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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 647 di lunedì 28 febbraio 2022

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 15.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 16 febbraio 2022.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Baldelli, Barelli, Bergamini, Boschi, Brescia, Brunetta, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Colucci, Corneli, Davide Crippa, D'Inca', D'Uva, Dadone, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini , Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Magi, Mandelli, Marattin, Marin, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Mule', Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Parolo, Pastorino, Perantoni, Rampelli, Rizzo, Romaniello, Rotta, Ruocco, Saltamartini, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Serracchiani, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Speranza, Suriano, Tabacci, Tasso, Vignaroli, Zanettin e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 98, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 25 febbraio 2022, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa):

“Conversione in legge del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, recante disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina” (3491) - Parere delle Commissioni I, V e XI.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Discussione della proposta di legge: Orlando e Franceschini: Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 893-B​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dalla Camera e modificata dal Senato, n. 893-B: Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 febbraio 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 febbraio 2022).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 893-B​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidente dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Fratelli d'Italia ne hanno chiesto l'ampliamento.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Valentina Palmisano.

VALENTINA PALMISANO , Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea oggi è chiamata ad esaminare la proposta di legge Orlando e Franceschini, recante: “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, già approvata in prima lettura il 18 ottobre 2018 e modificata dal Senato lo scorso 14 dicembre. La proposta di legge si propone di riformare le disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale, che si trovano oggi contenute prevalentemente nel codice dei beni culturali (il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), inserendole nel codice penale, con l'obiettivo di operare una riforma della materia ridefinendo l'assetto della disciplina, nell'ottica di un tendenziale inasprimento del trattamento sanzionatorio.

Faccio presente che il Senato, pur apportando alcune modifiche al testo licenziato dalla Camera, ha comunque confermato l'impianto complessivo della riforma, che colloca nel codice penale gli illeciti penali attualmente ripartiti tra codice penale e codice dei beni culturali, introduce nuove fattispecie di reato, innalza le pene edittali vigenti e introduce aggravanti quando oggetto dei reati comuni siano, appunto, i beni culturali.

Nel riformare i reati contro il patrimonio culturale, il presente testo di legge tiene conto anche - direi soprattutto - degli obblighi assunti con la Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, fatta a Nicosia il 19 maggio 2017. Tale Convenzione - che, ricordo, è stata già ratificata dal Parlamento e che entrerà in vigore il prossimo 1° aprile 2022 - si propone di prevenire e combattere la distruzione internazionale, il danno e la tratta dei beni culturali, rafforzando l'effettività e la capacità di risposta del sistema di giustizia penale rispetto ai reati riguardanti i beni culturali, facilitando soprattutto la cooperazione internazionale sul tema e prevedendo misure preventive, sia a livello nazionale che a livello internazionale.

Nel rinviare, per il contenuto complessivo dell'atto, composto da 7 articoli, alla documentazione predisposta dagli uffici, che ringrazio sin d'ora, in questa sede mi limiterò ad illustrare le disposizioni che sono state oggetto di modifica da parte del Senato, sulle quali deve concentrarsi l'attuale esame parlamentare.

Segnalo, quindi, che il Senato è intervenuto sulla lettera b) del comma 1 dell'articolo 1, che inserisce, nel Libro secondo del codice penale, dedicato ai delitti, il Titolo 8-bis, rubricato “Dei delitti contro il patrimonio culturale”, che sarà composto da 17 nuovi articoli, dal 518-bis al 518-undevicies.

In particolare, l'articolo 518-bis, a seguito della modifica introdotta dal Senato, punisce il furto dei beni culturali con la reclusione da 2 anni, in luogo dei 3 previsti dal testo della Camera come limite massimo edittale, a 6 anni e con la multa da 927 a 1.500 euro. La condotta consiste nell'impossessamento di un bene culturale altrui, sottraendolo a chi lo detiene, con la finalità di trarne profitto per sé o per altri; dopo l'intervento del Senato, si è aggiunto l'impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato, in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini.

Poi abbiamo gli articoli 518-ter, 518-quater, 518-quinquies e 518-sexies, che non sono stati oggetto di modifica da parte del Senato e che introducono nel Codice penale, rispettivamente: l'appropriazione indebita di beni culturali, la ricettazione di beni culturali, l'impiego di beni culturali provenienti da delitto e riciclaggio dei beni culturali.

Il Senato è intervenuto, invece, sull'articolo 518-septies, in materia di autoriciclaggio di questi beni, aggiungendo due ulteriori commi, che sono volti a escludere la punibilità delle condotte per cui i beni culturali vengono destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale e a prevedere l'applicazione del terzo comma dell'articolo 518-quater, in base al quale il delitto trova applicazione anche quando l'autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità.

All'articolo 518-octies, che punisce con la reclusione da 1 a 4 anni la falsificazione di scrittura privata relativa a beni culturali, il Senato poi ha inserito un ulteriore comma, che punisce anche chi fa uso della suddetta scrittura privata falsa, pur senza aver concorso alla sua formazione o alterazione.

L'articolo 518-novies punisce, poi, le violazioni in materia di alienazione di beni culturali, con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e con la multa da 2 mila a 80 mila euro. Il Senato, in questo caso, è intervenuto sulla condotta penalmente rilevante per specificare che all'alienazione è anche equiparata l'immissione sul mercato del bene culturale.

L'articolo di 518-decies punisce, invece, l'importazione illecita dei beni culturali. Il Senato è intervenuto su questa disposizione, eliminandovi il richiamo al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali, di cui all'articolo 518-sexdecies del testo licenziato dalla Camera, che è stato, quindi, soppresso al Senato. Si è intervenuti altresì, sull'articolo 518-undecies, aumentando consistentemente la pena della reclusione e della multa per chiunque trasferisca all'estero beni culturali senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, e si è soppresso l'ultimo comma, che prevedeva pene accessorie nel caso in cui il fatto fosse stato commesso da chi esercita attività di vendita al pubblico o di esportazione al fine di commercio. Mentre l'articolo 518-duodecies (distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici) e l'articolo 518-terdecies (devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici) non sono stati oggetto di modifica da parte del Senato, questo è intervenuto sull'articolo 518-quaterdecies, che punisce la contraffazione di opere d'arte con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 3.000 a 10.000 euro. Rispetto al testo approvato dalla Camera, il Senato ha soppresso, però, la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna, nel caso in cui il fatto sia commesso nell'esercizio di un'attività commerciale o professionale. In seconda lettura si è poi modificato l'articolo relativo alle circostanze aggravanti, eliminando, per quanto riguarda il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, il riferimento all'essersi volontariamente astenuto dallo svolgimento delle proprie funzioni al fine di conseguire un indebito vantaggio.

L'articolo 518-septiesdecies, che interviene in materia di circostanze attenuanti, non è stato oggetto di modifica, mentre si è intervenuti sull'articolo 518-duodevicies - corrispondente al 518-undevicies del testo licenziato dalla Camera -, in primo luogo, aggiungendo un primo comma, al fine di prevedere la confisca penale obbligatoria delle cose indicate dall'articolo stesso che hanno costituito l'oggetto del reato, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato; in secondo luogo, stabilendo che, quando non è possibile provvedere alla confisca di cui sopra, il giudice ordina la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità, delle quali il reo ha disponibilità, anche per interposta persona, per un valore non più equivalente - come nel testo licenziato dalla Camera - ma, sulla base delle modifiche introdotte dal Senato, corrispondente al profitto o al prodotto del reato.

Il Senato poi è intervenuto sull'attuale articolo 2, dedicato alla modifica della disciplina delle attività sotto copertura, per prevederne l'applicabilità anche nelle attività di contrasto dei delitti di riciclaggio e autoriciclaggio di beni culturali.

Per quanto riguarda l'articolo 3 del testo in esame, che prevede la responsabilità amministrativa degli enti nel caso di reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio, il Senato è intervenuto al fine di inasprire le pene pecuniarie a carico delle persone giuridiche che si rendano autrici di questi reati.

Il Senato, infine, è intervenuto sull'articolo 5 del testo al nostro esame, escludendo, rispetto al provvedimento approvato dalla Camera, l'abrogazione delle contravvenzioni previste dagli articoli 733 e 734 del codice penale.

Quindi, queste sono le modifiche intervenute, in seconda lettura, al Senato. Si tratta di modifiche puntuali, che non vanno a intaccare per nulla l'impianto complessivo della riforma ma, semmai, lo vanno a integrare e, se vogliamo, a puntualizzare e a migliorare. Quindi, io non vedo e non prevedo criticità all'esame del presente provvedimento di legge e alla relativa approvazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire in una fase successiva.

È iscritto a parlare il deputato Nitti. Ne ha facoltà.

MICHELE NITTI (PD). Grazie, Presidente. Per una particolare e, se vogliamo, infelice coincidenza, ci troviamo oggi a discutere di questo provvedimento, sia lato giustizia sia lato cultura - che è l'aspetto su cui io interverrò particolarmente - in giorni così oscuri e drammatici per tutto il mondo, giorni di grande apprensione in cui tutte le attenzioni, legittimamente, sono concentrate sulla spirale di violenza e di guerra che si sta abbattendo sull'Ucraina. Se ordinariamente si fa fatica a parlare di cultura e a farla rientrare fra le priorità, perché nell'immaginario comune si è portati a credere che la cultura sia sostanzialmente un aspetto secondario, se non proprio marginale, adesso, in un contesto sociale economico-politico internazionale così difficile e complesso, si corre seriamente il rischio che parlare di cultura, seppure in un contesto legato alla dimensione giuridica, possa sembrare addirittura un inutile orpello, quel superfluo di cui complessivamente si può fare a meno, perché, in fondo, tutto sembra essere prioritario rispetto alla cultura. Al di là della retorica, può essere utile parlarne, ma a patto che prima si sia parlato di tutto il resto e questo, forse, anche a causa di quel sottile discrimine, che separa ma non distingue l'idea di cultura da quella di intrattenimento.

Oggi il calendario dei lavori, certamente per pura casualità, ci porta a parlare di cultura e patrimonio proprio nel bel mezzo di una guerra, come dicevo, in un contesto ancora fortemente compromesso dalla pandemia e con preoccupazioni di ogni tipo. Sappiamo bene che potrebbe sembrare quasi uno scollamento dal mondo reale, una miopia rispetto alle problematiche cogenti e attuali di questi giorni ma, in realtà, ci sono fortissimi punti di contatto fra la dimensione culturale e quanto sta accadendo nel mondo, non foss'altro che per il carattere fortemente pervasivo della cultura. Oggi siamo tutti più consapevoli di quanto l'inaccessibilità ai luoghi della cultura, vuoi a causa della pandemia, vuoi a causa di eventi bellici, possa determinare forti ripercussioni sul fronte della povertà educativa e su quello del disagio sociale.

Parliamo spesso di contesti di degrado, ma il degrado sociale e ambientale hanno un'intima correlazione con il degrado culturale. Spesso, erroneamente, ci si concentra troppo sugli effetti e troppo poco, invece, sulle cause di queste problematiche, che sono quasi sempre cause culturali. La cultura ci mostra perfino un profondo legame con la salute, la cultura come cura, laddove per salute, chiaramente, si intenda non soltanto l'assenza di malattia, ma una complessiva condizione di benessere psicofisico e culturale. Allora, si pensi pure che sia superfluo affrontare questi temi, parlare di cultura, di patrimonio, di beni culturali, ma io dico che si tratta di un superfluo indispensabile, come ricordava anche Gaetano Salvemini. C'è anche un volume molto interessante di Nuccio Ordine, molto illuminante, su questo tema, che si chiama “L'utilità dell'inutile”.

Io credo che l'esperienza pandemica e le nuove dinamiche sociali che questa pandemia ci sta consegnando, ma anche i drammatici eventi di questi giorni, rendano indifferibile un dibattito articolato e non solo legato al piano normativo, sullo stato complessivo e sulle prospettive future del nostro patrimonio, sul ruolo centrale in termini di ricadute sociali, occupazionali, di crescita economica e cognitiva dei nostri territori, di valorizzazione del capitale umano e di sviluppo delle nostre comunità. I prolungati periodi di chiusura dei luoghi della cultura e della socialità hanno sollecitato nuove modalità di valorizzazione e di fruizione del nostro patrimonio, suggerendo anche prospettive inedite e introducendo interrogativi cogenti sul tema dell'accessibilità e della condivisione delle esperienze artistiche e culturali. Se la pandemia ha inferto al mondo della cultura numerose fratture, consegnandoci una realtà molto complessa e talvolta parcellizzata - l'abbiamo constatato anche durante l'indagine conoscitiva in Commissione sul lavoro e la previdenza nel mondo dello spettacolo -, diventa imprescindibile oggi ripartire proprio dalla tutela del nostro patrimonio, da nuove e virtuose forme di coinvolgimento dei privati, dalla valorizzazione delle risorse e del capitale umano, dai professionisti della cultura, dalla sostenibilità e dalla riqualificazione dei luoghi, una sorta di transizione culturale, integrata alle due grandi transizioni di cui spesso si parla anche a proposito del PNRR, quella digitale e quella ambientale, una transizione che trasversalmente investa tutti i segmenti della cultura. In questo processo di rilancio e di ridefinizione dei paradigmi culturali, diventa imprescindibile, quindi, anche un'integrazione potenziata fra scuola, università e luoghi della cultura.

Nell'esame di questa proposta di legge, partirei proprio da questa dinamica educativa e formativa che investe le istituzioni scolastiche e universitarie, che appare quasi sfumata rispetto al dibattito sulle norme, sui codici e sulle pene, ma che invece non può assolutamente essere derubricata a un semplice corollario, anzi deve assurgere ad elemento fondativo di questa proposta.

Durante il lungo iter di discussione su questa proposta di legge io ho insistito, sia in Commissione, sia attraverso numerosi atti di sindacato ispettivo, proprio perché, oltre all'aspetto coercitivo delle pene, oltre all'inasprimento delle pene pecuniarie - sulla cui ratio comunque vorrei anche poter dire qualcosa dopo - si potesse prevedere durante la fase di recupero del patrimonio danneggiato anche una sorta di coinvolgimento attivo di chi commette questi reati, per lavorare sul processo di consapevolizzazione del patrimonio, della sua funzione di collante, di elemento di cementazione sociale, di coesione sociale. Occuparsi solo del risarcimento del danno oppure dell'obbligo di provvedere al ripristino dell'area danneggiata è un'operazione parziale, che certamente può fungere da deterrente, ma che non eradica il problema, non lo affronta partendo dalle sue cause più profonde.

Devo dire che le nostre comunità stanno acquisendo sempre maggiore coscienza di quanto siano fondamentali e vitali gli aspetti, i contesti e le dinamiche legate alla dimensione culturale, e questo è accaduto proprio nel momento in cui abbiamo dovuto rinunciare ai luoghi e agli spazi della cultura, alla frequentazione delle attività performative, ai riti della socialità. È per questo che ritengo fondamentale insistere molto sul civismo della dimensione culturale, sulla coscienza del patrimonio comune; un patrimonio che appartiene alle comunità e di cui le comunità devono poter fruire e godere pienamente, con piena accessibilità; penso anche, semplicemente, ad alcuni dei principi richiamati nella Convenzione di Faro. Non ci deve nemmeno rassicurare l'aumento del cosiddetto consumo culturale, che stiamo riscontrando dopo il graduale allentamento delle restrizioni; non è un indicatore affidabile dello stato di salute culturale di una società, né tanto meno del grado di consapevolezza del patrimonio.

Un indicatore affidabile, invece, è la partecipazione culturale. L'aumento del consumo culturale, infatti, non significa necessariamente aumento della partecipazione o ampliamento della diffusione culturale; non significa che sia aumentato il nostro senso di responsabilità e di attenzione verso il nostro patrimonio o che sia cresciuta la fascia sociale dei cittadini consapevoli del valore della cultura, anzi, quasi sempre si tratta della stessa fascia, quella medio-alta, quella dei fruitori abituali, quella più qualificata.

Noi dovremmo impegnarci invece perché la cultura diventi uno strumento di condivisione del patrimonio cognitivo e creativo di una comunità, e perché ciò accada è necessario anzitutto essere pienamente consci del valore di questo patrimonio. La consapevolezza è una sorta di precondizione del rispetto: è l'alleato più prezioso della tutela.

In questo provvedimento abbiamo parlato - lo diceva la collega poc'anzi - di sanzioni contro chi attenta al patrimonio, di sanzioni che già esistevano, ovviamente, ma che erano sparse tra il codice dei beni culturali e il codice penale. Era necessario, quindi, superare la logica della frammentazione, uniformando la disciplina e conferendo al quadro sanzionatorio un profilo coerente e unitario anche terminologicamente. Sono state introdotte nuove figure di reato, di circostanze aggravanti, nuove fattispecie penali improntate generalmente ad una maggiore severità rispetto a chi ferisce il patrimonio. Credere, però, che l'obiettivo finale possa essere un generale inasprimento sanzionatorio, è fortemente limitante e rischia di diventare, paradossalmente, anche inconferente. È molto più rilevante, invece, evidenziare ciò che sottende o che dovrebbe sottendere questa logica di maggiore severità, ossia la necessità di ribadire in modo chiaro ed inequivocabile l'assoluta rilevanza del nostro patrimonio culturale e artistico, e la necessità di condannare severamente chiunque attenti all'integrità e al valore comune di questo patrimonio, scongiurando in ogni modo di derubricare la gravità di questi reati.

Se, quindi, si può pensare di fare un'eccezione rispetto alla condivisibile necessità di ridurre i reati, di evitare una moltiplicazione delle fattispecie, di semplificare le procedure, questa può essere l'eccezione più appropriata, perché il valore del patrimonio che stiamo tutelando rinviene dal fatto che sia comune, rinviene dalla responsabilità collettiva che abbiamo anche verso le future generazioni. Pertanto, il tentativo di rendere più omogenee queste pene rispetto al quadro generale, che qualcuno ha legittimamente invocato, non può annacquare i connotati di assoluta specificità del valore di questo patrimonio; un valore non solo intrinseco, ma anche e soprattutto relazionato alla sua dimensione comunitaria e identitaria. Quindi, prevedere un corpo nuovo di reati serve in qualche modo a perimetrare l'unicità del patrimonio che si intende tutelare. Il riordino normativo e l'inasprimento delle pene, quindi, hanno due differenti ragioni d'essere. Leggo dalla relazione di accompagnamento alla proposta di legge: l'esigenza di un intervento normativo organico e sistematico nella materia è resa indefettibile non solo dalle rilevanti criticità emerse nella prassi applicativa in riferimento alle disposizioni legislative vigenti (e per questo si è proceduto ad un riordino), ma anche e soprattutto dalla circostanza che le previsioni normative in materia di repressione dei reati contro il patrimonio risultano attualmente inadeguate rispetto al sistema di valori delineato dalla Carta fondamentale (quindi dalla Costituzione). La Costituzione, infatti, in base al chiaro disposto degli articoli 9 e 42, chiede che alla tutela penale del patrimonio culturale sia assegnato un rilievo preminente e differenziato nell'ambito dell'ordinamento giuridico e colloca con tutta evidenza la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico a un livello superiore rispetto alla mera difesa del diritto all'integrità del patrimonio individuale.

Quindi, la dimensione comunitaria e condivisa del patrimonio si colloca costituzionalmente su un livello superiore rispetto al patrimonio individuale. Pertanto, l'innalzamento delle pene edittali vigenti ha un preciso significato, ossia attuare pienamente il disposto costituzionale in forza del quale il patrimonio culturale e paesaggistico necessita di una tutela differenziata e preminente rispetto a quella offerta alla tutela della semplice proprietà privata. Faccio anch'io un passaggio rapido in merito alla cornice più ampia, internazionale, entro cui si colloca questa proposta di legge, cioè la Convenzione di Nicosia. Viene chiesto al nostro Paese di proteggere in modo più pregnante il patrimonio culturale, di collaborare con gli altri Stati, di creare nuovi strumenti per difendere e per proteggere il patrimonio culturale della comunità. Queste necessità, peraltro, sono diventate oggi ancora più impellenti perché i reati contro i beni culturali, analizzando non solo la situazione italiana ma quella generale e globale, sono in crescita per diversi motivi.

Per l'esistenza di gruppi terroristici impegnati nella deliberata distruzione del patrimonio e nel commercio illecito come fonte di finanziamento delle proprie attività: penso anche ai gravi impatti del turismo di massa e di consumo sulle grandi città d'arte; penso alla disaffezione verso il nostro patrimonio nei contesti di maggiore degrado sociale e culturale; penso ormai anche ai conflitti bellici, che speravamo fossero soltanto un lontano ricordo.

Sempre la Convenzione di Nicosia, però, sollecita anche il bisogno di prevenire queste tipologie di reati, e io vorrei che fosse questa la più grande operazione di accompagnamento a questa legge, anche in prospettiva futura. In un'intervista di qualche tempo fa il professor Vittorino Andreoli ha descritto la cornice di civiltà disastrosa all'interno della quale l'Italia e l'Occidente sembra si stiano inesorabilmente collocando. La cultura - dice Andreoli - dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri, ma c'è come ostacolo un'ignoranza spaventosa. Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Ecco, quindi, che torna il ruolo educativo, il patto fra culture e istituzioni non solo scolastiche. Perfino durante la pandemia, come testimoniato anche da numerosi organi di stampa, diversi monumenti e luoghi di culto della nostra penisola sono stati oggetto di episodi di vandalismo, di deturpazione, in tutta Italia.

Nel solo mese di agosto 2020 sono stati segnalati, fra gli altri, il caso del monumento a Pellegrino Rossi, a Carrara, la chiesetta rupestre di Santo Stefano vicino Alessano, a Macurano, la statua in omaggio di Andrea Camilleri, ad Agrigento, le sette sculture della Biennale internazionale di arte sacra contemporanea, a Porto Rotondo. Per questo motivo decisi di depositare proprio un'interrogazione per segnalare l'urgenza di portare a termine questo provvedimento ed invitai, ancora una volta, a valutare l'opportunità di adottare tutte le iniziative che potessero in qualche modo contribuire ad accrescere questi atteggiamenti di responsabilizzazione verso il nostro patrimonio e aiutassero ad acquisire maggiore coscienza del suo valore per l'intera società, anche attraverso un coinvolgimento rieducativo nelle operazioni di recupero e restauro delle opere danneggiate.

Dico che si deve seriamente prendere in considerazione il tema della partecipazione rieducativa agli eventi culturali e, di questo, lo stesso Ministero ha piena contezza perché, rispondendo ad una mia interrogazione lo scorso anno, si è detto ben consapevole degli interventi da effettuare per la tutela del patrimonio culturale italiano, sottolineando - e cito testualmente - che “La previsione di una modifica sanzionatoria più severa rispetto all'attuale e l'introduzione di nuovi reati, pur avendo nel complesso un effetto deterrente, non costituiscono l'unica soluzione”.

Quindi, è chiaro che il tema della tutela e della valorizzazione del patrimonio sia indissolubilmente legato a quello dell'educazione all'arte e al rispetto consapevole del patrimonio, perché solo acquisendo piena consapevolezza del valore comune di questo patrimonio si potrà scongiurare il ripetersi di gravi atti di deturpazione ai danni dello stesso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Onorevoli colleghi, signor Presidente, rappresentante del Governo, “Chissà se la luna di Kiev è bella come la luna di Roma, chissà se è la stessa o soltanto sua sorella…”. Ho voluto iniziare, colleghi, questo mio intervento in Aula, citando questo brano della filastrocca di Gianni Rodari per esprimere solidarietà al popolo ucraino e alla comunità ucraina in Italia. È proprio di questi minuti la notizia di un altro bombardamento di una città in Ucraina e sicuramente sarà stato colpito anche qualche bene culturale. All'angosciante e tragica perdita di vite umane e alle devastanti conseguenze economiche della guerra si aggiunge la sorte dell'ingente patrimonio culturale ucraino che, come in ogni teatro di guerra, rischia di subire perdite, distruzioni e saccheggi. A rischio non ci sono soltanto i patrimoni mondiali dell'umanità e dell'UNESCO, ma anche le ricche collezioni dei tanti musei del Paese, penso alla Casa delle Chimere o alla cattedrale di Santa Sofia, patrimonio UNESCO, risalente al 1037, che ricorda la basilica omonima di Istanbul e che con le sue cinque navate e tre absidi, le sue cupole e i mosaici, come quello della Vergine, è uno dei più bei monumenti della città. Esprimiamo, quindi, preoccupazione anche per il padiglione Ucraina alla cinquantanovesima esposizione d'arte della Biennale di Venezia, perché, appunto, non sappiamo quali saranno le sorti di questa guerra.

Colleghi, noi voteremo questo provvedimento - e lo ribadiremo nella fase della dichiarazione di voto - convintamente a favore, per il lavoro che abbiamo fatto nelle Commissioni, tra Camera e Senato. Nel 2020, infatti, i carabinieri del Comando per la tutela del patrimonio culturale - un'eccellenza nazionale di cui dobbiamo fare vanto - hanno recuperato oltre mezzo milione di pezzi d'arte. È il dato d'insieme del dossier “Attività operativa 2020” dell'unità specializzata dell'Arma che - pensate -, in mezzo secolo di vita, ha restituito al pubblico o ai legittimi proprietari più di 3 milioni, tra oggetti d'arte e materiali archeologici. Solo lo scorso anno ha proceduto a 1.200 arresti e a 36 mila denunce; questo, per capire quanto è importante sostenere, anche con questi provvedimenti, l'azione delle nostre Forze dell'ordine specializzate su questo tema.

Il rapporto 2017 del Global Financial Integrity stima il valore del traffico illecito di opere d'arte tra i 6 e gli 8 miliardi di dollari, rappresentando il 20 per cento del complesso dei crimini contro il patrimonio culturale. Secondo, poi, uno studio dell'associazione americana Saving Antiquities For Everybody, l'80 per cento dei beni venduti nei mercati d'arte ha origini incerte se non illegali - l'80 per cento, colleghi – e, secondo l'Interpol, il volume d'affari generato dal traffico di beni culturali sarebbe inferiore solo quello del commercio di armi e di droga. Sono numeri, questi, allarmanti, che dimostrano quanto il patrimonio culturale rappresenti un'immensa risorsa economica per le organizzazioni criminali, anche per i furti su commissione.

La nostra Costituzione, come sappiamo, all'articolo 9 sancisce che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Questo principio fondamentale ha permesso al legislatore di inserire strumenti di prevenzione e repressione dei comportamenti lesivi del patrimonio culturale di natura penale. Pertanto, è indubbia la necessità di aggiornare la protezione diretta dei beni culturali, inserendola nel codice penale, con una previsione sanzionatoria più decisa. Il provvedimento oggi in discussione va proprio in questa direzione, modificando direttamente il codice penale, con il nuovo Titolo VIII-bis, rubricato “Dei delitti contro il patrimonio culturale”, innalzando le pene esistenti e introducendo anche aggravanti se i reati comuni sono commessi, appunto, contro i beni culturali. È da sottolineare, a questo proposito, una misura molto importante contenuta all'articolo 3, che consente l'attività sotto copertura, anche ai fini del contrasto al traffico illecito dei beni culturali. Si tratta di una misura molto appropriata perché, chiaramente, più si affina la capacità di delinquere della criminalità organizzata, più occorre mettere in campo strumenti adeguati per contrastarla.

In aggiunta, la riforma del codice penale non interessa solamente le persone fisiche, ma finalmente anche enti e imprese operanti nel mercato dell'arte, tra le quali le case d'aste, alle quali va sicuramente la fetta più grande di tale mercato. Il Parlamento, infatti, non si è limitato a istituire e a inserire nuovi reati nel codice penale, ma ha previsto gli stessi come reati presupposti per l'applicazione della responsabilità prevista dal decreto legislativo del 2001, quella degli enti, per alcuni crimini commessi dai propri dipendenti. Di conseguenza, nell'ipotesi in cui il dipendente di una casa d'aste sia giudicato colpevole per uno dei nuovi reati commessi nell'interesse o a vantaggio della stessa è prevista l'applicazione per le case d'aste di pesanti sanzioni pecuniarie e interdittive.

Colleghi, la dimensione della tutela dei beni culturali assume due livelli ulteriori, oltre l'attività criminale; l'identificazione di una comunità con il proprio patrimonio culturale, infatti, è da sempre stata un fondamentale fattore di coesione sociale, come evidenziava anche il collega Nitti. Colpendo ciò, si mira a distruggere i simboli culturali nei quali un popolo si riconosce, per arrivare così a un annichilimento sia materiale che morale. Il disfacimento sistematico degli artefatti archeologici durante le invasioni e le dominazioni è un evento ricorrente nella storia, poiché rappresenta uno dei modi in cui l'invasore depreda le risorse di un Paese, avvilisce lo spirito nazionale e annienta la memoria storica, elemento essenziale di ciò che si definisce identità.

Abbiamo assistito alla demolizione costante del patrimonio storico e archeologico mediorientale ad opera dell'ISIS e anche alle ricostruzioni, grazie all'innovazione tecnologica, con stampanti 3D di nuova generazione, ma certamente queste ultime possono soltanto ricostruire alias, simbolicamente importanti, ma non ricostruire e ridarci l'opera originaria. Prima dell'esercito islamico, anche i talebani avevano compiuto le stesse azioni in Afghanistan e chissà quante ne stanno compiendo, con il loro ritorno a seguito della sciagurata fuga dell'Occidente dall'Afghanistan. In questo frangente si colloca, infatti, l'episodio accaduto nel 2001, quando le due enormi statue di Buddha scolpite nella roccia di Bamiyan vennero fatte saltare con le bombe. Da altra parte vi è la dimensione inquietante di un altro fenomeno, colleghi, e su questo forse non saremo così unitari e cioè quello della cancel culture, degli attacchi contro le statue e i simboli visti attraverso il filtro del politicamente corretto, in maniera retrograda e retrodatata. Questo è il frutto di un'azione di assurdo revisionismo storico e di quella cancel culture che si rivolge contro l'Italia e l'Europa, figlia del pensiero unico, che va assolutamente contrastata, la cosiddetta cultura del piagnisteo, che già negli anni Novanta del secolo scorso un fenomenale saggio di Hughes evidenziava e anticipava come polemica rispetto a quello che poi sarebbe accaduto soltanto molti anni dopo. In Italia sono molti i monumenti contestati, già da prima che arrivasse la cancel culture; secondo il think tank milanese theSquare, che identifica vari monumenti nell'Europa occidentale dei quali è stata chiesta la rimozione, ai primi di ottobre da noi ne risultavano presenti 19. Questo fa dell'Italia il Paese con il maggior numero di monumenti contestati - pensate - fra tutti quelli presi in esame, superando il Regno Unito e il Belgio. Il monumento più contestato qui in Italia è stata la statua di Indro Montanelli a Milano. Nel giugno 2020 la statua, come ricorderete, venne imbrattata di vernice. Anche per questo abbiamo presentato una proposta di legge, a prima firma di Giorgia Meloni, di riforma degli articoli 635, 639 e 733 del codice penale, con la finalità proprio di inasprire le sanzioni contro chi deturpi, vandalizzi o distrugga immobili o beni riconosciuti di valore artistico o culturale ovunque siano collocati, e forse su questo un'integrazione a questo provvedimento poteva essere più specifica. Giorgia Meloni lo ha ribadito pochi giorni fa, negli Stati Uniti, nella convention dei Conservatori americani. Vedo i fanatici della cancel culture nelle piazze violente, ma anche nelle istituzioni, rimuovere statue, modificare libri e cartoni animati, cambiare i nomi delle strade per un senso di colpa verso una storia comune che vorrebbero riscrivere ex post. Ci arrenderemo di fronte a questo? No, non lo faremo, combatteremo a testa alta.

Questa battaglia noi l'abbiamo iniziata ancor prima di entrare in quest'Aula, nel 2017, alle prime avvisaglie contro Colombo, in America. I monumenti sono le tracce della memoria di ciò che gli uomini hanno fatto in vita, una traccia che va oltre il tempo e il politicamente corretto, permettetemi. Le opere di un uomo sono ciò che rimane della grandezza di un personaggio, di una generazione, di una cultura, di un'epoca, di un genio, di un popolo, di una civiltà, anche della sua tragicità e dei suoi errori, che non si possono cancellare, come in Orwell attraverso il Ministero della Verità, andando a riscrivere i libri di storia ex post, anche qui come il mirabile romanzo profetico ci ricorda.

La nostra battaglia contro la cancel culture risale, appunto, ai primi attacchi a Colombo, nel 2017, con un appello su Il Tempo che poi divenne battaglia comune del Parlamento, che votò una mozione, presentata con la collega Nissoli, proprio per rappresentare, anche qui, evidentemente il fatto che Fratelli d'Italia parte da un punto di vista di opposizione, ma è in grado di caratterizzare, lanciare e creare battaglie che, prima o poi, diventano battaglie comuni. Per cui poi, grazie a questa trasversalità, si arrivò, tranne che con il voto di LeU, a sostenere questa mozione in difesa di Colombo e contro la cancel culture.

Colleghi, l'Italia deve, quindi, impegnarsi a tutelare qualsiasi bene nel mondo contro la furia iconoclasta della cancel culture, perché noi siamo la patria dell'arte, della bellezza. Il nostro patrimonio artistico, qui in Italia, rappresenta l'arte in tutto il mondo e, grazie a questo, dobbiamo essere gli alfieri di questo concetto e di questa difesa ovunque si creino e si arrechino crimini contro l'arte, pubblica o privata, non importa.

Dobbiamo pensare anche in un'ottica futura. Il patrimonio culturale deve fondersi anche con l'innovazione, coniugando le nuove tecnologie della blockchain con la promozione e la valorizzazione dell'arte. È possibile, infatti, garantire la sicurezza dell'opera e, quindi, la maggiore redditività dell'opera degli artisti, ma anche qui bisogna fare attenzione, colleghi: noi siamo a favore dell'innovazione e anche di queste procedure innovative, ma anche in questo ambito si possono annidare truffe o, comunque, paradossi, per cui all'estero vengono emessi NFT su opere pubbliche italiane di grande valore - sull'immagine di una determinata opera - e questo ovviamente non dobbiamo consentirlo. Dunque, Fratelli d'Italia sta lavorando su una proposta di legge che va proprio sì a incentivare l'innovazione dell'NFT e della blockchain anche nell'applicazione culturale, ma anche a tutelarci contro eventuali speculazioni attraverso l'innovazione. Presenteremo, appunto, questa proposta per sostenere anche le startup innovative in questo campo, nel campo dell'arte, e le imprese culturali e creative, anche tramite l'introduzione di un credito d'imposta per tutte quelle società di commercializzazione delle opere che vogliono investire sulla digitalizzazione nei processi come gli NFT, ma con il controllo e la verifica degli Stati.

Colleghi, Attila è in agguato e mette sotto assedio le fondamenta valoriali del mondo occidentale. Un grande autore conservatore, Chesterton, ha scritto: “Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. Il tempo è arrivato e, come ha ricordato Giorgia Meloni, in America, citando Chesterton, ci troveranno pronti per quella battaglia a difesa della nostra identità. Questo è sicuramente un passo che facciamo insieme al Parlamento italiano che, quando viene fatto lavorare in maniera libera e non viene esautorato, come purtroppo succede grazie al Governo dei migliori, con 41 fiducie, può arrivare, come vedete, anche all'unanimità (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cosimo Maria Ferri. Ne ha facoltà.

COSIMO MARIA FERRI (IV). Grazie, Presidente. Ho ascoltato con interesse gli interventi che mi hanno preceduto e devo dire che sono tutti condivisibili e hanno accentuato bene il senso di questo provvedimento. Non dimentichiamoci che lo stesso si inserisce in una ratifica, che è stata già citata, della Convenzione di Nicosia, con una legge approvata nel 2017 in quest'Aula e che è essenziale perché ha consentito nel procedimento legislativo - quindi, nel passaggio da Camera e Senato - di uniformare e di integrare la proposta iniziale e di adeguarla a tutto quello che era contenuto nella legge di ratifica della Convenzione di Nicosia.

Il passaggio qual è? Tra l'altro, questa Convenzione era preceduta da quella di Delfi, che poi non era stata mai ratificata da tutti i Paesi e che, quindi, non era entrata in vigore. Quindi, c'era la necessità di intervenire, di dare una tutela e un'effettività a questa tutela, rafforzandola nei confronti del nostro patrimonio culturale e artistico. Quindi, una delle novità di questa legge che stiamo approvando è proprio distinguere e rafforzare tutto ciò che è proprietà privata, che certamente ha una sua natura ed è già tutelata, e rendere la tutela del patrimonio artistico e culturale maggiore rispetto alla tutela della proprietà privata, tanto che nella legge vengono previste pene edittali maggiori, cioè più alte rispetto ai reati comuni, e questa è una delle novità. L'altra novità, che è stata già sottolineata, è inserire nel codice penale un Titolo specifico che rafforzi, appunto, il concetto dell'offensività e la tutela nei confronti del patrimonio culturale e artistico, evidenziando l'identità di un Paese, che fa parte del patrimonio culturale, del turismo e anche della formazione dei nostri giovani, ossia tutto quello che riguarda le nostre opere d'arte. Infatti, l'Italia è uno dei Paesi in Europa - ma anche nel mondo - con le maggiori opere d'arte. Quindi, è un tema che ha un legame con il turismo, con l'identità e anche con tutto ciò che riguarda l'economia. Dunque, il legislatore interviene nel codice penale e aggiunge il Titolo VIII-bis dopo il Titolo VIII, che è quello che tutela i reati contro l'industria (a tutela dell'industria e del commercio e, quindi, dell'economia), per dare un valore non solo storico, artistico e di identità a questo patrimonio, ma anche per tutelarlo, certamente con riflessi di cooperazione internazionale e di salvaguardia della nostra economia. Infatti, anche la Convenzione di Nicosia, più volte citata, si inseriva nella lotta contro il terrorismo, perché abbiamo visto i riflessi che il traffico illecito di opere d'arte ha anche nel contrabbando e nella lotta contro il terrorismo. Quindi, questa è un'altra novità del provvedimento in esame.

Dunque, tra le novità principali vi è certamente aver inserito questo nuovo Titolo nel codice penale, di aver messo ordine, dal punto di vista sistematico anche nel nostro codice, e di aver trasferito nel codice penale le norme penali già previste che erano nel codice dei beni culturali, il decreto legislativo n. 42 del 2004 già citato, ciò anche per rendere sistematico e più uniforme il dettato normativo e per fare ordine nel nostro codice penale. È una tecnica legislativa che - tra l'altro, quando si parla di riforma del codice penale, della parte del diritto penale speciale - dovremmo tener presente. Questo provvedimento legislativo è un passo che ha anche questo significato, ossia di indurre il Ministero, la Ministra Cartabia, e il Parlamento a pensare a una vera riforma della parte speciale del codice penale e, quindi, di uniformare e di raccogliere, anche nel momento in cui andremo a pensare a una depenalizzazione più forte e a rivedere alcuni reati, mettendo ordine e anche inserendo nuovi reati, là dove sia necessario, come in questo caso, del patrimonio culturale, perché oggi ci troviamo ad avere reati chiaramente già puniti e previsti nel codice penale, nella parte speciale, e altre fattispecie penali in leggi come il codice dei beni culturali, con la previsione di sanzioni penali e di reati specifici non all'interno del codice penale, ma all'interno di una legge come quella sui beni culturali.

Quindi, questa tecnica legislativa opportuna mette ordine. Prende la spinta dalla proposta di legge Orlando-Franceschini, che si inserisce in questo quadro europeo con la Convenzione di Nicosia, e deve indurci ad aprire e a portare avanti questa riforma del codice penale, della parte speciale; quindi, è un primo passo importante anche in questa direzione.

Abbiamo detto che sono aumentate le pene edittali per rafforzare l'effettività della tutela penale. Altra novità importante è che vengono introdotti dei nuovi reati, quindi c'è una tutela specifica e rafforzata anche con l'introduzione di nuovi reati, laddove siano necessari. In questo caso, bene hanno fatto sia la Convenzione, sia il provvedimento che oggi stiamo approvando ad inserire dei reati relativi a beni culturali tangibili, mobili o immobili, che rientrano nella definizione di beni culturali - e questo è importante -, così come ad obbligare gli Stati ad assicurare che il furto e le altre forme di appropriazione illegale della proprietà si applichino anche ai beni culturali mobili; a qualificare come reati lo scavo di terreni, la rimozione e la ritenzione intenzionali, non autorizzate, di beni culturali, l'importazione e l'esportazione illegali di beni culturali mobili, oltre che l'acquisizione e l'immissione sul mercato di beni culturali rubati; queste sono introduzioni essenziali, che tutelano maggiormente il patrimonio artistico e culturale e, quindi, sono necessarie. Così come bene si è fatto ad istituire diverse fattispecie penali, tra cui il furto, gli scavi illegali, l'importazione e l'esportazione illegali, nonché l'acquisizione e la commercializzazione dei beni così ottenuti; inoltre, si riconoscono dei reati come la falsificazione di documenti, la distribuzione o il danneggiamento intenzionale di beni culturali. Questo per elencarli velocemente, ma per far capire l'organicità e anche l'essenzialità di fattispecie che oggi hanno bisogno di rafforzare la tutela penale.

L'altra novità è quella di avere introdotto la responsabilità delle persone giuridiche; questo è un altro aspetto che va sottolineato. Quindi, vengono introdotti due reati, che si inseriscono in quell'elencazione di reati presupposti che sono necessari per punire e sanzionare, anche dal punto di vista della responsabilità delle persone giuridiche; cito il decreto legislativo n. 3 del 2001, che prevede, appunto, le sanzioni per le personalità giuridiche. Questo è un altro segnale importante, perché, molte volte, chi commette reato lo fa anche nell'interesse di quella società o di quella speculazione, di cui ne può beneficiare anche a livello imprenditoriale o di società. Quindi, anche questo era essenziale introdurlo, in quanto mancava ed è una novità, un pilastro, che era già contenuto nella Convenzione di Nicosia e che viene recepito in questo testo.

Non analizzo i vari articoli e mi rimetto, se mi autorizza, a uno scritto, che deposito, per quanto riguarda le varie fattispecie che sono contenute e le varie modifiche più nei dettagli di questo provvedimento. Voglio chiudere, però, perché è stato citato prima, con il Nucleo per la tutela del patrimonio artistico dell'Arma dei carabinieri. Voglio ringraziare le donne e gli uomini dell'Arma dei carabinieri che hanno lavorato in questi anni e che lavorano tutt'oggi proprio su questo tema, per salvare la nostra cultura, il nostro patrimonio artistico, per evitare che vengano utilizzate queste opere d'arte anche per finanziare la criminalità organizzata, tutto quello che ruota intorno anche ai furti di queste opere d'arte e che abbiamo visto negli anni, con il patrimonio che è stato recuperato e che fa parte della nostra storia.

Quindi, voglio ringraziare l'Arma dei carabinieri per questo lavoro e mi permetto di ricordare, in quest'Aula, un uomo, un grande servitore dello Stato, il generale Roberto Conforti, che ha fatto nascere questo Nucleo dell'Arma dei carabinieri e ha lavorato sempre con grande serietà e grande professionalità, credendo nel proprio lavoro e recuperando opere importanti; ricordo, tra le tantissime, Il giardiniere di Van Gogh, la Triade Capitolina, ma altre opere, tantissime opere, che ha recuperato e che tuttora l'Arma recupera. Lo voglio ricordare in quest'Aula per il lavoro che ha fatto e anche perché fu lungimirante nel creare quella banca dati che, poi, è stata essenziale per inserire le opere rubate, per ricercarle e per avviare tutti quegli aspetti e le basi per quella cooperazione internazionale che in questa materia è essenziale, perché, nella maggior parte dei casi, l'opera rubata viene poi trasferita in altri Paesi, in altri posti fuori dal territorio italiano e, quindi, abbiamo visto quanto sia importante la cooperazione internazionale. Quindi, grazie al generale Conforti, che voglio davvero ricordare per questo lavoro che ha fatto e che l'Arma dei carabinieri sta continuando a portare avanti.

Penso che con questa legge si faccia un passo in avanti ulteriore nel dare uno strumento essenziale alla magistratura e alle Forze dell'ordine per difendere questa cultura e questo patrimonio che sono alla base della forza di un Paese, perché la cultura, il rispetto, e anche un'educazione da trasmettere ai nostri giovani, sono necessari. Penso agli atti, purtroppo, vandalici che sono stati citati anche prima; è stato citato anche quello verificatosi nel mio territorio, con riferimento alla statua di Pellegrino Rossi, a Carrara, un anno fa. Anche i nostri ragazzi devono imparare a capire quanto possono far parte del nostro patrimonio con il rispetto, con l'attenzione, con la storia e con l'interesse da coltivare e che, grazie alle scuole, viene trasmesso.

Il gruppo di Italia Viva voterà con convinzione questo provvedimento. Penso che sia una pagina importante in un momento difficile dal punto di vista internazionale per quello che stiamo vivendo e guardando tutti i giorni; siamo tutti sconvolti da quello che sta succedendo tra la Russia e l'Ucraina.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pittalis. Ne ha facoltà.

PIETRO PITTALIS (FI). Signora Presidente, signora sottosegretaria, colleghe e colleghi, l'obiettivo perseguito da questo provvedimento, che stiamo esaminando in terza lettura, è quello di fornire un'adeguata tutela al nostro patrimonio culturale, così come è stato ricordato da chi mi ha preceduto, a fronte di un apparato normativo, per la verità, assai frammentato ed insufficiente, e ciò attraverso l'introduzione di una organica disciplina dei reati contro il patrimonio culturale. L'obiettivo è, dunque, più che condivisibile, stante l'indiscutibile unicità del nostro patrimonio culturale. Ricordo con orgoglio che il nostro Paese detiene il maggior numero di siti classificati dall'UNESCO “patrimonio dell'umanità” e voglio ricordare che tra i 12 articoli che costituiscono i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana, l'articolo 9, che rappresenta un unicum nel panorama delle Costituzioni, si segnala proprio per il rilievo che attribuisce al rapporto tra lo sviluppo della cultura e la tutela e valorizzazione del complessivo patrimonio ambientale, storico, artistico, sul quale si fonda la nostra identità nazionale.

Detto questo, mi pare, però, meno condivisibile la scelta di dislocare la tutela dei beni del patrimonio culturale dal proprio alveo naturale, cioè il codice dei beni culturali, il decreto legislativo n. 42 del 2004, inserendola all'interno del “codice Rocco”, con una eccessiva parcellizzazione dei comportamenti sanzionati che, secondo noi, rischia di determinare serie difficoltà operative e interpretative.

In particolare, il provvedimento inserisce nel codice penale un nuovo titolo, dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale, composto da 17 nuovi articoli, con i quali punisce con pene più severe rispetto a quelle previste per i corrispondenti delitti semplici il furto, l'appropriazione indebita, la ricettazione, il riciclaggio e l'autoriciclaggio, oltre al danneggiamento, che abbiano ad oggetto beni culturali.

Vengono, altresì, punite le condotte di illecito impiego, importazione ed esportazione di beni culturali e la contraffazione.

Oltre alla previsione di specifiche fattispecie di reato, la proposta di legge prevede un'aggravante da applicare a qualsiasi reato che, avendo ad oggetto beni culturali o paesaggistici, provochi un danno di rilevante gravità.

Quando i reati contro i beni culturali siano commessi a vantaggio di un ente, la proposta prevede l'applicabilità all'ente stesso di sanzioni amministrative, pecuniarie ed interdittive, previste dal decreto legislativo n. 231 del 2001.

Con riferimento alla finalità di coordinamento del nuovo quadro sanzionatorio penale, con la nuova normativa il provvedimento abroga alcune disposizioni del codice penale e del codice dei beni culturali; ciò, nonostante il legislatore del 2004, nell'intento di fornire un contenitore omogeneo per la disciplina dei beni culturali, abbia utilizzato lo strumento codicistico proprio al fine di dare uniformità alla tutela del nostro patrimonio culturale, scelta che oggi viene disattesa proprio dalla formulazione così come è proposta.

Dal nostro punto di vista, una simile tecnica costituisce un vero e proprio ossimoro rispetto alla fondamentale istanza di semplificazione normativa, da tempo avvertita e richiesta non soltanto dagli operatori del settore.

Sempre dal nostro punto di vista, è errata la scelta di inserire tali nuove fattispecie di reato nell'alveo dei delitti contro l'industria e il commercio, contenuti nel Titolo VIII, Libro Secondo, del codice penale insieme ai delitti contro l'economia pubblica.

Nel corpo dei reati disciplinati nel titolo in questione il bene giuridico tutelato non è tanto l'interesse economico nazionale, quanto la criminalizzazione di comportamenti che, arrecando possibili pregiudizi al corretto esercizio di attività industriali e commerciali, danneggiano gli interessi di più persone.

Con la nuova disciplina, dunque, si ripropongono tutte le fattispecie di reato, già disciplinate nel Titolo XIII del codice penale, dedicato ai delitti contro il patrimonio, ricalcandone pedissequamente tutti gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, con l'unico discrimine dato dal bene, oggetto di tutte le condotte penalmente rilevanti, vale a dire il patrimonio culturale, con ciò facendo assurgere a reato specifico non il comportamento in sé, ma il comportamento legato ad un oggetto.

Allora, ci siamo chiesti e ci chiediamo perché inserire la nuova disciplina di tali delitti nell'ambito di quelli contro l'economia pubblica, creando una patologica discrasia rispetto alla natura dei beni tutelati dal titolo in questione, fra l'altro foriera di gravi distonie all'interno del medesimo codice.

I beni culturali sono certamente res che possono essere detenute, trasferite o conservate sulla base di specifiche normative, nazionali e sovranazionali, ma non sono soltanto questo: il loro valore artistico, storico, archeologico, archivistico, bibliografico, etnoantropologico, ovvero un interesse quale quello rappresentato dalle testimonianze aventi valore di civiltà, costituiscono quel quid pluris che rende tale speciale categoria di beni un patrimonio, soprattutto della collettività, che non può essere considerato alla stregua di un'attività industriale e commerciale.

Ci troviamo, in questo senso, di fronte ad un continuo e progressivo ampliamento dei confini del diritto penale, ad una progressiva superfetazione delle fattispecie di reato, solo all'apparenza più dettagliate, ma che possono ingenerare confusione e non poche contraddizioni.

Altro aspetto di criticità, peraltro già evidenziato dal gruppo di Forza Italia durante l'esame di questo provvedimento già in prima lettura, nell'autunno del 2018, è quello di puntare in generale ad un significativo inasprimento delle sanzioni penali per i reati contro il patrimonio culturale, oltre che ad una riscrittura ed ampliamento, come ho già detto, delle fattispecie incriminatrici.

Dal nostro punto di vista, il testo in esame propone pene draconiane, in taluni casi addirittura aumentate durante l'esame nell'altro ramo del Parlamento, per tutte le fattispecie di reato che riguardano i beni culturali. Pene eccessive non costituiscono un deterrente alla commissione di delitti: ce lo ha insegnato Cesare Beccaria che, quasi tre secoli fa, già ammoniva che “uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse”. E ancora, “quanto la pena sarà più pronta e vicina al delitto commesso, essa sarà tanto più giusta e tanto più utile”.

Quindi, le perplessità che ho appena brevemente riassunto su questo testo di legge aumentano, se si considera che la materia risulta essere stata oggetto, com'è stato ricordato, della Convenzione di Nicosia che anche il nostro Paese ha sottoscritto nel maggio del 2017 e recentemente ratificato con la legge 21 gennaio 2022, n. 6, non solo sotto il profilo del rispetto del fondamentale principio di proporzionalità, ma anche per l'assenza di qualsivoglia traccia di attività preventive.

Eppure, la Convenzione di Nicosia, assieme alla perseguibilità in sede penale di condotte lesive del patrimonio culturale, si pone, come obiettivi, il rafforzamento della prevenzione di tale tipologia di reati; la risposta, la modifica della disciplina delle attività sotto copertura per prevederne l'applicabilità anche nelle attività di contrasto ai delitti di riciclaggio e di autoriciclaggio dei beni culturali, svolte da ufficiali di Polizia giudiziaria degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali. Riteniamo tale approccio utile ma poco efficace, e qui torno a Cesare Beccaria che, illuminatamente, ebbe ad affermare che il più sicuro, ma più difficile mezzo di prevenire i delitti è di perfezionare l'educazione.

Quindi, penso che l'intervento di questo Parlamento non possa e non debba fermarsi solo a questo provvedimento utile, per quanto anche la relatrice ha ben evidenziato, ma è necessario che gli interventi per tutelare il nostro incommensurabile patrimonio culturale proseguano, non solo sul piano della repressione penale, ma soprattutto sul piano della prevenzione che mi pare sia utile per preservare il nostro grande patrimonio culturale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cataldi. Ne ha facoltà.

ROBERTO CATALDI (M5S). Grazie, Presidente. Questo è un periodo particolarmente difficile per gli italiani. C'è stata una sequenza di eventi che ci ha messo letteralmente in ginocchio e non mi riferisco soltanto alla pandemia o alla guerra, ma a quei tanti eventi che hanno colpito l'Italia a macchia di leopardo: penso al sisma che ha colpito 140 comuni del centro Italia o alle aree di crisi industriale complessa.

Siamo in una situazione oggettivamente difficile: in questa situazione sono convinto che il PNRR ci potrà dare una mano, ma credo sia un errore confidare soltanto su queste risorse che andranno prima o poi ad esaurirsi.

Credo sia venuto il momento di pensare anche alle ricchezze endemiche, che abbiamo già all'interno del nostro Paese e che, forse, non abbiamo ancora sufficientemente tutelato e sufficientemente valorizzato, e mi riferisco proprio al patrimonio culturale italiano, che è il più grande patrimonio culturale al mondo. Abbiamo una ricchezza sotto i nostri occhi, che, però, non abbiamo ancora completamente compreso. Magari la cultura non ci darà il pane? Questo forse è un assunto che dovremmo anche superare. Pensiamo soltanto al numero dei posti di lavoro che può dare il settore del patrimonio culturale italiano: tanto per parlare di numeri, abbiamo più di 4 mila musei aperti al pubblico, abbiamo all'incirca 7 mila biblioteche, abbiamo archivi, abbiamo collezioni private, abbiamo un patrimonio che dà lavoro anche in maniera indiretta, perché pensate che il patrimonio culturale attira anche il turismo; pensiamo anche a tutto il lavoro che viene generato da attività comunque correlate allo sfruttamento del patrimonio culturale; pensiamo, quindi, al turismo, pensiamo agli albergatori, pensiamo ai bed and breakfast, ai ristoratori: si parla di oltre mezzo milione di posti di lavoro. E questa è soltanto una parte di quello che ci può dare il patrimonio culturale italiano. Ci dà lavoro, e per noi è stato anche un salvagente. Qualche anno fa si era verificata una situazione economicamente pericolosa, quella del possibile declassamento da parte di alcune agenzie di rating. È stato proprio puntare sul valore del patrimonio culturale italiano che ha salvato l'Italia. La Corte dei conti fece notare che questo patrimonio aveva un valore di oltre 900 miliardi di euro e questo è stato appunto un fortissimo salvagente per l'Italia. Insomma, siamo un po' come dei miliardari, che però non sanno ancora coglierne il valore. E pensate che, pur essendo il nostro patrimonio più grande di quello di altri Paesi, altri Paesi sono riusciti ad averne un ritorno economico maggiore, come la Francia e il Regno Unito. Dobbiamo cercare anche noi di riscoprirne il valore, di valorizzarlo e di tutelarlo, così come già si sta cercando di fare con il provvedimento di cui si discute oggi in questa Camera.

Presidente, una delle poche certezze che abbiamo in questo mondo, caratterizzato dalla precarietà, è che noi uomini non siamo mai in grado di comprendere il valore delle cose che abbiamo sotto il naso tutti i giorni; ce ne accorgiamo solo quando, magari, le stiamo perdendo o quando le abbiamo perse definitivamente; è un po' come il subacqueo che, a un certo punto, si rende conto di non avere più abbastanza aria per tornare a galla; è quello che ci è successo. In precedenza, accennavo alle aree terremotate del Centro Italia; era una fetta di patrimonio culturale italiano davvero molto importante: 140 comuni, centri storici meravigliosi sono stati distrutti dal sisma, interi borghi medievali che facevano parte di tutta quell'area paesaggistica compresa all'interno di 4 regioni e di 2 parchi nazionali, che sono di una bellezza unica. Ora, è chiaro che noi, questo valore, dobbiamo cominciare a comprenderlo e a lavorare non solo per la sua tutela - questo credo che sia uno dei primi passaggi importanti che questo Parlamento può fare -, ma bisogna anche pensare a come valorizzarlo. Si parla spesso della valorizzazione delle aree interne, Presidente, ma questa valorizzazione deve passare anche attraverso un progetto. Parliamo, sì, oggi di tutela, ma bisognerà che a questa tutela seguano anche iniziative ben precise. Non possiamo permetterci lo spopolamento, non possiamo permetterci di disperdere questa grande ricchezza che caratterizza l'Italia.

Presidente, passo brevemente ai contenuti. Si parla di rafforzare la tutela penale: evito di fare un'elencazione delle norme indicate, però, complessivamente, l'intento del legislatore sembra proprio essere riorganizzare il sistema sanzionatorio, su questo poi si può essere o meno d'accordo, ma c'è anche l'intento di prevedere reati specifici che riguardano non tanto la condotta, quanto una condotta correlata a un determinato oggetto, che è il bene culturale.

È chiaro che si può storcere un po' il naso quando si parla di inasprimento di sanzioni, però, c'è, nell'ordinamento penale, una sorta di equilibrio sanzionatorio. Si cerca di mantenere sempre, il più possibile, tale equilibrio; però ci sono casi in cui c'è bisogno di intervenire, perché magari per alcuni reati c'è un determinato allarme sociale, oppure, in altri casi, perché ci si rende conto, come in questo caso, dell'inadeguatezza del precedente regime sanzionatorio.

Riguardo a questo ambito abbiamo a che fare con reati che vanno, comunque, a incidere su beni che hanno proprio al loro interno una caratteristica di infungibilità assoluta: non possiamo assolutamente paragonare, ad esempio, il furto di un bene culturale al furto di un bene comune. Credo che, complessivamente, questo tipo di riforma sia diventata indispensabile e, oltretutto, risponde alle esigenze di rispettare una Convenzione del Consiglio d'Europa. Credo che, a questo punto, si dovrà cominciare da qui: questo non deve essere il punto finale, non possiamo soltanto limitarci a rafforzare le tutele, io credo che dobbiamo cominciare a pensare davvero alla loro valorizzazione. E torno all'esempio che avevo fatto, del subacqueo: dovremmo fare in modo di accorgerci che, magari, quella poca aria ci può aiutare a tornare a galla e continuare a respirare con i nostri polmoni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 893-B​)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice e la rappresentante del Governo rinunziano alla replica.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Bruno Bossio e Magi; Ferraresi ed altri; Delmastro Delle Vedove ed altri; Paolini ed altri: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia (A.C. 1951​-3106​-3184​-3315-A​) (ore 16,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 1951-3106-3184-3315-A: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 24 febbraio 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 24 febbraio 2022).

(Discussione sulle linee generali - Testo unificato A.C. 1951-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle e Fratelli d'Italia ne hanno chiesto l'ampliamento.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione giustizia, deputato Mario Perantoni.

MARIO PERANTONI, Relatore. Signor Presidente, signora sottosegretario, colleghe e colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del testo unificato delle proposte di legge Atti Camera nn. 1951 Bruno Bossio; 3106 Ferarresi; 3184 Delmastro Delle Vedove; 3315 Paolini; recante: “Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia”.

Il provvedimento in esame è stato oggetto, in seno alla Commissione giustizia, di una approfondita attività conoscitiva, svolta tramite le audizioni di autorevoli rappresentanti della magistratura, dell'avvocatura e del mondo accademico. Al termine del ciclo di audizioni la Commissione ha adottato come testo base un testo unificato delle quattro proposte di legge abbinate, predisposto grazie a una significativa convergenza da parte delle diverse forze politiche, unite dalla comune percezione dell'elevata sensibilità del tema oggetto di discussione e dall'esigenza di dar seguito ai recenti interventi della Corte costituzionale in materia.

Il testo unificato adottato come testo base in sede di esame delle proposte emendative è stato modificato e migliorato, anche in questo caso, grazie a una proficua collaborazione tra i diversi gruppi parlamentari e con il Governo.

Ciò premesso, prima di passare a illustrare il contenuto del provvedimento, ricordo che l'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 ha subito nel tempo ricorrenti modifiche ed è stato oggetto di numerosi interventi della Consulta. La peculiare ratio di tale disciplina è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti dal trattamento dei condannati comuni, subordinando a condizioni particolarmente restrittive l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario per il condannato per i reati cosiddetti ostativi, indicati dal primo comma dell'articolo 4-bis. Ci si riferisce al lavoro all'esterno, ai permessi premio, alle misure alternative alla detenzione, così come previsto dal capo VI dell'ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata, nonché all'istituto della liberazione condizionale. L'accesso a tali misure, infatti, è possibile soltanto nel caso in cui i detenuti o internati per quei delitti collaborino con la giustizia, a norma dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario o a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale. Per i delitti ostativi, in caso di assenza di collaborazione con la giustizia, vige quindi la presunzione assoluta di persistenza di collegamenti. In difetto di un'utile collaborazione si presume, cioè, l'attualità degli stessi e, conseguentemente, l'immanenza della pericolosità sociale, a prescindere dal percorso rieducativo intrapreso dal condannato durante l'esecuzione della pena.

In numerose pronunce la Corte costituzionale, nel ribadire il contrasto con il principio di uguaglianza delle presunzioni legislative assolute, laddove esse siano arbitrarie e irrazionali, e non rispondenti ai dati di esperienza generalizzati riassunti nella formula id quod plerumque accidit, ha conseguentemente affermato la necessità di attribuire al giudice il potere di valutare gli elementi del caso concreto, per poter compiere una prognosi ragionevole circa l'idoneità di un determinato beneficio penitenziario a far proseguire il detenuto nel suo percorso di reinserimento. Con particolare riguardo all'articolo 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario e alla preclusione assoluta di accesso al permesso premio da parte dei condannati per reati ostativi, sia a pena perpetua che a pena temporanea, con la sentenza n. 253 del 2019 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale articolo, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti, di cui all'articolo 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. La Corte ha altresì espresso in via consequenziale tale dichiarazione di incostituzionalità anche in favore dei detenuti per tutti gli altri delitti elencati nella norma. Con la medesima sentenza la Corte ha sottolineato come la presunzione dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e della mancata rescissione dei collegamenti stessi, così come previsto dall'articolo 4-bis, sia assoluta e non possa essere superata se non dalla collaborazione stessa; proprio questo carattere assoluto è stato ritenuto in contrasto con gli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La Consulta afferma, infatti, che la presunzione in sé non è illegittima, non essendo irragionevole presumere che il condannato che non collabora abbia legami con l'associazione di appartenenza, purché sia relativa e possa essere vinta la prova contraria, così rimanendo nei limiti di una scelta costituzionalmente compatibile con gli obiettivi di prevenzione sociale e di risocializzazione della pena. La Corte al tempo stesso ha sottolineato l'esigenza che, in relazione a condannati per reati di affiliazione a un'associazione mafiosa e per reati a questi collegati, caratterizzati dalle specifiche connotazioni criminologiche appena descritte, ai soli fini dell'accesso al permesso premio, la valutazione in concreto di accadimenti idonei a superare la presunzione dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata deve rispondere a criteri di particolare rigore, proporzionati alla forza del vincolo imposto dal sodalizio criminale del quale si esige l'abbandono definitivo, specificando come ciò giustifichi che la presunzione di pericolosità sociale del detenuto che non collabora, pur non più assoluta, sia superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carceraria o della mera partecipazione al percorso rieducativo e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione, ma soprattutto in forza dell'acquisizione di altri congrui e specifici elementi.

Con la recente ordinanza n. 97 del 2021 la Corte ha affrontato la questione del cosiddetto ergastolo ostativo, cioè della preclusione all'accesso al beneficio della liberazione condizionale per il condannato all'ergastolo per delitti di contesto mafioso che non collabori utilmente con la giustizia. In tale sede la Consulta, dopo aver ricordato la propria giurisprudenza e l'importanza della collaborazione, della quale evidenzia il valore positivo riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione stessa l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per accedere alla liberazione condizionale, in contrasto con la funzione rieducativa della pena ai sensi dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione; allo stesso tempo ha posto l'accento sul carattere apicale della normativa sottoposta al suo giudizio, nel quadro del contrasto alle organizzazioni criminali. L'equilibrio complessivo di tale normativa verrebbe messo a rischio da un intervento meramente demolitorio, con grave pregiudizio per le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva, a fronte del pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa. La Corte evidenzia che si entra nel campo delle scelte di politica criminale, che appartengono alla discrezionalità legislativa, in quanto finalizzate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità, ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti e che, pertanto, eccedono i poteri della Corte stessa. La Corte ha quindi rilevato che esigenze di collaborazione istituzionale impongono il rinvio del giudizio e la fissazione di una nuova udienza di discussione delle questioni in oggetto alla data del 10 maggio 2022, dando così al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia. Nel ribadire che la presunzione di pericolosità gravante sul condannato all'ergastolo per reati di contesto mafioso che non collabora con la giustizia non è di per sé in tensione con i parametri costituzionali, la Corte, in coerenza con le rationes decidendi poste a fondamento della sentenza n. 253 del 2019, ha ritenuto necessario che la presunzione in esame diventi relativa e possa essere vinta da prova contraria, valutabile dal tribunale di sorveglianza.

Ciò premesso la Consulta non ha certo esaurito gli spazi di intervento riservati al legislatore ordinario ma, anzi, ha sottolineato che la mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta, è comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità specifica. Appartiene, perciò, alla discrezionalità legislativa decidere quali ulteriori scelte risultino opportune, per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento, ai sensi dell'articolo 176 del codice penale; scelte fra le quali potrebbe, ad esempio, annoverarsi l'emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione ovvero l'introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione.

Nella cornice delineata dalle richiamate pronunce si colloca, quindi, l'intervento normativo all'attenzione di questa Assemblea. Questo provvedimento, all'articolo 1, modificando da assoluta a relativa la presunzione prevista dall'articolo 4-bis, provvede innanzitutto a individuare le condizioni per l'accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte dei detenuti condannati per i cosiddetti reati ostativi: delineando un peculiare regime probatorio, fondato sull'allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti anche indiretti o tramite terzi; introducendo una nuova disciplina procedimentale per la concessione dei benefici stessi; spostando dal magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza, organo collegiale, la competenza ad autorizzare il lavoro all'esterno e i permessi premio, quando si tratta di detenuti condannati per reati di mafia e terrorismo ed eversione dell'ordine democratico.

In particolare, l'articolo 1, comma 1, lettera a), n. 1, novella il comma 1 dell'articolo 4-bis, precisando che il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per delitti ostativi, in caso di esecuzione di pene concorrenti, si applica anche quando i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti, ma sia stata accertata dal giudice della cognizione l'aggravante della connessione teleologica tra i reati la cui pena è in esecuzione. La lettera a), n. 2 del comma 1, sostituisce integralmente il comma 1-bis dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario con una più generale disciplina dell'accesso ai benefici per i detenuti e gli internati non collaboranti, volta a superare la presunzione assoluta censurata dalla Corte costituzionale.

Viene eliminato il rilievo specifico attualmente riconosciuto alle ipotesi di collaborazione impossibile o inesigibile in considerazione del fatto che tale istituto aveva ragion d'essere nella vigenza della presunzione assoluta e che viene introdotta, tra gli elementi sottoposti alla valutazione del giudice, l'allegazione da parte dell'istante delle ragioni della mancata collaborazione.

Il superamento del divieto di ammissione ai benefici potrà quindi avvenire, in tutti i casi di assenza di collaborazione, in presenza delle seguenti concomitanti condizioni e presupposti: dimostrazione da parte degli istanti di avere adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o dell'assoluta impossibilità di tale adempimento; allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere, una volta accertati, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.

L'intervento normativo specifica inoltre che l'istante, per ottenere l'accesso ai benefici, dovrà allegare elementi diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza.

La nuova formulazione del comma 1-bis si muove quindi pienamente nel solco delineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 253 del 2019, nella quale si chiarisce che l'acquisizione di stringenti informazioni in merito all'eventuale attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (a partire da quelli di natura economico-patrimoniale) non solo è criterio già rinvenibile nell'ordinamento, ma è soprattutto criterio costituzionalmente necessario per sostituire in parte qua la presunzione assoluta caducata, alla stregua dell'esigenza di prevenzione della commissione di nuovi reati sottesa ad ogni previsione di limiti all'ottenimento di benefici penitenziari.

La Consulta sottolinea che il regime probatorio rafforzato si estende all'acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali.

A giudizio della Consulta si tratta di un aspetto logicamente collegato al precedente, del quale condivide il carattere necessario alla luce della Costituzione, al fine di evitare che il già richiamato interesse alla prevenzione della commissione di nuovi reati, tutelato dall'articolo 4-bis, finisca per essere vanificato.

Sempre nella sentenza n. 253 si sottolinea come gravi sullo stesso condannato che richiede il beneficio l'onere di fare specifica allegazione di entrambi gli elementi, esclusione sia dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro ripristino.

In coerenza con tale impostazione, la riforma prevede che, nel valutare circa l'esclusione dell'attualità dei collegamenti, il giudice di sorveglianza dovrà tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché accertare la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che nelle forme della giustizia riparativa.

L'intervento, ovviamente, non concerne e non incide in alcun modo sui condannati sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis, in quanto, in costanza di assoggettamento a tale regime, si ritiene sussistente l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e la loro pericolosità sociale. La permanenza al 41-bis è quindi incompatibile con l'accesso ai benefici penitenziari, alle misure alternative alla detenzione e alla liberazione condizionale.

La lettera a), al numero 3, del comma 1, interviene sul comma 2 dell'articolo 4-bis per introdurvi una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari sempre per i detenuti non collaboranti condannati per reati ostativi, disciplina necessaria e adeguata a quel regime probatorio rafforzato a cui ho già fatto cenno.

In particolare, il giudice di sorveglianza, prima di decidere sull'istanza, ha l'obbligo: di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto dove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; di acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto; di disporre nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.

Con riguardo alla tempistica, la riforma prevede che i pareri, le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della loro complessità. Decorso il termine, il giudice decide anche in assenza dei pareri e delle informazioni. Si prevede inoltre, nel caso in cui dall'istruttoria svolta emergano indizi sull'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, che gravi sul condannato l'onere di fornire idonei elementi di prova contraria.

Nel provvedimento con cui decide sull'istanza di concessione il giudice dovrà ovviamente motivare le ragioni dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza, facendo riferimento ai pareri acquisiti.

La lettera a), al numero 4, del comma 1 apporta una modifica di carattere meramente lessicale al comma 2-bis dell'articolo 4-bis, mentre al numero 5 viene inserito, sempre nell'articolo 4-bis, il nuovo comma 2-ter, volto a specificare che le funzioni di pubblico ministero per le udienze del tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, possono essere svolte dal pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto dove è stata pronunciata la sentenza di primo grado.

La lettera a), al numero 6, in conseguenza dell'introduzione della nuova disciplina procedimentale, abroga il comma 3-bis dell'articolo 4-bis attualmente vigente. Le lettere b) e c) del comma 1 incidono rispettivamente sulla disciplina del lavoro all'esterno e dei permessi premio, rispettivamente articoli 21 e 30-ter dell'ordinamento penitenziario, per attribuire al tribunale di sorveglianza, in luogo che al magistrato di sorveglianza, la competenza a decidere sui predetti benefici quando si tratti di condannati per delitti per mafia e terrorismo, quindi condannati per terrorismo anche internazionale, eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, associazione mafiosa di cui all'articolo 416-bis o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose.

PRESIDENTE. Concluda.

MARIO PERANTONI, Relatore. Vado subito a concludere, signor Presidente. L'articolo 2 interviene sul decreto-legge n. 152 del 1991 per modificarne l'articolo 2. La modifica ha carattere di coordinamento e si ribadisce che i presupposti e la procedura per l'applicazione dell'istituto della liberazione condizionale sono quelli dettati dall'articolo 4-bis, così come modificato.

Con la lettera b) sono invece apportate diverse modifiche alla disciplina vigente in materia di liberazione condizionale per i condannati all'ergastolo, per reati ostativi e non collaboranti. Per la precisione, la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano scontato 30 anni di pena, in luogo degli attuali 26, il cui requisito permane per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti. Occorreranno 10 anni, in luogo degli attuali 5 (che permangono per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti) dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice.

C'è un ulteriore dettaglio sulla libertà vigilata e sugli accertamenti che la Guardia di finanza potrà effettuare anche nei confronti dei reclusi sottoposti al 41-bis. Chiedo l'autorizzazione a depositare la relazione scritta, che è stata comunque quasi interamente svolta oralmente.

PRESIDENTE. Ovviamente, la Presidenza autorizza.

Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire in una fase successiva.

È iscritta a parlare la deputata Bruno Bossio. Ne ha facoltà.

VINCENZA BRUNO BOSSIO (PD). Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, qualche giorno fa un mio compagno di gruppo, di partito, in considerazione della mia ostinazione ad occuparmi del tema dell'ergastolo ostativo, che è più universalmente conosciuto come “fine pena mai”, mi risponde “non so che cos'è l'ergastolo ostativo e non voglio saperlo”. Ho replicato, conoscendo tra l'altro le sue qualità umane e politiche, nonché il suo rigore istituzionale, che sbagliava, perché tutti i parlamentari, soprattutto di sinistra, dovrebbero essere sensibili alle questioni che riguardano le violazioni dei diritti costituzionali, in questo caso l'articolo 27, comma 3, della Costituzione, e la violazione del principio di umanità della pena ex articolo 3 della CEDU.

Dunque è stato questo il tema che abbiamo avuto in discussione e all'ordine del giorno della Commissione giustizia all'indomani dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del maggio 2021, che ha rinviato al legislatore entro un anno la modifica dell'articolo 4-bis, lasciando comunque - questo è importante - alla Corte di verificare ex post la conformità alla Costituzione delle decisioni effettivamente assunte.

Avviando la discussione in quest'Aula, che è sovrana, non si può, quindi, non partire dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani e dalle successive decisioni della Corte costituzionale. La Corte europea dei diritti umani, nella “sentenza Viola”, ritenendo che l'ergastolo ostativo non abbia i connotati di una pena perpetua riducibile, condanna l'Italia per violazione del principio di umanità. A seguire, nella sentenza della Corte del 2019 si afferma che la collaborazione non può essere l'unico elemento indicativo della cessazione della pericolosità di un condannato e, viceversa, la mancata collaborazione non può essere, di per sé, indice della persistenza della pericolosità sociale del condannato. Come afferma, giustamente, il professor Dolcini nel suo saggio Fine pena: 31/12/9999, l'ergastolo ostativo, assumendo che la personalità del condannato non possa modificarsi nel tempo, si pone in contrasto con la funzione risocializzatrice della pena.

Sulle orme, dunque, di una chiara indicazione della Corte europea, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario e afferma non più una pericolosità assoluta, bensì relativa, poiché può essere superata anche alla luce di elementi diversi dalla collaborazione, da valutarsi, naturalmente, caso per caso; ovviamente, le allegazioni sono il minimo che si possa aspettare per dimostrare la non più attualità dei collegamenti con la criminalità e anche il pericolo di un loro ripristino. In più, la Corte osserva che, se da un lato è corretto premiare la collaborazione, non è costituzionalmente ammissibile punire il condannato per la mancata collaborazione, impedendo al detenuto non collaborante ogni accesso ai benefici penitenziari normalmente previsti per gli altri detenuti. Questa legittimità costituzionale torna all'esame della Corte nel 2021. Qual è la premessa che muove, in questa ordinanza, la Corte? La disciplina vigente dell'ergastolo ostativo, che preclude, in maniera assoluta, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, di chiedere la liberazione condizionale, si pone in contrasto con l'articolo 27 della Costituzione e l'articolo 3 della CEDU. In particolare, nei punti dal 3 al 7 dell'ordinanza, si segnala come questo carattere assoluto impedisca alla magistratura di sorveglianza di valutare, dopo un lungo tempo di espiazione della pena - in questo testo base, addirittura, questo tempo è stato allungato -, il percorso carcerario del condannato e che si pone in contrasto, come ho detto, con la funzione rieducativa della pena. Però la Corte, l'ha ricordato il relatore, dispone un rinvio a maggio 2022, dichiarando che spetta, in primo luogo, al legislatore ricercare il punto di equilibrio tra i diversi argomenti, anche però - questo è un punto importante - alla luce delle ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata.

Ma per quanto unicamente prospettata dalla Corte, come giustamente afferma il professor Pugiotto nel bellissimo libro Contro gli ergastoli, l'incostituzionalità dell'ergastolo ostativo segna, nella sentenza della Corte, un punto di non ritorno e l'uso del presente indicativo in questa sentenza non lascia adito a dubbi.

Dopo queste indicazioni di diritto e i principi ordinati e indicati dalla CEDU e dalla Corte, troviamo il testo approvato in Commissione. Avrebbe dovuto rispondere a questi principi, anche perché, come ho detto, rimane un giudizio sospeso. Purtroppo, il testo approvato in Commissione non va nella direzione delle sentenze della Corte, checché ne dica il relatore Perantoni, né nei principi ispiratori, né nella pratica; si presenta con un testo base che unifica le diverse proposte di legge, tra cui la 1951 a mia prima firma, la quale, evidentemente, troppo in linea con il mandato della Corte, non trova nel testo unificato alcun minimo riscontro. A questo proposito tengo a precisare che la mia proposta è stata depositata prima delle due sentenze della Corte e fa riferimento, sia alla relazione finale della Commissione Palazzo, che ai lavori de Gli Stati Generali dell'esecuzione penale coordinati da Glauco Giostra, per cui, come riconosciuto in audizione dal presidente Santalucia, non poteva che anticipare già nell'articolato le indicazioni della Corte stessa. Ma, lo ripeto, non trova nessun riscontro nel testo; di contro, questo testo trova specifico fondamento nelle relazioni delle proposte Ferraresi, 5 Stelle, e Paolini, Lega. Ferraresi, nella relazione illustrativa alla sua PDL, indica le decisioni della Corte costituzionale come un colpo mortale all'ergastolo ostativo; un colpo mortale, come dice lo stesso Ferraresi, al quale la sua proposta di legge deve porre rimedio. Così come Paolini – Lega -, nella relazione al suo testo di legge, afferma che allentare le maglie del 4-bis, per come la Corte indica, significa perdere una delle poche efficaci armi che lo Stato ha contro le organizzazioni criminali. Nelle audizioni, d'altra parte, abbiamo potuto ascoltare i PM, ai quali si ispirano questi principi anticostituzionali, i quali hanno chiesto, chiaramente, al Parlamento di non arretrare di un centimetro rispetto alla norma vigente, se non si vuole offrire alla mafia un trampolino di lancio. Dunque, secondo questi unici depositari della lotta contro la mafia, come giustamente afferma Alessandro Barbano, il condannato non deve avere alcuna chance di superare il muro di divieti che la legge gli alza di fronte. A nulla servirà la sua buona condotta, perché per definizione assoluta i PM auditi affermano che il mafioso è obbligato dal suo giuramento a non dare fastidio in carcere. A nulla varrà il suo percorso rieducativo, perché, sempre per questi PM, il mafioso è abilissimo nel fingere una redenzione. Quanto alla dimostrazione di non essere più mafioso, si tratta, appunto, di una probatio diabolica, perché la mafia non muore mai; conseguentemente, chi, ad esempio, anche come me, osa criticare questo sistema, che vede solo nella collaborazione la strada per l'accesso ai benefici, fa il gioco della mafia, ovvero, secondo queste tesi, dovremmo restare in quella logica di tipo militare che tante distorsioni ha creato al nostro Stato di diritto, la logica del nemico catturato e condannato che può liberarsi dalla prigionia solo passando nelle file di un avversario altrettanto armato, logica giustamente contestata dall'ex Presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida. Ma lo Stato non è un avversario armato e non può conformarsi a questo tipo di logica opposta al diritto costituzionale. Lo Stato ha il dovere di rispondere al delitto con il diritto e non certo aggiungendo un'altra dose di delitto.

A questa considerazione, bisogna aggiungere che, di per sé, la collaborazione potrebbe anche non essere sincera, ma motivata da ragioni utilitaristiche, come dimostrano i tanti anni e i danni di un abuso della pratica del cosiddetto pentitismo. Dunque, nel dibattito in Commissione c'è stato un appiattimento pregiudiziale verso l'indirizzo anti Corte costituzionale che ha prodotto un testo, in alcuni passaggi, addirittura più negativo di quello vigente. C'è il tema, sostanzialmente, della norma che trascura l'insegnamento che reputa legittimo distinguere tra chi rimane silente per sua scelta e chi rimane silente suo malgrado, la scomparsa della collaborazione impossibile nel comma 1-bis, la competenza collegiale con la conseguenza di rendere quasi impossibile costruire percorsi premio, che costituiscono, invece, il più importante banco di prova del senso di responsabilità, e, infine, il divieto di scioglimento del cumulo che colpisce anche reati che non hanno a che fare con la mafia e il terrorismo. Su questi punti, presenteremo emendamenti in Aula, anche perché la Corte aveva inteso richiamare il legislatore all'adozione di una disciplina complessiva, in grado di rendere davvero compatibile con la Costituzione non solo la disciplina dell'ergastolo ostativo, bensì l'intero assetto normativo sulle ostatività.

Il testo unificato approvato, invece, come detto anche dall'Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali, ha il sapore di una controriforma che ci espone a forti richiami delle Corti, ma, soprattutto, al richiamo della nostra coscienza. Concludendo, mi auguro che l'Aula veda quello che la maggioranza della Commissione non ha visto ed eviti, per il legislatore, il rischio di vedersi ulteriormente censurare la costituzionalità del proprio operato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Delmastro Delle Vedove. Ne ha facoltà.

ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE (FDI). Grazie, Presidente. Fratelli d'Italia ritiene che dopo gli interventi della nota ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del maggio 2021, che segue ulteriori interventi costituzionali fin dal 1993 e sentenze della CEDU (più che interventi, forse gli inciampi della Corte costituzionale), fosse improrogabile, indifferibile e urgente un intervento del legislatore, perché l'ordinanza n. 97, pur avendo voluto evitare un intervento di natura demolitoria e avendo voluto lasciare lo spazio e il tempo al legislatore per dettare delle norme chiare di politica criminale nei confronti della criminalità organizzata, è pur vero che segnava un punto di non ritorno, che sembrava la acuzie di quel fenomeno volto a demolire gli istituti e i patrimoni giuridici dello Stato italiano per il contrasto della criminalità organizzata.

La proposta di legge, così come è “partorita”, in verità noi la critichiamo da una prospettiva completamente opposta a quella dei colleghi del PD che in quest'Aula si sono stracciati le vesti perché non saremmo sufficientemente garantisti nei confronti dei mafiosi.

Ebbene, per Fratelli d'Italia se vi è una critica di prospettiva da fare all'attuale normativa, che pure voteremo, è quella che non si è stati sufficientemente duri nei confronti della criminalità organizzata e si è accettato di disperdere parte di quel patrimonio giuridico che rende l'Italia unica in materia di contrasto alla criminalità organizzata, forse perché unico è il fenomeno così come si è radicato in Italia, forse perché è unica la storicità del fenomeno mafioso in Italia, forse perché è unico il fatto che il fenomeno mafioso in Italia si è intrecciato con il brigantaggio e con fenomeni anche sottoculturali - ma, comunque, di natura culturale - che lo rendono vischioso e difficilmente aggredibile, per cui l'Italia ha dovuto predisporre una normativa speciale, che nasceva anche in un contesto storico specifico segnato dal sangue degli eroi della battaglia contro la mafia, eroi della battaglia contro la mafia fino all'olocausto consapevole di sé e della propria vita.

Allora, io voglio sgombrare il campo da qualsivoglia equivoco. Il deputato Bruno Bossio, nella sua appassionata difesa del garantismo anche nei confronti dei mafiosi, ha detto: “Chi la pensa come me viene accusato di fare il gioco della mafia”. Non lo penserei mai di un deputato di questo Parlamento e, quindi, lo escludiamo. Non intendo che vi sia alcuna collusione, né alcuna - come dire - intelligenza col nemico e ci mancherebbe ancora. È però pur vero, deputato, che il pizzino di Totò Riina, quando diceva che la gran madre di tutte le battaglie della mafia è l'abolizione dell'ergastolo ostativo, è un dato di fatto.

Allo stesso modo, mi consenta di dire che stupisce la passione che il PD ha messo in questa battaglia nella difesa - devo dire onesta, sotto il vostro punto di vista - del garantismo nei confronti dei mafiosi, ma non è la stessa passione che il PD, partito che dovrebbe ereditare il partito operaista italiano, ha messo nella difesa degli over 50 che non possono andare a lavorare se non si sottopongono al vaccino. Io avrei preferito una sinistra che fa più attenzione ai lavoratori rispetto ai mafiosi.

Ma tornando al tema, Fratelli d'Italia presenterà ulteriori emendamenti a questa proposta per recuperare quanto più possibile il patrimonio di istituti giuridici nel contrasto alla criminalità organizzata, perché qui vi è un grande equivoco di fondo. Sembra che vi sia un valore tiranno nell'esecuzione della pena che è quello della rieducazione, rispetto al quale tutti gli altri valori dell'esecuzione della pena devono essere fatalmente recessivi.

Noi riteniamo, invece, che un legislatore accorto debba contemperare vari valori, nessuno dei quali ha una preminenza costituzionale. Certamente vi è anche quello della rieducazione - e ci mancherebbe ancora; chi vi parla è un avvocato penalista -, ma è altrettanto vero che, soprattutto con il fenomeno mafioso, Fratelli d'Italia vuole e pretende che quel valore della rieducazione sia contemperato con il valore social-preventivo, col valore della sicurezza della società, col valore punitivo nei confronti del mafioso, senza se e senza ma e senza alcun gargarismo garantistico, che non appartiene alla cultura della destra, nei confronti della criminalità organizzata.

Ancora, mi chiedo come sia possibile anche solo ipotizzare che quel fenomeno così vischioso che è la criminalità organizzata possa far tralucere elementi di rescissione di ogni rapporto di resipiscenza e di rieducazione del condannato se quel condannato o quell'istante non offre spunti investigativi; o ancora come qualcuno in quest'Aula possa davvero credere che il mafioso non abbia sempre e comunque spunti investigativi da dare. Il mafioso non ha occasionalmente fatto una rapina con uno di cui può dire: “L'ho conosciuto la sera prima al bar e abbiamo deciso di fare una rapina. Non so chi è il cugino che gli ha riciclato il denaro”. Il mafioso è un fatto diverso: ha sempre spunti investigativi da offrire. Ma tant'è!

Nella fase terminale di quella che, secondo Fratelli d'Italia, è un'aggressione all'ergastolo ostativo, la Corte costituzionale - e noi ci dobbiamo inginocchiare anche quando non lo rispettiamo, come nel caso di specie - ha ritenuto che non sia più accettabile negare i benefici e non sia più accettabile negare la retrocessione dell'ergastolo ostativo, ritenendo come presunzione di pericolosità sociale quella del mafioso che non collabora. Però, non dice esattamente quello che abbiamo detto in quest'Aula. Infatti, la Corte costituzionale dice che è illegittima la presunzione iuris et de iure; è illegittima la presunzione assoluta ed invincibile di pericolosità sociale.

Allora, un legislatore, che prendendo atto della lettura di quella sentenza, ha pulsioni garantistiche, che io - lo dico francamente - non avverto nei confronti della mafia, ne approfitterà per raccontare che il mafioso può non offrire spunti investigativi e una volta che ha dato prova di un percorso rieducativo, che poi, tradotto, vuol dire che non ha bruciato il materasso, che non ha accoltellato il concellino e che non ha accoltellato l'agente della polizia penitenziaria, ebbene in quel caso il mafioso allora ha intrapreso un percorso di risocializzazione.

L'altra visuale con la quale si può legittimamente leggere ciò che dice la Corte costituzionale è quella di destra. Ebbene, tu mi dici che non puoi più ritenere iuris et de iure la presunzione di pericolosità sociale di chi non collabora e io flagello il mafioso di presunzioni iuris tantum, come chiedeva Fratelli d'Italia, che lui può vincere solo con la prova a suo carico, perché, vedete, la finalità rieducativa della pena, che è nel cuore della destra, deve però essere contemperata con le esigenze di sicurezza della collettività e con le esigenze social-preventive e la valutazione prognostica che è tenuto a fare il giudice ha bisogno di azzanchi probatori seri che ne uniformino la valutazione.

Allora, ci chiediamo onestamente perché, quando Fratelli d'Italia proponeva che a riscontro delle allegazioni dell'istante volte ad ottenere i benefici il magistrato di sorveglianza può valutare anche altri profili come il perdurare dell'operatività del sodalizio criminoso, ciò non può e non deve essere valutato. Ma se il sodalizio criminoso è ancora in vita, il medesimo, evidentemente è più probabile che il mafioso ancora vi appartenga che se, viceversa, fosse stato disarticolato. Poi il profilo criminoso del criminale, del detenuto, dell'internato e la sua posizione all'interno dell'associazione criminale: tanto più io sarò in una scala gerarchica elevata all'interno dell'associazione criminale tanto più avrò spunti investigativi da offrire e tanto più, se non li offro, vorrà dire che non vi è alcuna vera resipiscenza.

Chi ce l'ha il metro della resipiscenza? Chi ce l'ha il metro del vero pentimento? Chi ce l'ha il metro della volontà di rescindere ogni rapporto con la criminalità al di là delle proclamazioni e delle intenzioni? Nessuno, ma ci sono degli indici sintomatici che noi volevamo introdurre.

La capacità eventualmente manifestata nel corso della detenzione di mantenere i rapporti con l'originaria associazione criminale: ma perché non deve essere valutata? Alla sopravvenienza di nuove incriminazioni, eventualmente, nuovamente di tipo mafioso: ma perché non devono essere valutate? Al rapporto economico intrattenuto ancora con la famiglia, alla valutazione patrimoniale dei beni della famiglia e in relazione alla capacità reddituale della famiglia, perché è evidente che se, per esempio, la famiglia del mafioso è fatta di percettori di reddito di cittadinanza e hanno tre ville in centro, un problema c'è! E noi vogliamo che non esca dal carcere: sì, noi vogliamo che non esca, perché abbiamo più di un milione di fondati motivi per ritenere che l'eventuale proclamata resipiscenza sia una dichiarazione di intenti utilitaristica solo volta ad uscire.

Ancora, poi, per le anime più pie e più belle del garantismo, anche nei confronti dei mafiosi, ci chiediamo perché non sia stata accolta un'altra proposta, oggetto della proposta di legge di Fratelli d'Italia e poi oggetto degli emendamenti. Ma davvero vogliamo ritenere che il magistrato di sorveglianza non possa, per la denegata e non sperata ipotesi che il beneficio venga concesso, prescrivere, fornire, elencare altre prescrizioni e limitazioni al mafioso idonee ad escludere il pericolo di ripristino dei collegamenti con le attività criminali? Che cosa c'è di antigarantistico? Cioè, io ritengo, sul tuo solo proclamato pentimento, che tu effettivamente ti si sia pentito. Vi segnalo che ha già capito che la vita non funziona così mia figlia Greta di 14 anni quando litiga per la merendina a scuola; l'ha già capito lei. Ma noi facciamo finta che sia così con la mafia: si è dichiarato pentito, allora è pentito. Per quale motivo, però, questo Parlamento esclude la proposta di Fratelli d'Italia volta a consegnare la possibilità ampia al magistrato di sorveglianza di un flagello di prescrizioni idonee a scongiurare, una volta che lo avete rimesso in libertà, che possa ripristinare il collegamento con l'attività criminale del passato? Cosa vi spaventa? E, ancora, perché non deve essere un onere probatorio addossato al mafioso quello di dimostrare l'assenza di ogni collegamento attuale con l'ambiente criminale? Perché il non collaborante non deve specificare perché non ha collaborato? Perché non dobbiamo addossare all'istante detenuto mafioso la prova dell'assenza di un pericolo di ripristino con gli ambienti criminosi, qualora venga riposto in libertà? Perché la prova della risocializzazione del detenuto non deve essere valutata anche per il tramite del risarcimento integrale della vittima, anche per il tramite del patrimonio della famiglia, se quel patrimonio della sua famiglia non è sostenuto da un reddito reale della famiglia? Perché abbiamo paura di questo? Perché abbiamo paura di flagellare di presunzioni iuris tantum, con onere probatorio rafforzato in capo all'istante mafioso, la possibilità che colui che, neanche dopo essersi pentito, decide di non collaborare - non si sa bene perché - pur avendo sempre elementi?

Mi piacerebbe, se questo Parlamento non fosse vuoto, provare a dire: “alzi la mano chi crede che un detenuto non abbia sempre la possibilità di dare spunti investigativi”. Qui stiamo dicendo che non è così e allora facciamo la finzione: andiamo avanti! Ma, se è così, perché non dobbiamo dire che il mafioso e tutta la sua famiglia, qualora il patrimonio non sia sorretto adeguatamente dal reddito la famiglia, debbono aver prima risarcito la vittima?

Perché non possiamo dire che il mafioso deve dare la prova dell'assenza totale di ogni collegamento attuale con la criminalità organizzata? Perché non dobbiamo dire che spetta al mafioso provare l'assenza del ripristino di collegamenti? Perché non possiamo dire che debbono essere valutati da parte del giudice anche altri elementi, per esempio: con chi faceva i colloqui in carcere? Quali erano le disponibilità economiche in carcere? Quali siano le disponibilità economiche fuori dal carcere?

Vedete, tutte queste domande non se le fa solo Fratelli d'Italia, se le fanno i cittadini: destra, centro e sinistra; qui non c'è garantismo che tenga. Nella lotta alla mafia, i cittadini non comprendono gargarismi di natura garantistica, non comprendono - scusatemelo - la passione della collega Bruno Bossio del PD, che si stracciava le vesti per il fine pena mai. Comprendono che il mafioso può uscire solo se ha offerto spunti investigativi, oppure solo se è veramente pentito, se vi è una vera resipiscenza e che, anche quando esce, lo Stato lo deve controllare a vista per impedire che possa danneggiare ancora la società. Io ho la fortuna di abitare nel profondissimo Nord, ma se io avessi vissuto in terre flagellate nel merito, nella speranza, nel futuro, dalle associazioni criminali, non avrei proprio piacere di veder tornare il signorotto che mi ha rubato tutto nella mia città, pur non avendo collaborato, perché si è pentito e, tutto sommato, in carcere non ha bruciato il materasso e non ha accoltellato l'agente della polizia penitenziaria. No, non crederei che sia pentito - ve lo dico con sincerità -, non mi sentirei più sicuro nuovamente nelle mie terre; mi sembrerebbe che la mafia abbia vinto e, se la dobbiamo leggere come la leggeva Totò Riina, la mafia ha vinto, se succede, perché era la battaglia delle battaglie di Totò Riina quella contro l'ergastolo ostativo.

Allora, ve lo diciamo con franchezza. È un primo passo, è una prima risposta ad un intervento che, altrimenti, rischierebbe di diventare demolitorio da parte della Corte costituzionale, ma non basta. La sfida l'ha già fatta Giorgia Meloni, che ha depositato - mi rivolgo ai deputati che non hanno rapporti pruriginosi con il garantismo anche in relazione ai mafiosi - una proposta di legge che dice che la funzione della pena, oltre ad essere rieducativa, deve essere quella social-preventiva, in Costituzione. Perché tutto nasce da lì, dalla malmetabolizzata, alla ancor più maldigerita, ancor più male interpretata funzione rieducativa della pena, che è un valore assoluto, ma che se è disgiunta da un reale pentimento, dalla dimostrazione di aver rescisso ogni legame, di non disconoscere gli agiti criminali, di intraprendere un percorso di risocializzazione, allora quella funzione rieducativa della pena diventa una maschera pirandelliana con la quale ottenere benefici immeritati.

Allora, abbiamo detto che in Costituzione introduciamo che la pena, come è normale che sia, non ha una funzione tiranna e tutte le altre diventano recessive: ha anche la funzione rieducativa; poi avrà quella social-preventiva, poi avrà quella retributiva, poi avrà quella punitiva e, nei confronti delle società criminali, delle associazioni criminali, della mafia, probabilmente, l'accento bisogna metterlo su quella social-preventiva.

Quindi, con questa dichiarazione generale, Fratelli d'Italia vuole dire che voterà questo primo passo, timido, claudicante, insufficiente, ma che è un primo passo e una prima risposta.

Lo voterà, pur presentando tutti i suoi emendamenti che, sintetizzando, sono volti a porre un flagello di presunzioni sul mafioso che potrà vincere, solo lui, con la prova contraria, con onere probatorio rafforzato e gli altri emendamenti volti a consentire ai magistrati di sorveglianza di flagellare i mafiosi che, eventualmente, avessero ottenuto i benefici di prescrizioni, perché sia certo che non possano più nuocere alla società. Ma la grande sfida che abbiamo lanciato con Giorgia Meloni è stata la proposta di legge modificativa dell'articolo costituzionale riguardante la funzione delle pene, perché da lì è partita l'aggressione all'ergastolo ostativo, da quel mal interpretato articolo che parla della funzione rieducativa, anche con riferimento all'interpretazione malevola per cui sarebbe solo quella rieducativa la funzione della pena, mentre ve ne sono tante altre; perché io mi privo della mia libertà di vendetta, delegando allo Stato la giustizia, ma io da quello Stato voglio prima retribuzione e, se poi è possibile, rieducazione.

E' esattamente così che nasce la giustizia: mi privo io del diritto di fare vendetta da me, perché esco dallo stato di natura ed mi organizzo lo Stato; conferisco allo Stato quel diritto in nome e per conto mio, ma io ne voglio anche la funzione retributiva, voglio quella social-preventiva - non voglio che accada facilmente di nuovo, almeno da parte della stessa persona - e poi anche quella rieducativa.

Che questa sia una battaglia che accomuni tutti coloro che, prima di essere appassionati dei diritti dei mafiosi, sono appassionati dei diritti delle vittime, che prima di chiedersi quanti diritti ha un mafioso di uscire, si chiedono quanti diritti ha una società di difendersi, che prima ancora di chiedersi quanto sarebbe sincero il pentimento, si chiedono quanto sono state flagellate, mortificate, umiliate, inginocchiate intere terre, nonché il merito, il futuro, la gioventù, la speranza.

E' con questo auspicio che abbiamo presentato una proposta di legge, presentiamo gli emendamenti, nonché una riforma di natura costituzionale, a prima firma Giorgia Meloni, perché è pur vero, deputato Bossio, che nessuno di noi pensa che lei possa essere accusata di fare il gioco delle mafie, ma sappiamo con altrettanta certezza che Totò Riina indicava nella battaglia contro l'ergastolo ostativo la gran madre di tutte le battaglie della mafia contro lo Stato. Allora, già solo per questo Fratelli d'Italia sa da che parte stare: da parte di coloro che sanno che il nemico frontale sono i Totò Riina e non lo Stato che inginocchia i Totò Riina (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferri. Ne ha facoltà.

COSIMO MARIA FERRI (IV). Grazie, Presidente. E' un tema certamente importante e anche difficile. Quando si parla di questi temi, secondo me, non si può dire sia una battaglia di destra o di sinistra; ci sono tanti profili, soprattutto giuridici, di effettività della pena, ma anche un inquadramento che va inserito secondo quanto ci dicono sia la Corte costituzionale sia la Corte dei diritti dell'uomo. Ho ascoltato gli interventi dei colleghi; è un testo votato in Commissione all'unanimità, quindi è un testo che ha trovato un punto di equilibrio tra le varie diversità; ha trovato una sintesi tra non poche difficoltà, come emerso già oggi in questi primi interventi.

All'epoca del Governo Renzi e del Ministro Orlando, lavorammo sugli stati generali dell'esecuzione penale e voglio riportare in questa sede i titoli di tavoli tematici - novità appunto del Governo Renzi e del Ministro Orlando - predisposti per affrontare tematiche e avviare un approccio culturale diverso. Questo, infatti, è un tema di visione, di effettività della pena, ma anche di rendere conoscibili all'esterno i tanti problemi e le difficoltà del mondo carcerario per quanto riguarda ciò che avviene all'interno delle carceri.

Ricordo i titoli di questi tavoli: tavolo 1- Spazio della pena: architettura e carcere; tavolo 2 - Vita detentiva. Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e sicurezza; tavolo 3 - Donne e carcere; tavolo 4 - Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze; tavolo 5 - Minorenni autori di reato; tavolo 6 - Mondo degli affetti e territorializzazione della pena; tavolo 7 - Stranieri ed esecuzione penale; tavolo 8 - Lavoro e formazione; tavolo 9 - Istruzione, cultura e sport; tavolo 10 - Salute e disagio psichico; tavolo 11 - Misure di sicurezza; tavolo 12 - Misure e sanzioni di comunità; tavolo 13 - Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato; tavolo 14 - Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali; tavolo 15 - Operatori penitenziari e formazione; tavolo 16 - Trattamento. Ostacoli normativi all'individualizzazione del trattamento rieducativo; tavolo 17 - Processo di reinserimento e presa in carico territoriale; tavolo 18 - Organizzazione e amministrazione dell'esecuzione penale.

Perché ho voluto elencare questi 18 tavoli? Per farne capire la complessità a quest'Aula e, tramite lei, a tutti, Presidente. Allora, questo lavoro, fatto in maniera egregia, coinvolgendo giuristi, società civile, mondo penitenziario e giudici costituzionali, merita una riflessione per far capire alla società, ma anche all'interno della giurisprudenza, dell'accademia, la complessità, la difficoltà, il terreno su cui ci si debba muovere. Questo lavoro non può essere accantonato, anche quando si parla di questi temi, di ergastolo ostativo; con riferimento all'elencazione dei tavoli, magari qualcuno può aver pensato cosa c'entri l'ergastolo ostativo. Ci sono dei riflessi al riguardo; è un lavoro necessario per capire la complessità dell'argomento. Abbiamo sempre criticato i Governi che si sono succeduti al Governo “Conte” e “Conte 2”, quando il Ministro Bonafede non ha mai voluto fare tesoro di questo lavoro. Sono visioni diverse. Allora, non basta avere l'idea di una battaglia, di una medaglia da portare avanti, o di una lotta con slogan; occorre approfondire.

In questi giorni, c'è di nuovo la polemica a proposito del capo dell'amministrazione penitenziaria, proposto dalla Ministra Cartabia; al riguardo, in passato, il Ministro Bonafede non ha mai spiegato il motivo per cui non sia stato nominato un collega come Di Matteo che, su questi temi, si è sempre battuto e ha sempre lavorato con grande serietà. All'inizio, fu scelto di proporlo per poi accantonarlo. Oggi viene proposto un modello di magistrato giudicante della sorveglianza; sono, quindi, colleghi di grande professionalità, ma non è questa la sede per parlarne, solo far capire la questione in termini di visione, in un dipartimento delicato, come quello dell'amministrazione penitenziaria che, a volte, presenta visioni diverse, anche con riferimento a chi deve andare a guidare questi dipartimenti.

Su questo, noi che abbiamo votato in Commissione questo provvedimento, chiediamo alla Ministra Cartabia di avere una visione nel momento in cui si affrontano questi temi, di dare un indirizzo, perché, da una parte, se si dà un segnale nel nominare a capo dipartimento un collega che proviene dalla sorveglianza, che ha un'esperienza nella Corte di cassazione, che ha firmato provvedimenti importanti, allora su questi temi così scivolosi e spinosi, come quello dell'ergastolo ostativo, si devono avere una linea e una coerenza di visione, proponendolo.

Quindi, anche laddove si vanno a toccare questi temi in concreto - ho fatto l'esempio del dipartimento non per fare alcun tipo di polemica -, però ci sono due visioni che devono trovare riscontro nel momento in cui si prende una posizione. In questo caso, il legislatore ha trovato una sintesi e un equilibrio che però lasciano alcuni vuoti, anche dal punto di vista giuridico, che sono stati evidenziati.

Per non ripetere alcuni passaggi della relazione del presidente della Commissione giustizia, che ha elencato le modifiche, chiedo l'autorizzazione a depositare il testo scritto. Voglio evidenziare tuttavia alcuni profili, che rimangono nella discussione, anche in sede di esame degli emendamenti, che la stessa Corte costituzionale ha indicato: per esempio, il tema della “presunzione di pericolosità sociale del condannato all'ergastolo” (sono passaggi della Corte costituzionale), “che non collabora, pur non più assoluta (…)”, continua la Corte nell'ordinanza n. 97 del 2021, che è stata già citata. Ecco, rispetto a questa argomentazione della Corte, la proposta inserisce la previsione di elementi ulteriori ai fini della verifica. Quindi, sussiste un obbligo di allegazione di elementi tali da dimostrare l'esclusione di attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, nonché il pericolo di ripristino, ma tale obbligo di allegazione, dal quale scaturisce la doverosa cooperazione istruttoria d'ufficio, diventa onere di prova contraria nel caso in cui, dall'istruttoria e, in particolare, dai pareri delle procure, che sono previsti dalla legge, così come disciplinati al comma 2, emergano indizi di attuale sussistenza, ovvero del pericolo di ripristino. Quindi, qui c'è un tentativo - così come la Corte ha richiamato - di prevedere una presunzione relativa e, quindi, un onere di allegazione, comunque, con i pareri anche della procura, e l'onere, contemporaneamente, di allegare questi fatti; c'è questo contraddittorio tra procura e chi presenta la domanda che va verificato. E, alla fine, questo è un po' un limite di questo provvedimento: segue, sì, l'istruttoria e la giurisprudenza dei magistrati di sorveglianza e della Corte di cassazione, ma si lascia al giudice l'interpretazione, come al solito. Quindi, il legislatore dà delle linee ma, di fatto, sarà l'interprete, il giudice, a stabilire in concreto se sia approvato o meno questo onere di allegazione e a verificarlo con paletti che, al di là degli aggettivi indicati nel testo, lasciano un ampio spazio all'interprete. Questi aspetti vanno sottolineati. Infatti, quando si rimetterà al magistrato la decisione in concreto, è chiaro che, a seconda della decisione che prenderà quel magistrato, troppo facile sarà la critica in un senso o nell'altro, quando, in questo momento, il legislatore, sì, introduce aggettivi per verificare questo onere di allegazione, ma, di fatto, lascia alla giurisprudenza e alla giurisdizione la possibilità di valutare.

Queste cose dobbiamo dircele, altrimenti sembra che si faccia una legge con gli slogan: chi ha una linea più dura, chi meno dura, chi più rieducativa, e tutti ci nascondiamo dietro l'articolo 27 della Costituzione sulla rieducazione o sul tema della giustizia riparativa. Ma non possiamo limitarci solo agli slogan; queste cose dobbiamo dircele, perché non si tratta di una battaglia di destra, di sinistra o di centro, ma di aspetti che riguardano il tema costituzionale, il tema dell'effettività della pena e anche il tema del giudice-interprete.

In questo senso, vorrei evidenziare un altro aspetto relativo agli slogan, che vengono contenuti e che abbiamo votato tutti (però dobbiamo dircelo che son così), e riguarda l'innalzamento a 30 anni per accedere alla liberazione condizionale della pena, attualmente sono 26 anni; il termine per beneficiare della liberazione condizionale, in caso di ergastolo, viene portato a 30 anni, rispetto ai 26 attuali, due terzi per le pene temporanee. Ma dobbiamo considerare che tale previsione normativa dev'essere applicata alla luce della sentenza n. 32 del 2020 della Corte costituzionale la quale, riguardo alle misure finali, ritiene che debba applicarsi il divieto di irretroattività. Quindi, per quanto riguarda il termine di 30 anni che introduciamo oggi nell'ambito della liberazione condizionale della pena, dobbiamo dire a chi si applicherà, perché poi sentirò qualcuno che lo dice, mettendosi la medaglia di chi tecnicamente può dire “questo è un risultato”, mentre noi dobbiamo dire ai cittadini a chi si applicherà questa norma, perché bisogna essere onesti intellettualmente. Faccio questa critica dal punto di vista non tanto del merito, ma della forma, perché ritengo che su questi temi non ci debba essere ipocrisia, non ci debbano essere bandierine, ma si debba lavorare per arrivare a quell'equilibrio tra i valori costituzionali, l'effettività della pena e la rieducazione, ma anche la possibilità di inserirli in un sistema giuridico che tenga.

Questo termine di 30 anni, alla luce della sentenza che ho citato, varrà solo per ergastoli comminati in relazione a fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge, quindi quasi tutti gli ergastolani ostativi di cui parliamo attualmente (e penso ai reati di mafia degli anni Novanta), hanno maturato il termine trentennale. Questo va detto. Si applicherà per il futuro. Si tratta, quindi, di una norma che ha un valore simbolico. Va bene, basta dirlo: facciamo una norma che abbia un valore simbolico e che si applicherà dall'entrata in vigore. Questi temi bisogna sottolinearli, proprio per evitare la strumentalizzazione di un provvedimento che ritengo importante, che meritava e che merita, secondo me, un approfondimento. È per questo motivo che ho iniziato il mio intervento sul tema degli Stati generali dell'esecuzione penale, perché non è così semplice indicare la strada giusta e come raggiungere quell'equilibrio.

L'altro tema di cui si è già parlato e che rimane aperto è il seguente: si è fatta una scelta, e anche noi, come gruppo di Italia Viva, abbiamo votato, arrivando a questo punto di equilibrio; però rimane il problema giuridico perché è un problema giuridico, ma anche di rapporto, perché c'è chi dice ‘abbiamo rispettato il dettato costituzionale' e chi dice ‘no, in realtà, manca e c'è questa lacuna'. Questo è un tema che rimane comunque aperto e riguarda il mancato riferimento alla collaborazione impossibile o irrilevante, che determinerebbe un vulnus normativo del tutto illogico e irragionevole. Quindi, in sostanza, riduciamo le possibilità a un sistema binario: collaborazione piena-assenza di soglie di pena, mancata collaborazione-soglie di pena e meccanismi probatori descritti nella norma. Al di là di come la normativa andrà a incidere sulle vicende in corso - anche qui c'è un problema di retroattività - , pare che questa norma, questo va detto per onestà, possa trascurare l'insegnamento della Corte costituzionale nella sentenza n. 20 del 2022, che reputa legittimo distinguere tra chi rimane silente per sua scelta, potendo oggettivamente collaborare, e chi, invece, rimane silente suo malgrado, volendo soggettivamente collaborare, ma non potendo oggettivamente.

Quindi, questo è un tema che rimane aperto.

Così come, ai fini della concessione dei benefici, il giudice di sorveglianza, cito tra virgolette, “accerta altresì la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie, che in quelle della giustizia riparativa”; e, quindi, sembrerebbe un requisito obbligatorio, questo passaggio, ma è talmente ampio da far comprendere tutto, dalla famosa lettera all'offerta di denaro. Insomma, si rischia un'ulteriore strumentalizzazione della vittima, senza aggiungere nulla alla valutazione del percorso di risocializzazione post reato del condannato. Ancora una volta dobbiamo ripeterci che non basta giustizia riparativa, ma occorre anche riempirla di contenuto e trovare la giusta indicazione. Inoltre, vi è un altro punto che, secondo me, il dibattito dovrà risolvere. Per quanto riguarda le verifiche dei redditi sul nucleo familiare e gli accertamenti delle condizioni reddituali, si ritiene che tali elementi che attengono alla sfera economica di soggetti appartenenti al nucleo familiare del condannato, non siano del tutto attinenti alle valutazioni da compiere nel percorso rieducativo, così come lo intende la giurisprudenza costituzionale.

Questi sono i temi che rimetto all'Aula per approfondire un dibattito certamente complesso e difficile. Tuttavia, si è votato questo testo, perché alla luce dell'udienza che ci sarà a maggio della Corte costituzionale, così come previsto dall'ordinanza, tutto quello che sia la CEDU sia la Corte Costituzionale prima, nelle sentenze che sono state già citate, imponeva ed impone un intervento del legislatore, che deve essere chiaro. Il legislatore in questo caso ne ha tenuto conto; in questa bozza ha eliminato intanto alcuni errori e problemi del testo base che era stato proposto - e quindi, secondo me, ha trovato una linea corretta dal punto di vista giuridico – e tenta di cogliere le sollecitazioni della Consulta. In alcuni punti, che rimetto allo scritto per cui ho chiesto l'autorizzazione al deposito, questo testo risolve andando in quella linea; altri punti che ho cercato di evidenziare in questo intervento, rimangono aperti, quindi possono migliorati. Ci vuole una linea. Ecco, a questo provvedimento manca, alla fine, una linea più chiara sulla posizione che vuol prendere il Parlamento. Allora, per questo facevo un richiamo a non essere ipocriti, ammettendo che è un testo votato da tutti, che, alla fine, non affronta però quei nodi; fa un passo in avanti certamente, come è stato detto, ma non risolve quei nodi, alcuni dei quali, seppur velocemente, ho cercato di condividere con voi in quest'Aula, ma che rimangono aperti.

Concludo davvero rinnovando il mio appello a tutte le forze politiche ad affrontare i temi del carcere con una conoscenza che sia effettiva. Per questo invito anche il Governo Draghi e la Ministra Cartabia a riprendere e a ripartire da quei tavoli sugli stati generali dell'esecuzione penale, perché era stato un passo in avanti nella direzione giusta, per cercare di conoscerne veramente la complessità e nel cercare senza polemica di trovare delle soluzioni. Ringrazio - e lo voglio dire in questa sede - non solo il personale della Polizia penitenziaria, gli educatori e i volontari che lavorano all'interno delle nostre strutture penitenziarie, con grande professionalità e con grande impegno, ma anche la magistratura, sia quella requirente, che oggi con questo provvedimento ha un ruolo importante nel dare i pareri, che avranno una considerazione importante nel rispetto del contraddittorio, ma ricordo anche il peso della decisione dei magistrati di sorveglianza. È stato opportuno prevedere la collegialità nella decisione, anche se - ed è un altro punto del testo che può essere, secondo me, criticato - è stato abolito il reclamo; però, è già un valore aver tenuto la collegialità, perché sono decisioni che meritano confronto, che non necessitano di solitudine, ma di confronto, di approfondimento, anche di una camera di consiglio, che possa aiutare i giudici a trovare la soluzione più idonea e quell'equilibrio tra le finalità che la Costituzione richiama.

Quindi, anche su questo è stato trovato un punto di equilibrio: “sì” alla collegialità, “no” al reclamo. Ma è molto meglio che lasciare il giudice monocratico solo di fronte a queste decisioni! Io mi auguro che su questo tema il Parlamento possa ancora una volta a scrivere una pagina importante ed attribuirsi quella responsabilità di trovare una linea, indicando quindi un percorso, senza guardare a mettersi quella medaglia oppure a citare slogan che portino a dire: “noi siamo quelli severi, gli altri son quelli che invece vogliono…”. Infatti, il tema è talmente difficile e talmente complesso che richiede un'analisi giuridica, umana, culturale e di conoscenza molto approfondita.

PRESIDENTE. Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 17,45.

La seduta, sospesa alle 17,35, è ripresa alle 17,45.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pittalis. Ne ha facoltà.

PIETRO PITTALIS (FI). Signora Presidente, signora rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, il provvedimento all'esame affronta il delicatissimo tema dell'accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti o internati condannati per i cosiddetti reati ostativi che, come noto, sono quei reati di particolare allarme sociale per i quali è precluso l'accesso ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario. Era l'anno 1992, all'indomani della strage di Capaci, quando nacque il regime dell'ergastolo ostativo per escludere dai benefici penitenziari i condannati per reati di mafia, terrorismo ed eversione che rifiutavano di collaborare con la giustizia. Furono dunque i tragici delitti di quel particolare periodo storico e la necessità di indagare su fatti di particolare importanza per il nostro Paese, soprattutto vincendo l'omertà dei condannati, a spingere il legislatore di allora verso l'attenuazione del principio rieducativo della pena, inasprendo l'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.

Il termine “ergastolo ostativo” non compare in nessuna norma, lo dico perché me lo ha chiesto uno studente di giurisprudenza. Gli ho risposto di non averlo trovato in alcuna norma. Si tratta, infatti, di un'espressione coniata dalla dottrina per indicare quei casi in cui la perpetuità della pena detentiva è irriducibile se non collaborando con la giustizia. Solo la volontà di collaborare, quindi, comproverebbe il distacco del condannato dai legami con l'associazione criminale di stampo mafioso o terroristico. A fondamento della previsione normativa dell'articolo 4-bis vi è dunque una presunzione assoluta di pericolosità del condannato che rifiuta di collaborare con la giustizia. Nel nostro ordinamento quello che viene anche definito il “fine pena mai” rappresenta l'eccezione alla regola e serve a distinguerlo dall'ergastolo comune, per il quale invece resta possibile un progressivo miglioramento del trattamento penitenziario che va di pari passo con la crescita dell'opera di rieducazione del reo.

L'ergastolo ostativo ha suscitato, e non poteva essere altrimenti, critiche a più riprese per il pericolo di vanificare proprio la finalità rieducativa della pena espressamente prevista dall'articolo 27, comma 3, della Costituzione. La questione di costituzionalità portata all'attenzione della Consulta nell'anno 2003, come è noto, venne respinta; in quella occasione i giudici delle leggi sostennero che gli ergastolani che rifiutavano di collaborare con la giustizia esercitavano una propria scelta, e non erano dunque definitivamente esclusi dai benefici. Nessun automatismo, bastava in fondo che il condannato decidesse di cambiare idea sulla volontà di collaborare con la giustizia.

Un'analoga affermazione si ritrova dopo 10 anni in una sentenza pronunciata dagli stessi giudici delle leggi, la n. 135 del 2013. Questa misura è stata però censurata il 13 giugno 2019, con una sentenza della Corte europea di Strasburgo, per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che vieta trattamenti inumani e degradanti. È la cosiddetta sentenza Viola, cui ha fatto riferimento la collega Vincenza Bruno Bossio. Secondo la CEDU non è lecito negare completamente ai detenuti la speranza di un recupero e di un reintegro nella società, dovendo invece essere garantita la possibilità di redenzione e di migliorare la propria condizione. Il Governo italiano allora sottopose la questione al riesame della Grande Camera della Corte europea, la quale ha ritenuto inammissibile il ricorso dell'Italia contro l'abolizione dell'ergastolo ostativo. Una sentenza storica, che conferma la condanna contro l'Italia. L'ergastolo ostativo viola la dignità umana, e per questo va riformata la legge, spiega la Corte di Strasburgo nel respingere il ricorso presentato dallo Stato italiano. L'Italia deve riformare la legge sull'ergastolo ostativo che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. Quel “fine pena mai”, spiega ancora la Corte CEDU, è lesivo per i condannati.

A meno di un mese dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani, anche la Corte costituzionale si pronunciò sulla questione dell'ergastolo ostativo, dichiarando l'illegittimità dell'articolo 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità della partecipazione all'associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, sempre che ovviamente il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.

In virtù della pronuncia della Corte, la presunzione di pericolosità sociale del detenuto non collaborante non è dunque più assoluta, ma diventa relativa, e può essere pertanto superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del carcere, nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla procura antimafia o antiterrorismo al competente comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Ed è evidente che il nodo su cui la Corte costituzionale si è trovata a discutere è quello che riguarda i principi di ragionevolezza della pena e della finalità rieducativa della detenzione che, secondo la Corte europea, vengono negati con la condanna all'ergastolo ostativo. La questione, come è noto, è stata riproposta nel 2020 dalla Corte di cassazione con l'ordinanza del 3 giugno 2020, n. 18518, in relazione questa volta non ai condannati all'ergastolo per qualsiasi reato compreso nell'elenco di cui all'articolo 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario, bensì specialmente ai condannati per reati di mafia e di contesto mafioso. Reati che rappresentano il nucleo di una categoria che, sotto la spinta dell'allarme sociale, è andata progressivamente ampliandosi nelle direzioni più svariate, perdendo ogni connotato di coerenza interna. Più precisamente, la Corte di cassazione ha chiamato la Corte costituzionale a pronunciarsi sulla legittimità degli articoli 4-bis e 58-ter della legge n. 354 del 1975 e dell'articolo 2 del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che il condannato all'ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni ivi previste e che non abbia collaborato con la giustizia possa essere ammesso alla liberazione condizionale.

La risposta della Corte costituzionale è arrivata con l'ordinanza n. 97 dell'11 maggio 2021, ed è stata una risposta ben diversa da quella del 2003. La Corte non è entrata nel merito, ma ha disposto il rinvio della trattazione al prossimo maggio 2022, dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia.

Ho voluto brevemente ripercorrere l'iter perché non passi il messaggio sbagliato che c'è qualcuno che sta facendo qualcosa per favorire i mafiosi o le organizzazioni criminali. Noi siamo nell'ambito di uno Stato di diritto e il Parlamento si deve porre legittimamente e fondatamente il problema di come disciplinare un aspetto delicatissimo dove possiamo avere anche idee diverse, ma qui non si tratta di favorire qualcuno o di fare qualcosa in danno di qualcun altro, ed è a questo input, a questa sollecitazione della Consulta, che il Parlamento ha il dovere di dare adeguata risposta e con questo provvedimento, che rappresenta una sintesi delle variegate posizioni espresse dalle forze politiche che hanno adottato un testo base, sul quale si è sviluppato un proficuo confronto, sotto la regia del presidente della Commissione giustizia, riteniamo di dover adempiere ad un nostro preciso dovere, anche per non lasciare vuoti legislativi o, ancor peggio, ad evitare la supplenza della funzione legislativa. Non senza difficoltà, a fronte di sensibilità e opinioni divergenti, lo sforzo comune è stato quello di operare un difficilissimo bilanciamento di opposti interessi nel quadro, sempre, del contrasto alla criminalità organizzata e delle connesse esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva a fronte dell'ancora radicato fenomeno della criminalità mafiosa.

Noi di Forza Italia siamo fortemente convinti di non abbassare la guardia nel contrasto al fenomeno delle criminalità organizzate, ma nel contempo, in ossequio al dictum della Consulta che ha censurato il carattere assoluto della presunzione di pericolosità sociale dei condannati non collaboranti, siamo chiamati a dare una risposta e la migliore risposta non può che essere quella di restituire alla magistratura di sorveglianza il ruolo di valutare di fatto il percorso carcerario del condannato, dopo il lungo tempo di espiazione della pena richiesto ai fini dell'ammissione ai benefici penitenziari.

Tramite le nostre numerose proposte emendative abbiamo dato un fattivo contributo rispetto all'originario testo base adottato in Commissione che a noi, ma non solo a noi, pareva ben lontano dai parametri indicati nelle diverse pronunzie susseguitesi nel tempo della Corte costituzionale. Fra le modifiche proposte con i nostri emendamenti, poi confluite nel testo oggi all'esame, credo che sia fondamentale l'aver rinnovellato integralmente il contenuto del comma 1-bis dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, introducendo una disciplina che ci pare più consona e in sintonia con i parametri indicati dalla Corte costituzionale ed, in particolare, la necessità di superare quella presunzione assoluta secondo la quale l'appartenenza dell'autore alla criminalità organizzata o il suo collegamento con la stessa debba, in assenza di collaborazione, eternamente costituire un indice di pericolosità sociale incompatibile con l'ammissione ai benefici penitenziari extra murari.

In particolare, si è avuto riguardo all'effettivo esito positivo del percorso risocializzante del detenuto, il quale potrà accedere ai benefici anche in assenza di collaborazione con la giustizia, ove dimostri di avere adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento. Il condannato dovrà altresì allegare elementi specifici che consentano di escludere l'attualità dei collegamenti con il sodalizio mafioso, terroristico o eversivo ovvero con il contesto nel quale il reato è stato commesso e il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.

Abbiamo poi specificato che gli elementi che l'istante dovrà allegare per ottenere l'accesso ai benefici dovranno essere diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza. Il magistrato di sorveglianza dovrà tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Si sono valorizzate, infine, le iniziative del condannato a favore delle vittime, oltre che nelle forme risarcitorie, in quelle della giustizia riparativa.

Credo che queste nuove disposizioni consentano di far rientrare l'ergastolo ostativo compatibile tanto con i principi costituzionali quanto con quelli della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Credo che, al contempo, non si sia affatto distolta l'attenzione sull'estrema pericolosità sociale dei reati sottesi alla disciplina ostativa, in particolare in relazione ai reati di associazione a delinquere di stampo mafioso che sono, purtroppo, tutt'altro che risolti e che, come abbiamo avuto modo anche di valutare in precedenti dibattiti, con la crisi economica connessa alla pandemia e alle ingenti risorse fornite dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, sono più che mai attivi e pericolosi.

Siamo di fronte, colleghe e colleghi, a una questione che sottende tematiche assai complesse che ritengo siano state, dunque, affrontate con quell'equilibrio assolutamente necessario nel salvaguardare esigenze di tutela della collettività, evitando di indebolire il sistema di contrasto della mafia e delle organizzazioni criminali non tralasciando, però, il problema, appunto, che ha sottoposto alla nostra attenzione la Corte costituzionale.

Un ultimo aspetto che a nostro avviso può porre qualche problema è la ridefinizione della misura delle pene da scontare prima di accedere ai benefici, da 26 a 30 anni, perché, a nostro avviso, in base ai principi affermati dalla Corte, le modifiche o vengono applicate ai reati commessi dopo l'entrata in vigore della nuova legge o ricadrebbero in una inevitabile incostituzionalità.

Come ricorda la Corte costituzionale in motivazione, disposizioni come quelle che si vorrebbero introdurre rischiano anche di venire censurate dalla CEDU, la quale ha ribadito che in linea di principio le modifiche alle norme sull'esecuzione della pena non sono soggette al divieto di applicazione retroattiva di cui all'articolo 7 CEDU, eccezion fatta, però, per quelle che determinino una ridefinizione e modificazione della portata applicativa della pena imposta dal giudice. Altrimenti - ha osservato la Corte - gli Stati resterebbero liberi, ad esempio modificando la legge o reinterpretando i regolamenti esistenti, di adottare misure che retroattivamente ridefiniscano la portata della pena imposta in senso sfavorevole per l'interessato. Ove il divieto di retroattività non operasse in tale ipotesi - conclude la Corte - l'articolo 7 CEDU verrebbe privato di ogni effetto utile per i condannati nei cui confronti la portata delle pene inflitte potrebbe essere liberamente inasprita successivamente alla commissione del fatto.

Ecco, con questa riflessione, ma aggiungo anche con tutto ciò che è emerso dal dibattito e anche dalle osservazioni di cui ho preso appunti, fatte anche dalla collega Bruno Bossio, penso che si possa ulteriormente nel proseguo dei lavori che vedrà questo provvedimento nell'altra ala del Parlamento, cioè al Senato, eventualmente recuperare qualche punto che sicuramente merita una maggiore riflessione.

Ritenendo comunque di aver fatto un buon lavoro, ringraziando in questo anche il presidente della Commissione giustizia che ha coordinato, e non era un compito semplice, tutte le diverse istanze da parte di tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione, quindi, con questo spirito di collaborazione, ci apprestiamo, mi auguro, nella corrente settimana ad esitare questo provvedimento tanto atteso.

Ciò, non solo perché c'è un input in questo senso della Corte costituzionale, ma anche perché c'è un'attesa da parte di tutti gli operatori e di tutti gli interessati e perché c'è stato un lavoro davvero molto particolare anche nella fase dell'istruzione, con le audizioni che abbiamo sentito. Quindi, c'è attesa e mi pare che sussistano tutte le condizioni per una sua celere approvazione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giulia Sarti. Ne ha facoltà.

GIULIA SARTI (M5S). Grazie, Presidente. Siamo qui per discutere una proposta di legge che avrà un'importanza fondamentale nel contrasto alle mafie nei prossimi anni, nel rispetto, ovviamente, delle decisioni che sono state prese prima dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e poi dalla nostra Corte costituzionale, in particolare con l'ordinanza n. 97 del 2021 sull'accesso alla liberazione condizionale che ha lasciato al Parlamento la possibilità di intervenire entro un anno. Quindi, la prima cosa importante da ribadire è che noi non possiamo sprecare questa occasione e speriamo davvero di poter adempiere a questo compito. È importante ribadire che vogliamo approvare questa legge in via definitiva entro il 10 maggio 2022 per rispettare le prescrizioni che ci sono state date dalla Corte costituzionale.

È per questo che come MoVimento 5 Stelle ci siamo mossi immediatamente. Abbiamo sempre posto all'attenzione questo tema come prioritario e abbiamo depositato una proposta di legge, a prima firma del collega Vittorio Ferraresi. Abbiamo lavorato tutti insieme, in Commissione giustizia, proprio perché l'obiettivo deve essere quello di arrivare ad un testo che sia il più possibile condiviso. Potremmo fare dei correttivi, potremmo continuare questa discussione anche durante l'esame degli emendamenti qui in Aula, ma dobbiamo dirci, tutti insieme, che l'obiettivo è quello di arrivare ad un testo che sia condiviso il più possibile da tutte le forze politiche. È ancora più importante parlare oggi di questa riforma perché il 2022 è l'anno in cui si celebrerà il trentennale dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio.

Allora, non possiamo, anche per questo motivo, farci trovare impreparati. Oggi è ancora importante parlare della riforma di questa legge perché sappiamo benissimo che cosa implicheranno nel nostro Paese i fondi del PNRR e sappiamo benissimo, perché ce lo dicono i rapporti e le relazioni della Direzione nazionale antimafia e della Direzione investigativa antimafia nonché i rapporti delle associazioni antimafia impegnate sui territori, che le mafie puntano a quei soldi, così come hanno sempre puntato ai fondi europei. Allora è proprio per questo, perché sappiamo che ancora oggi il tema delle organizzazioni criminali di stampo mafioso è attuale che non si può delegare come subordinato ad altro, ma deve rimanere centrale nelle nostre azioni. Quei soldi dovranno sì essere spesi bene, ma soprattutto dovranno essere controllati, perché per garantire una ripresa economica e sociale del nostro Paese occorrerà adottare tutte le misure necessarie per controllare, appunto, tutto quel flusso di denaro. Sappiamo che oggi le mafie sono cambiate, che si muovono e passano attraverso i reati economici, i reati finanziari e i reati tributari. Sappiamo che passano attraverso metodi corruttivi, sappiamo che non c'è più soltanto l'intimidazione e sappiamo che il condizionamento di tanti settori della nostra economia legale passa attraverso metodi che non sono più quelli che venivano adottati tanti anni fa. Quindi, proprio per questo motivo, Presidente e colleghi, è importante non abbassare la guardia e ribadire l'attenzione che passa anche attraverso una legge come questa, soprattutto attraverso una legge come questa sull'ergastolo ostativo e non solo.

Voglio dire poi, prima di passare all'esame del contenuto di questa proposta di legge, che c'è un dato che è importante ricordare, ovvero l'importanza della collaborazione con la giustizia. Sui collaboratori di giustizia si è detto tantissimo in questi anni, si è fatto tanto ma, checché se ne pensi, è ovvio che - ed è la storia che ce lo dimostra - i collaboratori di giustizia sono stati fondamentali per arrivare al cuore delle organizzazioni criminali di stampo mafioso e sono stati fondamentali nel contrasto alle mafie e al terrorismo nel nostro Paese. Questo ce lo ricorda anche l'ordinanza n. 97 della Corte Costituzionale (badiamo bene!). Quindi, quello che stiamo facendo qui oggi, il fatto che sia caduta, fra virgolette, quella presunzione assoluta di pericolosità sociale e il fatto che sia caduto quell'automatismo, non significa che dobbiamo, in qualche modo, non pensare all'importanza della collaborazione con la giustizia, perché quello è un perno centrale. Dovrà essere incentivata e dovremo probabilmente tornare su questi temi e fare in modo che al mafioso che viene condannato o che, comunque, è detenuto anche all'ergastolo - ma in generale a tutti i condannati per gravi reati che sono quelli di mafia e terrorismo e altri reati di gravissimo allarme sociale - deve convenire anzitutto collaborare e non pensare soltanto di poter ottenere benefici penitenziari o accesso a liberazione condizionale o accesso a misure alternative in totale assenza di collaborazione. Siamo qui però, come dicevamo, ovviamente per non vanificare gli sforzi delle Forze dell'ordine, della magistratura e delle persone che hanno dato la vita per queste tematiche importanti. Siamo qui per regolare e per rispettare sicuramente quello che è stato scritto nelle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo e nelle sentenze e nell'ordinanza, poi, della Corte costituzionale. Però, è importante anche ricordarci che, se ci diciamo spesso - e questo ce lo diciamo sempre - che la nostra legislazione antimafia è la più bella del mondo, è quella che ha avuto veramente un'importanza fondamentale nel contrasto alle organizzazioni, se ce ne vantiamo sempre, come giustamente dobbiamo fare, non perché siamo più bravi degli altri, ma semplicemente perché la storia del nostro Paese ci ha portato ad adottare misure straordinarie, se questo è vero e se sappiamo ancora, come ho ribadito prima, che la dimensione delle mafie non è una dimensione nazionale ma è una dimensione internazionale, che ha preso piede, purtroppo, in tanti Stati non solo europei ma in tutto il mondo, allora dobbiamo ricordarci anche che questa legislazione antimafia probabilmente potevamo difenderla meglio anche nelle sedi europee.

Come si è arrivati a quella sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo? Siccome è caduta la presunzione assoluta di pericolosità e siccome è caduto quell'automatismo, allora, scusate, tutto quello che c'è stato negli ultimi trent'anni è stato incostituzionale? Non è così! Se ha retto al vaglio di legittimità costituzionale il nostro sistema, intorno all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario per tutti questi anni, è perché sicuramente c'erano le motivazioni e ci sono ancora le motivazioni per mantenere come caposaldo il fatto che la mancanza e l'assenza dei collegamenti del mafioso detenuto con l'esterno è, comunque, un requisito essenziale per stabilire se devono essere concessi o meno i benefici penitenziari.

Quindi, basandoci su questo, come si è arrivati a quella sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la famosa sentenza Marcello Viola contro Italia, che ha portato a ridefinire tutto quello che riguarda la concessione del permesso premio in quel caso, che poi è stata ripresa dalla sentenza della Corte costituzionale e successivamente anche da quest'ultima ordinanza del 2021 sulla liberazione condizionale? È stato ricordato molto bene il contenuto di quella sentenza, però dobbiamo anche ricordarci di chi è Marcello Viola. Marcello Viola è uno 'ndranghetista; è un esponente di spicco della 'ndrangheta. Ricordo che Marcello Viola - fra le tante condanne che, purtroppo e giustamente, aveva subito - era stato condannato come mandante del cosiddetto venerdì nero delle stragi di Taurianova. Era il 3 maggio 1991 e ci furono degli omicidi molto efferati. Nella città della Piana nel giro di poche ore vennero uccise quattro persone. Una missione di morte durante la quale si verificò uno degli episodi più macabri della criminalità calabrese. Giuseppe Grimaldi venne decapitato e con la sua testa mozzata i killer fecero tiro a segno in una piazza della città (un episodio che segnò l'apice della ferocia della faida). La vicenda fece il giro del mondo e contribuì, poche settimane dopo, al varo della legge che prevede lo scioglimento dei consigli comunali per mafia. Taurianova, tra l'altro, fu il primo comune italiano sciolto per infiltrazioni delle cosche insieme a Casandrino, in provincia di Napoli.

Marcello Viola era stato condannato ed era detenuto per questi motivi. Era considerato comunque - e questo ce lo dicevano le relazioni dei magistrati - un esponente di spicco della cosca anche all'interno delle carceri. È per questo motivo che è stato trattenuto ed è stato recluso in regime di 41-bis per tanti anni. Ha preso due lauree in carcere e poi ha dato luogo, appunto, a questa famosa sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Questo anche perché la storia di come nascono determinate sentenze è sempre bene ricordarla e ribadirla.

Ciò detto, Presidente, arriviamo al contenuto di questa proposta di legge. Noi siamo chiamati a stabilire e a regolare meglio la concessione e le modalità di concessione dei benefici penitenziari e anche della liberazione condizionale.

Lo abbiamo fatto, tenendo presente un dato importante, cioè che è il detenuto, che fa richiesta di accesso a questi benefici, che dovrà allegare le motivazioni specifiche per le quali non c'è più il suo collegamento con la cosca di appartenenza o con altre organizzazioni criminali e non c'è più il pericolo di ripristino di quei collegamenti. Non basterà, dunque - e questa è una cosa molto importante da ribadire e lo abbiamo scritto -, la mera dichiarazione di dissociazione dall'associazione criminale di appartenenza; non basta, in sintesi, per capirci, il semplice pentimento; bisogna allegare motivazioni specifiche. E non basta nemmeno la buona condotta carceraria, perché, lo abbiamo detto, Marcello Viola ne è un esempio, ma tutti i mafiosi in questo sono un esempio: hanno una condotta carceraria esemplare, prendono lauree in carcere, si comportano perfettamente ma - e qui è la storia sempre che ce lo dice - continuano ad essere punti di riferimento per le loro cosche di appartenenza. E allora è per questo che è importante ribadire che la buona condotta carceraria e il semplice pentimento non bastano per arrivare alla concessione dei benefici, ci vuole ben altro: ci vuole la dimostrazione che quei collegamenti non esistono più e che, ovviamente, non ci sia il pericolo di ripristino di quei collegamenti.

Ancora, Presidente. Ovviamente, ci sono procedimenti che dovranno essere seguiti: in questo caso, almeno per quanto riguarda i permessi premio e la concessione del lavoro all'esterno, abbiamo voluto estendere la competenza e non sarà più il magistrato di sorveglianza, quindi l'organo monocratico, a decidere da solo sulla concessione dei permessi premio e del lavoro all'esterno, ma sarà il tribunale di sorveglianza. Questo, perché, secondo noi, nel dibattito che abbiamo fatto anche tutti insieme, un organo collegiale potrà dare maggiori garanzie, anche nell'esaminare le motivazioni. È chiaro che questa competenza e le decisioni su cui si baserà il tribunale di sorveglianza dovranno passare per la richiesta dei pareri alle Direzioni distrettuali antimafia che si sono occupate della situazione di quel detenuto e dei motivi per cui è stato condannato, dei pareri della Direzione nazionale antimafia, quindi, anche del parere del Procuratore nazionale antimafia. Saranno tutti pareri che dovranno e potranno essere dati al giudice di sorveglianza per prendere una decisione nel migliore dei modi sulla concessione di questi benefici. Ovviamente, ci saranno anche altre informazioni che potranno essere acquisite presso il direttore del carcere dell'istituto dove l'istante è detenuto o internato. Tuttavia - e questa è un'altra cosa che ci tenevamo tantissimo ad inserire - dovranno essere anche stabiliti accertamenti patrimoniali sulla condizione reddituale del detenuto e dei suoi familiari. Perché, se è vero, Presidente, che al collaboratore di giustizia la prima cosa che si chiede, quando un detenuto per mafia decide di collaborare, nel primo interrogatorio che viene fatto, è di dire immediatamente quali sono i suoi beni, quale è il suo reddito, se ci sono patrimoni che deve disvelare - perché questa è una prima importante forma di collaborazione - allora, anche nei confronti di chi sceglie di non collaborare con la giustizia, ma giustamente può fare richiesta di accesso ai benefici, anche nei suoi confronti dovranno esserci quegli accertamenti patrimoniali tali da consentire di capire se ancora nasconda patrimoni, lui o i propri familiari.

Un altro requisito che abbiamo inserito da subito è la dimostrazione dell'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento. Un'altra cosa importante è che, al fine della concessione dei benefici, il giudice di sorveglianza accerterà, altresì, la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. Questi sono fondamentalmente i perni su cui si incentra tutta la riforma che abbiamo fatto; poi, è chiaro, c'è l'articolo 2 che regola l'accesso alla liberazione condizionale, ci sono le norme che regolano la libertà vigilata e i controlli che dovranno essere fatti quando il detenuto potrà accedere alla liberazione condizionale. Per il resto, rinvio alla relazione molto precisa fatta dal relatore Perantoni e mi rimetto anche agli interventi che sono stati fatti e che saranno fatti dai miei colleghi.

Una cosa importante che ci teniamo a chiarire - ed è già stato detto anche prima nella relazione - è che non bisogna confondere i piani: questa legge, l'articolo 4-bis, la riforma che stiamo facendo, ovviamente, non si applica ai detenuti in regime di 41-bis. Il 41-bis è un'altra cosa. Perché? Il motivo è molto semplice: il regime di 41-bis, per sua natura, viene dato a quei detenuti che mantengono e c'è il pericolo che mantengano i collegamenti con la cosca criminale di appartenenza. Quindi, la pericolosità sociale, in quel caso, è data proprio dalla natura stessa del 41-bis. È per questo che questa legge non si applica nei loro confronti e non c'era nemmeno bisogno di scriverlo.

Un'altra cosa importante, più sul versante tecnico, è il superamento della collaborazione impossibile, il tema che è stato posto anche prima dai colleghi. Qui dobbiamo dirci una cosa: in realtà, il superamento della collaborazione impossibile c'è, però noi abbiamo, comunque, scritto che, nel momento in cui il detenuto, quando fa richiesta di accesso al beneficio penitenziario, deve allegare le varie motivazioni che dovrebbero stabilire il fatto che non abbia più collegamenti con l'esterno, deve indicare le ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione. Questo significa che il detenuto potrà dimostrare che, in quel caso, in determinati casi, la sua collaborazione o è impossibile - e questo verrà, poi, valutato dal giudice con tutto il procedimento di cui abbiamo parlato prima - o, magari, è diventata irrilevante. Quindi, in questi casi, è chiaro che la collaborazione impossibile continua ad essere distinta dal detenuto che, invece, sceglie volontariamente di non collaborare.

Infine, Presidente, io ci tengo a dire una cosa in conclusione del mio intervento, perché spesso ce ne dimentichiamo. Le carceri nel nostro Paese e tutto il tema che ruota intorno all'esecuzione penale sono temi di fondamentale importanza, come sono temi di fondamentale importanza l'equilibrio e il mantenimento dei diritti dei detenuti e il rispetto degli articoli della nostra Costituzione. Tuttavia, è importante capire che, all'interno delle carceri, l'equilibrio e le difficili situazioni che spesso si devono governare sono a carico di agenti e di personale della polizia penitenziaria: se pensiamo al 41-bis, ci sono gli agenti del GOM, il Gruppo operativo mobile, del NIC, se pensiamo al resto della popolazione carceraria, ci sono tutti gli agenti della polizia penitenziaria. Ecco, a queste persone va tutta la nostra solidarietà per il compito delicatissimo che svolgono, anche a tutto il personale chiaramente del DAP e dell'Amministrazione penitenziaria. Quando dobbiamo scrivere leggi importanti come questa, dobbiamo ricordarci ed essere solidali con chi il mondo del carcere lo vive ogni giorno, in primis, certamente, i detenuti e i loro diritti e, però, tutti coloro che lavorano ogni giorno all'interno delle carceri.

Oltre a questo, Presidente, ci tengo a ribadire che viviamo in un momento drammatico; sono ore delicatissime per gli equilibri a livello mondiale, certamente non solo del nostro Paese, però l'importanza di questa legge e dei temi che stiamo affrontando qui, oggi, sono cose che verranno ricordate negli anni a venire, proprio perché è un compito che ci è stato assegnato che, come abbiamo detto fin dall'inizio, avremmo preferito non dover svolgere, perché per noi, comunque, quella presunzione assoluta di pericolosità sociale, quell'automatismo potevano essere, in qualche modo, difesi meglio, mantenuti o regolati meglio. Però, posto questo, non è un problema, lo affrontiamo, lo abbiamo affrontato nel migliore dei modi, abbiamo cercato tutti insieme di arrivare ad un testo che fosse il più possibile condiviso e, se ci sarà da fare altro lavoro, chiaramente lo faremo. Però, lo ricordo ancora, come ho detto all'inizio: se noi non arriveremo entro maggio 2022 all'approvazione di questa proposta di legge, allora sì che avremo problemi e li avremo perché i segnali che dobbiamo mandare all'esterno, soprattutto in questo momento storico, sono quelli del forte contrasto alle mafie e di esaltazione sempre dei principi di legalità e di giustizia, che sono fondamentali nel nostro Paese. Lo dobbiamo alle vittime di mafia, lo dobbiamo a tutto quello che è successo, lo dobbiamo alla storia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Verini. Ne ha facoltà.

WALTER VERINI (PD). Grazie, Presidente. Ringrazio anche il deputato Potenti per l'inversione, causa riunione del nostro gruppo.

Io penso, innanzitutto, che le sentenze della Corte costituzionale, quelle della Corte europea possono essere discusse e condivise - a volte più, a volte meno – però, si cerca di applicarle in questo Parlamento anche se vi sono diversità di opinioni che si sono manifestate anche oggi in quest'Aula, durante il dibattito, tra coloro che vogliono applicare in un modo una sentenza e coloro che la vogliono applicare in un altro. Non è, per questo, che ci stiamo dividendo tra chi è più duro e chi è più morbido nel contrasto alle mafie, alla criminalità organizzata.

Come Parlamento, abbiamo davanti a noi un compito complesso: rispettare il monito a provvedere, ricevuto dalla Corte costituzionale, che, con la sua nota e richiamata ordinanza, ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione di un condannato all'ergastolo, per un reato ostativo, per accedere ai benefici e alla libertà condizionale. La stessa Corte ha demandato al legislatore il compito di operare scelte di politica criminale tali da contemperare le esigenze di prevenzione generale e sicurezza collettiva con il rispetto del principio di rieducazione della pena, fissato dal comma 3, articolo 27 della Carta costituzionale. È su questo crinale, non unilaterale, che la Commissione ha lavorato, anche con un ciclo di audizioni - lo hanno ricordato alcuni - davvero ricche di spunti e argomenti qualificanti.

A nostro giudizio, il lavoro che oggi ha illustrato il presidente Perantoni risponde a questa sintesi; è un testo, certamente perfettibile – ripeto, certamente perfettibile –, ma in grado di tenere insieme i due principi segnalati dalla Corte costituzionale, oltre che sottolineati dalla necessità di tenere non alta, ma altissima la guardia contro le mafie e la criminalità organizzata, rispettando però le garanzie di qualsiasi detenuto in carcere per reati legati all'articolo 4-bis, di tutti i detenuti, anche dei peggiori. Le garanzie, uno Stato democratico le rispetta sempre.

Il testo proposto, dicevo, va nella direzione indicata dalla Corte e prevede una serie di condizioni e di paletti in caso di detenuti che chiedano l'accesso ai benefici, anche senza aver stabilito un percorso di collaborazione con la giustizia e lo Stato. È stata la stessa Corte, del resto che, ipotizzando in questi casi l'accesso ai benefici, lo fa allorquando - cito testualmente - “siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti”. E la stessa Corte, nella medesima sentenza, sottolinea la necessità che il regime probatorio rafforzato si estenda all'acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di questi collegamenti, ma - cito ancora - “altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali”.

Altre indicazioni raccolte nel testo in esame riguardano l'acquisizione di informazioni di natura economico-patrimoniale, la condizione di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna.

Per questi motivi, ma non solo per questi, si sono rafforzate la forma e la sostanza di una stretta collaborazione con la magistratura di sorveglianza, in particolare con il tribunale, organo collegiale, non solo con il magistrato. Anche su questo tema ci sono opinioni diverse - è legittimo - ma lo abbiamo previsto per non lasciare solo ed esposto un magistrato. Che si limiti ad un ricorso è possibile: abbiamo fatto alcune scelte, ma tutte le opinioni sono rispettabili. Si è inteso rafforzare questa stretta collaborazione tra i vari livelli del contrasto alle mafie, fino alla Procura nazionale, e ciò allo scopo di avere la certezza che chi richiede il beneficio senza collaborare non rappresenti un pericolo permanente per la società. Ciò non è un'opzione, ma un fondamento dell'applicazione della sentenza della Corte. Qui, secondo noi, non è in ballo il principio di rispettare o meno le garanzie di un detenuto o l'articolo 27 della Costituzione, l'idea di carcere e pena come rieducazione; guai, se fosse in ballo questo principio, ci opporremmo. La questione è come rispettare le garanzie e i princìpi costituzionali, e, al tempo stesso, il diritto dei cittadini di vivere in sicurezza e la necessità di essere implacabili, uso questo termine, nel contrasto alle mafie. Per questo, come ci ha detto l'altra sera in Commissione antimafia il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, c'è la necessità di riconoscere che la materia è anche intrisa di delicati e complessi significati simbolici, dei quali è impossibile non tenere conto. L'efficacia complessiva - ha aggiunto - dell'azione di contrasto alle mafie dipende anche dalla difesa di valori emblematici dell'attuale legislazione. E noi non possiamo, né vogliamo, permetterci di assestare - parlo in generale, non mi riferisco a questo provvedimento - colpi a un impianto legislativo complessivo antimafia, quindi, non parlo solo del 4-bis, che, da La Torre, a Falcone e a Borsellino, rappresenta un esempio di livello globale, un esempio che ha consentito di assestare colpi durissimi alle mafie, che però ancora esistono, ancora operano. C'è da anni - da anni - una globalizzazione anche delle organizzazioni criminali, una loro finanziarizzazione. Non c'è solo il welfare mafioso nei territori dove le mafie operano più radicate. C'è un'invasività in tutti i gangli dell'economia, della società, una capacità di riciclare e valorizzare capitali, frutto di traffici illeciti e del narcotraffico, attraverso l'usura, l'acquisto di azioni di società quotate e di quote di imprese ed esercizi messi ancora più in crisi dalla pandemia. C'è la penetrazione invasiva nelle istituzioni locali e un permanente rapporto criminale e di scambio con ambiti e settori della stessa politica. C'è il rischio reale di mettere le mani sui progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La stessa guerra attuale e la crisi energetica sono occasioni per le mafie, radicate anche nella Russia e nel regime di Putin, per i loro sporchi affari, che si portano dietro sopruso, illegalità, violazione di regole e diritti, violenza, morte. Ecco perché, dicevo, dobbiamo tenere altissima la guardia. E in questo momento vi parla uno che, nel suo piccolo, pensa che i temi delle garanzie e dei diritti di tutte le persone, anche di quelle che hanno sbagliato, anche di quelle che si sono rese responsabili di gravi reati contro la collettività e contro le persone, debbano essere rispettati. Uno Stato serio non si mette al livello dei criminali, le rispetta le garanzie. Ma proprio per questo, dico che non voglio che si sottovaluti, noi, complessivamente, il peso ancora enorme di due piaghe come le organizzazioni criminali e la corruzione, che sono ancora molto diffuse nel nostro Paese. Faccio un esempio: non ci possono essere solo semplificazione e velocità nelle procedure, senza che, al tempo stesso, ci siano trasparenza e legalità. E spesso, giustamente, si mette l'accento sulle prime di queste due esigenze, velocità e semplificazione, dimenticando, meno giustamente, le altre due, trasparenza e legalità. Tutto questo, dicevamo, nel rispetto più sostanziale, non formale, delle garanzie.

Avviandomi a concludere, ricordo che sul testo che stiamo discutendo abbiamo ascoltato e letto opinioni anche non favorevoli, riserve di ambienti e personalità che noi stimiamo. Abbiamo ascoltato, con attenzione, non solo con rispetto, con attenzione appunto, tra le altre, le opinioni del professor Ruotolo, in Commissione antimafia, quelle di Patrizio Gonnella di Antigone, quelle del presidente dell'ANM, Santalucia, quelle del professor Anastasia. Alcune di queste personalità sono, secondo noi, punti di riferimento di grande spessore nel dibattito giuridico-costituzionale e in quello legato all'ordinamento penitenziario.

Santalucia, per esempio, ha sottolineato, circa la questione dell'onere della prova che appare a carico del detenuto richiedente il beneficio, anche se non è propriamente così, che: “L'onere di allegazione deve trovare completamento nei poteri del giudice, dell'autorità giudiziaria.” È un punto di vista che merita attenzione. Discutiamone, vedremo se ci saranno emendamenti, non abbiamo preclusioni, perché siamo tutti convinti - e se non lo siamo, ribadiamolo - che si debba combattere la criminalità organizzata, ma al tempo stesso rispettare pienamente la Costituzione.

Sono critiche e questioni, tutte, che meritano ascolto, anche se alcune di queste io le ho ascoltate e sono forse viziate da una certa unilateralità; ma probabilmente è giusto perché analoga unilateralità può essere stata espressa anche da altre personalità con opinioni opposte a quelle che ho ricordato. È per questo che il presidente della Commissione e il Comitato ristretto - e noi ringraziamo per il lavoro svolto da tutti, ma in particolare dal nostro deputato Miceli - hanno lavorato per una sintesi, per provare a rispettare tutti - tutti! - i precetti costituzionali e i richiami della Corte.

Sappiamo che il populismo giudiziario, il “manettarismo” facile, la politica che sventola cappi, quella, per capirci, del ‘buttiamo via la chiave, marciscano in galera' anche per i reati non gravissimi sono troppo diffusi. Proprio in queste ore - piccola digressione - ho visto delle polemiche sulle nuove nomine del DAP, ho visto perfino dei pasdaran dei referendum o delle pasdaran dei referendum, cosiddetti garantisti sulla giustizia esprimere contrarietà per la designazione a capo del DAP di una personalità di grande capacità come il magistrato Carlo Renoldi. A noi è dispiaciuto che un magistrato come Dino Petralia abbia deciso, legittimamente, per ragioni personali, di lasciare l'incarico, interrompendo il tandem con Roberto Tartaglia, suo vice e altro magistrato di grande valore, che ci auguriamo possa decidere di rimanere e continuare un lavoro davvero importante. Questo lavoro ha visto anche nel Corpo di polizia penitenziaria un soggetto insostituibile; un soggetto - il Corpo - che ha saputo reagire e difendere il proprio onore anche davanti a vicende incredibilmente gravi come, da ultimo in ordine di tempo, quelle di Santa Maria Capua Vetere.

Non essere d'accordo su quella nomina, su quella designazione, sollevare perplessità sulla scelta della Ministra Cartabia è certamente legittimo, ci mancherebbe; altra cosa sono le critiche, le riserve e le preoccupazioni; altra ancora è mostrare quotidianamente un garantismo a corrente alternata, quel garantismo falso - diciamo la verità, garantismo è una parola nobile - che, insieme a un populismo giudiziario, non ha certamente aiutato a fare le necessarie riforme della giustizia in questo Paese.

Per concludere, credo che la discussione possa conoscere contributi critici, emendamenti da valutare con attenzione, ma che l'impianto proposto sia serio, condivisibile e tale da consentire al Parlamento di approvare una riforma che rafforzi e non indebolisca un Paese e gli uomini di Stato, della magistratura, delle Forze dell'ordine pubblico e della sicurezza, che ogni giorno combattono le mafie, e che non ferisca le tante vittime di mafia e terrorismo in questo Paese e i loro familiari; ma sempre, lo ripeto, nel rispetto dei princìpi della Costituzione e di uno Stato che, proprio perché democratico, cerca di rispettare le garanzie, differenziandosi per questo da quei criminali, autori di gravissimi reati, che le hanno calpestate.

In definitiva, è questo bilanciamento di princìpi che fa forte una democrazia. Evitiamo, anche su questo, gli estremismi e le unilateralità, e lavoriamo per fare delle sintesi, che, se rimangono, come questo lavoro, nel solco della Costituzione repubblicana, penso siano non solo accettabili da parte di tutti, ma delle soluzioni delle quali questo Parlamento può andare a testa alta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alfonso Bonafede. Ne ha facoltà.

ALFONSO BONAFEDE (M5S). Grazie, Presidente. Oggi siamo qui per discutere la cosiddetta legge sull'ergastolo ostativo, che interviene sull'impianto normativo fortemente voluto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un impianto normativo che - diciamolo subito - per trent'anni ha consentito di raggiungere risultati importantissimi nella lotta alle mafie.

Sintetizzando, fino ad ora il detenuto condannato all'ergastolo per reati di mafia poteva accedere alla liberazione condizionale soltanto in caso di collaborazione con la giustizia o quando tale collaborazione fosse oggettivamente impossibile. D'altronde, se si parla di un mafioso, è chiaro che la collaborazione con la giustizia rappresenta l'unica possibilità di interrompere qualsiasi collegamento con la criminalità organizzata, perché è la stessa associazione criminale che non riconosce più come affiliato un soggetto che collabora con la giustizia.

Dobbiamo anche aggiungere che, proprio grazie a questo sistema, nel corso degli anni è stata incentivata la collaborazione con la giustizia, che ha permesso di infliggere colpi durissimi alle mafie.

Allora, Presidente, i cittadini che seguono i nostri lavori si chiederanno perché ci troviamo qui a parlare di legge sull'ergastolo ostativo, se quel sistema di fatto ha funzionato. Perché, con l'ordinanza n. 97 del 2021, la Corte costituzionale ha stabilito che, dopo circa trent'anni di vigenza, quel sistema, così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora, è incostituzionale.

Provo a semplificare: in buona sostanza, la Consulta afferma che è vero che si può presumere che il detenuto che non collabora non abbia interrotto i rapporti con la mafia, ma quella presunzione - dice la Corte - non può essere assoluta. In base all'articolo 27 della Costituzione, la legge deve consentire a quel detenuto di accedere alla liberazione condizionale, se egli, con i requisiti previsti dalla legge ovviamente, prova concretamente che ha interrotto il legame con la criminalità organizzata e non c'è più alcun pericolo del ripristino di quel legame, anche se non c'è stata collaborazione con la giustizia. Nella stessa ordinanza, la Corte Costituzionale ha dato al Parlamento italiano un termine per intervenire sostanzialmente, vale a dire entro il mese di maggio 2022.

Oggi siamo qui proprio per questo, Presidente, e siamo sinceramente orgogliosi che il Parlamento, con questa proposta di legge, stia dando una risposta unitaria. Il MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto la calendarizzazione già a novembre, chiedendo alle altre forze politiche compattezza e unità, perché la lotta alla mafia non può e non deve avere colore politico, consapevoli certamente che bisogna assolutamente far presto. Ma onestà intellettuale e lealtà istituzionale impongono di ribadire che, pur rispettando le pronunce della Corte costituzionale, come MoVimento 5 Stelle, non ne condividiamo il contenuto.

Dunque, lo stato d'animo oggi è duplice: da un lato, dovevamo essere qui, ci siamo e ci muoveremo nel solco tracciato dalla Corte costituzionale, nelle diverse pronunce relative al trattamento penitenziario dei soggetti condannati detenuti per mafia; ma, dall'altro lato, dobbiamo ribadire che, se non ci fosse stato l'intervento della Consulta, avremmo volentieri lasciato inalterato il sistema vigente, quel sistema che la stessa Corte costituzionale in precedenza aveva considerato compatibile con la nostra Costituzione.

Ad ogni modo, sugli aspetti squisitamente tecnici del testo, che oggi inizia il suo percorso in Aula e che verrà ulteriormente esaminato, rinvio alla relazione esposta dal presidente Perantoni, che ringrazio per il lavoro incredibile che sta portando avanti per far convergere le energie delle forze politiche.

Quello che per me è importante sottolineare adesso è che, con questa legge, viene posta tutta una serie di condizioni e paletti normativi che consentiranno di verificare, caso per caso, se il detenuto che non collabora e che chiede di accedere ai benefici penitenziari, attraverso un regime probatorio rigidissimo e stringente, abbia effettivamente interrotto ogni collegamento con l'associazione criminale di appartenenza e non vi sia - ripetiamolo - alcun pericolo che tale collegamento venga ripristinato in futuro.

Ovviamente la legge specifica, tra l'altro, che non sarà sufficiente la mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione di appartenenza né la mera buona condotta carceraria o la partecipazione del detenuto al percorso rieducativo. Insomma, Presidente, il testo che arriva in Aula contiene una normativa rigida e permette allo Stato di mantenere alta la guardia nella lotta alle mafie. Dobbiamo tenerlo ben in mente, colleghi, durante tutto il percorso legislativo di questa proposta, che interviene in una materia così delicata, in cui il rischio di sgretolamento di alcuni capisaldi della lotta alla mafia è sempre dietro l'angolo. Teniamolo ben presente: a trent'anni di distanza dalle stragi di Capaci e via D'Amelio, il 23 maggio e il 19 luglio di quest'anno, ciascuno di noi si fermerà a pensare al vuoto lasciato dal boato delle bombe che, in quei due giorni di trent'anni fa, strapparono alla vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte. In quei due giorni, Presidente, in ogni città i monumenti dedicati alla loro memoria riceveranno la visita di tanti cittadini. Qualcuno lascerà un fiore, qualcun altro verserà una lacrima o dedicherà semplicemente un pensiero o una preghiera, perché quelle bombe colpirono il nostro cuore e il cuore di tutto il nostro Stato di diritto. Ma noi siamo parlamentari della Repubblica e non possiamo limitarci alle giustissime e importantissime commemorazioni. Noi abbiamo il dovere di dimostrare con i fatti che abbiamo memoria. Ancora oggi ci sono magistrati costretti a vivere sotto scorta, che non si arrendono. Ci sono agenti delle Forze dell'ordine - penso soltanto, per fare un esempio, agli agenti del GOM e a tutta la Polizia penitenziaria -, che fanno sacrifici enormi. Si pensi alle associazioni antimafia, sparse su tutto il territorio nazionale, a cui aderiscono anche giovani, che ai tempi delle stragi non erano ancora nati, ma che hanno studiato la storia e sanno quanto sia importante opporsi alle mafie, ragazzi che lottano per la difesa del loro diritto alla libertà di scelta, che viene represso in contesti sociali infiltrati dalla mafia. Si pensi agli imprenditori, che non si piegano di fronte alla richiesta del pizzo e che si ribellano, quotidianamente, mettendo a rischio la loro vita e la vita dei loro familiari, oppure a quei giornalisti che raccontano con coraggio il fenomeno mafioso ogni giorno. E, ancora e soprattutto, si pensi ai tanti familiari di vittime di mafia, alcuni dei quali dopo tanti anni ancora in attesa di conoscere la verità. Tutte queste persone, Presidente, tutto il popolo italiano, pretende e merita rispetto, in tutte le azioni che lo Stato mette in campo nella lotta alla mafia, che adesso, secondo gli addetti ai lavori, punta ad aggredire i fondi del PNRR.

Un'ultima considerazione: l'Italia in questa materia vanta una normativa all'avanguardia a livello internazionale. È la stessa cosa che, dopo la sentenza CEDU del 2019, dissi alla Segreteria generale del Consiglio d'Europa, recandomi, da Ministro della Giustizia, a Strasburgo. Sulla lotta alla criminalità organizzata, che certamente travalica i confini nazionali, ogni forma di collaborazione nelle sedi internazionali è preziosa e va coltivata, ma non dobbiamo mai dimenticare che nessun Paese conosce il fenomeno mafioso come, purtroppo, lo conosciamo noi. La lotta alla mafia, purtroppo, non abbiamo avuto la possibilità di impararla sui libri. Il bagaglio di esperienze italiano, che si alimenta grazie ai nostri magistrati e alle nostre Forze dell'ordine, è unico. Ed è con questa consapevolezza, portando nel cuore quei servitori dello Stato, che sento ancora l'emozione di quando, da Ministro della Repubblica italiana, sono andato nelle sedi internazionali a testa alta, a rappresentare il nostro Paese e le sue leggi. Basta ricordare che la Convenzione di Palermo del 2000, a cui aderiscono circa 190 Paesi del mondo, si basa sulle idee di Giovanni Falcone. Noi abbiamo insegnato al mondo cosa vuol dire combattere la mafia.

In conclusione, Presidente, ciascuno di noi porti avanti questa battaglia, da parlamentare, da cittadino e anche da genitore, pensando alle parole del generale Carlo Alberto dalla Chiesa: certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Potenti. Ne ha facoltà.

MANFREDI POTENTI (LEGA). La ringrazio, Presidente. Interveniamo in un momento particolare a livello geopolitico, e questo in un momento che ci vede distratti da una situazione di guerra, potrebbe essere anche un momento propizio per legiferare. Sembra un controsenso, ma la storia del nostro Paese ci insegna che le migliori soluzioni codicistiche sono, ahimè, nate in un momento in cui c'era la guerra. Dio volesse che questa norma vada avanti e che non venga nuovamente attaccata dai più che corretti giudizi della Corte costituzionale, che sempre ci pone di nuovo su una via di rispetto della Carta costituzionale. Farò un po' una sintesi, visti i tempi, rispetto a quanto avevo preparato per esporre il contenuto di questa proposta di legge.

Vorrei riprendere le parole di un collega che ha prima espresso la difficoltà di far capire alla nostra comunità perché il Parlamento stia discutendo di un testo normativo a favore di soggetti che abbiano compiuto reati tra i più efferati che il nostro Paese ricordi di avere osservato nella sua storia. Bene, noi lo facciamo perché l'articolo 4-bis della legge del 1975, inserito appunto in un testo normativo in un successivo periodo, deve essere contestualizzato in questa legge. Da una parte forse noi legislatori lo abbiamo saputo ben fare, perché per la prima volta il legislatore del 1975, quando emanò le norme sul nuovo regolamento carcerario, volle trasformare un punto di vista molto spersonalizzato, che era quello degli anni Trenta, quello del numero sulla casacca, in un sistema che invece prediligesse l'osservazione attraverso perizia scientifica e la conduzione della vita carceraria attraverso un percorso di cambiamento.

Ebbene, sembra quasi quello che ci accingeremo a far approvare dal Parlamento e che abbiamo introdotto anche con alcune soluzioni innovative emendative all'interno del testo unificato, perché, effettivamente, come ci ricorda una sentenza della Corte costituzionale, la n. 306 del 1993, il criterio di procedere per tipi di autore dei reati, per i quali nel caso specifico si pensava che la rieducazione non sarebbe stata possibile o perseguibile, per la stessa Corte, che, ripetevo all'inizio, ci conduce sempre poi in un solco di rispetto di alcuni principi che dobbiamo considerare cosa da condividere erga omnes tra tutti i cittadini, e soprattutto da parte delle istituzioni, andrebbe a precludere totalmente al giudice ogni valutazione di trattamento rieducativo individualizzato. Con questo testo normativo noi, in realtà, andiamo proprio a intervenire su questo, perché consentiamo a un magistrato di operare un'indagine su una serie di informazioni che molto precisamente riguarderanno la storia, i precedenti e la vita carceraria di quel condannato.

Non ci sarà più l'idea preconcetta di una situazione ostativa a prescindere; questo credo sia una novità. Naturalmente, noi non regaliamo nulla agli ergastolani e non regaliamo nulla ai condannati. Cambiamo modo di operare, perché questo ci chiede una teoria di sentenze della Corte costituzionale che, consolidatesi, infine, con il pronunciamento del 2021, ci ha dato un termine, 22 maggio 2022, per intervenire. Quindi, andiamo ad attaccare l'assolutezza della presunzione della mancata rescissione dei collegamenti con la criminalità organizzata; l'assolutezza di quel rigido automatismo del diniego, che la Corte va a censurare, in quanto, a prescindere, determinerebbe una condizione di percezione sfavorevole da parte del condannato. Questo, è puramente e semplicemente in termini oggettivi e non emotivi quello che abbiamo di fronte.

Naturalmente, la Corte demolisce il principio del cosiddetto effetto generalizzante, per cui, se non collabori, questo è indice della circostanza per cui non hai spezzato i legami con la criminalità. Effettivamente, era un ragionamento che non aveva un particolare senso, perché, se leggiamo attentamente quello che la stessa Corte ci consiglia di fare, è proprio di non considerare il collegamento collaborazione-rescissione come assoluto, perché si può collaborare anche per comodità, si può collaborare anche perché si ottengono i benefici, si può collaborare perché può far comodo a qualcuno, da qualche altra parte, attraverso una collaborazione che, magari, è in apparenza e formalmente una collaborazione, ma può sviare anche il soggetto che compie l'indagine. Quindi, oggettivamente, come Lega, noi siamo contenti di avere corretto questa distorsione, perché il ragionamento non aveva una logica. Ora, oggettivamente, possiamo dire che una logica è stata costruita.

Per questo, devo rivolgere alcuni ringraziamenti, oltre che a tutti i colleghi, anche al mio collega di partito, onorevole Paolini, che è uno dei primi firmatari di una delle proposte, il quale, membro della Commissione di inchiesta sul fenomeno mafioso, ha potuto riversare in questa proposta normativa che è entrata a far parte del testo unificato, nozioni provenienti da indagini del fenomeno ben approfondite. Riprendo alcune parole, cerco di saltare un po' il contenuto, che poi era, in realtà, un'esposizione del cursus dei pronunciamenti della Corte costituzionale e una spiegazione del contenuto che i colleghi hanno abbondantemente esposto, e non vorrei ripetermi inutilmente per non tediare anche i presenti e magari la lettura futura dei verbali. Il collega Verini sottolineava, invece, quanto possa essere inopportuno censurare, a poche ore dalla nomina del nuovo responsabile capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, il nominativo del dottor Renoldi. Noi, in realtà, abbiamo preso una posizione, l'ha presa la senatrice Bongiorno, responsabile giustizia della Lega, andando a rappresentare non il controsenso di essere proponenti di alcuni testi referendari. Noi siamo proponenti di testi che sono, in qualche modo, garantisti, e lo sono nel massimo della loro dizione letterale, ma per una fase, che è quella delle indagini. Qui parliamo di soggetti che sono stati condannati in via definitiva e per i quali occorre certezza e, chiaramente, anche rigore; condannati per mafia e altri gravi delitti contro i quali lo Stato quotidianamente combatte. E quando è arrivata una sentenza, è chiaro che dobbiamo avere la percezione e far avere anche ai cittadini la percezione che lo Stato una linea intende mantenerla. Ci spiace avere rivolto una critica, chiaramente non personale, al dottor Renoldi, ma alle conseguenze derivanti da alcune frasi pronunciate che sono state percepite dal sistema dell'antimafia come polemiche.

A questo partito, semplicemente è parso poco opportuno che ci fosse una nomina da parte del Ministro Cartabia, non in senso di inopportunità dell'alto profilo professionale del dottor Renoldi, ma che questo potesse andare ad intaccare quella linea, che è corretto lo Stato mantenga, di fronte a una realtà che si occupa, evidentemente, della gestione della realtà carceraria e del mondo detentivo da parte di chi possa avere espresso considerazioni del tutto rispettabili e libere, ma è chiaro in un contesto che, adesso, lo vede responsabile di un dipartimento, per il quale noi gli rivolgiamo i migliori auguri per la gestione efficiente ed efficace di questa struttura, semplicemente ricordando quanto è accaduto.

Vorrei sottolineare alcune cose che ho segnato, in particolare ho la curiosità di capire quale potrebbe essere in futuro, a questo punto, l'elemento debole su cui la Corte costituzionale potrebbe continuare ad affrontare il tema dell'articolo 4-bis, del nuovo articolo 4-bis, che sarà determinato dall'approvazione di questo testo di legge. Forse, uno dei punti su cui, non dubito, la Corte avrà in futuro modo di esprimersi sarà proprio il concetto degli elementi specifici diversi ed ulteriori che il detenuto dovrà fornire per superare l'obiezione di presunzione di legame con l'organizzazione criminale. Ebbene, per questo, benché sia felice di aver dato luogo all'approvazione del testo così com'è, ho paura che la Corte avrà sicuramente modo di riflettere su questo momento di raccolta probatoria, in quanto potrebbe essere una prova negativa che costringerà il detenuto, in qualche modo, a doversi districare nella sua formulazione e ho paura di cosa potrebbe diventare; spero di sbagliarmi.

Come dicevo, questa norma ha un pregio, perché sostituisce all'automatismo una valutazione specifica sul contesto personale e socio ambientale, in linea con la legislazione del 1975. Devo dire che questo è un elemento che, finalmente, può andare a superare quelle censure provenienti dalla Corte di Strasburgo, perché quella che veniva citata come “sentenza Viola” del 13 giugno 2019 affermava che l'ergastolo ostativo è una pena de iure e de facto e domandava all'Italia se questo ordinamento non offrisse reali condizioni di riesame della misura, che la impossibilità di ridurre la pena perpetua, appunto, fosse condizionata alla collaborazione con la giustizia, denunciando, infine, l'assenza di risocializzazione del condannato. Ebbene, qui diamo una risposta molto completa, una risposta che va anche a toccare il contenuto di un altro pronunciamento, che risale al 1994, con cui veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale del 4-bis nella parte in cui non prevedeva che i benefici penitenziari potessero essere concessi anche nell'ipotesi in cui l'accertata limitata partecipazione al fatto criminoso renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, perché ricordiamo - lo dicevano alcuni colleghi - che fino a un certo momento soltanto la collaborazione oggettivamente utile era idonea a far ritenere del tutto recisi i collegamenti del condannato con l'organizzazione criminale, con l'effetto appunto che, in assenza di un simile contributo, non fosse possibile per lo stesso superare queste preclusioni; poi, fu introdotto, appunto, il concetto di collaborazione impossibile o inesigibile, che, quindi, cambiava in prospettiva anche quel contenuto.

A questo punto, vorrei concludere il mio intervento, rappresentando che il nostro ordinamento vede da poco esistere nuovi strumenti di indagine, nuove metodologie di indagine che, diversamente dagli anni Settanta e dagli anni Ottanta, rendono possibile svolgere screening a livello investigativo veramente molto penetranti.

Parlo, ad esempio, dello strumento del trojan, sul quale quest'Aula ha avuto modo di discutere e discernere, anche sull'obiettiva invasività dello strumento. Pensiamo, però, a quale vantaggio può dare l'esistenza di simili strumenti in un contesto in cui parliamo, invece, di maggiori possibilità rispetto anche all'esistenza della persona all'interno di una struttura carceraria e di un percorso di rieducazione.

È evidente che oggi il nostro sistema giudiziario ha la possibilità di dispiegare in maniera molto più invasiva, puntuale e completa l'indagine su qualunque realtà fenomenica. Quindi, i timori e le paure che possono derivare dalla nuova disposizione, così come noi l'abbiamo scritta, potranno trovare conforto nella nuova strumentazione, nelle nuove possibilità e nei nuovi limiti che le indagini hanno saputo conquistarsi attraverso, appunto, lo sfruttamento delle tecnologie. Non dubito che, ad esempio, quando si parla, all'articolo 1, comma 1, n. 3), di compiere delle attività conoscitive sopra il nucleo familiare e sopra le persone collegate al condannato, quindi di fare degli accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, saremo in grado di farle ben diversamente dagli anni Ottanta o dagli anni Novanta. È oggi fattiva la possibilità, grazie ad accordi internazionali e grazie veramente a una collaborazione globale, di accedere praticamente alla quasi totalità delle banche dati finanziarie esistenti sul pianeta.

Quindi, mi sento di confermare un positivo giudizio sul lavoro che è stato portato avanti dalla Commissione giustizia. Mi sento, quindi, di poter rassicurare i cittadini circa il fatto che lo Stato non perderà il polso della situazione sulla storia carceraria di condannati per gravissimi delitti. Mi sento di poter rassicurare anche quella parte del mondo giudiziario, quei magistrati e quegli operatori della polizia giudiziaria che apparentemente possono aver letto in alcune norme il timore - soprattutto nel sentenziare della Corte costituzionale - e il pericolo di una ghigliottina su norme che avevano assicurato fino ad oggi la certezza e la volontà da parte dello Stato di portare fino all'esito della vita di una persona la condanna estrema, quella, appunto, del fine pena mai.

Ma abbiamo anche il dovere di raccogliere le numerose indicazioni della Corte costituzionale. Lo hanno detto anche movimenti politici come Fratelli d'Italia, che sono a noi vicini in molte amministrazioni locali e soprattutto in alcune aree del Paese dove governiamo assieme, in regioni colpite e messe in ginocchio dal fenomeno mafioso fino a poco tempo fa.

Quindi, a quelle amministrazioni, soprattutto quelle che subiscono dei commissariamenti, dobbiamo dire che i nostri lavori e le nostre attività non hanno certamente regalato nulla a soggetti che sono delinquenti e che intendono continuare a delinquere, ma assicurano forse una più puntuale verifica e una più puntuale conoscenza della loro vita e di quella delle persone a loro vicine. Gli investigatori non lavoreranno più attraverso automatismi anche illogici, come ci fa notare la Corte costituzionale, ma andranno a fondo attraverso una puntuale analisi di tutte le vicende rilevanti ai fini della concessione di misure alternative; misure alternative che, dobbiamo prendere atto, sono un diritto anche per i maggiori ed incalliti criminali di questo Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ascari. Ne ha facoltà.

STEFANIA ASCARI (M5S). Grazie, Presidente. La mafia non si è fermata, le mafie non si sono fermate, ma si sono trasformate nel corso degli anni. Nel 1992, dopo le stragi di mafia di Capaci e di via D'Amelio, si manifestò l'urgenza di reprimere le azioni mafiose in modo più duro. Da ciò e grazie proprio alle idee dei due giudici Falcone e Borsellino, nacque il cosiddetto ergastolo ostativo, alias fine pena mai, la cui disciplina è contenuta nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. In tale contesto, il legislatore, con decreto-legge n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 1992, ha previsto che il detenuto che si è reso responsabile di reati molto gravi, quali quelli di matrice mafiosa e terroristica, non potesse godere di determinati permessi, come il lavoro esterno, i permessi premio, la liberazione condizionale, la semilibertà e le misure alternative alla detenzione, a meno che, ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario, non collaborasse con la giustizia. Di fatto, veniva sancita per tali condannati una preclusione assoluta di accesso ai benefici penitenziari in assenza di collaborazione.

Va sottolineato e ricordato in quest'Aula che tale scelta ha prodotto nel corso degli anni importanti risultati, tanto da aver reso la nostra legislazione la più avanzata a livello europeo e mondiale in materia di contrasto alla criminalità organizzata. Questo principio fondamentale, tuttavia, nel giro di due anni, dopo trent'anni di vita, è stato completamente smantellato: dapprima, con la Corte di Strasburgo nel caso Viola contro Italia, sentenza del 13 giugno 2019, in seguito, con la sentenza n. 253 della Corte costituzionale in merito ai permessi premio. Successivamente, il 15 aprile 2021, la Consulta ha stabilito che l'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario è incostituzionale, perché in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l'articolo 3 della CEDU, in quanto considera la collaborazione come unica condizione per il condannato per chiedere la liberazione condizionale, escludendo, quindi, tale beneficio in modo assoluto per chi non abbia utilmente collaborato, seppur risulti sicuro il ravvedimento. Ha così concesso al Parlamento un anno di tempo per modificare la normativa e così è stato fatto.

Il testo approvato in Commissione giustizia è stato il frutto di una sintesi, a cui il MoVimento 5 Stelle ha dato impulso grazie alla proposta di legge depositata dal collega Vittorio Ferraresi, a sua prima firma, grazie al lavoro di tutta la Commissione giustizia, ai colleghi, alle colleghe, al Comitato ristretto e all'importante lavoro del relatore, presidente Mario Perantoni.

Con questa proposta di legge si gettano le basi per un ergastolo che fissa dei paletti stringenti per la concessione dei benefici, sia in merito ai permessi premio sia per quanto concerne la liberazione condizionale, paletti che sono stati delineati grazie anche all'importante lavoro svolto in Commissione antimafia e che sono contenuti nella relazione sull'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario citata nell'ordinanza n. 97 della Consulta, che è stata depositata in Commissione antimafia il 20 maggio del 2020, di cui mi onoro di essere stata relatrice assieme al presidente Pietro Grasso, criteri che sono stati in gran parte assorbiti in questa proposta di legge. In essa si stabilisce, infatti, che, per accedere ai benefici penitenziari, si debba dare dimostrazione rafforzata, con onere della prova positiva a carico del detenuto, della mancanza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e, comunque, con il contesto in cui il reato è stato commesso, nonché di escludere il pericolo di ripristino di tali collegamenti, tenendo conto delle circostanze personali, patrimoniali ed ambientali.

Prova ulteriore rispetto alla mera dissociazione, alla buona condotta carceraria, al percorso rieducativo, al trascorrere del tempo e all'integrale adempimento delle obbligazioni civili, derivanti dal reato o provando l'assoluta impossibilità di tale adempimento.

La prova rinforzata sarà necessaria anche per il risarcimento dei danni alle vittime per quanto concerne la disponibilità e la provenienza delle risorse. Dovrà gravare, pertanto, sul detenuto l'onere di fornire allegazioni, basate su elementi fattuali precisi, concreti e attuali. Vengono richiesti, inoltre, pareri obbligatori della Direzione distrettuale antimafia e del Procuratore nazionale antimafia, che avranno un ruolo centrale per la concessione dei benefici penitenziari. Si individua nel tribunale di sorveglianza, in luogo del magistrato di sorveglianza, l'organo competente a valutare istanze di concessione di benefici penitenziari, quali il lavoro all'esterno e i permessi premio, di detenuti condannati per gravi reati, come quelli di mafia o terrorismo.

Sono soddisfatta del recepimento di una mia proposta di legge che prevede la modifica dell'articolo 25 della legge n. 646 del 1982, con l'inserimento della norma che autorizza la Guardia di finanza ad effettuare verifiche sulla posizione economico-patrimoniale dei soggetti sottoposti al regime speciale del 41-bis, utili a comprendere se la capacità economico-patrimoniale degli stessi e delle associazioni di riferimento abbia subito consistenti incrementi anche durante la detenzione, così da poter desumere se gli esponenti di spicco delle mafie continuino ad esercitare il loro potere all'interno e anche dall'interno, e recidere il loro legame economico con l'esterno; vi è poi la previsione della trasmissione di una copia del decreto del Ministro della Giustizia di adozione del citato regime speciale di detenzione al competente nucleo di Polizia. A questo fine e per una garanzia di sicurezza e di rieducazione non si può non constatare l'esigenza di continuare ad investire nella ristrutturazione delle carceri e nella loro messa in sicurezza, con l'ampliamento dei posti disponibili, la manutenzione degli apparati volti al contrasto delle evasioni e dell'ingresso di sostanze illecite e di telefoni cellulari. Fondamentale risulta garantire la legalità nelle sezioni dedicate all'esecuzione delle misure previste dal regime del 41-bis, sia prevedendo nuove sezioni moderne sia adeguando quelle esistenti che non risultino a norma e permettono continue violazioni, nonché comunicazioni con l'esterno da parte di detenuti molto pericolosi. A tal proposito, in qualità di coordinatrice del Comitato che si occupa del regime carcerario ai sensi dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, anche con riferimento alle modalità di esecuzione della pena in regime intramurario in hub sicurezza, abbiamo dato vita a un'istruttoria in cui abbiamo sentito magistrati, direttori di carcere, sindacati, educatori; ho visitato personalmente 12 istituti di pena in cui è presente il regime carcerario ai sensi dell'articolo 41-bis. Ne è emerso che l'unico a norma si trova a Sassari-Bancali, tutti gli altri sono riadattati, essendo ex circuiti adibiti per le detenute madri, con camere di pernottamento le une di fronte alle altre. Questo ovviamente deve fare riflettere, perché non garantisce quell'impermeabilità che dovrebbe essere la caratteristica base del regime carcerario, ai sensi del 41-bis. In questa direzione, va innanzitutto continuata l'opera di reclutamento del personale di polizia penitenziaria del Gruppo operativo mobile, che è 24 ore su 24 contatto con i detenuti in regime di 41-bis e alta sicurezza, garantendo che non vi sia precarietà di personale, con un continuo reclutamento di direttori - in conseguenza del fatto che, ad oggi, molti direttori gestiscono due e più carceri, creando difficoltà di organizzazione di questi circuiti particolari -, personale socio-pedagogico, tecnico, amministrativo-contabile, e in particolare, educatori e figure specializzate all'interno degli istituti di pena. Soprattutto, è richiesta una formazione continua e specifica, a partire dall'arruolamento e per tutta la durata del servizio, perché le mafie sono cambiate, sono liquide e bisogna saperne leggere le nuove modalità di linguaggio.

Non dimentichiamo, poi, che la principale forma di rieducazione dei detenuti e di speranza di reintegro nella società è il lavoro, anche di pubblica utilità, come primo step, perché la pena fine a se stessa non basta, serve rieducare e, in molti casi, educare. Risultano intollerabili, poi, ulteriori aumenti dei limiti edittali per le misure alternative alla detenzione o di provvedimenti “svuota carceri”, strumenti utilizzati negli ultimi quarant'anni che, di fatto, non hanno mai risolto il problema del sovraffollamento. Va sicuramente rivisto il concetto di carcere duro, soprattutto in virtù del sovraffollamento che subiscono i detenuti comuni non mafiosi. Non è più procrastinabile l'emanazione della circolare relativa alla vigilanza dinamica e al regime di celle aperte e si deve intervenire per risolvere la più grande piaga carceraria di questi anni: la presenza di detenuti psichiatrici all'interno degli istituti penitenziari; problema sentito dal personale e dai detenuti stessi. È necessario, dunque, provvedere a creare nuove REMS, aumentare i posti disponibili nelle stesse e avviare il progresso di supporto della sanità penitenziaria. Sarebbe utile anche dare una maggiore assistenza alle detenute in procinto di partorire e a quante hanno avuto figli.

Se parliamo di rieducazione e vogliamo che sia reale ed effettiva, tutti questi interventi sono necessari; riduttivo sarebbe rendere la parziale rieducazione solo un mero strumento di ricerca di impunità. Questa non è la legge perfetta, anche perché non esiste la legge perfetta, esiste la legge più condivisa, come in questo caso. Dopo le sentenze della CEDU e della Corte costituzionale, è una legge che riesce almeno a tamponare l'emorragia che si potrebbe creare qualora non si comprendesse il significato della lotta alle mafie, che non è minimamente finita. È nostro dovere, in quanto legislatori, difendere, portare avanti e rafforzare il lavoro di tutti gli uomini e le donne delle istituzioni che hanno perso la vita per combattere le mafie. Non basta solo ricordarli e celebrarli, ma servono soprattutto fatti concreti da parte del legislatore e delle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - Testo unificato - A.C. 1951-A​)

PRESIDENTE. Relatore Perantoni, lei ha esaurito il suo tempo, però, un minuto di replica non lo si nega a nessuno. Prego, ha facoltà di intervenire.

MARIO PERANTONI, Relatore. Grazie, Presidente. Intervengo esclusivamente per sottolineare quello che è apparso evidente a tutti e cioè che questo è un testo licenziato dalla Commissione con una larghissima condivisione, all'esito di un lavoro comune tra tutti i gruppi. Sicuramente, questa volontà mi auguro permanga anche qui, per i lavori d'Aula e, quindi, per eventuali aggiustamenti che il testo dovrà subire. Sono state rilevate e già segnalate alcune ipotesi di criticità, che sicuramente verranno affrontate, come, ad esempio, quella sulla collaborazione impossibile, sui trent'anni, relativamente alla liberazione condizionale dei non collaboranti; sono tutti aspetti che sicuramente necessitano di un approfondimento, ma che verranno certamente affrontati, perché ci sono anche questioni di carattere lessicale che potrebbero aiutare ad aggiustare il testo.

Detto questo, ringrazio tutti, per gli interventi che hanno fatto. La volontà è procedere speditamente e nel modo più condiviso possibile nei nostri lavori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. La rappresentante del Governo rinuncia alla replica.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Avverto che, secondo le intese intercorse tra i gruppi, nella seduta di domani, la replica del Presidente del Consiglio dei Ministri e le dichiarazioni di voto sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio stesso sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina si svolgeranno con ripresa televisiva diretta.

Avverto, altresì, che sarà pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna una nuova organizzazione dei tempi per lo svolgimento di tali comunicazioni (vedi l'allegato A).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 1 marzo 2022 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 15,30)

2. Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina.

La seduta termina alle 19,30.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: COSIMO MARIA FERRI (A.C. 893-B​)

COSIMO MARIA FERRI (IV). (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 893-B​). Il disegno di legge in oggetto, di iniziativa parlamentare, è stato approvato dalla Camera dei deputati (Atto Camera n. 893) nella seduta del 18 ottobre 2018, approvato con emendamenti dal Senato della Repubblica (Atto Senato n. 882) il 14 dicembre 2021 e assegnato in seconda lettura alla 2a Commissione della Camera il 20 dicembre 2021 (Atto Camera n. 893-B).

Il provvedimento in esame reca disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale, in particolare introducendo nel libro secondo del codice penale un titolo ad hoc, “Titolo VIII-bis – Dei delitti contro il patrimonio culturale”.

Al testo approvato dalla Camera in prima lettura nel 2018 sono state apportate, con emendamenti approvati dal Senato, alcune modificazioni che hanno tenuto conto di esigenze di carattere sistematico, garantendo, da un lato, il coordinamento con altre disposizioni dell'ordinamento interno e, dall'altro, la coerenza con quanto stabilito dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, fatta a Nicosia il 19 maggio 2017, il cui disegno di legge di ratifica è stato definitivamente approvato dalla Camera il 12 gennaio 2022.

Con riferimento alle singole figure di reato contro il patrimonio culturale introdotte dall'articolo 1 del provvedimento in esame, che inserisce il titolo VIII-bis nel libro secondo del codice penale, si illustrano di seguito le modificazioni apportate dal Senato a ciascuna fattispecie, intendendosi confermate nel testo già approvato dalla Camera in prima lettura quelle non menzionate.

All'art. 518-bis, che disciplina il furto di beni culturali, viene introdotta la condotta di impossessamento di beni culturali rinvenuti nel sottosuolo o sui fondali marini, in linea con quanto previsto dal combinato disposto dagli articoli 176 e 91 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Viene altresì abbassata il minimo edittale della sanzione della reclusione (da 2 a 6 anni, in luogo della precedente forbice da 3 a 6 anni).

All'art. 518-septies, che disciplina l'autoriciclaggio di beni culturali, vengono aggiunti due commi finali: il comma terzo prevede che anche per la fattispecie dell'autoriciclaggio di beni culturali operi la medesima clausola di non punibilità nei casi di beni destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale, prevista per la fattispecie “comune” dal comma quarto dell'art. 648-ter.1 c.p.; il comma quarto fa rinvio alla norma sulla ricettazione di beni culturali (art. 518-quater), prevedendo la punibilità dell'autore anche in caso di non imputabilità, non punibilità o improcedibilità del reato presupposto.

All'art. 518-octies, che disciplina la falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali, viene aggiunto un secondo comma che attribuisce rilievo penale anche alla condotta di colui che, fuori dai casi di concorso, utilizzi effettivamente nei traffici giuridici la scrittura privata falsificata, con la quale si simula la lecita provenienza del bene. Al riguardo, si segnala che l'intervento di depenalizzazione operato con il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, ha riguardato non solo l'uso della scrittura privata falsa “comune” (art. 489, secondo comma, c.p.) ma anche la condotta di falsità in scrittura privata “comune” (art. 485 c.p.): per coerenza sistematica, sanzionando penalmente la fattispecie di falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali, occorre incriminare in tale peculiare settore culturale anche la condotta di utilizzo di scrittura privata falsa.

All'art. 518-novies, che punisce violazioni in materia di alienazione di beni culturali, la condotta di alienazione senza autorizzazione, di cui al comma 1, numero 1), è integrata con quella di immissione sul mercato.

All'art. 518-decies, è apportata una riformulazione meramente formale che chiarisce meglio la non configurabilità del reato di importazione illecita di beni culturali in caso di concorso nei reati ivi elencati.

All'art. 518-undecies, le pene previste per il reato di uscita o esportazione illecite di beni culturali sono rideterminate nella reclusione da due a otto anni e nella multa fino a euro 80.000 in considerazione delle peculiarità caratterizzanti l'oggetto del reato che possono assumere differenze di valore estremamente rilevanti; inoltre, l'ultimo comma è eliminato, in quanto già l'art. 518-septiesdecies dispone in ordine alle pene accessorie per tutti i reati del titolo VIII-bis commessi nell'esercizio di attività professionali o commerciali.

All'art. 518-quaterdecies, che disciplina la contraffazione di opere d'arte, si elimina il secondo comma relativo alla pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna sui giornali, lasciando inalterato l'art. 518-septiesdecies recante le pene accessorie per tutti i reati previsti dall'introducendo Titolo. La pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna sui giornali sarebbe, infatti, inopportuna perché, da un lato, l'art. 36 oggi prevede unicamente la pubblicazione sul sito internet del Ministero e, dall'altro, l'art. 518-septiesdecies prevede per tutti i reati del Titolo la pena della pubblicazione della sentenza ai sensi dell'art. 36 (dunque non sui giornali) e, in aggiunta, la pena dell'interdizione ex art. 30 c.p.

L'art. 518-sexiesdecies, che disciplina attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali, viene eliminato in ragione del deficit di tassatività della fattispecie; conseguentemente, vengono eliminati tutti i richiami a tale articolo, ovunque ricorrano, e vengono rinumerati gli articoli successivi. Non appare, infatti, conforme all'ordinamento incriminare, per il solo fatto che siano realizzate tramite più operazioni o mezzi e attività continuative organizzate, condotte quali il trasferimento illecito, l'alienazione illecita, l'escavazione illecita e la gestione illecita di beni culturali che non corrispondono distintamente a specifiche fattispecie delittuose (l'attività di ricerca archeologica illecita è fattispecie contravvenzionale).

Si precisa, inoltre, che è già prevista come aggravante al successivo articolo la commissione di un reato contro il patrimonio culturale nell'ambito dell'associazione per delinquere di cui all'articolo 416 c.p.

All'ex art. 518-septiesdecies (ora art. 518-sexiesdecies), che disciplina circostanze aggravanti e pene accessorie, l'aggravante di cui al comma 1, numero 3), è modificata con l'eliminazione dell'astensione dallo svolgimento delle proprie funzioni, al fine di non circoscrivere a tali condotte omissive l'aggravamento della pena in caso di reato commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, preposto alla conservazione o alla tutela di beni culturali. Inoltre, all'alinea del comma 1 e al comma 2, è apportata una riformulazione meramente formale, volta a chiarire meglio l'applicazione delle aggravanti e delle pene accessorie a tutti i reati previsti dal titolo in oggetto. Si conferma, invece, l'aggravante di cui al primo comma, n. 4, stante la già richiamata eliminazione della fattispecie autonoma di cui all'art. 518-sexiesdecies.

Analoga riformulazione meramente formale è apportata all'ex art. 518-duodevicies (ora art. 518-septiesdecies) concernente le circostanze attenuanti.

All'ex art. 518-undevicies (ora art. 518-duodevicies), è anteposto un primo comma ad hoc per il caso di confisca di beni culturali illecitamente esportati, ai sensi dell'art. 518-undecies,chiarendo il carattere di richiamo alle cose elencate a tale articolo, anche quando siano oggetto di altri reati, e mantenendo il richiamo espresso al procedimento di esecuzione e alla legge doganale al fine non solo di una maggior chiarezza della norma ma anche di scongiurare possibili effetti negativi sui contenziosi in corso. Tale aggiunta codifica, infatti, la più recente giurisprudenza della Cassazione in materia (da ultimo, Cass. penale, III, sentenza n. 22 del 2019).

È altresì riformulato il terzo comma, precisando il termine dell'equivalenza, quale «valore corrispondente al profitto o prodotto del reato», sul modello dell'art. 240 c.p.

L'articolo 2 del disegno di legge è soppresso in conseguenza della soppressione della su esposta fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali (ex art. 518-sexiesdecies c.p.).

All'ex articolo 3 (ora articolo 2) del disegno di legge, che apporta modifiche all'articolo 9, comma 1, della legge 16 marzo 2006, n. 146, in materia di operazioni sotto copertura, la non punibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali è prevista in relazione alle attività di contrasto dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio, di cui agli artt. 518-sexies e septies, in luogo dell'espunta fattispecie di cui all'art. 518-sexiesdecies.

All'ex articolo 4 (ora articolo 3) del disegno di legge, che introduce due nuovi reati presupposto nell'ambito della responsabilità amministrativa da reato degli enti, di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono inseriti i reati di falsificazione e importazione illecita di beni culturali (artt. 518-octies e decies), in conformità all'art. 13 della Convenzione che impone la responsabilità degli enti per tutti i reati convenzionalmente previsti, tra i quali ricorrono anche le due figure di reato citate.

La numerazione dei reati contro il patrimonio culturale introdotti nel d.lgs. n. 231/2001 è, inoltre, aggiornata ai più recenti interventi normativi che hanno ampliato il catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti con l'inserimento, da ultimo, del reato di contrabbando di cui all'art. 25-sexiesdecies (con d.lgs. n. 75 del 2020); pertanto, i reati inseriti dall'articolo 4 assumono la numerazione di artt. 25-septiesdecies e duodevicies.

Infine, all'ex articolo 6 (ora articolo 5), comma 2, lettera a), sono eliminate dall'elenco di norme abrogate gli artt. 733 e 734 c.p., trattandosi di fattispecie contravvenzionali la cui abrogazione comporterebbe l'esclusione della punibilità per le corrispondenti condotte colpose.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: MARIO PERANTONI E COSIMO MARIA FERRI (A.C. 1951​-3106​-3184​-3315-A​)

MARIO PERANTONI (M5S), Relatore. (Relazione – A.C. 1951​-3106​-3184​-3315-A​). Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del testo unificato C. 1951​ Bruno Bossio, C. 3106​ Ferraresi, C. 3184​ Delmastro Delle Vedove e C. 3315​ Paolini recante "Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia".

Il provvedimento in esame è stato oggetto, in seno alla Commissione Giustizia, di una approfondita attività conoscitiva, svolta tramite l'audizione di autorevoli rappresentanti della magistratura, dell'avvocatura e del mondo accademico. Al termine del ciclo di audizioni, la Commissione ha adottato come testo base un testo unificato delle quattro proposte di legge abbinate, predisposto grazie a una significativa convergenza da parte delle diverse forze politiche, unite dalla comune percezione dell'elevata sensibilità del tema oggetto di discussione e dall'esigenza di dar seguito ai recenti interventi della Corte costituzionale in materia. Il testo unificato adottato come testo base, in sede di esame delle proposte emendative, è stato modificato e migliorato, anche in questo caso, grazie a una proficua collaborazione tra i diversi gruppi parlamentari e con il Governo.

Ciò premesso, prima di passare a illustrare il contenuto del provvedimento, ricordo che l'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 sull'ordinamento penitenziario ha subito nel tempo ricorrenti modifiche ed è stato oggetto di numerosi interventi della Consulta. La peculiare ratio di tale disciplina è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata, o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati "comuni", subordinando a condizioni particolarmente restrittive l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario per il condannato per i reati c.d. ostativi, indicati dal comma 1 dell'articolo 4-bis: ci si riferisce al lavoro all'esterno, ai permessi premio e alle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI dell'ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata, nonché (per effetto del richiamo contenuto nell'articolo 2 del citato decreto-legge n. 152 del 1991) all'istituto della liberazione condizionale.

L'accesso a tali misure infatti è possibile soltanto nel caso in cui i detenuti o internati per quei delitti collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario o a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale. (Si tratta, come ha specificato la Corte costituzionale, di una «disposizione speciale, di carattere restrittivo, in tema di concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o internati, che si presumono socialmente pericolosi unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la detenzione o l'internamento sono stati disposti» (sentenza n. 239 del 2014)).

Per i delitti ostativi, in caso di assenza di collaborazione con la giustizia vige quindi la presunzione assoluta di persistenza dei collegamenti: in difetto di un'utile collaborazione si presume cioè l'attualità degli stessi e, conseguentemente, l'immanenza della pericolosità sociale, a prescindere dal percorso rieducativo intrapreso dal condannato durante l'esecuzione della pena.

(La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 239 del 2014, ha evidenziato come la scelta di collaborare con la giustizia venga assunta come la sola idonea a rimuovere l'ostacolo alla concessione dei benefici penitenziari, in ragione della sua valenza "rescissoria" del legame con il sodalizio criminale. Per contro, la mancata collaborazione con la giustizia fonda la presunzione assoluta che i collegamenti con l'organizzazione criminale siano mantenuti ed attuali, ricavandosene la permanente pericolosità del condannato, con conseguente inaccessibilità ai benefici penitenziari normalmente disponibili agli altri detenuti).

In numerose pronunce, la Corte Costituzionale, nel ribadire il contrasto con il principio di uguaglianza delle presunzioni legislative assolute, laddove esse siano arbitrarie e irrazionali e non rispondenti ai dati di esperienza generalizzati riassunti nella formula «id quod plerumque accidit» (sentenza n. 57 del 2013), ha conseguentemente affermato la necessità di attribuire al giudice il potere di valutare gli elementi del caso concreto per poter compiere una prognosi ragionevole circa l'idoneità di un determinato beneficio penitenziario a far proseguire il detenuto nel suo percorso di reinserimento (sentenze n. 466 del 1999, 355 del 2006 e 189 del 2010).

Con particolare riguardo all'articolo 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario e alla preclusione assoluta di accesso al permesso premio da parte dei condannati per reati ostativi a pena perpetua o a pena temporanea, con la sentenza n. 253 del 2019 la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale articolo «nella parte in cui non prevede che - ai detenuti per i delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste - possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia..., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti». La Corte ha, altresì, esteso in via consequenziale tale dichiarazione di incostituzionalità anche in favore dei detenuti per tutti gli altri delitti elencati nella norma. Con la medesima sentenza la Corte ha sottolineato come la presunzione dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (e della mancata rescissione dei collegamenti stessi), così come prevista dall'articolo 4-bis, sia assoluta e non possa essere superata se non dalla collaborazione stessa: proprio questo carattere assoluto è stato ritenuto in contrasto con gli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La Consulta afferma infatti che la presunzione in sé non è illegittima, non essendo irragionevole presumere che il condannato che non collabora abbia legami con l'associazione di appartenenza, purché sia relativa e possa essere vinta da prova contraria, così rimanendo nei limiti di una scelta costituzionalmente compatibile con gli obiettivi di prevenzione sociale e di risocializzazione della pena.

La Corte ha al tempo stesso sottolineato l'esigenza che «in relazione a condannati per reati di affiliazione a una associazione mafiosa (e per reati a questa collegati), caratterizzati dalle specifiche connotazioni criminologiche appena descritte, ai soli fini dell'accesso al permesso- premio, la valutazione in concreto di accadimenti idonei a superare la presunzione dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata - da parte di tutte le autorità coinvolte, e in primo luogo ad opera del magistrato di sorveglianza - deve rispondere a criteri di particolare rigore, proporzionati alla forza del vincolo imposto dal sodalizio criminale del quale si esige l'abbandono definitivo», specificando come ciò giustifichi «che la presunzione di pericolosità sociale del detenuto che non collabora, pur non più assoluta, sia superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carceraria o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione, ma soprattutto in forza dell'acquisizione di altri, congrui e specifici elementi».

Con 1a recente ordinanza n. 97 del 2021 la Corte ha affrontato la questione del c.d. ergastolo ostativo, ossia della preclusione all'accesso al beneficio della liberazione condizionale per il condannato all'ergastolo per delitti di contesto mafioso che non collabori utilmente con la giustizia. In tale sede la Consulta, dopo aver ricordato la propria giurisprudenza e l'importanza della collaborazione, della quale evidenzia il valore positivo riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione stessa «l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per accedere alla liberazione condizionale», in contrasto con la funzione rieducativa della pena ai sensi dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione. Al tempo stesso ha posto l'accento sul carattere "apicale" della normativa sottoposta al suo giudizio nel quadro del contrasto alle organizzazioni criminali. L'equilibrio complessivo di tale normativa verrebbe messo a rischio da un intervento meramente demolitorio, con grave pregiudizio per le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva, a fronte del «pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa». La Corte evidenzia che si entra nel campo delle scelte di politica criminale che appartengono alla discrezionalità legislativa, in quanto finalizzate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri della Corte stessa. Nel sottolineare che l'intervento di modifica di questi aspetti deve essere oggetto di una più complessiva, ponderata e coordinata valutazione legislativa, la Corte ha rilevato che «esigenze di collaborazione istituzionale» impongono il rinvio del giudizio e la fissazione di una nuova udienza di discussione delle questioni in oggetto alla data del 10 maggio 2022, dando così al Parlamento «un congruo tempo per affrontare la materia».

La Corte ha inoltre richiamato l'attenzione del Parlamento sul fatto che, anche al fine dell'accesso alla libertà condizionale del detenuto condannato al c.d. ergastolo ostativo, «la collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento», e che perciò «la presunzione assoluta di pericolosità a carico del non collaborante mostra la propria irragionevolezza, perché si basa su una generalizzazione che i dati dell'esperienza possono smentire». Dunque, nel ribadire che «la presunzione di pericolosità gravante sul condannato all'ergastolo per reati di contesto mafioso che non collabora con la giustizia non è, di per sé, in tensione con i parametri costituzionali», in coerenza con le rationes decidendi poste a fondamento della sentenza n. 253 del 2019, ha ritenuto «necessario che la presunzione in esame diventi relativa e possa essere vinta da prova contraria, valutabile dal tribunale di sorveglianza».

Ciò detto, la Consulta non ha certo esaurito gli spazi di intervento riservati al legislatore ordinario, ma anzi ha sottolineato che «la mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta, è comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità specifica. Appartiene perciò alla discrezionalità legislativa decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento ex art. 176 cod. pen.: scelte fra le quali potrebbe, ad esempio, annoverarsi la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l'introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione».

Nella cornice delineata dalle richiamate pronunce si colloca quindi l'intervento normativo all'attenzione di questa Assemblea. Questo provvedimento, all'articolo 1, modificando da assoluta a relativa la presunzione prevista dall'art. 4 bis, provvede anzitutto a individuare le condizioni per l'accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte dei detenuti condannati per i cosiddetti reati ostativi:

- delineando un peculiare regime probatorio, fondato sull'allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi;

- introducendo una nuova disciplina procedimentale per la concessione dei benefici stessi che prevede, tra l'altro, l'acquisizione del parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e - quando si tratti di specifici gravi reati - altresì del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;

- spostando dal magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza, organo collegiale, la competenza ad autorizzare il lavoro all'esterno e i permessi premio quando si tratti di detenuti condannati per reati di mafia, terrorismo ed eversione dell'ordine democratico.

In particolare, l'articolo 1, al comma 1, lettera a), numero 1) novella il comma 1 dell'articolo 4-bis O.P., precisando che il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i c.d. delitti ostativi, in caso di esecuzione di pene concorrenti, si applica anche quando i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti, ma sia stata accertata dal giudice della cognizione l'aggravante della connessione teleologica (di cui all'articolo 61, numero 2), c.p.) tra i reati la cui pena è in esecuzione.

La lettera a), al numero 2) del comma 1, sostituisce integralmente il comma 1-bis dell'articolo 4-bis O.P con una più generale disciplina dell'accesso ai benefici per i detenuti ed internati non collaboranti, volta a superare la presunzione assoluta censurata dalla Corte Costituzionale. Viene eliminato il rilievo specifico attualmente riconosciuto alle ipotesi di collaborazione impossibile o inesigibile in considerazione del fatto che tale istituto aveva ragion d'essere nella vigenza della presunzione assoluta e che viene introdotta, tra gli elementi sottoposti alla valutazione del giudice, l'allegazione da parte dell'istante delle ragioni della mancata collaborazione.

Il superamento del divieto di ammissione ai benefici potrà quindi avvenire, in tutti i casi di assenza di collaborazione, in presenza delle seguenti concomitanti condizioni e presupposti:

- dimostrazione da parte degli istanti di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o dell'assoluta impossibilità di tale adempimento;

- allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere, una volta accertati, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.

L'intervento normativo specifica inoltre che l'istante, per ottenere l'accesso ai benefici, dovrà allegare elementi diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza.

La nuova formulazione del comma 1-bis si muove quindi pienamente nel solco delineato dalla Corte costituzionale nella sentenza. n. 253 del 2019 nella quale si chiarisce che «l'acquisizione di stringenti informazioni in merito all'eventuale attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (a partire da quelli di natura economico-patrimoniale) non solo è criterio già rinvenibile nell'ordinamento (sentenze n. 40 del 2019 e n. 222 del 2018) [...] ma è soprattutto criterio costituzionalmente necessario (sentenza n. 242 del 2019) per sostituire in parte qua la

presunzione assoluta caducata alla stregua dell'esigenza di prevenzione della "commissione di nuovi reati" (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009) sottesa ad ogni previsione di limiti all'ottenimento di benefici penitenziari (sentenza n. 174 del 2018)». La Consulta prosegue infatti sottolineando che il "regime probatorio rafforzato" si estende all'acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata, «ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali». A giudizio della Corte si tratta «di aspetto logicamente collegato al precedente, del quale condivide il carattere necessario alla luce della Costituzione, al fine di evitare che il già richiamato interesse alla prevenzione della commissione di nuovi reati, tutelato dallo stesso art. 4-bis O.P., finisca per essere vanificato». Nella citata sentenza n. 253 del 2019, si sottolinea come gravi sullo stesso condannato che richiede il beneficio «l'onere di fare specifica allegazione di entrambi gli elementi - esclusione sia dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro ripristino».

In coerenza con tale impostazione, la riforma prevede che, nel valutare circa l'esclusione dell'attualità dei collegamenti, il giudice di sorveglianza dovrà tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché accertare la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.

L'intervento, ovviamente, non concerne né incide in alcun modo sui condannati sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis O.P., in quanto in costanza di assoggettamento a tale regime si ritiene sussistente l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e la loro pericolosità sociale: la permanenza al 41-bis è quindi incompatibile con l'accesso ai benefici penitenziari, alle misure alternative alla detenzione e alla liberazione condizionale.

La lettera a), al numero 3), del comma 1 interviene sul comma 2 dell'articolo 4-bis per introdurvi una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per reati c.d. ostativi, disciplina necessaria e adeguata a quel regime probatorio rafforzato a cui ho già fatto cenno. In particolare, il giudice di sorveglianza, prima di decidere sull'istanza, ha l'obbligo:

- di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;

- di acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto;

- di disporre nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.

Con precipuo riguardo alla tempistica, la riforma prevede che i pareri e le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della loro complessità. Decorso tale termine, il giudice decide anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti. Si prevede inoltre, nel caso in cui dall'istruttoria svolta emergano indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, che gravi sul condannato l'onere di fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria. Nel provvedimento con cui decide sull'istanza di concessione dei benefici, il giudice dovrà indicare specificamente le ragioni dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza medesima, avuto altresì riguardo ai pareri acquisiti.

La lettera a), al numero 4), del comma 1 apporta una modifica di carattere meramente lessicale al comma 2-bis dell'articolo 4-bis, mentre al numero 5), inserisce, sempre nell'articolo 4-bis, il nuovo comma 2-ter, volto a specificare che le funzioni di pubblico ministero per le udienze del tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per i gravi reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis e 3-quater, c.p.p. possono essere svolte dal pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado.

La lettera a), al numero 6), in conseguenza dell'introduzione della nuova disciplina sul procedimento per la concessione dei benefici, abroga il comma 3-bis dell'articolo 4-bis.

Le lettere b) e c) del comma 1 incidono, rispettivamente, sulla disciplina del lavoro all'esterno (art. 21 O.P.) e dei permessi premio (art. 30-ter O.P.) per attribuire al tribunale di sorveglianza - in luogo che al magistrato di sorveglianza - la competenza a decidere sui predetti benefici quando si tratti di condannati per delitti:

- commessi con finalità di terrorismo anche internazionale;

- di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

- di associazione mafiosa cui all'art. 416-bis c.p. o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose.

L'articolo 2 interviene sul decreto-legge n. 152 del 1991 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa) per modificarne l'articolo 2, in base al quale la disciplina restrittiva per l'accesso ai benefici penitenziari, prevista all'art. 4-bis O.P., si estende anche al regime della liberazione condizionale. Rispetto al quadro normativo vigente, il testo in esame interviene sul comma 1 dell'articolo 2, per ribadire che l'accesso alla liberazione condizionale è subordinato al ricorrere delle condizioni previste dall'art. 4-bis O.P. (lettera a) e che si applicano le norme procedurali per la concessione dei benefici contenute in tale articolo. La modifica ha carattere di coordinamento: i presupposti e la procedura per l'applicazione dell'istituto della liberazione condizionale sono dunque quelli dettati dall'art. 4-bis, così come modificato dall'articolo i del testo in esame. Con la lettera b) sono invece apportate diverse modifiche alla disciplina vigente in materia di liberazione condizionale per i condannati all'ergastolo, per reati ostativi e non collaboranti. Per i predetti soggetti infatti:

- la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano scontato 30 anni di pena, in luogo degli attuali 26 anni, il cui requisito permane per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti;

- occorreranno 10 anni, in luogo degli attuali 5 anni (che permangono invece per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti) dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice;

- la libertà vigilata, sempre disposta per i condannati ammessi alla liberazione condizionale, è accompagnata al divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i gravi reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., con soggetti sottoposti a misura di prevenzione di cui alle lettere a), b), d), e), f) e g) dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (c.d. Codice delle leggi antimafia), ovvero condannati per reati previsti dalle predette lettere.

L'articolo 3 modifica l'articolo 25 della legge n. 646 del 1982, al fine di introdurre la possibilità per la Guardia di finanza di procedere ad indagini fiscali nei confronti di reclusi sottoposti al regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis O.P. Per consentire alla Guardia di finanza di procedere con le verifiche, la disposizione prevede che una copia del decreto del Ministro della Giustizia, che applica il c.d. 41-bis, sia trasmessa al nucleo di polizia economico-finanziaria competente.

Infine, l'articolo 4 dispone l'entrata in vigore della legge il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

COSIMO MARIA FERRI (IV). (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 1951​-3106​-3184​-3315-A​). Con riguardo al piano delle pene “troppo determinate” e quindi alla eterogenea costellazione delineata dalle pene fisse e più in generale dagli automatismi sanzionatori, viene in rilievo l'esempio più eclatante di pena fissa: il riferimento è, in particolare, alla pena dell'ergastolo. Sebbene solo raramente il dibattito relativo alla legittimità costituzionale dell'ergastolo sia stato importato con esplicito riferimento al profilo delle pene fisse, non è un caso che la massima pena detentiva prevista dal nostro ordinamento sia stata salvata dalla Corte Costituzionale proprio valorizzando la sua concreta graduabilità, sia pur attraverso l'accesso ai benefici penitenziari. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019 ha dichiarato parzialmente illegittimo l'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che, alle condizioni indicate, il giudice possa concedere al detenuto il permesso premio, con l'effetto di convertire la presunzione assoluta su cui si fondava la preclusione in una presunzione relativa.

Si apre, quindi, la via per il superamento dell'ergastolo ostativo, già oggetto di censura da parte della Corte Edu con la sentenza Viola c. Italia, riferendo questa categoria all'ergastolo “non riducibile”, come effetto della impossibilità di accedere alla preclusione della concessione della liberazione condizionale per il condannato non collaborante che abbia scontato 26 anni di pena.

Il tema delle presunzioni assolute “non ragionevoli” è il filo conduttore lungo il quale si sviluppa la giurisprudenza costituzionale non solo in materia di pene fisse, ma più in generale in presenza di ogni indebolimento della discrezionalità giudiziale in nome di una rigida predeterminazione legale della risposta sanzionatoria.

Sul tema è pendente un giudizio di legittimità costituzionale, infatti con l'ordinanza n. 97/2021 la Corte Costituzionale ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo, per accedere alla liberazione condizionale demandando al legislatore il compito di operare scelte di politica criminale tali da contemperare le esigenze di prevenzione generale e sicurezza collettiva con il rispetto del principio di rieducazione della pena affermato dall'art. 27 comma 3 Cost. La Corte ha rinviato al 10 maggio 2022 la nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, contestualmente indirizzando al legislatore un monito a provvedere.

Sintesi del testo unificato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati c.d. ostativi.

Il provvedimento in esame ha l'obiettivo di superare l'attuale preclusione all'accesso ai benefici penitenziari per i condannati di cui all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario.

Il testo unificato individua le condizioni per l'accesso ai suddetti benefici delineando un peculiare regime probatorio, fondato sull'allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere per il condannato sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi;

introduce una nuova disciplina procedimentale per la concessione dei benefici stessi che prevede l'acquisizione del parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e, quando si tratti di specifici gravi reati, altresì del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; inoltre, sposta dal magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza, organo collegiale, la competenza ad autorizzare il lavoro all'esterno e i permessi premio quando si tratti di detenuti condannati per specifici gravi reati (terrorismo, eversione dell'ordine democratico, associazione mafiosa).

Diverse modifiche sono apportate altresì alla disciplina vigente in materia di liberazione condizionale per i condannati all'ergastolo per i c.d. reati ostativi, non collaboranti con la giustizia. In particolare, si prevede che questi condannati possano accedere all'istituto solo dopo aver scontato 30 anni di pena e nel rispetto dei requisiti e del procedimento delineato per l'accesso ai benefici penitenziari (art. 2).

Infine, il provvedimento prevede la possibilità per la guardia di finanza di compiere accertamenti sui detenuti ai quali si applica il regime carcerario previsto dall'art. 41-bis della legge n. 354 del 1975 (art. 3).

Sintesi della normativa vigente: art. 4-bis ordinamento penitenziario.

Art. 4-bis comma 1 OP: elenca una serie di delitti che precludono al condannato l'accesso al lavoro all'esterno, ai permessi premio e alle misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento. In base a tale comma, la preclusione all'accesso ai benefici è superabile attraverso la collaborazione con la giustizia. In assenza di collaborazione con la giustizia vige la presunzione assoluta di attualità dei collegamenti con la criminalità e l'immanenza della pericolosità sociale.

Art. 4-bis comma 1-bis OP: prevede per gli stessi reati di cui al comma 1, il superamento del divieto di ammissione ai benefici purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata nelle due ipotesi di collaborazione impossibile o irrilevante.

Art. 4-bis commi 2 e 3: prevedono che il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza debba acquisire dettagliate informazioni tramite il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato; decida trascorsi 30 giorni dalla richiesta delle informazioni; tale termine è prorogato di ulteriori 30 giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali, quando il suddetto comitato comunica al giudice di ritenere che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali.

Inoltre, il comma 3-bis prevede che i benefici penitenziari non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunichi, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso non si applicano le procedure ordinarie (di cui ai sopra descritti commi 2 e 3).

Art. 4-bis comma 1-ter: elenco di delitti per i quali i benefici e le misure alternative possono essere concessi, salvo siano acquisiti elementi che indichino la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva.

Art. 4-bis comma 1-quater: ha ad oggetto i casi in cui i benefici penitenziari possono essere concessi solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione di esperti in psicologia.

Contenuto del testo unificato all'esame della Commissione.

- In primo luogo, la proposta di legge precisa che il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i c.d. delitti ostativi, in caso di esecuzione di pene concorrenti, si applica anche quando i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti ma sia stata accertata dal giudice della cognizione l'aggravante della connessione teleologica, di cui all'art. 61 n. 2 c.p., tra i reati la cui pena è in esecuzione.

- La novella sostituisce le ipotesi della collaborazione impossibile o irrilevante di cui al comma 1-bis dell'art. 4-bis OP con una generale disciplina dell'accesso ai benefici per detenuti ed internati non collaboranti, che ha l'obiettivo di superare la presunzione legislativa assoluta. In particolare, il superamento del divieto di ammissione ai benefici in assenza di collaborazione potrà avvenire qualora vi sia una dimostrazione da parte degli istanti di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento, nonché l'allegazione di elementi specifici che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo di ripristino di tali collegamenti anche indiretti o tramite terzi. Queste condizioni devono essere concomitanti.

- Il giudice di sorveglianza, con riguardo alle allegazioni degli istanti, dovrà tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile; dovrà accertare la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quella della giustizia riparativa.

- Con riguardo alla disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari, la novella prevede che il giudice di sorveglianza ha l'obbligo, prima di decidere sull'istanza, di chiedere il parere al PM presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'art. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p., il parere del PM presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Il giudice di sorveglianza ha l'obbligo di acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto e di disporre nei confronti dello stesso, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali.

I pareri, le informazioni e gli esiti degli accertamenti sopra citati devono essere resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in caso di complessità degli accertamenti. Decorsi tali termini, il giudice deve decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti.

- Qualora dall'istruttoria emergano indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, la novella prevede l'onere per il condannato di fornire idonei elementi di prova contraria.

- Il giudice nel provvedimento con cui decide sull'istanza di concessione dei benefici deve indicare le ragioni dell'accoglimento o del diniego.

- La novella sostituisce l'espressione del comma 2-bis art. 4-bis “ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter” con quella “nei casi di cui al comma 1-ter”.

- La proposta di legge vuole introdurre il comma 2-ter volto a specificare che le funzioni del PM per le udienze del tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per reati di cui art. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p., possono essere svolte dal PM presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui è stata pronunciata la sentenza di primo grado.

- La novella, inoltre, intende abrogare il comma 3-bis dell'art. 4-bis OP.

- La novella ha l'obiettivo di attribuire alla competenza del tribunale di sorveglianza l'autorizzazione alla concessione dei benefici penitenziari quando si tratti di condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo anche internazionale; di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; di associazione mafiosa cui all'art. 416-bis c.p. o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose.

- La novella interviene anche sul decreto legge n. 152/1991 per modificarne l'art. 2 in base al quale la disciplina restrittiva per l'accesso ai benefici penitenziari di cui all'art. 4-bis OP si estende anche al regime della liberazione condizionale. La proposta di legge interviene sul punto ribadendo che l'accesso alla liberazione condizionale è subordinato alle condizioni di cui all'art. 4-bis OP così come modificato dalla presente novella.

- Con riguardo ai condannati all'ergastolo ostativo non collaboranti, la proposta di legge prevede che la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano scontato 30 anni di pena (per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo e per i collaboranti rimane il requisito dei 26 anni); inoltre, prevede che occorrano 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice (per i condannati all'ergastolo per reato non ostativo e per i collaboranti occorrono 5 anni).

In riferimento alla libertà vigilata, per i predetti soggetti, essa è accompagnata al divieto di incontrare o mantenere contatti con soggetti condannati per i gravi reati di cui all'art. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p., soggetti sottoposti a misura di prevenzione di cui art. 4 d.lgs. 159/2011 e soggetti condannati per reati di cui art. 4 d.lgs. n. 159/2011.

- Infine, la proposta di legge ha l'obiettivo di modificare l'art. 25 della l. n. 646/1982 per introdurre la possibilità per la Guardia di finanza di procedere ad indagini fiscali nei confronti dei condannati ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall'art. 41-bis OP.