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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 656 di lunedì 14 marzo 2022

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 12,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FRANCESCO SCOMA, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 marzo 2022.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Baldelli, Barelli, Bergamini, Berlinghieri, Boschi, Brescia, Brunetta, Butti, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Vanessa Cattoi, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Comaroli, Crippa, D'Inca', D'Uva, Dadone, Daga, De Maria, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Fassino, Fitzgerald Nissoli, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Maggioni, Magi, Mandelli, Marattin, Marin, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Mule', Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Paita, Parolo, Pastorino, Perantoni, Polidori, Rampelli, Rizzo, Romaniello, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Scerra, Schullian, Serracchiani, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Speranza, Suriano, Tabacci, Tasso, Tateo, Vignaroli, Viviani, Zanettin e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 101, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, recante disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina (A.C. 3491-A​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3491-A: Conversione in legge del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, recante disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina.

Ricordo che nella seduta dell'8 marzo è stata respinta la questione pregiudiziale Cabras ed altri n. 1.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3491-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento.

Le Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la IV Commissione, onorevole Aresta.

GIOVANNI LUCA ARESTA, Relatore per la IV Commissione. Presidente, onorevoli colleghi, Governo, le Commissioni riunite esteri e difesa hanno esaminato il provvedimento in discussione che si è arricchito durante l'iter di alcuni interventi innovativi, tra i quali l'emendamento del Governo con cui è stato trasfuso nel testo il contenuto del decreto-legge n. 16 del 2022, emanato sempre per far fronte alla crisi in Ucraina, ed alcuni emendamenti frutto di un accordo concorde tra i gruppi parlamentari. Sul provvedimento sono stati espressi i pareri del Comitato per la legislazione, che ha formulato talune osservazioni, e i pareri della I Commissione e della XI Commissione, che hanno espresso parere favorevole.

Per la parte più strettamente di competenza della Commissione difesa, il provvedimento prevede alcune disposizioni di particolare rilievo, alcune contenute originariamente nel decreto-legge in esame, come gli articoli 1 e 2, le altre, in particolare, l'articolo 2-bis, ivi confluite dopo l'approvazione in Commissione dell'emendamento del Governo con il quale - come ho già detto - è stato trasposto nel provvedimento in esame il contenuto del decreto-legge n. 16 del 2022.

In particolare, all'articolo 1 si prevede la proroga per l'anno in corso di taluni dispositivi NATO già in atto e l'avvio di contribuzioni aggiuntive attraverso la mobilitazione delle forze ad alta prontezza. In considerazione della straordinaria necessità e urgenza connessa alla grave crisi internazionale in atto in Ucraina, il Governo ha deliberato di emanare le richiamate disposizioni in deroga alla legge quadro sulle missioni internazionali, la legge n. 145 del 2016, in base alla quale la partecipazione di contingenti di personale militare alle missioni all'estero viene autorizzata dalle Camere con la procedura prevista dall'articolo 1, al comma 1. Il comma 1 autorizza, quindi, fino al 30 settembre del 2022, la partecipazione di personale militare all'iniziativa della NATO per l'impiego della forza ad elevata prontezza, denominata Very High Readiness Joint Task Force.

Come specifica la relazione illustrativa al provvedimento, il contingente italiano, la cui consistenza massima sarà di 1.350 unità, prevede l'impiego di un comando di componente per operazioni speciali e relative capacità operative correlate, una unità del genio militare per il supporto alle operazioni terrestri e aeromobili per la ricerca e il soccorso di personale isolato, la raccolta informativa, il trasporto tattico e il rifornimento in volo. È inoltre previsto l'invio di 77 mezzi terrestri, 21 mezzi navali e 5 mezzi aerei. La spesa complessiva ammonta a circa 86.129.000 euro per l'anno 2022.

Il comma 2 autorizza la prosecuzione, per l'anno 2022, della partecipazione di personale militare al potenziamento dei dispositivi della NATO di cui alle schede 36/2021, 37/2021, 38/2021 e 40/2021 già autorizzati, per l'anno 2021, dalle risoluzioni della Camera dei deputati (n. 6-00194) e del Senato della Repubblica, approvate rispettivamente in data 15 luglio e 4 agosto 2021. In particolare, viene autorizzata la proroga della partecipazione di personale militare italiano al potenziamento: del dispositivo NATO per la sorveglianza dello spazio aereo dell'area sud-orientale dell'Alleanza (lettera a)); del dispositivo NATO per la sorveglianza navale dell'area sud dell'Alleanza (lettera b)); del dispositivo per la presenza della NATO in Lettonia Enhanced Forward Presence (lettera c)); nonché del dispositivo NATO per la sorveglianza dello spazio aereo dell'Alleanza Air Policing (lettera d)).

L'attività di Interim Air Policing è condotta in quei Paesi dell'Alleanza che non possiedono le capacità sufficienti ad assicurare in proprio la difesa del pertinente spazio aereo. La consistenza massima del contingente nazionale è pari a 130 unità ed è previsto l'impiego di dodici mezzi aerei. Il fabbisogno finanziario è di circa 37 milioni di euro, di cui 11 milioni per obbligazioni esigibili nell'anno 2023. Il dispositivo è inteso a rafforzare l'attività di raccolta dati e sorveglianza dello spazio aereo della NATO e si inserisce nell'ambito delle cosiddette Assurance Measures progettate dalla stessa NATO a causa del mutato contesto di sicurezza dei confini dell'Alleanza. Consiste in una serie di attività terrestri, marittime e aeree svolte all'interno, sopra e intorno al territorio dell'Alleanza, intese a rafforzare la difesa, a rassicurare le popolazioni e a scoraggiare le potenziali aggressioni. Inoltre, esso risponde all'esigenza di implementare una serie di misure di rassicurazione specifiche per la Turchia. L'Italia supporta le attività della NATO garantendo la capacità di rifornimento in volo dei velivoli radar AWACS, di proprietà comune della NATO, tramite un velivolo KC-767 dell'Aeronautica e un ulteriore assetto aereo CAEW per potenziare le capacità di raccolta dati e sorveglianza dello spazio aereo dell'area sud-orientale dell'Alleanza. È previsto l'impiego di cinque unità di personale e di due mezzi aerei, per un fabbisogno finanziario di poco superiore ai 3 milioni di euro.

Il dispositivo per la sorveglianza navale dell'area sud dell'Alleanza (Mar Mediterraneo e Mar Nero) è invece inteso a colmare i critical shortfalls in seno alle Standing Naval Forces che costituiscono lo strumento navale a più alta prontezza operativa a disposizione dell'Alleanza. Le unità navali assegnate sono poste sotto il controllo operativo della NATO per un periodo di circa sei mesi e costituiscono la componente marittima della NATO Response Force.

Per il 2022 è previsto l'impiego di assetti nazionali con funzioni di comando, nonché attività di presenza e sorveglianza navale nelle aree di interesse strategico nazionale. La consistenza massima del contingente nazionale è pari a 235 unità, due mezzi navali (a cui si aggiunge una unità navale “on call” che potrà essere resa disponibile attingendo ad assetti impiegati in operazioni nazionali) e un mezzo aereo. Il fabbisogno finanziario è pari a circa 17,5 milioni di euro, di cui euro 4 milioni per obbligazioni esigibili nel 2023.

Quanto al contributo italiano in Lettonia denominato Enhanced Forward Presence, esso fa parte del più ampio dispositivo che prevede la presenza militare della NATO nelle parti orientali e sud-orientali del territorio dell'Alleanza (Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia), costituito dallo schieramento di quattro Battlegroup multinazionali, ciascuno guidato da un Framework Nation, complementari alle forze dei Paesi ospitanti.

La consistenza massima del contingente nazionale - inserito nell'ambito del Battlegroup con sede ad Adazi, in Lettonia - è pari a 250 unità. È inoltre previsto l'impiego di 139 mezzi terrestri e il ricorso a una componente di manovra e a una di logistica, che verranno ulteriormente potenziate e rafforzate anche attraverso il rischieramento permanente di un team per la protezione cibernetica delle reti non classificate. Sarà, inoltre, possibile svolgere attività per incrementare e implementare l'interoperabilità con gli assetti aerei nazionali impegnati nelle attività di air policing nell'area. Il fabbisogno finanziario è di circa 30 milioni di euro, di cui 6 milioni di euro per obbligazioni esigibili nell'anno 2023.

Infine, il potenziamento dell'Air Policing della NATO è inteso a preservare l'integrità dello spazio aereo europeo dell'Alleanza rafforzando l'attività di sorveglianza e consiste nell'integrazione, in un unico sistema di difesa aerea e missilistico NATO, dei rispettivi e analoghi sistemi nazionali messi a disposizione dai Paesi membri. L'attività di Air Policing, comprensiva di attività operative e addestrative, consiste nella continua sorveglianza e identificazione di tutte le violazioni all'integrità dello spazio aereo NATO ed è svolta nell'ambito dell'area di responsabilità del Comando operativo alleato della NATO.

Complessivamente, la consistenza massima di personale per lo svolgimento delle citate missioni è pari a 1.970 unità, con un onere di poco superiore a 88 milioni di euro, di cui circa 67 milioni nel 2022 e 21 milioni nel 2023. Sia per la nuova missione che per la proroga dei quattro dispositivi NATO, è prevista, dal comma 3, l'applicazione delle norme sul personale, in materia penale e in materia contabile, ordinariamente applicate alle missioni internazionali.

Passando all'articolo 2, la norma prevede la cessione a titolo gratuito di mezzi e materiali di equipaggiamento militare alle autorità governative dell'Ucraina ed è volta a corrispondere alle richieste di supporto indirizzate alla comunità internazionale, Italia inclusa, rendendo disponibili equipaggiamenti per la protezione individuale e, più in generale, della popolazione civile dagli effetti del conflitto in atto (materiali Counter-IED per la rilevazione di oggetti metallici e ordigni esplosivi, elmetti e giubbotti antiproiettile).

Nel corso dell'esame presso le Commissioni di merito, è stato inserito, attraverso l'approvazione del Governo, un nuovo articolo, l'articolo 2-bis, che prevede, al comma 1, l'autorizzazione fino al 31 dicembre 2022 alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina. L'efficacia di tale disposizione, poiché comporta una deroga al divieto di cessione di armamenti a Paesi in conflitto, è stata subordinata alla autorizzazione di un atto di indirizzo delle Camere. Ciò, come è noto, è avvenuto attraverso l'approvazione della risoluzione unitaria n. 6-00207, approvata dall'Assemblea della Camera, e da analogo atto di indirizzo adottato dal Senato della Repubblica.

Il comma 2 stabilisce che, con uno o più decreti del Ministro della Difesa, emanati di concerto con il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell'Economia e delle finanze, vengono definiti sia l'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti oggetto di cessione sia le modalità di realizzazione della stessa cessione.

Nel corso dell'esame presso le Commissioni di merito, è stata a lungo dibattuta la questione relativa all'informazione che sul punto deve essere garantita al Parlamento. Le ragioni di segretezza dell'atto di cessione dei materiali hanno consigliato di prevedere - attraverso l'approvazione di un emendamento - che i Ministri della Difesa e degli Affari esteri riferiscano, con cadenza almeno trimestrale, alle Camere sulla evoluzione della situazione in atto in Ucraina, anche alla luce del materiale ceduto e dei decreti di individuazione dello stesso.

Da ultimo, di stretta competenza della Difesa è il comma 2 dell'articolo 4, che autorizza la spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2022 - il testo originario, Presidente, prevedeva 1 milione, che è stato poi innalzato a 2 milioni durante l'esame nelle Commissioni - per l'invio di militari dell'Arma dei carabinieri a tutela degli uffici all'estero maggiormente esposti, al fine di potenziare le misure di protezione delle sedi e del relativo personale.

Ai militari inviati è assicurato un trattamento economico pari a quello del restante personale dell'Arma assegnato alla rete estero.

Passando poi alla disamina degli altri articoli contenuti nel provvedimento, rimandando in merito agli ulteriori a quanto riferirà la collega onorevole Quartapelle Procopio, relatrice per la III Commissione, durante l'esame nelle Commissioni è stata inserita una disposizione che prevede alcune misure in favore delle imprese che esportano o hanno filiali o partecipate in Ucraina, nella Federazione russa o in Bielorussia. In particolare, il comma 1 prevede che le imprese, che hanno realizzato negli ultimi tre bilanci depositati un fatturato medio derivante da operazioni di esportazione diretta verso i Paesi prima richiamati pari ad almeno il 20 per cento del fatturato aziendale totale, possano richiedere cofinanziamenti a fondo perduto per richieste di sostegno alle operazioni di patrimonializzazione in deroga al limite temporale attualmente previsto e già scaduto. La percentuale di cofinanziamento non può essere superiore al 40 per cento dell'intervento complessivo di sostegno.

Il comma 2 prevede, inoltre, che per le imprese di cui al comma 1 nonché quelle che hanno filiali operative o partecipate dirette nei Paesi prima indicati, è disposta una sospensione fino a dodici mesi del pagamento della quota capitale e degli interessi di rate in scadenza nel corso del 2022 in riferimento ai finanziamenti a tasso agevolato concessi nell'ambito di programmi di penetrazione commerciale.

Il comma 3, infine, prevede che le misure sopra richiamate si applicano fino al 31 dicembre 2022, con le condizioni e le modalità stabilite dalle delibere del Comitato agevolazioni, che dovrà tener conto delle risorse disponibili e dell'ammontare complessivo delle domande presentate. L'efficacia delle disposizioni richiamate è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea.

L'articolo 5-quinquies, introdotto durante l'esame del provvedimento, in quanto parte dell'emendamento del Governo, prevede misure a sostegno degli studenti, dei ricercatori e dei docenti di nazionalità ucraina che svolgono attività di studio o di ricerca presso le università, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e gli enti di ricerca.

Più in particolare, il comma 1 istituisce, a tal fine, un apposito Fondo nello stato di previsione del Ministero dell'Università e della ricerca con una dotazione di un milione di euro, aumentata rispetto al testo originario durante l'esame del provvedimento nelle Commissioni, essendo inizialmente prevista una dotazione di 500 mila euro. Il Fondo è destinato all'accoglienza dei profughi provenienti dall'Afghanistan e dall'Ucraina e, secondo un emendamento approvato nelle Commissioni, ai soggetti a cui, in conseguenza della crisi politica e militare in atto in Ucraina, è stata concessa la protezione internazionale anche temporanea. Un successivo decreto del Ministro dell'Università e della ricerca definirà poi la ripartizione delle risorse.

L'articolo 6, infine, reca le disposizioni relative alla copertura finanziaria del provvedimento, per la maggior parte assicurata mediante corrispondente riduzione delle risorse del Fondo per le missioni internazionali.

Nel concludere questa mia relazione all'Assemblea, non posso fare a meno di evidenziare come il provvedimento che oggi portiamo in Aula sia dotato di un suo equilibrio e di una propria forza, se letto nell'insieme delle iniziative che il nostro Paese e la comunità internazionale hanno messo in campo, perché è necessario fermare l'aggressione verso uno Stato sovrano e tornare al tavolo del negoziato. Arrivare al cessate il fuoco, alla composizione del conflitto e porre fine alla distruzione delle città ucraine è, dunque, una priorità decisiva. Ce lo chiedono le decine di migliaia di donne e di bambini che fuggono dai bombardamenti. Occorre agire con fermezza, umanità e intelligenza. Questo decreto si muove in siffatta direzione!

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la III Commissione, onorevole Quartapelle.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (PD), Relatrice per la III Commissione. Grazie, Presidente. La brutale guerra di aggressione della Russia richiede delle risposte all'altezza della sfida. È una brutale aggressione, che in questo momento colpisce indiscriminatamente civili e militari e che sta portando alla distruzione fisica di un Paese intero, che sembra non conoscere né pietà né logica. Per fortuna, i Paesi del Patto atlantico e l'Unione europea, in particolare, hanno risposto con una compattezza che credo abbia sorpreso e forse anche spaventato Vladimir Putin.

Abbiamo varato delle sanzioni molto onerose per la Russia, che hanno colpito non solo le imprese e le banche di quel Paese, ma la stessa attività della Banca centrale russa, con il congelamento delle riserve economiche. Sono state imposte restrizioni all'export, sono state varate decisioni che prevedono il sostegno, anche attraverso la fornitura di attrezzature militari, all'autodifesa dell'Ucraina, uno Stato sovrano che, come diceva il collega Aresta, è stato aggredito senza nessuna ragione.

Lo hanno fatto non solo i singoli Paesi della NATO e i singoli Paesi europei, ma la stessa Unione europea attraverso la European Peace Facility, che per la prima volta viene utilizzata per degli acquisti comuni di forniture militari.

Sono stati varati dei provvedimenti per la chiusura dello spazio aereo europeo e il divieto di sorvolo da parte delle compagnie con sede in Russia. Si è deciso di procedere alla chiusura di Sputnik, di Russia Tv e di tutti quei canali informativi che in questi anni hanno inquinato con propaganda e false notizie il nostro spazio informativo. Si è deciso anche un grande intervento umanitario: 600 milioni di euro sono stati stanziati dal bilancio europeo per fare fronte alle prime esigenze umanitarie dell'Ucraina. È stata applicata per la prima volta la direttiva europea che prevede la possibilità di garantire protezione temporanea a chi fugge dalla guerra in Ucraina, non solo ai cittadini ucraini, ma anche ai cittadini di quei Paesi che si trovano in Ucraina e che hanno bisogno, scappando da lì, di trovare assistenza, sicurezza e protezione nei nostri Paesi.

La risposta europea, la risposta occidentale, quindi, è stata per fortuna senza precedenti, ma anche l'Italia deve fare la sua parte e questo decreto è probabilmente il primo di una serie di decreti con i quali faremo fronte a tutto quello di cui ci sarà bisogno per contrastare l'atteggiamento prepotente della Federazione Russa nei confronti dell'Ucraina, ma più in generale nei confronti della libertà degli Stati di decidere del proprio orientamento internazionale e del proprio orientamento interno.

È per questo che, con questo decreto, per quanto riguarda la parte più relativa alla Commissione affari esteri, abbiamo varato una serie di misure molto importanti, anche se ci tengo a sottolineare che sono semplicemente le prime di una serie di misure. Anche nel corso della discussione del decreto è emerso più volte che serviranno, poi, dei provvedimenti di merito, sia sul versante della sicurezza energetica, che sul versante della protezione delle nostre imprese e dei nostri cittadini dai costi derivanti da questa guerra, sia per quanto riguarda, più in generale, il tema dell'accoglienza.

Per quanto riguarda le parti di competenza del Ministero degli Affari esteri, il decreto prevede, all'articolo 3, l'autorizzazione al Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e all'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo di operare in deroga alla vigente normativa - ovviamente ad eccezione delle norme penali, di quelle in materia di contrasto alla criminalità organizzata e di quelle derivanti da obblighi inderogabili discendenti dall'appartenenza all'Unione europea - per quanto riguarda tutti gli interventi di assistenza e di cooperazione in favore del Governo e della popolazione ucraina.

L'articolo 4 dispone un incremento di 10 milioni di euro per l'assistenza consolare: come sappiamo, il nostro personale, a partire dall'ambasciatore Zazo, sta prodigandosi per sostenere i nostri cittadini e anche i cittadini ucraini che hanno bisogno di scappare dall'Ucraina.

L'articolo 5, come raccontava anche il collega Aresta, è stato modificato in sede referente e potenzia la funzionalità dell'unità di crisi del MAECI, che, in questo momento, è uno degli snodi della nostra rete diplomatica, fondamentale per prestare assistenza ai nostri cittadini all'estero. In particolare, la Commissione ha voluto aumentare le risorse disponibili all'unità di crisi, con un emendamento a firma di tutti i componenti di tutti i gruppi della Commissione.

L'articolo 5-bis, al fine di fronteggiare l'eccezionale instabilità del sistema nazionale del gas naturale derivante dalla guerra in Ucraina, consente il riempimento degli stoccaggi di gas nell'anno termico 2022-2023 e autorizza l'anticipo, anche a scopo preventivo, dell'adozione di misure di aumento dell'offerta e/o riduzione della domanda di gas prevista in casi di emergenza.

Infine, l'articolo 5-quater contiene disposizioni relative all'accoglienza dei profughi provenienti dall'Ucraina. Già il collega Aresta ha analizzato una parte di questa misura, io ci tengo a dire che, in fase di discussione del provvedimento in Commissione, è emerso come sia necessario al più presto un provvedimento più ampio da parte del Governo per fare fronte ai numeri di persone che stanno arrivando. Il Governo, in questo provvedimento, prevedeva la possibilità di aprire 13 mila posti per l'accoglienza. Questo weekend abbiamo toccato, forse, i 45 mila arrivi: sono persone che sono arrivate e in questo momento sono ospitate all'interno della rete amicale e di relazioni che ciascuno di loro ha. Tuttavia, è evidente che questa rete non può sostenere nel lungo periodo questo tipo di accoglienza e quindi servirà, da parte del Governo, una serie di provvedimenti non solo di carattere economico, ma anche per favorire il coordinamento tra le varie amministrazioni - penso, ad esempio, a quanto già messo in atto dal Ministero dell'Istruzione e a quanto sta già prodigandosi il Ministero della Salute - per far sì che tutte queste amministrazioni funzionino e possano affrontare l'accoglienza come strumento per sostenere in parte lo sforzo bellico dell'Ucraina.

Infine, ci tengo a dire che questo decreto e, più in generale, anche gli altri decreti devono concentrarsi su come proteggere i nostri cittadini dalle conseguenze economiche di questa guerra.

L'aumento dei prezzi delle materie prime, in particolare del gas, ma anche delle materie prime di carattere agricolo, possono avere un impatto molto duro sui nostri cittadini. Dobbiamo evitare che sia così. Dobbiamo far fronte a uno sforzo straordinario per proteggere i cittadini italiani e le imprese italiane da quella che può essere la vendetta di Putin. Bisogna fiaccare il regime di Putin, non bisogna fiaccare lo spirito e il sentimento di solidarietà che tanti nostri cittadini stanno esprimendo in questo momento nell'assistere alla brutale violazione del diritto all'autodeterminazione dell'Ucraina e del suo popolo.

Per questo confidiamo, poi, in un seguito di altre misure e che questa maggioranza, la maggioranza che sostiene questo decreto, che è più ampia della stessa maggioranza di Governo, possa continuare a sostenere questo tipo di provvedimenti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di farlo successivamente. È iscritto a parlare il collega Losacco. Ne ha facoltà.

ALBERTO LOSACCO (PD). Grazie, Presidente. Questo decreto costituisce un passaggio essenziale per dire che l'Italia è con i suoi storici alleati nel condannare e nel provare a fermare questa assurda guerra, che in pochi giorni ha già mostrato il suo volto più cinico e aberrante, il suo essere la più profonda e naturale stortura delle cose umane. Una guerra che non risparmia le donne e i bambini, che colpisce gli ospedali pediatrici e l'università, che prova a usare i corridoi umanitari come arma di ricatto, che mette in pericolo la sicurezza delle centrali nucleari.

Per tanto tempo ci siamo illusi che questo non sarebbe mai più tornato, quantomeno nel cuore dell'Europa, che le ragioni del dialogo e della pace, di quanto sancito dai trattati internazionali, avrebbero guidato i rapporti tra i Paesi. Siamo stati catapultati nei libri di storia della nostra giovinezza, in cui qualcuno, come ha detto il Presidente Mattarella, si comporta secondo i criteri di potenza dei secoli passati, pretendendo che gli Stati più grandi e forti abbiano il diritto di imporre le proprie scelte ai Paesi più vicini e, in caso contrario, di aggredirli con la violenza delle armi.

Davanti a tutto questo, gli italiani non sono rimasti indifferenti: ogni giorno partono al confine tra Polonia e Ucraina decine di pullman carichi di aiuti e che raccolgono i profughi per portarli in Italia. Sono viaggi organizzati dalle organizzazioni umanitarie: a guidare quei pullman ci sono sindaci, medici, parroci, semplici cittadini. Il Partito Democratico ha messo a disposizione i suoi 5 mila circoli per la logistica e per la raccolta del materiale. Il mondo cattolico, il terzo settore, le scuole, sono già fortemente impegnate per organizzare l'accoglienza. Nel volgere di pochi giorni, in Europa sono arrivate le stesse persone del biennio della crisi siriana, soprattutto donne e bambini.

Per questo va sviluppato un sistema di accoglienza che tenga conto di questa peculiarità; serve un modello diverso da quello della gestione delle politiche migratorie che abbiamo avuto fino a questo momento, sia per la tipologia delle persone, sia per numeri che ci troveremo a fronteggiare, ma anche per il fatto che bisogna tornare a sviluppare politiche per l'integrazione. Questo discorso vale soprattutto per i più piccoli, che richiedono un percorso di accompagnamento psicologico, precedente o parallelo all'inserimento nel contesto scolastico.

Presidente, tra i contenuti del decreto, è bene sottolineare: la partecipazione, fino al 30 settembre 2022, di personale militare alle iniziative della NATO per l'impiego della forza ad elevata prontezza; la prosecuzione, fino al 31 dicembre 2022, della partecipazione di personale militare al potenziamento di alcuni dispositivi (il dispositivo per la sorveglianza dello spazio aereo dell'Alleanza, il dispositivo per la sorveglianza navale nell'area sud della NATO, la presenza in Lettonia e l'air policing sullo spazio aereo dell'Alleanza); la cessione di mezzi ed equipaggiamenti militari non letali di protezione all'Ucraina a titolo gratuito; la semplificazione, fino al 31 dicembre 2022, delle procedure per gli interventi di assistenza o di cooperazione in favore dell'Ucraina, ad esclusione delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; il potenziamento per la funzionalità e la sicurezza degli uffici del personale all'estero; il potenziamento dell'Unità di crisi del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.

Si tratta di un insieme di misure che operano su due terreni diversi: rafforzamento dei dispositivi militari della NATO nelle aree di crisi e interventi straordinari di assistenza di cooperazione in favore dell'Ucraina e del fiume di profughi, ormai misurabili a milioni, che cerca rifugio e assistenza in quasi tutti i Paesi dell'Unione europea.

Questo elenco mette in evidenza il deficit di misure militari, intese a prevenire e scoraggiare qualunque allargamento del conflitto, messe in atto dall'Unione europea. L'emergenza ci ricorda il ritardo che affligge l'Unione nell'esigenza di costituire uno strumento di difesa comune, che appare oggi, come non mai, ancora più necessario e urgente. L'Europa, nell'attivare per la prima volta la procedura per la protezione internazionale degli ucraini, ha compiuto un gesto di significato enorme; soprattutto ha mostrato grande unità, quando si è trattato di scegliere le sanzioni economiche. Forte della lezione del COVID, ha capito che dalle crisi si esce facendo avanzare le ragioni dell'unità e dell'integrazione, che in questo preciso frangente, dal mio punto di vista, porta il nome di debito comune europeo e di riforma dei trattati.

Tornando al decreto, in estrema sintesi, con questo provvedimento aumentiamo la nostra presenza nei contingenti NATO e autorizziamo l'invio di armi all'esercito ucraino. Nutro un profondo rispetto per chi ha sollevato dubbi. Anch'io, come tanti tra noi cresciuti alle scuole del pacifismo e della non violenza, ho avvertito la fatica di questa scelta; ma noi che facciamo politica siamo chiamati a confrontarci con il tempo che ci è dato vivere, come diceva Aldo Moro, un tempo che due settimane fa lasciava presagire una rapida conquista dell'Ucraina. Grazie alla valorosa resistenza Ucraina, grazie alla fermezza della posizione europea e alla dura condanna delle Nazioni Unite, le cose non sono andate come Putin aveva preventivato; ha sottovalutato la forza della democrazia, come ha detto Romano Prodi.

Nel complesso possiamo dire che rapporti di forza che apparivano soverchianti hanno assunto un'altra forma. Putin è isolato a livello internazionale ed ha anche problemi in casa, come segnalano le leggi sempre più repressive contro la libertà di parola o le migliaia di arresti tra i manifestanti.

Insomma, appare sempre più urgente aprire la strada a un percorso negoziale, prima che la guerra giunga a un punto di non ritorno. I tentativi che sono stati fatti fino a questo momento hanno avuto il grave limite proprio nell'assenza di un mediatore. Come ha ricordato Piero Fassino, l'accordo di Washington tra israeliani e palestinesi aveva alle spalle la mediazione norvegese dei colloqui di Oslo e Clinton fu garante della stretta di mano tra Rabin e Arafat. Serve, quindi, che l'Unione europea - e al suo interno il Governo italiano - si attivi per individuare una figura che le parti possano sentire come autorevole e terza, in grado di garantire il rispetto dell'accordo.

Noi, Presidente, dobbiamo continuare a essere vicini all'Ucraina e lo dobbiamo fare governando i costi che questa crisi determinerà sul nostro Paese. Abbiamo apprezzato le parole di verità del Presidente del Consiglio Draghi. Dai nostri territori giungono segnali di forte preoccupazione, a cominciare da quelle attività economiche che, con l'aumento dei costi dell'energia e della carenza di materie prime, rischiano di andare fuori mercato. Serve una risposta articolata, che intrecci il lavoro di lungo termine per l'indipendenza energetica con quello di medio termine per il debito comune europeo e quello di breve per il sostegno alle famiglie e alle imprese. Tuttavia, sappiamo, come ha detto il Presidente Mattarella, che di costi ce ne possono essere ben maggiori, perché qui in ballo non ci sono solo i diritti di un Paese, ma i principi alla base della civiltà europea.

“A quanto pare non sono il benvenuto al Cremlino? (…) Nessuna sanzione o intimidazione fermerà il Parlamento europeo o me dalla difesa dei diritti umani, della libertà e della democrazia. Le minacce non ci zittiranno. Come ha scritto Tolstoj, non c'è grandezza dove non c'è verità”. Sono le parole di David Sassoli, sono la cifra di un impegno che deve vederci uniti più che mai (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Di Stasio. Ne ha facoltà.

IOLANDA DI STASIO (M5S). Grazie, Presidente. Il provvedimento in esame è stato adottato in considerazione della straordinaria necessità ed urgenza, connesse alla grave crisi internazionale in atto in Ucraina. Per i medesimi motivi il Governo ritiene di dover derogare alle disposizioni della legge n. 145 del 2016, con riferimento alla prosecuzione della partecipazione italiana al potenziamento dei dispositivi NATO presenti sul fianco est dell'Alleanza e alla partecipazione di personale militare alle iniziative della NATO per l'impiego della forza ed elevata prontezza.

Appare utile ricordare in questa sede che, nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, la Federazione russa ha lanciato un'offensiva imponente nei confronti dell'Ucraina. Dopo la decisione del Presidente russo Vladimir Putin, di riconoscere l'indipendenza delle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk, sono arrivate le prime sanzioni da parte di USA, Gran Bretagna e Unione europea. L'invasione ha assunto immediatamente una scala ampia e crescente. Le forze terrestri russe sono entrate in territorio ucraino, isolando i porti di Mariupol e Berdyansk e colpendo Kiev, un attacco ingiustificato e ingiustificabile.

Si ricorda che il Consiglio supremo di difesa, riunitosi nel pomeriggio del 24 febbraio, oltre ad esprimere la più ferma condanna per l'ingiustificabile aggressione militare lanciata dalla Federazione russa contro l'Ucraina, ha richiesto alla Federazione russa l'immediata cessazione delle ostilità e il ritiro delle forze, fuori dai confini internazionalmente riconosciuti dall'Ucraina. Il Consiglio ha inoltre ribadito la necessità che i Paesi membri dell'Unione europea e gli alleati della NATO rispondessero con unità, tempestività e determinazione. Da quel momento tutti i Paesi occidentali si sono organizzati per esprimere la loro solidarietà al popolo ucraino ed inviare aiuti. Proprio in un'ottica di solidarietà al popolo ucraino, nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri del 25 febbraio 2022, il Governo ha approvato il decreto-legge n. 14 del 2022, che reca: “Disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina”.

Venendo alle parti del contenuto del decreto, sono previsti: la cessazione di armi ed equipaggiamenti militari all'Ucraina; la semplificazione, fino al 31 dicembre 2022, delle procedure per gli interventi di assistenza e di cooperazione in favore dell'Ucraina, ad esclusione delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; il potenziamento per la funzionalità e la sicurezza degli uffici e del personale all'estero; il potenziamento dell'Unità di crisi del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.

Venendo, poi, al dettaglio degli articoli, nell'articolo 1 del predetto decreto, vi sono disposizioni concernenti la partecipazione del personale militare al potenziamento di dispositivi della NATO sul fianco est dell'Alleanza. Al riguardo ricordo anche in quest'Aula che il dispiegamento delle Forze militari NATO nelle Repubbliche baltiche è la diretta conseguenza della richiesta di aiuto avanzata dalle medesime, vale a dire Estonia, Lettonia e Lituania, nel 2014, a seguito dei disordini avvenuti in Crimea, dapprima invasa e poi annessa alla Russia. La conseguente paura di un'imminente perdita della propria autonomia ha spinto così i suddetti Paesi a chiedere alla NATO di rafforzare la capacità offensiva e difensiva nei propri territori. Del resto, anche secondo l'articolo 5 del Trattato, ogni attacco subito da un Paese membro deve essere considerato un attacco contro tutta l'Alleanza, con il dovere di assistere la parte attaccata, “intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'impiego della forza armata per ristabilire e mantenere la sicurezza (…)”. Le forze prontamente disponibili della NATO costituite nelle Repubbliche baltiche, i cosiddetti battaglioni, assolvono perciò ad una funzione di garanzia.

Con riferimento all'invio di equipaggiamenti militari non letali, si segnala che nella delibera del Consiglio dei Ministri del 17 agosto 2021, in particolare la scheda n. 50 del 2021, il Governo ha previsto diversi interventi di sostegno ai processi di pace, stabilizzazione e rafforzamento della sicurezza, la fornitura di equipaggiamenti non letali alle forze di sicurezza libanesi, in sinergia con le attività di formazione realizzate dalla missione bilaterale di addestramento MIBIL e a supporto del raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla missione UNIFIL, nel quadro delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza.

Come precedentemente rilevato, il Parlamento ha autorizzato l'intervento in esame unitamente a tutte le operazioni citate nella deliberazione del 17 giugno 2021 con le risoluzioni della Camera dei deputati e del Senato approvate rispettivamente in data 15 luglio 2021 e 4 agosto 2021.

Si segnala anche che, nel corso delle ultime legislature, il Governo ha sottoposto a parere parlamentare diversi schemi di decreto ministeriale concernenti cessione a titolo gratuito di materiali di armamento non più in uso allo Stato italiano ad altri Stati; tali cessioni si sono basate sull'articolo 311 del decreto legislativo n. 66 del 2010, in forza del quale il Ministero della Difesa è autorizzato a cedere a titolo gratuito materiale d'armamento. La cessione di materiali in favore di tali soggetti è consentita esclusivamente per materiali difensivi, previo poi il parere vincolante delle Commissioni parlamentari competenti.

L'articolo 3 autorizza invece il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo ad adottare fino al 31 dicembre interventi di assistenza e di cooperazione in favore del Governo e della popolazione ucraina.

Venendo poi all'articolo 4, dispone un incremento di 10 milioni di euro della dotazione finanziaria delle ambasciate e degli uffici consolari di prima categoria per potenziare le misure di sicurezza a tutela delle sedi, del personale e degli interessi italiani nei Paesi maggiormente esposti alle conseguenze dell'aggravamento delle tensioni in Ucraina. La disposizione autorizza anche il MAECI a sostenere le spese di vitto e di alloggio del personale e di tutti quei cittadini che, per ragioni di sicurezza, si trovino a risiedere in locali indicati dal Ministero o dal capo della rappresentanza diplomatica o dell'ufficio consolare.

Il comma 2 dell'articolo 4 reca un'autorizzazione di spesa di un milione di euro per l'esercizio finanziario in corso per l'invio di dieci militari dell'Arma dei carabinieri a tutela degli uffici all'estero maggiormente esposti al fine di potenziare le misure di protezione delle sedi e del relativo personale. Ai militari inviati è assicurato un trattamento economico pari a quello del restante personale dell'Arma impiegato nella rete all'estero. Segnalo, altresì, che poi, grazie ad un emendamento a mia prima firma e sottoscritto anche dagli altri gruppi parlamentari, si è provveduto ad aumentare questo fondo di un altro milione.

In questa sede, Presidente, rivolgo anche un saluto alle nostre Forze dell'ordine impiegate in questo tipo di missioni a protezione delle nostre sedi all'estero.

L'articolo 5 potenzia la funzionalità dell'Unità di crisi del MAECI e, in particolare il comma 1, reca un'autorizzazione di spesa di un milione per l'esercizio in corso per il potenziamento delle attività realizzate dall'Unità di crisi a tutela degli interessi italiani e della sicurezza dei connazionali all'estero in situazioni di emergenza.

Venendo poi alle conclusioni, Presidente, questo decreto si inserisce nel quadro di previsione di una serie di misure volte ad assicurare il soccorso e l'assistenza della popolazione ucraina, tra cui il decreto ministeriale con cui anche la Ministra Dadone ha annunciato programmi e progetti in corso di attuazione per assicurare il più adeguato supporto alla popolazione ucraina sul territorio nazionale.

A questo fanno seguito anche una serie di emendamenti dei colleghi, anche della mia forza politica, per garantire ai soggetti fragili in fuga dalla guerra la necessaria assistenza negli ospedali e nei centri italiani e un aumento delle risorse a disposizione per l'accoglienza di studenti, ricercatori e professori ucraini. L'emergenza umanitaria è il peggior risvolto di questi scontri; pertanto è nostro dovere assicurare agli uomini, alle donne e ai bambini in fuga la possibilità di trovare assistenza e sostegno nel nostro Paese.

È sulla base di questo che chiediamo a gran voce l'instaurazione di sempre maggiori corridoi umanitari e che si raggiunga presto la pace. Aggiungo altresì, Presidente, che bisogna lavorare il più possibile salvaguardando anche gli interessi nazionali e dando pronta risposta a quelle che sono le richieste dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone, che non c'è: si intende vi abbia rinunziato.

È iscritta a parlare l'onorevole Maria Tripodi. Ne ha facoltà.

MARIA TRIPODI (FI). Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli membri del Governo, nella notte tra mercoledì 23 e giovedì 24 febbraio la Federazione russa ha lanciato un attacco imponente contro l'Ucraina; un'aggressione che ancora oggi le autorità russe si rifiutano di chiamare con il suo nome reale, cioè invasione, trincerandosi dietro quello di operazione speciale mirata in Ucraina, che avrebbe dovuto limitarsi all'Ucraina orientale, ma che, come si è immediatamente visto, nascondeva una vera e propria guerra di conquista.

Le strazianti immagini che di ora in ora ci arrivano da Kiev, da Mariupol e da altre città dell'Ucraina accerchiate e bombardate ci riempiono di sofferenza e ci mettono davanti a una cruda realtà: dopo la fine della seconda guerra mondiale scoppia un conflitto armato sul suolo europeo. Questa Assemblea ha condannato senza se e senza ma questa insensata aggressione russa, esprimendo la propria vicinanza al popolo ucraino.

Lo ha fatto quando il Presidente del Consiglio Draghi, lo scorso 25 febbraio, ha tenuto la prima informativa urgente e lo ha fatto nuovamente il 1° marzo, approvando in modo trasversale e pressoché unanime un'importante risoluzione in cui si è ribadito che l'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione russa rappresenta una violazione di principi e norme che regolano la vita della comunità internazionale, e in particolare il rispetto dell'indipendenza, della sovranità e dell'integrità territoriale di uno Stato. Un pacchetto di sanzioni che la comunità internazionale ha attuato e successivamente è stato implementato riteniamo debba essere ulteriormente rafforzato.

Con quella risoluzione abbiamo assicurato sostegno e solidarietà al popolo ucraino e alle sue istituzioni, attivando tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il sacrosanto diritto alla legittima difesa e di proteggere la propria popolazione, perché, come ha detto in Aula il Presidente Draghi, a un popolo che si difende da un attacco militare e chiede aiuto alle nostre democrazie non è possibile rispondere soltanto con incoraggiamenti e atti di deterrenza.

Al contempo, non rinunciamo a sostenere e incoraggiare ogni sforzo e ogni iniziativa utili a una de-escalation militare e alla ripresa di colloqui per giungere a un accordo di pace.

Il provvedimento al nostro esame oggi, che ha visto confluire al suo interno anche il contenuto del decreto-legge n. 16 del 2022, reca disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina ed è volto a mettere in campo i primi strumenti idonei ad affrontare questa emergenza internazionale.

Fin dal primo momento la NATO, pur ribadendo di non avere intenzione di entrare direttamente sul suolo ucraino, ha dato un segnale forte, avviando con altri alleati uno stretto coordinamento per potenziare le misure di sicurezza sul fianco est dell'Alleanza e per rafforzare il dispiegamento militare in tutti i Paesi alleati più direttamente esposti.

In questo contesto, l'articolo 1 del decreto-legge ha autorizzato fino al 30 settembre 2022 la partecipazione di nostro personale militare alle iniziative della NATO per l'impiego della forza ad elevata prontezza. Inoltre, viene prorogato fino al 31 dicembre 2022 il contributo italiano al potenziamento di diversi dispositivi della NATO.

Si tratta di un contributo importante di uomini e di mezzi, frutto della volontà del nostro Paese di fare la propria parte, signor Presidente, mettendo a disposizione tutte le forze necessarie. Permettetemi in questo contesto di ribadire, a nome mio e del gruppo che rappresento, la vicinanza e la riconoscenza a tutto il personale delle nostre Forze armate, che ovunque nel mondo fieramente rappresenta i valori della nostra democrazia. Il pieno sostegno dell'Italia all'Ucraina per difendersi dall'aggressione russa si concretizza con quanto previsto dagli articoli 2 e 2-bis del provvedimento che ci accingiamo ad approvare.

Da un lato, stiamo fornendo a titolo gratuito mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali di protezione alle autorità governative dell'Ucraina; dall'altro, a seguito dell'atto di indirizzo approvato dalle Camere il 1° marzo, l'Italia sta cedendo mezzi materiali ed equipaggiamenti militari in deroga alle procedure vigenti, consentendo così di sostenere tempestivamente l'Ucraina in coerenza con la rapidità operativa che una crisi internazionale come quella in atto richiede.

La furia devastatrice delle forze armate russe sta provocando un'ondata di profughi senza precedenti: sono oltre due milioni e mezzo le persone che sono fuggite dall'Ucraina dall'inizio dell'invasione, senza contare i cosiddetti sfollati interni. In Italia gli arrivi sono già ben oltre i 40 mila, in maggioranza donne e minori: a loro occorre dare assistenza, a cominciare da quella sanitaria.

Onorevoli colleghi, la macchina della Protezione civile è in moto per organizzare la governance all'interno della quale le regioni potranno operare per assistere al meglio sui loro territori, in accordo con le prefetture, chi chiederà aiuto al nostro Paese.

Il decreto al nostro esame prevede una serie di prime misure per assicurare l'accoglienza dei profughi provenienti dall'Ucraina che consente di incrementare, a integrazione, di ulteriori 5 mila i posti nelle strutture di accoglienza e di 3 mila quelli delle strutture del sistema di accoglienza.

Lasciatemi sottolineare la straordinaria e commovente mobilitazione cui stiamo assistendo in questi giorni: cittadini, imprenditori, associazioni, gruppi organizzati, enti del Terzo settore che esprimono concretamente la propria solidarietà e vicinanza al popolo ucraino, attivandosi come possono per aiutare in Italia chi è arrivato nel nostro Paese. Presidente, mi lasci anche ricordare con orgoglio anche quello che viene fatto da rappresentanti di quest'Aula in questo senso; cito, per esempio, il collega Ugo Cappellacci che è stato protagonista di un'iniziativa di solidarietà che ha portato in Italia più di 60 bambini dell'Ucraina. Un plauso inoltre va anche alle regioni e agli enti locali che, come durante le prime drammatiche fasi della pandemia, sono in prima linea nella gestione di questa nuova emergenza.

Sono certa che il Governo non farà mancare il proprio sostegno e contributo per questo ulteriore sforzo organizzativo ed economico.

I riflessi delle sanzioni alla Russia però stanno generando forti ripercussioni negative per imprese e famiglie. A due anni dall'inizio della crisi innescata dal COVID-19, c'è una nuova emergenza che sta investendo la nostra economia: oltre ai danni immediati per le imprese italiane che esportano o hanno filiali o partecipate nella Federazione Russa, in Bielorussia o in Ucraina, per le quali le Commissioni hanno approvato un emendamento che introduce le prime misure a favore delle medesime, vi sono quelli legati all'effetto della corsa dei prezzi di energia, gas, carburanti, che rischia infatti di portare, già nel 2022, il tasso di inflazione ben oltre l'8 per cento; un livello che in Italia non si vedeva dagli anni Ottanta e che quest'anno potrebbe costarci, secondo la CGIA di Mestre, ben 26 miliardi di euro in termini di minori consumi e una riduzione di 41,3 miliardi dell'aumento previsto del Prodotto interno lordo.

Signor Presidente, diviene indispensabile mettere in campo, sia a livello europeo sia a livello nazionale, tutti gli strumenti volti a minimizzare il più possibile tali danni.

L'Europa deve farsi carico in maniera solidale dei problemi che ricadranno sugli Stati membri a causa di questa crisi. A livello nazionale, va pensato un fondo a supporto dei settori e dei comparti produttivi particolarmente colpiti al fine di evitare il rischio che un ulteriore aumento dei costi dell'energia, delle materie prime e dei semilavorati comprometta definitivamente la sopravvivenza di molte nostre imprese.

A livello europeo, è iniziato un confronto finalizzato ad affrontare, oltre alla creazione di un Energy Recovery Fund, la deroga sulla disciplina degli aiuti di Stato e misure per giungere all'indipendenza energetica dell'Europa.

Salutiamo positivamente la volontà della Commissione europea di utilizzare la massima flessibilità in materia di aiuti di Stato per consentire agli Stati membri di sostenere le imprese e i settori gravemente colpiti.

La crisi ucraina ha drammaticamente evidenziato tutti i problemi legati alla dipendenza energetica del nostro Paese. Per troppi anni non è stato affrontato il tema della mancanza di autonomia dell'Italia e le scelte sono state spesso rinviate; troppo spesso, la politica è stata ostaggio dell'ideologia NIMBY, dei “no” alle piattaforme offshore dei no-TAP. Il tema della diversificazione non si esaurisce con quello di chi ci vende l'energia, ma significa porsi il problema del mix energetico che il nostro Paese deve sviluppare per sganciarsi, almeno parzialmente, da una dipendenza internazionale.

L'Italia negli ultimi anni ha fatto molto in tema di fonti rinnovabili; tuttavia, in questa fase, occorre puntare ad una maggiore combinazione delle fonti, guardando non solo a quelle di energia rinnovabile. Occorre con forza dire basta ai “no” ideologici fuori da ogni logica che hanno ostacolato la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento.

Con il decreto al nostro esame sono state adottate misure necessarie alla sicurezza del sistema nazionale del gas naturale che consentono la riattivazione delle centrali a carbone e a olio combustibile in caso di problemi delle forniture di gas. La norma prevede anche la possibilità di ridurre il consumo nel settore termoelettrico che rappresenta una delle principali componenti della domanda media giornaliera di gas.

Il combinato disposto di caro bollette e caro benzina però rimane un mix insostenibile che rischia di mettere in ginocchio interi comparti e compromettere definitivamente la nostra ripresa economica. Accise e IVA pesano per più della metà sul costo dei carburanti ed è qui che il Governo deve intervenire in modo più che tempestivo. E' un auspicio, signor Presidente, che Forza Italia ha a più riprese sottolineato.

Come ha detto comunque il Presidente del Consiglio, non siamo ancora in un'economia di guerra e neppure sull'orlo della recessione, ma troppe imprese stanno riducendo l'attività per non andare in perdita e rischiano la chiusura; una situazione molto grave anche dal punto di vista delle ricadute sociali.

Occorre dunque intervenire drasticamente innanzitutto semplificando procedure e snellendo una burocrazia che ha contribuito a frenare, se non ad arenare, la realizzazione di piani di produzione e approvvigionamento energetico.

Presidente, onorevoli colleghi, mi avvio alla conclusione: è nostro dovere fare di tutto affinché le armi tacciano e si torni al tavolo delle trattative per arrivare al più presto ad un accordo che non solo salvi la dignità dell'Ucraina, perché - ricordiamolo sempre - il popolo ucraino non mira solo alla pace, ma vuole anche mantenere la propria libertà e la propria sovranità e noi dobbiamo fare di tutto affinché questo avvenga.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone, che recuperiamo. Prego, onorevole Mollicone, ha facoltà di parlare.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo: 19 giorni di conflitto in Ucraina, 19 giorni di tragedia, di sofferenze, di guerra.

Permettetemi ancora una volta di esprimere la profonda vicinanza del nostro gruppo al coraggioso popolo ucraino che sta dimostrando una volontà senza precedenti, alla comunità ucraina che vive in Italia, ai nostri connazionali che vivono in Ucraina, all'ambasciatore Zazo, a tutto il personale della nostra ambasciata e della Farnesina nonché alle nostre Forze armate, a cui va tutta la nostra riconoscenza.

Onore, poi, a Brent Renaud, ucciso ieri a Irpin, mentre documentava la guerra per The New York Times. E onore a tutti i giornalisti, agli inviati di guerra di tutte le nazioni e, ovviamente, anche agli inviati di guerra italiani e della RAI; e ai tecnici, spesso esterni, che sono sul campo, a cui chiediamo anche di riconoscere i crediti sui servizi perché, come gli inviati di guerra e come i giornalisti, giustamente rischiano la vita; quelle immagini, infatti, sono registrate in diretta e dietro ad esse ci sono persone in carne e ossa che meritano rispetto, come ha chiesto anche l'associazione di categoria ASA.

Ma a che punto è la guerra, colleghi? Mentre parliamo, una base NATO al confine con la Polonia è stata colpita dai russi, aumentando il rischio di una escalation verso un conflitto globale. La guerra corre veloce su più fronti, l'incendio si sta propagando, le situazioni di crisi si moltiplicano. I segnali sono vivissimi ma ancora pochi sembrano consapevoli di quello che sta accadendo. Molti saranno colti di sorpresa in uno scenario che, invece, si sta dispiegando con eccezionale rapidità verso un'economia di guerra.

Il conflitto non è solo quello che vediamo nelle immagini che arrivano dall'Ucraina, è un fenomeno ampio e capillare che si propaga come un fiume che si gonfia e rischia di rompere gli argini. Giorno dopo giorno, stiamo entrando in una dimensione di belligeranza permanente; quando il tuono delle armi si placherà, saremo di fronte, colleghi, ad un nuovo quadro della sicurezza e della vita in Europa e nel mondo: ad un nuovo ordine mondiale.

Kiev è sotto assedio, più della metà della popolazione ha lasciato la capitale. A Mariupol continuano i bombardamenti, il segnale del collasso: risse, saccheggi per cibo e carburante. Kiev è assediata su tre fronti, i tank russi non sono ancora entrati nel cuore della città. Sono state scavate trincee, il sindaco ha detto che la città è una fortezza. I rifugiati saranno e sono già milioni. Sotto le bombe, di fronte alla violenta lacerazione dell'ordine internazionale e alla chiara violazione del diritto, i distinguo ovviamente sono impossibili. I tentennamenti non sono permessi. Noi siamo con i patrioti ucraini, con le donne che combattono nelle strade, con le ragazze e i ragazzi che imbracciano un fucile per difendere i confini. Kiev è il simbolo della libertà, non c'è spazio per alcuna ambiguità. Ciò che è accaduto in Ucraina non è giustificabile e schierarsi dalla sua parte vuol dire schierarsi a difesa della nostra libertà; perché, se cediamo oggi, colleghi, domani l'imperialismo russo colpirà altri Stati europei.

La gloriosa lotta del popolo ucraino ha una visione ancestrale, filosofica dell'esistenza e della difesa della terra dei padri. Ernst Jünger la definiva come l'inviolabilità del domicilio: il primo confine si fonda sul padre di famiglia che si piazza sulla soglia di casa con la scure in mano; accanto, i suoi figli pronti a combattere e a difendere la sua casa. Ed è quello che sta accadendo strada per strada in Ucraina. È chiaro infatti che, proprio dopo aver assistito a tante debolezze occidentali - dal vergognoso ritiro delle truppe in Afghanistan voluto da Biden alla fallimentare gestione del COVID - la Russia abbia deciso di cogliere l'occasione per attuare un colpo di mano; Blitzkrieg qualcuno lo avrebbe chiamato. Ma in realtà non si sta rivelando tale e vediamo, giorno dopo giorno, come anche l'esercito russo si affatichi, si impantani, non abbia la logistica e chieda aiuto a forze straniere.

Colleghi, il provvedimento in esame rappresenta la trasposizione dell'atto di indirizzo, probabilmente il più importante della storia della XVIII legislatura, che questo Parlamento ha votato.

In questo momento la Nazione, anche grazie a quello che ci riporta Giorgia Meloni, unica forza di opposizione in Parlamento, ha manifestato un'unità di intenti che non si era mai vista; una piena unità di intenti su cosa potesse fare per soccorrere l'Ucraina e anche per meglio difendere l'Europa, la nostra libertà, il nostro futuro e l'Alleanza atlantica.

Noi lo abbiamo detto sin dall'inizio: si vis pacem, para bellum. La cessione di equipaggiamento militare all'Ucraina è necessaria, ma lo si deve fare con la dovuta trasparenza e attenzione, come abbiamo chiesto sia in Commissione che qui in Aula, con i colleghi delle Commissioni difesa ed esteri. Va posto un tema: l'ingiustificata aggressione russa è dovuta soprattutto alla mancata proiezione geopolitica e militare dell'Europa in questi anni e, aggiungerei, in questi decenni.

Per questo è necessario uno strumento militare europeo complementare alla NATO e inserito nel quadro di alleanza occidentale a difesa dell'Occidente.

Ora, però, va garantita la necessità, per la comunità internazionale, di continuare a lavorare in modo compatto per scongiurare un'estensione del conflitto e arrivare quanto prima alla cessazione delle ostilità. E non lo diciamo per esaltazione di un pacifismo di maniera che non ci ha mai visto scendere in strada dietro quelle bandiere; noi lo diciamo perché crediamo che la pace, la ricchezza, l'economia si difendano con la deterrenza anche militare. Un tema emerso, anche questo, dal vertice di Versailles, altro appuntamento storico. Chissà, chi avrebbe mai immaginato di trovarci di fronte a un altro summit internazionale a Versailles, di cui ha parlato persino il Presidente Mattarella e che spesso viene indicato anche da Giampiero Massolo dell'ISPI o da Terzi di Sant'Agata, già ottimo Ministro degli Esteri.

Siamo in un contesto geopolitico multipolare, in continua evoluzione. L'Europa deve innovarsi e dotarsi di un nuovo modello di sicurezza integrata, investendo risorse, dispiegando forze ed armamenti convenzionali e nucleari per garantire pace e libertà ai propri cittadini. I 27 Paesi appartenenti all'Unione Europea sarebbero in grado, così, di disporre di circa un milione e 200 mila uomini appartenenti alle Forze armate. Per fare un paragone, colleghi, gli Stati Uniti ne schierano un milione e 400 mila; la Cina 2 milioni e 185 mila (ovviamente in proporzione agli abitanti), la Russia un milione e 14 mila. Per quanto riguarda le forze aeree, l'UE avrebbe a disposizione 2012 cacciabombardieri da difesa aerea e attacco, insieme a circa 609 velivoli da trasporto di tutte le dimensioni; gli USA ne hanno, rispettivamente, 2717 e 845; la Russia 1531 e 429; la Cina 1571 e 264. Sempre parlando di assetti aerei, l'UE potrebbe schierare circa 42 delle fondamentali aerocisterne. Dal punto di vista delle spese per l'apparato militare, l'Unione europea, nel suo complesso, versa circa 185 miliardi di dollari ogni anno, in confronto ai 740 degli Stati Uniti, ai 178 della Cina e ai 42 miliardi della Russia. La presenza di un dispositivo militare europeo congiunto avrebbe quindi garantito la difesa dei confini orientali anche della NATO, in un meccanismo di deterrenza evidente con la Russia.

Ora, come indicato anche da Giorgia Meloni al Presidente Mattarella, va garantita però la necessità per la comunità internazionale di continuare a lavorare in modo compatto per scongiurare l'estensione del conflitto e arrivare quanto prima alla cessazione delle ostilità.

Le iniziative di solidarietà del popolo italiano verso l'Ucraina sono state molteplici e di grande generosità, come la raccolta che anche Fratelli d'Italia sta facendo a livello nazionale in ogni città - a Roma con la campagna “Kiev chiama, Roma risponde” - raccogliendo più di 35 tonnellate di derrate alimentari, e chiedendo e ottenendo dai propri iscritti e simpatizzanti di aprire le case ai rifugiati ucraini, rispondendo anche all'appello della Caritas per ospitare donne e bambini.

La politica estera tuttavia non è solo geopolitica. Ci sono persone, nazioni, popoli in carne e ossa che dovrebbero avere, nel mondo nuovo costruito dai nostri padri, il diritto pacifico di scegliersi i Governi e le alleanze internazionali.

La guerra avrà ricadute anche nazionali, c'è un aspetto di sicurezza sia materiale che immateriale. Le sanzioni produrranno e stanno già producendo un impatto economico biunivoco fra noi e i russi. Alcune filiere già denunciano una situazione di gravissima sofferenza, al punto che le relative imprese rischiano di dover molto presto cessare l'attività; molte altre lo hanno già fatto.

L'Italia importa dalla Russia soprattutto prodotti minerari, petroliferi e metallurgia come, ad esempio, ferro, ghisa e acciaio. Vi esporta, principalmente: macchinari, abbigliamento, apparecchi elettronici e prodotti chimico-farmaceutici. Le sanzioni bloccano l'esportazione a uso duale sia civile che militare di alcuni prodotti per la prospezione petrolifera e la raffinazione del greggio.

L'export italiano verso la Russia vale circa 8 miliardi di euro. Si stima che i beni colpiti direttamente delle sanzioni ammontino a 320 milioni. Dal lato dell'import, le filiere italiane più colpite sono quelle della ceramica e della siderurgia, che stanno riscontrando difficoltà di approvvigionamento di argilla e materiali ferrosi. Ci sono problemi anche per le forniture di rame che, insieme all'alluminio, vale il 3,2 per cento del valore totale delle importazioni dalla Russia.

Chiediamo, quindi, un fondo perequativo per assistere le nostre aziende.

L'altro tema fondamentale, citato anche dai colleghi, quello sulla sicurezza energetica e il caro benzina, è un aspetto che grava sull'ecosistema economico aziendale e nazionale. Facciamo chiarezza su questo: i prezzi del greggio si sono avvicinati ai 140 dollari al barile, i prezzi del grano sono balzati e i metalli industriali sono aumentati, lunedì, mentre la guerra in Ucraina e la risposta dell'Occidente hanno minacciato di colpire le forniture di materie prime che sostengono gran parte dell'economia mondiale. L'impennata si basa su settimane di guadagni per le materie prime e si aggiunge alle pressioni inflazionistiche che stanno attraversando l'economia mondiale. I futures del greggio Brent, il punto di riferimento internazionale, sono balzati del 5,1 per cento a 124,11 dollari al barile e prima hanno colpito i 139,13 dollari al barile, il loro livello più alto da quando il boom dell'economia cinese ha sollevato i mercati delle materie prime nel 2008, pensate che riferimento storico. Il marker statunitense West Texas Intermediate ha scambiato il 3,4 per cento più in alto, a 119,61 dollari al barile. Prima della guerra, le esportazioni russe di greggio e prodotti raffinati hanno soddisfatto circa il 7,5 per cento della domanda mondiale di petrolio, ma dopo che il Presidente Putin ha invaso l'Ucraina alla fine di febbraio, molti raffinatori hanno messo in pausa le importazioni, hanno lottato per trovare finanziamenti e petroliere per i carichi di petrolio russo e temevano danni alla reputazione, così come sanzioni sul greggio. Le scorte di petrolio si stavano esaurendo prima dello scoppio della guerra, poiché la domanda si è ripresa dai minimi pandemici. A dicembre le scorte commerciali di petrolio dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico erano pari a 2,68 miliardi di barili, secondo l'Agenzia internazionale dell'energia, il loro livello più basso in sette anni. Un conto, però, è l'andamento della materia prima, altro conto, colleghi, è l'andamento dei singoli prodotti finiti che hanno – ciascuno - loro mercati specifici con dinamiche spesso chiaramente distinte. A rendere ancora più complesso il nesso vi è poi la finanziarizzazione internazionale dei mercati energetici che amplifica esponenzialmente anche condotte speculative, come quelle in atto in questo momento, lo ha riconosciuto anche il Governo.

Va detto, quindi, che per riprendere e estrarre di più bisogna investire, sapendo che non si raddoppia o triplica la produzione nel giro di qualche mese, senza dimenticare che sfruttare alcuni giacimenti, quelli davanti a Venezia, comporta alcuni rischi. Ad ogni modo non c'è, colleghi, solo capacità estrattiva; in Italia non abbiamo nemmeno espanso i siti per lo stoccaggio del gas. Se avessimo maggiore capacità di immagazzinamento avremmo potuto affrontare con più serenità le possibili ritorsioni russe a fronte di queste sanzioni.

Noi siamo con i consumatori, siamo - e lo abbiamo chiesto anche al Presidente Mattarella - con Giorgia Meloni, per favorire il contenimento del costo dei carburanti e i limiti per quanto possibile alle speculazioni in atto, non solo, dalla congiuntura internazionale, ma anche da comportamenti aggressivi da parte di certi operatori di mercato. Noi puntiamo a recuperare in modo strutturale, da un lato, il meccanismo dell'accisa mobile, sulla falsariga di quanto avviene da anni in Slovenia o da alcuni giorni in alcuni Paesi europei, come l'Irlanda, che hanno immediatamente ridotto le accise anche di venti centesimi e con esse il carico IVA per compensare i forti aumenti e, dall'altro, un'IVA agevolata. Ecco, trattandosi, quindi, di una vera e propria tassa di scopo, che già esiste, chiediamo la massima trasparenza di come tali soldi siano impiegati ed eventualmente di utilizzarne i proventi per calmierare il prezzo finale al distributore di carburante. Accogliamo, quindi, gli allarmi delle associazioni di categoria, come ASSISTAL, FIEG o Assopetroli e chiediamo al Governo di trasferire immediatamente alle imprese le risorse per il sostegno al settore già stanziate e di prevedere nuovi e significativi interventi sul mercato della carta e dell'energia, così da garantire la sopravvivenza del sistema editoriale e di tutto l'ecosistema delle imprese. Presenteremo in tal senso emendamenti anche al decreto-legge Energia, perché tutto è collegato, è un ecosistema; quando la geopolitica è in crisi è in crisi un ecosistema, quello economico, energetico e finanziario. L'informazione di qualità deve essere garantita per salvaguardare un settore rilevante della nostra economia e critico come in questi momenti, in cui il pluralismo delle opinioni e delle idee e i posti di lavoro, dai tecnici ai giornalisti, devono essere garantiti.

Il Copasir aveva già lanciato l'allarme alcuni mesi fa, nel secondo semestre del 2021, sul rischio di un'eccessiva dipendenza energetica dell'Italia dalla Russia e sulla necessità di affrancarsi e di trovare altre opzioni che rendessero il nostro Paese meno fragile da questo punto di vista; monito rimasto inascoltato dal Parlamento. Vedete, colleghi, a cosa serve il Copasir? Quando lavora serve a questo, a raccogliere gli allarmi dei servizi e a trasmetterli tempestivamente al Parlamento. Abbiamo la necessità di invertire la rotta dell'inquinamento globale, ma con la meridiana dell'interesse nazionale quando questo è in crisi, e con “interesse nazionale” ovviamente intendiamo anche l'interesse europeo. L'Italia e l'Europa si dotino di un piano di sicurezza energetica, di un mix energetico che possa garantire l'autonomia e la sicurezza nazionale anche in caso di volatilità geopolitica, perché non possiamo più rischiare di essere nel paradosso perfetto, come in questi giorni, per cui chiediamo di fermare la guerra della Russia e nel frattempo la alimentiamo ogni giorno con centinaia di milioni di euro per il gas russo.

Ma veniamo alle minacce immateriali; la guerra in Ucraina ha messo l'Unione europea davanti a un cambio di paradigma nell'ambiente digitale. L'infrastruttura digitale europea non è mai stata così a rischio di destabilizzazione; sempre il presidente del Copasir, Adolfo Urso, e il direttore dell'Agenzia per la cybersicurezza, Baldoni, avevano lanciato anche su questo un avviso urgente, mettendo in guardia da possibili attacchi informatici contro Governo e industrie, in particolare aziende sanitarie e ospedaliere. In questi giorni va, inoltre, considerata la presenza massiva di tecnologia russa nei sistemi operativi della nostra pubblica amministrazione, un famoso sistema paradossalmente di prevenzione, trojan e antivirus famigerato, che non cito, è installato in tutti i sistemi della pubblica amministrazione e probabilmente anche in molti sistemi qui, all'interno della Camera. Bisogna, quindi, equiparare normativamente gli attacchi cyber ad attacchi terroristici, così da dotare lo Stato di strumenti più forti contro il dilagare della minaccia virtuale. In questo senso riteniamo necessaria una regolamentazione stringente delle cripto valute che in questo scenario di crisi vengono usate per evadere dalle sanzioni agli oligarchi.

Colleghi, noi siamo contrari all'aggressione russa, ma siamo contrari anche alla russofobia, perché riteniamo preziosa la secolare cultura russa e l'amicizia con il popolo russo che è altra cosa da chi lo governa - ci preme sottolineare la preoccupazione per i patrimoni culturali della nazione Ucraina, come la Casa delle Chimere o la basilica di Santa Sofia del 1038 - ma questo non toglie che la cultura debba essere libera e la circolazione delle idee di artisti di ogni nazionalità debba continuare a essere garantita. Nessuno pensi di censurarla; non possiamo confonderci con gli autoritarismi e con i dittatori che vogliamo combattere. Autori russi come Dostoevskij, come Puskin, come Solzenicyn, come Gogol, sono stati alfieri della libertà contro la schiavitù, la corruzione e i totalitarismi. Abbiamo presentato su questo una risoluzione in VII Commissione che auspichiamo possa essere unitaria, essendo disponibili a sintetizzarla con gli altri. Abbiamo per questo chiesto al Governo di attivarsi in sede internazionale per garantire la tutela del patrimonio culturale e artistico dell'Ucraina, la promozione della cultura ucraina e l'ospitalità degli artisti ucraini, su cui in Commissione cultura, appunto, è emersa la concordanza con anche le forze politiche della maggioranza e, quindi, auspichiamo un testo unico, perché alle strazianti immagini delle strade affollate dai profughi si aggiungono quelle dei bombardamenti anche sul patrimonio culturale ucraino e con esse lo spettro di una nuova epurazione culturale. A rischio ci sono i siti patrimonio mondiale dell'UNESCO, 8 in Ucraina e 17 sotto richiesta: la cattedrale di Santa Sofia a Kiev, le relative costruzioni monastiche, il complesso del centro storico di Leopoli, l'antica città di Chersoneso Taurica e la Chora a Sebastopoli, l'Arco geodetico di Struve, le antiche faggete primordiali dei Carpazi e di altre regioni d'Europa, le uniche di tipo naturalistico, le residenze dei metropoliti bukovini e dalmati, l'intero centro storico di Odessa.

I musei della capitale ucraina sono ricchi anche di opere d'arte italiane. L'Ucraina è anche la patria di tante ballerine e ballerini che hanno ballato nelle gare più prestigiose e nei teatri più prestigiosi, come il primo ballerino dell'Opera ucraina Potiomkin, che ha abbandonato il mondo della danza per arruolarsi e per difendere il proprio Paese attaccato dalla Russia.

Il Ministro Franceschini ascolti il Parlamento e porti queste posizioni al tavolo del Consiglio d'Europa con i Ministri della Cultura il prossimo 1° aprile, con uno slogan che vi piace spesso citare: “Se non ora, quando?”. Se non ora, che c'è la Presidenza italiana, quando? Se non ora, quando i caschi blu dell'ONU per la cultura (a meno che non fosse solo propaganda)?

Colleghi, Putin ha sottovalutato il carattere e il patriottismo del popolo d'Ucraina che, con il fucile in mano, combatte strada per strada, fabbricando molotov e imbracciando le armi nel nome della propria Nazione. Ha sottovalutato Zelensky, eroe per caso; ha sottovalutato la risposta degli ungheresi, dei polacchi e delle Repubbliche baltiche. Lo diciamo senza mezzi termini: vogliamo la pace, ma va ristabilita la completa integrità dello Stato ucraino. Vedete, la lotta di Budapest del 1956 ritorna per sillogismo con l'eroismo dei patrioti ucraini nel 2022. Ragazzi e ragazze, donne e uomini che lottano per la difesa della propria terra e della propria casa.

Colleghi, ripetiamolo insieme: “Avanti, ragazzi di Kiev! Avanti, ragazzi di Leopoli! Avanti, ragazzi di Mariupol! Avanti, ragazzi di Odessa! Avanti, ragazzi ucraini! Avanti, figli d'Europa!” (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagani. Ne ha facoltà.

ALBERTO PAGANI (PD). Grazie, Presidente. Avendo la relatrice e per il mio gruppo il collega Lo Sacco già parlato diffusamente del provvedimento, io mi limito a tre riflessioni di carattere politico e strategico e cerco di farlo interloquendo e dialogando con i colleghi che mi hanno preceduto, perché credo che in discussione generale sia utile ascoltarsi e tentare di avvicinare le posizioni, partendo ciascuno delle proprie idee, piuttosto che proporre monologhi scritti a casa con un po' di retorica.

Nella discussione che ho ascoltato, con molta attenzione, sembra quasi che si tratti di una guerra cominciata 19 giorni fa. È un errore di analisi abbastanza grave, perché la guerra in Ucraina è cominciata 8 anni fa e non 19 giorni fa. È cominciata con l'annessione, senza sparare un colpo, della Crimea alla Russia e poi la guerra nel Donbass, che è guerra, guerra asimmetrica, ma è guerra, nel 2014. Accanto a questo - e noi europei forse non ce ne siamo resi conto fino in fondo - c'è stata una serie di iniziative di guerra asimmetrica portate avanti dalla Russia. Quella che viene propriamente o impropriamente definita “dottrina Gerasimov”, che non è guerra ibrida ma è guerra nelle zone grigie, affianca l'attività degli hacker che colpiscono attraverso la rete Internet e con attacchi cyber infrastrutture critiche di diversi Paesi - nel 2014 si è realizzato il più grande attacco hacker alle infrastrutture critiche della storia proprio in Ucraina - all'attività dei troll, cioè quegli operatori che attraverso i social network manipolano e condizionano l'opinione pubblica degli altri Paesi con notizie false e con modalità di comunicazione che servono a produrre convincimenti basati su bugie sostanzialmente. Questa attività non è estranea alla guerra; è parte della guerra. Guerra ibrida per questo, perché si compone di diverse azioni: alcune sono azioni militari in senso stretto e altre sono azioni che sono parificate o parificabili alle azioni militari.

Dal 2014 ad oggi si combatte questa guerra, che 19 giorni fa ha avuto, invece, un'accelerazione sul piano della cosiddetta guerra cinetica, cioè delle attività militari combattute sul campo. Fino a 19 giorni fa, l'opinione pubblica dei Paesi europei e alcune importanti forze politiche un po' in tutti i Paesi europei non hanno colto la postura aggressiva della Russia, anzi hanno in parte anche ammirato o strizzato l'occhio o avuto simpatie per la politica di Putin. Il fatto che oggi la guerra cinetica, i profughi, le immagini che vediamo, i morti, i bambini che scappano abbiano portato tutti a prendere parte e ad avere consapevolezza del fatto che c'è un Paese aggredito e c'è un Paese aggressore è sicuramente una maturazione di consapevolezza utile. Ma quello che dobbiamo avere chiaro è che noi il lusso di strizzare l'occhio a Putin o di battergli la mano sulla spalla e di considerarlo uno statista non ce lo possiamo più permettere in Europa, perché l'oggetto di questa guerra non è l'Ucraina: sono i rapporti di forza fra l'Oriente e l'Occidente sul territorio europeo. Quindi, interessa anche noi e dobbiamo avere chiaro da che parte si sta (tutti dobbiamo averlo chiaro).

La seconda riflessione riguarda il che fare adesso. Ora ci sono, in teoria, tre linee di condotta alternative praticabili. Ad un'aggressione di questo tipo, la prima linea di condotta noi l'abbiamo giustamente scartata - per “noi” intendo dire l'Unione europea e l'Alleanza atlantica - a priori, cioè un intervento militare diretto che porterebbe dritti verso la Terza guerra mondiale e all'uso delle armi atomiche. Non perdo tempo a parlarne; non c'è bisogno di spiegare perché l'abbiamo scartata. Poi c'è una seconda opzione, che per fortuna tutti i Paesi europei - persino la neutrale Svizzera - hanno scartato e gli Stati Uniti e gli altri alleati del Patto Atlantico pure, che è l'idea di lasciare che la prepotenza del più forte prevalga, senza agire in nessun modo. Cioè, prendere atto della realtà che c'è una parte forte e una debole e quella forte impone le sue ragioni con la forza delle armi. L'ordine mondiale, che si basa sulla sovranità degli Stati-nazione dalla pace di Vestfalia ad oggi, rifiuta questo approccio. Esiste un diritto internazionale ed esiste una necessità di prendere parte - come noi abbiamo fatto in questo caso per la parte più debole, che è l'Ucraina -, sostenendo le ragioni, il diritto e la libertà del popolo ucraino di determinare autonomamente qual è il proprio destino e il proprio futuro. Lo abbiamo fatto non solamente con il sostegno morale, che pure vale qualcosa ma non è sufficiente, ma anche con gli impegni concreti che sono contenuti nel provvedimento che dovremo votare nei prossimi giorni e che stiamo discutendo oggi, sia sul piano dell'aiuto per i profughi e i rifugiati sia sul piano dell'aiuto per l'attività militare di resistenza che il popolo ucraino sta ponendo in essere. Quindi, anche la cessione di sistemi d'arma che possono permettere a queste resistenze di avere maggiore efficacia. Naturalmente, ho ascoltato nel dibattito tra i colleghi che mi hanno preceduto anche osservazioni, che condivido, sulla necessità dell'Unione europea di avere una maggiore capacità militare affiancata a quella della NATO per proteggere i confini dell'Unione europea stessa. Io sono naturalmente d'accordo con questa opinione. Però, sottolineo un aspetto, che di nuovo è un errore analitico non considerare. A poco serve mettere insieme le forze in una organizzazione joint (come si dice sul piano militare), cioè Forze armate di singoli Paesi che si addestrano assieme, se non c'è una politica estera e di difesa che decide come questa forza la si impiega, quando la si impiega, dove la si impiega e con quali regole d'ingaggio. Il problema non è mettere insieme le forze per avere Forze armate europee; i militari ci mettono sei mesi a realizzare un progetto di questo tipo.

Il problema è politico, cioè sta nella volontà dei Paesi europei di rinunciare a un po' della propria sovranità nazionale per prendere decisioni di politica estera insieme e utilizzare la forza, insieme, della politica di difesa. Ora, l'ostacolo principale alla realizzazione di un'autonomia strategica europea non sta negli aspetti di carattere militare, sono tutti facilmente risolvibili, sta negli aspetti di carattere politico, e si chiama sovranismo, cioè quella visione nazionalista che prevede che ci sia una sovranità totale dello Stato nazionale sulle proprie Forze armate e sulla propria politica estera, e non la necessità di condividere con gli altri alleati dell'Unione europea una politica estera comune e, quindi, una politica di difesa comune. Per potere avere un maggiore peso e una maggiore capacità strategica, l'Unione europea deve fare questo passo e abbandonare il sovranismo.

Terza riflessione, che riguarda invece il futuro: come si esce da questo conflitto? Mentre l'invenzione della guerra è antica quanto l'umanità, l'invenzione della pace è molto più recente. La pace si produce con la negoziazione, cioè con un accordo diplomatico, che, per sua definizione, non è la vittoria totale di uno o la sconfitta totale dell'altro, ma è l'incontro di posizioni diverse che si devono comporre, ascoltandosi a vicenda. Qualcuno dice che l'Occidente, l'Europa e la NATO abbiano commesso degli errori, in passato, che hanno favorito il degenerare della situazione e che ci hanno portato qui. Io non so se sia così o meno, in ogni caso non è questo il momento per fare l'analisi degli errori, è il momento per trovare le soluzioni. Quel che è certo è che la soluzione si trova se si va incontro sia alle esigenze di Kiev, che alle esigenze di Mosca, che pone un problema di sicurezza e un problema di garanzie sui propri confini.

Riprendo in questi termini una proposta, una riflessione, che ho ascoltato più volte in queste Aule, fatta più volte in questi giorni, relativa al ragionamento complessivo del sistema di sicurezza europea e degli equilibri europei di sicurezza. La soluzione del problema non può essere affidata alla trattativa tra Russia e Ucraina, ma solamente a una trattativa multilaterale, che parta naturalmente dalla negoziazione tra la Russia e l'Ucraina, ma che tenga conto anche delle altre forze europee, dell'Occidente e della NATO, nella quale ciascuno si impegna a fare una propria parte per costruire un nuovo equilibrio che non sia semplicemente una fotografia dei rapporti di forza che vengono fuori dalla guerra nel momento in cui questa si interrompe, ma che sia un equilibrio che possa garantire la stabilità e la pace nei prossimi decenni, perché se le ragioni che hanno portato a questo conflitto non sono affrontate e non sono risolte, la soluzione di pace è precaria per definizione. In questo io credo che il nostro Paese - del quale ho apprezzato molto la postura in queste due settimane - possa dare un contributo utile, sia alla riflessione interna all'Alleanza atlantica, sia alla riflessione interna all'Unione europea.

Il provvedimento che oggi approviamo è un provvedimento che risolve una parte dei problemi emergenti nella situazione consistente. Non è sufficiente, naturalmente, per poter costruire le condizioni della pace e della stabilità. Credo che il nostro Governo - e ritengo che il Parlamento debba sostenerlo in questa azione - possa avere una funzione propositiva nei confronti dell'Unione europea e degli Stati Uniti in primo luogo, che sono i nostri alleati, per definire una piattaforma di negoziazione multilaterale che non abbandoni i due contendenti in una discussione sui confini interni all'Ucraina e sul rapporto tra di loro, ma che preveda come l'equilibrio europeo, e tra Oriente e Occidente, si ridefinisca per produrre una pace che possa dare garanzie di sicurezza e di stabilità per i prossimi decenni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanni Russo. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO (FDI). Grazie, signor Presidente. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, oggi siamo chiamati a discutere della conversione in legge del decreto-legge n. 14 del 25 febbraio 2022, che ha come scopo quello di attivare delle misure, preventivamente pianificate, relative al rafforzamento della postura militare, in grado di garantire il necessario livello di deterrenza ed eventualmente di difesa a fronte della grave situazione in atto.

Lo spettro della guerra, che in Europa credevamo esorcizzato per sempre, ha iniziato a vagare di nuovo tra le nostre capitali. In un momento come quello che stiamo vivendo, dove abbiamo sperimentato e ancora stiamo sperimentando una pandemia che ci ha fatto balzare indietro di un secolo spostando le lancette del tempo agli inizi degli anni dell'influenza spagnola, nessuno - ripeto, nessuno! - si sarebbe mai aspettato di vivere anche il dramma della guerra e della conseguente crisi economica.

Ma andiamo al decreto in oggetto. Il dispositivo complessivo è stato attivato a seguito dell'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa. In particolare, il decreto è composto da 7 articoli: l'articolo 1 autorizza la partecipazione del personale militare e il potenziamento del dispositivo della NATO; l'articolo 2 autorizza la cessione a titolo gratuito di mezzi ed equipaggiamenti alle autorità governative dell'Ucraina; l'articolo 3 accorda al MAECI la possibilità di adottare interventi di assistenza e di cooperazione in favore della popolazione del Governo dell'Ucraina; l'articolo 4 prevede un incremento della dotazione finanziaria delle ambasciate e degli uffici consolari dei Paesi maggiormente esposti dalla crisi; l'articolo 5 consente al MAECI di incrementare gli stanziamenti destinati alla tutela dei cittadini e degli interessi italiani in Ucraina; l'articolo 6 prevede la copertura finanziaria; l'articolo 7 prevede la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Come si è potuti arrivare ad una situazione come quella che stiamo vivendo? Come si è potuti arrivare alla guerra in Ucraina? Ricordiamo che l'indipendenza dell'Ucraina fu riconosciuta il 25 dicembre 1991 e ricordiamo che il 1991 è stato anche l'anno dell'ultimo conflitto che abbiamo visto in Europa, quello della ex Jugoslavia. Lo stesso nome dell'Ucraina, che significa “periferia lungo i bordi”, “zona del margine”, “zona del confine”, ci indica quanto questo Paese, quanto quest'area geografica del nostro continente europeo sia sempre stata oggetto di diverse dominazioni: pensiamo a quella polacca, a quella russa e anche a quella mongola.

L'Ucraina, tuttavia, nella sua storia, ha subito più volte delle politiche sanguinarie da parte della Russia. Noi ricordiamo che c'è un termine, Holodomor, che è il nome con cui si descrive il genocidio per fame del popolo ucraino: dal 1932 al 1933 le politiche comuniste causarono 3,2 milioni di morti. La carestia fu indotta dai sovietici impedendo la raccolta agricola, per piegare gli ucraini al nuovo modello bolscevico. Il 23 ottobre 2008 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione nella quale ha riconosciuto l'Holodomor come un crimine contro l'umanità.

La storia, tuttavia, in alcuni casi si ripete, per cui anche nel 2014 l'Ucraina ha subito di nuovo un attacco da parte della Russia, della Federazione Russa, quando c'è stata l'annessione della Crimea - quella sì che fu una guerra lampo - con cui la Russia si appropriò della Crimea, togliendo quell'importantissima parte dell'Ucraina allo Stato ucraino. E poi c'è stata l'autodichiarazione d'indipendenza da parte dei territori dell'oblast' di Donetsk e Luhansk, con cui queste due Repubbliche si sono autoproclamate indipendenti. Ancora oggi l'Ucraina non riconosce nessun atto dei rispettivi Parlamenti e li ritiene territori temporaneamente occupati dalla Federazione Russa.

Alle 4 del mattino italiane del 24 febbraio 2022, noi abbiamo potuto vedere quanto la volontà, da parte di Putin, di espandere in maniera imperialista i confini della Federazione Russa e di ricreare, anche se parzialmente, quello che era il blocco dell'Unione Sovietica, ha previsto l'invasione dell'Ucraina da parte delle Forze armate russe.

Le immagini le abbiamo viste tutti. Ancora oggi si combatte in tutto il Paese e quello che doveva essere, secondo alcuni, un'operazione lampo, da parte dei russi, si è trasformata in realtà in un pantano per Putin. Gli ucraini difendono le loro città senza tentennamenti, nonostante la pioggia di missili e di artiglierie, che non ha dato mai nessuna tregua. Anche i civili e i volontari hanno imbracciato le armi e sono tornati a difendere la loro patria da ogni parte d'Europa. L'Unione europea e gli Stati Uniti hanno immediatamente reagito, imponendo dure sanzioni, non soltanto alla Russia, ma anche direttamente al Presidente Putin, ai suoi principali oligarchi e ai principali esponenti del suo Governo, ed hanno bloccato conti correnti e beni in tutto il mondo. Gli americani e gli europei, per la prima volta con un moto unanime, hanno deciso di inviare le armi a Kiev, mentre le diverse banche russe venivano escluse dal sistema SWIFT, il sistema dei pagamenti internazionali, venendo così congelato di fatto ogni tipo di transazione economica. Poiché l'avanzata russa è stata molto più lenta del previsto, sentendosi il fiato sul collo della comunità internazionale, Putin, addirittura. ha cominciato a ventilare il pericolo di una nuova guerra nucleare, mettendo in allerta le forze speciali di deterrenza, cioè il suo arsenale atomico. In questi giorni abbiamo assistito, poi, ad una recrudescenza della violenza perpetrata da Putin ai danni dell'Ucraina. Proprio, ieri, infatti, un attacco russo al confine polacco ha causato 35 morti e, fin dalle ore dei primi combattimenti, ci sono state subito circa 600 vittime civili, di cui 43 bambini. L'ufficio dell'Alto commissariato dell'ONU per i diritti umani, aggiornando purtroppo una cifra che ancora oggi è parziale, ha riferito di 1.200 morti, di cui 57 bambini. Auspichiamo ovviamente che tali cifre rimangono tali e che non ci siano ulteriori incrementi. La violenza non ha risparmiato nemmeno gli stranieri; infatti proprio ieri ci è giunta notizia dell'uccisione vicino Kiev di un giornalista americano, collaboratore del The New York Times, Brent Renaud di 51 anni. L'uomo è rimasto colpito dalle forze russe, che hanno aperto il fuoco contro un'auto nei pressi di Irpin. Oggi aspettiamo con ansia i risultati dei colloqui tra la delegazione russa e quella ucraina che si terranno in videoconferenza, perché, oltre ai canali militari, l'arma della diplomazia è quella forse più efficace per arrivare alla fine di questo conflitto. Immediatamente, come dicevo, sono state attuate e attivate delle sanzioni. Oltre a quelle già citate contro Putin e i suoi principali oligarchi, ci sono state le sanzioni contro le banche e i flussi finanziari, contro le transazioni, che prendono di mira il 70 per cento del mercato bancario russo e delle principali imprese statali russe. Vi è anche il divieto di vendita e fornitura di tecnologie e beni tecnologici, che possano in qualche modo continuare a sostenere l'infrastruttura industriale, che porta a sostenere a sua volta la guerra. Abbiamo quindi anche un fermo delle componenti industriali delle aziende russe. Su 27, 20 Stati dell'Unione europea, a cui si sono aggiunti anche Regno Unito, USA e Canada - per un totale, quindi, di 23 Paesi -, hanno fatto la scelta di fornire alla resistenza ucraina materiale bellico, per continuare così a creare quell'attrito e quel rallentamento, che servirà ad impantanare ancora di più Putin nella sua scellerata decisione di scendere in guerra. Il decreto, che noi oggi stiamo a discutere, è proprio in quest'ottica.

La posizione di Fratelli d'Italia in questi giorni è stata fin da subito netta, chiara e inequivocabile. Abbiamo deciso subito da che parte stare: abbiamo deciso che siamo affianco del popolo ucraino, ma che siamo anche al fianco di quei cittadini russi che in questi giorni stanno sfidando Putin, scendendo in piazza a denunciare e a protestare contro la guerra ed andando incontro ad una sicura carcerazione, in luoghi dove sicuramente soffriranno grandissime pene. Questo ci richiama anche le sofferenze che, per anni, milioni di cittadini russi hanno sofferto nei gulag, come ci è descritto da Solženicyn nel suo celeberrimo libro “Arcipelago Gulag”. Siamo al fianco dei nostri alleati occidentali ed alla NATO. Anche oggi io sono qui a ribadire la necessità, anche da componente della Commissione difesa, di adeguarci e di rispettare il vincolo del 2 per cento del PIL in spese per la difesa: non sono spese morte, ma sono degli investimenti sulla sicurezza e sul nostro futuro. Abbiamo visto che oggi non esiste più il concetto di guerra classica, ma esistono vari tipi di guerra e abbiamo visto anche come in questi giorni la guerra informatica, la guerra cibernetica, sia cominciata molto prima di quella combattuta sul terreno. I computer si muovono prima dei cingolati.

Noi siamo contro Putin, vigorosamente contro Putin e contro la sua folle avventura militare. Ma siamo anche contrari ad ogni cieca e assolutamente irrazionale russofobia e contrari alla censura della cultura russa, che è una preziosissima colonna portante di quello che è il tempio della cultura europea. Noi abbiamo la necessità di ribadire con forza che bisogna assolutamente trovare un equilibrio tra Europa e Russia, per assicurare una pace secolare e definitiva al nostro continente. Siamo convinti da sempre che il rispetto del diritto internazionale sia la base della convivenza pacifica tra gli Stati e per questo condanniamo - lo ripeto: condanniamo! - con fermezza l'attacco russo al libero popolo ucraino e condanniamo il riconoscimento unilaterale da parte della Federazione russa delle repubbliche separatiste del Donbass. Difendiamo il diritto degli Stati sovrani e democratici dell'Est Europa di scegliere liberamente il loro destino occidentale ed europeo. Per questo noi stigmatizziamo in maniera chiara tutte le minacce anche a Finlandia ed a Svezia, da parte di Putin, che le ha quasi obbligate, che le ha messe quasi in un angolo, al fine di non farle aderire alla NATO. Noi siamo a fianco del blocco occidentale, senza nessuna ambiguità, soprattutto in una crisi di questa portata, e sosterremo ogni iniziativa per difendere l'integrità territoriale degli Stati europei. E - ripeto - è stato un grandissimo errore di strategia, soprattutto dei nostri alleati americani, che, con Obama prima e con Biden ora, hanno contribuito alla drammatizzazione della situazione, spingendo la Russia sempre più lontana dall'Europa e sempre più verso la Cina. Questo è un abbraccio mortale, errori strategici che noi stiamo pagando adesso, ma che continueremo a pagare ancor di più nel futuro.

Denunciamo ancora una volta la immensa debolezza geopolitica e diplomatica dell'Unione europea, aggravata dalla sua dipendenza energetica. Ancora una volta, l'Europa si vede inadeguata davanti ai grandi eventi della storia. Ancora oggi, l'Europa si sta dimostrando soltanto un gigante burocratico e un nano politico.

Sosteniamo, per questo, l'appello lanciato dalla comunità internazionale e dalla parte in causa per un immediato cessate il fuoco, per la riapertura di un tavolo negoziale, che porti ad una immediata de-escalation della crisi ed al ripristino e al rispetto degli accordi di Minsk, sulla base del reciproco riconoscimento delle esigenze di sicurezza. Fratelli d'Italia ha sostenuto la scelta del Governo Draghi nell'invio di aiuti e armamenti alla popolazione ucraina, non certo per lealtà verso il Governo - siamo l'unica forza di opposizione e questo tengo a ribadirlo -, ma per lealtà alle istituzioni italiane e soprattutto perché noi, in questo momento, siamo contro Putin.

Le sanzioni sono state uno strumento molto efficace per contrastare l'aggressione russa all'Ucraina. Tuttavia, non possiamo non verificare che una parte di queste sanzioni, a causa della incapacità gestionale del nostro Governo, la sta pagando anche una grande parte della popolazione italiana. È sotto gli occhi di tutti la questione dei rincari di carburante, grano ed altri generi di prima necessità. Noi sapevamo, ce l'avevano detto con informative i nostri servizi di informazioni, che ci apprestavamo a subire l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia; ebbene, il Governo italiano non ha preso alcuna misura preventiva a contrasto di quelle crisi che erano facilmente prevedibili. È notizia di ieri che il ministro Cingolani, finalmente, ha riconosciuto che il caro carburanti è un risultato soltanto di un effetto speculativo, una truffa colossale, come l'ha definita lui. Ebbene, io mi aspettavo che, dopo quella frase, il ministro Cingolani andasse anche ad esplicare quali fossero le contromisure che il Governo intendeva prendere per contrastare il caro-carburanti. I cittadini italiani ancora oggi non sanno che cosa farà il Governo e colgo l'occasione, signor Presidente, per il suo tramite, di sollecitare il Governo Draghi a battere un colpo e soprattutto a scendere in campo anche a favore dei cittadini italiani. Noi crediamo che, anche in questo caso, l'Italia oggi sconti una fragilità enorme sulla sua indipendenza energetica e anche sulla fragilità delle forniture dei beni di prima necessità di cui i nostri cittadini hanno assolutamente bisogno. Per questo, riteniamo ancora una volta che non è tollerabile che il Governo tenga in piedi contemporaneamente due stati di emergenza. Abbiamo visto - è notizia di oggi - che Macron in Francia abbia abolito il green pass e stia andando ad addolcire le misure restrittive per il contenimento della emergenza pandemica. Ebbene, siamo gli unici in Europa ormai a mantenere queste due emergenze, a mantenere due crisi in contemporanea. Non c'è stata alcuna iniziativa per abbassare il tetto delle accise in un momento di crisi come questa, dove si rischia anche la paralisi dei trasporti, che poi va a creare la penuria di beni nei supermercati e, quindi, sulle tavole degli italiani.

L'Europa non esiste nemmeno in questa vicenda, come non esiste l'Italia. Ormai siamo diventati soltanto un gigante burocratico ed un nano politico. Eppure, era un puro esercizio di buon senso quello di pensare che si ritornasse, prima di arrivare a questa situazione, allo spirito di Pratica di Mare. L'Italia ancora oggi può tornare protagonista in questo senso, viste le ottime relazioni che abbiamo avuto nel creare un ponte tra l'Occidente e la Russia. Abbiamo visto anche come la diplomazia vaticana si sia immediatamente adoperata per la pace. L'Italia può fare ancora molto, tuttavia, abbiamo visto che, anche in questo caso, sui tavoli internazionali, sui tavoli dove si poteva dire qualcosa, l'Italia è stata esclusa, perché Draghi nemmeno è stato invitato.

Noi crediamo che la Russia sia parte del nostro sistema di valori europei, che difenda l'identità cristiana e che, come già visto, combatte il fondamentalismo islamico. La Russia deve farlo in pace, con le Nazioni vicine e gli Stati europei che confinano e non devono temere che il grande orso russo possa andare un giorno ad azzannarli. Abbiamo bisogno di quell'equilibrio che, come ho già detto prima, possa assicurare a tutti i Paesi europei, di cui anche la Russia fa parte, una pace secolare e definitiva. Questo sicuramente non si otterrà con una miope contrapposizione muscolare, cara, fino ad oggi, ad Obama e a Biden. Noi dobbiamo continuare a condannare fermamente l'aggressione russa all'Ucraina.

Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, mi avvio alla conclusione. C'è bisogno assolutamente che la strada della diplomazia sia la strada principale, perché non abbiamo altre strade, come diceva prima il collega Pagani; l'alternativa a questo è la guerra atomica, che noi tutti quanti dobbiamo assolutamente scongiurare. Nel ribadire la più ferma condanna all'invasione russa dell'Ucraina, si avverte ormai la necessità di profondere ogni sforzo per poter arrivare al più presto alla pace, perché, come diceva una persona che alla pace e alla non violenza ha dedicato tutta la propria vita, sto parlando di Thich Nhat Hanh, “Non c'è via per la pace, la pace è la via”.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tasso. Ne ha facoltà.

ANTONIO TASSO (M-MAIE-PSI-FE). Grazie Presidente, desidero introdurre il mio intervento con un fuori tema, anzi, neanche tanto fuori tema, perché il primo elemento di discussione che vorrei affrontare si può collegare all'articolo 5 del provvedimento, laddove si fa riferimento alla crisi energetica, quindi, alla necessità della riapertura di impianti chiusi, alla realizzazione di strutture che permettano lo stoccaggio di gas per affrontare le conseguenze di un'eventuale carenza da fonti energetiche. Dunque, il punto è che tra non molto il Consiglio dei Ministri dovrà decidere in merito alla realizzazione di un mega deposito di gas da petrolio liquefatto nei pressi di Manfredonia, che è la mia città di residenza. Io tralascio i dettagli di questo progetto, che sono stati ampiamente illustrati più volte nel corso di varie interrogazioni, sia in aula, sia in Commissione, ma è importante rimarcare che si tratta di un obsoleto ed anacronistico progetto di stoccaggio di GPL che non è neanche il tipo di gas che eventualmente servirebbe al nostro Paese e che la collettività territoriale respinge decisamente, lo ha fatto anche con un referendum, quindi, lo ha fatto ufficialmente. Ora però il punto drammatico è che, a parte la realizzazione della struttura, che richiede tempo, e sarebbe funzionale tra alcuni anni e non prossimamente, da notizie pubblicate da un giornalista, Francesco Pesante della testata L'immediato si apprende che dall'operazione “Omnia nostra”, coordinata dall'antimafia ed eseguita dai Carabinieri del ROS e dai Cacciatori di Puglia, è emerso l'interesse della criminalità garganica - e sappiamo il peso di questa organizzazione nel campo della malavita - verso questa commessa milionaria. Pertanto, oltre al rigetto della cittadinanza, all'inutilità sostanziale, alla pericolosità dell'opera e a tanti altri motivi ostativi presentati più volte ai Ministeri competenti, adesso abbiamo in campo anche l'interesse della criminalità del territorio, che, come è noto, e pericolosamente ramificata e condizionante. Naturalmente, ho segnalato tutte queste notizie in merito a tutte le istituzioni interessate, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministri, che dovranno decidere sul futuro di questo progetto.

Per entrare nel merito della questione di cui discutiamo oggi, noi ci troviamo a dibattere sulla conversione in legge del decreto-legge del 25 febbraio 202, n. 14, recante disposizioni urgenti sulla crisi ucraina. Sostanzialmente dopo aver dato mandato al Governo di decidere su come procedere a seguito dell'aggressione russa all'Ucraina, siamo chiamati a ratificare tali decisioni, a non ratificarle oppure non a proporre modifiche.

Io adesso proverò a fare un ragionamento che cerchi di tenere in considerazione i vari aspetti di questa vicenda. Le ultime notizie che ci arrivano dall'Ucraina ci raccontano di una lotta impari, di forze in campo fortemente squilibrate, addirittura di deportazione di cittadini dalle città conquistate per tentare una russificazione dei territori occupati, che in larga parte sono sì russofoni, ma non sono russofili. La resistenza degli ucraini sta spiazzando i piani del Presidente Putin, anche se in realtà nessuno ha ancora effettivamente chiaro che cosa voglia fare, di come voglia procedere. Di certo c'è un fatto inequivocabile: il Presidente Putin non va mai sottovalutato. Storicamente la Russia e i suoi leader sono sempre stati nazionalistici, autoritari e, quindi anche assaliti da una sorta di paranoia, mettiamola così, sulla possibilità di essere attaccati da nemici esterni, cosa che in un trapassato remoto è avvenuta da vari popoli, in un passato remoto è avvenuto, mi viene in mente, dai mongoli, e in un passato recente da Hitler.

Quindi, in conseguenza di questa storicità, è un modo di pensare russo. Perciò il fatto che il Presidente Putin non la pensi esattamente come noi non significa che sia irrazionale, o meglio, è irrazionale da un punto di vista europeo, perché non credo che ci sia mai stato uno Stato che abbia avuto in mente di attaccare militarmente la Russia, ma razionale da un punto di vista russo proprio per quello che dicevo prima, di questa sorta di paranoia che i leader russi hanno acquisito per via della storia vissuta. Però, in realtà, nessuno riesce a capire effettivamente perché è stata iniziata questa aggressione. Quando settimane fa se ne parlava, il sottoscritto, per quello che vale la propria convinzione, era del parere che le minacce non sarebbero mai state tramutate in azioni. Poi, ancora oggi, francamente ogni giorno mi assalgono i dubbi. Le analisi elaborate personalmente o ascoltate da eminenti rappresentanti del mondo militare, del giornalismo, della diplomazia in effetti confondono, perché appaiono tutte strutturate con una logica condivisibile, ma che però non devono discostarsi dalla realtà dei fatti. E allora, al di là di tutto, di tutte le motivazioni che il Presidente Putin e la Russia adducono alla propria azione, rimangono i fatti. E questi fatti ci dicono che c'è un'invasione russa, molte città ucraine sono state bombardate e distrutte. Molti civili, che desideravano vivere del proprio lavoro, con i loro affetti, sono morti, mentre altri, come apprendiamo, vengono deportati. Molti giovani soldati russi sono stati inviati al fronte in un conflitto che non sentono affatto proprio; prova ne siano le manifestazioni che sempre più spesso vengono messe in scena dagli attivisti russi contro la decisione di avviare questo conflitto.

A questo punto vorrei - apro una parentesi - esprimere un senso di vicinanza anche al popolo russo, che in realtà questa guerra, sono convinto, per la grande maggioranza non vuole, anche se la difficoltà di espressione diventa tranchant in questi casi, e quindi non possono palesarla. Tra gli altri fatti c'è che non credo che il popolo russo voglia che città ucraine di storia e di pregio, che prima facevano parte di un unico Stato, che era l'Unione Sovietica, vengano sfregiate, che è di fatto quello che sta avvenendo, oppure che migliaia di profughi fuggano dalle proprie case, cercando riparo nei Paesi limitrofi o addirittura anche più lontano. E quindi la domanda è: cosa sta facendo il Presidente Putin? Vuole davvero realizzare quello che si sente ogni tanto, il ripristino di una Russia storica, prendendo intanto la Bielorussia? Anche qui, apro una parentesi: di fatto è già sua, il dittatore Lukashenko è costretto a fare tutto quello che Putin dice, e quindi non bisogna in quest'ottica trascurare il ruolo di questo Stato, il ruolo nel conflitto, e anche la sua posizione strategica. E poi vorrebbe prendersi anche l'Ucraina, e, se non tutta, perlomeno quella fascia prospiciente il Mar Nero per avere il dominio su questo grande specchio di mare. Quindi fare tutto questo basandosi su tre pilastri, che sono sostanzialmente la lingua russa, la religione ortodossa e un leader, come ho detto prima, autoritario e autorevole, che è appunto lui. Questo credo che stia facendo il Presidente Putin; però, in questa sua azione, in questo suo intendimento, ha commesso un errore colossale In qualche settimana egli voleva la russificazione dell'Ucraina, e invece ne sta ottenendo stranamente l'europeizzazione.

Voleva spaccare l'Europa, che invece a me pare, in questo frangente, molto unita. Voleva spaccare la NATO, ma a me pare che i rapporti transatlantici vadano molto meglio ora che non in passato. E infine, tra le altre cose, vorrebbe che la Svezia e la Finlandia rimangano neutrali, ma, sempre da notizie che ci arrivano da questi Paesi, pare che la metà della popolazione di entrambi questi Stati voglia far parte della NATO, perché è molto probabile che, se non si tratterà delle prossime settimane, evidentemente per non esasperare una escalation militare, un aggravarsi della tensione, tra alcuni mesi questi Paesi potrebbero chiedere l'ingresso nella NATO per proteggersi, dal momento che ormai i rapporti con la Russia sono definitivamente crollati.

Perciò il leader russo, come desiderava la neutralità della Svezia e della Finlandia, pretenderebbe anche la neutralità dell'Ucraina, oltre naturalmente a una serie enorme di altri optional. Ma pretendere la neutralità di un Paese sovrano significa anche chiedere a questo Paese di rinunciare alla propria indipendenza, compromettere i propri valori. In verità è un qualcosa che in passato si è stati costretti a fare: mi viene in mente la Finlandia che, durante la guerra fredda, ha dovuto dichiarare la propria neutralità, da cui il termine molto in voga di finlandesizzazione, o addirittura finlandizzazione, facendolo un po' più all'italiana, perché è stata costretta ad accettare questa neutralità essendoci oltre 1.300 chilometri di confine da difendere. Ce li ha ancora adesso, ovviamente, però all'epoca la dualità fra Stati Uniti e Unione Sovietica in ambito di guerra fredda era di particolare tensione. Non credo che questa sia la soluzione per l'Ucraina, che ha scelto il proprio percorso di vicinanza all'Unione europea, quindi valori come la democrazia liberale, come i diritti umani e, quindi, la scelta dei diritti fondamentali. Questo mi porta a pensare che, secondo me, non si tratta solo di NATO, che potrebbe essere un pretesto, ma dell'esigenza del leader russo di fermare questa voglia, affinché non dilaghi, di democrazia, di altri valori che ho poc'anzi indicato. Quali armi si utilizzano per fermare un aggressore? Attrezzature militari, sanzioni, entrambe? In questo caso l'Ucraina sta utilizzando le armi, l'Europa e la NATO le sanzioni, ed è un combinato disposto che probabilmente, insieme all'avvio di un tavolo negoziale, potrebbe funzionare.

Mi tornano in mente le parole del Presidente del Consiglio Draghi durante la ormai famigerata crisi finanziaria, il famoso whatever it takes. Bisognerebbe quindi, secondo me, tentare di mettere in campo tutto ciò che è necessario per creare un tavolo di pace.

Ma, come già ho avuto modo di dire in qualche altro intervento, in quest'Aula, bisogna arrivare a quel tavolo in una situazione paritetica. Ecco perché whatever it takes significa solidarietà per gli aggrediti, fornitura di mezzi difensivi, sanzioni deterrenti per l'aggressore. Tradotto in termini spiccioli: se una persona è grande e grossa e sta picchiando una persona piccola, bisogna difendere la piccola e non invitare quest'ultima a non difendersi più e a subire tutto quello che, in quel momento, sta subendo. Inoltre, seguendo questo filo di ragionamento, l'aggressione all'Ucraina sta sortendo anche un altro effetto: sta cominciando a disturbare seriamente la Cina, in quanto l'effetto finale per la Cina potrebbe avere costi molto più rilevanti degli apparenti benefici. La cosa che ha fatto la Russia nei confronti della Cina è stata quella di millantare con troppa facilità la realizzazione di un'operazione lampo e indolore, ma il Presidente cinese Xi Jinping sta andando verso il suo terzo mandato che credo sia previsto per la seconda metà dell'anno. Quindi, tutto vuole fuorché essere trascinato in una situazione condizionata dalla firma di un accordo di cooperazione senza limiti. Qualcuno in Cina comincia anche a contestare la tempistica di quella firma e di quell'accordo senza limiti, perché, in realtà, i limiti si stanno già verificando con il ricompattamento del fronte occidentale e la Cina non ha interessi a tagliare i ponti con il sistema economico occidentale.

Ora cosa si potrebbe fare? Pechino potrebbe utilizzare la sua forza contrattuale nei confronti della Russia per convincerla che è ora di smetterla, però, in caso di insuccesso, potrebbe addirittura riconsiderare un riavvicinamento agli Stati Uniti e un rafforzamento dei rapporti con l'Unione europea perché - vale la pena ricordarlo - mentre i rapporti economici con la Russia sono di circa 145 miliardi di dollari, quelli con gli Stati Uniti ammontano a circa 750 miliardi di dollari e quelli con l'Unione europea addirittura a oltre 850 miliardi di dollari. Queste sono cose che sicuramente la Cina e il suo Presidente hanno considerato e sono molto interessato a sapere, come tutti noi, a proposito degli incontri che si terranno a Roma tra gli Stati Uniti e la Cina, quali saranno le riflessioni e le azioni che ne verranno fuori.

Pertanto, per ristabilire un piano equilibrato per avviare un necessario tavolo della pace, occorre il sostegno che viene assicurato all'Ucraina con il decreto che stiamo per convertire. Infine, non meno importante - anzi, a mio avviso, è esattamente il contrario - va fatta una verifica dei danni economici che il nostro Paese dovrà sopportare, che vanno dalla crisi energetica a quella del commercio con la Russia e con l'Ucraina con importanti quote di mercato che verrebbero a mancare. Dunque, l'Italia, e mi avvio alla conclusione, è stata molto pronta a fare la sua parte, ma occorre che anche l'Unione europea adesso faccia la sua con un piano di sostegno e di condivisione dei danni economici che i Paesi più esposti dovranno sopportare.

In tutto questo l'attenzione verso la sopravvivenza dei nostri concittadini dovrà essere rilevante e primaria. Noi stiamo dimostrando di avere un grande cuore ed una grande solidarietà verso il popolo ucraino: lo abbiamo accolto, lo stiamo accogliendo, lo accoglieremo e lo supporteremo, allo stesso modo, dobbiamo sostenere le famiglie italiane che, purtroppo, soffriranno per la nostra presa di posizione, insieme ai nostri alleati.

(Repliche - A.C. 3491-A​)

PRESIDENTE. Hanno facoltà di replicare i relatori, se lo ritengono. Non intendono farlo.

Diamo, quindi, la parola al sottosegretario Mule', per la replica del Governo.

GIORGIO MULE', Sottosegretario di Stato per la Difesa. Grazie Presidente, grazie ai relatori, grazie al lavoro che è stato svolto in Commissione, grazie agli onorevoli che oggi sono intervenuti in sede di discussione sulle linee generali.

Mi piace sottolineare in questo intervento il carattere dell'unanimità che si è registrato oggi in tutti gli interventi che si sono succeduti qui in Aula; unanimità legata agli intenti, unanimità che discende dalla risoluzione che è anche alla base e costituisce l'architrave di questo decreto. Ad esempio, l'articolo 2-bis fonda la sua esistenza su quella risoluzione, approvata all'unanimità alla Camera anche da chi oggi è all'opposizione.

Quello sull'Ucraina è un intervento del Governo per un'insensata, come è stato detto, aggressione della Russia: è una guerra che va veloce, come è stato detto, per cercare di raggiungere quell'invenzione della pace, a cui tutti siamo chiamati, affrontando le ragioni del conflitto attraverso - sì - il riconoscimento delle ragioni delle parti, ma con la precondizione di un cessate il fuoco e l'avvio al più presto dei corridoi umanitari, delle autostrade umanitarie.

Il carattere umanitario e militare, come è stato riconosciuto negli interventi, è per prevenire, da una parte, l'allargamento del conflitto e, dall'altra, per dare una difesa al Governo ucraino, mentre tutti ancora oggi in quest'Aula richiamiamo il concetto della difesa comune come necessaria e urgente. Allora, è comprensibile la fatica di oggi, cui faceva riferimento l'onorevole Losacco. Mi vien da dire che è una fatica perseverante, una fatica necessaria, perché la fatica più tremenda è quella di doversi allontanare da se stessi e questo avrebbe significato allontanarsi da quei valori che sono fondanti non solo e non soltanto della nostra Costituzione, a cui la nostra Costituzione si uniforma, ma anche dall'adesione a quei principi di diritto internazionale e, prima ancora, a quelli della Carta fondamentale dei diritti dell'uomo. No, non potevamo allontanarci, non potevamo usarci questa violenza ed è per questo che il Governo è intervenuto con il sostegno di tutto il Parlamento.

Ringrazio ancora anche chi è oggi all'opposizione con riferimento al decreto di cui oggi abbiamo discusso. Certo, adesso ci aspettano prove difficili: le notizie che si susseguono, non giorno dopo giorno, ma ora dopo ora, la tragicità, la drammaticità, le atrocità che la guerra ci presenta ogni giorno obbligano l'Italia, l'Unione Europea, la NATO, il mondo civile a dare una risposta il più coesa possibile nella ricerca affannosa, non affannata, di una soluzione che sia diplomatica e che passi da quel riconoscimento delle ragioni che però presuppongono il cessate il fuoco immediato da parte dell'aggressore e la necessità di difendersi da parte di chi è aggredito. Quindi, Presidente, grazie ancora, ripeto, per il tenore degli interventi, per l'uniformità che rende il nostro Paese un Paese orgoglioso del ruolo che sta svolgendo in campo umanitario, in campo diplomatico e in campo militare. Grazie, Presidente.

PRESIDENTE. Grazie a lei, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta. Sospendiamo a questo punto la seduta che riprenderà alle ore 15,15.

La seduta, sospesa alle 14,50, è ripresa alle 15,15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Montaruli e Trano sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente 103, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Fiano ed altri; Perego di Cremnago ed altri: Misure per la prevenzione dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista (A.C. 243​-3357-A​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 243-3357-A: Misure per la prevenzione dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta dell'11 marzo 2022 (Vedi l'allegato A della seduta dell'11 marzo 2022).

(Discussione sulle linee generali - Testo unificato - A.C. 243-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Emanuele Fiano.

EMANUELE FIANO , Relatore. La ringrazio, Presidente. Solo poche parole per poi chiederle la cortesia di poter depositare agli atti la relazione.

Come lei ha già annunciato, il titolo del provvedimento in esame contiene il riferimento alla natura precisa dell'atteggiamento compreso nel testo che viene presentato. Lo scopo del provvedimento ha tre sostanziali matrici: prevenire i fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, come già definiti in sede di Unione europea, inclusi quelli di matrice jihadista; favorire la deradicalizzazione, ovviamente ferme restando le garanzie fondamentali di libertà religiosa e nel rispetto dei principi e dei valori dell'ordinamento costituzionale italiano; e, infine, favorire il recupero in termini di integrazione sociale, culturale e lavorativa dei soggetti coinvolti.

È una novità per il nostro Paese, peraltro non una novità assoluta perché, nel corso della precedente legislatura, noi alla Camera approvammo già un testo che conteneva sostanzialmente analoghi concetti, anche se nel corso della discussione tenuta nella I Commissione affari costituzionali della Camera abbiamo apportato alcune modifiche.

Mi interessa dare due definizioni: la prima, quella di “radicalizzazione violenta”, giacché essa è frutto di una discussione ed elaborazione che, anche nel corso della scorsa legislatura, abbiamo cercato di focalizzare per pesare con attenzione le parole, dal momento che tocchiamo una materia molto sensibile; e, non a caso, ho citato il rispetto costituzionale delle garanzie fondamentali di libertà religiosa che vogliamo mantenere. Noi con questa dicitura indichiamo il fenomeno che vede persone abbracciare opinioni, vedute, idee che potrebbero portare ad atti terroristici quali definiti dal quadro normativo europeo. Questa definizione è contenuta, peraltro, come ricordavo, nella comunicazione della Commissione europea COM (2005) 313 al Parlamento europeo e al Consiglio sul “Reclutamento per attività terroristiche - Affrontare i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta”.

Per “radicalizzazione di matrice jihadista” intendiamo il fenomeno delle persone che, anche se non sussiste alcuno stabile rapporto con gruppi terroristici (quindi, anche singoli che non facciano parte di una rete di matrice terroristica), abbracciano ideologie di matrice jihadista, ispirate all'uso della violenza e del terrorismo, anche tramite l'uso del web e dei social network; peraltro, quindi, magari totalmente isolate fisicamente da altre persone.

Ecco, noi vogliamo intervenire, come dicevo, per prevenire questa forma di radicalizzazione violenta, per intervenire prima, per favorire una possibile deradicalizzazione di questi atteggiamenti e per favorire il recupero di queste persone, come peraltro avvenuto già in altri Paesi europei. Con riferimento all'articolato poi io mi permetterò, come già detto, di depositare la relazione. Esistono vari strumenti per favorire tutto quanto in premessa.

Da ultimo, prima di concludere, mi preme sottolineare il fatto che il testo contiene, per un emendamento del relatore approvato in Commissione, una nuova fattispecie penale, un'aggiunta al codice penale. Si fa riferimento a una condotta riconducibile al reperimento o al fatto che qualcuno si sia procurato del materiale che possa indurre ad atti di terrorismo: materiale inerente istruzioni o sull'uso o sulla costruzione di armi e via dicendo. A tale riguardo, dopo avere già approvato il testo, abbiamo ricevuto dalla Commissione giustizia un parere che chiede modifiche significative a quanto approvato in I Commissione. Ovviamente, siccome abbiamo di fronte a noi un dibattito parlamentare in Aula e la possibilità che vengano inseriti altri emendamenti, mi sembrava giusto citare il fatto che vi è un parere significativo della Commissione giustizia che chiede una modifica di quel reato; ma, per adesso, il testo è rimasto quello approvato in I Commissione. La ringrazio e deposito il resto della relazione.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fiano, anche per il deposito. Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. È iscritto a parlare l'onorevole Pagani. Ne ha facoltà.

ALBERTO PAGANI (PD). Grazie, Presidente. Questo testo unificato ha avuto un iter e una storia molto lunga. Ho chiesto la parola per esprimere soddisfazione perché finalmente questo provvedimento è arrivato alla discussione nell'Aula della Camera. Come prima diceva il collega Fiano, nel corso della scorsa legislatura (la XVII), un testo molto simile a questo era stato approvato solamente in un ramo del Parlamento e, quindi, purtroppo, in questa legislatura l'iter è ricominciato daccapo. Auspico che, questa volta, possa essere concluso, che la legge possa essere approvata e che gli strumenti siano messi a disposizione della Nazione.

Si tratta di un provvedimento atteso da tempo, in particolar modo dagli operatori e da chi si occupa di lotta e di contrasto alla radicalizzazione e al terrorismo. Nella scorsa legislatura i colleghi promotori del primo testo - poi ripresentato da noi, dal collega Fiano primo firmatario e da altri – Dambruoso e Manciulli colsero un cambiamento strutturale nella minaccia terroristica e proposero una normativa che andasse ad affiancarsi agli altri strumenti adottati nella scorsa legislatura.

Il cambiamento è più profondo di quanto possa apparire. L'Italia è un Paese che nella sua storia si è misurato con la minaccia terroristica; non solo con quella terroristica di stampo jihadista - penso agli attentati di Fiumicino negli anni Sessanta - ma anche con il terrorismo di matrice politica (l'estremismo di estrema destra o di estrema sinistra) e con la minaccia derivante dalla criminalità organizzata riconducibile alla mafia che, per certi aspetti, ha caratteristiche organizzative simili. Ora, tutte queste minacce avevano però un aspetto comune che stava nell'organizzazione, nella pianificazione e nella realizzazione di attentati che erano curati da organizzazioni ben precise, con reti strutturate dal punto di vista logistico e dal punto di vista militare. Come tutte le realtà, come un virus, come il Coronavirus, anche la minaccia terroristica subisce mutazioni e si è osservata, già da qualche anno, una mutazione profonda nella modalità con cui alcuni attentati terroristici vengono realizzati: sempre più ad opera di soggetti singoli, scollegati da reti, che non hanno pianificato, concordato e condiviso l'attentato con una catena di comando superiore che li aiuta nella logistica e nella realizzazione stessa, ma che sono radicalizzati singolarmente, o in carcere o nelle reti relazionali primarie o, più spesso, attraverso la rete Internet, attraverso il web.

Gli strumenti utilizzati sino ad oggi e costruiti nel tempo dalle Forze di polizia e dalla magistratura per contrastare e prevenire il fenomeno - dalle intercettazioni, alle segnalazioni, alle indagini più complesse - sono invece strumenti di indagine che hanno bisogno di seguire un filo di un'organizzazione per poter essere efficaci. Diventa particolarmente difficile contrastare un fenomeno terroristico che si realizza quando tra il momento della decisione e il momento della realizzazione dell'attentato il soggetto radicalizzato fa passare un minuto e non c'è comunicazione, non c'è organizzazione. Abbiamo pertanto riproposto il testo di legge Dambruoso e Manciulli, che adesso è il testo Fiano, per mettere le Forze dell'ordine e la magistratura nelle condizioni di avere uno strumento in più per contrastare la minaccia terroristica. Ciò consiste nella possibilità di avere una maggiore rete di sensibilità e di formazione e, quindi, anche di strumenti in grado di riconoscere i segnali deboli della minaccia, prima che il soggetto radicalizzato ponga in essere l'attentato o si organizzi per questo fine. Questa idea prevede che a fianco delle forze, diciamo così, di contrasto e di repressione, Polizia, Carabinieri, magistratura, procura antimafia e antiterrorismo, ci sia un contributo attivo dei soggetti che nella società quotidianamente hanno la possibilità di vedere, segnalare e anche contrastare i segnali deboli della radicalizzazione jihadista. Penso in primo luogo alla scuola, all'organizzazione carceraria, all'insieme delle realtà che sono in contatto con la società in maniera diretta e che possono porre in essere strumenti di contrasto e di prevenzione della minaccia terroristica.

Mi auguro che la discussione su questa legge continui ad arricchire il testo che è stato proposto, che già in questa legislatura è stato arricchito proprio grazie alla discussione e al confronto tra forze politiche; cito il collega Perego di Cremnago del gruppo di Forza Italia che ha proposto un testo simile in gran parte al testo Manciulli e che, però, ha voluto, a mio avviso correttamente, estendere, non l'analisi del fenomeno, che naturalmente è diverso, ma gli strumenti di contrasto che erano pensati per la minaccia terroristica di tipo jihadista, quindi, religiosa, a strumenti di contrasto per minacce di terrorismo ideologico, per gli estremismi di estrema destra di stampo xenofobo e razzista o anarchico insurrezionalista o per minacce che per certi aspetti possono avere caratteristiche simili nell'evoluzione del fenomeno e, quindi, possono essere contrastate con strumenti di prevenzione simili.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi e rappresentante del Governo, il provvedimento che oggi inizia il suo iter in Assemblea nasce, irritualmente ormai per quest'Aula, da un impulso parlamentare - e quasi siamo stupiti, meravigliati, positivamente sorpresi - in una sintesi che finalmente ristabilisce una certa centralità al ruolo del legislatore tramite la condensazione delle proposte Fiano e Perego di Cremnago relativamente al medesimo oggetto, ovvero un pacchetto di misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista. Su questo mi preme sottolineare alcuni dati: cinque colpi di Stato militari negli ultimi dodici mesi - questo anche a beneficio del collega Pagani che evidentemente non ha seguito la documentazione dell'intervento precedente e, magari, così, ha anche la possibilità di documentarsi in maniera più approfondita - risvegliano i timori circa la tenuta democratica di parte dell'Africa subsahariana e, di conseguenza, della penetrazione islamista. Epicentro del fenomeno è la regione del Sahel storicamente tra le più fragili dell'Africa, ma le implicazioni politiche ed economiche rischiano di essere ben più ampie.

I colpi di Stato in Burkina Faso, Mali e Ciad (il figlio del Presidente autocrate Déby, ucciso lo scorso aprile in un'azione militare, è succeduto al padre a capo di un consiglio militare), in Guinea (l'intervento dei militari ha rimosso il Presidente Condé, eletto nel 2020 per un controverso e incostituzionale terzo mandato), in Sudan (dove l'esercito ha estromesso i civili dal Governo di transizione formatosi in seguito alla deposizione di al-Bashir) e quello non riuscito in Guinea-Bissau, sebbene diversi per meccaniche e circostanze, sicuramente condividono un humus fatto di istituzioni deboli e inadeguate, mancanza di risorse, corruzione endemica e sistemica, povertà diffusa, frammentazioni etnico religiose e vulnerabilità a fattori climatici. Isolate dalla comunità internazionale le giunte di queste nazioni coinvolte guardano sempre più a Mosca e a Pechino per colmare il deficit di legittimazione e assicurarsi il necessario supporto militare e finanziario a scapito delle relazioni con l'Occidente, con il rischio di proliferazione di fenomeni jihadisti proprio nel Sahel.

Quindi, questo provvedimento assume una prepotente attualità e anche positività, rispetto al contrasto della radicalizzazione. Sono passati, infatti, sette anni - colleghi - dai terribili attentati di matrice islamica che hanno colpito Parigi il 13 novembre 2015. Ricordo ancora le immagini e le testimonianze strazianti, lo shock per quello che stava succedendo proprio nel cuore di una capitale europea. Non dimenticheremo mai quello che è successo al Bataclan, un massacro indicibile, figlio dell'odio islamista contro la nostra libertà e una vera e propria dichiarazione di guerra all'Europa. Si tratta di un episodio che è diventato un po' il simbolo dell'attacco al cuore dell'Occidente che mi colpì anche personalmente perché c'era una mia parente che abitava lì vicino e stava rientrando proprio in quegli attimi, rimasta isolata al telefono, ovviamente avemmo dei momenti di vero terrore e, poi, grazie a Dio, scoprimmo che era al riparo, ma lo stesso non fu certo per tutte le vittime che ci sono state, a cui va il nostro pensiero e la nostra solidarietà ovviamente ancora ai parenti e ai familiari. Ribadiamo, quindi, la nostra vicinanza al popolo francese e rendiamo omaggio alla memoria di tutte le 130 vittime, tra le quali la nostra connazionale Valeria Solesin.

Combattere il proselitismo islamico in Europa, terreno fertile per il fondamentalismo e il terrorismo, rimane la priorità assoluta e ovviamente trasversale. Ma veniamo alle norme del provvedimento; la tattica terroristica trae la sua forza dal fondamentalismo ideologico, dall'odio settario, dalla disoccupazione e, in generale, dalla disperazione e dalla miseria, in particolare delle giovani generazioni che si fanno ammaliare dalla propaganda jihadista, una propaganda che risuona ancora più forte dinanzi al fallimento dei vari Stati che non riescono a garantire la sicurezza e il benessere dei propri cittadini. Le norme contenute sono, quindi, in linea generale, condivisibili, ma come forza d'opposizione vogliamo mettere alcuni accenti di criticità. Il provvedimento riguarda, infatti, solo prevenzione e recupero dei soggetti islamizzati; su nostra insistenza è stata recepita l'indicazione di intervento del Copasir con l'inserimento del reato specifico di pericolo. Il testo finale di questo è, però, parziale rispetto a quanto contenuto nella relazione del Copasir che, invece, era stata anticipatrice e illuminante ancora una volta rispetto a questo pericolo di radicalizzazione, nel senso che anticipa il perfezionamento del reato, ma solo per quanto concerne materiale idoneo a fornire istruzioni per la realizzazione di armi di vario tipo, da quelle della guerra alle rudimentali, che è certo un aspetto, viene espunto, però, del tutto ciò che riguarda il procacciamento e la detenzione di materiale idoneo a istigare il compimento di delitti con finalità di terrorismo, cioè se io vado in un grande centro di hobbistica e mi procuro lì tutta una serie di materiali che messi insieme possono andare ad esempio a comporre una rudimentale bomba. È una posizione molto garantista, legata al tema dei reati di opinione, come risulta chiaro anche dalle motivazioni. L'effetto della norma rischia però di essere molto relativo in questo caso, anche perché il nostro ordinamento di fatto già punisce la detenzione senza titolo di armi, il porto abusivo e la fabbricazione illegale, quindi rischia di essere anche tautologico. Pur condividendo le finalità del provvedimento, riteniamo che le sue disposizioni per come sono formulate vadano al di là dell'obiettivo. Infatti, se la presa di coscienza del fenomeno della radicalizzazione violenta è certamente importante ed è importante contrastarlo, è vero però anche che la proliferazione di organismi di vigilanza e controllo - quelli previsti dal provvedimento in esame si aggiungono ad altri già esistenti, come l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, l'UNAR, insediato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che non ha certo brillato per la sua attività, perché addirittura arrivò a richiamare parlamentari trasversalmente di tutti i partiti nella libera espressione delle proprie e insindacabili idee e dei propri indirizzi.

Questo rischia di condurre a una sistematica censura di ogni espressione e di ogni posizione che si allontani da quello che l'articolo 8 del provvedimento - articolo di competenza stretta della VII Commissione, dove l'abbiamo valutato; in Commissione ho fatto un intervento al riguardo di 45 minuti, non per ostruzionismo ma per approfondire un tema molto sensibile - definisce nientemeno che - ascoltate, colleghi! - il principio supremo della laicità dello Stato. Sembra quasi una definizione religiosa. In altre parole, c'è il rischio che apparati amministrativi come questo, organizzati anche su base regionale e territoriale, pur costituiti per un fine condivisibile, come può essere, ovviamente, il contrasto della radicalizzazione violenta, finiscano per antinomia per imporre, nel nome della tolleranza, in effetti anche un moralismo iper-laicista e un pensiero unico che emargina e anzi condanna manifestazioni di pensiero e comportamenti che sono tipici e identitari della cultura europea e italiana. Ci si riferisce, in particolare, proprio a quelli della religione cristiana.

Ricordo, colleghi, che solo poco tempo fa è stato fatto ritornare al mittente un tentativo intrapreso in tal senso a livello europeo - quindi, a capire e a capirci, c'è un chiaro indirizzo ideologico su questi temi; lo dico soprattutto ai colleghi del centrodestra al Governo, che su questi temi sono sempre stati molto sensibili - per mettere al bando le tradizioni legate al Natale, legate anche alla nostra tradizione giudaico-cristiana (non soltanto quella cristiana, ma anche quella giudaica) perché ritenute lesive della sensibilità laica e multiculturale.

Siamo dell'avviso, quindi, che iniziative come questa siano ispirate a una ideologia relativista che, mentre afferma di voler solamente promuovere il dialogo interreligioso e il pluralismo che sono senz'altro valori da perseguire, in realtà, tende a imporre una vera e propria nuova religione laica, appunto il laicismo, per il quale tutte le idee religiose sono equivalenti e indifferenti, per cui quelle costitutive dell'identità culturale di un popolo sono da mettere sullo stesso piano di quelle che non ne sono costitutive (ovviamente, del popolo ospitante rispetto a chi viene ospitato). A suo parere, insomma, il provvedimento non si limita a introdurre misure di contrasto dell'estremismo violento di matrice jihadista - e su questo siamo d'accordo -, ma costruisce in una sorta di eccesso di zelo, rappresentante del Governo, una multiculturalità fondata su una precisa visione ideologica non troppo distante proprio dall'intolleranza religiosa che si stabilisce di voler contrastare. È giusto, infatti, affermare che lo studente musulmano deve essere libero di proclamarsi tale e di vivere il proprio credo - e questo è un approccio “differenzialista”, cioè di chi pensa che ci siano differenti tradizioni -, ma ovviamente se un Paese ospitante ne ha uno prevalente va fatto un dialogo che parta dalla conoscenza di quello ospitante nel rispetto di quelli ospitati (questo si chiama, colleghi, “differenzialismo”). Quindi, lo studente musulmano dev'essere certo libero di proclamarsi tale, ma non è giusto imporre per questo ai cristiani che sono in Italia di rinunciare alle proprie tradizioni, laddove il rischio è che per l'attuazione troppo zelante di leggi come questa, collega Mule', si finisca per reprimere la recita del Natale a scuola, a cui sappiamo lei tiene tanto per esempio, o l'insegnamento di poesie di contenuto religioso o comunque non in linea con l'ortodossia del politicamente corretto.

Sottolineo, inoltre, che mancano, invece, nel provvedimento misure per esercitare un controllo - e questa è una vera e propria carenza di questo provvedimento e faccio appello al collega Mule' seriamente, perché questo è un problema molto serio e non diamo armi giuridiche alle Forze dell'ordine e ai magistrati - sui luoghi della città nei quali prende forma e sostanza la radicalizzazione violenta che, più che a scuola, prende forma dove? In taluni centri di cultura islamica, sedicenti associazioni culturali, che aggirano quelle che sono le norme catastali presenti anche a livello nazionale. Infatti, esiste proprio un codice per i luoghi di culto ed è l'unico codice che permette di realizzare luoghi di culto, quali che siano: moschee, sinagoghe, chiese, chiese evangeliche, sale per i Testimoni di Geova e così via.

Quindi, che cosa accade? Nelle nostre città ormai, soprattutto nelle zone intorno alle stazioni e nelle periferie - a Roma basti citare il caso del rione Esquilino, dove sono nato e cresciuto, ma ce ne sono anche in tutte le periferie -, vi sono centri di cultura islamica e moschee clandestine che, in spregio a ogni normativa, proliferano dappertutto come, appunto, nei quartieri del rione Esquilino, di Torpignattara, di Centocelle e così via o nelle periferie delle grandi città, dove associazioni culturali divengono luoghi di proselitismo incontrollato e incontrollabile se non dai nostri servizi di intelligence che, come sappiamo, sono tra i migliori del mondo e probabilmente hanno anche un certo favore ad avere un'area grigia dove monitorare il radicalismo.

Però, noi dobbiamo pensare, da legislatori, di dare strumenti ai magistrati e alle Forze dell'ordine perché laddove c'è l'illegalità questa venga stroncata. Per cui, se ci sono dei luoghi - e molto spesso sono sotterranei o sottoscala senza uscite di sicurezza - dove si assiepano decine e talvolta centinaia di musulmani, che ascoltano discorsi molto spesso radicalizzanti - ed è emerso sui giornali; basta cercare - peraltro in lingua di provenienza, in quella originale, per cui molto spesso è anche difficile da monitorare, ebbene quei luoghi devono essere chiusi. In questo è manchevole questo provvedimento!

Idee estreme continuano a essere, quindi, veicolate da sedicenti Imam in una vasta rete di moschee, luoghi di preghiera e associazioni culturali che fanno capo all'organizzazione in tutto l'Occidente, Italia compresa, e sono la rete dove veramente si moltiplica e si forma il radicalismo. Questi non sono riconosciuti ufficialmente dallo Stato e l'unico mezzo che hanno i comuni che vogliono contrastare tale fenomeno - pensate un po'! - è proprio il catasto, che fa un po' ridere perché adesso stiamo parlando della riforma del catasto, ma se c'è una cosa che va riformata è proprio il codice sui luoghi di culto (rendendo il tutto magari anche più rigido). Al loro interno vengono svolte attività di proselitismo, come dicevamo, che hanno nel Qatar, in altri Stati canaglia - tra virgolette - e nelle petro-monarchie i principali finanziatori rispetto a questi movimenti.

I vari organismi amministrativi previsti dal provvedimento - che definirei orwelliani e sono quelli a cui facevo riferimento prima - possono finire per pretendere l'abolizione anche dei simboli cattolici nelle scuole (come dicevamo, gli alberi di Natale, le poesie natalizie, i presepi), perché potenzialmente offensivi per le altrui sensibilità. Io lo dico con sarcasmo, ma sono tutte cose messe a dichiarazione e riferite anche alla stampa da vari dirigenti scolastici, da maestre e talvolta anche da funzionari dei provveditorati. Potrebbe essere molto breve il passo verso la repressione culturale dei costumi tradizionali che connotano la religione cattolica, che rischiano di essere travolti dall'azione repressiva dei vari comitati regionali e nazionali istituiti in nome della correttezza. Quale correttezza non si sa: la correttezza del pensiero, la correttezza di questo nuovo spirito supremo del laicismo che è una sorta di divinità laica? In altre parole, il provvedimento rischia di ritorcersi proprio contro e di avere il senso contrario all'obiettivo che condividevamo e su cui annunciamo, quindi, un'astensione. Di fatto, questo si pone proprio contro la tolleranza e il rispetto per l'orientamento religioso e ideologico di ciascuno e finisce con il creare intolleranza verso gli italiani e questa è una cosa su cui vigileremo e che non potremo certo permettere. Rilevo, peraltro, che nel provvedimento non viene posta la giusta attenzione sugli ambienti universitari, dove il fenomeno della radicalizzazione si sviluppa in modo più pericoloso proprio perché stimolato dagli ambienti culturali più elevati (come abbiamo visto, si radica meglio l'islamizzazione radicale).

Non condividiamo, quindi, come le finalità del provvedimento vengano declinate nell'articolato del provvedimento in esame e questo soprattutto, dicevo, per i tre articoli che sono stati esaminati dalla Commissione VII, in cui c'è stata una vera e propria battaglia che a un certo punto ha spaccato la maggioranza tanto da cambiare l'osservazione che era stata formulata dal relatore, a dimostrazione poi delle buone ragioni dell'opposizione che - ripeto - ha contribuito a questo articolato nella parte giuridica e anche recependo le indicazioni del Copasir, ma nella parte che riguarda l'istruzione e la scuola ha eccepito, in maniera preoccupata, che c'era un vero e proprio apparato di sorveglianza orwelliana.

Su questo, devo dire che i colleghi della Lega e anche i colleghi di Forza Italia hanno chiesto un'interruzione e hanno fatto un confronto serrato in maggioranza con il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle. E alla fine è stata cambiata l'osservazione, è stata attenuata, è stato esplicitato il rispetto delle tradizioni del Paese ospitante, cioè dell'Italia, quindi le tradizioni giudaico-cristiane, a dimostrazione che l'opposizione non vuole fare ostruzionismo, vuole migliorare i testi e talvolta si riesce ad aprire un dialogo con le forze della maggioranza soprattutto del centrodestra.

Colleghi, la crisi pandemica ha acuito la disuguaglianza e i fenomeni eversivi. Le centrali del terrorismo islamico sono ancora attive, magari dormienti, ma ogni tanto - soprattutto con la guerra in Ucraina, ciò sfugge ai mass media generalisti - c'è qualche accoltellato, c'è qualche uccisione, qui e lì, per l'Europa, perché si colpisce, come si dice, con cellule dormienti: l'Islam radicale colpisce con cellule dormienti, cioè persone che sono radicalizzate e che poi vengono attivate, magari tramite un messaggio social. In Ucraina anche sono stati arruolati miliziani islamici a libro paga dei russi, ovviamente lì è un fenomeno completamente differente, però il rischio che poi vi sia un'ondata di ritorno anche in Europa, viste le armi che ormai girano in quell'area, è sicuramente possibile. Forze di maggioranza ricevono soldi per il proprio leader da Stati che finanziano il terrorismo, perché questo accade purtroppo. La democrazia deve dotarsi di strumenti forti, ma che rispettino la nostra tradizione giudaico-cristiana e lo dobbiamo proprio a quelle vittime, alle vittime del Bataclan, alle vittime dell'11 settembre, a tutte le vittime di tutti gli attentati, sia quelli nei Paesi del Sud del mondo, dove i cristiani vengono addirittura perseguitati per la loro fede, sia laddove ci sono i casi singoli delle cellule dormienti.

Se si vuole combattere la radicalizzazione, colleghi, Fratelli d'Italia c'è, però bisogna farlo senza andare a costituire apparati orwelliani di controllo e di affermazione del “politicamente corretto”, perché noi siamo d'Italia e l'Italia deve essere rispettata nelle proprie origini, come l'Europa, e nelle proprie tradizioni religiose (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frate. Ne ha facoltà.

FLORA FRATE (IV). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Governo, La presente proposta di legge ha la finalità, enunciata dall'articolo 1, di adottare misure, interventi e programmi diretti a prevenire fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista, nonché di favorire la deradicalizzazione. Una finalità da bilanciare con le imprescindibili e fondamentali garanzie in termini di libertà religiosa. Ed è questo lo sforzo su cui si sono concentrati i lavori, perché la religione è il pretesto di chi pratica l'estremismo, non la causa. Opinare diversamente non solo impedirebbe di comprendere un fenomeno, che va invece analizzato sotto molteplici aspetti (economico, culturale, politico, sociale e sociologico), ma finirebbe poi per produrre un sentimento di criminalizzazione preconcetta, contrastante con i nostri valori costituzionali.

Non è, dunque, materia semplice e la sua complessità sta in una data, 18 luglio 2017: una data di quasi cinque anni fa, quando la Camera dei deputati approvò il provvedimento in prima lettura; successivamente approfondito dal Senato, il provvedimento ritorna in Commissione Affari costituzionali alla Camera. A farle un torto, si direbbe che questa è la solita legge che rimpalla tra i due rami del Parlamento. A dirla correttamente, invece, siamo in presenza di un provvedimento che abbraccia due legislature, con l'obiettivo ambizioso, quanto necessario, di coniugare libertà personale, religiosa e di opinione, con la sicurezza del Paese, disinnescando l'equazione secondo cui il fenomeno religioso è uguale e fatidicamente conduce a forme di estremismo violento. È proprio grazie agli approfondimenti che si sono tenuti in due legislature che è stato possibile superare semplificazioni ricorrenti nel dibattito politico-culturale. Infatti, non si può ritenere che l'estremismo sia solo di matrice musulmana, così come non si può ritenere che l'Islam sia solo e necessariamente radicalizzato. Ebbene, se questo è stato il metodo, cioè l'approccio che ha caratterizzato i lavori, corretto, equilibrato, cauto, va anche detto che questa proposta di legge propone con chiarezza e senza ipocrisie il merito della questione, e cioè che l'estremismo radicalizzato è frequente nel mondo musulmano. Tolosa, Copenaghen, Berlino, Londra, Stoccolma, Turku, Liegi, sono solo alcune delle località prese di mira dal terrorismo islamico del 2004. Gli attentati del 13 novembre 2015 - che per noi tutti saranno ricordati come la strage del Bataclan - hanno rappresentato il più grave attacco terroristico mai realizzato in Occidente, secondo soltanto a quello di Madrid per numero di vittime.

Questa scia di violenza e di sangue ha portato il nostro Paese a dotarsi di strumenti innovativi, soprattutto dal punto di vista legislativo. In tal senso, il decreto-legge n. 7 del 2015 è sicuramente uno strumento efficace di contrasto, ma è chiaro che quando un soggetto decide di organizzare, finanziare e propagandare viaggi con finalità terroristiche o autoaddestrarsi, vuol dire che questo oggetto è pronto ad agire, cioè che pronto a concretare nella realtà fenomenica l'azione ideata. Quando questo accade, vuol dire che si è persa la più importante di tutte le battaglie: quella culturale, sociale e civile, vuol dire che si è persa la battaglia della prevenzione. Prevenzione che, invece, è il nucleo fondante di questa legge, che, ricordiamolo, non interviene sulla fattispecie penale, almeno nella sua parte generale, ma serve a contrastare la nascita e lo sviluppo dell'estremismo radicale mediante il consolidamento dell'infrastruttura istituzionale nel nostro Paese. È il caso del Centro nazionale sulla radicalizzazione, da istituirsi presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, al quale la legge assegna il compito di predisporre annualmente il Piano strategico nazionale di prevenzione, la cui finalità è proprio quella di promuovere il dialogo interreligioso e culturale.

Grazie ai centri di coordinamento regionali che la legge istituisce, il Piano strategico sarà uno strumento concreto affidato alle prefetture. I centri regionali, infatti, saranno presieduti dal prefetto e composti da rappresentanti degli uffici territoriali delle amministrazioni statali e degli enti locali, da qualificati esponenti di istituzioni, enti e associazioni operanti nel campo religioso, culturale, educativo e sociale in ambito regionale, delle associazioni e organizzazioni che operano nel campo dell'assistenza sociosanitaria e dell'integrazione, nonché delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori. Spetterà al prefetto del capoluogo disciplinare la composizione e il funzionamento dei centri regionali e adottare tutte le iniziative finalizzate all'attuazione del Piano strategico. Le prefetture svolgono un'azione propulsiva di indirizzo, di mediazione sociale e di intervento, di consulenza e di collaborazione in tutti i campi del fare amministrazione. Sono, insieme agli enti locali e alle regioni, un tassello importantissimo della nostra comunità democratica sul territorio. È dunque giusto dare alle prefetture strumenti per fronteggiare difficoltà ed emergenze - che significa dare sicurezza ai cittadini - ed è la risposta più coerente alla circolare dello scorso settembre del capo della Polizia, Giannini, sui livelli di conflittualità dei gruppi terroristici. Anche la Ministra Lamorgese, nel decimo anniversario delle Torri gemelle, ha ricordato che il rischio terrorismo c'è soprattutto in relazione ai cosiddetti “lupi solitari”.

Tredici: per ben tredici volte nel testo ricorre la parola cultura, e non è un caso. Se la sfida è la prevenzione, se l'obiettivo di questa legge non è quello di intervenire sul versante delle politiche criminali almeno nella sua impostazione generale, se la finalità è quella di fortificare il tessuto sociale e civile del Paese, è evidente che il terreno principale sul quale si gioca questa complicata battaglia è proprio il terreno culturale; battaglia culturale da fare in tre luoghi principali: scuola, università e carceri.

La scuola, grazie alle reti scolastiche già previste dalla legge n. 107 del 2015, diventerà il luogo privilegiato dove costruire una cultura del dialogo e del contrasto ad ogni fenomeno radicale ed estremo. Quella scuola che con la DAD ha visto il proprio tessuto collettivo sgretolarsi. La didattica a distanza, che era una scelta inevitabile, Presidente, è stata tuttavia la negazione della scuola. La DAD è collegamento, la scuola è connessione, connessione emotiva, emozionale, generazionale.

Le reti scolastiche potranno, ai sensi dell'articolo 8, realizzare iniziative culturali, stipulando convenzioni con università, istituzioni, enti, associazioni o agenzie per lo sviluppo operanti sul territorio. Fondamentale in tal senso sarà il ruolo dei dirigenti scolastici, non di meno quello dei nostri docenti, maestre e maestri, professori e professoresse, che ancora una volta saranno il punto di riferimento di studenti e famiglie. Permettetemi di aggiungere che una riflessione seria sui docenti prima o poi andrà fatta, poiché sono convinta - e con questa legge lo sono ancora di più – che, per avere una scuola di qualità, bisogna puntare sulla stabilità strutturale del personale scolastico. Nessun progetto può avere continuità con docenti che cambiano ogni nove mesi. L'università, grazie allo spostamento di fondi, avrà risorse per finanziare progetti universitari e post-universitari, per formare figure specializzate nella prevenzione e nel contrasto dei fenomeni dell'estremismo violento di matrice jihadista.

Infine, il tema carcere, perché se si vuole contrastare l'estremismo e le condotte radicali, bisogna guardare da vicino quanto già accaduto, studiare un fenomeno, per evitare che questo possa ripetersi e agire nel migliore dei modi, affinché chi ha sbagliato possa essere pienamente recuperato e reinserito nella società. Questa, d'altronde, è la finalità generale del carcere, sancita dall'articolo 27 della nostra Costituzione. Se l'obiettivo di questa proposta di legge è quello di introdurre nel nostro ordinamento strumenti volti a facilitare un'attività di prevenzione del passaggio dalla fede radicalizzata al terrorismo di matrice islamica, dobbiamo ricordare che non è affatto semplice definire tale fenomeno. Stando ad una riflessione pubblicata sui Quaderni di Sociologia, avere idee radicali e abbracciare ideologicamente una causa non significa impegnarsi concretamente in atti terroristici. È tuttavia interessante fare emergere gli aspetti psicologici e sociologici di tale fenomeno, tenuto conto che le condizioni socio-economiche e demografiche non sono considerate variabili determinanti della condotta estrema e radicale; sono piuttosto i sentimenti di vergogna e di umiliazione ad incidere fortemente sul fenomeno di adesione alla narrazione radicale, con la conseguente interiorizzazione di valori e atteggiamenti. Secondo varie teorie sociologiche, se si mettono da parte i disagi psicologici individuali, gli elementi in comune che caratterizzano i fenomeni estremistici sono l'appartenenza alle seconde e terze generazioni di famiglie di immigrati, la presenza di precedenti penali, di episodi di detenzione in carcere, di difficoltà sociale e di problemi familiari identitari e, infine, l'aver effettuato viaggi in Paesi dove esistono o sono attivi gruppi estremisti.

Dunque, se da un lato è vero, Presidente, che lo zoccolo duro dell'estremismo è costituito da giovani maschi con basso livello di istruzione e scarsa conoscenza islamica, disoccupati o con lavori non qualificati, provenienti da famiglie meno abbienti, è altrettanto vero che l'estremismo attrae anche coloro che non presentano queste peculiarità, cioè soggetti con ottimi curricula scolastici e provenienti da famiglie abbienti. Quindi, la narrazione estremista esercita un fascino in particolar modo su giovani che attraversano una fase di passaggio, privi di un'idea di futuro e che per questo sviluppano un sentimento di frustrazione.

Alla frustrazione, all'isolamento, alla narrazione radicale, all'interiorizzazione di quei valori che sono la negazione stessa dei valori che ispirano le nostre società, si può e si deve rispondere con quell'educazione umanizzante, di cui parla Papa Francesco nella sua enciclica, con la quale il pontefice evidenzia quanto sia necessario, oggi più che mai, rifondare il patto educativo globale tra scuola, famiglia e Stato, per far fronte alle grandi trasformazioni socio-economiche e antropologiche in atto. Un fenomeno molto complesso, dunque, Presidente, che induce a teorizzare che la scelta terroristica non sia solo una condizione, ma un processo dialettico, che spinge l'individuo verso un impegno alla violenza nel tempo. Per questo motivo la vera sfida è quella di intervenire, da un lato, con politiche che vadano a prevenire l'insorgere di forme di radicalizzazione e, dall'altro, con politiche che puntano invece a disinnescare i soggetti radicalizzati, offrendo loro una narrazione alternativa a quella disvaloriale.

In conclusione, Presidente, con questa legge avremo sicuramente uno strumento in più nella prevenzione e nella lotta al terrorismo. È una legge che chiama in causa il Parlamento, con il Comitato parlamentare di monitoraggio, le Forze dell'ordine, il Terzo settore, gli operatori sociali e sanitari, i rettori universitari e i dirigenti scolastici, i ministri di culto e le guide religiose, gli enti locali e le associazioni, le organizzazioni sindacali, gli operatori penitenziari e i garanti, un'alleanza sociale e democratica contro il terrorismo, che è nemico dei valori del nostro Paese e dell'Europa, valori che non dobbiamo mai dare per scontati. Basta guardare quello che sta accadendo in Ucraina, per capire che pace e libertà non sono conquiste intoccabili. Il terrorismo è una guerra che punta a minare quello che le nostre società hanno costruito nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale. Tocca alla politica e alle istituzioni, insieme alle energie migliori del Paese, tenere alta la guardia per difendere quotidianamente quei valori e quei principi che sono il tratto fondante della nostra identità nazionale ed europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raciti. Ne ha facoltà.

FAUSTO RACITI (PD). Grazie Presidente. Credo che in premessa sia necessario dire poche cose, ma chiare, sul significato del provvedimento che noi oggi stiamo discutendo. Non si tratta di una legge sulla libertà religiosa - della quale pure ci sarebbe bisogno nel nostro Paese, visto che siamo fermi ancora alla normativa dei culti ammessi – e, nella consapevolezza dei limiti che abbiamo come legislatori in una società liberale, non è stata nostra intenzione con questa legge provare a definire quale sia il confine di ciò che riteniamo islamico e cosa non. Non è stata nostra intenzione entrare in una materia di definizione religiosa dei fenomeni - che non appartiene ai nostri compiti - né cercare di intervenire sull'organizzazione dell'Islam italiano, perché non sono questi gli obiettivi che noi ci siamo dati.

Questa è una legge che ha l'ambizione di creare strumenti per arrivare prima delle Forze dell'ordine e prima del codice penale. È, in altre parole, una legge che ha l'obiettivo di prevenire l'affermarsi di un fenomeno, che le nostre società europee hanno conosciuto, in maniera particolare dagli anni 2000 in poi, che va sotto il nome di radicalizzazione dell'Islam o, per chi preferisse viceversa, di islamizzazione del radicalismo. È un fenomeno presente nelle nostre società, che ha fatto capolino in drammatici fatti di violenza della cronaca europea, rispetto al quale il nostro Paese, con gli strumenti che ha e di cui si dota attraverso questa legge, cerca di arrivare in anticipo, con le armi del dialogo, del confronto e con l'individuazione di un preciso limite. A noi non interessa mettere alla berlina le forme di devozione islamica. A noi interessa evitare e fermare questo fenomeno prima, evitando che un fatto religioso che riguarda miliardi di persone nel mondo e milioni di persone in Europa, possa essere trasformato in un fatto di violenza, possa superare il confine della violenza. Rispetto a questo, noi vogliamo intervenire e vogliamo arrivare prima.

I nuovi strumenti di comunicazione, l'affermazione progressiva dei social network e la destrutturazione delle nostre società hanno portato ad una pericolosissima polverizzazione di questo tipo di fenomeni che richiedono un approccio particolarmente capillare e strumenti integrati che attraversano i luoghi diversi di una società: le scuole e le moschee, ma soprattutto i luoghi in cui questa radicalizzazione si sviluppa, ossia le carceri perché è lì che storicamente ha sedimentato e rischia di sedimentare in futuro un fenomeno che, fino a questo momento, il nostro Paese è stato in grado di contenere e gestire.

Con questa norma, costruiamo uno strumento in più, mettiamo a disposizione del Paese strumenti in più e lo facciamo in una logica di dialogo aperto tra Stato e confessioni religiose; non lo facciamo in una logica di marginalizzazione di una fede, anzi lo facciamo, cercando il pieno coinvolgimento dell'Islam italiano, con la speranza che le pagine oscure che ha vissuto la nostra Europa negli ultimi anni non si ripresentino o si ripropongano più a noi. Spero sia possibile fare questo, arrivando prima e offrendo una via di uscita a chi rischia di trovarsi prigioniero della trappola della radicalizzazione.

Per questo, oltre ai percorsi di prevenzione, come ha detto, in precedenza, il relatore Fiano, prevediamo percorsi di deradicalizzazione che consentano il passo indietro rispetto a scelte che ancora non si sono manifestate nella loro forma violenta e il recupero e la reintegrazione di coloro i quali finiscono nella trappola della propaganda jihadista e del proselitismo sia che esso sia mosso da grandi organizzazioni e grandi network internazionali, sia che sia mosso da quelli che le reti antiradicalizzazione in Europa si limitano a chiamare leader, cioè coloro i quali si pongono nella posizione di chi deve educare e aprire la strada alla violenza.

La norma che oggi discutiamo apre il punto di osservazione anche a forme di radicalizzazione di altra natura, ossia a forme di radicalizzazione che hanno a che fare non con la radicalizzazione religiosa, ma con la più tradizionale radicalizzazione ideologica o politica, alla quale tra l'altro siamo più abituati; con riferimento alla radicalizzazione, ancora una volta, il tema non è la profondità di una scelta, ma la disponibilità a fare ricorso alla violenza nel nome di una scelta, che è un'altra cosa. Anche questi sono fenomeni che, purtroppo, il nostro Paese, più di ogni altro Paese europeo, probabilmente, conosce in maniera approfondita per aver attraversato anni in cui la radicalizzazione politica ha minacciato di compromettere o ha compromesso la stabilità democratica del nostro Paese. Nel corso degli anni, ci siamo dotati di strumenti repressivi molto forti che hanno dimostrato tutta la loro brutale efficacia.

Anche da questo punto di vista, manca però una cultura della prevenzione, una politica della prevenzione, strumenti della prevenzione che, con questa norma, cerchiamo di offrire alla nostra Repubblica.

Per queste ragioni, e mi avvio a concludere, esprimo soddisfazione per il lavoro che è stato svolto in una logica - attenzione - di dialogo parlamentare.

Nel percorso che abbiamo costruito in sede di Commissione affari costituzionali, anche con riferimento agli aspetti più delicati di questa norma, non vi è stato mai il confronto di chi ha cercato di imporre la propria verità e il proprio punto di vista agli altri, ma vi è stata la continua ricerca di una sintesi, di un punto di equilibrio. Un punto di equilibrio, molto difficile, tra il rispetto dei nostri poteri e di quelli dello Stato, in una società liberale, e la necessità di costruire strumenti che evitino in Italia la diffusione di fenomeni - che, nel resto d'Europa, sono all'ordine del giorno e sono stati parte dell'agenda di discussione pubblica - e di altre forme di radicalizzazione che oggi, probabilmente, non abbiamo così presenti, ma che sono attive e operanti, anche alla luce di un quadro internazionale, all'interno del quale alcuni messaggi ideologici e alcune forme di radicalizzazione stanno probabilmente attecchendo nelle nostre società più di quanto noi stessi siamo disposti ad ammettere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pittalis. Ne ha facoltà.

PIETRO PITTALIS (FI). Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, il provvedimento in esame, recante misure per la prevenzione dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione dell'estremismo violento di matrice jihadista, deriva, come è stato ricordato, dall'unione di due distinte proposte di legge di iniziativa parlamentare. Colleghi, si tratta di un aspetto che vorrei sottolineare in premessa, perché è fondamentale, anche al fine di far recuperare un ruolo di primo piano al Parlamento che, molto spesso, soprattutto nell'arco degli ultimi anni, ha finito per svolgere una funzione ratificatoria delle scelte del Governo, lavorando, per la gran parte, sulla conversione di decreti-legge, come dimostra anche il rapporto 2021 del Comitato per la legislazione della Camera.

Il tema posto alla nostra attenzione dal presente provvedimento in un'ottica differente era stato già esaminato nella scorsa legislatura da questa Camera, dove era stata presentata e approvata un'analoga proposta di legge, il cui esame non ha avuto seguito presso il Senato della Repubblica.

Nell'ambito dell'attuale legislatura, questa proposta ha avuto un lungo percorso parlamentare, durante il quale si è registrata la collaborazione di più forze politiche per il conseguimento di un unico obiettivo, a dimostrazione del fatto che la maggioranza, che sostiene il Governo, sa essere unita nell'affrontare temi delicati che hanno ripercussioni importanti sulla vita dei cittadini.

In particolare, la presente proposta di legge intende disciplinare l'adozione di misure, interventi e programmi diretti a prevenire alcuni fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, i fenomeni di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista che, pur con origini e percorsi differenziati, finiscono per trovare un terreno comune nel medesimo carattere transnazionale della minaccia, negli obiettivi e nella elevata capacità di mettere in pericolo la sicurezza, non solo degli Stati, ma dei cittadini incolpevoli.

Si tratta di fenomeni che, portati avanti a livello nazionale e internazionale, si dimostrano sempre più pericolosi per la loro continua evoluzione e per il progressivo innalzamento della minaccia, come dimostrano i numerosi attacchi terroristici che, negli ultimi anni, hanno colpito le nostre società.

Sebbene in Occidente sia possibile sostenere che oggi la minaccia terroristica non è drammatica e che attentati di vasta portata appaiono improbabili, per quanto non impossibili, tuttavia, gli episodi di violenza non sono certamente scomparsi, persino nelle fasi più dure delle misure di restrizione ai movimenti e di controllo dovute alla pandemia da COVID-19.

In particolare, negli ultimi anni la minaccia terroristica si è manifestata con attacchi pianificati ed eseguiti da singoli individui, anche non appartenenti ad organizzazioni terroristiche, con piani di azione poco complessi e con tattiche poco sofisticate. Ciò significa che la minaccia non è venuta meno, ma che è stata contenuta. Un ruolo cruciale per il contenimento è stato svolto dagli apparati antiterrorismo, che in molti Paesi occidentali hanno sviluppato programmi e iniziative di deradicalizzazione. Per quanto concerne l'Italia, la politica nazionale antiterrorismo si è dimostrata di impatto e generalmente efficace, e grazie ad essa si è registrato sul territorio nazionale un numero assai ridotto di attacchi, senza alcuna vittima; ciononostante è necessario, riteniamo, lo sviluppo di una organica strategia nazionale, ed è in tale contesto che si va ad inserire la presente proposta di legge.

L'Italia presenta livelli di radicalizzazione inferiori rispetto a quelli di altri Paesi, e tuttavia l'attenzione deve rimanere elevata anche nel nostro Paese. Per questi motivi occorre approfondire i vari aspetti della radicalizzazione, a partire dai luoghi in cui questa si manifesta e dove cresce il proselitismo; indagare su come si organizza la comunicazione, al fine di contrastare la radicalizzazione e favorire i progetti di deradicalizzazione. Siamo ben consapevoli del fatto che occorra rafforzare tutte le attività di monitoraggio e di vigilanza dei fenomeni segnalati; concentrarsi sulle attività di prevenzione, tra le quali rileva la necessità di potenziare la formazione del personale coinvolto a vari livelli, affinché si riesca a intercettare e identificare i sintomi del fanatismo o dell'adesione a idee estremistiche da parte di individui per lo più in stato di disagio, anche psicologico, esistenziale o sociale, particolarmente vulnerabili, allo scopo di definire un progetto organico di contrasto e prevenzione, approfondendo i contorni di un fenomeno in continua evoluzione, per colmare le lacune non solo di carattere normativo.

Dunque, per i motivi esposti, la presente proposta di legge promuove efficaci iniziative di contrasto e prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento in grado di captare per tempo i segnali anticipatori delle minacce e i relativi messaggi propagandistici e di proselitismo. Si tratta di un primo importante passo in avanti, molto rilevante sul tema, perché è la prima volta che in Italia, adeguandosi agli altri Paesi europei che da tempo hanno introdotto nei loro ordinamenti questo tipo di normativa, si pone attenzione seriamente e con un atto legislativo organico sulla necessità di contrastare i processi di radicalizzazione. Per questa ragione, Forza Italia-Berlusconi Presidente sosterrà e aderirà con particolare partecipazione ad un voto favorevole a questa legge.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - Testo unificato - A.C. 243-A​)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo non intendono replicare. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge costituzionale: S. 865 - D'iniziativa popolare: Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità (Approvata, in prima deliberazione, dal Senato) (A.C. 3353​) (ore 16,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale, già approvata, in prima deliberazione, dal Senato, n. 3353: Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3353​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il collega Crippa, che è venuto qui non solo per salutarmi, immagino, ma perché vuole fare un intervento sull'ordine dei lavori. Ne ha facoltà.

DAVIDE CRIPPA (M5S). Grazie, Presidente. Brevemente, volevo chiedere, alla luce delle dichiarazioni che oggi sono state pubblicate sul giornale La Stampa da parte del professor Cottarelli sulle speculazioni che stanno ormai, purtroppo, venendo denunciate da più parti sul mercato del gas, un'informativa urgente al Ministro Cingolani, sia per le dichiarazioni sulle truffe sui prezzi dei carburanti annunciate dallo stesso Ministro la settimana scorsa e sia sul fatto che questo articolo di oggi accende un faro su quello che potrebbe essere il target di prezzo che viene assegnato dall'Autorità ai clienti più vulnerabili del nostro Paese, cioè i clienti forniti dal servizio di maggior tutela gas. Viene fatto un esame che, a mio avviso, merita sicuramente un'attenzione e un approfondimento, dove si mette in correlazione il prezzo del gas importato con il prezzo del gas del TTF, che è un mercato di riferimento.

La differenza tra questi due prezzi sostanzialmente è cinque volte tanto, per cui l'attenzione che dobbiamo dare a un grido di preoccupazione come quello espresso anche oggi sui giornali deve trovare accoglimento da parte del Ministro in una spiegazione chiara di quali modalità potremo mettere in campo per rispondere a un'esigenza delle famiglie che oggi, proprio in questi giorni, stanno ricevendo le bollette dei bimestri, soprattutto quelle rifornite in maggior tutela, dove in merito a questo divario di prezzo sicuramente potrebbe essere interessante valutare se c'è un meccanismo di fissazione del prezzo che possa essere diverso da quello fino ad oggi adottato, perché quello che viene segnalato in determinati tipi di denunce, come in questo caso, è che si faccia riferimento ai prezzi di importazione e non tanto ai prezzi forniti dal TTF.

Questo porterebbe ad avere una riduzione in questo caso di quasi quattro o cinque volte il prezzo di riferimento. Visto che le risorse pubbliche impiegate per calmierare le bollette sono state ingenti e lo sforzo del Governo è stato ampio e c'è ancora un interesse e un'attenzione giusta e doverosa su questo tema, noi crediamo sia necessario accendere un faro e fare chiarezza anche su questi tipi di meccanismi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Onorevole Crippa, senz'altro riferiremo della sua richiesta al Governo.

Ha chiesto di parlare il collega Casu, che penso voglia intervenire sullo stesso argomento. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD). Sull'ordine dei lavori, volevo intervenire anch'io, a nome del gruppo del Partito Democratico, per sostenere la proposta dell'onorevole Crippa. Riteniamo utile e importante questa informativa, questo approfondimento con il Governo su quello che sta avvenendo. In queste ore il segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha anche proposto un assegno energia per le famiglie più in difficoltà. È molto importante che, come in altri Paesi europei, anche nel Parlamento italiano, anche in Italia, si avvii una riflessione e ci sia uno stretto rapporto fra Governo e Parlamento, e che si mettano al sicuro le famiglie, le imprese e tutte le italiane e gli italiani di fronte alle difficoltà di questo momento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 3353​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Roberta Alaimo.

ROBERTA ALAIMO, Relatrice. Presidente, il testo della proposta di legge costituzionale n. 3353 di iniziativa popolare, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità, di cui l'Assemblea inizia oggi la discussione, è stato approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera al termine dell'esame in sede referente senza apporvi alcuna modifica rispetto al testo già approvato dal Senato in prima deliberazione. È di particolare rilievo che la modifica costituzionale al nostro esame nasca da una proposta di iniziativa popolare, presentata ai sensi dell'articolo 71, secondo comma, della Costituzione, che affida al popolo l'esercizio dell'iniziativa legislativa tramite la presentazione di una proposta di almeno 50 mila elettori.

L'esame in sede referente presso la I Commissione della Camera è iniziato nella seduta del 23 novembre 2021. In sede di ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi della Commissione, tutti i gruppi hanno convenuto di rinunciare alla fissazione del termine per la presentazione degli emendamenti. L'esame preliminare si è pertanto concluso nella menzionata seduta.

Nella seduta del 12 gennaio 2022, la Commissione affari costituzionali, preso atto del nulla osta espresso dalla V Commissione (Bilancio), ha deliberato di conferire alla relatrice il mandato a riferire favorevolmente all'Assemblea sul provvedimento. Il provvedimento è stato già approvato dal Senato della Repubblica in prima deliberazione nella seduta del 3 novembre 2021. Sono stati 223 i votanti, 223 i voti favorevoli, nessun voto contrario, nessun astenuto.

Ricordo che la Commissione affari costituzionali del Senato, il 4 febbraio 2020 ha avviato l'esame in sede referente della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare recante “Modifica dell'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità”. A seguito dell'esame in sede referente concluso nella seduta del 27 ottobre 2021, la Commissione ha proposto all'Assemblea l'approvazione del testo, come modificato in sede emendativa, con il seguente titolo: “Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità”.

La proposta di legge costituzionale, approvata al Senato in prima deliberazione, è diretta ad introdurre un comma aggiuntivo, dopo il quinto dell'articolo 119 della Costituzione, ai sensi del quale la Repubblica riconosce le peculiarità delle isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità.

Come si legge nella relazione scritta per l'Aula del Senato, nel corso dell'esame in sede referente, il testo iniziale è stato oggetto di modificazione in più parti anche al fine di tenere conto delle indicazioni emerse nell'ambito dell'articolato ciclo di audizioni informali svolto.

I principali elementi di novità rispetto al testo iniziale della proposta di legge, introdotti in esito all'istruttoria legislativa svolta al Senato, possono essere individuati come segue: è la Repubblica, e non soltanto lo Stato, a farsi carico dell'intervento pubblico in favore delle isole; il riconoscimento riguarda le peculiarità delle isole e non più il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità; la Repubblica promuove misure per rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità.

Le modifiche sono volte ad evitare che il termine “insularità” in Costituzione sia considerato esclusivamente come fonte di svantaggio ed i conseguenti ristori di tipo economico e finanziario.

Per tale ragione, è stato inserito il riferimento al riconoscimento delle peculiarità delle isole, espressione che - se intesa in un'accezione ampia, inclusiva della promozione della specificità, e non ad una mera presa d'atto -, sottende una valorizzazione delle specificità di carattere culturale, storico, naturalistico di tali territori.

Come sappiamo, l'articolo 119 della Costituzione reca la disciplina dell'autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali, corredata da un duplice sistema perequativo; l'attuale formulazione è il risultato delle modifiche al Titolo V, introdotte con la legge costituzionale n. 3 del 2001.

Le modifiche all'articolo 119 della Costituzione, introdotte nel 2001, hanno inserito in Costituzione il principio del federalismo fiscale con l'obiettivo di creare uno stretto legame tra decisioni di spesa e prelievo diretto ad avvicinare i cittadini alle istituzioni, nel senso di favorire un'allocazione delle risorse pubbliche in termini di beni e servizi più rispondente alle preferenze di coloro che sono chiamati a sostenerne il costo.

Nella relazione, che chiedo di depositare agli atti, vi sono nel dettaglio le modifiche apportate all'articolo 119 della Costituzione nel 2001, che riassumo così: si è determinata un'estensione dei destinatari delle misure statali anche a comuni, province e città metropolitane; il riferimento ai contributi statali è stato sostituito con il riferimento alle risorse aggiuntive e agli interventi speciali ma, soprattutto, è stato superato il riferimento alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole come finalità prioritaria dell'intervento statale. Sono state definite con maggiore dettaglio le finalità e gli ambiti dell'intervento pubblico: sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale, rimozione degli squilibri economici e sociali, effettivo esercizio dei diritti della persona o altri scopi diversi dall'esercizio delle funzioni pubbliche, rispetto al testo previgente in cui i contributi speciali erano diretti a provvedere per scopi determinati.

Occorre accennare che c'è stato un problematico processo attuativo dell'articolo 119 della Costituzione che ha preso avvio con la legge delega n. 42 del 2009, approvata a distanza di circa otto anni dalla riforma costituzionale del Titolo V. Sulla base della legge, il Governo ha adottato una serie di decreti legislativi. Una completa attuazione dell'articolo 119 avrebbe potuto assicurare interventi mirati a contrastare lo svantaggio naturale dei territori insulari e garantire un'effettiva parità con i cittadini della terraferma nel godimento dei diritti individuali e inalienabili, ma così non è stato. Per completezza, ricordo, nella relazione, il diritto dell'Unione europea ed, in particolare, l'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la risoluzione del Parlamento europeo del 2016 e gli interventi del Comitato europeo delle regioni.

Anche nel nostro Paese, si registrano diversi interventi con legge ordinaria, recanti misure volte ad assicurare la continuità territoriale, con particolare riferimento ai collegamenti aerei e, più in generale, a compensare gli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità.

Al riguardo, richiamo alcune misure adottate nel corso della presente legislatura: l'articolo 1, commi 688 e 689 della legge n. 178 (legge di bilancio per il 2021), che reca disposizioni per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia, che consente di ridurre i disagi derivanti dalla condizione di insularità e di assicurare il diritto alla mobilità (…) nonché di mitigare gli effetti economici derivanti dall'emergenza epidemiologica da COVID-19; l'articolo 16, comma 4, del decreto-legge n. 146 del 2021, recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per le esigenze indifferibili”, che attribuisce alla regione Sardegna, per l'anno 2021, l'importo di 66,6 milioni di euro da destinare alla compensazione degli svantaggi strutturali derivanti dalla condizione di insularità; e, ancora, il comma 546 della legge di bilancio per il 2022 che attribuisce alla regione siciliana, a decorrere dal 2022, la somma di 100 milioni di euro annui, da destinare alla compensazione degli svantaggi strutturali legati alla condizione di insularità.

Quindi, come si evince anche dagli interventi legislativi appena menzionati, le regioni insulari mostrano peculiarità economiche, geografiche, demografiche e sociali esclusive che devono essere prese in considerazione anche nel quadro dell'applicazione delle politiche europee.

In particolare, le misure di riequilibrio e perequazione rispondono non solo all'esigenza di limitare gli svantaggi strutturali determinati dalla discontinuità territoriale, dovuta alla posizione geografica, ma anche alla necessità di garantire pari opportunità di sviluppo e di accesso al mercato unico europeo rispetto alle altre regioni.

E' evidente, pertanto, che le regioni insulari presentano caratteristiche permanenti che le distinguono dalle altre regioni. Tale evidenza deriva dal fatto - indiscutibile - che l'insularità, intesa come discontinuità territoriale, implica specificità di natura economica, ambientale, trasportistica, sociale e demografica che determinano un oggettivo svantaggio rispetto alle altre zone continentali.

Ribadisco, infine, che l'insularità costituisce la condizione tipica in cui gli svantaggi ad essa connessi rendono necessarie misure per la continuità territoriale.

La continuità territoriale è strettamente connessa al diritto alla libera circolazione e al diritto di uguaglianza dei cittadini, diritti sanciti, rispettivamente, all'articolo 16 e all'articolo 3 della Costituzione italiana.

Il riconoscimento del principio di insularità in Costituzione ha raccolto il consenso della società civile in ogni sua declinazione. Essere un'isola comporta enormi costi aggiuntivi che devono essere compensati in nome della coesione nazionale, con l'obiettivo di rendere uguali i punti di partenza di tutti i cittadini italiani.

Sarebbe, comunque, utile considerare e porre l'attenzione non solo sugli svantaggi connessi all'insularità, ma anche sui vantaggi dell'insularità per concepirla in termini geopolitici più che in termini rigorosamente geografici e territoriali e ciò con lo scopo di costruire un ragionamento che abbia il fine di individuare tutte quelle misure che permetterebbero alle nostre regioni insulari di offrire non solo all'Italia, ma anche a tutti i Paesi dell'Unione europea e del Mediterraneo tutti i vantaggi dell'insularità, contribuendo così al percorso di sviluppo nazionale, europeo e internazionale.

Concludo, signor Presidente, auspicando che l'approvazione di questa proposta di legge costituzionale, di iniziativa popolare, sia solo il primo tassello di un percorso che porti alla concreta valorizzazione del patrimonio storico, naturale e identitario delle isole del nostro Paese.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire, se lo ritiene, il rappresentante del Governo.

Prendo atto che si riserva di farlo successivamente.

E' iscritto a parlare il collega Raciti. Ne ha facoltà.

FAUSTO RACITI (PD). Molto brevemente, Presidente, nel ringraziarla per avermi dato la parola, vorrei sottolineare due aspetti della riforma costituzionale che questo pomeriggio discutiamo. Il primo è relativo al fatto che non si tratta di una riforma costituzionale di carattere meramente risarcitorio.

Nel prevedere le peculiarità delle isole, si implica certo un aspetto - e ora ci arriverò brevemente - che ha a che fare con la necessità di colmare il gap che separa i cittadini e i prodotti provenienti dalle isole maggiori e minori del nostro Paese rispetto al resto della Penisola.

La riforma in oggetto consente anche di guardare alle isole grandi e piccole come un patrimonio da valorizzare non solo dal punto di vista turistico ma anche delle peculiarità culturali, linguistiche e di biodiversità che ne fanno un elemento di ricchezza e di diversità del nostro Paese.

Il secondo aspetto invece - questo sì, più chiaramente risarcitorio - ha a che fare con la mobilità di cose e persone dalle isole minori e maggiori del nostro Paese, con particolare riferimento al problema, ancora oggi largamente irrisolto, della continuità territoriale e del gap commerciale che rende più difficile commerciare prodotti e manufatti provenienti dalle isole nel resto del Paese. Questo storicamente è un fenomeno che ha scavato e ha aumentato la distanza delle isole rispetto al resto del Paese nel corso degli anni.

Le specialità riconosciute alle due isole maggiori hanno corrisposto al tentativo di costruire strumenti di riconoscimento e di superamento di questo gap, ma ad oggi dobbiamo registrare che ciò, eufemisticamente, non è avvenuto.

Da questo punto di vista, quello della continuità territoriale e del sostegno alle economie delle isole del nostro Paese è un tema ancora aperto e l'accoglimento di questo nuovo principio costituzionale, di questa piccola riforma della Costituzione in discussione, che verrà approvata nel corso dei prossimi giorni, consente di provare a colmare tale divario, da un punto di vista sistematico e non solo occasionale, come avvenuto fino a questo momento.

Per tali ragioni, la riforma vede il nostro sostegno e auspichiamo una rapida approvazione, in modo da potere poi procedere, dal punto di vista del lavoro parlamentare, alla predisposizione delle leggi attuative di questo nuovo principio costituzionale, che poi consentiranno in concreto alle isole non dico di risolvere il tema della distanza che le separa dal resto del Paese (perché non è affidandosi esclusivamente ad un corpus di leggi che ciò si può fare), ma di avere gli strumenti per colmare il divario o almeno una parte del divario che oggi, soprattutto in termini di mobilità, separa cose e persone delle isole maggiori e minori del nostro Paese dal resto dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanni Russo. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO (FDI). Grazie, signor Presidente. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento del principio di insularità è nata – è doveroso premetterlo - dai cittadini, dalle associazioni, dagli emigrati, dai circoli della FASI e degli amministratori locali sardi, per sancire nella nostra Costituzione un principio sacrosanto rispetto all'essere isolani, il diritto di essere isolani. Una mobilitazione straordinaria che non è rimasta confinata nelle isole, ma grazie agli emigrati ha visto coinvolti i cittadini di tutta Italia che hanno riconosciuto l'evidente necessità di intervenire.

Come disse qualcuno molto saggio, l'isola è un cuore in mezzo al mare e tante persone che frequentano le isole, per vacanza, per studio o anche per ricerche scientifiche, si innamorano normalmente di questa dimensione che, piccola o grande nella immensità del mare, crea legami ed emozioni difficili poi da eliminare.

È un'ovvietà per alcuni ma con il passare degli anni quell'ovvietà è diventata un macigno per chi abita in Sardegna, in Sicilia e nelle piccole isole; dalla continuità territoriale negata o precaria di persone e merci, da quella energetica a quella industriale, senza dimenticare quella sanitaria o di protezione civile.

Rimarcare la condizione di insularità sarà utile per fornire la traccia a cui il legislatore dovrà ispirarsi, per esempio, quando programma i bandi sulle infrastrutture dei trasporti o sugli enti locali e aggrega nel Mezzogiorno regioni con requisiti che non tengono conto delle differenze esistenti tra chi ha la continuità dei trasporti e chi non ha scelta rispetto al fatto di prendere l'aereo o la nave.

La condizione di insularità deve, senza alcun dubbio, permettere di derogare a scelte basate sulla facilità di spostamenti interregionali. Per esempio, in caso di emergenza, di incendi, è eccellente la protezione della catena della macchina di Protezione civile: da regione a regione si mobilita il soccorso con un treno. In Sardegna, in Sicilia o nelle piccole isole questo non è possibile perché i mezzi e gli uomini arrivano via mare dopo almeno 24 ore, specialmente in Sardegna. In Sardegna, quindi, per esempio, bisogna programmare tutto con un forte anticipo.

La mobilitazione portata avanti trasversalmente, che ha unito tutti i partiti e i movimenti, non lamenta la vita dell'isolano, ma chiede un'attenzione speciale per avere pari possibilità e diritti. Questo principio riguarda non soltanto la Sardegna ma anche la Sicilia e, soprattutto, le isole minori, tra le quali ci sono comunità che vivono la particolare condizione di doppia insularità.

A questo riguardo, come Fratelli d'Italia, abbiamo presentato proposte di legge, ispirate da questo sacrosanto diritto, sulla sanità, sulle zone franche doganali, sulla scuola e sui trasporti. La recente pandemia ha mostrato, in positivo o in negativo, il riconoscimento del principio di insularità.

Come Fratelli d'Italia, voglio ringraziare e ricordare uno dei primi promotori, Roberto Frongia, politico e assessore regionale sardo, purtroppo recentemente scomparso. Oggi questa proposta di legge di iniziativa popolare è la prima della storia ad arrivare a questo punto della procedura parlamentare. È già stata approvata al Senato, ora occorre accelerare i tempi per l'approvazione alla Camera per consentire rapidamente il doppio passaggio ulteriore.

Non perdiamo questa occasione per rispondere alle richieste dei nostri cittadini anche perché, come dicevo prima, in ciascuno di noi nel nostro cuore c'è un'isola.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pittalis. Ne ha facoltà.

PIETRO PITTALIS (FI). Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevole Mule', colleghe e colleghi, la presente proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, già approvata in prima lettura dal Senato, prevede, come ha ricordato la relatrice, la modifica dell'articolo 119 della Costituzione, con l'inserimento, dopo il quinto comma, di una disposizione semplice per la lettura, ma che vorrei fosse ben intesa e da questo Parlamento e, soprattutto, dal Governo che sarà chiamato a dare attuazione a questo che non è soltanto un principio astratto. “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità”.

Si tratta, come detto, di un'iniziativa popolare, frutto di una vasta mobilitazione che, senza indulgere in toni vagamente retorici, ha visto protagonisti uomini e donne, giovani e meno giovani, associazioni di categorie datoriali e sindacali, il mondo agropastorale, il mondo della cooperazione, del volontariato, dello sport, della cultura e delle università sarde, la Federazione delle associazioni sarde in Italia e la stessa Chiesa sarda, protagonisti e uniti come non mai nel sostenere questa iniziativa volta, in termini generali, a promuovere e tutelare i valori dell'identità insulare. Un'iniziativa - come è stato da qualcuno ricordato - culminata in una raccolta di firme sostenuta da oltre 200 mila persone, che ha coinvolto trasversalmente tutti gli schieramenti politici sardi, resa possibile grazie all'intenso e instancabile lavoro del comitato promotore e del suo presidente Massimo Fantola, leader dei Riformatori Sardi, e della Commissione speciale per il riconoscimento dell'insularità, istituita presso il consiglio regionale sardo e presieduta dall'onorevole Michele Cossa, ai quali va il più sentito grazie.

È una proposta che è entrata nel sentire comune dei sardi, anche grazie alla straordinaria mobilitazione dei tanti sindaci e amministratori locali della Sardegna e alle iniziative di chi - ricordo l'onorevole Salvatore Cicu, già eurodeputato - aveva portato e posto all'attenzione del Parlamento europeo il problema dell'insularità. Un sentito grazie lo voglio rivolgere alla professoressa Maria Antonietta Mongiu, donna straordinaria che ha saputo imprimere all'iniziativa un significato non solo di valenza prettamente economica, ma anche storico-culturale, e non certo ultimo per importanza un grazie speciale all'amico Roberto Frongia, già consigliere regionale e assessore della regione Sardegna che ci ha lasciato purtroppo prematuramente; sono certo che oggi sarebbe felice e contento, perché si avvera il sogno di tante battaglie, come lui stesso amava definirla, la madre delle battaglie per i sardi.

Mi sia consentito anche ringraziare il nostro presidente di gruppo, Paolo Barelli, che tanto si è speso in sede di Conferenza dei capigruppo perché la presente proposta venisse inserita nel calendario dei lavori della Camera in occasione della prima seduta utile, ponendola proprio in carico al nostro gruppo tra gli argomenti da trattare.

Per me e per il collega Ugo Cappellacci, che oggi non è presente, perché impegnato in una nobile missione in una terra al confine con l'Ucraina - oggi, quindi, non è qui presente ma quanto dico è da lui condiviso -, non è stato un problema convincere Paolo Barelli, conoscendo la sua sensibilità insieme a tutto il gruppo di Forza Italia che, prima al Senato, con il senatore amico Emilio Floris, e, oggi, alla Camera, convintamente sostiene questa proposta. Voglio partire in questo mio breve intervento proprio dall'accorata lettera di Roberto Frongia e Maria Antonietta Mongiu rivolta ai parlamentari sardi: L'insularità e la specialità della Sardegna e della Sicilia sono parte dell'identità costituzionale nazionale. Il comitato promotore della Sardegna ritiene che sia venuto il momento di affrontare e risolvere il problema in modo netto con il vostro contributo. E oggi, più che mai, è necessario fare presto - ammonivano - perché nonostante i trattati comunitari e internazionali, i sardi, i siciliani e tutti i cittadini delle isole minori continuano ad avere uno svantaggio infrastrutturale e strutturale.

Io potrei terminare qui il mio intervento, perché le parole di Roberto Frongia e Maria Antonietta Mongiu spiegano bene, senza tanti giri di parole, il senso e il significato di questa iniziativa legislativa popolare che pone il Parlamento davanti ad una assunzione di responsabilità per reintrodurre l'insularità in Costituzione. Eh, sì, “reintrodurre” l'insularità in Costituzione ed, infatti, occorre tenere presente che già nella Costituzione del 1948, prima della modifica del Titolo V, era presente il riferimento all'insularità e all'intervento dello Stato con misure appropriate per ridurne lo svantaggio. Dunque, il primo aspetto che mi preme sottolineare è che la presente proposta di legge costituzionale ha il pregio di rimettere al centro del dibattito politico nazionale la questione delle isole, elevando a rango costituzionale l'obbligo dello Stato di predisporre ogni utile misura che crei concretamente le condizioni per un'effettiva integrazione con il restante territorio nazionale, rimuovendo le diseguaglianze che - consentitemelo - solo chi vive in un'isola può comprendere appieno. In questo percorso riteniamo non solo di preservare, ma rafforzare la nostra specialità e la nostra autonomia. Voglio al riguardo ricordare che la specialità dell'autonomia della regione Sardegna non è frutto di graziose concessioni dello Stato italiano, ma costituisce un patto, il frutto di un reciproco riconoscimento tra il popolo italiano e il popolo sardo, tra la storia del popolo italiano e la storia del popolo sardo, intimamente legate per le ragioni che tutti ben conosciamo. Lo statuto di specialità ha potuto e saputo riconoscere l'alterità del popolo sardo in termini storici, culturali, politici e sociali. Solo la grande cultura politica dei nostri Padri costituenti, che ha riconosciuto i tratti identitari e le antiche aspirazioni nazionaliste del popolo sardo, con profonda lungimiranza politica, ha reso possibile la convivenza democratica della Sardegna all'interno dello Stato repubblicano, questione altrimenti difficilmente componibile.

Oggi più che mai, abbiamo allora il dovere, ancor di più, di unire le forze per difendere la nostra identità, la nostra storia, la nostra cultura e la nostra lingua, tanto più di fronte a questa sconcertante omologazione europeista che ha posto in luce la subalternità delle classi politiche ai poteri economici e finanziari, perdendo per strada il sogno e le aspirazioni di un'Europa federale dei popoli. Proprio perché abbiamo conosciuto le insidie, le resistenze e gli interessi contrari, questa iniziativa rappresenta una significativa tappa di lotta politica dei sardi e della loro classe dirigente che non intende rassegnarsi. Non a caso il nostro Emilio Lussu diceva, già più di sessant'anni fa, che la Sardegna sarebbe risorta e che i sardi sarebbero stati gli artefici del loro avvenire, ma aggiungeva che senza la solidarietà dello Stato, una solidarietà non mendicata, ma frutto di una conquista attraverso la lotta politica, non sarebbe possibile una rapida rinascita. Questo è senza dubbio vero, nel bene e nel male. Ecco perché riteniamo una tappa fondamentale il riconoscimento politico ed economico dell'insularità che, storicamente e nella quotidianità, determina nel nostro sistema isolamento economico, limitazione dei trasporti, assenza di infrastrutture, minori opportunità commerciali, costi dell'energia più alti. Io, da sardo, non accetterei per nessuna ragione al mondo di vivere fuori dalla mia isola, questo sia ben chiaro, ma i sardi, così come i siciliani, hanno il sacrosanto diritto di competere con pari punti di partenza con tutti gli altri cittadini italiani, di vedersi azzerare gli attuali svantaggi strutturali legati all'insularità e di vedersi compensati gli enormi costi aggiuntivi.

Pensate che uno studio specifico sul problema, realizzato dall'Istituto Bruno Leoni, ha quantificato in circa 5.700 euro pro capite il costo della insularità per la Sardegna, circa 9 miliardi di euro l'anno a fronte di un PIL della regione di circa 20 miliardi di euro. Anche nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nel titolo dedicato alla coesione economica, sociale e territoriale, per ridurre il divario tra i livelli di sviluppo e il ritardo delle regioni meno favorite, si citano espressamente le regioni insulari (esattamente all'articolo 174). Ecco perché l'inserimento in Costituzione del principio della insularità favorisce, anche da questo punto di vista, e rafforza la concertazione con l'Unione europea per misure legislative di intervento economico volte ad instaurare un vero sistema di continuità territoriale che deve tornare ad essere ritenuta una questione di interesse nazionale, in quanto condizione indispensabile per assicurare a tutti il diritto ad una mobilità.

Vedete, colleghi, io penso che finora la politica abbia affrontato il problema della mobilità delle persone da e per la Sardegna tenendo conto non già del diritto alla libera circolazione, ma inserendola nel contesto di un crescendo di norme e di decreti che sicuramente soddisfano e salvaguardano le regole sulla concorrenza e sul divieto degli aiuti di Stato alle imprese, questioni che, come ben sapete, sono puntualmente e ossessivamente oggetto delle procedure di verifica da parte della Commissione europea, sempre pronta a porre la lente di ingrandimento su veri o presunti aiuti di Stato, con gli inevitabili ed eventuali procedimenti di infrazione. Io sono dell'idea che vengano definitivamente e completamente trasferite funzioni e risorse alla regione sarda perché siamo in grado di poter decidere in casa nostra cosa vogliamo, ad iniziare dalle tariffe che devono essere fortemente ribassate per i residenti e calmierate per i non residenti, con un'offerta di voli e del trasporto marittimo da e per la Sardegna ampliata ma, soprattutto, con la possibilità di scegliere quei vettori presenti nel mercato rispettosi del sacrosanto diritto dei sardi alla libera circolazione. Questo vuol dire consacrare in Costituzione il principio della insularità!

Consentitemi, in conclusione, di mettere in evidenza un aspetto che ritengo non marginale rispetto alle questioni trattate. Fino all'insediamento del Governo del Presidente Draghi, la questione delle isole e, più in generale, la questione meridionale erano scomparse dal vocabolario e gli stessi investimenti sul Mezzogiorno risultavano drammaticamente calati. Il divario tra Mezzogiorno e Italia riprendeva a crescere, così come quello della Sardegna con il resto del Paese. Devo esprimere allora un pubblico plauso al Ministro per il Sud, Mara Carfagna, che, con la sua generosa disponibilità e la sua determinazione da donna del Meridione, sta costruendo un progetto organico per ricreare le condizioni di una rinnovata e forte attenzione dello Stato verso le isole e verso il Sud. Grazie anche all'azione del Ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, che con la sua azione sta promuovendo un nuovo rapporto con il sistema delle regioni nell'ottica del superamento di quella improduttiva stagione determinata da politiche centralistiche. Approfitto anche della presenza del sottosegretario Giorgio Mule', sottosegretario per la Difesa, per congratularmi con lui per l'azione che sta portando avanti sul fronte delle servitù militari, tema tanto delicato (so con quali impegno lo sta affrontando).

In questo contesto mi auguro che la regione Sardegna sappia cogliere queste nuove opportunità, ma sappia soprattutto cogliere il significato e le prospettive, non solo economiche, che conseguono all'inserimento del principio di insularità in Costituzione, con l'auspicio - e concludo - che, come ha detto il presidente della commissione speciale per il riconoscimento del principio di insularità, l'onorevole Michele Cossa, d'ora in poi “(…) nessun giovane sardo possa più avvertire l'insularità come freno rispetto alla propria volontà di fare, intraprendere, creare, ma, al contrario, possa trarre da questa condizione la forza per crescere e far crescere la nostra isola”. Forza Sardegna, Fortza Paris!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Martini. Ne ha facoltà.

GUIDO DE MARTINI (LEGA). Presidente, Governo, onorevoli colleghi, esaminiamo oggi l'Atto Camera n. 3353 che prevede la modifica dell'articolo 119 della Costituzione concernente il riconoscimento delle peculiarità delle isole e il superamento degli svantaggi derivanti dalla insularità. Il provvedimento, che si basa su una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, è stato già approvato dal Senato della Repubblica in prima deliberazione nella seduta del 3 novembre 2021. Sono stati 223 i votanti, 223 i voti favorevoli, nessun voto contrario e nessun astenuto.

Il testo della proposta, Atto Camera n. 3353, è stato approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera al termine dell'esame in sede referente senza apportarvi alcuna modifica rispetto al testo già approvato dal Senato in prima deliberazione. Entrando nel merito, la proposta di legge costituzionale è diretta ad introdurre un comma aggiuntivo dopo il quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, ai sensi del quale “la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità”. La formulazione originaria della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare prevedeva che lo Stato fosse tenuto a riconoscere il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità e a disporre le misure necessarie a garantire un'effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili. Nel corso dell'esame in sede referente al Senato il testo iniziale è stato oggetto di modificazioni, i cui principali elementi di novità possono essere individuati come segue: è la Repubblica, e non soltanto lo Stato, a farsi carico dell'intervento pubblico in favore delle isole; il riconoscimento riguarda le peculiarità delle isole e non più i gravi e permanenti svantaggi naturali derivanti dall'insularità; la Repubblica promuove - nel precedente testo, “lo Stato disponeva” - misure per rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità; viene meno il riferimento alla finalità di effettiva parità e di un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili.

Nel dibattito svoltosi al Senato si è evidenziato come le modifiche siano volte ad evitare che il termine “insularità” in Costituzione sia considerato esclusivamente come fonte di svantaggio e di conseguenti ristori di tipo economico e finanziario. Per questo motivo è stato inserito il riferimento al riconoscimento delle “peculiarità delle isole”, espressione che ha un'accezione ampia, inclusiva della promozione delle specificità, sottende anche a una valorizzazione di carattere culturale, storico e naturalistico di tali territori.

È stato inoltre evidenziato, relativamente alla sostituzione del riferimento allo Stato con quello alla Repubblica, come sarebbe stato limitativo circoscrivere allo Stato e non anche agli altri enti costituenti della Repubblica, ossia comuni, province, città metropolitane e soprattutto regioni e Stato stesso, il compito di riconoscere le peculiarità delle isole. Ciò premesso, è evidente che non può che essere lo Stato ad assumere il compito principale di rimozione degli svantaggi derivanti dall'insularità, specie nella misura in cui il territorio insulare coincide con quello regionale. Giova ricordare, a questo proposito, che il testo originario della Costituzione recava, al terzo comma dell'articolo 119, un puntuale riferimento alle isole che, considerate in condizioni di svantaggio dal punto di vista geografico, economico e sociale, erano favorite da specifici contributi perequativi volti alla loro valorizzazione. L'articolo recitava: “Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali”. Il legislatore nel 2001, nell'ambito delle modifiche apportate all'articolo 119 della Costituzione secondo il principio del federalismo fiscale, ha eliminato ogni riferimento all'insularità, riferendosi soltanto ai territori con minore capacità fiscale per abitante a prescindere dalle condizioni geografiche.

Chiudo l'intervento con l'auspicio che questo reinserimento dell'insularità nell'articolo 119 della Costituzione possa essere, oltre che un traguardo raggiunto, un vero e proprio punto di partenza per colmare veramente lo svantaggio costituito dalle condizioni di insularità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giarrizzo. Ne ha facoltà.

ANDREA GIARRIZZO (M5S). La ringrazio, Presidente. Vi chiedo scusa per questo tam-tam che abbiamo avuto con la Commissione, però, presiedendo, purtroppo capita anche questo.

Io desideravo iniziare con queste parole: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (…). È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”: articolo 3 della Costituzione.

Presidente, queste sono parole, sono principi che tutti noi conosciamo e sono alla base del provvedimento che oggi abbiamo in esame, un provvedimento che ci parla di quella che dovrebbe essere la maggior tutela per quanto riguarda i diritti che devono essere garantiti in modo equo a tutti i cittadini e mi riferisco anche a quelli del Sud e delle isole, come appena ho detto. Come lei sa benissimo, io sono un cittadino siciliano e quello che mi sta più a cuore è che dovremmo rimuovere gli svantaggi derivanti dal fenomeno dell'insularità.

Lo scorso 3 novembre, al Senato, è stata approvata all'unanimità la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, volta a introdurre un nuovo comma all'articolo 119, con il quale si esplicita che “La Repubblica riconosce le peculiarità delle isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità”. È stata la prima deliberazione necessaria per poi dare il via agli ulteriori passaggi, essendo una modifica costituzionale. Ci tengo a dire che il MoVimento 5 Stelle è molto presente, nonché affezionato a questo tema, perché noi pensiamo che la risoluzione dei problemi e degli svantaggi creati dal fenomeno dell'insularità sia assolutamente di grandissima attenzione e bisogna sicuramente portare avanti il provvedimento.

Facciamo un salto nel passato: nel 1948 la Costituzione contemplava, al terzo comma dell'articolo 119, che leggo testualmente: “(…) per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali (…)”. Nel 2001, successivamente, con la riforma del Titolo V della Costituzione, viene eliminata la parte dedicata alle isole e si sceglie, quindi, di introdurre il principio di federalismo fiscale: principio che, purtroppo, negli anni, ha subito un processo attuativo disorientato, quasi, che ha portato a creare forti svantaggi al Sud e alle isole. Oggigiorno si sta, quindi, decidendo di tornare a reintrodurre con attenzione, come voluto dai nostri padri costituenti, l'esclusivo riconoscimento delle peculiarità delle isole e dei forti limiti dettati dal fenomeno dell'insularità.

Adesso, magari, possiamo tentare di parlare di questi settori un po' critici che vengono colpiti da questo fenomeno. Come dicevo prima, sono siciliano, provengo dalla provincia centrale della Sicilia, che è la provincia di Enna, e posso dirle, Presidente, che noi veramente soffriamo tantissimo, da tanti punti di vista. Ogni giorno ricevo continue telefonate da cittadini che si lamentano - benevolmente, per carità, ma comunque hanno diritto a lamentarsi - delle nostre strade, dei nostri servizi, anche con riferimento alle aziende che hanno serie difficoltà nella consegna del materiale e dei propri prodotti al di fuori dell'isola. Le posso citare le strade: noi abbiamo una viabilità pessima, parlo, ad esempio, della provincia di Enna che è quella più colpita in tutta la regione siciliana; è una rete viaria veramente disastrata.

Chiaramente anche il fenomeno dell'insularità, in questo caso, contribuisce, purtroppo, al degrado della stessa provincia e, quindi, della Sicilia. Ovviamente sono vicino anche ai cittadini della regione Sardegna; non posso conoscere i loro problemi direttamente, perché non ci vivo, però sicuramente li posso comprendere.

Mi porto avanti e le parlo anche dei problemi legati all'ambiente, considerando che, a parte il dissesto idrogeologico, vi sono anche i cambiamenti climatici, che favoriscono, purtroppo negativamente, il degradarsi dei nostri territori, il fenomeno dell'erosione della costa, la siccità e la scarsità di risorse naturali, che si collegano ovviamente alla dipendenza energetica con la terraferma. È chiaro che tale situazione suggerisce un intervento pubblico per favorire la produzione, eventualmente, di energia da fonti rinnovabili e, più in generale, l'adozione di misure volte alla mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici.

Inoltre, la ridotta capacità economica, le ridotte dimensioni, la scarsità di risorse naturali spingono ad una minore diversificazione delle attività e favoriscono una specializzazione delle nostre imprese in settori economici contraddistinti da una consistente stagionalità, come la pesca, l'agricoltura e il turismo. Inutile dire che investimenti nelle infrastrutture, incluse quelle dell'informazione e della comunicazione, potrebbero contrastare tale tendenza e favorire lo sviluppo economico.

In ultimo, e non certo per importanza, nelle isole si riscontrano maggiori tassi di invecchiamento della popolazione residente, Presidente, atteso che le minori opportunità economiche incentivano lo spostamento dei giovani verso la terraferma, e dunque ridotti tassi di occupazione e una minore qualificazione professionale della forza lavoro. Questa è una cosa che mi tocca molto perché, personalmente, quando torno nel territorio per svolgere le attività parlamentari, che di consueto tutti svolgiamo, ciascuno nel territorio dove veniamo eletti, molto spesso, anzi, più che molto spesso, direi sempre, non ritrovo i miei amici, perché nessuno è più nel territorio: per carità, sono felice per loro, ma ognuno ha trovato un lavoro al Nord, ha trovato un lavoro all'estero, e quindi questo è un problema molto serio. La desertificazione, lo spopolamento per noi è una piaga veramente, veramente pesante, e la soffriamo moltissimo.

Proviamo a parlare un attimo della desertificazione in termini di vertiginoso calo della popolazione residente. È concreto e tangibile come problema: sono, infatti, migliaia le persone che, anno dopo anno, muoiono, non nascono, o attraversano lo Stretto in cerca di maggiore fortuna nel continente. A certificarlo è l'Istat che, nell'ultimo aggiornamento sui dati sulla popolazione residente, ha messo nero su bianco quello che tutti gli isolani temevano: la Sicilia non è una terra per giovani, un'intera generazione sta progressivamente abbandonando il paese natio in cerca di maggiori chance altrove. Consideriamo che, negli ultimi dieci anni, sono stati persi 300 mila residenti e nei prossimi quarant'anni il calo sarà ancora più vistoso, arrivando a 1 milione e mezzo di siciliani in meno, cosa che porterà l'isola a contare qualcosa come 3 milioni e mezzo di abitanti, rispetto ai quasi 5 milioni di oggi.

La popolazione censita in Sicilia, al 31 dicembre 2019, ammonta a circa 4 milioni e 800 mila unità, con una riduzione di circa 33 mila abitanti rispetto all'anno precedente e di 127 mila rispetto al censimento 2011. Dal 2011 al 2019 i residenti diminuiscono pressoché in tutte le province. La riduzione della popolazione residente è maggiore a Enna (la provincia da cui provengo, come le dicevo): meno 9,9 per mille in media annua. La provincia di Enna presenta una struttura demografica meno giovane rispetto al resto della Sicilia e una percentuale di persone che non hanno alcun titolo di studio o hanno un'istruzione base che si attesta attorno al 60 per cento.

In Sicilia le imprese intestate a giovani sono diminuite di quasi 16 mila in dieci anni: da quasi 69 mila a circa 53 mila; in provincia di Enna, su un totale di 1.894 imprese giovanili si è passati dal 19,1 per cento, nel 2011, al 12,6 per cento, nel 2020.

Con il documento Stima dei costi dell'insularità per la Sicilia, pubblicato il 15 maggio 2021 nella ricorrenza del 75° anniversario della pubblicazione dello statuto dell'autonomia siciliana (1946-2021), il governo regionale siciliano ha approfondito la condizione di insularità per il rilancio dell'autonomia speciale siciliana. Nell'analisi prodotta si precisa che la condizione di territorio penalizzato da specificità geografiche limitanti, come la perifericità, l'insularità o la scarsa accessibilità, è comune a molte regioni dell'UE e impone l'adozione di scelte politiche di contrasto, che, tuttavia, vanno commisurate all'entità degli svantaggi che devono essere mitigati o rimossi, ma anche ai possibili vantaggi che ne potrebbero derivare. In particolare, l'insularità, intesa come discontinuità territoriale, determina delle ulteriori criticità di natura economica trasportistica, ambientale, sociale e demografica, che determinano un oggettivo svantaggio rispetto ai territori continentali e così via. I dati sui divari, al fine di identificare il disagio e il gap dovuto all'insularità, restituiscono una fotografia allarmante: squilibri occupazionali, popolazione a rischio povertà, costi per i trasporti e disagi infrastrutturali, diffusa marginalità e una ridotta internazionalizzazione e decisa sperequazione infrastrutturale. Ma, anche sul lato dei vantaggi dell'insularità, è importante individuare tutte quelle misure che permetterebbero all'isola di offrire al Paese ed all'Unione europea tutti i vantaggi dell'insularità competitivi dell'isola. Infatti, non sono pochi, qui ne elenco qualcuno: porta meridionale dell'Europa, grande biodiversità, giorni di sole in un anno, ricchezza di beni culturali e così via. Molti di questi vantaggi derivano dalla sua storia e dalla sua geografia. Costi dell'insularità sono anche tutte le occasioni perdute, su cui occorre in ugual modo puntare per riequilibrare i rapporti tra centro e periferia, Nel documento si fornisce una stima dei possibili costi legati alla condizione di insularità della Sicilia, da prendere in considerazione per definire le strategie di sviluppo della Sicilia in un contesto nazionale ed europeo.

Presidente, desidero concludere questo breve focus sulla mia amata Sicilia con le parole del poeta Goethe che, visitandola e rimanendone incantato, disse alcune delle sue parole profetiche, scrivendo: l'Italia, senza la Sicilia, non è un tutto. Questa frase echeggia come un monito ed un appello all'unità sostanziale dei nostri territori, isole incluse.

Presidente, colleghe e colleghi, diciamocelo chiaramente: la modifica costituzionale del 2001 ha snaturato, in particolare, l'idea di solidarietà e di sviluppo economico e sociale voluta dai padri costituenti, perfettamente consapevoli di tutti i limiti e di tutte le problematiche che soltanto chi vive e fa impresa nelle isole subisce. Proprio dai cittadini che ogni giorno si confrontano con la realtà isolana deriva il disegno di legge in discussione oggi e che presto voteremo. La Repubblica, che riconosce la particolare natura delle isole, si impegna a promuovere tutte le misure necessarie a valorizzare le peculiarità e ad evitare che le stesse possano diventare fonte di svantaggi per i medesimi territori. Con questo testo, dunque, si rafforza il concetto che non basta la realizzazione dei fondi perequativi senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante, ma serve un atteggiamento, non più volto esclusivamente al riequilibrio di sbilanciamenti esistenti, ma propositivo nell'ottica dell'esaltazione delle peculiarità territoriali. È un dato di fatto che le isole presentino intrinseche situazioni di svantaggio.

Essendo io stesso siciliano, conosco in prima persona le particolarità di un territorio che, geograficamente eterogeneo e singolare, è caratterizzato da storia e tradizioni antichissime e stratificate. Posso senz'altro dire, però, che, al contempo, è impossibile negare un ruolo essenziale delle isole, come la mia amata Sicilia, leva per l'economia e pilastro della storia del nostro Paese. Ormai non si può transigere da un'obiettiva analisi della realtà, che va condivisa a tutti i livelli per essere un orientamento coerente dell'azione politica e istituzionale. In nome della coesione nazionale ci si dovrà porre l'obiettivo di rendere uguali i punti di partenza di tutti i cittadini italiani, compensando gli enormi costi aggiuntivi a cui sono sottoposti gli abitanti delle isole. Per il futuro è una bella sfida da cogliere, soprattutto se si considera che già ci troviamo innanzi ad una fase di cambiamento epocale legato alla ripresa del post pandemia, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, resa ancora più complessa a causa del conflitto ucraino e dell'emergenza climatica.

In conclusione, con questo provvedimento abbiamo finalmente l'occasione di riportare al centro del nostro ordinamento il concetto di isola e di insularità, di porre nuovamente attenzione alle differenti realtà della nostra penisola, in altre parole, di promuovere il benessere e lo sviluppo di tutti i cittadini, indipendentemente dall'area geografica in cui si è nati o si vive (Applausi dei deputati del gruppo Movimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3353​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice collega Alaimo, se lo ritiene. Non replica.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIORGIO MULE', Sottosegretario di Stato per la Difesa. Grazie Presidente. Soltanto alcune brevi osservazioni vista la passione degli interventi che si sono succeduti in Aula. La passione e il trasporto, perché attiene alla Grundnorm, la norma madre: quando si tocca la Costituzione, si interviene su un equilibrio così delicato che la modalità, per questo, deve avere anche un riscontro al termine della discussione generale.

Quelle della Costituzione sono tutte parole scelte, non solo non a caso, ma davvero con il bilancino. Mi piace sottolineare il passaggio nella prima riga, laddove si dice “La Repubblica”, quindi, non lo Stato, ma “La Repubblica” intera, in tutte le sue articolazioni: non soltanto i comuni, le regioni, ma “La Repubblica”, l'insieme delle istituzioni che compongono lo Stato, che “riconosce le peculiarità”. Piace moltissimo sottolineare il senso di una parola, che richiama a una proprietà specifica, ci rimanda a una caratteristica tipica, ci dice che c'è una caratteristica distintiva. In una parola c'è una unicità, che risiede nell'insularità e che risiede nell'essere un'isola. Infatti, è proprio dal bello dell'insularità, dalla necessità di preservarla, di custodirla, di perpetuare ciò che è nell'isola, che nasce il bisogno di valorizzarla e di promuovere le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità, che attengono all'orografia, alla geografia, alla posizione e a tutti i temi che sono stati oggi toccati durante questa discussione generale. Inserire, dopo il quinto comma, l'articolato, quelle quattro righe, significa far fare davvero un balzo storico, in termini non solo normativi ma di sistema, alla Repubblica che riconosce la peculiarità delle isole nella loro straordinaria unicità e bellezza (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 15 marzo 2022 - Ore 9,30:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 12)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, recante disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina. (C. 3491-A​)

Relatori: QUARTAPELLE PROCOPIO, per la III Commissione; ARESTA, per la IV Commissione.

3. Seguito della discussione dei disegni di legge:

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e l'Istituto forestale europeo riguardante lo stabilimento in Italia di un ufficio sulla forestazione urbana, con Allegato, fatto a Helsinki il 15 luglio 2021. (C. 3318-A​)

Relatrice: DI STASIO.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, con Allegati, fatta a Stoccolma il 22 maggio 2001. (C. 2806-A​)

e delle abbinate proposte di legge: MURA; BENEDETTI ed altri. (C. 531​-1360​)

Relatore: OLGIATI.

4. Seguito della discussione delle mozioni Meloni ed altri n. 1-00485, Fiorini ed altri n. 1-00598, Moretto ed altri n. 1-00599, Orrico ed altri n. 1-00600, Perego di Cremnago ed altri n. 1-00603 e Benamati ed altri n. 1-00604 concernenti iniziative a sostegno del settore della moda .

5. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00572, Porchietto ed altri n. 1-00580, Benamati ed altri n. 1-00582, Chiazzese ed altri n. 1-00583, Lollobrigida ed altri n. 1-00587 e Moretto ed altri n. 1-00595 concernenti misure a sostegno del comparto automobilistico .

6. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

BRUNO BOSSIO e MAGI; FERRARESI ed altri; DELMASTRO DELLE VEDOVE ed altri; PAOLINI ed altri: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia. (C. 1951​-3106​-3184​-3315-A​)

Relatore: PERANTONI.

7. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

FERRARI ed altri; DEIDDA ed altri; GIOVANNI RUSSO ed altri; DEL MONACO ed altri; DEL MONACO ed altri; FERRARI ed altri: Disposizioni di revisione del modello di Forze armate interamente professionali, di proroga del termine per la riduzione delle dotazioni dell'Esercito italiano, della Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e dell'Aeronautica militare, nonché in materia di avanzamento degli ufficiali. Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale. (C. 1870​-1934​-2045​-2051​-2802​-2993-A​)

Relatori: ARESTA e FERRARI.

8. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

FIANO ed altri; PEREGO DI CREMNAGO ed altri: Misure per la prevenzione dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 243​-3357-A​)

Relatore: FIANO.

9. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:

S. 865 - D'INIZIATIVA POPOLARE: Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità. (Approvata, in prima deliberazione, dal Senato). (C. 3353​)

Relatrice: ALAIMO.

La seduta termina alle 17,25.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: EMANUELE FIANO (A.C. 243​-3357-A​)

EMANUELE FIANO, Relatore. (Relazione – A.C. 243​-3357-A​). Onorevoli colleghi, il testo unificato delle abbinate proposte di legge C. 243​ e C. 3357​ è finalizzato all'introduzione di una serie di misure, interventi e programmi per la prevenzione di fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, ivi inclusi i fenomeni di radicalizzazione e diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista.

Il testo riprende parte dei contenuti del testo approvato nel corso della XVII legislatura dalla Camera dei deputati (S. 2883), che non ha concluso il proprio iter al Senato prima della fine della legislatura.

Le misure previste si inseriscono nel contesto europeo e internazionale in essere: in particolare, il tema della prevenzione e del contrasto alla radicalizzazione, sia online sia nelle comunità e sul territorio, è da anni tra le questioni prioritarie trattate nell'ambito della politica antiterrorismo dell'UE. Tale settore di intervento include i processi di radicalizzazione che sono dovuti a motivi diversi, tra cui ideologie, convinzioni religiose o politiche e pregiudizi nei confronti di particolari gruppi di persone, e che si sviluppano in una serie di ambiti che vanno dal contesto sociale ai contatti diretti con gruppi estremisti o via internet.

Le disposizioni contenute nel testo unificato elaborato dalla I Commissione e oggi all'esame dell'Assemblea sono volte a:

- prevenire i fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, come definita in sede UE, inclusi quelli di matrice jihadista;

- favorire la deradicalizzazione, ferme restando le garanzie fondamentali di libertà religiosa e nel rispetto dei principi e dei valori dell'ordinamento costituzionale italiano;

- favorire il recupero in termini di integrazione - sociale, culturale, lavorativa - dei soggetti coinvolti (siano essi italiani o stranieri residenti in Italia).

Nel testo si specifica che le finalità perseguite non pregiudicano od ostacolano le misure e le azioni di contrasto e repressione di ogni forma di criminalità violenta, né l'adozione o l'esecuzione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio nazionale nei casi previsti dalla normativa vigente.

Il testo unificato prevede inoltre l'istituzione di un Centro nazionale sulla radicalizzazione (CRAD) presso il Ministero dell'interno e di Centri di coordinamento regionali (CCR) presso le prefetture-UTG.

In ambito parlamentare è istituito un Comitato per il monitoraggio dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta inclusi quelli di matrice jihadista, composto da 5 deputati e 5 senatori, ferme restando le attribuzioni del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

Per quanto riguarda l'iter parlamentare, ricordo che la Commissione I Affari costituzionali della Camera ha avviato l'11 giugno 2020 l'esame in sede referente della proposta di legge C. 243​ , a mia prima firma, recante misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista; l'esame è stato congiunto con quello della proposta di legge C. 2301​ Perego di Cremnago recante l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni di estremismo violento o terroristico e di radicalizzazione di matrice jihadista.

Tra il 28 aprile e il 28 ottobre 2021 la Commissione ha proceduto ad una serie di audizioni informali in ambito istruttorio. A conclusione del ciclo di audizioni è stata abbinata la proposta di legge C. 3357​ Perego di Cremnago recante Misure per la prevenzione dell'estremismo violento o terroristico e della radicalizzazione di matrice jihadista.

Nella seduta del 18 novembre 2021 la Commissione ha adottato quale testo base per il prosieguo dell'esame il testo unificato delle proposte di legge elaborato dal relatore.

L'esame in sede referente è quindi proseguito con l'esame e l'approvazione di una serie di emendamenti, risultando al termine composto da tredici articoli.

Nella seduta del 10 marzo 2022, preso atto dei pareri espressi in sede consultiva, sui quali potrà essere svolto uno specifico approfondimento nell'ambito del Comitato dei nove, è stato conferito mandato a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul testo risultante dalle modifiche approvate in sede referente.

Passando all'illustrazione dell'articolato, ricordo che l'articolo 1 reca le definizioni di radicalizzazione violenta, nonché di radicalizzazione di matrice jihadista, che aiutano a delimitare l'oggetto del provvedimento.

In particolare si intende:

a) per «radicalizzazione violenta» il fenomeno che vede persone abbracciare opinioni, vedute e idee che potrebbero portare ad atti terroristici quali definiti dal quadro normativo europeo. Tale è la definizione contenuta, come ricordato, nella Comunicazione della Commissione europea COM (2005) 313 al Parlamento europeo e al Consiglio su "Reclutamento per attività terroristiche – Affrontare i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta";

b) per «radicalizzazione di matrice jihadista» il fenomeno delle persone che, anche se non sussiste alcuno stabile rapporto con gruppi terroristici, abbracciano ideologie di matrice jihadista, ispirate all'uso della violenza e del terrorismo, anche tramite l'uso del web e dei social network.

L'articolo 2 istituisce il Centro nazionale sulla radicalizzazione (CRAD), presso il Ministero dell'interno.

La composizione ed il funzionamento del Centro sono disciplinati con decreto del Ministro dell'interno in modo da assicurare la presenza - senza compensi, rimborsi o altri emolumenti - di rappresentanti del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell'interno, della giustizia, della difesa, del lavoro e delle politiche sociali, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e della salute.

È assicurata inoltre la presenza nel CRAD:

- di qualificati esponenti di istituzioni, enti e associazioni che siano attivi nella realizzazione in Italia di progetti e iniziative finalizzati, in coerenza con i princìpi della Costituzione, a promuovere l'integrazione culturale e sociale e la tolleranza religiosa;

- del Consiglio per le relazioni con l'Islam italiano.

Come specificato nel corso dell'esame in sede referente, non possono essere in ogni caso nominati componenti del CRAD soggetti che si trovino nelle seguenti condizioni:

a) essere stati condannati, anche con sentenza non definitiva, o essere sottoposti a procedimento penale per i reati riguardanti l'appartenenza o il favoreggiamento di gruppi eversivi, terroristici o di criminalità organizzata, per il delitto di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa (di cui all'articolo 604-bis del codice penale) o comunque per i reati aggravati ai sensi dell'articolo 604-ter del medesimo codice;

b) essere sottoposti o comunque essere stati destinatari di misure di prevenzione, fatti salvi gli effetti della riabilitazione.

Il Centro nazionale sulla radicalizzazione elabora annualmente il Piano strategico nazionale di prevenzione dei processi di radicalizzazione e di adesione all'estremismo violento e di recupero dei soggetti coinvolti nei fenomeni di radicalizzazione. Il Piano definisce i progetti, le azioni e le iniziative da realizzare.

Il Piano è approvato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, acquisiti i pareri delle Commissioni parlamentari competenti e del Comitato parlamentare istituito dall'articolo 4 del testo.

Il CRAD, d'intesa con le amministrazioni competenti, individua le risorse disponibili a legislazione vigente nei bilanci delle stesse, nonché quelle utilizzabili a valere sui fondi europei RAN (Radicalisation Awareness Network).

Per l'istituzione di un apposito numero verde, inoltre, il comma 2 destina 500.000 euro annui a decorrere dal 2022.

Il Piano strategico nazionale è funzionale altresì a promuovere la condivisione dei princìpi di laicità dello Stato e di libertà religiosa e di tutti gli altri princìpi fondamentali della Costituzione, il dialogo interreligioso e interculturale, nonché il contrasto di ogni forma di discriminazione razziale, etnica, religiosa, di genere e di orientamento sessuale e di pratiche che colpiscono l'integrità fisica, la dignità e i diritti delle persone.

Il CRAD segnala inoltre all'Autorità giudiziaria o agli organi di polizia territorialmente competenti i casi di discriminazione o le pratiche di cui al primo periodo dei quali abbia avuto notizia a causa o nell'esercizio dei propri compiti

Nello svolgimento delle proprie funzioni, il Centro si avvale dell'attività di monitoraggio svolta dal Dipartimento delle libertà civili e dell'immigrazione del Ministero dell'interno, sulla base delle informazioni fornite dalle Prefetture–Uffici territoriali del governo.

Con il compito di dare attuazione al Piano strategico nazionale sono al contempo istituiti – all'articolo 3 del testo - i Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione (CCR) presso le Prefetture-UTG dei capoluoghi di regione.

Tali Centri sono tenuti a presentare al CRAD una relazione sull'attuazione del Piano con cadenza annuale.

Il CCR è presieduto dal Prefetto o da un suo delegato ed è composto, in maniera in gran parte speculare a quanto previsto dall'art. 2 per la composizione del CRAD, da rappresentanti dei competenti uffici territoriali delle amministrazioni statali e degli enti locali e da qualificati esponenti di istituzioni, enti e associazioni che siano attivi nella realizzazione di progetti e iniziative finalizzati, in coerenza con i princìpi della Costituzione, a promuovere l'integrazione culturale e sociale e la tolleranza religiosa in ambito regionale, delle associazioni e organizzazioni che operano nel campo dell'assistenza socio-sanitaria e dell'integrazione, nonché delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori.

Sono stabilite le medesime previsioni disposte per i componenti del CRAD riguardo alla gratuità dell'incarico e alle cause di impedimento alla nomina.

La composizione e le modalità di funzionamento del Centro di coordinamento regionale sono disciplinate dal prefetto del capoluogo di regione, con proprio provvedimento, anche in relazione all'esigenza di assicurare un costante raccordo informativo con le altre Prefetture-UTG della regione.

Al prefetto del capoluogo di regione compete altresì l'adozione di tutte le iniziative volte a coordinare le attività previste nell'ambito del piano di prevenzione con le esigenze di tutela della sicurezza della Repubblica ("in coerenza con quanto previsto dalla legge n. 124 del 2007", ossia la legge sul sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e la nuova disciplina del segreto).

Il CCR segnala all'Autorità Giudiziaria o agli organi di polizia territorialmente competenti i casi di discriminazione o le pratiche che colpiscono l'integrità fisica, la dignità e i diritti delle persone dei quali abbia avuto notizia a causa o nell'esercizio dei propri compiti.

È prevista l'istituzione - con legge dunque - di un Comitato parlamentare per il monitoraggio dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi quelli di matrice jihadista (articolo 4).

Il Comitato parlamentare istituito dal testo in esame è composto da cinque deputati e cinque senatori, nominati entro venti giorni dall'inizio di ogni legislatura dai Presidenti dei due rami del Parlamento, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, garantendo comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni e tenendo conto della specificità dei compiti del Comitato.

Il Comitato svolge un'attività conoscitiva sui fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, come definiti dall'art. 1 del testo, inclusi quelli di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista. Il Comitato dedica particolare attenzione alla verifica del rispetto dei diritti e delle libertà, costituzionalmente garantiti, delle donne e dei minori (articolo 5).

Tale organismo svolge la sua attività anche attraverso:

- l'audizione di figure istituzionali, di componenti della magistratura e delle forze di polizia, direttori di dipartimento e rettori di università, dirigenti scolastici, direttori sanitari, direttori degli istituti penitenziari, di ministri di culto, guide religiose, operatori sociali es esperti;

- l'esame di rapporti da essi redatti;

- lo svolgimento di missioni.

È altresì compito del Comitato parlamentare esaminare il rapporto sul funzionamento della rete internet che, ai sensi della medesima disposizione, la Polizia postale e delle comunicazioni è tenuta ad inviare al Comitato medesimo al termine di ogni semestre a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge.

Il rapporto, redatto in collaborazione con istituti specializzati, contiene elementi informativi e dati statistici sulla diffusione nel web di idee estreme, tendenti al terrorismo violento anche di matrice jihadista.

L'istituzione del Comitato e i compiti assegnati, secondo il dettato della proposta di legge, non incidono sulle attribuzioni di cui alla legge n. 124 del 2007, che disciplina la struttura del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica ed in particolare, per quanto qui di interesse, l'attività di controllo svolta dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (art. 30 ss.).

Si prevede – all'articolo 6 - che siano presentate al Parlamento, con cadenza annuale:

- una relazione, da parte dell'istituendo Comitato parlamentare, sull'attività svolta e per formulare proposte o segnalazioni su questioni di propria competenza. Il Comitato ha altresì facoltà di trasmettere al Parlamento, nel corso dell'anno, informative o relazioni urgenti;

- una relazione del Governo, con cadenza annuale e riferita all'anno precedente, sulle politiche attuate in materia di prevenzione e contrasto dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista, nonché sui risultati ottenuti. La disposizione prevede una trasmissione di tale relazione governativa sia alle Camere sia al Comitato parlamentare istituito all'art. 4.

L'articolo 7 prevede che le attività di formazione, anche per la conoscenza delle lingue straniere, del personale ivi elencato possano prevedere programmi e corsi specialistici, diretti a fornire elementi di conoscenza anche in materia di dialogo interculturale e interreligioso utili a prevenire i fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista, attraverso l'individuazione dei comportamenti sintomatici o prodromici dei medesimi fenomeni.

Si richiama in particolare il personale delle Forze di polizia, delle Forze armate, dell'amministrazione penitenziaria, del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e dei garanti territoriali, dei docenti e dirigenti delle scuole di ogni ordine e grado, delle università, degli operatori dei servizi sociali e socio-sanitari e del personale dei corpi di polizia locale.

Per le attività di formazione specialistica del personale delle Forze di polizia si autorizza la spesa di 1 milione di euro dal 2022, a favore del Ministero dell'interno.

Sono previsti - dall'articolo 8 - una serie di interventi in ambito scolastico.

In primo luogo si prevede che l'Osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri e per l'intercultura propone al Ministro dell'istruzione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, linee guida sul dialogo interculturale e interreligioso, finalizzate a promuovere la conoscenza della lingua italiana, la conoscenza approfondita della Costituzione, con particolare riferimento ai princìpi fondamentali e ai diritti e doveri dei cittadini, a promuovere la cultura della tolleranza e del pluralismo e il principio supremo della laicità dello Stato, nonché a prevenire episodi di radicalizzazione in ambito scolastico. L'Osservatorio elabora le predette linee guida e definisce le azioni conseguenti, tenuto conto del Piano strategico nazionale.

Le linee guida sono adottate con decreto del Ministro dell'istruzione e sono comunicate agli uffici scolastici regionali e alle istituzioni scolastiche. Esse sono periodicamente aggiornate, anche sulla base delle risultanze delle attività svolte.

L'Osservatorio nazionale svolge, con cadenza annuale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un monitoraggio sulle iniziative avviate dalle istituzioni scolastiche in attuazione delle suddette linee guida sul dialogo interculturale e interreligioso, evidenziando, in particolare, gli eventuali episodi di criticità che si sono riscontrati nel corso dell'anno, così come i risultati raggiunti.

Si prevede inoltre che le reti di scuole possano stipulare - senza maggiori oneri di finanza pubblica convenzioni con università, istituzioni, enti, associazioni o agenzie presenti sul territorio, per lo sviluppo di iniziative secondo linee guida che devono essere definite con decreto del Ministro dell'istruzione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge.

Al contempo, si stabilisce che, a decorrere dall'anno scolastico 2022-2023, il Piano nazionale di formazione dei docenti preveda anche l'attività di formazione e di aggiornamento dei docenti e dei dirigenti delle istituzioni scolastiche statali e paritarie volta ad aumentare le conoscenze e le competenze di cittadinanza globale per l'integrazione scolastica e la didattica interculturale.

L'articolo 9 autorizza la spesa di 2,5 milioni di euro per il 2022, di 5 milioni di euro per il 2023 a favore del Ministero dell'università e della ricerca destinata a finanziare progetti per la formazione universitaria e post-universitaria di figure professionali specializzate nella prevenzione e nel contrasto della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista, nel dialogo interreligioso, nelle relazione interculturali ed economiche e nello sviluppo dei Paesi di emigrazione, previsti ed organizzati da accordi di cooperazione fra università italiane e università dei Paesi aderenti all'Organizzazione della cooperazione islamica, con i quali l'Italia abbia stipulato accordi di cooperazione culturale, scientifica e tecnologica.

L'articolo 10 attribuisce al Piano strategico nazionale la previsione di progetti per lo sviluppo di campagne informative, attraverso piattaforme multimediali che utilizzino anche lingue straniere.

La finalità è favorire l'integrazione e il dialogo interculturale e interreligioso, nonché di contrastare la radicalizzazione e la diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista.

Per il medesimo scopo è previsto che la RAI, in qualità di concessionaria del servizio pubblico, realizzi una specifica piattaforma multimediale per la messa in onda di prodotti informativi e formativi in lingua italiana, araba e nelle altre lingue che si rileveranno utili per il contrasto alla radicalizzazione di matrice jihadista.

Le modalità operative sono da definirsi nel contratto di servizio, nel limite delle risorse disponibili.

Al contempo, al Piano strategico nazionale compete la promozione di attività di comunicazione in collaborazione con altri soggetti, pubblici o privati, nonché sinergie tra i media nazionali volte, in particolare, a diffondere la cultura del pluralismo e il dialogo interreligioso e interculturale, a promuovere il principio dell'eguaglianza di genere e il contrasto delle discriminazioni di origine religiosa, tra cui l'islamofobia. È fatto richiamo normativo al decreto-legge n. 122 del 1993, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa.

L'articolo 11 demanda a un decreto del Ministro della giustizia l'adozione di un Piano nazionale per garantire ai soggetti (italiani o stranieri) detenuti un trattamento penitenziario che promuova la loro deradicalizzazione e il loro recupero, in coerenza con il Piano strategico nazionale.

Il Piano dovrà essere adottato sentiti il CRAD e il Garante nazionale dei detenuti. È previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Dell'attuazione del Piano il Ministro della giustizia è tenuto a presentare una relazione annuale alle Commissioni parlamentari competenti.

Con il medesimo decreto debbono essere altresì individuati i criteri per consentire l'accesso ai soggetti in possesso di specifiche conoscenze delle culture e delle pratiche religiose, nonché dei fenomeni di proselitismo, radicalizzazione e potenziale deriva terroristica, attestate da istituti o enti di formazione riconosciuti dal Ministero dell'istruzione.

L'articolo 12, comma 1, introduce nell'ordinamento il nuovo delitto di "detenzione di materiale con finalità di terrorismo", prevedendo la pena della reclusione da 2 a 6 anni per chiunque, consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull'uso di:

- congegni bellici micidiali

- armi da fuoco o altre armi;

- sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose;

- ogni altra tecnica o metodo.

La fattispecie penale di detenzione di materiale con finalità di terrorismo non si applica se la condotta integra gli estremi dei più gravi delitti di:

- associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico, che l'art. 270-bis del codice penale punisce con la reclusione da 7 a 15 anni (per i promotori, i costitutori, gli organizzatori, i dirigenti o i finanziatori dell'associazione) o con la reclusione da 5 a 10 anni (per i meri partecipanti all'associazione);

- addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale, che l'art. 270-quinquies del codice penale punisce con la reclusione da 5 a 10 anni.

Il comma 2 dell'articolo 12 prevede inoltre una clausola di non punibilità per coloro che si procurano o detengono il materiale contenente le istruzioni previsto al comma 1 per finalità di lavoro, di studio o comunque estranee al compimento di condotte penalmente illecite.

In merito, ricordo che la Commissione Giustizia ha espresso un parere favorevole con condizioni che saranno oggetto di specifico approfondimento nell'ambito del Comitato dei nove al fine di giungere alla migliore definizione della nuova fattispecie penale.

Il testo unificato pone infine, all'art. 13, una clausola di invarianza finanziaria, salvo che per le previsioni cui il testo destini espressi stanziamenti.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: ROBERTA ALAIMO (A.C. 3353​)

ROBERTA ALAIMO, Relatrice. (Relazione – A.C. 3353​). Onorevoli colleghi, il testo della proposta di legge costituzionale C. 3353​, di iniziativa popolare, concernente il “riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità” – di cui l'Assemblea inizia oggi la discussione - è stato approvato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera al termine dell'esame in sede referente, senza apportarvi alcuna modifica rispetto al testo già approvato dal Senato in prima deliberazione.

È di particolare rilievo il fatto che la modifica costituzionale al nostro esame nasca da una proposta di iniziativa popolare presentata ai sensi dell'articolo 71, secondo comma, della Costituzione che affida al popolo l'esercizio dell'iniziativa legislativa tramite la presentazione di una proposta di almeno 50.000 elettori.

L'esame in sede referente presso la I Commissione della Camera è iniziato nella seduta del 23 novembre 2021. In sede di Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi della Commissione, tutti i gruppi hanno convenuto di rinunciare alla fissazione del termine per la presentazione degli emendamenti. L'esame preliminare si è pertanto concluso nella menzionata seduta.

Nella seduta del 12 gennaio 2022, la Commissione Affari costituzionali, preso atto del nulla osta espresso dalla V Commissione Bilancio, ha deliberato di conferire alla relatrice il mandato a riferire favorevolmente all'Assemblea sul provvedimento.

Il provvedimento è stato già approvato dal Senato della Repubblica in prima deliberazione, nella seduta del 3 novembre 2021. Sono stati 223 i votanti, 223 i voti favorevoli, nessun voto contrario e nessun astenuto.

Ricordo che la Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato il 4 febbraio 2020 l'esame in sede referente della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare recante "Modifica dell'art. 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità" (A.S. 865). A seguito dell'esame in sede referente – concluso nella seduta del 27 ottobre 2021 – la Commissione ha proposto all'Assemblea l'approvazione del testo come modificato in sede emendativa con il seguente nuovo titolo: "Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità".

La proposta di legge costituzionale approvata dal Senato in prima deliberazione è diretta ad introdurre un comma aggiuntivo dopo il quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, ai sensi del quale la Repubblica:

i) «riconosce le peculiarità delle Isole»;

ii) «promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità».

La formulazione originaria della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare prevedeva che lo Stato fosse tenuto a riconoscere «il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità» e a disporre «le misure necessarie a garantire un'effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili».

Come si legge nella relazione scritta per l'Aula del Senato, nel corso dell'esame in sede referente al Senato, il testo iniziale è stato oggetto di modificazioni in più parti anche al fine di tenere conto delle indicazioni emerse nell'ambito dell'articolato ciclo di audizioni informali svolto.

I principali elementi di novità rispetto al testo iniziale della proposta di legge, introdotti in esito all'istruttoria legislativa svolta al Senato, possono essere individuati come segue:

- è la Repubblica, e non soltanto lo Stato, a farsi carico dell'intervento pubblico in favore delle Isole;

- il riconoscimento riguarda le «peculiarità delle Isole» (e non più il "grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità");

- la Repubblica «promuove» (nel precedente testo lo Stato disponeva) misure per rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità;

- viene meno il riferimento alla finalità di effettiva parità e di un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili.

Nel dibattito svoltosi al Senato è stato evidenziato in particolare come le modifiche siano volte ad evitare che il termine insularità in Costituzione sia considerato esclusivamente come fonte di svantaggio e di conseguenti ristori di tipo economico e finanziario. Per tale ragione, è stato inserito il riferimento al riconoscimento delle peculiarità delle isole, espressione che - se intesa in un'accezione ampia, inclusiva della promozione delle specificità, e non ad una mera presa d'atto - sottende una valorizzazione delle specificità di carattere culturale, storico, naturalistico di tali territori.

Come sappiamo, l'art. 119 della Costituzione reca la disciplina dell'autonomia di entrate e di spesa degli enti territoriali, corredata da un duplice sistema perequativo. L'attuale formulazione è il risultato delle modifiche al Titolo V introdotte con la legge costituzionale n. 3 del 2001.

Le modifiche all'art. 119 della Costituzione introdotte nel 2001 hanno inserito in Costituzione il principio del federalismo fiscale, con l'obiettivo di creare uno stretto legame tra decisioni di spesa e di prelievo diretto ad avvicinare i cittadini alle istituzioni, nel senso di favorire un'allocazione delle risorse pubbliche in termini di beni e servizi più rispondente alle preferenze di coloro che sono chiamati a sostenerne il costo.

Il primo comma estende a tutti gli enti territoriali, e non solo alle Regioni (come previsto nel testo previgente), l'autonomia di entrata e di spesa.

Il secondo comma afferma il principio secondo cui i predetti enti godono di risorse autonome. L'autonomia delle risorse è declinata, innanzitutto, come potestà di fissare e applicare tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e nello specifico con i principi di coordinamento della finanza pubblica, la cui competenza, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, è demandata allo Stato.

Il terzo comma demanda alla legge statale l'istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse, nel rispetto dell'autonomia finanziaria degli enti, non possono avere una destinazione vincolata (la destinazione è decisa dagli enti stessi).

La previsione di un fondo perequativo, assente nel testo costituzionale previgente, si inserisce nella logica complessiva del decentramento fiscale in cui i territori sono responsabilizzati nelle scelte di spesa e nelle decisioni relative al loro finanziamento, in modo che ne possano rispondere ai propri elettori.

Il quarto comma stabilisce il principio della necessaria corrispondenza fra funzioni attribuite e risorse.

Il quinto comma dispone in ordine a risorse statali aggiuntive (rispetto a quelle percepite ai sensi dei commi illustrati) nei confronti degli enti territoriali e all'effettuazione da parte dello Stato di interventi speciali in favore di tali enti al fine di perseguire una o più delle seguenti finalità: promuovere sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali, favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.

Nella versione previgente dell'articolo 119, era presente un comma (il terzo) che presentava una formulazione per alcuni aspetti analoga a quella della proposta di legge in esame, prevedendo interventi al fine di favorire talune zone svantaggiate. Al fine di "provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole", lo Stato era chiamato ad assegnare, con propria legge, "contributi speciali" "a singole Regioni".

Con la revisione del Titolo V del 2001: i) si è determinata un'estensione dei destinatari delle misure statali anche a comuni, province e città metropolitane (e non più soltanto le regioni); ii) il riferimento ai "contributi statali" è stato sostituito con quello alle "risorse aggiuntive" e agli "interventi speciali"; iii) è stato superato il riferimento alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole come finalità prioritaria (ma non esclusiva) dell'intervento statale; iv) sono state definite con maggior dettaglio le finalità e gli ambiti dell'intervento pubblico (sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale, rimozione degli squilibri economici e sociali, effettivo esercizio dei diritti della persona, o altri scopi diversi dall'esercizio delle funzioni proprie degli enti) rispetto al testo previgente (in cui i contributi speciali erano diretti a "provvedere per scopi determinati").

Il sesto comma completa i principi sul decentramento fiscale prevedendo che gli enti territoriali siano titolari di un proprio patrimonio, introducendo la cosiddetta regola aurea dell'indebitamento, strumento a cui si può far ricorso esclusivamente al fine di finanziare spese di investimento e chiarendo che non è prevista alcuna garanzia statale sui prestiti contratti dagli enti.

In questa sede è rilevante accennare anche al problematico processo attuativo dell'articolo 119 della Costituzione che ha preso avvio con la legge delega n. 42 del 2009, approvata a distanza di circa otto anni dalla riforma del Titolo V. Sulla base della legge, il Governo ha adottato una serie di decreti legislativi.

In particolare, può essere utile soffermarsi sull'attuazione del quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, che ha condotto all'adozione di norme di rango primario, rimaste in gran parte inattuate.

Il riferimento ai territori insulari, espunto dalla Costituzione nel 2001, viene in parte recuperato in sede di attuazione dell'art. 119 della Costituzione. Infatti, la legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, nell'elencare i principi e criteri direttivi da rispettare nell'adozione dei decreti legislativi delegati, specifica alla lettera c) che occorre tener conto delle "specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrutturale, ai diritti della persona, alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori, all'esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico ai fini della promozione dello sviluppo economico e sociale".

La legge delega prevede, inoltre, all'art. 22 disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale. Tale disciplina - oggetto di recente novella (si veda l'art.15 del DL n. 121 del 2021) - prevede la ricognizione della dotazione infrastrutturale del Paese, l'individuazione del divario tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale e la conseguente adozione di misure volte ad assorbirlo, attraverso interventi finanziati da un fondo con una dotazione pari a 4,6 miliardi di euro. Al riguardo, si ricorda che il comma 1-bis del citato art. 22 stabilisce che, alla luce degli esiti della richiamata ricognizione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi entro il 31 marzo 2022, sono definiti i criteri di priorità e le azioni da perseguire per il recupero del divario infrastrutturale e di sviluppo risultante dalla ricognizione.

Le criticità nell'attuazione del quinto comma dell'art. 119 circa la perequazione infrastrutturale si aggiungono peraltro alle difficoltà attuative del terzo comma del medesimo articolo, che prevede un fondo di perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Appare al riguardo problematico giustificare, o quanto meno quantificare, l'intervento pubblico solidaristico nel caso in cui le entrate tributarie non siano in grado di assicurare i servizi essenziali, senza che sia portato a compimento il processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali, dei fabbisogni e dei costi standard. Difatti, con riferimento agli enti locali, sono stati compiuti negli ultimi anni passi in avanti, con particolare riguardo alla stima dei fabbisogni standard, che vengono utilizzati nell'ambito dei criteri per il riparto del Fondo di solidarietà comunale. Rimane tuttavia incompiuto il processo di determinazione dei LEP, che presuppongono una scelta in ordine all'ammontare di servizio o della prestazione che deve essere garantito dal settore pubblico in modo uniforme sul territorio.

In questo quadro, una completa attuazione dell'art. 119 avrebbe potuto assicurare interventi mirati a contrastare lo svantaggio naturale dei territori insulari e garantire un'effettiva parità con i cittadini della terraferma nel godimento dei diritti individuali e inalienabili.

Per esigenze di completezza ricordo, poi, che il diritto dell'Unione europea riconosce fondamentalmente tre categorie di isole:

a) le isole periferiche, ovvero quelle che fanno parte del continente europeo;

b) le regioni ultraperiferiche, intese come territori appartenenti agli Stati membri che si trovano a lunga distanza dall'Europa;

c) i paesi e i territori d'oltremare, che sono isole, appartenenti agli Stati membri ma non facenti parte dell'Unione europea (alla quale risultano collegati attraverso accordi di associazione).

La norma cardine del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) è l'art.174, secondo cui l'UE "sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale", al fine di promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione. L'intento della politica di coesione è quello di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite.

Il terzo paragrafo, che elenca le regioni interessate da detta politica, menziona anche le "regioni insulari", in quanto territori "che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici".

Sul tema ricordo anche la Risoluzione del Parlamento europeo del 4 febbraio 2016 sulla condizione di insularità (2015/3014). Il documento sollecita la Commissione dell'UE a fornire una definizione chiara del tipo di svantaggi geografici, naturali e demografici permanenti che le regioni insulari possono presentare con riferimento all'articolo 174 TFUE; a spiegare come intende dare attuazione al disposto dell'articolo 174 TFUE relativamente agli svantaggi permanenti delle regioni insulari; a riconoscere l'importanza di predisporre misure di sostegno per contrastare il significativo trend di spopolamento delle regioni insulari; ad avviare un'analisi sui costi supplementari che la condizione di insularità determina a livello dei sistemi di trasporto di persone e merci e dell'approvvigionamento energetico nonché in termini di accesso al mercato, in particolare per le PMI; a porre in essere un "Quadro strategico dell'Unione per le isole", al fine di collegare gli strumenti suscettibili di produrre un impatto significativo sul territorio; a istituire uno "sportello isole" collegato alla Direzione generale della Politica regionale e urbana della Commissione e per coordinare e analizzare le tematiche connesse alle regioni insulari.

Rammento, altresì, che attenzione al tema dell'insularità è stata posta, oltre che dal Parlamento europeo, anche da parte del Comitato europeo delle regioni. In particolare, nel corso della 123a sessione plenaria dell'11 e 12 maggio 2017, nel parere su "L'imprenditorialità nelle isole: il contributo alla coesione territoriale", il Comitato richiama l'esigenza di una politica di coesione nei riguardi delle isole, inserendosi nel solco tracciato dal Parlamento europeo nella citata Risoluzione. Fra le raccomandazioni politiche contenute nel documento, si fa menzione dell'esigenza di identificare una categoria ad hoc, quella delle isole; della creazione di uno sportello unico in seno alla Commissione; di ampliare la gamma di indicatori, al momento limitata al PIL pro-capite, con cui sia possibile rilevare i fattori che ostacolano lo sviluppo delle isole (quali ad esempio l'indice di competitività regionale e l'indice di accessibilità); di favorire il turismo sostenibile; l'uso delle energie rinnovabili, l'innovazione, la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale.

Nell'ordinamento dell'Unione europea, le misure in favore della continuità territoriale trovano fondamento nell'articolo 45 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell'UE, e nell'articolo 21, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, relativi alla libertà di circolazione e di soggiorno.

Al fine di assicurare la continuità territoriale possono essere previsti sia agevolazioni tariffarie in favore di coloro che usufruiscono di servizi di collegamento da e per regioni sfavorite sia oneri di servizio pubblico a carico del vettore di trasporto.

In tale contesto, si registrano nel nostro paese, dunque, diversi interventi con legge ordinaria recanti misure volte ad assicurare la continuità territoriale, con particolare riferimento ai collegamenti aerei, e, più in generale, a compensare gli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità.

Al riguardo, richiamo, alcune misure adottate nel corso della presente legislatura:

- l'articolo 1, commi 688 e 689, della legge di bilancio 2021, che reca disposizioni in materia di collegamenti aerei da e per la Sicilia e interviene al fine di "garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia, che consenta di ridurre i disagi derivanti dalla condizione di insularità e di assicurare il diritto alla mobilità [...] nonché di mitigare gli effetti economici derivanti dall'emergenza epidemiologica da COVID-19";

- l'articolo 16, comma 4, del decreto-legge n. 146 del 2021, recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”, che attribuisce alla regione Sardegna per l'anno 2021 l'importo di 66,6 milioni di euro da destinare alla compensazione degli svantaggi strutturali derivanti dalla condizione di insularità, in attuazione dell'accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la regione Sardegna in materia di finanza pubblica per gli anni 2022 e successivi;

- il comma 546 della legge di bilancio 2022 attribuisce alla regione Siciliana, a decorrere dal 2022, la somma di 100 milioni di euro annui da destinare alla compensazione degli svantaggi strutturali legati alla condizione di insularità.

Quindi, come si evince anche dagli interventi legislativi appena menzionati, le regioni insulari mostrano peculiarità economiche, geografiche, demografiche e sociali esclusive, che devono essere prese in considerazione anche nel quadro dell'applicazione delle politiche europee: tra queste ricordo le dimensioni ridotte con riferimento alla superficie, alla popolazione e all'economia, mercato locale limitato, costi di trasporto elevati, deficit di competenze imprenditoriali, di infrastrutture e di offerta di servizi per le imprese, mancanza di adeguati servizi sociali e formativi ai cittadini.

In particolare, le misure di riequilibrio e perequazione rispondono non solo all'esigenza di limitare gli svantaggi strutturali determinati dalla discontinuità territoriale dovuta alla posizione geografica, ma anche alla necessità di garantire pari opportunità di sviluppo e di accesso al mercato unico europeo rispetto alle altre regioni.

È evidente, pertanto, che le regioni insulari presentano delle caratteristiche permanenti che le distinguono dalle altre regioni. Tale evidenza deriva dal fatto indiscutibile che l'insularità, intesa come discontinuità territoriale, implica delle specificità di natura economica, ambientale, trasportistica, sociale e demografica che determinano un oggettivo svantaggio rispetto alle altre zone continentali.

Ribadisco, infine, che l'insularità costituisce la condizione tipica in cui gli svantaggi ad essa connessi rendono necessarie misure per la continuità territoriale. La continuità territoriale è strettamente connessa al diritto alla libera circolazione e al diritto di uguaglianza dei cittadini, diritti sanciti, rispettivamente, all'articolo 16 e all'articolo 3 della Costituzione italiana.

Il riconoscimento del principio di insularità in Costituzione ha raccolto il consenso della società civile in ogni sua declinazione. Essere un'isola comporta enormi costi aggiuntivi che devono essere compensati in nome della coesione nazionale, con l'obiettivo di rendere uguali i punti di partenza di tutti i cittadini italiani.

Sarebbe comunque utile considerare e porre l'attenzione non solo sugli svantaggi connessi all'insularità, ma anche guardare ai vantaggi dell'insularità per concepirla in termini geopolitici più che in termini rigorosamente geografici e territoriali. E ciò con lo scopo di costruire un ragionamento che abbia il fine di individuare tutte quelle misure che permetterebbero alle nostre regioni insulari di offrire, non solo all'Italia ma anche a tutti i paesi dell'Unione Europea e del mediterraneo, tutti i vantaggi dell'insularità, contribuendo così al percorso di sviluppo nazionale, europeo e internazionale.

Concludendo, signor Presidente, auspico che l'approvazione di questo disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare sia solo il primo tassello di un percorso che porti alla concreta valorizzazione del patrimonio storico, naturale e identitario delle isole del nostro paese.