. La seduta di oggi ci dà la possibilità di confronto, auspicando la possibilità, da parte del Parlamento, di convergere in una mozione condivisa dal momento che interessa, nello specifico, settori come il turismo e l'agricoltura, ritenuti asset strategici per il nostro Paese.

Il comparto turistico sappiamo essere quello che, per primo, si è fermato con la pandemia; un settore per cui il Governo, in modo responsabile e consapevole, ha adottato importanti misure per salvaguardalo e prepararlo alla ripartenza. E abbiamo visto che, appena usciti dalle fasi critiche, il comparto ha avuto ottimi segnali di ripresa positivi, che denotano come, in condizioni di normalità, il nostro Paese rimane attrattivo e, semmai, si può lavorare per essere maggiormente competitivi.

Oggi però, di fronte alla possibilità di ripresa, subentrano ulteriori, pesanti criticità che dobbiamo affrontare. Infatti, a seguito di due anni di restrizioni derivanti dalla lotta alla pandemia e considerati i recenti, pesanti, effetti della guerra - che ha ricadute soprattutto sul fronte energetico - e la riduzione di alcuni flussi turistici, il settore registra nuove difficoltà. Una di queste difficoltà consiste nel reperire personale e addetti che consentano di erogare servizi per l'intera stagione. È importante ricordare che il settore turistico vale 13 punti del PIL, un valore economico sicuramente replicabile proprio nel 2022 se vediamo che, già lo scorso anno, vi era stata una stagione positiva e ora si sta tornando verso condizioni di normalità. Oggi, nel comparto turistico ricettivo, le stime parlano di una carenza di personale di circa 300 mila unità nelle diverse mansioni - camerieri, cuochi, baristi, receptionist, animatori turistici -, che contribuisce a creare forti difficoltà per la crescita che si stava, appunto, registrando dopo le chiusure della pandemia.

Negli ultimi mesi, anche la situazione dell'agricoltura italiana, impegnata in una fase delicata di ripresa dopo la crisi dovuta alla pandemia, si è ulteriormente aggravata a causa dell'impennata dei prezzi dell'energia e per il conflitto Russia-Ucraina, che stanno comportando il rincaro delle materie prime essenziali per i processi produttivi della filiera agroalimentare. Nel settore agricolo, da stime, servirebbero almeno 100 mila lavoratori stagionali per garantire le campagne di raccolta estiva di frutta e verdura. L'arrivo del grande caldo accelera la maturazione nei campi e rende ancora più urgente far fronte alle carenze di manodopera. In molte regioni la situazione è diventata seria, con il rischio concreto di perdere i prodotti che sono ormai maturi. Per il settore agricolo, il caro energia ha già determinato una revisione al ribasso delle percentuali di crescita del PIL che in Italia era prevista per il 2022; una percentuale che risultava essere tra le più elevate dell'Unione europea e a livello mondiale.

Gli operatori del settore turistico, imprenditori e associazioni di categoria, in più occasioni hanno individuato la responsabilità di questa carenza di personale nella poca disponibilità ad andare a lavorare in città o regioni lontane dal proprio luogo di residenza e, soprattutto, la individuano come conseguenza delle prestazioni di sostegno al reddito, a partire dal reddito di cittadinanza, che hanno l'effetto, in questa fase, di disincentivare la ricerca del lavoro.

Quanto detto va, poi, posto in diretta correlazione con le conseguenze della recente pandemia. Infatti, i lavoratori stagionali, in precedenza abituati a questa tipologia di lavoro, a seguito del COVID, hanno preferito allontanarsi dal settore turistico per ricercare un mercato del lavoro ritenuto più stabile, in grado di concedere maggiori garanzie ritenute necessarie per affrontare eventuali crisi simili future. A ciò si aggiunge la concorrenza estera che, nelle località di confine, riconosce paghe e stipendi più alti, qui non replicabili a causa della pressione fiscale elevata e dell'elevata tassazione.

Il mercato del lavoro nel settore, quindi, si dimostra vetusto e inefficiente, come più volte gli stessi imprenditori hanno denunciato. Forme di sostegno come il reddito di cittadinanza e la NASpI, oggi, non consentono al settore di crescere. Lo strumento dei buoni lavoro era stato introdotto molti anni fa, nel 2003, con la cosiddetta “riforma Biagi”, per facilitare la regolarizzazione e agevolare il ricorso a prestazioni di lavoro occasionale riservato a specifici settori e a platee di soggetti. Dopo diverse modifiche normative susseguitesi negli anni, oggi, ad esempio, il sistema dei voucher andrebbe ulteriormente migliorato, al fine di fornire una risposta concreta alle richieste di specifici settori, come quello alberghiero e agricolo.

Le imprese turistiche agricole stanno lamentando, in ogni parte d'Italia, le forti difficoltà del reperimento della manodopera, soprattutto con riferimento ai profili operativi, perché la fruizione del reddito di cittadinanza, in confronto al reddito da lavoro, costituirebbe un deterrente per accettare nuove occupazioni, mettendo così in seria difficoltà l'organizzazione delle riaperture nel settore turistico e della raccolta nei campi, minando le aspettative di recupero delle aziende in questi settori.

Il reddito di cittadinanza non era certamente stato proposto per scoraggiare il reimpiego dei disoccupati, ma, semmai, doveva essere, oltre che un mezzo di contrasto alla povertà, uno strumento di politica attiva del lavoro. È pur vero che, ad oggi, siamo in grado di verificare gli effetti dell'adozione della misura e, quando una misura non porta a tutti gli effetti desiderati per cui è nata, bisogna responsabilmente prenderne atto e correggerla. Di fatto, la prevista decadenza della percezione del sussidio in caso di mancata accettazione di un'offerta di lavoro congrua non costituisce allo stato attuale un deterrente efficace, anche perché l'incontro tra domanda e offerta di lavoro avviene in larga parte al di fuori dell'intermediazione pubblica.

Il Ministro Garavaglia ritiene fondamentale rivedere la disciplina del reddito di cittadinanza in modo da rimodularla per agevolare l'effettivo inserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro piuttosto che fornire una fonte di reddito non finalizzata in concreto a tale scopo. A tal fine, lo stesso Ministro si è spinto a proporre che metà del reddito di cittadinanza possa essere percepito dal lavoratore stagionale; l'ipotesi consentirebbe di rendere più appetibile il lavoro negli alberghi e nei ristoranti che non trovano camerieri e addetti. Si tenga altresì conto che la denunciata carenza di personale viene attualmente affrontata in via emergenziale, ma palesa un orizzonte temporale molto più lungo di quello in corso. Il dramma dell'occupazione estiva comprende anche il dimezzamento degli iscritti negli istituti scolastici che formano camerieri e cuochi, che sono passati da 60 mila a 30 mila in 5 anni. Il rischio principale negli anni è quello di perdere un flusso di turisti nel mercato nazionale e internazionale, con il rischio che gli stessi turisti orientino le proprie scelte verso altri luoghi e mete che sono stati in grado di migliorare la loro offerta di servizi, con conseguente impoverimento del comparto italiano.

Per quanto riguarda l'agricoltura, negli ultimi mesi la situazione dell'agricoltura italiana si è aggravata a causa dell'impennata dei prezzi dell'energia, ai quali si sono aggiunte le conseguenze della guerra in Ucraina in termini di approvvigionamento e di mercato, che rischiavano di vanificare il rilancio del settore agricolo. I rincari dell'energia hanno un impatto devastante sulla filiera dal campo alla tavola; si stima un aumento medio di un terzo dei costi di produzione dell'agricoltura a livello nazionale. Le aziende segnalano quotidianamente una crescita esponenziale dei costi legati all'energia elettrica e al gas, ma anche un aumento dei prezzi di carburanti, fertilizzanti, mangimi, macchinari e sementi.

Un'azienda agricola, solo se ha un reddito adeguato, ha le risorse necessarie per investire nella propria azienda, migliorarsi e crescere. In questo momento essere quanto più possibile autonomi nella produzione agricola e agroalimentare è fondamentale per garantire la sopravvivenza di questo settore. L'Italia è già vulnerabile sotto il profilo della dipendenza dall'estero, come abbiamo visto a seguito delle conseguenze derivanti dal caro energia e dal conflitto russo-ucraino; a ciò si aggiunge il recente e pesantissimo problema della siccità, che oggi è la calamità più rilevante per l'agricoltura italiana. Si rischia di innescare effetti davvero devastanti, fino ad arrivare a un punto di non ritorno per la sopravvivenza delle aziende agricole italiane. Sulla base di queste premesse, la Lega ha posto nella propria mozione alcuni punti che cerco di sintetizzare.

Dobbiamo risolvere alcuni problemi e cioè attenuare gli effetti distorsivi del mercato del lavoro nei comparti turistico, ricettivo, alberghiero e agroalimentare, al fine di incentivare il collocamento e la ricollocazione dei percettori della misura del reddito di cittadinanza, anche per contratti di lavoro stagionale. Questa è una cosa che chiedono direttamente le imprese turistiche e agricole. Dobbiamo assumere iniziative volte a migliorare e potenziare il mercato del lavoro, nonché le politiche attive, al fine di affrontare in concreto il problema della carenza del personale nel settore turistico. Dobbiamo intervenire per controllare gli effetti negativi del reddito di cittadinanza, della NASpI e di ogni altro sistema di sostegno del reddito sul mercato del lavoro nel comparto turistico e ricettivo.

Al fine di superare le criticità relative al reperimento di manodopera stagionale nei settori del turismo e dell'agricoltura ed evitare che misure come il reddito di cittadinanza possano costituire un ostacolo al reperimento del personale, dobbiamo rivedere la normativa in materia di offerta di lavoro legata ai percettori del reddito di cittadinanza, disponendo l'utilizzo di tali soggetti proprio per i lavori stagionali. E dobbiamo prevedere che il rifiuto a prestazioni di lavoro accessorio o occasionale da parte di tali soggetti costituisca un rifiuto di offerta congrua, con la conseguenza di applicare la revoca del sostegno.

Dobbiamo individuare misure mirate alla defiscalizzazione del costo del lavoro, al fine di operare una riduzione del cuneo fiscale che consenta alle imprese di proporre retribuzioni maggiormente competitive per il settore di riferimento. Dobbiamo individuare, mediante appositi interventi normativi, modalità di sostegno e incentivazione alla formazione dei giovani, al fine di incrementare le conoscenze nel comparto turistico-ricettivo mediante percorsi di studio e lavoro maggiormente professionalizzati. Dobbiamo regolamentare in maniera certa e uniforme il settore delle guide turistiche, con interventi che consentano agli operatori del settore di svolgere in modo professionale e continuativo la loro attività. Dobbiamo predisporre interventi volti a tutelare il comparto del made in Italy, migliorando e incrementando le forme di incentivazione alle imprese del settore, al fine di predisporre un'offerta turistica maggiormente competitiva, in grado di spingere i turisti a scegliere il nostro territorio nazionale come meta principale.

È importante individuare strumenti di sostegno al reddito dei pescatori, altro settore importante, anche sotto forma di indennizzi diretti delle giornate di pesca perse a causa del fermo delle attività dovuto al rincaro del costo del gasolio, e procedere, nel più breve tempo possibile, al pagamento dell'arresto, obbligatorio e non obbligatorio, che c'è stato nel settore della pesca nel 2021 - pagamento che i lavoratori della pesca ancora oggi stanno attendendo - per dare un giusto ristoro economico ai pescatori. Bisogna accelerare i tempi per consentire l'accesso ai pescatori della CISOA, la cassa integrazione istituita con la legge di bilancio 2022, che da gennaio 2022 spetta anche ai lavoratori della pesca.

Vanno adottate misure volte a calmierare o determinare un prezzo fisso alla pompa del gasolio agricolo utilizzato dal comparto ittico per lo svolgimento delle proprie attività, basate sul modello francese, al fine di evitare il blocco del comparto ittico, settore fondamentale per l'economia nazionale, nonché effettuare i dovuti e necessari controlli capillari sui prezzi applicati dai distributori di gasolio agricolo, affinché vengano arginati e bloccati eventuali fenomeni speculativi che si possono venire a creare ai danni dei pescatori in occasione delle variazioni dei prezzi determinati dall'andamento del mercato, al fine di tutelare pescatori e imprese la cui sostenibilità economica e sociale non sembra essere assicurata.

Dobbiamo prevedere l'estensione per tutto il 2022 del contributo straordinario, sotto forma di credito d'imposta, previsto nel decreto-legge n. 21 del 2022, riconosciuto alle imprese esercenti attività agricola e alla pesca, a parziale compensazione dei maggiori oneri effettivamente sostenuti per l'acquisto di gasolio e benzina per la trazione di mezzi utilizzati per l'esercizio della propria attività ed applicarlo anche per l'approvvigionamento dei concimi chimici utilizzati in agricoltura. È necessario adottare scelte strutturali, per rendere il nostro Paese autosufficiente dal punto di vista degli approvvigionamenti, aumentando la produzione nazionale, che porterebbe a una drastica riduzione della dipendenza del Paese dalle importazioni, sempre più esposte a tensioni internazionali di mercato che mettono a rischio la sovranità alimentare del nostro Paese.

È urgente prevedere, subito, uno stanziamento di risorse adeguate per indennizzare le imprese agricole per i danni subiti a causa della siccità e, pertanto, favorire interventi infrastrutturali di medio-lungo termine necessari ad aumentare le capacità di accumulo dell'acqua e la successiva ottimizzazione della gestione, dando precedenza al settore agricolo, per garantire la disponibilità dell'acqua.

Questi sono i punti, in linea di massima, presentati dalla Lega, su cui chiediamo vengano fatti una riflessione e un ragionamento da parte del Governo e di tutti gli altri gruppi, affinché si possa arrivare a una votazione unitaria della mozione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, in queste ore l'Italia sta vivendo ore di speranza e di preoccupazione; speranza, grazie alla ripartenza del turismo, che è tornato a rianimare le nostre città, che è tornato a rianimare la capitale, come vediamo in questi giorni e preoccupazione, per il numero di contagi e ricoveri che sta tornando a salire e che ci impone di non abbassare la guardia, per non vanificare i risultati che abbiamo compiuto nella lotta al virus grazie ai sacrifici di tutti noi e - diciamolo ancora una volta - allo straordinario lavoro del mondo della sanità del nostro Paese. Preoccupazione anche per il grido di allarme per la carenza di manodopera nelle nostre campagne e la forte richiesta che si leva nei confronti del Governo di intervenire sul “decreto Flussi”, per garantire più flessibilità e semplificazione. Preoccupazione per le drammatiche conseguenze della crisi economica ed energetica causata dall'invasione di Putin nei confronti dell'Ucraina.

In questo scenario, nazionale e internazionale, è fondamentale rivolgersi ai settori strategici e imprescindibili della nostra Nazione con messaggi chiari. Non è il momento della propaganda di partito, non è il momento delle bandierine; è il tempo dell'unità e della responsabilità. Voglio ringraziare i capigruppo in Commissione X e XIII, insieme alla collega Francesca Bonomo e a tutte le colleghe e i colleghi del PD, per il serio lavoro che portano avanti ogni giorno, per offrire risposte su questi temi e per avermi offerto l'occasione di intervenire, oggi, in Aula.

Come Partito Democratico, riteniamo sbagliato agitare il problema, grave e reale, come una clava, per colpire uno strumento, il reddito di cittadinanza, che non c'entra nulla con le questioni delle difficoltà del comparto turistico e del settore agricolo nel reperire risorse professionalmente qualificate.

Abbiamo bisogno di affrontare la questione seriamente. Dopo due anni di fermo, con aperture e chiusure a singhiozzo, il settore turistico-alberghiero e il settore agricolo hanno perso tantissimi lavoratori, non a causa della presunta concorrenza del reddito di cittadinanza, ma perché molti di questi lavoratori, proprio per le difficoltà che abbiamo attraversato, hanno deciso di puntare su altre professioni: professioni più sicure, meno esposte ai rischi di chiusura causate dalle restrizioni imposte per contenere il COVID, oppure che potessero offrire orari meno sacrificanti. Ad esempio, tante persone si sono riposizionate nella grande distribuzione o come corrieri. Inoltre, molti stranieri durante l'emergenza sono tornati nei loro Paesi d'origine. Con la ripartenza, indubbiamente, cresce la domanda di lavoro, ma si fatica a trovare personale stagionale, come ha evidenziato anche il Ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, parlando di un fabbisogno occupazionale di circa 300-350 mila profili, una larga parte dei quali introvabili. Unioncamere e ANPAL certificano un fabbisogno, tra maggio e luglio, di 387.720 lavoratori per i servizi di alloggio, ristorazione e turistici, lavoratori che devono essere professionalmente competenti e qualificati, che non possono improvvisare e che necessitano di una formazione specifica.

Con il tasso di disoccupazione all'8,3 per cento, che per i giovani tocca il 24,5 per cento, siamo nelle ultime posizioni tra i 27 Paesi dell'Unione europea. La mancanza di personale nell'industria del turismo evidenzia tutti i limiti del nostro mercato del lavoro, le carenze del sistema formativo e un'insufficiente collegamento con il mondo scolastico, senza dimenticare che in precedenza si era dovuto intervenire per contenere le ricadute negative di una situazione resa precaria e instabile dal COVID, e non da altro. Come ha avuto modo di dire il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando, aprendo i lavori del tavolo sul turismo, nella capitale, nel primo trimestre di quest'anno, per agevolare il ricorso agli ammortizzatori sociali siamo intervenuti con due specifiche norme a sostegno del settore turistico: l'esonero, fino al 31 marzo, del pagamento del contributo addizionale dovuto in caso di ricorso ai trattamenti d'integrazione salariale per i datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti; la previsione, poi, di ulteriori otto settimane di cassa, fruibili fino al 31 dicembre 2022, una volta esaurite le 13, fino a 5 dipendenti, o delle 26 settimane, da 6 a 15 dipendenti, riconosciute dalla riforma degli ammortizzatori.

I due interventi citati dal Ministro si collocano in un contesto più generale di riforma strutturale degli ammortizzatori sociali operata con la legge di bilancio, che ha esteso la platea di lavoratori coperti da integrazioni salariali. Il totale dei nuovi - e maggiormente - assicurati è pari a 12,4 milioni di lavoratori: 9,9 milioni dipendenti di aziende a cui viene estesa la CIGS; 1,5 milioni di datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, a cui viene, per la prima volta, riconosciuto l'assegno ordinario del FIS; un milione di lavoratori a cui viene riconosciuto l'assegno di integrazione salariale del FIS, in affiancamento alla CIGS. Una parte rilevante dei lavoratori inclusi per la prima volta nel sistema degli ammortizzatori sociali riguarda proprio quello degli impiegati nel settore del turismo. L'estensione della CIGS anche alle imprese del turismo che occupano più di 15 dipendenti, ha aggiunto il Ministro Orlando, consente di dotare le imprese del settore di strumenti di gestione della crisi e di processi di trasformazione e riorganizzazione, salvaguardando i livelli occupazionali e investendo sulle competenze delle persone.

Il nuovo strumento si accompagna, infatti, a mirate politiche attive che potranno essere attivate dalle regioni ovvero dalle imprese ricorrendo ai fondi interprofessionali. È proprio su questi processi di trasformazione e di riorganizzazione che dobbiamo orientare la nostra attenzione.

La fetta più consistente di carenze riguarda il comparto dei pubblici esercizi. Mancano all'appello 194 mila lavoratori per tornare ai livelli del 2019. Secondo gli studi di FIPE-Confcommercio, si sono persi 244 mila lavoratori nel 2020, di cui 116 mila con contratti a tempo indeterminato, mentre nel 2021 si sono recuperate poco meno di 50 mila unità. Tra le figure più difficili da reperire nel settore turistico vi sono il personale di sala, l'aiuto cuoco, il barman. Tra il 2020 e il 2021, rispetto al 2019, nel turismo si sono persi, come saldo tra cessazioni e nuove attivazioni, centinaia di migliaia di posti lavoro, soprattutto tra le lavoratrici e i lavoratori già in condizioni di precarietà nel pre-pandemia. Si tratta di un settore in cui il 70 per cento del lavoro è irregolare, il 40 per cento precario, il 60 per cento a tempo parziale, con retribuzioni notevolmente più basse rispetto a qualsiasi altro settore economico o produttivo del nostro Paese, e l'80 per cento dei lavoratori è sotto-inquadrato o inquadrato a livelli inferiori della contrattazione nazionale.

Con la fine, al 31 dicembre 2021, del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione con causale COVID, la situazione è ulteriormente peggiorata. Sono molte le imprese che, pur avendo potuto contare su sostegni e ristori e compensare il fatturato non realizzato nel 2020-2021, hanno avviato una campagna di licenziamenti indiscriminati di massa. La situazione, al di là della temporanea ripresa estiva, resta preoccupante in alcune delle città d'arte, per il turismo d'affari, per le agenzie di viaggio, per i tour operator, per il settore dell'education. Un problema che, dopo la pandemia, riguarda il turismo europeo e non solo quello di casa nostra. Infatti, mettendo insieme i dati delle organizzazioni dell'ospitalità e della ristorazione dei principali Paesi dell'Unione europea, emerge che attualmente ci sarebbero oltre 900 mila posti di lavoro vacanti, di cui ben due terzi solo in Francia e in Italia. Le imprese transalpine sono quelle che lamentano il buco più ampio in termini assoluti: 361 mila, secondo un recente sondaggio dell'Agenzia per il lavoro francese. Il Governo sta cercando di correre ai ripari, di concerto con i datori di lavoro, per un aumento dei salari nel settore turistico. In Provenza è stato stanziato un fondo da un milione di euro per la formazione del personale turistico. In Italia la carenza ammonta a 300 mila addetti e l'Esecutivo, secondo quanto emerso in queste ore, starebbe valutando un meccanismo per conciliare reddito di cittadinanza e lavoro stagionale, non per metterli in contrapposizione. Sul terzo gradino del podio per mancanza di camerieri, cuochi e altro personale per il settore turistico, c'è la Spagna, dove l'associazione di categoria delle piccole e medie imprese ha stimato che 100 mila posti di lavoro restano ancora vuoti, nonostante la stagione turistica sia, di fatto, già iniziata. Qui il Governo ha da poco varato una riforma del lavoro che, nelle intenzioni di Madrid, dovrebbe dare più certezza di stabilità agli stagionali e, quindi, aiutare a coprire i posti vacanti. In realtà, lo stesso Governo sta pensando di usare la leva dei migranti, favorendo i visti per il lavoro per gli stranieri. Anche i Paesi Bassi stanno facendo i conti con una carenza storica di personale. Secondo l'Ufficio nazionale di statistica, sono circa 45 mila i posti vacanti. Nella sola ristorazione, mancano 111 lavoratori su 1.000 posti disponibili, il doppio rispetto all'anno passato. Mai, in alcun settore economico, era stato raggiunto un tasso del genere, in Olanda.

Porre al centro il lavoro per migliorare la situazione di milioni di addetti del settore, garantendo loro diritti e tutele per approdare a una nuova normalità nel nuovo mondo oltre COVID-19, a un lavoro nuovo e a un modello di filiera più sostenibile e responsabile, con l'obiettivo di determinare anche il rinnovo dei contratti nazionali e le condizioni di un'occupazione stabile, regolare e dignitosa, è il nostro obiettivo. Siamo, e saremo sempre, dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, per offrire risposte concrete alle categorie interessate, per portare avanti il dialogo con le imprese, per garantire effettivamente il lavoro nei settori strategici, affrontando i problemi con serietà e responsabilità, senza strumentalizzazioni, senza semplificazioni, senza scorciatoie, senza scaricare le responsabilità. Questo è l'approccio che sosteniamo. In questa direzione va l'impegno del Governo e in questa direzione va il sostegno del gruppo del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge costituzionale: Barelli ed altri: “Modifica all'articolo 114 della Costituzione, in materia di ordinamento e poteri della Città di Roma, capitale della Repubblica” (A.C. 1854-A​) e delle abbinate proposte di legge costituzionali: Morassut ed altri; Ceccanti; Meloni ed altri (A.C. 2938​-2961​-3118​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale n. 1854-A: “Modifica all'articolo 114 della Costituzione, in materia di ordinamento e poteri della Città di Roma, capitale della Repubblica” e delle abbinate proposte di legge costituzionali nn. 2938-2961-3118.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 17 giugno 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 17 giugno 2022).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1854-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari Fratelli d'Italia e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Annagrazia Calabria.

ANNAGRAZIA CALABRIA, Relatrice. Grazie, Presidente. La proposta di legge costituzionale oggi in esame è il risultato dell'imponente lavoro svolto in sede referente dalla Commissione Affari costituzionali. Di questo testo ho avuto l'onere, e l'onore, ancora più sentito, da cittadina romana da sempre molto attenta ai temi della mia città, di essere relatrice, insieme al mio collega, il professor Ceccanti, e posso testimoniare che, davvero, questo articolato è il frutto di un dibattito e di un confronto intensi, plurali e condivisi cui hanno partecipato non solo tutte le forze politiche dell'arco parlamentare, ma anche molte delle istituzioni che, in questo processo, sono coinvolte.

Nella mia relazione, Presidente, vorrei sinteticamente illustrare i contenuti del provvedimento, per poi svolgere alcune considerazioni più politiche, a mio avviso fondamentali anche per l'ulteriore corso che la riforma – se, come auspico, verrà approvata - dovrà avere. La proposta di legge costituzionale oggi in esame è il risultato, appunto, di un lungo esame svolto in Commissione; si compone di due articoli ed è volta a modificare l'articolo 114 della Costituzione, quest'ultimo, così come modificato con la legge costituzionale n. 3 del 2001, stabilisce che: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, riconoscendo in tale modo la pari ordinazione degli enti costitutivi della Repubblica. Con la stessa riforma, al terzo comma, si inseriva un riferimento a Roma, capitale della Repubblica.

La riforma che stiamo esaminando fa un ulteriore passo in avanti rispetto a quella del 2001, al fine di valorizzare l'autonomia normativa, amministrativa e finanziaria di Roma Capitale. A tale ente si attribuiscono così i poteri legislativi nelle materie ricomprese negli ambiti di competenza legislativa concorrente, esclusa la tutela della salute, e residuale delle regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Entrando nel particolare, l'articolo 1 sostituisce integralmente il secondo periodo del terzo comma dell'articolo 114 della Costituzione, confermando l'attuale previsione che affida alla legge dello Stato la disciplina dell'ordinamento di Roma Capitale, costituzionalizzando, al contempo, il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia normativa, amministrativa e finanziaria in capo a Roma Capitale, da attribuire con legge. Rispetto a quanto attualmente stabilito dalla legge n. 42 del 2009, ossia dalla legge delega sul federalismo fiscale, che assegna a Roma Capitale una speciale autonomia statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione, all'articolo 24, la nuova formulazione fa riferimento in particolare all'autonomia normativa di Roma capitale e rafforza il richiamo all'autonomia finanziaria, stabilendo che devono essere assicurati adeguati mezzi e risorse per lo svolgimento delle sue funzioni.

A Roma Capitale sono, inoltre, attribuiti poteri legislativi nelle materie che attualmente sono oggetto di potestà legislativa concorrente, all'articolo 117, terzo comma, e di potestà legislativa regionale residuale, individuate con lo statuto speciale di Roma Capitale, in ogni caso, escludendo l'attribuzione di poteri legislativi nella materia della tutela della salute. È così introdotta nella Costituzione la previsione di uno statuto speciale per Roma e la definizione della relativa procedura di adozione, a maggioranza dei due terzi dei componenti dell'assemblea capitolina, sentita la regione Lazio, unitamente al contenuto necessario dello stesso. Viene, infine, specificato, al medesimo articolo 114 della Costituzione, che a Roma Capitale, nell'esercizio delle sue funzioni amministrative, spetta assicurare forme di decentramento.

L'articolo 2, comma 1, della proposta di legge costituzionale prevede che la legge costituzionale entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, successiva alla promulgazione. Il comma 2 stabilisce che lo statuto speciale di Roma Capitale sia adottato entro un anno dall'entrata in vigore della legge costituzionale.

Inoltre, è disposto che, a seguito dell'entrata in vigore dello statuto speciale, a Roma Capitale si applichino le disposizioni di cui gli articoli 127 e 134 della Costituzione che attualmente fanno riferimento allo Stato e alle regioni in merito al procedimento per promuovere le questioni di legittimità e i conflitti di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. Infine, si stabilisce che le norme di attuazione dello statuto speciale siano adottate con una legge dello Stato, sentite Roma Capitale e la regione Lazio.

Questo è l'articolato su cui la Commissione affari costituzionali si è espressa in senso favorevole, a larghissima maggioranza. Tuttavia, Presidente, mi consenta anche di relazionare brevemente l'Aula sul grande lavoro che c'è stato dietro a questo testo perché, come ho detto, il provvedimento che oggi discutiamo è davvero il frutto di un'imponente attività di ascolto delle diverse istanze istituzionali. La Commissione ha audito numerosi costituzionalisti, tra cui Beniamino Caravita di Toritto, al quale va il mio e il nostro affettuoso ricordo, e ha ascoltato e recepito le esigenze delle associazioni rappresentative del mondo produttivo e le osservazioni del mondo accademico e culturale, con uno studio attento e complesso, durato oltre un anno, teso a contemperare in modo equilibrato e trasversale le diverse istanze e i diversi bisogni nella consapevolezza dell'importanza dell'obiettivo che ci siamo prefissi.

Per comprenderne la portata, credo che sia utile fare ricorso ad alcuni dati: Roma è la decima città al mondo per congestione del traffico e la seconda per numero di ore passate in auto: è la città in cui si pagano le tasse più alte d'Italia, a fronte dei servizi più bassi; è la capitale d'Italia, in cui ci sono i Ministeri, gli organi costituzionali, le ambasciate, la FAO, il Vaticano; Roma ha la provincia più estesa e popolosa d'Italia; Roma è la città che ogni giorno ospita manifestazioni nazionali; è il comune agricolo più grande d'Europa; Roma ospita il 70 per cento del patrimonio artistico italiano e il 30 per cento del patrimonio artistico mondiale. Insomma, Roma è la città in cui interessi locali e interessi nazionali si intrecciano in un contesto senza eguali. Questi numeri, più di molte altre parole, descrivono la situazione che vive Roma, quella di moltissime potenzialità inespresse. Ecco perché, con questa riforma che senza infingimenti definisco epocale, il Parlamento ha davvero la possibilità di dare vita a una nuova fondazione della città, ricostruendola, appunto, su nuove e più solide fondamenta giuridiche, legislative e amministrative.

Abbiamo la possibilità di dotare Roma di un'architettura amministrativa e di poteri tali da metterla finalmente in condizione di rendere efficace la propria azione, adeguandola alla sua specifica realtà demografica, economica e sociale e mettendola così finalmente nelle condizioni di poter competere alla pari con le altre capitali occidentali. Questo anche grazie all'applicazione virtuosa di quel principio di sussidiarietà che, proprio in una grande città in cui convivono realtà diverse, caratterizzate da esigenze e da bisogni differenti, si configura come la strada migliore per offrire risposte efficaci alle richieste e ai bisogni dei cittadini. In questa direzione va, infatti, la previsione della possibilità per il Campidoglio di delegare maggiori poteri amministrativi ai municipi che, nel quadro romano, sono spesso enti assai vasti e dotati di una forte legittimazione democratica, grazie all'investitura elettorale.

I municipi romani, infatti, rappresentano davvero punti nevralgici nella gestione amministrativa del territorio, sono davvero una realtà unica nel panorama nazionale. Sono eletti, infatti, direttamente dai cittadini e hanno dimensioni territoriali e demografiche superiori, anche di gran lunga, a quelle di moltissimi comuni italiani. Basti pensare che in alcuni casi arriviamo a più di 300.000 abitanti e a quasi 200 chilometri quadrati di estensione. Immaginare che nel comune, come un Leviatano, possano essere accentrati tutti i poteri e tutte le decisioni che con la riforma saranno ancora maggiori vorrebbe dire determinare un gigantesco appesantimento burocratico. Noi, invece, vogliamo semplificazione, vogliamo riduzione degli oneri amministrativi per cittadini e imprese e siamo certi che per questo i municipi, così come potenziati, le possano garantire. Saranno inoltre molti gli aspetti della città che, grazie a questa riforma, potremo cambiare, che potrà cambiare l'amministrazione. Gli esempi di materie devolvibili sono infatti molti e molto concreti e incidono tutti direttamente sulla vita quotidiana dei cittadini. Penso, innanzitutto, all'edilizia residenziale pubblica, con la possibilità di ripensare il tema delle case popolari, pianificando e costruendo senza alcun dispendio burocratico e senza incappare in quei blocchi, in quei veti che ora si creano nei diversi passaggi istituzionali. Ancora, penso alla formazione professionale, con la creazione di figure specifiche ad hoc dedicate all'unicum romano, ad un sistema efficace di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, alle politiche commerciali e a quelle per il turismo, che lasciano aperti scenari amplissimi che l'amministrazione potrà colmare. Senza dimenticare il nodo dei trasporti, con la possibilità di ripensare tutte le reti, dalla metropolitana al grande raccordo anulare, dalle consolari fino alla navigazione del Tevere, che potrà essere potenziata, aprendo nuove, nuovissime prospettive di mobilità. Infine, ma non certo per importanza, penso alla valorizzazione dei beni culturali, che consentirà a Roma di gestire, con soluzioni inedite, un patrimonio che, come ho detto, ha lei e solo lei al mondo. Alla luce di tutto questo, parlare di una vera e propria rifondazione della città non è davvero un'esagerazione perché con questa riforma abbiamo l'opportunità di colmare non solo un vulnus giuridico, ma anche il vuoto creato dalla mancanza di un sogno condiviso, per restituire alla città una dimensione di memoria, di identità e permettere davvero, come ho avuto modo di dire, che Roma si ponga allo stesso livello delle altre capitali europee. Infatti, possiamo conferire alla città le precondizioni necessarie per poterla rendere di nuovo attrattiva per gli investimenti e per gestire al meglio le risorse del Recovery Plan che, insieme al Fondo complementare, porterà a Roma 8,2 miliardi di investimenti per la mobilità e per il turismo, per interventi destinati a risorse idriche, case e rigenerazione urbana, nonché 500 milioni per il progetto “Roma caput mundi”, integrando il futuro di Roma con gli assi strategici del piano, con lo sviluppo intelligente, l'economia circolare, l'inclusione territoriale.

Un aspetto che la Commissione ha ritenuto essenziale, trasfuso poi nel testo, è che tutto quello che vi sto dicendo non sia un libro dei sogni e che la riforma non sia tradita, come spesso accade, in sede attuativa; l'attuazione, infatti, avverrà entro tempi certi e definiti.

Abbiamo inserito dentro la riforma un'apposita clausola secondo cui, entro un anno al massimo, Roma dovrà adottare il suo statuto. Proprio in vista di questa attuazione, mi sembra necessario, da relatrice, esprimere un indirizzo per i futuri sviluppi. L'architettura delle fonti della riforma stabilita in Commissione, che vede la legge dello Stato disciplinare l'ordinamento di Roma e lo statuto capitolino selezionare le materie, è il frutto della necessità di assicurare il ruolo e le prerogative di tutte le istituzioni coinvolte, dal Parlamento a Roma Capitale, sul presupposto che Roma è sia una città, un territorio che appartiene e che rappresenta i cittadini romani, sia la capitale della Repubblica, che assolve a funzioni di rilievo nazionale per tutti gli italiani. Questa architettura presuppone che, necessariamente, lo Stato e Roma dovranno procedere su due binari paralleli, in costante raccordo e leale collaborazione. Sarà assolutamente fondamentale che la legge statale, che disciplina l'ordinamento e, soprattutto, le risorse, sia elaborata in funzione delle materie e delle competenze che Roma sceglierà di assumere; viceversa, le funzioni senza risorse sono un vuoto fantasma.

Tracciando un bilancio del lavoro fatto, mi chiedo, ci chiediamo: avremmo potuto fare di più? Sicuramente sì, avremmo potuto fare di più ma il risultato che abbiamo ottenuto, cari colleghi, rappresenta un più che buon punto di arrivo rispetto ai bisogni della capitale e dei suoi cittadini che, da troppo tempo, si levano, senza che le istituzioni li ascoltino. E, allora, proprio le istituzioni coinvolte, tutte e al di là del colore politico contingente, avranno l'onore e l'onere di cogliere e di vincere la sfida di questo ambizioso, ambiziosissimo progetto che, in questi giorni, licenziamo, perché questo provvedimento metterà al servizio delle classi dirigenti uno strumento formidabile ma, per fare buon uso di questa riforma, saranno necessari visione, progettualità e amore per Roma.

Concludo con un auspicio, Presidente e colleghi, che riflette la consapevolezza che Roma debba essere il motore trainante di un'Italia che prova a ripartire: l'auspicio è che questo tema sia non di interesse locale ma di interesse nazionale.

Sappiamo che, proprio in questo contesto di riforme, è necessario compiere un'opera complessa, complessiva, generale, di rammendo tra i territori, tra il Nord e il Sud della Nazione, con le diverse e tra le diverse istanze dei territori, anche quelle del Centro, anche quelle della capitale ed è ormai improrogabile rimettere ordine nel rapporto tra Stato e regioni, sfilacciato dalla tensione generata dalle continue forze centripete verso un accentramento statale e una forza, uguale e contraria, di tipo opposto, quindi centrifuga, verso il regionalismo differenziato. Sappiamo bene che il tempo non gioca a nostro favore, ma, con uno slancio di responsabilità da parte di tutte le forze politiche, approvare questa riforma entro la fine della legislatura è sicuramente possibile, Presidente. È un'occasione attesa da troppo tempo, improrogabile, improcrastinabile, non possiamo perdere ulteriore tempo, perché, se non riparte Roma, non riparte l'Italia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di farlo successivamente. È iscritto a parlare il deputato Andrea Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, la proposta di riforma costituzionale sui poteri di Roma capitale, adottata dalla Commissione affari costituzionali, che oggi presentiamo in discussione generale, è un passo avanti importante per il Paese, perché far funzionare meglio la capitale è interesse di tutta la Nazione e può avvenire solo attraverso un percorso di scelte e azioni politiche coerenti che faccia tesoro delle esperienze maturate in questi anni e dei limiti dimostrati dall'attuale sistema. È necessario intervenire rispetto al vigente articolo 114 per precisare meglio le specificità di Roma capitale, anche attraverso l'attribuzione di responsabilità legislative nell'ambito della collaborazione con lo Stato e la regione Lazio. È tempo di chiudere la lunga stagione del braccio di ferro sui poteri per definire finalmente, insieme, il ruolo giuridico della capitale, partendo dal pieno riconoscimento della funzione politica, sociale, economica e culturale che deve esercitare, riconoscendole maggiore autonomia, anche legislativa, e risorse finalmente adeguate, sempre nel pieno rispetto del principio di leale collaborazione nei rapporti tra Roma, la regione e il Paese. È un tema che non riguarda solo chi, oggi, è chiamato a guidare le istituzioni coinvolte; non riguarda solo il sindaco Gualtieri, il presidente Zingaretti, il Premier Draghi, non riguarda solo le forze politiche e sociali che sostengono attualmente queste esperienze di Governo: riguarda la qualità della vita quotidiana di milioni e milioni di cittadini, ben oltre il peso demografico ufficiale di Roma che ammonta a 2.872.000 residenti. Se consideriamo anche le persone che pernottano a Roma almeno cinque giorni a settimana, raggiungiamo i 3,3 milioni; se aggiungiamo i city user, ovvero circa mezzo milione di persone quotidianamente presenti in città, arriviamo a 4 milioni e mezzo; non stiamo parlando solo di romane e romani, ma anche del turismo che, da ogni parte del mondo, sta tornando a visitare le vie e le strade della città eterna, nella nuova fase della lotta al virus che abbiamo raggiunto grazie allo straordinario lavoro della sanità italiana, del Lazio e ai sacrifici di ciascuno di noi. Riguarda il ruolo dell'Italia nel mondo, perché la capitale è sempre il nostro biglietto da visita; non è solo la nostra storia, ma anche il nostro futuro e sta a noi fare in modo che possa essere pienamente locomotiva della ripartenza e dello sviluppo del Paese. Per questa ragione è molto importante che questa discussione avvenga proprio oggi nelle ore drammatiche in cui la città combatte, unita, contro le tragiche conseguenze dell'incendio che ha colpito il TMB di Malagrotta, non solo perché discutere oggi di Roma può consentirci di ribadire il pieno sostegno al lavoro del sindaco, dell'assessore Alfonsi e dei presidenti dei municipi interessati per assicurare la sicurezza dei cittadini e delle cittadine, garantire sbocchi alternativi per la raccolta e portare avanti il piano per la costruzione di impianti moderni, sicuri ed efficienti, che consentano anche a Roma di chiudere il ciclo dei rifiuti, come avviene in tutte le capitali europee, ma, soprattutto, perché ci offre l'opportunità di rivolgere a Roma, da quest'Aula, a partire da questa proposta, da questa discussione generale, un'assunzione di responsabilità verso la capitale, che sottolinea la funzione storica che oggi più che mai è chiamata ad assumere. In questo senso, voglio ringraziare la Commissione affari costituzionali per l'intenso e approfondito lavoro che ci ha consentito, partendo dalle proposte a prima firma del collega Morassut, del collega Barelli e della collega Meloni, di giungere in Aula con un unico testo. In particolar modo, fatemi ringraziare i relatori Ceccanti e Calabria, anche per aver accolto, nelle riformulazioni proposte, il contributo degli emendamenti presentati. Il testo adottato collega direttamente il riconoscimento dell'autonomia normativa, amministrativa e finanziaria alle risorse e ai mezzi necessari a Roma capitale per esercitarla, riconosce l'iniziativa ed il protagonismo del Campidoglio nel processo di attribuzione dei poteri mediante statuto ed inoltre consente di continuare ad operare a Costituzione vigente, nelle more della riforma, per poter assicurare, attraverso nuovi interventi legislativi, al sindaco i migliori strumenti per affrontare e risolvere i problemi e portare avanti la collaborazione avviata, insieme al Governo Draghi e alla regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti. È una scelta chiara e unitaria, nell'interesse della capitale e di tutto il Paese, che va sostenuta con convinzione; una scelta che dimostra un clima di collaborazione e unità tra le forze politiche, requisito indispensabile per riuscire a portare a compimento, nell'ultimo scorcio di legislatura, questo intervento e per realizzare, il prima possibile, la seconda parte dell'impegno che abbiamo condiviso in Commissione, approvando al più presto anche l'intervento legislativo a Costituzione vigente, che serve alla capitale. Nell'esperienza degli ultimi vent'anni, dalla riforma costituzionale del 2001, le oscillazioni tra le istanze accentratrici e quelle del regionalismo differenziato sono sempre più ricorrenti e sono state finanche accentuate dalla pandemia, come ha constatato, nella sua audizione in Commissione affari costituzionali, il 6 aprile 2021, il compianto professor Caravita, che voglio ricordare oggi in quest'Aula per il prezioso contributo offerto a questo percorso. Ciò è ancora più vero nel caso dell'amministrazione delle grandi aree, soprattutto urbane, che di fatto non riconosce una disciplina sistematica organica. Con la riforma del 2001, il ruolo di capitale dello Stato trova finalmente il suo ancoraggio costituzionale ma, dal punto di vista attuativo, le conseguenze derivanti da tale riconoscimento sono rimaste incerte negli anni e non hanno trovato il giusto spazio nel dibattito politico. La prima disciplina attuativa del terzo comma dell'articolo 114 della Costituzione, rimasta però nella sostanza lettera morta, è stata quella della legge sul federalismo fiscale del 2009 ove, sulla scorta della maggiore autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali, si prevedeva un regime peculiare per Roma, in quanto capitale della Repubblica. Poi vi è stato il tentativo operato dalla legge Delrio che, nella sua applicazione, non ha però mai raggiunto l'obiettivo di risolvere la questione del rapporto tra la città metropolitana di Roma e Roma, nella sua funzione di capitale. A livello europeo, invece, molte capitali hanno già da tempo funzioni legislative separate per competenza e non ordinate per gerarchia rispetto a quelle statali; ad esempio, Bruxelles, Berlino, Vienna e Madrid hanno lo statuto delle rispettive entità substatali, ovvero quella della regione nel caso di Bruxelles, quella del Land nel caso di Berlino e Vienna e della comunità autonoma per Madrid.

La proposta di legge costituzionale, nel testo risultante dall'esame svolto in sede referente dalla I Commissione, si compone di due articoli ed è volta a riformare l'articolo 114 della Costituzione, al fine di valorizzare l'autonomia normativa, amministrativa e finanziaria di Roma capitale, attribuendo inoltre a tale ente poteri legislativi nelle materie attualmente ricomprese negli ambiti di competenza legislativa concorrente, esclusa la tutela della salute, e residuale delle regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. In particolare, l'articolo 1 sostituisce integralmente il secondo periodo del terzo comma dell'articolo 114 della Costituzione, confermando l'attuale previsione che affida alla legge dello Stato la disciplina dell'ordinamento di Roma capitale, costituzionalizzando al contempo il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia normativa, amministrativa e finanziaria in capo a Roma capitale da attribuire con legge. Rispetto a quanto stabilito dalla legge n. 42 del 2009, legge delega del federalismo fiscale, che assegna a Roma capitale una speciale autonomia statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione (articolo 24), la nuova formulazione fa in particolare riferimento all'autonomia normativa di Roma capitale e rafforza il richiamo all'autonomia finanziaria, stabilendo inoltre che devono essere assicurati adeguati mezzi e risorse per lo svolgimento delle sue funzioni. A Roma capitale sono inoltre attribuiti poteri legislativi nelle materie che attualmente sono oggetto di potestà legislativa concorrente (articolo 117, terzo comma, della Costituzione) e di potestà legislativa regionale residuale (articolo 117, quarto comma, della Costituzione), individuati con lo statuto speciale di Roma capitale, in ogni caso escludendo l'attribuzione di poteri legislativi nella materia della tutela della salute.

È così introdotta nella Costituzione la previsione di uno statuto speciale di Roma Capitale, la definizione della relativa procedura di adozione - a maggioranza dei due terzi dei componenti l'Assemblea capitolina, sentita la regione Lazio -, unitamente al contenuto necessario allo stesso. Viene, infine, specificato, al medesimo articolo 114 della Costituzione, che a Roma Capitale, nell'esercizio delle funzioni amministrative, spetta assicurare forme di decentramento. L'articolo 2, comma 1, della proposta di legge costituzionale prevede che la legge costituzionale entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e successiva promulgazione, mentre il comma 2 stabilisce che lo statuto speciale di Roma Capitale sia adottato entro un anno dall'entrata in vigore della legge costituzionale. Inoltre, è disposto che, a seguito dell'entrata in vigore dello statuto speciale, a Roma Capitale si applichino le disposizioni di cui agli articoli 127 e 134 della Costituzione, che attualmente fanno riferimento allo Stato e alle regioni, in merito al procedimento per promuovere la questione di legittimità e i conflitti di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale. Infine, si stabilisce che le norme di attuazione dello statuto speciale siano adottate con una legge dello Stato, sentite Roma Capitale e la regione Lazio.

Tale schema è analogo a quello previsto dalla Costituzione per la disciplina della Corte costituzionale, che vede la compresenza dell'intervento della legge costituzionale per alcuni profili e quello della legge ordinaria, in attuazione della prima, per altri.

La direzione del testo è esattamente quella che il sindaco Gualtieri ha auspicato e indicato durante il suo ultimo intervento nella Commissione Roma Capitale dello scorso 23 giugno. Il tema che ci dobbiamo porre oggi non è solo di dare di più a Roma, ma di capire insieme come consentire alla capitale di fare meglio, semplificando le procedure burocratiche e razionalizzando atti e provvedimenti.

Alcuni dati attuali possono aiutarci a comprendere come sia insostenibile l'attuale situazione. Con riferimento al sottofinanziamento della spesa per il personale, oggi Roma riceve 393 euro per abitante, contro, ad esempio, i 724 di Milano. Quanto al trasporto pubblico locale, si osserva che il criterio della popolazione non viene praticamente mai preso in considerazione.

Infine, la cifra di 110 milioni di contributo a Roma Capitale, fissato dalla legge n. 190 del 2014 per il cosiddetto costo delle funzioni di capitale, risulta ampiamente sottostimato. La richiesta che ci giunge dalla città, la richiesta che ci giunge dal Campidoglio è di non inquadrare il tema della dotazione finanziaria come mera richiesta di risorse aggiuntive, ma di lavorare insieme a un nuovo accordo tra lo Stato e Roma Capitale, un vero e proprio contratto di servizio, che i due enti - per favorire un pieno adempimento delle funzioni di Capitale e, al tempo stesso, migliorare la qualità dell'azione amministrativa e dei servizi che Roma offre alla collettività nazionale, con ricadute positive per l'intero Paese - scelgono di sottoscrivere. È un percorso che finalmente potrebbe liberare potenzialità inespresse, come nel caso del Tevere, per la cui valorizzazione e manutenzione oggi sono coinvolti soggetti statali, soggetti regionali e soggetti locali e che, invece, se pienamente affidato a un unico soggetto, potrebbe diventare per la città una straordinaria leva di sviluppo e coesione sociale, come è per tante altre grandi città d'Europa e del mondo il fiume che le attraversa, come auspicato dal sindaco durante l'audizione in Commissione affari costituzionali, come contenuto nelle linee programmatiche approvate dall'attuale amministrazione capitolina. Ma non solo in questa direzione dobbiamo muoverci, perché, parallelamente, in taluni casi, può essere utile anche il contrario, con lo spostamento in capo allo Stato di alcune funzioni già comunali. Voglio fare un esempio concreto: grazie alla disponibilità del Governo e all'emendamento che abbiamo presentato durante il processo di conversione del “DL Infrastrutture”, il primo della mia esperienza di parlamentare eletto nelle suppletive del collegio Roma 11-Primavalle, abbiamo consentito a Roma Capitale di avvalersi del contratto di programma tra ANAS e MIMS per la manutenzione di alcuni tratti urbani delle grandi consolari. In questo caso, abbiamo già visto come possa essere estremamente fruttuosa la convenzione tra Roma Capitale e ANAS SpA, che ha garantito ottimi risultati in tempi record, garantendo, in soli 33 giorni, la realizzazione di 30 chilometri di piano viabile che versava in pessime condizioni, con il rifacimento profondo della pavimentazione di alcune strade, come via Salaria, via Portuense e via Casilina, un metodo vincente, che oggi viene nuovamente considerato tra le misure di accelerazione per la realizzazione delle opere per la viabilità della città di Roma, verso il Giubileo del 2025, contenute all'articolo 1 del decreto-legge n. 68 del 16 giugno 2022, avente ad oggetto “Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della mobilità sostenibile”.

Fare meglio non vuol dire per forza dare più poteri, significa stabilire insieme chi può realizzare gli interventi necessari in tempi più rapidi, con minori costi per la collettività e con migliori risultati, e articolare tutta la discussione sui poteri in maniera funzionale a garantire che Roma Capitale, insieme allo Stato e alla regione Lazio, possa essere messa nelle migliori condizioni di poterlo fare. In questa direzione, è indispensabile che la discussione di oggi e l'approvazione di questo testo alla Camera, e poi speriamo presto al Senato, spronino tutti e tutte noi a rafforzare l'impegno per procedere al più presto, a legislazione costituzionale vigente, con un intenso raccordo con regione e comune, per poter subito cominciare a conferire competenze oggi statali a Roma Capitale, per step successivi, nei tempi più rapidi possibili. Per vincere le sfide impegnative che l'Italia ha davanti, infatti, dalla piena attuazione del PNRR, al Giubileo 2025, fino all'EXPO del 2030, il ruolo della capitale è decisivo e non abbiamo neanche un minuto da perdere. E procedere in questa duplice direzione, intervenendo a Costituzione vigente lungo la via della riforma che può completare e coronare questo percorso, può essere il modo migliore per offrire finalmente le risposte concrete, che per troppo tempo sono mancate. Un impegno che deve riguardare tutta la classe dirigente nazionale, tutte le forze politiche e sociali, tutte le persone che hanno a cuore il destino del nostro Paese e che vedrà sempre il pieno sostegno del gruppo del Partito Democratico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Sibilia, finalmente, viene da dire, oggi discutiamo di Roma Capitale e della sua possibile disciplina. Ma non dobbiamo dimenticare, colleghi, che dietro questa problematica c'è l'intreccio, diventato inestricabile, di una rottura drammatica del rapporto tra territori e istituzioni. Di fronte alle modifiche intervenute nell'organizzazione sociale in Italia negli ultimi venti anni, abbiamo tentato di riscrivere il disegno territoriale delle nostre istituzioni, ma il tentativo è stato fallimentare ed è sotto gli occhi di tutti.

Occorre uno sforzo culturale e politico per venirne a capo e spetta sicuramente al Parlamento rimettere ordine nel rapporto tra Stato e regioni, anche a causa del pendolo continuo tra voglia di accentramento e fughe verso il regionalismo differenziato, nella vicenda sempre più teoricamente e istituzionalmente complicata della disciplina delle aree vaste, ivi comprese le città metropolitane, altro storico fallimento amministrativo. Si sono abolite le province per creare le aree metropolitane, che sono enti fantasmi, che farebbero impazzire l'estro letterario di Buzzati, perché sono “non luoghi”, dove nulla accade e non si capisce chi è responsabile di cosa.

Finalmente, approda in Aula il compimento della riforma di Roma Capitale: compimento, e già viene da sorridere, perché, vedete, una PDL costituzionale che modifica l'articolo 114 della Costituzione, riconoscendo l'autonomia normativa, amministrativa e finanziaria di Roma Capitale, a cui sono attribuiti i poteri legislativi propri, arriva sicuramente e certamente con colpevole ritardo. Tutte le proposte di legge presentate, costituzionali e ordinarie, rispondono alla comune e condivisa esigenza di pervenire ad una soluzione della questione romana, attraverso strumenti in grado di fondare un nuovo patto per la capitale, tra la Repubblica, le sue istituzioni e, ovviamente, il popolo italiano.

Ripercorriamo, però, le tappe parlamentari, colleghi, perché è bene che chi ci ascolta possa capire perché solo ora, perché con questo ritardo, chi ha fatto, come si dice in gergo, “ammuina”. Fratelli d'Italia ha posto il tema dell'attuazione dell'articolo 114 della Costituzione dalla fondazione.

In occasione della legge di bilancio 2020, Giorgia Meloni e Fabio Rampelli presentarono un ordine del giorno volto a inquadrare il tema e iniziare un percorso di riforma; un ordine del giorno votato - è bene ricordarlo - all'unanimità da quest'Aula; un ordine del giorno che nasce anche dai fermenti culturali dell'Osservatorio parlamentare per Roma, diretto dal professor Corbella, che ringrazio anche per la pazienza che ha avuto nei confronti delle meline che i vari gruppi politici hanno fatto per far finta di occuparsi di Roma Capitale, ma poi, in realtà, per delegittimare i lavori, in parte, dello stesso Osservatorio - che è stato preziosissimo, anche grazie al lavoro dell'indimenticato professor Caravita - e che certo non hanno rispettato il percorso che era stato delineato dall'Osservatorio appunto. Un organismo, l'Osservatorio, che ha funzionato - e per questo lo ringraziamo - da vero e proprio serbatoio di idee per le varie PDL costituzionali e ordinarie presentate. Ricordiamo che è lì che sono nati questi testi, che poi si sono confrontati e in parte unificati. Un percorso istruttorio importantissimo, che poi ha preso corpo nelle Commissioni competenti.

Inquadriamo la situazione attraverso, però, un confronto, colleghi, con le altre grandi capitali europee. In tutta Europa, Roma è l'unica a non godere di uno status amministrativo speciale, che dia modo di rispondere alle molteplici esigenze di coloro che la frequentano per ragioni di residenza, lavoro e turismo, creando un evidente divario tra i livelli di prestazioni e i servizi erogati rispetto alle maggiori città del mondo occidentale. Roma non è solo capitale della Repubblica italiana, ma anche capitale della Chiesa cattolica e della cristianità, capitale del Mezzogiorno, sede degli uffici di rappresentanza delle regioni, sede delle ambasciate presso due Stati, sede di centinaia di uffici commerciali e culturali internazionali, sede della FAO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, e, aggiungerei, capitale del Mediterraneo. Anche l'immenso patrimonio artistico e monumentale di Roma, che spesso ha alimentato anche troppa retorica stucchevole da parte di molte forze politiche oggi al Governo, il cui centro storico è sito UNESCO, spesso si trasforma in un peso per l'amministrazione capitolina, più che rappresentarne una risorsa. Basti pensare, colleghi, al caso paradossale del Colosseo, monumento per antonomasia nel mondo, che rappresenta l'immagine di Roma, l'area archeologica più visitata d'Italia, con circa 5 milioni di presenze a stagione, che genera ogni anno incassi per oltre 50 milioni di euro, ripartiti, però, tra la Soprintendenza, che è un ufficio statale, colleghi, e il soggetto gestore, che è un privato che ha vinto un appalto che è stato prorogato per anni e anni e anni e anni… Lo senti, Casu, che rappresenti il Partito Democratico in quest'Aula, insieme a Ceccanti, l'eco e il riverbero? Perché la responsabilità di questa eco, di questo riverbero è del Partito Democratico.

Nonostante i pesanti oneri connessi, Roma non risulta essere tra i soggetti incredibilmente beneficiari nemmeno degli incassi del Colosseo, ovvero milioni di turisti, benvenuti, vengono, a visitare il Colosseo e l'area archeologica, per fortuna la vivono e, purtroppo, la sporcano, tutti i servizi connessi sono a carico dell'amministrazione, ma i soldi se li prende lo Stato, e quindi il Ministero, e se li prende un gestore. Pur dovendo provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria del manto stradale, dei marciapiedi, del verde pubblico prospiciente all'illuminazione pubblica, alla raccolta e al trattamento dei rifiuti, al trasporto pubblico su gomma e su ferro, alla sorveglianza ad opera della Polizia locale, che si chiama appunto Roma Capitale non a caso, perché il centrodestra avviò questa riforma, almeno a livello locale, e sicuramente a tutti i servizi per i turisti... E fatemi spezzare più di una lancia per il parco di Colle Oppio, che, per chi non lo sapesse tra chi ci ascolta, è tutto lo sfondo archeologico e verde che compare in milioni di foto dei turisti di tutto il mondo: ebbene, quel parco archeologico, con all'interno la Domus Aurea, versa oggi in condizioni pietose, perché, per una fraintesa solidarietà, si lasciano persone, esseri umani, a vivere la notte in quel parco ed è trasformato in un luogo di degrado e di insicurezza. Investimenti, questi, che, invece, meriterebbero di essere adeguatamente ricompensati con la partecipazione agli incassi prodotti.

Roma, in antitesi a una, purtroppo, diffusa e falsa notizia, ha un residuo fiscale e versa nelle casse dello Stato più di quanto riceve, per abbattere uno stereotipo, una volta per tutte, anche per gli amici del Nord, che oggi non vedo, e che hanno sempre sostenuto il contrario.

Va detto espressamente, e lo ribadiamo in quest'Aula, colleghi, che quella dei poteri speciali a Roma Capitale è una battaglia storica della destra e di Fratelli d'Italia, che, appunto, ne aveva avviato la riforma; è stato uno dei cavalli di battaglia anche della candidatura a sindaco di Giorgia Meloni nel 2016, quindi ne possiamo parlare e discettare con una certa competenza. Già l'Assemblea capitolina approvò, all'unanimità, una mozione di Fratelli d'Italia che chiedeva a Governo e regione Lazio di rendere concreta la riforma dello status speciale per la capitale d'Italia, e non lo avete fatto. E chi governava? Il Partito Democratico.

Lo ribadiamo: Roma non è una città come le altre; non è Milano, non è Padova, che sono meravigliose città, non è Palermo, non è Napoli, è comunque la capitale d'Italia. È il comune più popoloso, più esteso, il più complesso d'Italia, è il comune agricolo più grande d'Europa, che, ogni giorno, ospita un milione di persone in più dei suoi cittadini, un comune che è 12 volte Parigi, 7 volte Milano, un comune con la maggior concentrazione di beni storici al mondo, che ospita l'università più grande d'Europa, 29 organizzazioni internazionali e lo Stato della Città del Vaticano, al suo interno. Non solo. Roma, come dicevo, è il comune agricolo più grande d'Europa e questo dovrebbe far riflettere, anche qui, sullo stato di degrado della campagna romana, tanto cara a Cederna.

Per questo la capitale non può essere amministrata con i poteri di un comune di 1.000 abitanti. Non ci voleva una scienza per capirlo e ci chiediamo perché tutte le amministrazioni susseguite a quelle di centrodestra non abbiano fatto pressione sui loro omologhi a livello regionale e nazionale, e c'era omogeneità di Governo. Bisogna avere il coraggio di affermarlo anche di fronte a un Parlamento che ha dimenticato per decenni - e ha fatto bene il collega Casu a ricordare le date della prima riforma - di occuparsi della capitale d'Italia. Mentre Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania facevano leggi e investivano risorse per garantire a Parigi, Madrid, Londra, Berlino lo status effettivo di metropoli globali, Roma è stata lasciata a se stessa, governata con le stesse regole di un qualsiasi altro ente locale.

Parigi ha da poco costituito la Métropole du Grand Paris, un'intercomunità a fiscalità propria che raggruppa la città di Parigi con 131 comuni confinanti, governata da un'assemblea elettiva di secondo livello e un presidente. La superficie della nuova metropoli - pensate - si estende per 814 chilometri, con una popolazione di circa 7 milioni di persone. Nel resto della Francia esistono altre 9 metropoli, enti a carattere associativo e un'altra metropoli a statuto speciale, Lione, che assume anche i poteri del dipartimento.

Londra è governata da un ente che amministra 1.579 chilometri, divisi in 32 boroughs e la City of London, oltre 8 milioni di abitanti. Da notare che l'area urbana estesa di Londra è la più ampia dell'area e comprende tra i 12 e i 14 milioni di residenti. Le competenze dell'autorità londinese si limitano a trasporti, polizia, incendi e soccorso, sviluppo e pianificazione strategica, attraverso 4 società o agenzie dedicate. I cittadini eleggono direttamente il sindaco e 25 consiglieri.

Ma vediamo la Germania. La Germania ha un'organizzazione federale dello Stato con riflessi anche sulla gestione delle aree metropolitane - è molto diversa da zona a zona -, che presentano praticamente tutte le diverse soluzioni di governance previste. Nelle città principali, vi sono città senza distretto e tre città-stato: Berlino, Amburgo e Brema. Il sindaco della capitale è, quindi, anche Ministro e Capo del governo del corrispondente Länd. La giunta, senat, è anche il governo e il consiglio comunale, è anche parlamento del Länd. La città è suddivisa in 12 distretti, con sindaci distrettuali che partecipano alle decisioni della città attraverso l'Assemblea dei sindaci. I distretti esercitano unicamente i poteri che gli delega la città-Stato.

Madrid, invece, è amministrata dall'Ayuntamiento de Madrid, il vero e proprio territorio comunale, con oltre 3 milioni di residenti e dalla Comunità autonoma di Madrid, uno dei 17 enti di area vasta che assorbe i poteri della provincia e riunisce 179 comuni, con oltre 6 milioni di abitanti. È un modello di governo esposto al rischio di dualismo tra i due enti, a causa di competenze evidentemente non ben definite.

Le caratteristiche comuni delle autorità metropolitane in Europa, colleghi, sono politiche pubbliche incentrate sullo sviluppo economico, creazione di forti reti di relazioni nazionali e internazionali, sovrapposizione, non sostituzione, dei livelli di governo esistenti, come accade qui da noi, coinvolgimento nella governance di attori non istituzionali. Il tratto comune che emerge è che ogni Nazione si preoccupa di garantire alle aree metropolitane nei cui territori si concentra la maggioranza della popolazione strumenti adeguati di governo e relative risorse economiche. In particolare, questo avviene per tutte le principali capitali.

I tre decreti di riferimento - i decreti legislativi n. 156 del 2010, n. 61 del 2012 e n. 51 del 2013 - hanno trasferito a Roma capitale poteri e risorse del tutto insufficienti e ridicole per la capitale d'Italia. Con il primo decreto si è solo provveduto a stabilire denominazione, composizione degli organi di governo e poco altro, con scelte anche discutibili. Di fatto, non esiste più un ente territoriale che si chiami “Roma”. Con il secondo, si sono trasferite le poche competenze statali nel campo del turismo e della Protezione civile, limitando, invece, i poteri di Roma capitale nel settore dei beni culturali a mere funzioni di coordinamento tra le sovrintendenze e i diversi livelli di governo. Vedete, chi vi parla ha governato quel comparto, il comparto culturale, e sa bene quale competizione ci sia e ci sia stata tra la sovrintendenza comunale e la sovrintendenza statale. Con il terzo, sono stati attribuiti stabilmente alcuni poteri straordinari in materia di traffico - pensate un po', viene quasi da ridere - alla luce dell'inaugurazione del nuovo asse di via del Tritone. Praticamente, l'asse immobile dove, se tu inizi ad andare, sai quando entri a via del Tritone ma non sai quando ne esci, con grande giubilo della nuova giunta Gualtieri e, prima ancora, della giunta Raggi.

Da molti anni, il Governo delegava ai sindaci delle maggiori città, senza risultati particolarmente apprezzabili, e sono state semplificate le procedure per rimodulare il piano delle opere di cui alla vecchia legge per Roma capitale, la legge n. 396 del 1990, che finanziava le opere ritenute strategiche per il ruolo di capitale della Repubblica. Ero già consigliere all'epoca e pensate quanta speranza avevamo che ci fosse Roma capitale.

Quanto alle maggiori risorse per il trasporto pubblico, queste sono rimaste lettera morta, dovendosi attendere per la loro attribuzione una previa intesa con la regione Lazio, che non è mai intervenuta. Ma così non si capisce bene, colleghi, perché regione Lazio vuol dire Partito Democratico e, quindi, Zingaretti. Perché è bene fare nomi e cognomi delle responsabilità di questi ritardi. Non basta dire che siamo in ritardo, che dobbiamo accelerare, che finalmente accelereremo e che c'è l'impegno di tutti i partiti e del Partito Democratico, perché quando governate, poi, non date i poteri speciali. Un tema questo che diviene strategico anche in vista del Giubileo. Mi fa piacere citare Cederna, a sorpresa, colleghi: “La mia Roma è quella che ci deve essere e quindi bisogna dare ogni sforzo perché diventi quella che deve diventare e non quella che molti cercano di distruggere”.

Come ha indicato anche il Vice Presidente Rampelli in Commissione, non ci riconosciamo pienamente nel testo in esame e, quindi, esprimiamo lo scetticismo, che trasuda dal mio intervento, sulla conclusione positiva dell'iter del provvedimento, anche in considerazione dell'esiguo lasso di tempo rimanente prima della conclusione della legislatura. Temiamo - sì, colleghi - che questi appelli al “facciamo presto” siano sinceramente ridicoli perché, se aveste voluto fare presto, avreste potuto poiché avevate il Governo della Nazione, della regione e adesso anche del comune e, forse, si sarebbe potuto fare molto prima, sia con la giunta Raggi sia con la giunta Gualtieri. I Governi che si sono succeduti nel corso della legislatura non hanno creato le condizioni per la soluzione dei problemi di Roma capitale e neppure il presidente della regione Lazio ha adottato alcun provvedimento per devolvere funzioni e risorse a Roma capitale, pur appartenendo attualmente allo stesso partito politico del sindaco, anche se, purtroppo, a correnti diverse.

Non esprimeremo un voto contrario, ovviamente, sul testo, essendo stati i suscitatori del dibattito su Roma capitale in Aula, anche in questa legislatura. Dobbiamo però rilevare come, nel contempo, non sia possibile esprimere un voto a favore, in quanto le numerose proposte avanzate da Fratelli d'Italia, che pure riscuote nella città il ruolo notevole di primo partito, non sono state prese neppure in considerazione, se non per piccola parte, con un atteggiamento di pregiudiziale chiusura da parte della maggioranza. Come a dire, non lo troverete in Costituzione ma a Roma si usa: “articolo quinto, chi ha il pallone in mano ha vinto”. Non è esattamente a quello che si fa riferimento.

Bisogna citare, in particolare, le proposte volte a configurare l'ordinamento di Roma capitale come un unicum e non come quello di una qualsiasi regione. La questione di Roma capitale non ha una rilevanza locale, ovviamente, colleghi, ma riveste un'importanza nazionale ed internazionale. Bisogna richiamare, quindi, l'attenzione sulla situazione disastrosa nella quale versa l'amministrazione della città, testimoniata anche dall'incendio nella discarica di Malagrotta, su cui abbiamo chiesto l'intervento dell'Antimafia, perché non è possibile che quando nasce il dibattito su un termovalorizzatore, magicamente, va a fuoco l'unica discarica aperta a Roma.

Ricordo, inoltre, come vi sia stata una chiusura da parte della maggioranza rispetto alle proposte volte a recuperare i contenuti della legge ordinaria su Roma Capitale in modo da consentire l'erogazione alla città di finanziamenti analoghi a quelli previsti in favore delle capitali dei principali Paesi europei. Come a dire: intanto, datele i soldi. Se siamo tutti d'accordo che Roma deve essere capitale e ha avuto pochi soldi, intanto datele quelli. Quindi, per chi ci ascolta, valutate in base a quello che si poteva fare e non è stato fatto. Ritengo, come detto, che sia fuorviante paragonare Roma alle altre città italiane, in quanto il raffronto deve essere compiuto con le altre grandi capitali europee ed occidentali.

Il testo che stiamo esaminando non affronta i temi che abbiamo delineato poco fa, e quindi non ha visione. In tutte le Nazioni del mondo la capitale è considerata un valore; tutte le maggiori città si sono dotate di una strategia di sviluppo e di una pianificazione almeno ventennale, mentre Roma, di ventennale, ha solo i ritardi. In un recente studio dal titolo “Roma 2040. Per una nuova civitas”, il Cresme ha misurato la competitività di 274 aree metropolitane; successivamente ha concentrato l'attenzione con un focus su 44 città con oltre un milione e mezzo di abitanti. Roma risulta in fondo alla classifica in quasi tutti i settori esaminati. A livello internazionale, la capitale non è competitiva in termini di attrattività né per motivi di lavoro né per investimenti; per capacità innovativa è alla posizione 258. Intanto, le metropoli globali si dotano di piani di sviluppo pensando al futuro: London Infrastructure Plan 2050, il piano Grand Paris, Amsterdam 2040, il SymbioCity di Stoccolma, il Berlin 2030.

Il 70 per cento della popolazione mondiale entro il 2030 vivrà negli spazi urbani, ma già da oggi una percentuale determinante del PIL mondiale e degli investimenti strategici sono concentrati nelle nostre città.

PRESIDENTE. Concluda.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Vado verso la conclusione, colleghi, ma ci sarebbe ancora molto da dire, e su questo non possiamo non citare la mancanza di visione rispetto, ad esempio, alla rigenerazione urbana che il centrodestra aveva avviato con Tor Bella Monaca e Leon Krier. Mi fa piacere concludere con una citazione di Mommsen, che si rivolgeva al neo Capo del Governo Sella: non potete stare a Roma senza un'idea universale. Colleghi, mi sa che voi questa idea universale non l'avete, almeno non avete quella che aveva Goethe, che ci dice e ci ricorda come…

PRESIDENTE. Collega, deve concludere.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Concludo, con Goethe. Quando si considera un'esistenza come quella di Roma, vecchia di oltre 2.000 anni, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente persino le stesse colonne e mura, e si scorgono nel popolo tracce dell'antico carattere, ci si sente compenetrati dei grandi decreti del destino. Decreti che voi non scriverete mai!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Spena. Ne ha facoltà.

MARIA SPENA (FI). Presidente, onorevoli colleghi, sono particolarmente fiera di essere qui, quest'oggi, per intervenire su questo provvedimento a prima firma del nostro capogruppo, Paolo Barelli, con la nostra relatrice, l'onorevole Calabria, condiviso con tutte le forze politiche che, seppur con debito distinguo, ne hanno condiviso lo spirito. Penso che questo sia un provvedimento che riguarda non soltanto Roma ma tutto quanto il nostro Paese. È appena il caso di ricordare che la città di Roma costituisce un unicum rispetto alle altre capitali europee, se non altro perché ospita il più alto numero di rappresentanze diplomatiche al mondo. Roma è la capitale della diplomazia, eppure è un comune come gli altri, si può dire che sia capitale soltanto sulla carta. Roma è prevista, sì, con la dicitura di Roma Capitale ma ha solo pochi contenuti di carattere economico.

Non solo. Roma è la città con la più alta concentrazione di beni storici e architettonici al mondo. Il suo centro storico, delimitato dalle Mura Aureliane, è sovrapposizione di testimonianze di quasi tre millenni ed espressione del patrimonio storico, artistico e culturale del mondo occidentale e, sin dal 1980, è stato inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

Roma città della cultura, il suo Tridente all'aperto è un museo all'aperto per la sua architettura, le sue chiese, i suoi palazzi, i suoi vicoli, le sue fontane, le sue strade con le botteghe storiche, con i negozi storici da tutelare e preservare. A Roma tutto è arte. Oltre a ciò, si deve evidenziare che questa città amministra un'area che, per dimensione, è grande all'incirca quanto la somma dei territori di comuni come Milano, Napoli, Torino, Genova, Bologna, ed è, inoltre, la città italiana con il più alto numero di comuni confinanti, 29 comuni più l'enclave della Città del Vaticano, per un totale di 30 territori limitrofi. Roma, inoltre, è il comune più verde d'Europa, si è detto che è il comune agricolo più grande d'Europa, con 58 mila ettari coltivati, quasi la metà dell'intera superficie comunale.

E tutto questo è chiaro che dà l'idea di cosa significhi anche nel campo dell'agricoltura dotare Roma di poteri legislativi nelle materie che attualmente sono oggetto di potestà legislativa regionale residuale.

La modifica dell'articolo 114 della Costituzione è la prima applicazione in Italia di un modello già ampiamente sperimentato in altre capitali europee, fondate sulla consapevolezza della peculiarità delle aree metropolitane. Basti ricordare il modello londinese, fondato sullo statuto speciale della città di Londra, così come il modello spagnolo con Madrid comunidad autonoma, così come quello tedesco con l'unificazione, dove Berlino è diventata Land. Non è un caso che le città-regioni come Londra, Parigi e Berlino siano più competitive e più attrattive verso imprese, talenti, competenze e investimenti. Il ruolo di Roma, capitale della Repubblica, oggi è stato sottovalutato.

Ad oggi, il ruolo di Roma Capitale assomma due funzioni, quella di area metropolitana e quella di capitale, però senza avere adeguati poteri che la distinguano dalle altre aree metropolitane; da qui, quindi, la necessità di questo provvedimento, fortemente voluto da Forza Italia.

A tal fine, con la presente proposta di legge costituzionale si modifica l'articolo 114 della Costituzione, provvedendo direttamente a livello costituzionale ad attribuire a Roma le condizioni di autonomia normativa, amministrativa e finanziaria, oltre che la potestà legislativa nelle materie di competenza concorrente e residuale della regione, fatta eccezione per la sanità. Con la scelta della strada di una legge costituzionale abbiamo voluto dare una stabilità al nuovo assetto istituzionale di Roma, per metterla alla pari delle altre capitali europee.

Sappiamo che un primo tentativo di modificare lo status di Roma venne fatto nel 2009 dal Governo Berlusconi e noi vogliamo continuare su questo percorso iniziato all'epoca. Quindi, non credo che sia il 2020, ma già dal 2009 mettemmo mano. Ci sono poteri amministrativi, come sappiamo, che, per Costituzione, sono affidati alla regione e non allo Stato; quindi, una legge ordinaria non può intervenire su questo, e finché è così si può sperare soltanto che la regione devolva volontariamente competenze alla capitale.

Per questo, con una legge ordinaria lo Stato può dare solo poteri limitati a Roma, come è accaduto con la legge del 2009, che, comunque, per noi ha rappresentato già un primo passo. Intervenendo sulla Costituzione, questo vulnus verrebbe colmato, perché quelle competenze che non possono essere assegnate tramite legge ordinaria oggi verrebbero finalmente trasferite.

Una modifica del genere richiede un consenso bipartisan tra i partiti, che, seppur con i distinguo, c'è stato, e lo si dimostra oggi in Aula.

A ridosso del Giubileo 2025, che possiamo definire il primo grande evento post COVID, Roma non può permettersi di accogliere il flusso di pellegrini nelle condizioni in cui si trova. Una capitale con 15 municipi non può essere amministrata con gli stessi poteri di un comune qualsiasi. Chi, come me e come tanti altri colleghi presenti in quest'Aula, ha iniziato il proprio percorso politico da amministratore locale, sa, meglio di tutti, quanto sia importante il decentramento a beneficio dei nostri municipi, che è, quindi, fondamentale per la tenuta amministrativa di una città come Roma e a ciò ci arriveremo proprio grazie a questa proposta di legge. I municipi capitolini oggi hanno un limitato potere decisionale, visto anche che godono di una finanza soltanto derivata. Questa legge è una conquista, oltre che per i cittadini, per Roma, per tutta l'Italia e, penso, anche per tutto il mondo, soprattutto per gli amministratori locali, per chi fa politica nei municipi e conosce più di tutti le parole “prossimità con il cittadino”. Quindi, decentramento e prossimità sono i due modelli che avvicinano la gente alle istituzioni.

In quest'Aula voglio ricordare che il terzo comma dell'articolo 114 della Costituzione sancisce: “Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”. La disposizione costituzionale esprime con evidenza la necessità che Roma, in quanto capitale della Repubblica, disponga, quindi, di un ordinamento speciale da disciplinare con legge statale, che non può essere riconducibile a quella propria degli altri enti territoriali menzionati, invece, nel primo comma dell'articolo 114.

Quindi, con l'attribuzione della qualifica di Roma Capitale, la Carta fondamentale dello Stato ha predisposto una specifica disciplina per la duplice natura di Roma: da una parte, ente locale, vicino ai bisogni della collettività, dall'altra, le funzioni proprie della capitale, che rappresenta così l'unità della Repubblica. Quindi, possiamo dire, senza timore di smentita, che la nostra proposta di legge, arrivata oggi in Aula, finalmente permette di dare piena attuazione alla Costituzione repubblicana.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Flora Frate. Ne ha facoltà.

FLORA FRATE (IV). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario, da diversi decenni è in atto un dibattito politico e accademico sull'ordinamento, sul ruolo, sui poteri e sulle funzioni della nostra capitale. Una città, Roma, che, nei 150 anni da capitale, è cresciuta a dismisura, passando da circa 250 mila abitanti ai 3 milioni di oggi. Questi numeri danno il quadro di una realtà molto complessa e disomogenea, difficile da governare con gli stessi strumenti di un piccolo comune. La proposta in esame conferisce a Roma i poteri, gli strumenti e l'autonomia che le sono necessari per esprimere al meglio il proprio ruolo di capitale d'Italia.

Dai lavori della Commissione è emersa un'ampia convergenza tra tutte le forze politiche e il percorso fin qui svolto certifica l'impegno del Parlamento di affrontare con estrema attenzione e serietà un tema che ci sta particolarmente a cuore.

Durante questa legislatura sono state depositate numerose proposte che si proponevano di affrontare la questione seguendo due filoni principali: una proposta di legge ordinaria che consentisse un riordino di poteri e funzioni, sul modello di quanto avvenuto con Londra o Parigi; oppure un più ambizioso percorso di proposta di legge costituzionale, sulla scorta di quanto avvenuto per Berlino, Madrid e Vienna.

Pur nelle reciproche differenze, ma con grande senso di responsabilità e spirito di collaborazione, come forze parlamentari abbiamo deciso di procedere parallelamente su entrambi i percorsi, facendo la sintesi tra le varie proposte presentate. L'approccio d'Italia Viva, Presidente, è stato riformista e pragmatico. Infatti, piuttosto che aggiungere il nostro libro dei sogni sulla capitale, abbiamo preferito lavorare da subito a una proposta che fosse condivisa il più largamente possibile per arrivare all'obiettivo di una legge per Roma capitale.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 15,45)

FLORA FRATE (IV). Abbiamo avviato la nostra azione su un'impostazione che non ci convinceva del tutto. L'assetto attuale, infatti, riconosce il potere di legiferare a tre soggetti: Stato, regioni e province autonome. Nei primi due casi, l'ambito delle materie riservate a ciascun soggetto è definito direttamente dall'articolo 117 della Costituzione, che prevede due elenchi di materie: quello di competenza esclusiva dello Stato e quello di competenza concorrente, più una clausola generale che attribuisce alle regioni la potestà legislativa su tutte le materie non espressamente riservate allo Stato.

Per quanto riguarda le province autonome, l'ambito di autonomia legislativa è stabilito dai relativi statuti, che sono approvati, però, direttamente con legge costituzionale.

Il testo da cui siamo partiti andava a configurare la capitale d'Italia come un soggetto ibrido, non riconducibile ad alcuna di queste categorie. Ebbene, per evitare storture abbiamo presentato un pacchetto di emendamenti contenuto, ma molto incisivo e con obiettivi chiari. Primo punto: escludere che le materie di competenza della capitale venissero decise esclusivamente dallo Stato e dalla regione Lazio, considerato che si tratta di competenze di cui la capitale si dovrà occupare direttamente, pur garantendo, tuttavia, un coinvolgimento della regione Lazio nell'intero processo; secondo punto: conferire direttamente a Roma Capitale uno statuto speciale, al pari delle province autonome di Trento e Bolzano, così da definire direttamente in quest'Aula e al Senato la sua nuova fisionomia; terzo punto: assicurare il decentramento amministrativo in favore delle municipalità; ci sono municipi di Roma che hanno quattro volte la popolazione di Parma, dunque, è impensabile gestire un territorio e una popolazione così vasti esclusivamente dal Campidoglio; quarto punto: garantire alla capitale le risorse finanziarie necessarie per esprimere la sua maggiore autonomia, perché dare autonomia senza i mezzi per esprimerla è come regalare una macchina a qualcuno tenendo per sé le chiavi.

Questo è stato il contributo del nostro gruppo parlamentare e possiamo dire di avere ottenuto molto. La proposta di legge costituzionale, adottata come testo base dopo l'esame che abbiamo svolto in Commissione affari costituzionali, si compone di due articoli ed è volta a modificare l'articolo 114 della Costituzione al fine di valorizzare l'autonomia normativa, amministrativa e finanziaria di Roma Capitale.

In particolare, l'articolo 1 sostituisce integralmente il secondo periodo del terzo comma dell'articolo 114 della Costituzione, confermando l'attuale previsione che affida alla legge dello Stato la disciplina dell'ordinamento di Roma Capitale, costituzionalizzando, al contempo, il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia normativa, amministrativa e finanziaria in capo a Roma Capitale, da attribuire con legge. La nuova formulazione si riferisce, in particolare, all'autonomia normativa di Roma Capitale, rafforzando il richiamo all'autonomia finanziaria e stabilendo, inoltre, che devono essere assicurati adeguati mezzi e risorse per lo svolgimento delle sue funzioni. A Roma Capitale sono stati, inoltre, attribuiti i poteri legislativi nelle materie che attualmente sono oggetto di potestà legislativa concorrente e di potestà legislativa regionale residuale delle regioni, individuate con lo statuto speciale di Roma Capitale, in ogni caso escludendo l'attribuzione di poteri legislativi nella materia della tutela della salute. Quindi, è stata introdotta, Presidente, nella Costituzione la previsione di uno statuto speciale di Roma Capitale e la definizione della relativa procedura di adozione a maggioranza dei due terzi dei componenti l'assemblea capitolina, sentita la regione Lazio, unitamente al contenuto necessario dello stesso. Viene, infine, specificato - e di questo siamo particolarmente orgogliosi, perché frutto di un emendamento di Italia Viva approvato in Commissione - che a Roma Capitale, nell'esercizio delle sue funzioni amministrative, spetti assicurare forme di decentramento. Da trent'anni, infatti, con la nascita, prima delle circoscrizioni e, poi, dei 15 municipi a elezione diretta, si lavora e si ragiona su un decentramento che non diventa mai realtà. Soprattutto ora, di fronte a un riordino costituzionale di Roma e all'attribuzione di nuove funzioni e poteri, è indispensabile che corrisponda un contestuale trasferimento di funzioni amministrative.

Questo testo dimostra come, grazie anche al nostro contributo, Roma Capitale si vede assicurata autonomia finanziaria, nonché mezzi e risorse adeguate allo svolgimento delle sue nuove funzioni. Abbiamo anche chiarito, direttamente a livello costituzionale, come queste ultime debbano essere attribuite dallo Stato con un coinvolgimento della regione Lazio, che non vale a sminuire in alcun modo l'autonomia della capitale, ma che si limita a valorizzare la cooperazione tra enti territoriali che vivono una medesima realtà. Abbiamo anche mantenuto fermo il principio del decentramento delle funzioni amministrative. I romani e gli italiani meritano una capitale che funzioni, tutta e senza zone d'ombra, e la valorizzazione delle municipalità è l'unica via per esprimere al meglio il raggio d'azione che ci apprestiamo oggi a riconoscere alla capitale del Paese. In ultimo, Presidente, ne approfitto per ringraziare i colleghi, il capogruppo di Italia Viva, Marco Di Maio, il collega Luciano Nobili, per l'impegno profuso in questa proposta di legge e tutta la Commissione affari costituzionali, per il lavoro che è stato svolto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Silvestri. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SILVESTRI (M5S). Grazie, Presidente. Prima di iniziare questo intervento, volevo rendere omaggio a una persona che ha dato un contributo importante nel percorso di questa legge costituzionale, il professor Caravita, e vorrei rendere omaggio alla prima persona che ho incontrato durante la mia prima legislatura, per quanto riguarda proprio le tematiche riguardanti Roma Capitale, il professor Vandelli, che è stato un grande esperto di diritto amministrativo e che ho avuto l'onore di incontrare e con cui potermi confrontare nell'ultima parte della sua vita; è stato veramente un arricchimento come pochi, probabilmente, ne ho avuti nella mia vita.

Detto questo, c'è molta soddisfazione nell'arrivare in Aula con un provvedimento di riforma costituzionale per quanto riguarda i poteri di Roma Capitale, perché è qualcosa che si aspettava da molto tempo ed è un segnale importantissimo del Parlamento nei confronti della sua capitale. Anche perché questo va letto con l'impegno della Commissione affari costituzionali, parallelamente al processo di legge ordinaria che, comunque, andrebbe a completare le funzioni trasferite alla capitale per un miglioramento del complesso della macchina. Ovviamente, ci accingiamo a discutere e, poi, a votare un provvedimento che - come è ovvio - non risponde completamente alle problematiche che la città vive; si tratta, però, di una risposta importante dal punto di vista del principio, ossia stiamo affermando, in quest'Aula, per la prima volta realmente, la vera unicità amministrativa di Roma Capitale.

Vorrei spendere qualche minuto per spiegare un po' anche a chi ci ascolta in questo momento tramite la diretta web, a tutti i cittadini e ai romani interessati, cosa stiamo facendo: fondamentalmente, il testo prevede che Roma Capitale disponga, d'ora in avanti, di poteri legislativi, ossia della possibilità di legiferare, come in parte fa una regione e come si fa in molte capitali europee, recuperando il gap che abbiamo avuto per molti anni nei confronti proprio dell'Europa, ovviamente nelle materie di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, escludendo - giustamente, a mio avviso - la tutela della salute, che deve rimanere comunque appannaggio della regione e dello Stato. Tradotto, ciò cosa vuol dire, per chi ci ascolta? Vuol dire che Roma, fondamentalmente, avrà più potere rispetto ad alcuni temi cruciali per la città, ad esempio, penso al commercio con l'estero. Parliamo di una capitale importante, che ha peculiarità commerciali enormi nel campo della moda, nel campo alimentare e anche nei rapporti con le città estere, che, da domani in poi, qualora venisse approvata questa legge, sarà più facile amministrare. Parliamo, quindi, anche di un tema importante, come quello dell'istruzione; ovviamente, sarà fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e della formazione professionale. Parliamo di un miglioramento dei poteri della capitale per quanto riguarda l'ordinamento sportivo, ossia qualcosa di cui questa città è pregna; a Roma si celebrano tutti i maggiori eventi sportivi; è una città che vive lo sport; c'è un tessuto associativo enorme, lo abbiamo visto in questi anni, che, in questo modo, può essere governato meglio.

Si attribuiscono maggiori poteri proprio riguardo al governo del territorio, per quanto riguarda un tratto importantissimo di questa città, che è la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Pensate a cos'è Roma dal punto di vista dei beni culturali e dell'ambiente: è un qualcosa di eccezionale che, fino adesso, abbiamo amministrato come qualsiasi altra città; e noi stiamo attribuendo poteri per caratterizzare Roma, come è giusto che sia. Ovviamente, poi, c'è un sistema di riparto delle competenze normative che è completato dal principio di attribuzione della potestà regolamentare.

È importante, però, essere chiari anche con la cittadinanza che ci ascolta, perché, altrimenti, rischiamo di fare un'enorme celebrazione, senza dire i veri rischi nei quali si può incorrere. Ovviamente, approvata questa riforma costituzionale, occorrerà una politica con la “P” maiuscola per veder realmente completato questo processo, perché vi sono alcuni vincoli di procedura, per cui questa potrebbe essere una legge costituzionale destinata a rimanere lettera morta per tanti anni; quindi, è importante che si richieda l'approvazione - vi sarà bisogno di un accordo - a maggioranza dei due terzi dei componenti dell'assemblea capitolina e il previo parere della regione Lazio. Nelle maglie di questi accordi politici, che spesso hanno visto nella contrapposizione delle varie fazioni politiche portare questi processi alla lunga per tanti anni, si rischia ovviamente di vanificare questo sforzo e, quindi, di fare in modo che questo sia un enorme principio approvato, che poi non vedrà il suo compimento, perché non c'è accordo politico. La nostra politica romana, purtroppo, è piena di questi esempi.

Poi, si dispone, ovviamente, che le norme di attuazione dello statuto siano adottate con legge dello Stato, ovviamente sentite Roma Capitale e la regione Lazio. Quindi, servirà veramente una nuova costituente romana.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI (ore 16)

FRANCESCO SILVESTRI (M5S). Un altro punto su cui intendo soffermarmi, poiché ho al riguardo una sensibilità importante, riguarda la garanzia di forme di decentramento. Il decentramento amministrativo è sempre stato un tema della politica romana, mai particolarmente compiuto. Oggi, i nostri municipi sono competenti e riescono ad incidere solamente per le politiche sociali; l'80, l'85 per cento del loro bilancio è sui servizi relativi alle politiche sociali; per il resto sono enti di prossimità che subiscono la pressione dei cittadini di prossimità, inermi e senza poter esercitare quelle soluzioni amministrative che renderebbero migliore la vita degli stessi abitanti del municipio. Quindi, questa è una parte molto importante dell'attività del MoVimento 5 Stelle, anche con riferimento alla mia sensibilità. Ci tengo a ribadire una cosa molto importante, ovvero che a questo processo costituzionale debba essere affiancata necessariamente una norma di dettaglio rappresentata dalla legge ordinaria. Perché dico questo? Perché, fondamentalmente, è emerso, anche all'interno delle nostre sedute, nelle nostre audizioni, che Roma ha veramente bisogno di uno shock organizzativo; non basterà una legge costituzionale che rimanda ad altri organi la possibilità di legiferare; serve veramente uno shock importante dal punto di vista organizzativo e questo può essere completato da una legge ordinaria che trasferisca altre funzioni amministrative in capo alla capitale. E lo si deciderà sempre se tutta la politica riuscirà a mettersi d'accordo; sarebbe veramente un ottimo segnale. Ho cercato di trasferire le mie sensibilità nella legge in discussione, sempre in Commissione affari costituzionali, perché ho vissuto l'esperienza romana tramite gli occhi dei nostri assessori del MoVimento 5 Stelle, della nostra sindaca e di tutti i consiglieri e, tramite loro, ho capito alcune problematiche che non sono evidenti, perché ovviamente sono argomenti non particolarmente mediatici, ma caratterizzano la vita di ognuno di noi e di ogni cittadino.

Ho cercato di trasferire in questo provvedimento tre parti importanti che credo facciano la differenza. Il primo fa riferimento alla possibilità di accedere direttamente ai fondi: quando si prevede una funzione amministrativa, se non vogliamo che un potere o tale funzione amministrativa sia, addirittura, un peso per la città, al pari della funzione amministrativa, bisogna trasferire le risorse adatte; se decidiamo di dare più poteri alla capitale d'Italia, dobbiamo fornirgli quelle risorse per esercitarli bene, con l'accesso diretto ai fondi, e mi riferisco, soprattutto, al fondo unico del trasporto pubblico locale. Sarebbe sicuramente un miglioramento di cui gioverebbe tutta la città. Il secondo riguarda la partecipazione diretta e costante - sottolineo tre o quattro volte la parola “costante”, poiché non c'è mai stata in questi anni - dei tavoli, le cui funzioni non sono proprie della città, ma hanno una ricaduta reale sulla vita dei suoi cittadini. Faccio un esempio su tutti, così ci capiamo: quello del tema dei rifiuti. Sottolineo un rapporto costante e non occasionale o legato alle varie emergenze che si creano di tanto in tanto. Si parla della gestione dell'ordinario, di struttura e di programmazione: questo è ciò di cui ha bisogno la città, non trascurare alcuni aspetti importanti, per poi allarmarsi e fare cabine di regia, legate all'emergenza, poiché, una volta risolte, torniamo un'altra volta ad ignorare il rapporto tra Stato e la sua capitale. Il terzo punto concerne una robusta, robustissima semplificazione burocratica, amministrativa, perché, altrimenti, come è noto e abbiamo sperimentato, vi saranno, ovviamente, delle catene all'agire dei nostri amministratori. Per quanto riguarda il recupero del nostro patrimonio edilizio, Roma ha un'enorme quantità di patrimonio edilizio: potremmo rivalorizzarlo, se riuscissimo a sburocratizzare determinate procedure amministrative. Vorrei, inoltre, sottolineare che c'è stato un lavoro, a mio avviso, importante di una commissione ministeriale, istituita dal Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, che si è espressa, quasi un anno fa, su eventuali modifiche relative all'ordinamento di Roma Capitale. Da questo punto di vista, credo che i tempi siano maturi per provare ad accelerare e a concludere questa legislatura con un segnale molto importante.

Vi è poi un aspetto, dal punto di vista costituzionale, che devo rilevare: attribuendo poteri legislativi a Roma Capitale, dovremmo - magari più avanti - rendere più organica la parte costituzionale; se, infatti, abbiamo concepito in Costituzione - che possa piacere o non piacere - la parte relativa alle Città metropolitane, affermando un principio e attribuendo al sindaco di Roma i poteri propri delle stesse, vi è un'estensione amministrativa della città, ma oggi, invece, stiamo dicendo, giustamente, che, all'interno del raccordo si può legiferare, mentre fuori dal raccordo non si può. Questa è una discrasia, cui dobbiamo mettere mano, perché si parla della Costituzione e, quindi, non possono convivere Città metropolitane, con principi per i quali lo stesso sindaco può legiferare all'interno del raccordo, mentre amministra, delibera e regolamenta, come previsto per la Città Metropolitana. Quindi, su questo ci deve essere un elemento di chiarezza. Concludo con una nota personale: ho iniziato questa legislatura, portando in Parlamento una mozione che interessava ed impegnava il Governo a fare molto di più per la sua capitale, con punti importanti per me. E' una mozione che ha avuto il consenso parlamentare. E' stato un inizio importante: mettere al centro dell'agenda parlamentare le necessità della propria capitale. Mi auguro di terminare questa legislatura con il completamento di questa legge, con riferimento anche a quella ordinaria, dando a Roma, a prescindere da chi sia il vincitore di turno delle elezioni, il pilota della capitale, una macchina importante che può correre quantomeno al pari delle altre capitali europee.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rampelli. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI (FDI). La ringrazio, Presidente Spadoni. Cari colleghi, rappresentante del Governo, questa discussione è sempre giusta, proficua, per certi aspetti e in alcuni tratti illuminante, ma in altri tratti è sembrato quasi di assistere - e non è la prima volta che capita, soprattutto da parte di quelle persone distanti anni luce da una certa cultura delle istituzioni e da un certo senso dello Stato - alla classica copiatura dei testi di Wikipedia, se non di qualche manuale dell'Argan di storia dell'arte. Ognuno si sente autorizzato a parlare di Roma, menzionando le sue incommensurabili bellezze artistiche, il suo patrimonio sterminato, la sua archeologia, il suo barocco, la sua realtà architettonica razionalista o, andando più indietro nel tempo, le preesistenze paleocristiane; la Roma bella, il paesaggio, il Pincio, il sole che tramonta, l'Anfiteatro Flavio, la Cappella Sistina, la Città del Vaticano e via dicendo.

Si passa velocemente dalle lezioni a fronte di storia dell'arte, alle lezioni a fronte di statistica: vuoi non citare, mentre si parla di Roma, del numero degli abitanti, dell'estensione territoriale, del fatto che sia il comune agricolo più grande d'Europa, che sia visitato quotidianamente da un milione di persone? Tutto questo e molto più di questo - ma non voglio tediarvi - l'abbiamo già ascoltato, non è la prima volta che ne sentiamo parlare: mi riferisco a tutto quello che di Roma è stato detto lungo l'arco di un interminabile secondo dopoguerra.

Nessuno - forse ci ha provato nel 1990 Craxi, milanese -, ma nessuno ha provato a immaginare che Roma avesse bisogno di una vocazione che sovrapponesse il suo destino a quello della Nazione di cui tuttora è capitale. Nessuno ha mai immaginato di dare un progetto vero a Roma, un avvenire a Roma, una prospettiva a Roma; e, anche in questa discussione, stancamente, si ripropone – perdonate, davvero senza presunzione e con sobrietà massima - la solita cantilena dei codicilli, dei poteri, dei subpoteri, quasi si avesse timore o, forse, che non si sia all'altezza di immaginare tutto quanto si possa pretendere da Roma.

L'altro limite: qui sono silenziosi gli antiromani, non escono allo scoperto, affrontando la discussione generale, forse non lo faranno neanche in dichiarazione di voto, forse non lo faranno nel voto in prima lettura. Ma in seconda lettura? Usciranno allo scoperto? Rallenteranno il processo di approvazione di questa legge di riforma costituzionale? Come si comporteranno? Possiamo dire che non esistano? Esistono. Sono quelli i campanilisti che insidiano, non tanto Roma con le sue prerogative e caratteristiche, quanto l'Italia intera che per Roma passa, che ha preteso di conquistare Roma dopo il 1870, portandone qui la capitale da Firenze, quasi fosse uno scalpo. Perché Roma è stato l'ultimo presidio resistente a un'Italia che non c'è più.

Roma è stata conquistata dall'Italia, perché l'Italia aveva bisogno di Roma. Senza Roma, l'Italia sarebbe stata fagocitata da quelle potenze europee che non volevano che l'Italia rimanesse in vita, che non volevano e non gradivano che l'Italia assumesse un assetto unitario che polverizzasse, in un colpo solo, Stati, staterelli, regni, granducati, per competere - come era giusto che fosse -, dopo gli anni gloriosi, trapassati dell'antica Roma, con le potenze economiche emergenti della nuova Europa. Roma e l'Italia sono legate da un comune destino, ma non finisce qui, perché Roma, e non lo dice un romano (se digitate sempre sulla piattaforma appena citata, trovate milioni di aforismi e dichiarazioni su Roma che ne celebrano la grandezza, molto più di quanto non facciano, per motivi misteriosi, alcuni cittadini italiani), ma lo dicono milioni di celebrazioni dall'estero, da una cultura che potremmo definire straniera, non è soltanto capitale universale, che già è qualcosa di più che essere capitale d'Italia o capitale d'Europa, ma è anche capitale del mondo.

E se Roma è percepita dai cittadini stranieri come capitale del mondo, è perché è un crocevia inimitabile rispetto all'elaborazione culturale e ai progetti che si sono intersecati attraverso la sua storia e che hanno generato fatti che hanno modificato antropologicamente la natura umana e poi, con essa, hanno modificato le relazioni sociali, hanno messo al centro le conquiste per le fasce sociali subordinate e più deboli, la cosiddetta plebe, che, invece, piano piano, certo in un'epoca decisamente diversa da questa, cominciavano a conquistare i diritti, diritti che sarebbero stati destinati a scardinare le convenzioni sociali, a ribaltare il quadro e a portare i sudditi ad essere protagonisti in un processo partecipativo, che, a guardarlo con gli occhi del tempo che fu, mette i brividi lungo la schiena per capacità di modernizzare l'organizzazione delle strutture complesse o, come si direbbe oggi, degli Stati o degli imperi.

Con questa proposta di riforma costituzionale, sicuramente abbiamo un dovere di ringraziamento, a cui Fratelli d'Italia non intende sottrarsi. Un ringraziamento per aver dato corso - questo bisogna che ci stia in questo dibattito - a un ordine del giorno, che, per l'ennesima volta, ma con più energia e, evidentemente, con maggiore peso contrattuale, Fratelli d'Italia riuscì a presentare e poi a far approvare dall'Aula tutta nel dicembre del 2021. Un ordine del giorno molto articolato, che, in buona parte, è stato recuperato da questa proposta, ferme restando le sue latenze, perché qui si fa un po' l'esercizio del pizzicagnolo, si mette qualche potere delegato in capo alla capitale d'Italia, ripeto, senza arrivare fino alle conseguenze necessarie per fare in modo che, a maggior ragione con poteri diversi, Roma possa essere il volano dell'Italia, almeno uno dei volani dell'Italia, e, quindi, possa superare questa sorta di pregiudizio che si è maturato nel corso del tempo e che, pur di fronte alla sua innegabile grandezza e alla sua innegabile bellezza, ha comunque quasi relegato la città a un declino inarrestabile.

Quindi, a questo ringraziamento, che richiama l'ordine del giorno da cui questa discussione scaturisce, occorre aggiungere, in questo caso, la disapprovazione: ringraziamento e disapprovazione, che, in questo momento, se non verranno accolte le richieste di Fratelli d'Italia, con i propri emendamenti al seguito, qualificanti e costruttivi, ci mettono nelle condizioni di non approvare e di non disapprovare; probabilmente, lasceremo in predicato il nostro giudizio con un voto d'astensione e vedremo come andrà questa discussione, perché, comunque, la disapprovazione è legata al fatto che qui non si stabiliscono i princìpi fondamentali di come si debba procedere su questa strada.

Infatti, nel caso in cui il problema fosse solo e soltanto mettere d'accordo il Partito Democratico e i 5 Stelle, ricordo, lo ha fatto già il collega Mollicone poco fa, che il Partito Democratico da ormai 10 anni detiene il comando della regione Lazio e avrebbe potuto, dal giorno dopo di 10 anni fa, delegare tutti i suoi poteri, a Costituzione invariata, alla capitale d'Italia. Non è stato fatto, significa che tutta questa centralità di Roma, nell'area vasta della regione Lazio e nell'equilibrio intero della Penisola, non era esattamente una preoccupazione primaria del Partito Democratico. Il Partito Democratico ha avuto anche sindaci, adesso sale nuovamente alla ribalta con la stagione di Roberto Gualtieri, ma certamente ha avuto ben altre occasioni per dire ai vari Governi che si sono succeduti alla guida della Nazione che era il caso di fornire strumenti particolari a Roma, per poter governare la sua complessità e per non essere percepita come zavorra, secondo una narrazione terribile quanto falsa, dal resto d'Italia.

Mi fa piacere aver ascoltato, nel corso di questo dibattito, un riferimento che io ho sollecitato in più circostanze, che smonta, smaschera questa convinzione comune secondo la quale, per la maggior parte dei cittadini di buona parte dello Stivale, si ritiene che Roma sia una palla al piede, una zavorra per l'Italia, ignorando totalmente il fatto che, invece, la capitale d'Italia, esattamente come altre regioni virtuose del Nord, ha un residuo fiscale e conferisce alle casse dello Stato molte più risorse di quelle che trae indietro. Roma ha un residuo fiscale, esatto, è proprio così. Quindi, tutte quelle storie fantomatiche che hanno contraddistinto il dibattito di questi decenni devono essere cancellate e chi le ha diffuse deve battersi il petto e chiedere scusa: non a Roma, all'Italia, perché noi, a causa di quelle falsità, ci siamo trovati a non poter essere competitivi.

Il primo punto qualificante che chiediamo al Parlamento di esaminare e di contemplare con l'approvazione di uno degli emendamenti che giacciono sul tavolo della maggioranza, è mettere Roma nelle condizioni di competere con le altre capitali europee occidentali, perché per troppo tempo qui si è giocato, mettendo Roma in contrapposizione con Milano, innanzitutto - e non solo: con Torino, con Napoli, con Palermo, con Bologna -, in un derby campanilistico agghiacciante e surreale, che ha fatto male a tutti. Roma certo che deve competere; deve competere con la sua capacità di strutturare i sistemi complessi, quelli digitali, il trasporto sostenibile, lo sviluppo del territorio, la qualità della vita nelle periferie, un'industria compatibile con l'ambiente, il sistema dei parchi, la possibilità di essere avamposto dell'economia circolare, altro che inceneritore, come proponete voi, con un provvedimento del Governo, cercando di dare zero poteri a chi ne ha e di caricare di strapoteri chi non dovrebbe averne.

Da questo punto di vista, penso che sia davvero incredibile che le stesse persone che vengono qui a fare lezioni di storia dell'arte e raccontano il barocco e il rococò, le vicende di Bernini e di Borromini, vogliano mettere un inceneritore dentro la capitale, come se altre città d'arte che hanno questa particolarità debbano provvedere alla raccolta e al trattamento dei rifiuti allo stesso modo, come se tutto ciò che si rappresentasse, non esistesse. Ma questo è solo un orpello, perché la discussione vera non riguarda Roma, riguarda l'Italia.

E, sulla questione dei rifiuti, l'analogia con quello che è accaduto qualche anno fa, a Governi inversi, in Campania è terrificante e inquietante. Si incendiò, non per autocombustione, anche in provincia di Napoli, un impianto di trattamento dei rifiuti e, poi, ci furono le manifestazioni di piazza. Perché? Perché i rifiuti erano ovunque. E una volta che i rifiuti erano ovunque, che ci furono manifestazioni di protesta, che fu incendiato un impianto di trattamento dei rifiuti, arrivò, servito su un piatto d'argento, l'inceneritore, o termocombustore o termovalorizzatore - chiamatelo come volete -, di Acerra. Roma, in questa fase storica, è sommersa dai rifiuti, lo è stata anche quando il sindaco pro tempore era di altro segno politico, Virginia Raggi. Roma, in quella epoca, 4 anni fa, subì un incendio a uno dei suoi impianti di trattamento; c'è stato un altro incendio terribile, qualche giorno fa, abbiamo visto fumi simili a quelli sprigionanti diossina estendersi lungo tutto l'asse Sud e Ovest della città. Il combinato disposto di questi tre elementi fa vagamente, innocentemente, sviluppare un collegamento Roma-Napoli.

Ma, se noi siamo Nazione appartenente all'Unione europea e se l'Unione europea stabilisce che i termocombustori, inceneritori, termovalorizzatori debbano essere superati, perché appartengono a una tecnologia del passato, se stabilisce che dobbiamo combattere le alterazioni climatiche e se stabilisce che dobbiamo comunque abbandonare gradualmente le fonti fossili attraverso le quali si produce energia, noi tutto possiamo fare fuorché prendere i rifiuti che produciamo e bruciarli, perché i rifiuti, gli scarti non si possono eliminare con la bacchetta magica, si trasformano e, quando li bruciamo, si trasformano in una materia che non è utilizzabile, anzi è utilizzabile dai nostri polmoni per farci stare sicuramente meno meglio di prima. La battaglia è per conservare sul Pianeta materie prime che si stanno esaurendo e la cultura di riferimento non può che essere la cultura di riferimento di chi interpreta la cosiddetta monnezza, detto alla romana, come materia prima. Questa deve essere la madre di tutte le battaglie e i soldi che si vogliono impiegare per fare non “il”, ma “i” termocombustori dovrebbero essere tutti messi sull'economia circolare, perché solo allora si potrà definire fallimentare il percorso della cosiddetta differenziata.

Torniamo a Roma, ma questo è un tratto saliente di Roma, perché, quando si parla di Roma capitale, bisogna parlare anche di laboratorio, di futuro. Roma è una città viva, non è un museo, non si deve mettere sotto una teca di cristallo, non bisogna cospargerla di naftalina, non bisogna celebrarla perché è stata grande secoli e secoli fa. Roma è una città viva, qui c'era la Borsa titoli, qui c'era la sede centrale di tre banche del territorio: il Banco di Santo Spirito, la Cassa di Risparmio di Roma, la Banca di Roma, poi si sono fuse insieme al Banco di Sicilia, se non vado errato, nel colosso multinazionale UniCredit. UniCredit una delle prime cose che ha fatto è rinnegare la sua appartenenza al territorio e scappare a Milano. A Roma non c'è più una sede centrale di UniCredit, ci sono gli sportelli dove andare a fare i prelievi, c'è l'attività minuta e diffusa, non c'è la governance. Roma ha un polo tecnologico, ma questo polo tecnologico, che pure è stato realizzato con tanti sacrifici, dopo molte analisi urbanistiche, non decolla, molto semplicemente perché la gran parte delle attività industriali viene collocata altrove. Roma è la città del cinema - Cinecittà -, ma buona parte delle attività che ruotano intorno a questo settore, che è a cavallo tra quello culturale e quello industriale, viene presa e collocata, anche qui, altrove, senza che lo Stato dica “a” né “bah”, senza che ci sia una capacità ordinatoria da parte dello Stato per mettere in sinergia le legittime vocazioni delle tante città che sono collocate sul suo territorio.

Mi avvio a concludere. Altro emendamento importante che abbiamo sottoposto costruttivamente all'attenzione della maggioranza e che deve trovare la forma, a giudizio della maggioranza, più idonea per essere comunque recuperato - perché riteniamo che nel merito debba essere recuperato - è quello che prevede una sorta di partecipazione codificata, a monte da parte dello Stato, alle spese delle funzioni che vengono esercitate sul territorio della capitale in nome e per conto di tutti i cittadini italiani, in nome e per conto di tutte le regioni, le province, le città italiane e anche internazionali. Se a Roma c'è la sede della FAO, il tema non è collocabile esclusivamente dentro i confini del comune di Roma; è una sede internazionale. Se a Roma c'è uno Stato nello Stato, se ci sono non solo le ambasciate di riferimento della capitale d'Italia e, quindi, quelle afferenti allo Stato italiano, ma anche le ambasciate, i centri culturali e gli istituti internazionali legati a Città del Vaticano, ma anche a San Marino, ma anche alla FAO, il problema non riguarda soltanto Roma.

Se Roma è conosciuta in tutto il mondo per quelle bellezze che in questa dotta lezione di storia dell'arte, che abbiamo ascoltato fino adesso, abbiamo potuto riconoscere, pare abbastanza strano che lo Stato si becchi, sempre per dirla in gergo romanesco, il 100 per cento degli incassi - ripeto, il 100 per cento - distribuendone anche una quota parte a chi? Voi pensate al Campidoglio. No, a quelle società private, come CoopCulture - che è stata evocata, ma non citata, io invece la voglio citare - che, dal 1997, ha in gestione niente po' po' di meno che l'Anfiteatro Flavio, in arte Colosseo. Una cooperativa culturale che è beneficiaria di che cosa? Io sono una persona, diciamo così, modesta e sono sicuro che, se qualcuno mi desse in gestione l'Anfiteatro Flavio, farei gli stessi biglietti che fa CoopCulture, perché il turista non è attratto da chi gestisce il bene, in questo caso specifico e in altri casi analoghi delle eccellenze culturali artistiche italiane; è attratto dal bene culturale in quanto tale. Quindi, è proprio un errore strategico, a mio giudizio, chiamare i privati a gestire un bene che da solo dà dei frutti. E perché lo si deve dividere con i privati, se lo può incassare lo Stato? Invece, nel regime di sussidiarietà, a cui la destra da sempre aderisce, si può e si deve prevedere la gestione da parte di privati di beni che non siano così simbolicamente importanti né, tanto meno, siano procacciatori di ricchezza in questa maniera che possiamo definire smodata per le cifre importanti che genera. Anche questo deve comparire come linea fondamentale, perché non si può fare sussidiarietà con i privati e non si fa sussidiarietà con gli enti locali. In Basilicata esiste il petrolio ed esistono le royalties della regione Basilicata sulle attività estrattive. C'è un risarcimento, c'è una partecipazione e questa partecipazione voi la dovete inserire dentro questo testo di legge, se non volete semplicemente rincorrere una facile propaganda, per poter dire ai cittadini italiani e romani che avete fatto - se ce la farete mai - la riforma di Roma capitale senza, però, che si modifichi praticamente nulla. La partecipazione ai servizi e ai loro costi significa che, soprattutto nel caso in cui dovesse rimanere in vita questa fattispecie, cioè che lo Stato incassa il 100 per cento dei biglietti che stacca, diciamo così, allora lo Stato si paga i servizi.

E non è proprio minimamente pensabile che lo Stato incassi i frutti della bigliettazione, mentre i cittadini romani pagano i servizi: trasporto pubblico, illuminazione pubblica, raccolta e trattamento di rifiuti, trasporto pubblico, sia su gomma che su ferro, che è costosissimo, la manutenzione del verde, la manutenzione delle strade, la manutenzione dei marciapiedi, la presenza della Polizia municipale, la pulizia quotidiana. Ci sono, quindi, correzioni che vanno apportate; noi ve le abbiamo suggerite e saremo più precisi nelle ore a seguire. Non abbiamo grande fiducia che questo processo, che tardivamente avete innescato perché avete aspettato la fine della legislatura per occuparvene, possa arrivare a dama. Ricordo a chi ci ascolta che vanno fatte quattro letture, quattro passaggi in pochi mesi alla Camera, al Senato, alla Camera e al Senato. Ricordo anche, in via definitiva, che la responsabilità di questo atteggiamento dilatorio ce l'hanno in carico il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle per responsabilità locali e per responsabilità nazionali, nessun altro. Se questo processo non andrà a dama, avremo la matematica certezza che queste due forze politiche non hanno avuto sensibilità verso i fatti di Roma e dell'Italia, e adesso stanno mettendo in campo una messa in scena per fare in modo che, cambiando tutto, nulla cambi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1854-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Stefano Ceccanti.

STEFANO CECCANTI, Relatore. Grazie, Presidente. Non ritorno sulla ricostruzione del testo, su cui l'altra relatrice, la collega Calabria, ha già spiegato bene la genesi e le modifiche. Mi limito semplicemente a dire questo: in un dibattito su una riforma costituzionale dovremmo espungere qualsiasi riferimento a vicende politiche contingenti. Non ci interessa in questo momento che il sindaco o il presidente di regione sia questo o quello, che l'altro ieri sia stato questo o quello e che dopodomani sia questo o quello. Chi fa il sindaco o il presidente della regione lo decidono gli elettori. Noi qui facciamo una riforma costituzionale perché chiunque si trovi a governare Roma si trovi in condizioni migliori di quelle in cui si è trovato chiunque prima di lui o di lei, questo è il punto chiave.

Per cui eviterei qualsiasi riferimento contingente. In fin dei conti questo testo ci dice due cose: è possibile, in termini di poteri amministrativi, che la logica del testo unico sugli enti locali sia la stessa per tutti i comuni d'Italia, compresa la capitale? No, evidentemente. I poteri amministrativi devono conformarsi sulla differenza dei comuni, e questo è un comune che ha una sua estrema particolarità, in ultimo anche per le cose che diceva il collega Rampelli, come hanno detto anche gli altri oratori prima. Quindi, tutto quello che può aiutare ad avere poteri amministrativi confezionati appositamente su Roma, che sono cose diverse rispetto a quelle degli altri comuni, bene; poi dopo, ma anche durante, il legislatore ordinario può lavorarci, perché diverse cose si possono già fare anche ad articolo 114 invariato.

Poi, come noi sappiamo, cose più ardite si possono fare anche ai confini dell'articolo 114 attuale se, nel frattempo, si sta varando una riforma costituzionale che amplia ulteriormente queste competenze amministrative. Quindi, direi che c'è una prima scelta di fondo: ampliamo l'autonomia amministrativa, perché male non fa, Roma ha bisogno di una sua specificità; e facciamo in parallelo questo lavoro intanto con una legge, su cui dovremo ritornare nelle prossime settimane e mesi, a Costituzione invariata. Poi l'altra scelta riguarda il fatto che abbiamo visto che c'è un'esigenza di fare leggi, cioè norme generali e astratte anche a Roma, non solo competenze amministrative.

Questo non può portare a spaccare in due una regione, non può portare a frammentare ulteriormente il sistema sanitario nazionale che deve avere quelle caratteristiche unitarie che ha già; per cui, nell'ambito dell'articolo 117, esclusa la possibilità di spaccare in due una regione, esclusi gli interventi sulla sanità, che formano vastissima parte del bilancio, spetta all'autonomia di Roma individuare quali limitate competenze legislative possono avere un senso nella specifica situazione di Roma. Queste sono le due scelte. Se poi dopo su queste due scelte ci saranno dei dettagli nel fascicolo degli emendamenti, lo vedremo laicamente, fermo restando queste due scelte di fondo: più potestà amministrativa e inserire, con alcuni requisiti, su una spinta autonomistica da parte dell'Assemblea di Roma capitale, alcune competenze legislative.

Fermo restando questi due pilastri, se nel fascicolo degli emendamenti troveremo ragionevolmente soluzioni che scrivono meglio queste cose, le valuteremo attentamente e, nel caso, le faremo proprie. Dire questo può essere il migliore viatico per una legislatura che ha di fronte ancora nove mesi, che rappresentano un tempo più che ragionevole per fare ancora qualche limitata riforma costituzionale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante…

STEFANO CECCANTI, Relatore. Mi scusi.

PRESIDENTE. Prego.

STEFANO CECCANTI, Relatore. Me ne ero dimenticato: anch'io, come hanno fatto vari oratori, vorrei ricordare il professor Caravita, a cui tanto dobbiamo in questo sforzo di invenzione di un assetto originale, e non volevo dimenticarlo.

PRESIDENTE. Ci mancherebbe altro, relatore.

Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 21 giugno 2022 - Ore 9,30:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 12)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 4 maggio 2022, n. 41, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contestuale delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2022, nonché per l'applicazione di modalità operative, precauzionali e di sicurezza ai fini della raccolta del voto. (C. 3591-A​)

Relatore: FRANCESCO SILVESTRI.

3. Seguito della discussione delle mozioni Lupi, Squeri e Schullian n. 1-00540, Vianello ed altri n. 1-00545, Masi ed altri n. 1-00614, Binelli ed altri n. 1-00628, Foti ed altri n. 1-00641, Dori ed altri n. 1-00649 e Ruffino ed altri 1-00664 concernenti iniziative in materia di energia nucleare di nuova generazione .

4. Seguito della discussione delle mozioni Scerra ed altri n. 1-00586, Valentini ed altri n. 1-00610, Raduzzi ed altri n. 1-00620 e Lollobrigida ed altri n. 1-00632 concernenti iniziative in materia di disciplina di bilancio e governance economica dell'Unione europea .

5. Seguito della discussione della proposta di legge:

FOTI ed altri: Modifica all'articolo 71 del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in materia di compatibilità urbanistica dell'uso delle sedi e dei locali impiegati dalle associazioni di promozione sociale per le loro attività. (C. 1059-A/R​)

Relatori: DEIANA, per la maggioranza; FOTI, di minoranza.

6. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

BENDINELLI ed altri; MASCHIO ed altri: Disciplina del volo da diporto o sportivo. (C. 2493​-2804-A​)

Relatore: BENDINELLI.

7. Seguito della discussione del disegno di legge:

Delega al Governo per la riforma fiscale. (C. 3343-A​)

Relatore: MARATTIN.

8. Seguito della discussione delle mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00671, Manzo ed altri n. 1-00672 e Andreuzza ed altri n. 1-00673 concernenti iniziative per sopperire alla carenza di personale nei settori del turismo e dell'agricoltura e per sostenere le relative filiere produttive .

9. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:

BARELLI ed altri: Modifica all'articolo 114 della Costituzione, in materia di ordinamento e poteri della Città di Roma, capitale della Repubblica. (C. 1854-A​)

e delle abbinate proposte di legge costituzionali: MORASSUT ed altri; CECCANTI; MELONI ed altri. (C. 2938​-2961​-3118​)

Relatori: CECCANTI e CALABRIA.

La seduta termina alle 16,40.