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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 590 di lunedì 8 novembre 2021

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA RITA TATEO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 2 novembre 2021.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Ascani, Barelli, Bergamini, Boschi, Brescia, Brunetta, Bruno Bossio, Caiata, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, Daga, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Macina, Maggioni, Maraia, Marattin, Mazzetti, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Mulè, Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Paita, Parolo, Pastorino, Patassini, Perantoni, Picchi, Rampelli, Rizzo, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Serracchiani, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Speranza, Tabacci, Vignaroli, Zanettin e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 84, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 5 novembre 2021, il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale la deputata Renata Polverini, in sostituzione del deputato Paolo Barelli, dimissionario.

Annuncio della presentazione di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, con lettera in data 6 novembre 2021, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla V Commissione (Bilancio): “Conversione in legge del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, recante disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose” (3354) - Parere delle Commissioni I, II, III, IV, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Lollobrigida. Ne ha facoltà.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA (FDI). Grazie, Presidente. Intervengo per chiedere un'informativa urgente del Ministro Orlando su un tema che è oggetto, ormai da qualche tempo, di discussione, cioè sul reddito di cittadinanza e sulla sua attuazione. Si annunciano modifiche, verificheremo nella legge finanziaria quali saranno le modifiche rispetto a questo tipo di strumento nato per ottenere due risultati. Il primo risultato, fallito miseramente, è quello delle politiche attive del lavoro, immaginando che in Italia vi fosse una condizione occupazionale che mancasse di qualcuno che mettesse in contatto i lavoratori con le offerte di lavoro. In realtà, dai dati che emergono si scopre che così non è stato e che non era quello il problema: il problema vero, che l'Italia doveva rilevare, era che il lavoro mancava e che doveva essere creato. Al riguardo, noi riteniamo e continuiamo ad affermare che il lavoro si può creare con un sostegno alle imprese, una detassazione, una fiscalità diversa che dia l'opportunità, agli italiani che possono, di lavorare.

Poi c'è un altro aspetto: quello del contrasto alla povertà. Certo, le persone che non possono lavorare, che non hanno la possibilità di lavorare vanno sostenute dallo Stato, ed è per questo che un provvedimento ben diverso dal reddito di cittadinanza doveva aiutare e sostenere i disabili gravi, coloro che non hanno la possibilità di avere un'occupazione e, invece, dare la possibilità alle tantissime persone oneste che percepiscono oggi anche il reddito cittadinanza di trovare un'occupazione come realizzazione della propria esistenza.

Però, emerge un fenomeno che noi abbiamo denunciato, come Fratelli d'Italia, in questi anni: c'è gente che ruba, ruba agli italiani che lavorano, producono e pagano le tasse; sono quelli che percepiscono indebitamente il reddito di cittadinanza, cioè che non ne hanno diritto, e che pure continuano a farlo, dopo averlo percepito in questi anni. Di chi si tratta? Di persone che sostengono cose irregolari, che sostengono cose illegittime - quelli che hanno ammazzato Willy prendevano il reddito di cittadinanza - come ex brigatisti rossi o spacciatori che vengono giornalmente trovati spesso in possesso della carta che dà diritto al reddito di cittadinanza.

Ecco, Fratelli d'Italia in più occasioni ha fatto proposte emendative, ha proposto ordini del giorno, affinché avesse il reddito di cittadinanza o, comunque, il sostegno dello Stato solamente chi aveva diritto a percepirlo. Invece, questi controlli non sono stati effettuati o non sono stati effettuati a sufficienza. Noi chiedevamo che vi fossero controlli preventivi e, invece, ci si è ostinati a non farli. Io su questo chiedo chiarezza, e perché? Perché i soldi degli italiani sono una cosa seria e non possono finire nella tasca di persone che non hanno diritto a riceverli, perché c'è gente che la mattina si alza e va a lavorare per produrli; in più, non devono finire mai nelle tasche di criminali e delinquenti.

Allora, noi vogliamo capire se esistano delle responsabilità in questo senso, responsabilità che noi anche attraverso i mass media abbiamo imputato alla politica prima di tutto, cioè alle forze politiche che si sono rifiutate di normare in modo tale che chi percepiva i soldi avesse diritto ad averli; in primis, questa accusa è alla politica e la politica deve chiarire le ragioni per le quali solo adesso corre ai ripari, dopo tre anni, dopo aver speso però diversi miliardi dei contribuenti ed alcune centinaia di milioni che sono finiti nelle tasche dei criminali, come ormai è provato.

Non solo, lo abbiamo detto con chiarezza: ci sono delle responsabilità con riferimento a chi la politica ha nominato. E quando dico “chi la politica ha nominato”, mi riferisco ovviamente ai consigli di amministrazione, in questo caso - e chiudo - dell'INPS. Mai ci siamo sognati di pensare né di dire che le responsabilità siano in capo a chi lavora all'interno di una delle aziende più importanti e nobili di questa Nazione, come è l'INPS. Sono persone perbene, oneste e abbiamo richiamato anche questo fattore per cui, anche in assenza di indicazioni chiare, anche in assenza di leggi chiare, anche in assenza di indicazioni che gli pervenivano, moltissimi di quelli che lavorano all'interno dell'INPS sono riusciti, come è avvenuto in Umbria - e ringrazio il direttore dell'Umbria Fabio Vitale - a fare emergere e a prevenire, ove possibile, il furto dei soldi degli italiani.

PRESIDENTE. Concluda.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA (FDI). Quindi, i lavoratori dell'INPS sono persone oneste che fanno il loro dovere. Chi, invece, ha nominato persone non in grado di dare indicazioni chiare, chi, invece, ha voluto normare, eludendo questo problema, ricercava consenso! Su questo chiederemo chiarimenti in termini contabili, ma anche politici, per quello che è possibile, per far capire agli italiani che, dietro questo provvedimento, c'era non la volontà di combattere la povertà, ma il tentativo di attrarre consenso, in particolare, da parte di una forza politica, consenso che, probabilmente, dal nostro punto di vista, è ottenuto in modo non regolare, se non altro in termini di coerenza con i principi della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sempre sull'ordine dei lavori, il deputato Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (FDI). Grazie Presidente per avermi concesso la parola sull'ordine dei lavori, per invitare gli esponenti del Governo a una seria riflessione rispetto a ciò che accade fuori da questi palazzi. Mi riferisco, ovviamente, a quanto accaduto qualche giorno fa in una discoteca di Bisceglie, della mia città, un evento di inaudita gravità, che dovrebbe portarci ad accendere i riflettori, non più con le parole, ma con i fatti, per un susseguirsi di episodi violenti che sta diventando davvero insostenibile. Penso, Presidente, che, nei prossimi provvedimenti legislativi, si debba tenere in considerazione l'escalation di violenza in questo periodo eccezionalmente complesso. La procura di Trani ha aperto un fascicolo per tentato omicidio, nei confronti di chi ha provato ad accoltellare e ad uccidere il giovane ventiseienne più volte, probabilmente per uno stupido diverbio, nato - si dice - per un apprezzamento nei confronti di una ragazza, un piccolo particolare che poi ha scatenato prima la discussione e poi lo sfogo di sei coltellate nella zona tra inguine e gamba e fiumi di sangue che scorrevano sul corpo del ragazzo. Anche il video che circolava dopo l'episodio dovrebbe farci riflettere, considerando che, in quello stesso video, si vedono altri ragazzi che riprendono una scena agghiacciante, invece di correre a chiamare un'ambulanza. Un ragazzo, che entra armato in discoteca, non entra per divertirsi: entra per sfogarsi e cercare un pretesto per farlo. Allora, credo che il Governo debba concentrarsi sulla repressione di questi episodi sempre più frequenti. Occorre rilevare che l'omessa adozione di provvedimenti cautelari è anche figlia della cultura degli “svuota carceri” e dell'evitare il sovraffollamento delle stesse, ma non possiamo reprimere il crimine, come ho sentito affermare dal lato sinistro di questo emiciclo, superando il carcere come trattamento sanzionatorio. Solo pochi giorni fa è avvenuto l'omicidio di Claudio Lasala, un altro povero giovane ventiquattrenne, ucciso nella mia provincia, a Barletta, con una coltellata da un diciottenne per un cocktail negato. Ovviamente, anche quello era un pretesto per dare sfogo alla propria malvagità e non è bastato usare il coltello, perché, mentre Claudio era a terra, lamentando dolori fortissimi, quella belva è tornata indietro, lo ha colpito in testa con un casco in maniera talmente violenta che il casco si è spaccato.

Il Paese si è concentrato completamente sulla pandemia (il COVID, le restrizioni, il passaporto per andare a lavorare), ma si è dimenticato che esistono tanti altri problemi da affrontare. Se, da una parte, si penalizza chi sceglie di non sottostare alle imposizioni del Governo in era pandemica, dall'altra, si strizza l'occhio a chi ruba, a chi uccide, a chi occupa abusivamente case di proprietà e a chi aggredisce. Si strizza l'occhio a chi delinque! Non si può più entrare in un luogo pubblico, se non muniti di un passaporto, e poi ci troviamo gente armata, disposta a uccidere per puro divertimento. Non esiste più il rispetto per le persone, non esiste più il rispetto per la vita, non esiste più la disciplina, non esiste la libertà di godersi una serata in totale spensieratezza o di starsene tranquilli, a casa, dopo il lavoro, perché magari i nostri figli sono fuori con gli amici. Possiamo aumentare i controlli e, personalmente, ho presentato molti atti parlamentari per potenziare gli organici delle Forze dell'ordine di polizia, in una provincia che non è certo sul podio per benessere. Ma le nostre donne e i nostri uomini in uniforme, che Fratelli d'Italia ringrazia ogni giorno per il lavoro che svolgono, non bastano più (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia),quando chi delinque viene rispedito a casa dopo due ore. Occorre la certezza della pena.

Presidente, mia nonna diceva che l'alberello va raddrizzato quando è in fase di crescita, riferendosi all'educazione da impartire ai propri figli. Basta guardare Oltralpe per capire che un Paese virtuoso funziona più o meno così. Nella Confederazione elvetica, per esempio, i bambini sono penalmente maggiorenni già a partire da dieci anni e, dal punto di vista penale, li si può, quindi, ritenere responsabili, con l'obiettivo di proteggere e rieducare i minori, come pure di impedire che commettano altri reati dell'adolescenza o, in seguito, quando diventano adulti.

Concludo, Presidente, rinnovando il mio invito è una serissima riflessione, perché è importante applicare pene e misure tempestive adeguate, affinché le nostre comunità possano vivere serenamente, perché un Paese in cui chi sbaglia non viene punito è un Paese destinato a fallire (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132, recante misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP (A.C. 3298-A​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3298-A: Conversione in legge del decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132, recante misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP.

Ricordo che nella seduta del 12 ottobre 2021 è stata respinta la questione pregiudiziale Colletti ed altri n. 1.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3298-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Stefano Ceccanti.

STEFANO CECCANTI , Relatore. Grazie Presidente. Mi soffermerò soprattutto sui due interventi decisi, uno migliorativo e uno conservativo, su cui si è incentrato soprattutto l'esame in Commissione, evitando di ripetere cose scontate, relative al testo originario del decreto.

L'intervento innovativo, che abbiamo deciso al termine dei lavori, è l'inserimento, nell'articolo 1, di una norma transitoria. La normativa a regime in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale, come conseguenza di una sentenza della Corte europea di giustizia, comportava, infatti, incertezze rispetto all'utilizzabilità di ciò che era stato acquisito precedentemente. I singoli giudici avrebbero potuto prendere decisioni molto diverse tra di loro. Una norma transitoria era, quindi, necessaria a fini di omogeneità. Quella concretamente individuata, tra le varie astrattamente possibili, consiste nel fatto che i dati potranno essere utilizzati contro l'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova, per l'accertamento dei gravi o specifici reati per i quali il decreto-legge ora consente l'acquisizione, reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo, della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, reati di minacce e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi. Viceversa, per i dati che possono essere utilizzati a vantaggio dell'imputato, si applica la disciplina vigente al momento dell'acquisizione, il cosiddetto principio tempus regit actum.

Non era questa la sede, come ha chiarito il Ministro Cartabia, per esaminare in modo compiuto le questioni relative all'uso del cosiddetto trojan, che pur anima un importante dibattito rispetto a uno strumento estremamente invasivo rispetto alle libertà costituzionalmente garantite. Tuttavia, avendo alcuni emendamenti posto in questa sede alcune questioni, si è proceduto a individuare un minimo comune denominatore condiviso rispetto alla normativa vigente (terzo periodo dell'articolo 267, comma 1), che impone al giudice di indicare, in sede di autorizzazione all'uso del trojan, le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini. La Commissione ha aggiunto che tali ragioni devono essere specifiche. Questo è l'intervento innovativo.

Andiamo all'intervento conservativo. La Commissione ha respinto due emendamenti soppressivi identici relativi al comma 1 dell'articolo 3, confermando la giusta scelta del Governo in materia referendaria. I sostenitori degli emendamenti soppressivi, in realtà, hanno inteso opporsi ad uno specifico quesito referendario, quello sulla cannabis, che li vede contrari nel merito; ma è sbagliato confondere le posizioni sulle regole, che devono essere uguali per tutti, con quelle di contenuto. Ora già due interventi normativi precedenti, tenendo conto delle difficoltà dovute all'emergenza sanitaria, avevano consentito il deposito di firme fino a fine ottobre. Il decreto-legge n. 52 del 2021, articolo 11, comma 1-bis, aveva prorogato di un mese i termini di legge per il deposito delle firme e dei certificati per le richieste di referendum abrogativo annunciate in Gazzetta Ufficiale entro il 15 maggio 2021. Successivamente, il decreto n. 77 del 2021, articolo 39-bis, aveva esteso il termine per il deposito alle richieste annunciate al 15 giugno. In assenza di un decreto del Governo per una terza proroga, cosa sarebbe accaduto? Che i depositari dei quesiti successivi al 15 giugno avrebbero dovuto consegnare un mese prima rispetto agli altri, un'evidente irragionevolezza, che, nel caso, i promotori avrebbero fatto valere con conflitto di attribuzioni davanti alla Corte, uscendone facilmente vincitori. Per questa ragione, l'intervento del Governo era dovuto e non era affatto legato al solo quesito cannabis.

Infatti, nel momento in cui il Governo ha varato il decreto, esso sarebbe andato potenzialmente a favore anche di oppositori radicali all'indirizzo politico del Governo. Se nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, dell'8 settembre, era stato dato l'annuncio di due quesiti sulla cannabis, in quella n. 223 del 17 settembre ne erano stati annunciati ben quattro contro il cosiddetto green pass. I promotori, poi, non sono stati in grado di raccogliere un numero di firme sufficienti, ma nel momento in cui il decreto veniva emanato, anch'essi ne erano beneficiari. Il Governo ha correttamente distinto il piano della correttezza istituzionale da quello delle legittime posizioni di parte. Così ha fatto anche la Commissione in sede di esame.

Resta aperto, pare, un problema relativo al referendum sulla caccia, oggetto della prima delle tre proroghe, non dell'ultima. Qualora le firme regolarmente raccolte fossero superiori alle 500 mila, cosa che spetta alla Cassazione verificare, potrebbero sorgere dei problemi per il mancato rispetto, da parte dei comuni, del termine perentorio di 48 ore dalla richiesta di certificazione di iscrizione alle liste elettorali e l'ottenimento della medesima; un problema che, nel caso, non dovrebbe essere fatto ricadere sugli incolpevoli promotori. Per questa ragione di correttezza istituzionale, che non c'entra con il merito, ho promosso, insieme ad altri colleghi, un ordine del giorno che può costituire precedente anche per casi analoghi, che invita a considerare questo eventuale difetto non imputabile ai promotori nella categoria delle irregolarità sanabili, già prevista dalla legge n. 352 del 1970.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire in una fase successiva.

È iscritta a parlare la deputata Lorena Milanato. Ne ha facoltà.

LORENA MILANATO (FI). Grazie, Presidente. Innanzitutto, vorrei iniziare dicendo che questo provvedimento, all'esame oggi dell'Aula, per noi è un ulteriore passo avanti del Governo in materia di giustizia. Come è noto, il Piano nazionale di ripresa di resilienza ha previsto alcune specifiche misure di intervento sul sistema giudiziario. Si tratta, in particolare, della previsione di riforme volte ad accelerare lo svolgimento dei processi e di specifici stanziamenti per la digitalizzazione dei procedimenti giudiziari.

Parliamo, dunque, di misure che nel complesso costituiscono una riforma strutturale dell'ordinamento giudiziario, necessaria anche in ottica di ripresa del nostro Paese. Come si ricorda anche nel PNRR, l'efficienza dell'amministrazione della giustizia rappresenta non solo un valore in sé, radicato nella cultura costituzionale europea, ma sostiene il funzionamento dell'intera economia. L'efficienza del settore giustizia è, infatti, condizione indispensabile per lo sviluppo economico e per un corretto funzionamento del mercato. In questo senso, il primo passo in avanti è stato compiuto con l'approvazione definitiva del disegno di legge che ha conferito delega al Governo in materia di riforma del processo penale, per migliorarne, quindi, l'efficienza. Tale provvedimento ha segnalato un importante cambiamento di rotta, del quale non si può non tenere conto.

La cosiddetta riforma Cartabia, in ottemperanza del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ha spazzato via quella precedente voluta dall'allora Ministro Alfonso Bonafede, che prevedeva il fine processo mai, e cioè il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia in caso di condanna, che di assoluzione. A questa si aggiunga, poi, la riforma del processo civile, già approvata al Senato e ora in corso di discussione alla Commissione giustizia qui alla Camera, che rafforzerà le garanzie di imparzialità per quello che concerne l'arbitrato, estendendo l'ambito di applicazione della negoziazione assistita e l'applicabilità dell'istituto della mediazione. Parliamo, quindi, di un intervento selettivo sul processo civile, volto, tra l'altro, a concentrare maggiormente, per quanto possibile, le attività tipiche della fase preparatoria e introduttiva, sopprimere le udienze potenzialmente superflue e ridurre i casi nei quali il tribunale è chiamato a giudicare in composizione collegiale, ridefinire meglio la fase decisoria con riferimento a tutti i gradi di giudizio, nonché a garantire la semplificazione delle forme e dei tempi del processo esecutivo, con particolare riguardo al settore delle esecuzioni immobiliari, dell'espropriazione presso terzi e delle misure di coercizione indiretta.

Lungo la linea direttrice di queste due macro riforme si è inserito timidamente e soprattutto durante l'esame in Commissione il presente decreto. Infatti, grazie al contributo di Forza Italia è stata inserita al suo interno una disciplina transitoria, relativa ai dati acquisiti prima dell'entrata in vigore del provvedimento e, in particolare, al divieto di utilizzazione, se non unitamente ad altri elementi di prova, dei dati acquisiti prima dell'entrata in vigore del provvedimento, nel rispetto della norma allora vigente.

Inoltre, sempre grazie al nostro contributo, è stata introdotta una prima correzione garantista sulle motivazioni del ricorso al delicatissimo strumento del trojan, prevedendo l'obbligo per il giudice per le indagini preliminari di indicare, nel decreto di autorizzazione per l'utilizzo dei captatori, le specifiche ragioni che rendono necessaria l'attivazione del microfono ai fini dello svolgimento delle indagini, in riferimento ai reati di minore entità. Si tratta sicuramente di una conquista, per quanto piccola, della quale il nostro gruppo va fiero, che, ponendo un'ulteriore attenzione sulla questione, ha ottenuto l'impegno dal Ministro Cartabia ad affrontare questo tema in una sede più opportuna per operare un intervento organico alla materia.

Un'altra novità importante prevista dal decreto è la proroga al 31 ottobre 2021 del termine temporale specifico nell'ambito della disciplina delle domande relative all'assegno temporaneo per i figli minori: una misura finalizzata a dare un sostegno immediato alla genitorialità e alla natalità, adottata in attesa dell'attuazione dell'assegno unico universale che dovrà riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli. Forza Italia è da sempre favorevole alle iniziative politiche, sociali ed economiche indirizzate al sostegno della famiglia. L'assegno temporale è una di queste, soprattutto in un contesto di crescita economica come quello attuale, di occupazione, di riduzione del tempo di precariato, di riorganizzazione della spesa pubblica indirizzata ai minori e di diminuzione del prelievo fiscale.

In conclusione, quindi, quello che stiamo oggi discutendo è un provvedimento ponte, che tratta temi sui quali siamo sicuri che si dovrà ritornare per portare avanti l'impegno preso con i cittadini, quello di ripensare e modernizzare il sistema Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ylenja Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Credo che anche su questo provvedimento sia importante lasciare alcune riflessioni a quest'Aula, perché ancora una volta il Governo ha dato prova di mancanza di chiarezza e di utilizzo, invece, della confusione, soprattutto in tema normativo. Dico questo perché le nuove disposizioni appaiono censurabili sotto più profili, sia di metodo, che di merito.

Sotto il profilo metodologico, il decreto-legge n. 132 si articola in una pluralità di norme - che e già facilmente comprensibile dal titolo e dal testo che abbiamo analizzato - che attengono a una serie di misure che spaziano in argomenti molto, molto diversi fra loro: si parla dei termini in materia di referendum, ci sono misure relative al Codice dell'ordinamento militare, assegno temporaneo per i figli minori, versamenti Irap; insomma, c'è un po' di tutto. Ed è, obiettivamente, secondo noi, non corretto, nella fase metodologica, quanto avvenuto rispetto all'articolo 1 che modifica l'articolo 132 del Codice della privacy, per circoscrivere l'accesso ai dati di traffico telefonico e telematico ai fini dell'indagine penale.

Ora, perché dico questo? Dico questo non solo perché, di fatto, la necessità di autorizzazione e di provvedimenti da parte dell'autorità giudiziaria ci riporta un po' indietro di tanti anni, ma soprattutto perché il Governo ha mancato di coordinare questa disposizione con quanto, invece, è previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, presentato proprio dallo stesso Governo.

Secondo il Piano di ripresa e resilienza, infatti, quando si parla di misure relative all'efficientamento della giustizia italiana, emerge un dato in maniera netta e assolutamente chiara e, cioè, che, per intervenire sul sistema giudiziario, non solo era necessario adottare misure in maniera veloce ma, soprattutto, era importante incentrare le modifiche sull'obiettivo finale della riduzione dei tempi dei giudizi, soprattutto, penali, ma mediante la loro maggior efficienza e l'accelerazione dei loro tempi di definizione, che si sarebbero dovuti ridurre del 25 per cento. E questo - lo specifica il Piano nazionale di ripresa e resilienza - doveva essere effettuato proprio attraverso l'adozione di interventi che avessero potuto incidere sulla disciplina della fase delle indagini preliminari, finalizzati ad assicurare scansioni temporali più certe e stringenti, con riferimento, in particolare, alla raccolta degli elementi di prova e delle conseguenti determinazioni concernenti l'azione penale.

Tutto questo, tra l'altro, avviene all'interno di questo provvedimento che, come ho già detto, ha un articolato che si occupa di materie assolutamente slegate fra di loro, quando il Governo sta intervenendo sulle riforme del processo penale ed è in discussione quella del processo del processo civile. Quindi, di fatto, il Governo sceglie di intervenire nuovamente sulla giustizia penale con un provvedimento di decretazione d'urgenza che, dal nostro punto di vista, doveva, invece, essere integrato in un sistema armonico proprio all'interno della definitiva riforma del processo penale.

Passando agli altri punti, siamo soddisfatti di quanto indicato all'articolo 3, ossia la proroga ai fini del riconoscimento delle mensilità arretrate dell'assegno familiare e, quindi, dell'assegno temporaneo per i figli minori che trova applicazione, in via transitoria, nel periodo 1° luglio 2021-dicembre 2021. Siamo soddisfatti di questa proroga. In realtà, avevamo chiesto, attraverso i nostri emendamenti, che questa proroga fosse ulteriormente prolungata proprio per dare la possibilità di recuperare il pregresso e di mettersi in pari con il nuovo; avremmo voluto altri due mesi di proroga rispetto a quanto stabilito.

Le altre misure contenute all'interno del testo base di fatto incidono poco nello sviluppo e faccio riferimento all'articolo 2 per quanto riguarda il Codice dell'ordinamento militare, all'articolo 3 per quanto riguarda i sottoscrittori, i certificati elettorali e il relativo deposito presso la Corte di cassazione e, infine, all'articolo 5 che proroga dal 30 settembre al 30 novembre del 2021 il termine per il versamento, senza sanzioni e interessi, dell'IRAP non versata e sospesa ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge n. 34 del 2020, il cosiddetto decreto Rilancio. Anche in questo caso, riteniamo che questa misura doveva essere valutata, verificata e discussa in una sede opportuna, in una sede diversa, considerato che vi sono testi base di altri provvedimenti nell'ambito dei quali sarebbe stato più corretto e omogeneo inserire anche la misura dell'IRAP.

Nel complesso, il provvedimento in esame presenta sicuramente aspetti condivisibili ma in tantissimi punti, invece, ci pare sia ancora manchevole e, indubbiamente, perfettibile. Riteniamo, in particolare, incongruo e sbagliato subordinare il riconoscimento dell'assegno temporaneo per i figli minori ad adempimenti eccessivi. Questa è una delle considerazioni che ha lasciato in Commissione il gruppo di Fratelli d'Italia, ma che è importante riportare in quest'Aula, proprio perché riteniamo sia importante avviare un dibattito e una discussione seri su un provvedimento che è molto confusionario, troppo esteso e che non affronta in maniera specifica nessuno dei temi che sono stati trattati.

Noi speriamo che la confusione non venga utilizzata nei prossimi provvedimenti; ci auguriamo che vi sia maggiore omogeneità in termini di decisioni e, soprattutto, che vi sia maggiore chiarezza nella fase normativa e dispositiva, proprio perché è importante che le materie vengano affrontate con consapevolezza, con coerenza e, soprattutto, nel merito, nella loro complessità e non, ogni volta, attraverso una decretazione d'urgenza che si occupa di guardare il dito, ma non guarda mai il disegno complessivo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (IV). Grazie, signora Presidente. Signor rappresentante del Governo, colleghi, il decreto legislativo n. 132 del 2021 relativo alle misure urgenti in materia di giustizia, di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP è un decreto omnibus. Si parte dalle acquisizioni di dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale. L'articolo 2 riguarda disposizioni in materia di difesa e di riduzione dei periodi di comando per l'avanzamento degli ufficiali. L'articolo 3 proroga, in materia di referendum, dal 30 settembre al 30 ottobre il termine per il deposito delle sottoscrizioni e dei certificati elettorali dei sottoscrittori presso la Corte di cassazione da parte dei promotori delle richieste di referendum abrogativo annunciate nella Gazzetta Ufficiale dal 15 giugno al 30 settembre e, tra questi, anche quello della legalizzazione della cannabis. Si ricorda che decorre dal 1° luglio 2021 anche l'utilizzo delle firme necessarie per il referendum; si possono raccogliere anche online, mediante documento informatico, sottoscritto con firma elettronica qualificata, a cui è associato un riferimento temporaneo validamente opponibile da terzi.

L'articolo 4 riguarda la proroga dei termini per la presentazione delle domande di assegno temporaneo per i figli minori, che viene prorogato dal 30 settembre al 31 ottobre. È una misura cara a Italia Viva che riconosce il lavoro fatto dalla Ministra Bonetti. L'articolo 5 proroga il termine in materia di IRAP: si proroga dal 30 settembre al 30 novembre il termine per il versamento, senza sanzioni ed interessi, dell'IRAP non versata e sospesa ai sensi dell'articolo 24 del cosiddetto decreto Rilancio e in caso di errata applicazione delle disposizioni relative alla determinazione dei limiti delle condizioni previste dalle comunicazioni della Commissione europea sul Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza COVID-19.

Come appunto abbiamo detto, è un decreto variegato, ampio, ma, è inutile girarci attorno, la parte più complicata, più discussa, più travagliata sicuramente è stata quella dell'articolo 1 in merito alle intercettazioni. Ringrazio il collega Vitiello di Italia Viva per il ruolo svolto in Commissione. Come ha detto il relatore, con l'articolo 1 si è voluto recepire un principio stabilito dalla Corte di giustizia con la sentenza della Grande Sezione del 2 marzo 2021, secondo cui nessuna autorità pubblica può accedere ai dati relativi al traffico di comunicazione o ai dati relativi all'ubicazione delle apparecchiature di un utente in modo da tracciare la sua vita privata, anche se per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, perché tale accesso deve essere circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica. Al contempo, con questa sentenza, si stabilisce anche che il pubblico ministero non possa essere competente ad autorizzare il suddetto accesso e deve, invece, essere il giudice a disporre tale autorizzazione.

La sentenza è stata oggetto di ampio dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza e per questo si è ritenuto doveroso intervenire equiparando il procedimento di acquisizione dei tabulati a quello di autorizzazione delle intercettazioni e individuando il giudice come l'unico soggetto che possa garantire il doveroso bilanciamento della privacy e delle esigenze investigative. I presupposti per poter acquisire i tabulati sono: presenza di sufficienti notizie di reato; rilevanza dello strumento per la prosecuzione delle indagini; solo reati la cui pena massima non sia inferiore a 3 anni e per alcuni specifici reati con pena massima inferiore che si caratterizzano per l'uso di apparecchiature telefoniche, minacce, molestie e disturbo delle persone posti in essere a mezzo di telefono, previa, in questi ultimi casi, una valutazione in concreto della gravità delle condotte. La procedura, pertanto, avviene con richiesta del pubblico ministero e autorizzazione del giudice.

Le criticità che mi permetto di riscontrare anche in questa nuova riformulazione dell'articolo 1 sono: si stabilisce che la gravità dei reati, per i quali è possibile acquisire i tabulati, è fissata al limite edittale massimo di 3 anni, così abbassando di molto la soglia prevista dalla sentenza, che, invece, si riferisce a forme gravi di criminalità o a gravi minacce alla pubblica sicurezza; non era stabilita inizialmente una norma transitoria, che è stata inserita in corso di esame degli emendamenti, stabilendo, anche qui, l'utilizzabilità dei tabulati precedentemente acquisiti dai PM, anche in questo caso contravvenendo palesemente alle indicazioni della Corte di giustizia che portano a concludere per l'inutilizzabilità delle acquisizioni disposte da autorità diverse dai giudici; infine, in Commissione si è provato a incidere sulla normativa relativa ai trojan, riuscendo solo ad inserire un maggiore onere motivazionale per il giudice che ne dispone l'autorizzazione, con l'aggiunta dell'aggettivo “specifiche” alle ragioni che possono indurre il giudice a concederla.

Quanto finora illustrato fa sì che Italia Viva pensi che un miglioramento della disciplina delle intercettazioni sia stato compiuto, anche se si poteva avere più coraggio, ma, come si dice dalle mie parti, piuttosto che niente, piutost.

Quello che mi sento di dire, in conclusione del mio intervento, è che buone norme possono, ovviamente, agevolare sia il perseguimento della giustizia sia, al contempo, tutelare la privacy delle persone, ma le buone norme da sole non bastano perché occorre un radicale cambiamento nei media, nell'informazione, nella magistratura, nella società, nella politica stessa. Non si può soggiacere al fatto che per quasi 25 anni ci sia stata una connivenza tra alcune procure della Repubblica e le redazioni giudiziarie di alcuni quotidiani e come questa connivenza duri ancora oggi. Si preferisce screditare il proprio avversario non con le idee ma con l'uso improprio di intercettazioni.

Quello che sta accadendo in questi giorni al senatore Renzi dovrebbe far indignare tutti: i media, i magistrati, i politici, l'opinione pubblica. Sono state captate intercettazioni di conversazioni private senza alcuna rilevanza processuale con metodi che sono stati persino contestati dalla Cassazione. Non solo, quindi, vi è stato questo tipo di intercettazioni, ma sono state pure pubblicate insieme a dati sensibili (agli estremi del conto corrente). Questo non ha nulla a che vedere con la libera informazione. Questo è mettere alla gogna il proprio avversario politico, punto! Ringrazio chi tra i politici ha pubblicamente preso le distanze e ha dato solidarietà a Matteo Renzi e agli uomini e alle donne di Italia Viva o anche chi lo ha dichiarato in privato, ammettendo la propria paura di esporsi pubblicamente per non subire ritorsioni politiche (questo la dice lunga) e anche chi non ha fatto niente, non ha detto niente e non si è in alcun modo pronunciato, rivelando così la propria natura umana. Come diceva Antonio De Curtis, in arte Totò, “Siamo uomini o caporali?”. Ecco, sono queste le occasioni in cui emerge la differenza.

Ringrazio anche la comunità di Italia Viva, che ha saputo unirsi compattamente come sempre, e ovviamente l'informazione libera, che ha preso le distanze. Cito una su tutte, Gaia Tortora, e cito non quello che è avvenuto e che sta avvenendo oggi al senatore Renzi, ma cosa disse in occasione di una trasmissione dopo l'assoluzione dell'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, davanti ai principali direttori della carta stampata, per una volta in evidente silenzioso disagio: “Noi non possiamo far finta che non ci sia stata una certa stampa che abbia cavalcato quell'humus, che abbia massacrato delle persone. Il giorno dopo che Uggetti è stato assolto (…) in tutti i giornali non c'era non dico una pagina, perché in questo Paese non accade mai, ma non c'era un trafiletto in nessun giornale. L'unica pagina era una pagina della Nazione (…) della direttrice Agnese Pini”. E aggiungeva: “Chi dobbiamo rieducare (…)? Non è solo colpa di un partito politico, è un problema di informazione (...), e quando noi scriviamo del caso Uggetti, senza magari avere tutte le competenze, tutti i verbali, tutti i riscontri - ma anche se li avessimo forse un condizionale in più non guasterebbe - ce lo chiediamo che forse quel signore ha moglie, figli, qualcuno che va a scuola? Lo vogliamo capire in questo Paese oppure no? Quindi, non facciamo finta che l'informazione non c'entra (…), tant'è che in questo Paese c'è una parte di informazione che va a braccetto con quella parte politica che cavalca quell'humus. Mi pare semplice”. Ecco, pensavo con ingenuità che si fosse voltata pagina e invece no. Se si pensa in questo modo di fiaccare le idee di Italia Viva, la nostra volontà di servire il Paese e la nostra determinazione di andare avanti, lo dico subito: mettetevi il cuore in pace, perché non è con questi strumenti che ci fate paura. Andremo avanti più forti, determinati e uniti sempre.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vittorio Ferraresi. Ne ha facoltà.

VITTORIO FERRARESI (M5S). Grazie, Presidente. A nome del MoVimento 5 Stelle intervengo in questa discussione sulle linee generali riguardante il decreto che al suo interno ha diversi argomenti, tra i quali, appunto, tabulati, referendum e diversi e ulteriori elementi che non riguardano le materie su cui vorrei intervenire oggi. Oggi interverrò sicuramente sull'articolo 1, che riguarda i tabulati telefonici, e sicuramente sul discorso referendum, che riguarda l'articolo 3.

Per quanto riguarda l'articolo 1, Presidente, c'è stato un intervento che da noi inizialmente è stato stigmatizzato perché riguarda una questione relativa a una pronuncia della Corte di giustizia su un caso estone, che di fatto, a cascata, ha richiesto un intervento da parte dei vari ordinamenti nazionali, compreso quello italiano. Devo dire, però, che la base cui il decreto fa riferimento è una base normativa e ordinamentale diversa da quella italiana, perché in Estonia l'ordinamento non è come quello italiano: in Estonia il pubblico ministero non ha un ruolo come in Italia, appunto, con un potere distinto da quello Esecutivo. È per questo che abbiamo avuto inizialmente alcuni dubbi sul fatto che le due casistiche potessero essere equiparate.

In ogni caso, anche su spinta e su richiesta delle giurisdizioni, delle più alte giurisdizioni, si è voluti intervenire.

Si è voluti intervenire facendo in modo che, dopo una determinata soglia, si potessero chiedere i tabulati telefonici da parte del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari e sotto quella soglia non potessero essere richiesti. Ora, i tabulati telefonici non sono intercettazioni telefoniche: sono semplici dati molto utili soprattutto inizialmente, quando parte un'indagine, per capire, appunto, chi ha chiamato chi, la durata, il luogo e così via. Sono questi i dati che vi sono contenuti e sono molto utili soprattutto nella fase iniziale, perché in quella fase si può capire se effettivamente un soggetto mente o no rispetto alla sua posizione, ai suoi rapporti con la vittima e su tanti altri elementi molto utili. Oggi, quindi, si dovrà richiedere la possibilità di accedere a questi tabulati - il PM lo potrà richiedere al giudice - sopra la determinata soglia dei 3 anni mentre sotto non potrà essere più richiesto, e questo, per esempio, è abbastanza grave soprattutto per i “reati spia”, quelli cioè che possono indurre altri reati, come quello della sostituzione di persona.

L'altra cosa negativa di questo provvedimento - sicuramente è stato reso necessario e l'interpretazione che è stata data è quella della necessarietà, proprio per salvaguardare i processi - è senz'altro il fatto che ci sarà un appesantimento.

Noi tutti qui abbiamo detto pubblicamente di voler migliorare e velocizzare i processi, l'efficienza, i tempi, le lungaggini, ma poi, con gli ultimi provvedimenti, purtroppo, ahimè, si è andati, invece, nella direzione di allungamento degli stessi e di appesantimento burocratico, perché una cosa che prima poteva essere fatta tranquillamente, ora dovrà richiedere una procedura ben precisa, che, ovviamente, appesantirà il lavoro dei giudici e anche la burocrazia che sta dietro al lavoro dei giudici. Questo è sicuramente un punto di vista negativo. Dall'altra parte, però, è stato portato avanti un intervento che, con la transitoria inserita in Commissione giustizia, mira a garantire i procedimenti esistenti; c'è un limite che, secondo noi, è buono, e che, quindi, nella composizione della controversia nata nella Commissione affari costituzionali, alla fine, ha visto, senz'altro, un voto favorevole da parte del MoVimento.

C'è stata una discussione, invece, molto più accesa per quanto riguarda i trojan, i captatori informatici. Vorrei entrare in questa discussione, credo sia necessario, perché, secondo me, da più parti, si sentono informazioni totalmente errate. Il captatore informatico, di fatto, è uno strumento, un mezzo di ricerca della prova che intercetta, come già esistono oggi le intercettazioni, e che, al contrario di quello che si dice, di fatto, è uno strumento assolutamente normato, con vincoli, paletti e garanzie. Si può utilizzare, come per le intercettazioni, sopra una soglia determinata di reato; si può utilizzare solo se ci sono gravi indizi di colpevolezza; si può utilizzare, nel privato domicilio di una persona - visto che, da molti, viene detto che si va a toccare l'attività privata di una persona, l'intimità -, solo se si sta svolgendo attività criminosa all'interno dell'abitazione o se c'è il fondato motivo di ritenere che in quei luoghi si stia svolgendo attività criminosa, si stia compiendo un reato. Non solo: nel trojan, già oggi, sono previsti paletti di indicazione di luoghi e tempi per i reati di seconda fascia, non quelli di terrorismo, corruzione e mafia, ma parliamo sempre di reati gravi, colleghi. Parliamo, per riferirsi a temi che interessano molto alla Lega, di traffico di sostanze stupefacenti, di spaccio, di reati sessuali, di reati contro le donne, di reati finanziari, di reati ambientali, seppur non associati. Parliamo, appunto, di fatti gravi, che, secondo alcuni, dovrebbero essere rilevati, nel 2021, con la lente di ingrandimento o con strumenti di intercettazioni ambientali, già normati anche quelli con vincoli, che hanno più di trent'anni. La criminalità, nel 2021, non è che sta ad aspettare l'ispettore Gadget o Sherlock Holmes con la lente di ingrandimento. È una criminalità subdola, è una criminalità che si serve dell'informatica e delle nuove tecnologie, è una criminalità che colpisce determinati diritti sacrosanti sanciti in capo ai cittadini e alle vittime, come il diritto alla salute, il diritto a vivere in un ambiente salubre, a non vedere raddoppiati i costi delle opere, a vedere rispettata la propria intimità, a non essere colpiti da violenza. E, allora, cosa dovremmo fare? Utilizzare ancora strumenti di trent'anni fa? Se una persona sa che viene registrata, perché c'è una microspia – perché, ormai, il crimine è all'avanguardia -, cosa deve fare? Sceglie semplicemente un altro luogo, si fa una passeggiata, va in un altro bar; in questo modo, l'attività criminosa o i propositi criminosi o gli elementi che potrebbero essere utilizzati per l'accertamento della verità, pouf! Quindi, dobbiamo stare molto attenti, perché, quando si gioca e si parla di captatore informatico, si parla di sicurezza, si parla di libertà, si parla di democrazia, perché questi strumenti, nel 2021, sono essenziali. Questo non vuol dire che devono venire meno la difesa o le garanzie, perché, in questi strumenti, sono garantite; hanno paletti, hanno disposizioni normative che, addirittura, come è ovvio che sia, sono più onerose rispetto alle intercettazioni normali e rispetto alle normali intercettazioni ambientali. Ma non possiamo non dare allo Stato, non dare alle procure la possibilità di utilizzare questi strumenti e, ovviamente, permettere ai criminali di farla franca. Questo è molto importante, perché si è tentato di fare una modifica in Commissione affari costituzionali, che, per fortuna, è stata sventata, che avrebbe ridotto il trojan, il captatore informatico a pressoché una normale cimice, una normale microspia, che, di solito, viene utilizzata per le intercettazioni ambientali classiche. Questo voleva dire semplicemente che, se due si accordano per commettere un reato o solo per dare elementi, per parlare del proposito criminoso in un luogo, e sanno, ovviamente, che potrebbero essere intercettati, il PM dispone che, tale sera, verranno intercettati, come previsto dalla norma, Tizio e Caio, alla tale ora e in tale luogo. Con la modifica normativa che si voleva fare, se il soggetto cambiava luogo, andava a fare un giretto per strada o andava dall'altra parte della città, era già tutto finito.

Allora, capite che questa cosa non è ammissibile? Non è ammissibile perché, innanzitutto, qui parliamo di persone che portano avanti reati. Nell'intimità - per dirla come chi dice che nella camera da letto o nel bagno uno è libero di fare quello che vuole - sì, sei libero di fare quello che vuoi se non commetti attività criminali, perché la differenza tra l'intercettazione che si può fare fuori e l'intercettazione che si può fare in un privato domicilio è almeno che non stai commettendo, in quel dato momento, attività criminosa. Infatti, sarebbe il colmo che non potessimo intervenire, qualora qualcuno stia spacciando in casa, qualora qualcuno stia commettendo una violenza in casa, qualora qualcuno stia commettendo un'attività criminosa; sarebbe il colmo che non potessimo neanche intercettare in quel momento lì. Questo significa dire ai criminali: “fate un po' quello che volete”.

Allora, il captatore informatico deve essere salvaguardato, deve avere garanzie, deve avere paletti, che già ci sono, perché sono stati inseriti dalla legge Orlando, modificati e confermati, in quel punto, dalla riforma Bonafede; devono rimanere, ma non si può poi andare oltre. Lo dico perché chi compie, per colpa o per dolo, attività di intercettazione in modo sbagliato, in un modo che va oltre i limiti normativi, certamente deve essere rimproverato. Non solo c'è l'inutilizzabilità degli atti, ma è chiaro che questi casi non vanno bene. Tuttavia, non possiamo, con una piccola percentuale o con azioni che determinano queste attività in modo non lecito, in modo sbagliato, solo per questo, andare a colpire uno strumento essenziale, nel 2021, per la lotta al crimine e per il contrasto di gravi reati. Quindi, siamo contenti che, in Commissione affari costituzionali, tra l'altro, su una materia che non c'entrava niente - perché ci occupavamo, come ho detto, di tabulati e non di captatori informatici -, questa proposta sia stata respinta.

Vado al secondo punto, facendo prima una premessa sul rapporto politica-magistratura. Vi sono stati sicuramente brutti esempi di attività di alcuni magistrati. Questo vuol dire che è necessaria una riforma del CSM e dell'ordinamento, come già il Ministro Bonafede aveva iniziato a fare, e il MoVimento 5 Stelle darà il proprio contributo a questa riforma. Non si possono prendere i comportamenti di alcuni magistrati per colpire l'intera categoria o per andare a demolire leggi sacrosante, che garantiscono la libertà e la democrazia del nostro Stato. Prendo l'ultimo esempio che è stato fatto dalla collega Fregolent: penso che il MoVimento 5 Stelle abbia già esternato i fatti dopo la sentenza, però dobbiamo dircela in modo chiaro. L'ex sindaco di Lodi, sicuramente, aveva commesso attività, che, politicamente, contrastavano con i princìpi di trasparenza e di onore con cui si devono portare avanti le funzioni pubbliche.

Questa attività, tra l'altro, è stata ammessa da lui stesso.

Poi siamo tutti contenti che un sindaco non sia condannato, abbiamo appreso ovviamente la notizia che, a livello processuale, il sindaco sia stato prosciolto.

Ma questo non vuol dire che una forza politica non debba valutare politicamente gli atti di un amministratore o di un politico, di un europarlamentare o chicchessia. Un conto è la fase del procedimento penale, se vi sono determinati fatti che possano rientrare o meno, che possano o meno avere una rilevanza penale, e di questi dobbiamo prendere atto perché abbiamo assoluto rispetto della magistratura; altro conto è rappresentato da quei fatti che, a livello politico, sono da condannare o meno; di questo, secondo me, se affrontiamo le cose con intelligenza, con buona fede, con rispetto, gli uni verso degli altri e non buttiamo tutto nel calderone politico, non possiamo non tenere conto e non accettare.

Per quanto riguarda invece l'articolo 3, credo sia stato necessario un intervento urgente per quanto riguarda la proroga dei termini con riferimento alla raccolta delle firme e allo svolgimento di tutti gli atti successivi che riguardano il referendum e quello sulla cannabis. Penso sia stato necessario questo intervento non perché si debba o meno essere d'accordo sul merito del referendum, ma perché i proponenti dello stesso - in questo caso il referendum sulla cannabis e mi auguro che ci sia un intervento da parte della Ministra della Giustizia, da parte del Governo, anche per quanto riguarda quello sulla caccia - possano svolgere la propria attività in modo sereno senza che quest'ultima venga intaccata dall'impossibilità delle amministrazioni pubbliche di fornire i certificati elettorali perché siamo in un momento di emergenza o perché siamo in un momento in cui ci sono state tante elezioni e i certificati non possono essere consegnati nei tempi prestabiliti. Noi non possiamo far sì che questa sia una colpa dei proponenti dei vari referendum. Quindi, si può essere d'accordo o meno sul referendum sulla cannabis o sulla caccia - io, per esempio, sono d'accordo - ma l'impossibilità di avere questi certificati nei tempi prestabiliti dalla legge non può ricadere su chi ha raccolto con impegno e sacrificio le firme, seguendo il dettato normativo, ordinamentale del nostro Stato. Questa non può essere una questione politica, ma una questione di buona amministrazione in modo da garantire i diritti ai cittadini che si impegnano per portare avanti a livello nazionale questo importante strumento di democrazia.

È per questo che oggi chiedo che il relatore, l'onorevole Ceccanti, faccia uno sforzo; lo possiamo fare tutti insieme, anche sul referendum sulla caccia, per dare un indirizzo, non favorevole o contrario, ma per garantire, visto che i comuni, per vari motivi, hanno avuto impedimenti e non sono riusciti a consegnare i certificati elettorali nei termini prestabiliti, che questo si possa fare. Su questo ci impegneremo anche nella fase degli ordini del giorno.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3298-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Stefano Ceccanti. A lei la parola.

STEFANO CECCANTI , Relatore. Presidente, devo due risposte al collega Ferraresi. La prima, come ho detto, abbiamo approntato un ordine del giorno - se si vogliono aggiungere anche altri colleghi, mi sembra che l'abbiano firmato la collega Baldini e il collega Magi - per dire che, nel caso in cui i comuni non siano riusciti per loro colpa a non rispondere alla norma che prevede in maniera tassativa, entro 48 ore, di trasmettere, dopo la richiesta dei promotori di iscrizione alle liste elettorali, che questo non sia imputatibile ai promotori e sia considerata un'irregolarità sanabile, una specie di moral suasion verso l'Ufficio centrale della Cassazione.

Mi permetta però il collega - anche se qui non è il luogo per fare una discussione sugli aspetti giudiziari e politici della vicenda dell'ex sindaco di Lodi - di rinviare alla lettera del Ministro Di Maio a Il Foglio che definì la campagna orchestrata da alcune forze politiche contro il sindaco Uggetti, lo dico tra virgolette (sono parole di Di Maio), “attacchi profondamente sbagliati e condotti con modalità grottesche e disdicevoli”. Io sono d'accordo con Di Maio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Pella ed altri: “Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di limitazione del mandato dei sindaci e di controllo di gestione nei comuni di minori dimensioni, nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in materia di inconferibilità di incarichi negli enti privati in controllo pubblico” (A.C. 1356-A​) e delle abbinate proposte di legge: Silvestroni ed altri; Ciaburro ed altri (A.C. 2071​-2240​) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1356-A: “Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di limitazione del mandato dei sindaci e di controllo di gestione nei comuni di minori dimensioni, nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in materia di inconferibilità di incarichi negli enti privati in controllo pubblico” e delle abbinate proposte di legge nn. 2071 e 2240.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 5 novembre 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 5 novembre 2021).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1356-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

Le Commissioni I (Affari costituzionali) e (Bilancio) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione bilancio, deputato Massimo Bitonci.

Ne ha facoltà, prego collega.

MASSIMO BITONCI, Relatore per la V Commissione. Grazie, signor Presidente, grazie sottosegretario, gentili colleghi presenti oggi in Aula, intervengo, devo dirle signor Presidente, con un certo imbarazzo perché quello in esame è un provvedimento che ha iniziato il suo percorso nelle due Commissioni, I e V, ben due anni or sono, esattamente il 17 ottobre 2019. Questo percorso è iniziato con buoni auspici; ricordo, infatti, che i sindaci, gli amministratori locali attendono da molti anni un'importante riforma del testo unico degli enti locali, tenuto conto che le condizioni politiche, sociali ed economiche sono mutate, così come anche le condizioni e le responsabilità in cui operano i nostri 8 mila sindaci in Italia. Proprio questa settimana si aprirà l'assemblea dell'ANCI e con i nostri sindaci si discuterà anche di questo tema. Il Governo, a detta del sottosegretario, sta lavorando su un disegno di legge delega proprio su questa materia ma, ripeto, è un'occasione perduta la proposta di legge del collega - che fa parte integrante dell'ANCI in qualità di consigliere e membro del direttivo -, che è partita con tutta una serie di articoli condivisi da tutti i gruppi parlamentari, quindi non solamente dal proponente e dal centrodestra ma anche dal centrosinistra e dal Movimento 5 Stelle.

Sono state fatte tante audizioni, con un lungo lavoro dei relatori, del presentatore e anche del Comitato ristretto che è stato formato ad hoc. Si è lavorato molto su emendamenti, cercando di non toccare il tema delle coperture, evitando un ulteriore carico di spesa sul bilancio pubblico. Faccio riferimento, in primo luogo, soprattutto al tema, per esempio, dell'entità dei compensi dei sindaci, una modifica, questa, attesa da anni ed inserita all'interno della legge di bilancio, i cui lavori sono iniziati al Senato. In secondo luogo - questa è una proposta che veniva fatta un po' da tutti - faccio riferimento allo status dei sindaci; in particolare, alla copertura della parte assicurativa.

Sindaci che sono costretti a pagarsi l'assicurazione, sindaci che devono lasciare magari il posto di lavoro e perdono anni di contributi, in una differenziazione molto evidente di trattamento tra chi è un lavoratore autonomo e chi invece è dipendente della pubblica amministrazione, che invece ha una copertura che è garantita per legge.

Quindi, lo ripeto, è stato fatto un importante lavoro che ha portato, però, a un testo che si è ridotto a soli tre articoli. Per carità, sono tre articoli che verranno poi valutati dall'Aula e penso che tutti i gruppi presenteranno alcuni emendamenti. Personalmente, come relatore, insieme anche all'altro relatore, Berti, del MoVimento 5 Stelle, siamo sempre stati molto aperti nel tentativo di trovare delle mediazioni tra le esigenze dei vari movimenti e partiti politici Però, chiediamo anche oggi, per quanto riguarda i lavori che ci saranno nei prossimi giorni in Aula, un'apertura da parte del Governo. Se infatti sappiamo che si è in procinto di approvare un disegno di legge delega, perché, sottosegretario Scalfarotto, non anticipare almeno qualcosa all'interno di un testo, che rimane veramente scarno? Dico ciò soprattutto per quanto riguarda un tema fondamentale, di cui si è trattato. C'è, al riguardo, una proposta di legge al Senato, non solo della Lega ma anche del partito del Partito Democratico. Questo fa capire quanto sia attuale e rilevante la soluzione di un problema di questo tipo, soprattutto per quanto riguarda il tema delle ordinanze. Con riferimento alle ordinanze non emesse da parte dei sindaci ci sono dei casi eclatanti. Ci sono infatti sindaci che sono stati imputati per delle responsabilità dovute a dalle gare d'appalto per non avere emesso delle ordinanze di tutela. Ma come fa un sindaco a sapere che, magari in un determinato cantiere, poteva accadere l'infortunio di quel tal lavoratore? Avrebbe quindi dovuto emettere un'ordinanza preventiva su dei lavori pubblici, magari subappaltati ad altra ditta? Questo è solamente un caso, ma ce ne sono tantissimi di questo tipo. Alla fine, quella che era la ratio di chi ha voluto la riforma del testo unico ancora vent'anni fa, con la netta separazione dei poteri tra la responsabilità politica e la responsabilità dei dirigenti, che è gestionale, signora Presidente, non funziona. Poi, alla fine, le responsabilità cadono sempre sulla testa dei nostri sindaci e dei nostri amministratori che, ovviamente, non possono avere tutte le competenze che hanno i dirigenti.

Anche qui, il fatto che il segretario comunale non firmi più la legittimità degli atti, costituisce un tema che va assolutamente discusso in questa sede. Con riguardo al fatto che una volta c'era comunque il controllo da parte del Coreco degli atti della pubblica amministrazione, mentre i sindaci adesso sono lasciati da soli, anche questo problema pensiamo vada assolutamente gestito e risolto. Io stato sindaco per molti anni, tra l'altro in due comuni, uno di media grandezza come Cittadella e uno più grande come Padova. Il fatto che nei comuni più piccoli manchino i segretari comunali è una cosa che ha dell'incredibile, signora Presidente. I sindaci - io ne conosco tantissimi e passo la mia giornata a fare attività di “consulenza” ai sindaci sui problemi che hanno – sapendo che negli anni si è costruita una certa fiducia ma anche una certa preparazione nell'ambito del testo unico degli enti locali, ci chiamano perché non hanno il segretario comunale. Questo fatto va gestito e non si può, sottosegretario, dire che facciamo un concorso e che ci saranno più segretari comunali. Perché non aprire anche ad altre categorie? Perché non fare in modo che sia il sindaco a decidere e scegliere chi sarà il suo “avvocato”, il suo “commercialista”? Diamo la responsabilità, perché se alla fine la responsabilità cade sul sindaco e sugli amministratori, tanto vale che gli lasciamo scegliere le persone che devono gestire il comune.

Adesso vado velocemente ad esaminare ciò che è rimasto ma, ovviamente, in modo molto veloce, perché di tutti gli articoli della proposta di legge Pella ne sono rimasti solamente tre.

Un articolo è relativo alle semplificazioni. Un articolo è relativo all'inconferibilità degli incarichi amministrativi al vertice degli enti di diritto privato nel controllo pubblico, in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione: è importante, per carità, però, insomma, ci sono tante altre problematiche. Un altro articolo è relativo al mandato dei nostri sindaci. Anche qui, si era riusciti a trovare una convergenza importante, anche per i comuni al di sotto dei 15.000 abitanti, perché se ne era parlato con varie forze politiche. Un unico movimento era contrario e, alla fine, c'è questa soluzione minimale del terzo mandato per i comuni sotto i 5.000 abitanti. Per carità, è un primo passo, però noi continueremo a ripetere che, visto che dai 15.000 abitanti in su cambia anche l'elezione - nel senso che non c'è più il primo turno ma c'è il turno di ballottaggio - quindi, in linea con questo, si potrebbe anche estendere il terzo mandato ai nostri sindaci e amministratori anche nei comuni al di sotto di 15.000 abitanti.

Quindi, concludo, signora Presidente, dicendo, come relatore - non me ne vergogno - che questa montagna di lavoro ha partorito un topolino; un topolino con tre articoli. Noi, ovviamente, cercheremo di lavorare, come relatori, insieme al collega Berti e anche al presentatore, onorevole Pella, per cercare di integrare e migliorare ulteriormente il testo. Però - lo ripeto - mi chiedo se abbia senso venire in Aula con un testo che è partito in un modo e poi si è ridotto solamente a tre articoli. Per carità, va bene così ma si poteva certamente fare meglio (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in una fase successiva.

È iscritto a parlare il deputato Stefano Ceccanti. Ne ha facoltà.

STEFANO CECCANTI (PD). Questo testo è uno dei pochi di origine parlamentare che arriva in Aula. I gruppi si sono impegnati molto pragmaticamente a individuare un minimo comun denominatore per anticipare qualche contenuto urgente di modifica del testo unico enti locali. Trattandosi di testo unico è ovvio che l'iniziativa più organica sia assunta in partenza dal Governo, per lo più con lo strumento della delega legislativa, ma il Parlamento può già dire qualcosa anche in questa fase.

Come ha già in parte richiamato uno dei due relatori, l'articolo 1 dispone l'inconferibilità degli incarichi amministrativi di vertice agli enti di diritto privato in controllo pubblico in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione. Attualmente, l'inconferibilità è prevista per gli incarichi dirigenziali e di amministratori in tali enti anche sulla base di opportune sollecitazioni dell'ANAC.

L'articolo 2 dispone una semplificazione contabile per i comuni con meno di 5.000 abitanti, per i quali viene eliminato l'obbligo di effettuare il controllo di gestione previsto dal comma 1 dell'articolo 196 del TUEL; una necessaria semplificazione attesa da tempo.

L'articolo 3 eleva da due a tre il numero di mandati consecutivi consentiti ai sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, come attualmente consentito solo fino a 3.000 abitanti. È chiaro che l'elezione diretta, che è un pilastro del nostro ordinamento dal 1993, che consente un chiaro rapporto di responsabilità verso il corpo elettorale, comporta un certo grado di concentrazione del potere che il legislatore fin dall'inizio ha ritenuto opportuno bilanciare col limite ai mandati. All'inizio si trattava di due mandati quadriennali, poi divenuti quinquennali. Nei piccoli comuni, dove vi è una maggiore difficoltà obiettiva di reperire candidature in grado di assicurare competenza ed efficacia, si è ritenuto di ammettere così un terzo mandato. La soglia dimensionale – opinabile, come tutto - è comunque nota, essendo quella utilizzata dagli anni sessanta fino al 1993 per l'applicazione di un sistema maggioritario. Penso che intanto questa prima anticipazione della riforma del TUEL possa essere positiva.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ilenia Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. È facilmente concepibile e possiamo capire il motivo per il quale il relatore Bitonci ha mostrato molte perplessità rispetto al testo del provvedimento; quelle riflessioni che sono state appena riportate all'Aula noi le condividiamo, perché dobbiamo ricordarci che questo testo ha iniziato il suo percorso all'interno delle Commissioni alla Camera il 17 ottobre 2019; ad esso, poi, sono state aggiunte anche altre proposte, fra le quali la proposta Ciaburro e la proposta Silvestroni, quindi, di due parlamentari di Fratelli d'Italia. Questo provvedimento, che ha iniziato il suo iter nel 2019, ha impegnato queste due Commissioni, partendo da un testo base che conteneva 36 articoli; oggi, invece, noi arriviamo alla fine di questo percorso con il dibattito su 3 articoli. Ora, è chiaro ed è evidente che si è trattato non di un intervento da parte del Governo su un testo base, ma di un cecchinaggio vero e proprio a carico di questo provvedimento da parte del Governo, pur nella consapevolezza che questo è un provvedimento che i sindaci italiani aspettavano. Ripeto quanto detto dal mio collega Trancassini in Commissione, perché quando si parla di enti locali, quando si parla di sindaci, noi dovremmo avere l'umiltà - e quando dico “noi” intendo noi parlamentari che non abbiamo svolto attività amministrativa come sindaci -, ma, soprattutto, chi oggi fa parte del Governo dovrebbe avere l'umiltà, di ascoltare chi, invece, il sindaco lo ha fatto, chi conosce i territori e chi conosce i problemi della gestione amministrativa di una comunità, quali sono, appunto, le nostre città. Questo, invece, non è stato fatto. Quindi, sarebbe bello sapere chi, effettivamente, all'interno del Governo, nello scegliere quali articoli potessero passare e quali no, abbia svolto questo importantissimo ruolo istituzionale.

Allora, Presidente, sì, è chiaro, ovviamente siamo d'accordo con quello che, alla fine, è arrivato, cioè questi 3 articoli che si occupano, all'articolo 1, della inconferibilità degli incarichi amministrativi di vertice negli enti di diritto privato in controllo pubblico in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione, all'articolo 2, dell'introduzione della semplificazione contabile per i comuni con meno di 5 mila abitanti, per i quali viene eliminato l'obbligo di effettuare il controllo di gestione e, infine, all'articolo 3 di elevare da due a tre il limite dei mandati consecutivi per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti.

Ora, però, è chiaro ed è evidente che alla grande passione che è stata messa in questi anni, dal 2019 ad oggi, dal collega Pella e dagli altri colleghi che si sono occupati degli enti locali, non c'è stata una vera risposta; questa era una grandissima occasione per dare un segnale forte non solo agli amministratori, ma anche ai cittadini, per dire loro che tutte le proposte, a maggior ragione quando provengono dai parlamentari, a maggior ragione quando provengono da coloro i quali sanno di cosa si sta parlando, vengono considerate principali rispetto a qualunque altro provvedimento. Questo doveva essere il segnale e noi, invece, in Commissione, ci siamo sentiti dire che arriverà un altro testo, che quel testo verrà redatto direttamente dal Governo e, quindi, non possiamo che accogliere quello che ci viene detto, quello che ci è stato detto in Commissione, ma con tantissime perplessità. Continuiamo a dire, così come avevamo chiesto anche all'interno delle proposte di legge di Fratelli d'Italia, che è importante ritornare a parlare di enti locali, inserendo nel provvedimento di riforma del testo unico il tema, per esempio, dell'elezione diretta del presidente e del consiglio provinciale, del sindaco e del consiglio metropolitano; noi riteniamo che sia fondamentale che degli enti locali si occupi il Parlamento, riteniamo che sia fondamentale che degli enti locali e di come effettuare una vera riforma sostanziale degli enti locali si occupino coloro i quali hanno amministrato e vissuto nelle città italiane e non soltanto chi lo ha già fatto in passato, ma chi oggi si confronta con quelle responsabilità e con quei problemi. Allora, ancora una volta, il Governo non ascolta la voce del Parlamento. Ovviamente, riteniamo che il lavoro che è stato fatto dal 2019 ad oggi si sia, sostanzialmente, concluso in un nulla di fatto. Sono importanti questi tre articoli, ma, lo ribadisco, passare da un testo base con 36 articoli, che si occupava di una vera riforma sistemica degli enti locali, a un provvedimento con 3 articoli, ovviamente, non può renderci soddisfatti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pella. Ne ha facoltà.

ROBERTO PELLA (FI). Grazie, Presidente. Cari colleghi, sottosegretario Scalfarotto e relatore Bitonci, oggi, non senza una forte emozione, come deputato di Forza Italia, voglio portare all'attenzione di tutti voi membri del Parlamento il contenuto di una proposta di legge che riguarda lo status e le funzioni degli amministratori locali e la semplificazione dell'attività amministrativa e di finanza locale. Le condizioni in cui i sindaci italiani, da quelli delle grandi città a quelli dei comuni più piccoli, svolgono il proprio mandato occupano ampi spazi del dibattito politico e pubblico, trovando anche una certa trasversalità nell'analisi delle responsabilità, degli oneri e degli onori che tale funzione comporta, specie, come è avvenuto di recente, in corrispondenza di importanti appuntamenti elettorali o, purtroppo, di episodi gravi e dolorosi. Eppure, questo è il primo Parlamento che, dopo anni, se ne è voluto occupare veramente, affrontando le questioni poste dalla proposta di legge elaborata dall'ANCI nel 2018 e, significativamente, ribattezzata “Liberiamo i sindaci”. Si tratta di una proposta di legge che, come è stato sottolineato dai colleghi che mi hanno preceduto, era stata sottoscritta da tutti i sindaci dei comuni capoluogo e da oltre 2.000 primi cittadini del nostro Paese, illustrata durante l'assemblea annuale di Rimini, alla presenza del Presidente della Repubblica Mattarella e, successivamente, portata all'attenzione del Presidente della Camera, onorevole Fico, in data 8 novembre 2018. Una proposta di legge che - possiamo dire - partiva dal basso, che era nata dall'esperienza quotidiana e da uno scatto d'orgoglio rispetto al desiderio di rendere omogenee ed efficaci le norme che regolano il rapporto istituzionale; una legge che era nata dalla necessità di liberare i sindaci e gli amministratori locali da tutti quegli ostacoli che impediscono un'attività continuativa e regolare durante il loro mandato e che, soprattutto, li impegnano in attività e compiti anacronistici; una proposta di legge che io ho scelto di presentare come primo firmatario, anche in qualità di vice presidente vicario dell'Associazione nazionale dei comuni italiani nel novembre 2019, che ha subito uno stop and go all'interno della discussione delle Commissioni congiunte I e V e che, oggi, taglia un traguardo importante, ma, come è stato detto dai colleghi, con pochi articoli.

Con un tempismo davvero carico di significato, nella giornata di oggi e nei prossimi giorni ci apprestiamo a discuterla ad approvarla, anche perché, proprio in questi giorni – domani - riparte l'assemblea annuale dell'ANCI, alla presenza del Presidente della Repubblica Mattarella, per la settima volta consecutiva.

In questa trentottesima assemblea annuale dei comuni d'Italia, che tornano a incontrarsi di persona dopo due anni di sofferenze, di lavoro senza soste e, finalmente, di rinascita, sicuramente si sarebbero aspettati un testo un pochettino più corposo, rispetto a quello che invece il Parlamento si appresta a licenziare. Una rinascita del Paese che dovrà vedere al centro i comuni e da Parma, laddove cento anni fa è nata l'attività propria dell'Associazione nazionale dei comuni italiani; e da lì non si è più fermata, nemmeno di fronte alla pandemia.

Sul sindaco diceva molto bene il collega Bitonci che ringrazio per l'impegno che ha voluto mettere, soprattutto anche per la sua capacità di essere stato un sindaco che ha ricoperto ruoli in due città e che, quindi, conosce perfettamente di cosa stiamo discutendo, perché, come dicevo, il sindaco è il solo tra le cariche istituzionali ed elettive che svolge il proprio mandato in prima linea. Lo svolge con la fascia tricolore, è il volto dello Stato più vicino ai cittadini, il volto più riconosciuto e, se si vuole, anche il volto più rispettato. E, più il comune è piccolo, più questa vicinanza aumenta e si trasforma facilmente in senso di comunità e di unità. Le funzioni che il sindaco assolve ogni giorno sono numerose e complesse, sono fondamentali, tanto da essere definite in molti casi connesse all'erogazione di servizi essenziali: la scuola, la salute, i servizi sociali, lo sport, le politiche abitative, le infrastrutture, la pianificazione urbanistica, la raccolta dei rifiuti, la sicurezza.

Nonostante ciò, nel tempo si è andata creando una distanza tra questa convinzione e le norme che la regolano, creando disparità di trattamento e adempimenti superflui, imponendo regole complesse di governo, uguali per tutti i comuni di ogni dimensione e collocazione, chiedendo con vincoli di spesa che fossero proprio i comuni gli enti deputati a tenere saldo il debito pubblico durante la crisi del 2008 per un tempo ingiustificatamente lungo.

Oggi svolgo questo intervento in un momento cruciale per la vita dell'Italia. Per un verso, il Paese continua ancora a essere preda di una crisi economica e sociale che morde nella vita, nel lavoro, nel reddito di persone, famiglie e imprese, suscitando anche inquietudine, ansie e paure. I livelli di disoccupazione e di inoccupazione femminile e giovanile, in particolare, raggiunti in questo periodo di pandemia dal nostro Paese, e l'acuirsi anche della crisi del divario tra Nord e Mezzogiorno sono stati i segni più evidenti di una crisi, da cui è sempre più urgente uscire in maniera strutturale. E lo sappiamo bene noi sindaci, che ogni giorno siamo destinatari delle angosce e delle domande di chi vede la propria vita quotidiana insidiata dall'incertezza e dalla precarietà.

Oggi siamo in grado, finalmente, di tornare ad alzare lo sguardo con speranza e coraggio ai primi forti segnali di ripresa. Siamo, infatti, nel pieno di uno sforzo di riforme istituzionali, economiche e sociali, con cui il Paese cerca di uscire dalla stagnazione di questi anni, per rimettere in moto investimenti, mobilitare intelligenze e capitali, creare lavoro. Una stagione di riforme che apprezziamo e di cui i comuni vogliono essere pienamente partecipi.

Come giustamente è stato evidenziato dal collega Bitonci e dalla collega Lucaselli, sicuramente questo Parlamento avrebbe potuto fare molto di più, se ci fosse stata una maggior volontà da parte del Governo di ascoltare le proposte che arrivavano dal basso e quelle che avevano avuto un continuo confronto all'interno del Comitato ristretto, dove c'è stata veramente la volontà di arrivare a un unico risultato: quello di licenziare il provvedimento con la consapevolezza di raccogliere il consenso più unanime di tutte le forze, ma soprattutto con la volontà di dare quelle risposte che i sindaci aspettavano e aspettano.

Non c'è, infatti, un tema significativo per la vita e il futuro del Paese che non richieda un impegno attivo dei comuni; e non c'è decisione del Parlamento e del Governo che non giunga sulle scrivanie dei sindaci, mettendo sulle loro spalle impegnative responsabilità. Ecco che, allora, i sindaci vanno abilitati in questo senso, vanno messi nelle condizioni ideali di mettere a terra risorse e progetti in maniera capillare e diffusa, proprio perché convinti che l'Italia abbia bisogno di una forte iniezione di innovazione e cambiamenti, di cui essere protagonisti.

D'altro canto, il sindaco è il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro, responsabile personalmente degli eventi più disparati che si possono verificare all'interno del suo comune e, al tempo stesso, privo anche di una minima tutela in ambito giudiziario. Ai danni si susseguono casi e fattispecie, che vedono i sindaci e gli amministratori destinatari di provvedimenti relativi a imputazioni di responsabilità in sede penale, civile, amministrativa ed erariale, che si concludono nella stragrande maggioranza con archiviazioni. In questo contesto, emerge la debolezza o l'assenza del nesso di causalità tra la condotta censurata e l'evento, mentre i sindaci risultano sempre responsabili per l'esercizio o il mancato esercizio di un potere, molto al di là dei compiti e delle responsabilità.

Ecco, perché oggi sono a chiedere, una volta di più, nell'ambito dei lavori allargati all'intera Aula, l'affermazione concreta di un principio di eguaglianza e di pari dignità con le altre cariche elettive e di governo. Anzi, né immunità né impunità: semplicemente una legge più giusta sul potere d'ordinanza e sul tema dell'abuso d'ufficio. Il ruolo dell'amministratore locale deve tornare a essere una missione attraente per tante persone oneste e competenti - che oggi, purtroppo, la temono - nell'interesse della collettività. Fare il sindaco ormai è diventato un mestiere pericoloso, anche nei suoi atti quotidiani più banali, per la quantità abnorme di rischi giudiziari, penali e civili, che si corrono. Lo chiedo con forza anche oggi, perché sono più che mai convinto che il sindaco sia un punto di riferimento positivo per le nostre comunità e per la rappresentanza di questo Paese e perché l'esperienza ormai trentennale del nostro sistema elettorale richiama ancora di più alla responsabilità di non tradire il mandato popolare per interessi particolari.

Su questo devo dire che c'è volontà da parte delle forze parlamentari. Per questo ringrazio, oltre che i relatori Bitonci e Berti, per la loro massima disponibilità, anche i colleghi Ceccanti, De Luca, Baldino e non solo, così come ringrazio anche di cuore Fratelli d'Italia, perché su questi temi tutti insieme abbiamo in qualche modo indicato un percorso.

Mi auguro che, nel prosieguo di quella che sarà la discussione in Aula, si possa arrivare ad un articolato che possa contemplare le grandi attese dei sindaci, che ovviamente non comprendono e non capiscono i tempi della burocrazia, pur facendone parte loro stessi, e si aspettano su questo una risposta immediata. Ma sono certo che domani, alla presenza del Capo dello Stato a Parma, ancora una volta ci potrà essere un messaggio chiaro, nitido, forte, condiviso e unitario che questo Parlamento possa condividere e che il Governo possa accettare, e che si potrà, in qualche modo, inserire all'interno di questa legge anche un qualcosa che sia condiviso e vada nella direzione dei temi che ho appena accennato.

C'è poi un altro tema, quello di una adeguata remunerazione economica per lo svolgimento del proprio mandato. Su quest'ultimo aspetto sottolineo con favore l'intervento che il Governo ha previsto nella legge di bilancio, procedendo ad un aumento degli emolumenti dei sindaci. L'autorevolezza del Governo Draghi è tale che, se ha ritenuto di dover prevedere una misura in tal senso, è fuor di dubbio che si trattasse di una esigenza non più rinviabile. E sono contento che anche nella nostra proposta, così come in altre depositate nei due rami di Camera e Senato, si vada tutti in questa direzione.

Ancora, la razionalizzazione degli adempimenti: nel nostro ordinamento ci sono stratificate norme ed obblighi risalenti nel tempo, che non rispondono in alcun modo al ruolo dei sindaci, alla complessità delle funzioni assegnate ai comuni e alla stessa evoluzione della pubblica amministrazione in generale. Siamo convinti che fosse giunto il tempo di fare ordine, dando coerenza e adeguatezza. Insieme a me lo sono tutti i firmatari del testo e i colleghi commissari, con cui abbiamo svolto un significativo e meticoloso lavoro di insieme sul testo. Li voglio ringraziare uno ad uno, naturalmente a partire dai relatori, Bitonci e Berti, e dai presidenti, Brescia e Melilli.

I 36 articoli della nostra proposta di legge andavano a risolvere le criticità e le cose appena segnalate. La proposta mirava inoltre, ad introdurre misure di semplificazione amministrativa e ordinamentale, che sarebbero servite a sostenere i processi di crescita socio-economica.

Peraltro, in un'era caratterizzata dall'utilizzo di tecnologie - talmente evolute, da non essere addirittura necessario un luogo fisico come contenitore di dati - nonché dall'evoluzione del codice dell'amministrazione digitale, si è voluto affermare il principio fondamentale per cui non può essere richiesta ai comuni qualsiasi rilevazione, comunicazione e rendicontazione già in possesso di altre pubbliche amministrazione. Ridurre le incombenze a carico dei comuni consentirebbe di liberare energia e orientarla verso obiettivi di mandato e verso i servizi ai cittadini. Non c'è un senso nell'obbligo per il comune di comunicare i dati relativi alla spesa di personale alla Corte dei conti, al DFP, alla RGS e, poi, pubblicare gli stessi dati, ma in formati diversi, sul proprio sito: è solo un'efficace perdita di tempo e di risorse.

Regole semplici per amministrare: bisogna liberare i dipendenti dei comuni da procedure e adempimenti interni meramente burocratici per consentire loro di utilizzare tempo e risorse per far funzionare più rapidamente la macchina comunale.

Sottotitolo esemplificativo: è stato stimato che per approvare un bilancio di previsione occorrono oggi circa 50 verifiche e adempimenti contabili. Per rispondere a tutto ciò, avevamo previsto l'abrogazione di adempimenti contabili obsoleti e superflui, modifiche alle competenze del consiglio comunale ormai superate da norme successive al Testo unico, una riforma omogenea e razionale della disciplina di nomina dei revisori dei conti. Vita più semplice per i piccoli comuni. Non è pensabile che un comune con 1.000 abitanti abbia le stesse regole di un comune con 100.000 abitanti o un comune di 5.000 abitanti le stesse della città di Roma. Era necessario adottare norme che differenziassero gli adempimenti a carico dei piccoli comuni che non hanno abbastanza personale, o non adeguatamente formato, per poter assolvere tutti i compiti assegnati. Ad esempio, il sindaco di un piccolo comune, spesso con un solo dipendente, deve approvare il documento unico di programmazione, una lunga serie di allegati al bilancio di previsione, dal prospetto esplicativo del risultato di amministrazione presunto al prospetto dimostrativo del rispetto dei vincoli di indebitamento. Poi, smantellare anacronistici tetti di spesa: i comuni sono soggetti a vincoli risalenti a quasi dieci anni fa su voci di spesa essenziali per far funzionare la struttura e attuare le riforme. La proposta di legge semplificava e abrogava le norme che davvero non hanno alcun legame con la virtuosità degli enti.

Di tutto questo, ma anche di quanto in Commissione era stato proposto di inserire con gli emendamenti, purtroppo è rimasto poco. Devo dire che gli emendamenti che erano stati presentati, a partire dai relatori e a partire da diversi colleghi, miglioravano ancora di più quel testo che, come ho detto, arrivava dal basso, arrivava dalla richiesta dei sindaci, arrivava da coloro che vivono quotidianamente questi problemi e che - non me ne voglia nessuno - sicuramente conoscono meglio anche come poterli risolvere, avendo fatto una proposta che in qualche modo andava in quella direzione. C'erano emendamenti anche proposti dal collega Bitonci - proprio per la sua competenza, avendo fatto, come ho detto precedentemente, il sindaco per tantissimi anni, sia a Cittadella sia a Padova - che miglioravano anche il contesto di vitalità, il contesto del rispetto del sindaco, così come quello dei consiglieri, e il rispetto di colui che viene eletto democraticamente da parte di cittadini e non può essere sfiduciato in sale oscure per chissà quali motivi. Ma anche questi emendamenti non hanno trovato risposta e mi auguro, invece, che in Aula si possa ancora trovare, non per un merito ma per - come dicevo prima - risolvere questi temi che oggi gli amministratori ci chiedono.

Purtroppo, quello che è rimasto della mia proposta di legge, come giustamente è stato detto, in maniera scherzosa, durante la Commissione della settimana scorsa, è stato definito una proposta “spellata”. Prima ancora che da una valutazione politica, tale affermazione è suffragata da un dato oggettivo, basta scorrere lo stampato per l'Aula per accorgersene: dei 36 articoli iniziali ne sono rimasti solo 3. È vero che molti di questi articoli, devo dire, sono e siamo riusciti a inserirli nelle leggi finanziarie, nelle manovre economiche, nei vari provvedimenti negli anni passati. Però, sicuramente si poteva arrivare a qualcosa di più.

Alla luce di tale risultato non si può non provare rammarico, non si può non pensare che si poteva e si doveva fare di più. Soprattutto, non si può non ritenere di aver, purtroppo, perso un'occasione che, almeno per questa legislatura, sarà difficile si possa ripresentare. Eppure non è del tutto vero, ci sono motivi di grande soddisfazione. Il primo: nei provvedimenti che si sono succeduti dal novembre 2019, una serie di disposizioni è stata ugualmente assorbita o integrata dal Governo in sede di confronto e su mie singole proposte emendative accolte. Penso, per esempio, ai vincoli di spesa sulla capacità assunzionale o sulla formazione del personale, alla semplificazione contabile, all'abolizione di adempimenti ripetitivi riguardanti i dati già in possesso delle amministrazioni centrali, all'entrata in vigore del nuovo modello di riscossione, alla determinazione delle sospensioni di alcune tassazioni, tra cui il suolo pubblico, fino alla più recente attenzione nei confronti della salute territoriale, attraverso lo stanziamento di oltre 10 milioni per la telemedicina nelle farmacie dei comuni sotto i 3.000 abitanti. Emendamenti che hanno via via trovato spazio nei provvedimenti in maniera organica, dimostrandone quindi sia il carattere d'urgenza, sia l'intento realmente concreto e semplificatorio. E su questo, sicuramente, ringrazio i colleghi della Commissione V, di cui mi onoro di essere capogruppo per Forza Italia, per averli sostenuti, così come il Vice Ministro Castelli, per averli accolti.

Il secondo motivo di soddisfazione: sicuramente le modifiche introdotte riguardanti i piccoli comuni avranno una portata importante ed erano attese da oltre un decennio. I comuni con abitanti fino a 5.000 sono quasi 6.000 in Italia - circa il 70 per cento dei comuni - e governano più della metà del territorio nazionale. Semplificare la gestione quotidiana dell'ente significa non solo maturare la consapevolezza delle operazioni veramente sufficienti per rendere efficiente un comune ma anche liberare tempo e competenza per progetti veramente utili ai cittadini.

Allo stesso modo, come è noto, vi è sempre più difficoltà a trovare figure di candidati in questi comuni, per criticità legate alla responsabilità, all'indennità, alla carenza di personale e, non da ultimo, allo spopolamento, che è un altro tema importante che in questa proposta avevamo in qualche modo affrontato. Consentire, in questo caso, il terzo mandato significa affrontare con realismo la situazione che viviamo ogni giorno sui territori. I cittadini devono avere la libertà di decidere il proprio e il più prossimo rappresentante, superando limiti assurdi che valgono oggi solo per i comuni e non per altri comparti.

Forza Italia, in Commissione, ha votato il mandato al relatore sul testo licenziato per l'Aula e anche in questa sede riconferma tale posizione. Guardiamo, quindi, a quanto di positivo questa legge introduce, riconoscendone alcuni limiti ma essendo molto soddisfatti per il perseguimento di un obiettivo che sembrava impossibile da molto tempo.

Queste due misure - che ho appena elencato e che produrranno effetti positivi nei confronti delle amministrazioni alle quali sono rivolte - ci hanno indotto, seppur a malincuore e con forte rammarico, ad accettare un accordo, una mediazione, che purtroppo lascia irrisolt e sulle spalle dei sindaci e dei comuni italiani numerose criticità. Per questa ragione spero che, come ho detto anche prima, quest'Aula saprà almeno introdurre una norma utile a superare il problema dell'abuso d'ufficio. Il sindaco è la figura più riconosciuta, perché in un clima di generale diffidenza, quando non di aperta ostilità, nei confronti dei partiti e delle istituzioni, i sindaci mantengono un livello di fiducia e di credibilità prezioso per la tenuta stessa della democrazia. Per questo non dobbiamo delegittimarli, perché si rischierebbe di segare l'albero su cui poggiano le istituzioni democratiche. Bisogna investire in questo patrimonio di fiducia e credibilità, a partire dal ruolo decisivo che le città e i comuni svolgono nelle politiche di sviluppo. Nessuna impresa porta i suoi capitali, le sue tecnologie e le sue risorse in una città desolata. E nessuno sceglie, per sé e per i propri figli, di vivere in un luogo arido. È dalle città, dai comuni e dai territori che oggi può venire la grande spinta al cambiamento dell'Italia.

Gli esempi non mancano e ciascuno di noi ne è, ogni giorno, attore e testimone. È nei comuni che si vanno realizzando i programmi per l'applicazione delle tecnologie digitali, per la mobilità sostenibile, per il risparmio energetico, la tutela ambientale, gli open data e la modernizzazione dei servizi. È nei comuni che sono cresciute le esperienze pedagogiche più innovative nei servizi per l'infanzia ed è nei territori che si praticano politiche avanzate per la famiglia, per la tutela dei portatori di disabilità, o per l'assistenza alle persone anziane, sempre di più oggi che ne abbiamo riconosciuto l'essenzialità e ci troviamo a ridisegnare il nostro Servizio sanitario nazionale in ottica di prossimità e resilienza. È nei comuni che si realizzano, ogni giorno, le politiche di integrazione e di inclusione. Ed è nei comuni che si vorranno promuovere politiche di innovazione a sostegno delle imprese, della ricerca, degli incubatori tecnologici, delle start-up, offrendo così anche a tanti giovani la opportunità di misurare il talento e il merito, specie al Sud. È nei comuni che si realizzano le più dinamiche politiche di trasformazione urbana e qualità dell'abitare.

C'è, nei comuni e nelle nostre comunità, un patrimonio straordinario di intelligenze, lavoro, passione e generosità, che fa parte del patrimonio del Paese e che il Governo del Paese deve non lasciare andare mai. Lo chiedo per l'Italia perché, se liberiamo i sindaci, si liberano le energie delle loro comunità e si cresce tutti insieme. Su questo sono contento e mi auguro, come dicevo prima, che a partire da domani, alla presenza del Presidente della Repubblica, Mattarella, per concludere giovedì, con la presenza del Premier Draghi, per passare, tutti i giorni, con tutti i Ministri di questo Governo che si succederanno, uno ad uno, a partire dal Ministro Lamorgese che è interessata da questo provvedimento, non solo arrivino parole di soddisfazione ma arrivino testimonianze reali di un Governo che vuole andare incontro alle esigenze dei comuni e dei territori, soprattutto in un periodo in cui - come ha detto anche il Premier Draghi - per la messa a terra del PNRR saranno essenziali regioni, comuni e province.

Per questa ragione, mi auguro che, in questi giorni, si possano ulteriormente sviluppare tra le diverse forze politiche in Parlamento, di maggioranza e di opposizione - e, ancora una volta, ringrazio Fratelli d'Italia non solo per lo spirito estremamente costruttivo che ha dato a questa proposta, collaborando quasi come fosse parte integrante della maggioranza in un tema condiviso e che ognuno di noi portava avanti -, che si possa trovare quella richiesta che parte dal tema delle ordinanze a quelli che possono essere emendamenti che, magari, singoli deputati o gruppi politici potranno presentare per integrare questo testo e, sicuramente, renderlo, sempre più vicino alle esigenze e le istanze non solo di noi parlamentari, ma, anche e soprattutto, di coloro che vivono la quotidianità di questi problemi, che sono i colleghi sindaci.

Ringrazio, concludendo, ciascuno di voi, ringrazio il sottosegretario Scalfarotto, ringrazio lei, Presidente, ringrazio, ancora una volta, coloro che sono presenti in quest'Aula oggi, ringrazio, in modo particolare, il relatore Bitonci, anche per la concretezza delle sue proposte e per la sua esperienza, che ha dato solamente beneficio alla discussione nel Comitato ristretto, ringrazio il collega Berti, ma, soprattutto, ringrazio tutti per aver voluto definire, in qualche modo, un perimetro un po' ristretto, ma che, sicuramente, almeno su qualcosa, dà certezze ai colleghi sindaci.

Continuerò naturalmente a portare avanti questa idea, che è quella in cui Forza Italia ed io personalmente crediamo ogni giorno, non solo in questo provvedimento - che mi auguro possa trovare la più larga intesa in Parlamento - ma, soprattutto, nei vari provvedimenti che arriveranno nei prossimi mesi e nei prossimi anni, anche perché io ritengo realmente che oggi i sindaci debbano essere aiutati, ma soprattutto, sono coloro che aiutano più di tutti noi, lo Stato centrale, il Governo a concretizzare le richieste e le esigenze da parte dei nostri concittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paternoster. Ne ha facoltà.

PAOLO PATERNOSTER (LEGA). Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, membri del Governo, onorevoli colleghi, oggi siamo in Aula, in sede di discussione generale, per intervenire su un provvedimento molto atteso - arriva dopo due anni abbondanti di lavoro - da parte di molti colleghi deputati, relativo ad una questione estremamente importante e di assoluta attualità; importante, perché riguarda la modifica della disciplina sugli enti locali, già contenuta nel Testo unico degli enti locali. Il testo, come si è detto precedentemente dai miei colleghi, purtroppo, riguarda solamente 3 articoli: l'articolo 1, che dispone l'inconferibilità degli incarichi amministrativi di vertice negli enti di diritto privato; l'articolo 2, che dispone una semplificazione contabile per i comuni con meno di 5 mila abitanti; e l'ultimo articolo, l'articolo 3, che eleva da due a tre mandati consecutivi la possibilità di fare i sindaci nei comuni fino a 5 mila abitanti (prima il limite era di 3 mila abitanti).

Devo dire la verità: l'epilogo di questo provvedimento arriva dopo due anni abbondanti di lavoro parlamentare. Si tratta di una legge di iniziativa parlamentare- una delle poche - in cui molti colleghi parlamentari hanno dato il meglio delle loro esperienze, delle loro professionalità e del loro impegno. Immagino che molti dei colleghi parlamentari che hanno lavorato a questo provvedimento avessero risposto sul medesimo grandi aspettative, perché il testo che è arrivato conteneva 36 articoli; poi il Governo ha fatto un taglio importante (tagliando immagino il 99 per cento delle proposte fatte dai parlamentari). Si potrebbe dire “meglio qualcosa che nulla”, però, secondo me, non è così e non deve essere così. Immagino il lavoro di questi parlamentari, di noi parlamentari che, quando usciremo da quest'Aula, questa settimana, andremo nei vari territori per illustrare ai nostri sindaci, ai nostri amministratori, ai nostri consiglieri comunali, ai nostri assessori quello che questa legge comporterà: di fatto, poco o nulla. Ribadisco: non possiamo nemmeno dire “meglio poco che nulla” perché, comunque, le problematiche degli enti locali sono ormai note a tutti. I sindaci, sia dei grandi comuni che dei piccoli comuni, sono veramente in grande difficoltà e hanno grandi responsabilità - l'abbiamo visto, soprattutto, in questi ultimi 20 mesi difficilissimi di pandemia da COVID - perché grande responsabilità è stata demandata dal Governo agli enti locali per gestire l'emergenza economica, l'emergenza sanitaria e l'emergenza sociale, in modo che i primi cittadini fossero il baluardo, fossero il primo scalino che incontravano milioni di italiani in gravissima difficoltà per cercare di contenere una grandissima preoccupazione di qualsiasi genere che i nostri cittadini, noi cittadini, lamentavamo a causa di una pandemia che non era mai successa prima. E, quindi, i sindaci sono stati investiti, ancora una volta, di grandi responsabilità; hanno una grande responsabilità perché chi è sindaco, chi diventa sindaco, chi fa il sindaco, ma chi fa anche il consigliere comunale o l'assessore lo sa bene: tantissimi amministratori pubblici sono il simbolo, sono il riferimento, per quanto riguarda sia i grandi comuni sia i piccoli comuni, dei loro cittadini. Quando un cittadino, soprattutto nei piccoli comuni, ha qualsiasi problematica e qualsiasi esigenza, va dal sindaco. Non va dal presidente della regione o dal presidente della provincia o da qualsiasi altra carica istituzionale, va dal sindaco perché è la persona più vicina a lui, perché è la persona che ha votato, perché è la persona che magari ha scelto di votare, cercando in lui quello che poteva essere il cambiamento per il suo comune.

Però, vedete, quando si diventa sindaci, si hanno molte aspettative, tanto è vero che a un sindaco con la sua squadra per presentare la lista, per esempio, si chiede di presentare un programma elettorale che, senza fare tante promesse, comunque qualcosa contiene. E capite bene che per fare qualcosa servono soldi che i comuni non hanno, serve personale, che i comuni non hanno, servono capacità professionali, che i comuni ormai non hanno più, servono segretari comunali, che i comuni ormai non hanno e non capisco perché il Governo non intervenga in maniera drastica e immediata su questa problematica enorme che hanno tutti i sindaci. I comuni hanno tantissime problematiche, i sindaci hanno tantissime problematiche e uno, quando diventa sindaco, purtroppo, dopo la gioia per avere vinto sul suo avversario politico, arriva a Palazzo, ma si trova le casse vuote, si trova gli organici sguarniti, si trova, magari, un segretario comunale che ha altri 5, 10, anche 15 comuni da gestire - magari è lì, da lui, solamente qualche ora durante la settimana -, si trova organici di dipendenti che ormai non esistono più, si trova, magari, bilanci che sono già impegnati dall'amministrazione precedente. In parole povere, uno diventa sindaco, ma non ha alcun potere.

Allora, quello che mi sarei aspettato è che fosse ascoltato il Parlamento, che fossero ascoltati i parlamentari, perché, comunque, moltissimi di questi parlamentari - lo ripeto - hanno fatto i sindaci, hanno fatto gli amministratori e sanno cosa vuol dire fare il sindaco o fare l'amministratore, conoscono le problematiche enormi di questo bellissimo lavoro, che, però, se non lo fai nelle condizioni idonee, è un lavoro estenuante, non riesci a dare risposte al cittadino. E noi, ai nostri cittadini, le risposte le dobbiamo dare, soprattutto, in questo momento difficilissimo, perché, se noi pensiamo di aver fatto una legge che tutela i nostri primi cittadini, che tutela, quindi, i nostri cittadini, penso che sia una cosa sbagliata.

Io mi aspetto che il Governo faccia un provvedimento altrettanto valido, come erano i 36 articoli che erano contenuti nella proposta di legge originale, perché, altrimenti, noi avremmo fatto un grandissimo autogol. Infatti, l'esempio che dobbiamo dare arriva proprio dai palazzi romani, dai palazzi del potere, perché non si possono individuare i sindaci come i capri espiatori, come le persone che si investono della più grande responsabilità di questo mondo e, dopo, non dare niente, non dargli alcuna struttura, non dargli alcun contributo economico, non dargli la capacità di decidere, di scegliere il proprio personale, i propri funzionari, i propri dipendenti, gestire il proprio bilancio in maniera decente, dare le risposte ai cittadini.

Ciò perché i cittadini meritano risposte e non possiamo raccontare frottole a delle persone che ci hanno votato, che ci hanno scelto come pubblici amministratori, come amministratori locali, perché magari il Governo o il Parlamento, addirittura, non danno loro possibilità. Cioè, un sindaco deve avere i bilanci a posto, deve avere il personale a posto e dev'essere in grado di soddisfare le esigenze dei propri cittadini. E, allora, sarebbe giusto che un sindaco disponesse di bilanci congrui per fare gli interventi sul territorio, sarebbe giusto che il Governo finalmente individuasse i comuni e gli amministratori spreconi e li punisse, magari con commissariamenti, e sarebbe giusto che premiasse quei comuni e quei municipi virtuosi che sanno gestire bene la cosa pubblica, che danno risposte ai cittadini e che, appunto per questo motivo, devono essere premiati con risorse adeguate.

Bene i fondi di confine - su questo non c'è nessun dubbio - però non bastano, perché non ci sono 7.900 comuni di confine. Ci sono comuni di serie A e comuni di serie B, comuni che riescono a sopperire con i fondi di confine alle esigenze dei cittadini, ma la stragrandissima maggioranza è in grave difficoltà, in difficoltà di qualsiasi genere. In Italia abbiamo 7.900 comuni e il 70 per cento (oltre 5.500) sono piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti. Il Governo che intenzioni ha nei confronti di questa grande quantità di piccoli comuni? Vuole sostenerli, dando loro risorse economiche e non solo, o magari (nella malaugurata ipotesi che io contrasto con tutte le mie forze) si spinge verso la fusione dei comuni? Se fosse così non sarebbe una buona soluzione, anche perché vediamo bene che, quando dei comuni decidono di fondersi, tramite referendum, in moltissimi casi i cittadini dicono “no”. Dicono “no” perché individuano ancora nel proprio primo cittadino la persona che li può aiutare, la persona che li può sostenere nei momenti di difficoltà, la persona cui fare riferimento.

Per sostenerli, bisogna che i piccoli comuni abbiano le risorse. Quando in un piccolo comune di montagna o di pianura, qualsiasi esso sia, cominciano a mancare le risorse, scappano tutte le strutture e tutti i servizi: scappa la farmacia, scappano le banche e non si può far nulla, scappano i servizi fondamentali, scappano i trasporti e i comuni si spopolano. Quindi, se noi non finanziamo e sosteniamo soprattutto i piccoli comuni, che sono il baluardo della difesa del territorio, facciamo un gravissimo errore.

Quindi, la nostra esortazione, nei confronti del Governo, è proprio questa: sosteniamo i piccoli comuni, sosteniamo i comuni e diamo ai sindaci la loro dignità di primi cittadini, perché è quello che vogliono i nostri concittadini, quelli che ci scelgono, e cerchiamo di andare avanti con delle leggi giuste, con delle leggi complete come era questa legge in origine, perché altrimenti stiamo dalla parte dei più forti - e non è questa la cosa che vogliamo - e abbandoniamo i più deboli, che sono i cittadini.

La pandemia - ripeto - ci ha insegnato una grande cosa: che stare con i più deboli è la cosa migliore tant'è vero che, nell'ultimo anno e mezzo di Governo, erano i primi cittadini che sostenevano le attività dei piccoli comitati per cercare di mantenerli in vita durante il lockdown e dopo il lockdown. Non erano certo le grandi amministrazioni; erano i più piccoli che aiutavano i cittadini e noi dobbiamo sostenerli.

Quindi, chiudo, signor Presidente e signor sottosegretario, con un'esortazione: andiamo avanti con questa legge. Va benissimo questa legge, ma abbiamo delle grandi aspettative dal Governo, cioè che prenda posizione a difesa dei primi cittadini, a difesa delle piccole amministrazioni e delle amministrazioni in genere, per sostenerle a favore del nostro popolo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Trancassini. Ne ha facoltà.

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, è difficile parlare di questa legge dopo che, per usare la battuta del collega, la “legge Pella” è stata quasi completamente spellata. Il rischio di fare delle dichiarazioni di vuoto è altissimo, ma ci viene in soccorso l'onestà intellettuale del relatore Bitonci, con il quale mi complimento per il suo intervento molto chiaro, molto diretto e molto da sindaco, come è giusto che sia.

Questa è una brutta storia, signor Presidente, perché è la storia del Parlamento che si arrende, è la storia di chi lavora convinto di poter migliorare la vita dei primi cittadini, dei primi cittadini in prima fila, attraverso un cambio di rotta, con una normativa nuova. Due anni di lavoro: non è un'occasione perduta, è anche tempo perso; infatti, per due anni, due Commissioni hanno lavorato, cercando di dare risposte ovvie, perché è questo ciò che va sottolineato in questo momento. Qui non c'è una visione distorta della realtà, signor sottosegretario; qui c'è semplicemente il dovere, da parte del Parlamento, di fare proprie le istanze che provengono dai territori. Guardate, i sindaci parlano tutti la stessa lingua (lo sappiamo, noi che l'abbiamo fatto). Ci si ritrova sempre d'accordo su tutto, perché il sindaco appartiene a un territorio e non appartiene a una forza politica e quando tu appartieni a un territorio hai esigenze diverse. Puoi raccontare meglio le problematiche della montagna rispetto a quelle del mare e viceversa, ma i problemi di tutti i giorni, l'interfaccia con i dipendenti, con i segretari, le problematiche della burocrazia, le difficoltà anche di interfacciarsi con le legittime aspirazioni dei tuoi cittadini le conosciamo tutti e sono sempre le stesse. Allora, quando tu non hai gli strumenti in mano, e sai perfettamente quali strumenti dovresti avere, che fai? Lo rappresenti all'ANCI, lo rappresenti all'associazione che dovrebbe essere il tuo sindacato.

È così che lì nasce la costruzione di una proposta di legge che aveva tutti i presupposti per scivolare in discesa e non per arrampicarsi in salita: la condivisione di tutte le forze politiche, la serenità di essere la voce dei sindaci, cioè di coloro che, per definizione, in Italia vengono sempre applauditi e ringraziati, nonostante l'appartenenza politica. Eppure, così non è stato.

Io ho partecipato a varie fasi e devo dire che quando è nato questo Comitato ristretto - lo ricorderanno i colleghi - l'abbiamo fatto nella consapevolezza che bisognava mettere in campo uno strumento duttile e facile, che avrebbe dovuto semplicemente ratificare le istanze che provenivano dai territori. Non abbiamo pensato a suddivisioni o a rapporti di maggioranza, di opposizione eccetera, perché era chiaro che noi dovevamo semplicemente dare voce e amplificare la voce di chi si era già palesemente espresso. Allora, questa è la storia di un insuccesso, ma è anche la certificazione del fatto che il Parlamento oramai è sempre più soltanto decorativo. Noi siamo qui a rappresentare una messa in scena. Io so che con il mio intervento non sposterò nulla, con gli interventi che sono stati fatti in precedenza non si sposterà nulla e, anzi, domani si metterà l'ennesima fiducia. È chiaro che è altrove che si decide non molto, ma tutto! Ormai qui non si decide più nulla. È la resa del Parlamento di fronte al Governo ed è – ahimè - la resa della politica di fronte alle istanze legittime dei sindaci. Un Governo arrogante, un Governo che non ha voluto ascoltare, un Governo che ha certificato, ancora una volta, le proprie divisioni interne per l'incapacità di affrontare temi importanti, sui quali forse ci saremmo anche divisi, ma sicuramente ci avrebbero visto costruire e scrivere una pagina importante.

Vedete, l'abbiamo detto prima: i sindaci parlano tutti la stessa lingua, perché i sindaci si assumono tutti una grandissima responsabilità. Il sindaco è in prima fila, il sindaco decide, il sindaco indica la strada e indica la rotta. Il sindaco, soprattutto, è uno che non si perde mai; non si smarrisce mai e se si smarrisce deve far finta di non essersi smarrito, perché dietro di sé ha una comunità che lo guarda.

Allora, non sono d'accordo su quanto è stato detto, cioè che il sindaco è solo. È il contrario: il sindaco non è mai solo. Il sindaco ha sempre la straordinaria forza della sua comunità, ha sempre la straordinaria consapevolezza di essere colui che rappresenta un territorio, se lo sente addosso, se lo sente sulle spalle e questo gli dà una forza incredibile. È proprio per questo che il sindaco è altro.

Il sindaco è solo oggi, qui. Il sindaco è solo ogni volta che prova a rappresentare le istanze dei propri cittadini e non viene ascoltato. Lì è solo il sindaco, quello è il momento del suo fallimento, è il momento della sua frustrazione. E oggi, qui, noi questa pagina la ribadiamo: è qui che è solo il sindaco, non a casa sua, perché a casa sua è forte, in quello che rappresenta è forte, anche se è sindaco di una comunità di 100 abitanti. Sente su di sé quella responsabilità che gli dà una straordinaria capacità e una straordinaria forza, e anche, colleghi, uno straordinario coraggio, che è quello che serve oggi per chi fa il sindaco. Noi oggi, invece, ne celebriamo ancora una volta la solitudine; e il sindaco è ancora più solo quando parla alla politica, perché, se un burocrate non capisce un sindaco, ci può stare; se si fa fatica a farsi capire ogni volta che rappresentiamo un'istanza che ha bisogno anche di risposte tempestive - lo sappiamo bene noi che veniamo dai territori colpiti dal sisma -, diventa insopportabile quando è la politica che non ti ascolta. Infatti, oggi sfiderei chiunque di voi a dare una ragione del perché da 36 articoli siamo arrivati a 3. Ce n'è uno qui in grado di alzarsi e dire: “No, i 36 articoli non rappresentavano una risposta per i sindaci, non siamo d'accordo su quelli e per questo ne abbiamo fatti 3”? Non ce n'è uno che ha questa capacità, perché non ce n'è uno che ha questa consapevolezza.

Credo pertanto che sia una colpa quella di non aver affrontato tutti i temi, è stato detto dal relatore Bitonci, la problematica del rapporto con i segretari comunali, la difficoltà di trovare i segretari comunali nei propri comuni; è qualcosa che strangola l'attività, soprattutto dei più piccoli, di quelli più marginali, più difficili, più difficili da raggiungere. Ma c'è anche il tema della responsabilità penale, perché tutto questo è insopportabile; il fatto che si è responsabili penalmente di tutto quello che avviene nel nostro comune è insopportabile, non è giusto, soprattutto con un sistema giudiziario che ti manda un avviso di garanzia oggi e ti processa dopo 4 o 5 anni. Nella mia lunga avventura da sindaco del comune di Leonessa, ho avuto più di 20 procedimenti penali, tutti per abuso d'ufficio. Sono sempre stato assolto perché ho perseguito un fine pubblico, però, in tutti quegli anni, non ho potuto avere il porto d'armi e non ero candidabile, perché il mio partito chiede il certificato dei carichi pendenti e io avevo un carico pendente, sempre, almeno uno, senza aver fatto nulla, sempre e solo per aver perseguito un fine pubblico. Questa è un'indecenza normativa, che ovviamente nega a tante persone - io avevo il vantaggio di essere un avvocato - la possibilità di avvicinarsi alla politica, quando, per qualunque fatto, anche, come nel mio caso, un incidente in un cimitero, ci si vede iscritti nel registro degli indagati e si è costretti a subire 4 anni di processo.

Sono temi importanti. Il collega Bitonci ricordava il Coreco, qualcosa che in apparenza appartiene davvero alla preistoria della politica, però era un altro mondo quello, era diverso fare il sindaco in quei momenti lì, perché si aveva molta più forza, si aveva molta più capacità di indirizzo politico e si potevano dare maggiori risposte.

Vorrei dire ai colleghi della sinistra che certe cose bisognerà cominciarcele a dire, almeno queste, per dare un senso a queste discussioni; che la sinistra, ogni volta che ha messo mano agli enti locali, ha fatto i danni veri, perché qualunque sindaco, anche i vostri, considera la “legge Bassanini” una sciagura che si è abbattuta sui comuni, una forma di limitazione, sistematica, della capacità politica del sindaco, a fronte della stessa capacità di assorbire i procedimenti penali a seguito della stessa responsabilità. Noi ci siamo visti, dalla sera alla mattina - perché in quell'epoca facevo il sindaco - dimezzati. Ci siamo ritrovati con le stesse responsabilità, con gli stessi obblighi nei confronti dei cittadini, con le stesse persone che ci chiedevano di dare le medesime risposte, senza avere più la possibilità di farlo, perché era intervenuta la vostra visione della politica, per cui un sindaco è un delinquente, fino a prova contraria, mentre un dirigente è una persona onesta, fino a prova contraria. L'applicazione di questo principio all'interno dei comuni ha partorito danni enormi. E poi vi è la “legge Delrio”; anche su questo tema noi abbiamo provato ad apportare modifiche e a portare la discussione di questo Parlamento su una vergogna? Sì, la potremmo definire una vergogna: il presidente della provincia e i consigli provinciali non sono più eletti dai cittadini, perché lo avete deciso quando avevate in mente la rivoluzione – che, per fortuna, non c'è stata, in questa Nazione -; purtroppo, qualcosa vi è riuscita, come questa sciagurata idea di abolire le province, di far finta che siano abolite. In realtà, le avete mantenute, avete tolto loro un po' di soldi, lasciando loro le stesse responsabilità, però, non facendole votare dai cittadini, avete fatto in modo che i cittadini pensassero che le province non ci sono più, mentre, invece, le province ancora esistono, danno i servizi - anzi, tentano di darli -, hanno competenze molto importanti, ma i loro organi vengono eletti da un sistema di secondo livello, li scelgono i sindaci, li scelgono i consiglieri comunali, creando una distanza siderale rispetto alla popolazione. Anche su questo ci sarebbe piaciuto avere un dibattito, abbiamo ripresentato un emendamento apposito in Aula, ma sicuramente saremo anche qui, come prima, silenziati; questo è un tema importante per chi come noi ritiene che andare a votare sia non solo un diritto, ma sia anche la possibilità, per i cittadini, di incidere sulla vita dei territori, dei comuni, delle province, delle regioni, della nazione, mentre voi, allergici al voto, avete, con questa riforma, allontanato un ente importantissimo come quello della provincia. E allora, Presidente, e mi avvio a concludere, qual è, almeno, la speranza? La speranza è che ci siano sempre più sindaci, che ci sia anche in quest'Aula il coraggio in ognuno di noi che è tipico dei sindaci, e quindi il coraggio che ci permetta di andare al di là delle appartenenze politiche, il coraggio di andare al di là degli steccati, ma anche degli ordini di partito. La speranza, Presidente, è che ci sia la forza dei sindaci, all'interno di questo Parlamento, perché questo ci permetterebbe di costruire meglio e di costruire prima, perché il sindaco dalla parte sua ha innata la tempestività delle risposte. Il sindaco non può tergiversare, mai, e anche per questo mi permetta, in conclusione, di sottolineare che, se ci aveste dato retta, sin dall'inizio, sulla brutta storia della ricostruzione e fossero stati accolti gli emendamenti presentati dal sottoscritto e da Fratelli d'Italia, noi avremmo affidato la ricostruzione post sisma ai sindaci dei territori. Oggi non avremmo lo scandalo di 138 comunità quasi totalmente ancora da ricostruire (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia e del deputato Paternoster).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1356-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la V Commissione, deputato Bitonci.

MASSIMO BITONCI, Relatore per la V Commissione. Grazie, Presidente. Non posso che ringraziare i colleghi per gli interventi, direi, estremamente puntuali. Rinnovo l'imbarazzo che ho citato all'inizio del mio intervento, nel senso che auspico, signor Presidente, che, siccome possiamo avere un paio di giorni per lavorare sugli emendamenti che arriveranno dai vari gruppi parlamentari, su emendamenti che avevamo già condiviso in Commissione, al di là, come dicevo, di tematiche legate magari alla copertura, quelli che non hanno questi tipi di problematiche possano essere vistati da parte del Governo e questa volta, magari, arrivi anche un parere favorevole, considerato anche che in questi giorni c'è un'assemblea dell'ANCI e quindi ci sarà un'ampia discussione proprio su questi temi.

Le intenzioni erano assolutamente buone. Rinnovo ai colleghi, sia al presentatore, onorevole Pella, ma anche a Berti, che ha lavorato insieme a me, ma al Comitato ristretto, l'auspicio in queste ore di lavorare su emendamenti che possano avere un ritorno in Aula e migliorare questo testo, evitando così di andare in Aula con solamente 3 articoli - di cui uno importante, fondamentale per i comuni sotto i 5 mila abitanti e relativo al terzo mandato -, che però non toccano altre tematiche, condivise da tutti, estremamente importanti e fondamentali legate alla responsabilità e ai poteri dei sindaci che, come dicevo prima, sono mutati. Chi ha fatto il sindaco come me per tantissimi anni, più di vent'anni tra sindaco e vicesindaco, sa benissimo che le responsabilità dei sindaci sono cambiate nel tempo, le attribuzioni dei sindaci sono cambiate nel tempo, i controlli sono cambiati nel tempo. È giunto, pertanto, il tempo che il testo unico degli enti locali vada riformato, non solo come chiede l'ANCI, ma come chiedono tutti i sindaci d'Italia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Ferro ed altri: “Modifiche all'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, in materia di compensazione dei crediti maturati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione” (A.C. 2361-A​) e delle abbinate proposte di legge: Cancelleri e Martinciglio; Alessandro Pagano ed altri (A.C. 3069​-3081​) (ore 16,22).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 2361-A: “Modifiche all'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, in materia di compensazione dei crediti maturati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione” e delle abbinate proposte di legge nn. 3069 e 3081.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2361-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Luca Sani.

LUCA SANI (PD), Relatore. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge che oggi è all'attenzione di quest'Aula si collega all'annoso problema del ritardo con il quale la pubblica amministrazione adempie alle proprie obbligazioni nei confronti dei fornitori, più volte stigmatizzato anche in sede europea. Questi ritardi - è chiaro - possono compromettere la situazione finanziaria delle imprese e dei professionisti che, anticipando dei costi, hanno svolto prestazioni nei confronti della pubblica amministrazione e ciò si ripercuoterebbe, più in generale, sul sistema economico nel suo complesso. D'altro canto, va ricordato che, a fronte di questo ritardo, le imprese e i professionisti sono, comunque, tenuti al versamento di imposte e contributi, anzi sono penalizzati in caso di inadempienza proprio rispetto alla possibilità di recupero dei crediti maturati nei confronti della pubblica amministrazione.

Le amministrazioni pubbliche, infatti, prima di effettuare un pagamento di importo superiore a 5 mila euro sono tenute a verificare se il beneficiario sia inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento. In tal caso, le amministrazioni pubbliche non effettuano il pagamento di quanto dovuto e segnalano la circostanza all'agente della riscossione competente per territorio. Si determina, in tal modo, un circolo vizioso: imprese e professionisti non essendo stati retribuiti per le attività svolte in favore della pubblica amministrazione non riescono ad adempiere ai propri obblighi fiscali e contribuitivi, né riescono a recuperare quanto loro spettante, necessario per mettersi in regola.

Le questioni evidenziate sono state affrontate dalla Commissione finanze che ha esaminato in sede referente la proposta di legge d'iniziativa della deputata Wanda Ferro, la n. 2361, alla quale sono state abbinate le proposte di legge d'iniziativa della deputata Azzurra Cancelleri, la 3069, e del deputato Alessandro Pagano, la 3081. La Commissione ha adottato la proposta di legge Ferro come testo base, modificandola sensibilmente nel corso dell'esame, anche dando seguito a quanto emerso durante le audizioni. In particolar modo, la Commissione ha ascoltato la direttrice del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'Economia, la dottoressa Lapecorella, il Direttore dell'Agenzia delle entrate, l'avvocato Ruffini, e i rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato, della Confederazione italiana della piccola e media industria privata e del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili.

Dagli approfondimenti istruttori svolti è emerso con chiarezza come al problema evidenziato si sia sinora risposto in maniera disorganica e non strutturale. Sono state adottate due distinte tipologie di intervento succedutesi nel tempo che tuttavia non hanno consentito di offrire alle imprese e ai professionisti una tutela stabile e a regime a fronte dei ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione.

Il primo intervento risalente al 2010 si applicava a decorrere dal 1° gennaio 2011 e riguardava i debiti derivanti da cartelle di pagamento e avvisi notificati entro e non oltre il 30 settembre 2013. In particolar modo, l'articolo 28-quater introdotto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 detta quella che può essere definita come la disciplina organica in materia. Si stabilisce che possono essere compensati tutti i crediti non prescritti certi, liquidi ed esigibili maturati nei confronti delle amministrazione pubbliche per somministrazioni, forniture e appalti inseriti nella piattaforma del Ministero dell'Economia e delle finanze dei crediti commerciali certificati. Con riferimento alla tipologia di debiti compensabili, il credito può essere compensato con le somme dovute per carichi affidati all'agente della riscossione e riportate in cartelle di pagamento, avvisi di addebito INPS e avvisi di accertamento esecutivi.

La compensazione può essere effettuata anche nel caso in cui la somma iscritta a ruolo sia superiore all'importo del credito vantato; tale disposizione, tuttora vigente, si applica tuttavia, come detto, solo ai debiti notificati entro e non oltre il 30 settembre 2013.

La seconda tipologia di intervento è intervenuta nel 2014, quale disciplina speciale, ed ha ampliato anche ai crediti per prestazioni professionali la possibilità di compensazione con i debiti derivanti da cartelle di pagamenti, avvisi di addebito INPS e avvisi di accertamento esecutivi, purché, differentemente dalla disciplina ordinaria, la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato nei confronti della pubblica amministrazione. La validità di tale norma, inizialmente prevista solo per il 2014, è stata, di anno in anno, prorogata agli anni successivi, prevedendo, contestualmente, il differimento della data limite della notifica delle cartelle e degli avvisi per i quali si rende possibile tale modalità di compensazione. Da ultimo, ricordo che l'articolo 1, comma 17-bis del decreto-legge n. 41 del 2021, cosiddetto Sostegni, ha consentito l'applicazione della compensazione anche all'anno 2021 con riferimento ai carichi affidati agli agenti della riscossione entro il 31 ottobre 2020.

Si è, quindi, in presenza di una normativa ordinaria i cui effetti sono, tuttavia, fermi alle notifiche effettuate entro il 30 settembre 2013 e di una normativa speciale, da prorogare di anno in anno e con alcuni limiti certamente meno favorevoli alle imprese creditrici. L'intenzione della Commissione finanze è stata perciò quella di operare una semplificazione e razionalizzazione del quadro normativo esistente, sopprimendo la disciplina speciale, e con essa la necessità di intervenire annualmente con provvedimenti di proroga, e aggiornando la disciplina ordinaria al fine di riconoscere maggiori certezze e tutele ai creditori della pubblica amministrazione.

Si riconduce così ad un'unica norma l'istituto della compensazione, superando i vigenti limiti temporali, quelli relativi alla tipologia di crediti compensabili e quelli concernenti la differenza tra credito e debito residuo.

L'attuale formulazione della proposta di legge n. 2361 si compone perciò di un solo articolo. Il comma 1 modifica la disciplina della compensazione ordinaria la quale, stante l'abrogazione della disciplina speciale disposta dal successivo comma 2, rimane l'unica disciplina applicabile alla fattispecie. In particolare, la lettera a) del comma 1 modifica l'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, al fine di estendere la possibilità di compensare debiti fiscali iscritti a ruolo anche con i crediti certificati vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni derivanti da prestazioni professionali.

La successiva lettera b) del comma 1 intende superare i vigenti limiti ai crediti compensabili stabiliti a regime; di conseguenza, inserisce un periodo al comma 1 dell'articolo 28 quater, nel quale si specifica che le disposizioni in materia di crediti compensabili si applicano anche alle somme contenute nei carichi affidati all'agente della riscossione successivamente al 30 settembre 2013 e in ogni caso entro il 31 dicembre del secondo anno precedente a quello in cui è richiesta la compensazione.

Il comma 2, come anticipato, abroga l'articolo 12, comma 7-bis del decreto-legge n. 145 del 2013.

Nel presentare il provvedimento all'esame dell'Assemblea, auspico che il lavoro svolto dalla Commissione finanze possa fornire un utile contributo alla tutela e alla crescita economica di imprese e professionisti e, nello stesso tempo, consentire un migliore e più equilibrato rapporto tra il mondo dell'impresa e delle professioni, da un lato, e la Pubblica Amministrazione, dall'altro.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in una fase successiva.

È iscritta a parlare la deputata Laura Cavandoli. Ne ha facoltà.

LAURA CAVANDOLI (LEGA). Grazie, Presidente. Ringrazio anche il relatore per la chiara disamina di quanto avvenuto in Commissione finanze durante la sede referente. Il provvedimento che ci accingiamo a esaminare è di grande interesse per le imprese e per i professionisti, un interesse fiscale, ma soprattutto un interesse economico e finanziario. Si tratta di rendere strutturale un procedimento di compensazione fra i crediti maturati dalle imprese - e adesso anche esteso ai liberi professionisti - nei confronti delle pubbliche amministrazioni, compensabili con i debiti affidati all'agente di riscossione riferiti almeno al 31 dicembre dei 2 anni precedenti.

Parto da una prima osservazione di carattere metodologico (molto ha già detto anche il nostro relatore). Questa materia è stata, a più riprese, regolata da disciplina ordinaria e di applicazione molto limitata, ma anche da una disciplina speciale, che è stata poi prorogata di anno in anno. Specialmente negli ultimi anni, poi, ha assunto l'evidente finalità di consentire ai creditori della pubblica amministrazione di soddisfare, tramite questa compensazione quale metodo alternativo dell'adempimento, i loro crediti pecuniari, a fronte di un cronico ritardo delle pubbliche amministrazioni nei pagamenti. È noto, infatti, che in Italia le piccole e medie imprese subiscono un grave squilibrio finanziario, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di perdita di liquidità e di impoverimento dell'azienda, poiché i tempi medi di pagamento delle pubbliche amministrazioni ancora non rispettano i 30 o i 60 giorni previsti dalla direttiva europea 2011/7/UE, entro i quali le fatture devono essere regolarmente pagate. La pandemia ha poi peggiorato o rallentato le tempistiche di pagamento da parte della pubblica amministrazione, un ritardo, questo, che sicuramente deteriora la competitività del nostro Paese e la sua attrattività nei confronti di nuovi investitori, riverberandosi negativamente sul funzionamento del mercato interno. D'altra parte, le imprese si sono trovate ancora di più senza quella liquidità necessaria a dare esecuzione agli impegni di pagamento verso i propri fornitori, per pagare i dipendenti, ma anche per investire nell'azienda, per rifinanziarla, per migliorare il proprio business. Ben venga, quindi, qualsiasi iniziativa che agevoli e consenta, soprattutto alle piccole e medie imprese che offrono servizi di somministrazione alle pubbliche amministrazioni, di contare, da una parte, sulla certezza degli adempimenti per le prestazioni che hanno effettuato e, dall'altra, di instaurare un rapporto più semplice col fisco, chiaro e con valenza anche estintiva.

Il gruppo Lega-Salvini Premier su questo aspetto ha sempre insistito, formalizzando la presentazione di emendamenti e proposte di legge che hanno visto la luce soprattutto durante la crisi pandemica. Ricordo bene che nel “decreto Cura Italia” - e soprattutto durante la sede referente del “decreto Liquidità”, nella primavera-estate 2020 - abbiamo presentato numerose iniziative emendative, concordate e sostenute anche dalla piccola filiera imprenditoriale italiana ma, purtroppo, non prese in considerazione dalla precedente maggioranza di Governo. Si deve perciò riconoscere il merito al mio collega Alessandro Pagano, che già a maggio 2020 chiedeva con uno specifico emendamento presentato al “decreto Liquidità” di lavorare nel senso di questa proposta di legge. Oggi, fortunatamente, la visione del Governo, con la Lega che ne fa orgogliosamente parte, è cambiata e la discussione in Aula di questa proposta di legge, oggi, a Montecitorio, lo testimonia e conferma. Se, all'inizio, ci si è trovati a scontrarsi con la demagogia di alcune parti politiche circa la necessità di elargire immediatamente liquidità alle imprese, poi veniva anche stigmatizzata qualsiasi misura economica che andasse in tal senso.

La situazione economica e sanitaria cui ci siamo trovati di fronte ha posto alcune sfide e un cambio di paradigma senza precedenti; avevamo perciò visto bene. Agevolare, implementare, mettere in condizione di avere liquidità in cassa era, e continua ad essere, necessario non solo per le imprese, ma anche per i professionisti, i liberi professionisti, le partite IVA, gli artigiani. Solamente introducendo adempimenti fiscali più snelli e misure di accesso al credito semplificate e particolarmente vantaggiose, si può spingere la ripartenza economica.

Entrando nel merito di questo provvedimento, va detto che molta parte della dottrina ha evidenziato che, ancorché la legge generale affermi che l'Amministrazione pubblica si avvalga degli stessi strumenti che il diritto privato assegna all'impresa per la gestione delle sue obbligazioni, rimane, però, e persiste, un regime speciale a favore dei contraenti pubblici, sotto molteplici aspetti e, il più delle volte, dettato da un errato - e talvolta frettoloso - recepimento delle normative europee. Infatti, posto che le direttive dell'Unione europea non sempre sono state tradotte in una disciplina sufficientemente in grado di rispondere agli obiettivi di efficacia e coerenza applicativa con l'ordinamento italiano, si è dovuto attendere il 2012 affinché ci fosse una organicità nella materia, così da iniziare a introdurre un efficace regime speciale per l'accertamento dei crediti dei privati nei confronti degli enti pubblici e per la definizione delle relative modalità di riscossione. In precedenza, tutta la legislazione antecedente era orientata a una deroga sostanziale ai principi del codice civile sulle obbligazioni pecuniarie qualora le condizioni soggettive del debitore fossero quelle della pubblica amministrazione. Infatti, è arrivata, il 28 gennaio 2020, la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che ha condannato lo Stato italiano per la violazione sistematica e l'inosservanza degli obblighi imposti in forza della detta direttiva 2011/7/UE in merito alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e, in particolare, per l'inosservanza dei termini di pagamento, prevista dall'articolo 4, paragrafi 3 e 4, proprio per le transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni.

Si ricorda che la disciplina contenuta nel più volte novellato decreto legislativo n. 231 del 2002 ancora oggi prevede una disciplina differenziata per pagamenti tra imprese private e quelli in cui il debitore è una pubblica amministrazione. Ancora oggi i dati relativi al ritardo nell'adempimento dei debiti delle pubbliche amministrazioni sono, sì, in continuo e lento miglioramento, ma non tali da assicurare il pieno rispetto della normativa comunitaria e nazionale. In risposta alla detta sentenza della Corte di giustizia, lo Stato italiano è intervenuto, da ultimo anche con l'articolo 21 del decreto-legge n. 73 del 2021, incrementando di un miliardo di euro il Fondo per assicurare la liquidità per i pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, istituito nello stato di previsione del MEF dal “decreto Rilancio”; detto Fondo è gestito da Cassa depositi e prestiti. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, anche a fronte di questo nuovo Fondo statale, il miglioramento dei tempi di pagamento rilevato per il totale delle pubbliche amministrazioni risulta generalizzato e riscontrabile per i diversi comparti, seppure con dinamiche e livelli significativamente differenziali. Si nota che gli enti del Servizio sanitario nazionale e il comparto delle regioni e delle province autonome, fanno registrare le performance migliori, sia per i miglioramenti conseguiti nel triennio 2018-2020 sia per il grado di tempestività dei pagamenti raggiunto a fine periodo. Nel 2020 i tempi medi di ritardo si attestano rispettivamente su meno 15 e meno 10 giorni, con riduzioni di 12-10 giorni rispetto al 2018. Corrispondentemente, i tempi medi di pagamento passano da 57 e 41 giorni nel 2018, a 45 e 31 giorni nel 2020. Gli enti locali, a loro volta, pur rappresentando un risultato apprezzabile in termini di riduzione del periodo medio di ritardo rispetto al 2018, si attestano nel 2020 su un livello di 14 giorni, notevolmente superiore al dato medio nazionale. Nello stesso anno il tempo medio di pagamento risulta pari a 51 giorni, cioè 10 in meno rispetto al dato del 2018. Il tutto, ovviamente, con grandi divari fra le diverse localizzazioni degli enti locali e diversità degli enti locali in termini di numero di contratti e dei residenti in questi enti.

Più contenuta e inferiore alla media nazionale risulta, invece, la riduzione dei tempi medi di ritardo riscontrata per le amministrazioni dello Stato che, rispetto ai livelli del 2018, registra un miglioramento di dieci giorni.

Dal punto di vista fiscale questa proposta di legge parte da un dato formale, quello della certificazione del credito verso la pubblica amministrazione che è stata prevista da un decreto ministeriale del 2012 che riguarda le modalità con cui deve essere fatta la certificazione delle somme dovute per somministrazione, forniture e appalti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Tuttavia, il primo problema è stato quello di individuare quali fossero i crediti riconducibili a questa procedura, in quanto tutto ciò che non vi rientra non può essere oggetto di compensazione, partendo dal presupposto che si tratta di transazioni commerciali da cui derivino crediti verso la PA e che devono sempre essere non prescritti, certi, liquidi ed esigibili. Quello che si instaura è, pertanto, un vero e proprio procedimento amministrativo: il creditore deve presentare l'istanza, la documentazione attestante la sussistenza del suo credito; una volta che ha presentato l'istanza di richiesta, viene avviato il procedimento amministrativo che, poi, porta alla compensabilità.

Nel dettaglio, ad oggi, per favorire lo smobilizzo dei crediti commerciali vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione, le amministrazioni pubbliche devono certificare, su istanza del creditore, gli eventuali crediti relativi a somme dovute per somministrazione, forniture, appalti e prestazioni, ora anche professionali, mentre non sono certificabili eventuali interessi moratori, così come non sono oggetto di certificazione i crediti nei confronti degli enti locali commissariati o verso regioni o enti del Servizio sanitario nazionale sottoposti a piani di rientro per deficit sanitari.

Come è noto, sono tre le proposte di legge che sono state congiuntamente esaminate dalla Commissione finanze, per confluire nel testo finale 2361-A e avevano tutte in comune la finalità di rendere permanente, sotto il profilo temporale, l'istituto della compensazione dei crediti regolarmente certificati, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazione, fornitura, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione. Alcune si prefiggevano anche di ampliarne l'ambito oggettivo di applicazione alla fase di liquidazione dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione dei redditi.

Durante la sede referente - si è parlato appunto delle audizioni - anche l'audizione del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha espresso una posizione favorevole su questo provvedimento, plaudendo l'obiettivo di agevolare la monetizzazione dei crediti maturati nei confronti della pubblica amministrazione, suggerendo, addirittura, di estendere tale compensabilità anche alle somme dovute a titolo di IRAP e di IVA, oltre a quelle annualmente dovute in base alla dichiarazione dei redditi.

Interessanti sono, poi, i dati specifici presentati durante l'audizione del direttore generale delle Finanze, la professoressa Lapecorella che, appunto, attestava che a maggio 2021, dalla piattaforma per i crediti commerciali, le fatture ricevute dalla PA nel 2020 sono state pari a 27,9 milioni per un importo totale dovuto di 152,7 miliardi. Le fatture pagate sono state 24,7 milioni per 142,7 miliardi, cioè il 95,9 per cento dell'importo totale. Il tempo medio occorso per saldare le fatture del 2020 è stato pari a 45 giorni, con un anticipo medio di tre giorni rispetto alla scadenza. In relazione alle performance delle varie categorie di soggetti in termini di tempestività dei pagamenti, gli enti del Servizio sanitario nazionale e le regioni e province autonome hanno fatto registrare i migliori risultati, mentre tempi più lunghi sono registrati per le amministrazioni centrali. Questo, mi permetto di sottolinearlo, non è un buon biglietto da visita per uno Stato che sta investendo i fondi del PNRR con l'intento di far ripartire il Paese dopo l'emergenza economica e sanitaria derivante dal Coronavirus. Invito, pertanto, il qui presente rappresentante del Governo a seguire con attenzione questi dati.

Auspichiamo che questa nuova normativa venga approvata nel più breve tempo possibile anche dall'altro ramo del Parlamento. Ricordiamo che siamo qui in prima lettura e che si tratta, anche in questo caso, di una legge ordinaria; siamo abbastanza abituati ad avere dei decreti-legge che sappiamo avere una conversione rapida, però, finalmente, anche il Parlamento è rimasto sovrano. Quindi, alla luce di questa nuova normativa, si vuole raggiungere il meritevole risultato di rendere strutturale la compensabilità dei crediti certificati di imprese e liberi professionisti vantati nei confronti di enti locali, amministrazioni centrali dello Stato e degli enti del Servizio sanitario nazionale con le somme dovute per i carichi affidati ad agenti di riscossione e riportate in cartelle di pagamento o avvisi di addebito INPS o avvisi di accertamento esecutivi in data antecedente al 31 dicembre dei due anni precedenti.

La compensazione è pertanto possibile sia in forma parziale che totale, sulla base di un'istanza volontaria da parte del creditore, superando così la transitorietà (peraltro sempre prorogata), la duplicità e l'eccezionalità della disciplina o, meglio, delle discipline precedenti.

Concludendo, signor Presidente, è ormai chiaro a tutti che la liquidità e la disponibilità immediata di denaro sono i due fattori di cui ha bisogno l'Italia di oggi, quella rappresentata dalle imprese e dai professionisti, cioè dalla parte produttiva del Paese, soprattutto nella ripresa post pandemica.

Con l'approvazione della presente proposta di legge, da un lato, si semplificano i procedimenti di compensazione e, dall'altro, si responsabilizzano gli attori coinvolti, perché la pubblica amministrazione non è solamente una controparte qualsiasi, bensì la sana immagine di un Paese moderno, efficiente e meritevole di una grande sfida di ripartenza che, anche con il nostro fattivo e decisivo contributo, si appresta a vivere.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucia Albano. Ne ha facoltà.

LUCIA ALBANO (FDI). Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, siamo qui a discutere un'importante ed incisiva legge presentata da Fratelli d'Italia che ha visto un intervento del nostro gruppo parlamentare a tutela del contribuente nel rapporto con la pubblica amministrazione, nell'ottica di quella che è una compliance fondamentale nel rapporto tra contribuente e pubblica amministrazione; iniziativa quanto mai attuale, a sostegno, come ricordava la collega che mi ha preceduto, della liquidità delle aziende e dei professionisti, consentendo di fatto la monetizzazione dei crediti maturati nei confronti della pubblica amministrazione. Come già ricordato anche dal relatore, tale proposta di legge vuole ovviare all'annoso problema del ritardo con cui la pubblica amministrazione ottempera ai propri impegni nei confronti di imprese e professionisti.

La legge in esame ha come testo base quello della “legge Ferro”, della collega Wanda Ferro, e sono state accorpate anche, come già ricordato, le leggi “Cancelleri” e “Alessandro Pagano”. Veniamo al merito. La proposta di legge oggi in discussione tratta la materia della compensazione dei crediti maturati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione e nasce per rendere strutturale e non più provvisoria la disposizione che riconosce alle imprese la possibilità di compensare i crediti certificati e vantati nei confronti della pubblica amministrazione per pagare i debiti tributari derivanti dalle cartelle esattoriali. Per effetto, quindi, delle modifiche apportate in Commissione finanze, nell'esame in sede referente, a decorrere dal 1° gennaio 2022 viene abrogata la disciplina della cosiddetta compensazione provvisoria e permane, dunque, a regime la cosiddetta compensazione strutturale, con alcune modifiche volte a superarne l'attuale limite temporale e ad ampliare l'utilizzabilità dell'istituto anche con riferimento a crediti derivanti non solo da imprese, ma anche da prestazioni professionali nei confronti della pubblica amministrazione.

L'articolo 1, comma 1, lettera a) nella sua formulazione originaria sopprimeva il riferimento, quindi, all'anno 2014. Il richiamato comma 7-bis riconosce la possibilità di compensare le cartelle esattoriali alle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dai decreti del Ministro dell'Economia e delle finanze del 22 maggio 2012 e del 25 giugno 2012.

La validità di tale norma, inizialmente prevista per il solo 2014, è stata poi estesa all'anno 2015 dalla legge di stabilità 2015, all'anno 2016 dalla legge di stabilità 2016, all'anno 2017 dal decreto-legge n. 50 del 2017, al 2018 dal decreto-legge n. 87 del 2018, nonché agli anni 2019-2020 dall'articolo 37 del decreto-legge n. 124 del 2019. Ad oggi, al momento, la proroga non risulta estesa all'anno 2021.

Come già illustrato precedentemente, la proposta di legge, quindi, a seguito del ciclo di audizioni svolte, è stata modificata profondamente nel corso dell'esame in sede referente, in Commissione finanze, con l'integrale sostituzione dell'unico articolo che la compone. In particolare, si modifica l'articolo 28-quater del DPR n. 602 del 1973, per estendere la possibilità di compensare i debiti fiscali iscritti a ruolo anche con i crediti certificati vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni derivanti, come dicevo, da prestazioni professionali.

Come anticipato, quindi, nella formulazione originaria antecedente alle modifiche della Commissione, l'articolo 1, comma 1, lettera a), sopprimendo il riferimento all'anno 2014, stabiliva l'applicazione a regime della norma speciale. La successiva lettera b) intende superare i vigenti limiti ai crediti compensabili stabiliti a regime; di conseguenza inserisce un periodo al comma 1 dell'articolo 28-quater, nel quale si specifica che le disposizioni in materia di crediti compensabili si applicano anche alle somme contenute nei carichi affidati all'agente della riscossione successivamente al 30 settembre 2013 e, in ogni caso, entro il 31 dicembre del secondo anno antecedente a quello in cui è richiesta la compensazione.

Come prima espresso, nella formulazione originaria della proposta di legge, il comma 1, lettera b), invece, estendeva tali disposizioni anche alle somme risultanti dalla fase di liquidazione dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione dei redditi, che sarebbe stato obiettivamente un traguardo importante, ma particolarmente impegnativo e assorbente risorse, facendo scaturire ulteriori necessità di copertura (quindi, insistevano poi dubbi anche circa la necessità e la tempistica soprattutto della certificazione).

Con le modifiche apportate, che sono state frutto di una sintesi costruita in Commissione finanze, si intende, dunque, ricondurre ad un'unica norma l'istituto della compensazione, al fine di superare i vigenti limiti temporali, quelli relativi a una tipologia di crediti compensabili e quelli concernenti la differenza tra credito e debito residuo. Si ricorda, infatti, come è stato evidenziato da una memoria depositata il 21 luglio 2021 dall'Agenzia delle entrate-Riscossione, che l'istituto della compensazione dei crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili maturati nei confronti dell'amministrazione pubblica, con i debiti derivanti da carichi affidati all'agente di riscossione - riportati in cartelle di pagamento, avvisi di addebito e avvisi di accertamento esecutivo - è reso possibile, a normativa vigente, in base a due discipline che differiscono tra loro, una disciplina ordinaria e una cosiddetta disciplina speciale, contenuta nell'articolo 12, comma 7-bis, del decreto-legge n. 145 del 2013.

Si ricorda inoltre - lo rammento rapidamente - che per eseguire tale compensazione è necessario che il credito vantato nei confronti della pubblica amministrazione sia certificato dall'amministrazione interessata, cioè quella a favore della quale sono stati effettuati i lavori (somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali) e che tale richiesta di certificazione va effettuata attraverso la Piattaforma dei crediti commerciali. Tale Piattaforma serve a certificare e a tracciare le operazioni sui crediti e sulle somme dovute dalla pubblica amministrazione. Ottenuta tale certificazione, è necessario presentare l'istanza di compensazione all'Agenzia delle entrate-Riscossione, compensazione che può essere parziale o anche totale. La compensazione può essere effettuata tra crediti certificati non prescritti, come dicevo, certi, liquidi ed esigibili vantati verso lo Stato, le regioni o le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale. L'Agenzia delle entrate-Riscossione, una volta verificata la conformità della certificazione e in caso di esito positivo, procede alla compensazione e al rilascio dell'attestazione di pagamento.

La disciplina ordinaria della compensazione dei crediti, con riferimento alla tipologia dei crediti compensabili, riguarda tutti i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazione, forniture ed appalti. Con riferimento alla tipologia dei debiti compensabili, il credito può essere compensato con le somme dovute per carichi affidati all'agente della riscossione e riportati in cartelle di pagamento, avvisi di addebito INPS e avvisi di accertamento esecutivi. La compensazione può essere effettuata anche nel caso in cui la somma iscritta a ruolo sia superiore all'importo del credito vantato.

La disciplina speciale della compensazione, invece, ha ampliato anche ai crediti per prestazioni professionali la possibilità di compensazione, a decorrere dal 2014, come visto, con i debiti derivanti da cartelle di pagamento, avvisi di addebito INPS e avvisi di accertamento esecutivi, purché la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato nei confronti della pubblica amministrazione. Quindi, gli elementi caratteristici di questa disciplina possono così riassumersi: con riferimento alla tipologia di crediti compensabili, oltre a quelli previsti dalla disciplina ordinaria, la disciplina speciale si estende ai crediti derivanti da prestazioni professionali; per quanto concerne la tipologia di debiti compensabili, il credito può essere compensato con le somme dovute per carichi affidati per cartelle di pagamento, avvisi INPS e avvisi di accertamento esecutivi, purché la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito; con riferimento alla tempistica, per potere usufruire della compensazione, la disciplina speciale è applicabile ai pagamenti a favore dell'agente della riscossione effettuati fino al 31 dicembre 2021, riguardanti i debiti relativi a cartelle di pagamento e avvisi che derivano da ruoli o carichi affidati entro il 31 ottobre 2020 al medesimo agente della riscossione; questo a differenza della disciplina ordinaria, che prevede invece la possibilità di utilizzare i crediti certificati per pagamenti notificati entro il 30 settembre 2013. Quindi, è stata modificata, sostanzialmente, la scadenza.

Mi avvio alle conclusioni. L'importante proposta di legge, a prima firma della mia collega Wanda Ferro, è stata comunque frutto di un ampio e costruttivo dibattito tra le forze politiche e, di tale ampio e costruttivo di dibattito, è sintesi. Si propone, quindi, di dare una soluzione o, comunque, una prima risposta, una risposta significativa, a una situazione diventata ormai insostenibile, in cui può accadere, ad esempio, che lo Stato non paghi le fatture, le paghi con ritardi inadeguati, le aziende si indebitino e il rischio di fallimento o, comunque, di seria crisi di liquidità sia concreto. Sono storie ordinarie di paradossi, quelle che sembrano volere osteggiare l'attività imprenditoriale, invece di favorirla, e che accomunano tutte le società private che svolgono un servizio pubblico - come la raccolta dei rifiuti e l'erogazione dell'acqua - o che hanno vinto appalti indetti dalla pubblica amministrazione. Spesso si tratta di commesse da milioni di euro, a volte molto meno, in grado però, comunque, da sole di garantire l'attività di un'impresa, ma che rischiano di avere effetti devastanti quando i pagamenti tardano ad essere saldati. Questo ritardo, purtroppo, non è un evento raro. Come dimostrano alcuni dati degli ultimi anni, diffusi dal Ministero dell'Economia e delle finanze, i tempi di liquidazione delle fatture da parte degli enti locali sono estremamente variabili e l'analisi a livello geografico mostra una situazione drammatica, con moltissimi casi limite, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. La pubblica amministrazione italiana continua a liquidare le fatture dei creditori (privati cittadini, professionisti ed imprese) in tempi non comparabili con quelli degli altri Paesi europei e ciò si ripercuote negativamente soprattutto sulle piccole e medie imprese, costrette ad accettare termini di pagamento troppo dilazionati e spesso imposti dalle imprese più grandi. Il dato, per esempio, del 2018 ci colloca al terzultimo posto in Europa, dopo la Grecia e il Portogallo. In ballo non c'è solo l'efficienza dello Stato: lo stock di debito resta enorme. Lo Stato deve alle imprese 53 miliardi di euro e questo ritardo sistematico è costato ben 3,7 miliardi di euro, una cifra generata dagli interessi passivi, dovuti per anticipare il credito necessario a pagare i propri dipendenti e per onorare gli impegni presi. Senza una riduzione dei tempi di pagamento, il debito commerciale accumulato dallo Stato non arriverà mai ai livelli europei e le imprese continueranno a pagare un costo improprio. La conseguenza è che poi diventa arduo, da un lato, rimanere sul mercato, continuando ad erogare i servizi promessi e, dall'altro, versare le tasse alle casse dell'erario.

Questo è ancora più vero oggi, in un periodo di pandemia, in un periodo di crisi di liquidità così incisiva, che mette alla prova le nostre imprese e il portafoglio dei nostri contribuenti. Ma ciò che vorrei sottolineare è che, in questa fattispecie, l'incapacità dello Stato di onorare i propri debiti condanna all'estinzione o, comunque, a una grave difficoltà, un tessuto sano dell'imprenditoria italiana. La proposta di legge che abbiamo presentato vuole proprio andare in questo senso. Ecco il meccanismo della compensazione dei tributi, la possibilità e la facoltà di stabilizzare, quindi, la procedura, che fino ad oggi non era automatica. Tutte le imprese che hanno a che fare con la pubblica amministrazione - lo ricordo - denunciano il problema, anche perché le conseguenze, dal punto di vista economico e finanziario, sono pesanti. Non è accettabile, in uno Stato di diritto, che le imprese fornitrici falliscano per colpa di uno Stato che gioca ad armi impari.

Con la presente proposta di legge si intende, pertanto, apportare un correttivo a tale iniqua situazione, rendendo il meccanismo della compensazione strutturale, senza dover ricorrere, ogni anno, come abbiamo visto, ad una proroga che, se dovesse tardare ad arrivare, costringerebbe le imprese a ricorrere ad una rateizzazione del debito, non consentendo alle stesse ed al contribuente un'adeguata programmazione finanziaria nel rapporto con la pubblica amministrazione.

Concludo, ringraziando per la collaborazione e per il lavoro la Commissione finanze, che è giunta ad un'importante sintesi nella legge che avevamo proposto, tutti i colleghi presenti, lei, Presidente, e il Governo presente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Rizzone. Ne ha facoltà.

MARCO RIZZONE (CI). Grazie, Presidente. Mi fa molto piacere essere qui, oggi, in Parlamento, anche da imprenditore, a portare la voce di quei tanti piccoli e medi imprenditori e professionisti italiani, persone che, nonostante la terribile pandemia, nonostante la crisi economica che ne è conseguita e nonostante tutte quelle pastoie burocratiche che inesorabilmente affliggono chi fa impresa in Italia, continuano a rimboccarsi le maniche, continuano a mantenere e creare posti di lavoro, continuano a lottare contro tutte quelle incongruenze che, ahimè, la classe politica nel passato ha contribuito a creare. Queste persone chiedono allo Stato una cosa: concretezza. Non è possibile che il tema della compensazione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione con i debiti tributari sia di anno in anno oggetto di proroga, di piccole modifiche o di rivisitazioni, che alla fine poi cambiano poco o nulla. Non è così che si dà stabilità al sistema, non è così che si stimola il tessuto produttivo del Paese a ripartire. Serve qualcosa di più organico, di più strutturale, una riforma che vada nell'ottica della semplificazione e, lasciatemi dire, banalmente, del buonsenso. Deve passare il principio che, se uno ha dei crediti nei confronti della PA, questi automaticamente si compensano con le tasse che devo pagare; punto. Le imprese non sono più nelle condizioni di finanziare la liquidità delle casse statali. Questa è la situazione dal lato delle imprese.

Considerata, poi, questa situazione drammatica che tutti stiamo vivendo, mi auguro che riflessioni come queste, che facciamo oggi in Aula, non rimangano poi lettera morta, perché oggi più che mai servono risposte e proposte concrete di riforma davvero strutturale del sistema fiscale nella sua interezza, proposte che risolvano l'annoso problema di questa compensazione tra debiti tributari e crediti nei confronti della pubblica amministrazione. Gli annunci sensazionalistici, le bandierine di partito da piantare, le vittorie declamate sui social, a chi fa impresa, sinceramente, non interessano. Chi fa impresa chiede semplificazione, riforme vere e non monche o parziali ma riforme strutturali, integrate, che diano modo di programmare la propria attività imprenditoriale.

Abbiamo visto come il portato drammatico di questi anni di pandemia abbia inevitabilmente riverberato i propri effetti in ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica del nostro Paese. È chiaro come l'onda lunga della pandemia non possa vedere escluso il rapporto fisco-contribuente nei suoi corollari più disparati. Il sistema fiscale del nostro Paese, già prima della pandemia, risultava - e risulta ancora oggi - afflitto da incoerenze profonde, da iniquità diffuse, da un approccio burocratico ed elefantiaco, privo della necessaria elasticità per confrontarsi con un mondo, quello dell'impresa che, invece, un'elasticità la pretenderebbe. La contingente crisi di liquidità, impatto esiziale di questi primi mesi di pandemia su migliaia di aziende, ha costretto il legislatore a mutare completamente l'approccio alla disciplina fiscale, producendo interventi di emergenza sui temi che sono in realtà in discussione da tempo. I ritardi nei pagamenti negli enti pubblici continuano, tuttavia, a rappresentare un problema cogente delle imprese italiane. I dati che sono a disposizione ci dicono che oltre il 60 per cento dei comuni ancora non rispetta il termine di legge dei 30 giorni per saldare le fatture. Questo non ci sembra normale e neppure giusto perché poi, quando dall'altra parte in ritardo è il contribuente, allora ecco che scattano subito le sanzioni. Questo difetto congenito del nostro Paese non ha fatto altro che peggiorare ulteriormente le condizioni dei piccoli imprenditori, già colpiti dalla crisi pandemica. In attesa di essere pagati, infatti, gli stessi sono costretti a rivolgersi, come sappiamo, alle banche per ottenere liquidità, necessaria poi a mandare avanti tutte le attività di impresa, a pagare gli stipendi, a pagare i contributi, eccetera. In pratica, cosa succede? Le aziende si devono indebitare per finanziare la liquidità delle casse pubbliche ed è chiaro che, così, mandare avanti un'attività imprenditoriale è veramente difficile.

Va detto che l'estensione al 2021 della compensazione tra debiti tributari e crediti commerciali, arrivata con il prolungamento dell'applicabilità della norma che introdusse tale facoltà con esclusivo riferimento all'anno 2014, ovvero l'articolo 12, comma 7-bis del decreto-legge n. 145 del 2013, rappresenta l'esplicazione di un nuovo approccio ed una risposta efficace al problema che ho appena sottolineato. La cosiddetta compensazione straordinaria ha, infatti, riconosciuto la possibilità di assolvere il pagamento delle cartelle esattoriali e simili - quindi avvisi di accertamento esecutivi dell'Agenzia delle entrate, avvisi di addebito dell'INPS - sfruttando i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali. Una buona opportunità per imprese e lavoratori autonomi di recuperare più velocemente le somme a loro spettanti per cessioni di beni realizzate e prestazioni di servizi erogate in un momento in cui la rapidità di pagamento è, e rimane, un indice fondamentale di sopravvivenza e continuità del sistema.

Va riconosciuto, infatti, che questa norma ha consentito la sopravvivenza di migliaia di imprese e, pertanto, la sua replicabilità dovrebbe essere accolta nell'ambito di una profonda rivisitazione del sistema fiscale, in uno schema, però, più organico e integrato. Tuttavia, la proposta in discussione non pare andare troppo in questa direzione, appare anzi un po' più mossa dalla ricerca di sensazionalismo che non da una riflessione ponderata sulla possibilità oggettiva di estendere in maniera definitiva un beneficio chiesto da più parti. L'invito, dunque, ancor prima di concludere la discussione su questo provvedimento, è quello, colleghi, di cogliere l'appello ad un confronto corale che possa riconciliare le esigenze di bilancio e di funzionalità dell'ente di riscossione e quelle di semplificazione e opportunità, legittimamente pretese dalle imprese. Mai come in questo caso, la fretta e la volontà di accaparrarsi un titolo di giornale sono cattive consigliere.

Concludo, Presidente, con una riflessione. Siamo un Paese che, mi duole dirlo, troppo spesso va avanti di proroga in proroga, un Paese dove paradossalmente le emergenze diventano occasioni per offrire boccate di ossigeno in deroga a leggi terribilmente ingarbugliate. È così che il problema poi non viene risolto ma viene solo tamponato temporaneamente e spostato in avanti. Ma se noi vogliamo davvero che l'economia riparta, che gli imprenditori investano, che gli imprenditori creino occupazione e ricchezza, serve coraggio, il coraggio di abbassare le armi della propaganda per fare finalmente tutte quelle riforme che servono, una volta per tutte. E io penso che ce la possiamo fare: coraggio, coraggio Italia!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alessandro Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie, Presidente. Colleghi, la possibilità per le imprese di utilizzare la compensazione per il pagamento di cartelle esattoriali, i crediti in loro possesso non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione è stata introdotta nel 2014 e più volte prorogata sotto forma di disciplina speciale rispetto alle ordinarie regole di compensazione.

Il testo in esame, approvato all'unanimità dalla Commissione finanze, non solo rende strutturale tale previsione, ma la riconduce anche nell'ambito della disciplina ordinaria di cui all'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973.

Quindi, tanti elementi positivi, tanti passi in avanti e qualche dubbio irrisolto. Non è del tutto soddisfacente la previsione che le cartelle compensabili debbano essere state affidate all'agente della riscossione entro il 31 dicembre del secondo anno antecedente a quello in cui è richiesta la compensazione adottata per impedire riflessi negativi di finanza pubblica. La proposta, di conseguenza, non attua la previsione dell'articolo 8 dello Statuto del contribuente, nel quale si prevede che l'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione.

Il tema del pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione resta tuttora dolente. Il 9 giugno 2021, la Commissione ha deciso di inviare una lettera di costituzione in mora all'Italia per non conformità delle rispettive legislazioni nazionali alla direttiva sui ritardi di pagamento. La direttiva impone alle autorità pubbliche di saldare le fatture entro 30 giorni, che diventano 60 giorni nel caso dei pagamenti nel settore della sanità pubblica. Una recente indagine di Confartigianato rileva che, a fine 2020, i debiti commerciali della pubblica amministrazione nei confronti dei fornitori sono arrivati a 58 miliardi di euro, equivalenti a 3,1 punti del PIL; in Europa, in media, i debiti commerciali della pubblica amministrazione rappresentano l'1,7 per cento del PIL. Il 60 per cento dei comuni italiani continua a non rispettare il termine di legge di 30 giorni per pagare le aziende fornitrici. Sono in ritardo anche diversi Ministeri, tuttavia, non si può negare come, nel corso degli ultimi anni, si siano registrati dei miglioramenti. Sul sito del MEF vi è una sezione dedicata al pagamento debiti della pubblica amministrazione ai creditori, da cui si apprende che i tempi medi delle 22 mila amministrazioni registrate sul sistema informatico denominato Piattaforma dei crediti commerciali sono passati dai 55 giorni del 2018 ai 45 giorni del 2020 e la quota delle fatture pagate nei termini dal 64,9 al 74,1 per cento.

Con la legge di bilancio per il 2021, dal 1° gennaio sono entrate in vigore le misure di garanzia per il rispetto dei termini di pagamento previste per le pubbliche amministrazioni non statali. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale, le misure incidono direttamente sull'indennità di risultato dei direttori generali e dei direttori amministrativi, in maniera graduale rispetto all'entità del ritardo dei pagamenti. Per gli altri enti non statali si prevede una riduzione della spesa per consumi intermedi, modulata progressivamente in base all'entità dell'inadempimento. Viceversa, dal 1° settembre è tornata operativa la disposizione contenuta nell'articolo 48 del DPR n. 602 del 1973, secondo la quale, per le compensazioni oltre i 5 mila euro, le amministrazioni sono tenute a verificare se il beneficiario sia inadempiente agli obblighi di versamento derivanti dalla notifica di una o più cartelle di pagamento. Questa norma, molto contestata dagli imprenditori, perché considerata fonte di ulteriori ritardi nei pagamenti, era stata sospesa con l'emergenza COVID, da ultimo, con il primo dei “decreti Sostegni”. L'emergenza COVID non è finita e, forse, sarà prolungata, ma la norma è tornata operativa. Forza Italia presenterà uno specifico emendamento al decreto fiscale in discussione al Senato per prolungare il periodo di sospensione della citata norma. In ogni caso, per Forza Italia la strada maestra è quella di applicare la compensazione diretta e universale tra i debiti e i crediti degli imprenditori verso la pubblica amministrazione, come previsto dall'articolo 8 dello Statuto del contribuente.

Confidiamo sul fatto che il PNRR, per il tramite della delega fiscale, contribuisca ad accelerare i tempi di pagamento della pubblica amministrazione, come sollecitato dalla Presidenza del Consiglio al Ministero dell'Economia, con una precisa indicazione: entro la fine del 2023, le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali dovranno far sì che la media ponderata dei tempi di pagamento registrati sulla Piattaforma dei crediti commerciali sia pari o inferiore a 30 giorni. Tuttavia, la definitiva stabilizzazione del principio di compensazione dei crediti verso la pubblica amministrazione con le cartelle esattoriali è un passo avanti sulla strada dell'attuazione dello Statuto del contribuente.

Per tali motivi, il giudizio di Forza Italia sul provvedimento in esame non può che essere favorevole.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2361-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Sani, che rinuncia.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendiamo brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 17,26 per lo svolgimento della discussione generale della proposta di legge concernente misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 17,16, è ripresa alle 17,26.

Discussione della proposta di legge: S. 1 - D'iniziativa dei senatori: Amati ed altri: “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo” (Approvata dal Senato) (A.C. 1813​) e dell'abbinata proposta di legge: Fornaro (A.C. 445​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1813: “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo” e dell'abbinata proposta di legge n. 445.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 5 novembre 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 5 novembre 2021).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1813​ e abbinata)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Massimo Ungaro.

MASSIMO UNGARO , Relatore. Grazie, Presidente. Il provvedimento in esame cerca di implementare nel nostro Paese il divieto di finanziamento alle imprese che producono mine antiuomo e bombe a grappolo, sia in Italia sia nel mondo. Entrambi sono esplosivi a uso militare. Le mine antiuomo sono armi leggere che vengono disseminate nei territori di guerra, mentre le bombe a grappolo sono, appunto, lanciate da velivoli militari e sono sparse indistintamente su un preciso territorio. Entrambe le armi sono molto subdole, perché rimangono attive per tanti anni anche dopo la fine dei conflitti, mietendo tantissime vittime civili, per la maggior parte bambini. Il Landmine Monitor 2020, che è l'osservatorio internazionale sulle mine basato a Ginevra, denuncia che, nel 2019, oltre 5.000 sono state le vittime di mine antiuomo e di residuati bellici, per quasi la metà bambini (di età inferiore ai 18 anni).

L'Italia, sulla carta, è un Paese molto virtuoso sul divieto della produzione di armi pericolose come queste. Infatti, in Italia è già vietata la produzione di mine antiuomo e di bombe a grappolo. L'Italia, infatti, ha aderito, nel 1997, alla Convenzione di Ottawa e, benché l'Italia fosse, già fin dai primi anni Novanta, uno dei maggiori produttori al mondo di mine antiuomo, l'Italia scelse, appunto, di aderire all'Accordo internazionale che vietava la produzione e la commercializzazione di mine antiuomo e, in seguito, aderì alla Convenzione di Oslo del 2010, che vieta la produzione di bombe a grappolo. Si tratta di accordi internazionali fortemente voluti dall'opinione pubblica internazionale. Ci ricordiamo, per esempio, le campagne di Lady Diana negli anni novanta, campagne volute da un'opinione internazionale abituata a vedere le immagini di bambini feriti e privi di arti a seguito, appunto, delle ferite riportate quando giocavano con ordigni trovati nei campi, anche 20 o 30 anni dopo la fine dei conflitti in essere.

Queste 2 convenzioni internazionali sono state recepite in Italia. Infatti, la legge n. 374 del 1997, che poi è stata modificata dalla legge n. 106 del 1999, recepisce nel nostro Paese la Convenzione di Ottawa - la Convenzione di Ottawa impegna le parti a non usare, sviluppare, produrre, acquisire o accumulare riserve, conservare o trasferire le mine antiuomo -, mentre con la legge n. 95 del 2011, nel nostro Paese, è stata ratificata la Convenzione di Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, che vieta l'uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo e impone la distruzione degli stock esistenti. Ci tengo a precisare che la legge n. 95 del 2011 sanziona penalmente - penalmente! - con la stessa pena prevista per le mine antiuomo - la reclusione da 3 a 12 anni e la multa da 258.000 a 516.000 euro - chiunque impiega, sviluppa, produce, acquisisce in qualsiasi modo, conserva o trasferisce direttamente o indirettamente munizioni a grappolo o parti di esse.

Oggi, invece, con il provvedimento in esame si cerca di implementare un altro degli impegni assunti con questi 2 trattati internazionali, ovvero il divieto di finanziamento di aziende che producono questo tipo di ordigni, perché voglio rammentare ai colleghi che né il trattato né la legge n. 95 negano esplicitamente gli investimenti in questo tipo di armi. Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, questi ammontano a 9 miliardi di dollari e vedono coinvolte circa 88 istituzioni finanziarie a livello globale. L'attuale legge n. 95, infatti, stabilisce che chiunque favorisca la produzione di questo tipo di armi commette un reato, ma non specifica chi si intenda per chiunque e se questo debba essere esteso a tutte le persone fisiche e giuridiche, compresi gli istituti finanziari. Attualmente, a nessuno dei maggiori istituti di credito italiani è vietato espressamente di investire in queste armi (da qui la finalità di questa proposta di legge).

Presidente, vorrei illustrare brevemente il contenuto e mettere l'accento sull'iter molto travagliato di questa proposta di legge, che, da 10 anni, si trascina tra i due rami del Parlamento.

La presente proposta prevede, all'articolo, 1 il divieto totale di finanziamento di società, in qualsiasi forma giuridica costituite, che svolgano attività di costruzione, produzione, sviluppo, assemblaggio, riparazione, conservazione, impiego, utilizzo, immagazzinaggio, stoccaggio, detenzione, promozione, vendita, distribuzione, importazione, esportazione, trasferimento o trasporto delle mine antipersona, delle munizioni e submunizioni cluster (quindi, a grappolo) di qualunque natura o composizione o di parti di esse.

L'articolo 2 reca le definizioni rilevanti ai fini dell'applicazione del provvedimento e definisce cosa si intenda per intermediari abilitati. Si intendono le società di intermediazione mobiliare (le SIM), le banche italiane, le società di gestione del risparmio (SGR), le società di investimento a capitale variabile (SICAV), gli intermediari finanziari iscritti nell'albo di cui all'articolo 106 del testo unico (decreto legislativo n. 385 del settembre 1993), inclusi i confidi, le banche dei Paesi membri dell'Unione europea, le imprese di investimento dei Paesi membri dell'Unione europea, le banche extracomunitarie, gli agenti di cambio, nonché le fondazioni bancarie e i fondi pensione.

L'articolo 3 individua i compiti delle autorità di vigilanza in relazione ai divieti previsti dal provvedimento. In particolare, si dispone che, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, questi organismi emanino, di concerto tra di loro, apposite istruzioni per l'esercizio di controlli rafforzati sull'operato degli intermediari abilitati. Nel medesimo termine, (quindi, entro i 6 mesi), essi sono tenuti a provvedere e a istituire l'elenco delle società operanti nei settori individuati dall'articolo 1, indicando l'ufficio responsabile della pubblicazione annuale del medesimo elenco. Il comma 2 dell'articolo 3 incide sui compiti dell'unità di informazione finanziaria per l'Italia (la UIF), che è istituita presso la Banca d'Italia dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 231 del 2007, specificando che i controlli dei flussi finanziari svolti da tale organismo sono estesi anche alle imprese e alle società che producono mine antiuomo o, comunque, esplicitati dall'articolo 1.

L'articolo 4 definisce i compiti degli intermediari, i quali devono escludere dai prodotti finanziari offerti ogni componente che costituisca un supporto finanziario alle società di cui all'articolo 1.

L'articolo 5 disciplina, invece, le verifiche circa il rispetto dei divieti posti dalle norme in esame, prevedendo, in particolare al comma 1, che la Banca d'Italia possa richiedere dati, notizie, atti e documenti agli intermediari abilitati e, se necessario, possa effettuare verifiche presso la sede degli stessi. Il comma 2 dispone, inoltre, che gli organismi di vigilanza provvedano, nell'ambito delle ispezioni e dei controlli a carico dei soggetti vigilati, anche a controlli specifici di valutazione dell'attività connessa alla funzione di compliance in relazione ai divieti previsti dal provvedimento.

L'articolo 6 disciplina le sanzioni comminate agli intermediari abilitati che non osservano il divieto di finanziamento delle società operanti nel settore delle mine e delle munizioni. Il comma 3 collega all'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie anche conseguenze di tipo interdittivo. È, infatti, disposta la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per i rappresentanti legali degli intermediari finanziari, nonché per i revisori e i promotori finanziari.

Vorrei soffermarmi su questo ultimo articolo 6. Il comma 2 introduce, tra l'altro, una clausola di salvaguardia penale per dare riscontro alle criticità rilevate dal messaggio motivato del Capo dello Stato. Io ricordo che questa proposta di legge riprende una proposta di legge che era stata presentata nella XVII legislatura, proposta che fu approvata da Camera e Senato, ma fu l'unica legge che la Presidenza della Repubblica rinviò alle Camere, con rilievi sostanziali importanti che avevano a che vedere con il quadro sanzionatorio che veniva introdotto col provvedimento. Nella fattispecie, il Presidente della Repubblica ha ricordato che l'articolato originale non prevedeva l'erogazione di sanzioni penali, ma soltanto di sanzioni pecuniarie – quindi, amministrative, perché, ovviamente, qui si introduce un'importante responsabilità amministrativa degli enti – e, in questo modo, non si sarebbe dato seguito alle Convenzioni internazionali di Ottawa e di Oslo, che prevedono l'erogazione di sanzioni penali a chiunque favorisca la distribuzione di mine antiuomo e a grappolo. Quindi, proprio perché ci sarebbe stata una dissonanza tra il provvedimento e gli accordi internazionali assunti dall'Italia, il Presidente della Repubblica ha chiesto al Parlamento di modificare questo testo. Questo testo, infine, è stato modificato. La Commissione finanze del Senato ha recepito questa richiesta di modifica del Presidente della Repubblica e l'ha approvata il 29 aprile 2019.

Vorrei porre l'accento su questo passaggio. La legge è stata depositata nel 2010; nel 2016, è stata approvata dal Senato; il 3 ottobre 2017, la Camera l'approva in via definitiva; lo stesso anno, il Presidente della Repubblica la rinvia alle Camere; nel 2019, il Senato modifica il testo, approvando i rilievi del Presidente della Repubblica, e arriva alla Camera nell'autunno 2020 (un anno fa).

La Commissione finanze della Camera dei deputati ha esaminato il testo, lo ha approvato all'unanimità un anno fa e, da un anno, si è in attesa del parere della Commissione bilancio, che è in attesa della relazione tecnica da parte del Ministero dell'Economia e delle finanze, che ancora oggi non è arrivata, a oltre un anno di distanza. Vorrei rimarcare e lamentare con rammarico questo ritardo nell'arrivo della relazione tecnica, anche perché vorrei sottolineare il fatto che, a mio avviso, da relatore, mi sembra molto difficile attribuire qualsiasi impatto di onere finanziario al presente provvedimento, in quanto è un provvedimento di regolamentazione del settore privato creditizio, degli intermediari bancari e finanziari, e credo che sia veramente impossibile attribuire al provvedimento un onere finanziario, se non la richiesta di stilare un elenco delle aziende che nel mondo producono mine antiuomo. Se stilare un elenco costituisse un impatto sulla finanza pubblica, allora in questo caso si potrebbe rispondere in maniera affermativa; ma credo che sia una faccenda veramente impossibile da affermare che ci sia un vero impatto sulla finanza pubblica.

Inoltre, ci terrei anche ad aggiungere un'osservazione: proprio a marzo 2020 anche l'autorità per i mercati finanziari della Repubblica francese ha aggiunto tra le proprie prerogative quella di verificare l'esistenza di investimenti da parte di intermediari in Francia su imprese che producono mine antiuomo e si avvale dell'uso di server e provider che possono dare informazioni. Quindi, credo sia veramente difficile esprimere un'osservazione negativa sull'attribuzione di nuovi doveri e nuovi compiti alle autorità di vigilanza, ma mi rimetto al dialogo con il Governo, se necessario. Mi fermerei qui come esposizione del provvedimento e rimango a disposizione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretario Freni.

FEDERICO FRENI, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie, Presidente. Come è emerso anche dalla relazione dell'onorevole Ungaro, che ringrazio, la proposta di legge all'esame dell'Aula ha avuto un iter certamente travagliato; tuttavia, il Governo deve escludere con fermezza che tutte le difficoltà incorse possano essere ricondotte a questioni diverse da quelle esclusivamente tecniche che tra breve vi sottoporrò in dettaglio.

Come pure precisato dal relatore, in Italia, per effetto dell'adesione alle Convenzioni di Ottawa e di Oslo, già vige il divieto di fabbricazione, importazione, esportazione, transito e intermediazione su mine antipersona e munizioni a grappolo. Tengo a precisarlo per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco in merito alla natura squisitamente tecnica delle esigenze di modifica emerse a seguito di un'approfondita istruttoria che ha coinvolto tutte le autorità di vigilanza e i Ministeri. Così pure il Governo tiene a precisare che ciascuna delle amministrazioni intervenute - Banca d'Italia, Ivass, Covip, Consob, MEF, MiSE, MAECI, Ministero della Difesa - si è posta in maniera assolutamente costruttiva, fornendo contributi volti esclusivamente a rendere il testo della proposta di legge tecnicamente corretto ai fini dell'approvazione.

Sulla base di queste premesse è emersa la possibile insorgenza di oneri associati alle incertezze interpretative connesse all'attuale formulazione che derivano dal combinato disposto di alcuni articoli, e segnatamente l'articolo 2, lettera f), l'articolo 3, comma 2 e l'articolo 5, comma 1. Il combinato disposto di queste disposizioni rende incerta l'assenza di oneri anche finanziari che graverebbero sul Dipartimento del tesoro qualora questo fosse ricompreso tra i soggetti vigilanti, tanto più che non è chiaro se la redazione dell'elenco delle società comporti o meno una specifica responsabilità anche in termini di attività di ricerca, che potrebbe pure essa risultare onerosa.

Analoghi profili di criticità sono stati segnalati anche dalla Covip che ha precisato come gli adempimenti posti dalla proposta di legge in capo alla Covip risulterebbero gravosi, trattandosi di attività del tutto nuova che esulerebbe dalle ordinarie competenze dell'autorità e che richiederebbe sicuramente un accresciuto impegno e maggiori oneri. Peraltro, nell'ambito dell'istruttoria, anche il Ministero degli Affari esteri ha rilevato la possibilità di oneri ulteriori.

Un profilo particolarmente critico di questa norma riguarda, tuttavia, il ruolo di Banca d'Italia. Sul piano sostanziale, infatti, il conferimento di nuovi compiti alla Banca d'Italia deve essere vagliato alla luce della disposizione di cui all'articolo 123 del Trattato fondativo dell'Unione, che stabilisce il divieto di finanziamento monetario da parte della banca centrale in favore del settore pubblico. In quest'ottica, l'articolo 1 del Regolamento n. 3603 del 1993 precisa nella nozione di “altra forma di facilitazione creditizia” che in questa nozione rientra qualsiasi finanziamento di obbligazioni del settore pubblico nei confronti di terzi, e secondo l'interpretazione ormai consolidata della BCE questa norma impedisce alle banche centrali nazionali di sostenere i costi di attività che esulano dalla sfera dei compiti tipici delle banche centrali e che dovrebbero far capo al Governo degli Stati membri.

Ebbene, sotto questo profilo appare decisamente problematica la previsione di cui all'articolo 3, comma 1, ultimo periodo, della proposta di legge in esame, secondo la quale Banca d'Italia, unitamente peraltro ad altri organismi di vigilanza, sarebbe tenuta a redigere e pubblicare l'elenco di società di cui all'articolo 1, comma 1, atteso che questo compito non rientra tra i compiti tipici delle banche centrali e che i relativi oneri resterebbero a carico della Banca d'Italia.

Aggiungo che, sotto il profilo procedurale, l'articolo 127, comma 4, del Trattato sul funzionamento dell'Unione e il terzo alinea dell'articolo 2, comma 1, della decisione del Consiglio del 29 giugno 1998 relativa alla consultazione della Banca centrale europea da parte delle autorità nazionali prevedono che la proposta di legge in esame debba comunque essere sottoposta al parere preventivo della BCE per quanto riguarda i compiti di Banca d'Italia.

Da ultimo, ulteriori aspetti critici sono stati segnalati a livello tecnico con riferimento ai controlli attribuiti alla UIF, cui verrebbero attribuite competenze estranee alla missione istituzionale, e all'ambito di applicazione del divieto di finanziamento, che include anche gli intermediari di Paesi dell'Unione europea e di Stati terzi indipendentemente dal fatto che questi siano stabiliti nel territorio della Repubblica.

Tutti i profili critici che ho evidenziato sono stati ampiamente evidenziati nella relazione tecnica chiesta dalla Commissione bilancio, che da sabato scorso è in verifica presso la Ragioneria generale dello Stato e che si conta di avere al più presto.

Concludo sottolineando come, a fronte di tali e tante criticità, il Governo ha comunque avuto sempre un approccio costruttivo.

In VI Commissione è stato proposto un testo, depositato appunto in Commissione, che senza incidere sulla portata complessiva del provvedimento e soprattutto sulle sue finalità specifiche, che tutti ovviamente condividiamo e non potremmo non condividere, ha come unico obiettivo quello di superare le oggettive criticità rilevate.

Spero di avere chiarito definitivamente la posizione dell'Esecutivo e soprattutto di avere liberato il campo da retropensieri che non sono appartenuti, non appartengono e non potrebbero mai appartenere al Governo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sani. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO , Relatore. Presidente!

PRESIDENTE. Relatore, può replicare dopo. Nella fase successiva alla discussione generale avrà la possibilità di replicare. Collega Sani, a lei la parola, prego.

LUCA SANI (PD). Presidente, colleghe e colleghi, come ricordava giustamente il relatore, il collega Ungaro, noi siamo di fronte all'esame di un provvedimento che è in attesa ormai da troppi anni. Il collega ricordava il percorso che ha riguardato questo provvedimento dal lontano 2010 e i trascorsi che ha avuto nei due rami del Parlamento, con il rinvio alle Camere anche da parte del Presidente della Repubblica; però, noi abbiamo sottoscritto dei trattati internazionali che hanno disciplinato e affrontato il tema delle mine antipersona e delle bombe a grappolo, tra cui la Convenzione di Ottawa nel 1997 e la Convenzione di Oslo nel 2008, ratificate dallo Stato italiano.

Nonostante questo, dobbiamo prendere atto che gli incidenti causati da queste armi sono ancora in un numero molto elevato e anche se, negli ultimi venti anni, sono state distrutte oltre 55 milioni di mine nel mondo, continua il massacro. Per il quinto anno consecutivo i civili rimangono ancora i più colpiti dalla violenza delle mine e da residuati di origine bellica. Oltre 5 mila vittime, oltre la metà causate da mine improvvisate; fra questi, i bambini rappresentano il 43 per cento. I Paesi più coinvolti sono l'Afghanistan - di cui recentemente abbiamo avuto modo di discutere -, la Colombia, l'Iraq, il Mali, la Nigeria e via dicendo, senza dimenticare che esistono ancora 100 milioni di ordigni disseminati nel terreno di molte Nazioni, che rappresentano armi micidiali e che, oltre a distruggere vite e causare terribili e irreversibili amputazioni e ferite, concorrono anche a compromettere la via di un'economia diversa per quei Paesi, spesso molto poveri. L'impatto delle mine antiuomo incide sulla vita delle popolazioni locali ed è devastante poiché la presenza rende impraticabili attività come l'agricoltura, la mobilità su vasti territori, con effetti economici facilmente immaginabili. Per non parlare, poi, del peso che tutto ciò impone al sistema sanitario e sociale in Paesi che non brillano per condizioni finanziarie, ma che sono spesso drammatiche. Il divieto di utilizzo di tali armi ha prodotto risultati apprezzabili - lo sappiamo - anche in termini di dissuasione; rimangono però attivi molti gruppi terroristici che continuano a farne uso e, come ricordava il relatore, il nostro Paese è pienamente coinvolto, in virtù degli accordi internazionali sottoscritti, in tutte le attività di supporto alle Nazioni che hanno il problema delle mine, ciò al fine di promuovere una sempre maggiore adesione allo spirito dei Trattati internazionali.

Noi siamo di fronte a un provvedimento che va in questa direzione e, sinceramente - me lo consenta, signor sottosegretario -, si fa un po' fatica a comprendere le obiezioni che sono intervenute anche in questa discussione generale, dopo il dibattito e il confronto che c'è stato in Commissione. Era anche una richiesta del relatore durante il confronto in Commissione: questi oneri andrebbero un po' meglio e più precisamente identificati; se ci sono oneri bisogna mettere sul piatto della bilancia anche i benefici rispetto a questa operazione. Non si sta parlando di una cosa da poco: c'è in mezzo la vita di tantissimi civili, spesso bambini.

Questo aspetto, questo onere che è richiesto alle finanze dello Stato, rispetto a un preciso impegno quale questo di cui si tratta, deve essere dimensionato un pochino più accuratamente, in modo tale da permettere poi al Parlamento di fare la valutazione migliore che gli spetta. Questa è una buona legge perché introduce divieti totali in tema di finanziamenti a società, aventi sede in Italia o all'estero, che direttamente o indirettamente su questi ordigni svolgano attività di qualsiasi tipo - dallo sviluppo alla produzione, dallo stoccaggio alla riparazione e via dicendo -, prevedendo al tempo stesso organi di controllo e sanzioni per chi viola queste disposizioni. Va detto che l'Italia, dal punto di vista della produzione, ha risolto da tempo e regolato i conti perché, nonostante fosse il nostro Paese uno dei principali produttori, ha ormai sancito il divieto assoluto di produzione. Presidente e rappresentante del Governo: approvare questa legge nel nostro Paese può rappresentare un ulteriore stimolo ed è anche un segnale culturale rispetto a dove va l'industria bellica in generale. Questa può essere anche un'occasione di riflessione per una conversione dei modelli produttivi anche a scopi civili e sociali, cogliendo anche l'opportunità delle tante transizioni che sono in corso, che per essere attuate hanno molto spesso bisogno di una tecnologia che sul mercato manca. Approvare leggi che hanno un segno anche culturale può aprire una riflessione nel Paese e non solo nel Paese ma, più in generale, rispetto ai modelli di produzione.

Come gruppo del Partito Democratico riteniamo che l'approvazione di questa legge, che è stata ampiamente condivisa da tutti gli schieramenti politici in Commissione - penso avverrà la stessa cosa in Aula - potrà produrre un significativo passo in avanti per contrastare con efficacia certi mercanti di morte e proteggere milioni di potenziali vittime indifese, soprattutto bambini. Pappagalli verdi è il soprannome dato a questo tipo di submunizioni, perché assomigliano - è stato detto - a giocattoli colorati a forma di uccello e che attraggono i bambini. Pappagalli verdi è il titolo d'un libro, edito oltre vent'anni fa, che raccoglie le cronache di un chirurgo di guerra, che racconta gli effetti atroci di questi ordigni. Allora, approvare la legge penso sia anche un modo coerente - molto spesso è stato evocato e ricordato in quest'Aula dopo la sua scomparsa - per onorare ancora una volta il lavoro e il ricordo di Gino Strada; proprio Gino Strada ci diceva che non esistono scommesse impossibili.

Spero, signor sottosegretario, che vengano rimossi quegli ostacoli, grazie all'approccio costruttivo che prima ci ricordava, affinché questa legge possa essere approvata e possa rappresentare presto una scommessa vinta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gianluca Cantalamessa. Ne ha facoltà.

GIANLUCA CANTALAMESSA (LEGA). Grazie Presidente. Parto con una premessa, perché credo che non ci sia un italiano di buonsenso che non sia d'accordo sul superamento di questa annosa questione che ha fatto milioni di vittime innocenti. Il 4 aprile, fra l'altro, si celebra la giornata indetta dalle Nazioni Unite, secondo la risoluzione A/RES/60/97, che promuove la conoscenza del problema delle mine e degli ordigni inesplosi. Come già ricordato dai colleghi prima, sia il Trattato di Ottawa che la Convenzione sulle munizioni cluster del 2008 rappresentano le cornici legali internazionali di riferimento per impedire uso, produzione, commercio e stoccaggio di queste armi subdole e tuttora, purtroppo, ancora attive nel mondo. Ordigni capaci di uccidere o mutilare irreversibilmente esseri umani in un solo secondo: ce ne sono ancora in giro milioni. Giusto per fare un esempio, durante la guerra tra Iran e Iraq, dal 1980 al 1988, furono disseminati più di 10 milioni di congegni esplosivi, molti dei quali acquistati anche in Italia; l'operazione di bonifica di quell'area non è ancora finita e molti ragazzi continuano a morire a distanza di anni. In occasione dello scorso 4 aprile, Jody Williams, premio Nobel per la pace nel 1997 per la campagna internazionale antimine, ha voluto mandare un messaggio molto importante: mettere definitivamente al bando le mine antiuomo, così come investire in strutture e in programmi di riabilitazione per le centinaia di migliaia di persone rimaste ferite nei tanti conflitti nei quali si è fatto uso di questi armamenti, non è solo un fatto di giustizia o di risarcimento del male fatto, ma significa anche liberare risorse da destinare a piani per migliorare le condizioni di vita di quelle popolazioni che fuggono da guerre, spesso combattute facendo proprio uso di mine antiuomo. La Nobel statunitense allarga l'orizzonte e, guardando alle tragedie del presente, dalla Siria alla guerra dimenticata in Yemen, rilancia la sfida del disarmo: è un problema di leggi nazionali ma anche di volontà di applicarle su scala internazionale. Si vis pacem, para bellum, da Platone a Napoleone è un motto che sicuramente ha un valore, però immaginare un mondo senza mine, le cui vittime troppo spesso sono persone innocenti, non è un'utopia ma un sano principio di realismo: è un obiettivo che va posto.

Per questo è importante la costruzione di movimenti che parta da opinioni pubbliche e arrivi a influenzare i centri politici decisionali di tutto il mondo. L'Italia può passare dal triste primato di Paese produttore a quello di Paese in prima linea per lenire le sofferenze causate da questi origini. Questo provvedimento - come dicevano prima i colleghi, giustamente, e anche il rappresentante del Governo - era già stato approvato in via definitiva da entrambi i rami del Parlamento durante la precedente legislatura, ma non è potuto entrare in vigore per un mancato coordinamento con l'articolo 7 della legge 14 giugno 2011 n. 95. Il vulnus costituzionale era stato prontamente corretto dalla Commissione finanze, che aveva concluso la revisione del testo, senza però poter procedere alla calendarizzazione e discussione in Aula, per l'imminente scioglimento delle Camere.

Le mine antiuomo sono al bando dal 1999, ma continuano ad esplodere e ad uccidere. Anche in questo caso, come ricordato prima dai colleghi, ogni anno 6.400 persone perdono la vita per colpa delle mine antiuomo e per il 92 per cento si tratta di civili; alcuni li chiamano effetti collaterali. Secondo il rapporto Worldwide Investments in Cluster Munitions: a shared responsibility del 2017, redatto dall'associazione olandese PAX, negli ultimi quattro anni, 31 miliardi sono stati investiti in aziende che producono munizioni a grappolo, concentrate principalmente su 6 aziende, delle quali 2 in Cina, 2 in Corea del Sud e 2 in Occidente; 88, come ricordava prima il collega Ungaro, sono stati gli istituti finanziari che, in modo differente, vedono investimenti nel settore; 166 le istituzioni finanziarie di 14 Paesi coinvolti, a vario titolo, nel finanziamento della filiera delle armi. Reporter di guerra - Gino Strada, come ricordava prima il collega del PD - hanno raccontato ciò che è capitato loro di vedere, con i loro occhi, in aree di guerra dove lavoravano; dall'Afghanistan, alla Somalia, dal Ruanda alla Bosnia; è l'atroce storia del funzionamento di alcune queste bombe utilizzate in tutto il mondo. È un fatto, comunque, che ogni ora almeno una persona muore a causa di un ordigno esplosivo, di una mina. Dagli ultimi dati del 2019, sono circa 7 mila le vittime di questo tipo di armi e residuati bellici: oltre 3 mila i morti e quasi 4 mila i feriti; il 54 per cento di essi sono bambini. L'alto numero di vittime si registra nei Paesi coinvolti in conflitti armati, in particolare Afghanistan, Mali, Myanmar, Nigeria, Siria, Ucraina. Dalla sua prima edizione, nel 1999, il Landmine monitor report conta il numero di vittime e identifica, per difetto, più di 130 mila vittime di mine o residuati bellici esplosivi sparsi sulla Terra.

Al fine di contrastare armi tanto infide e disumane, il 3 dicembre 1997 viene istituito il Trattato di Ottawa, con la firma di 122 Stati, i quali si impegnano a osservare diversi obblighi per lo smantellamento delle mine antipersona. Innanzitutto, essi devono impedire ogni produzione, uso, stoccaggio ed esportazione di ordigni antipersona; quindi, distruggere tutte le mine esistenti nei rispettivi arsenali; ancora, bonificare le aree minate nel proprio territorio; infine, fornire assistenza tecnica e finanziaria per le operazioni di sminamento e l'assistenza alle vittime.

Il 1° marzo 1999, dopo la ratifica del quarantesimo Paese firmatario, il Burkina Faso, il Trattato di Ottawa entra ufficialmente in vigore. L'Italia ha firmato il Trattato di messa al bando delle mine il 3 dicembre 1997 ed è diventata Stato parte del Trattato il 1° ottobre 1999. La condizione di vita di molte vittime delle mine antipersona è migliorata dall'entrata in vigore del Trattato, ma il lavoro non è ancora finito e la campagna internazionale contro le mine chiede che: tutti gli Stati membri si mobilitino per far aderire il più alto numero di Paesi e assicurare il completamento dello smantellamento delle mine dal Pianeta, previsto entro il 2025; che si provveda, quindi, a colmare la lacuna nei servizi di assistenza alle vittime; che non si utilizzino più mine in luoghi ad alto rischio. I dati da tenere in considerazione in questo ambito sono forniti dal rapporto Worldwide Investments in Cluster Munitions: a shared responsibility, nel quale viene denunciato, come dicevo prima, il fatto relativo agli 88 istituti finanziari che hanno investito 9 miliardi di dollari in 7 società coinvolte nella produzione di munizioni.

Non mi soffermerò sugli aspetti tecnici della proposta in oggetto, anche perché analizzati ampiamente dal collega Ungaro. Parliamo di una legge importante, che mira a vietare finanziamenti ad aziende che producono o vendono mine antiuomo o a grappolo, e il cui iter è fermo da 11 anni in Parlamento. Va aggiunto, comunque, che per le mine antipersona esiste già un divieto, previsto dall'articolo 1 della legge n. 374 del 1997.

Concludo citando un aneddoto, drammatico e simpatico, al tempo stesso. C'è stato un tempo in cui ci si è dovuti affidare a un topo, Magawa, per salvare migliaia di vite umane, che da poco si è conquistato la pensione; non è uno scherzo o una favola per bambini, il topo eroe per 5 anni ha annusato il terreno in Cambogia, scovando le mine antiuomo sepolte, in decenni di conflitti, nel Paese del Sud-Est asiatico; ne ha trovate 71, assieme a 28 altri ordigni inesplosi, che potevano costare le gambe, se non la vita, a chi malauguratamente ci avesse camminato sopra. Durante la guerra del Vietnam furono lanciati ordigni, rimasti inesplosi, in Cambogia, Vietnam e Laos; dopo la caduta dei Khmer Rossi, la successiva guerra civile e l'invasione vietnamita, in Cambogia venne posato un numero record di mine; sono decine di migliaia le vittime di questi ordigni, e i topi, per il tramite di un'organizzazione non governativa, hanno ripulito un'area totale di 4 milioni di metri quadrati lo scorso anno, il che non sarebbe stato possibile senza l'aiuto di piccoli eroi come Magawa. I topi, a volte, hanno riparato agli errori degli esseri umani.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Rizzone. Ne ha facoltà.

MARCO RIZZONE (CI). Grazie, Presidente. Arriva in quest'Aula una proposta di legge che per troppi anni è rimasta chiusa nei cassetti polverosi della memoria di questo Paese. A dire il vero, un'analoga iniziativa legislativa era già giunta sino all'approvazione delle Camere nella scorsa legislatura; tuttavia, gli evidenti profili di illegittimità costituzionale e la mancanza della clausola di salvaguardia penale avevano spinto il Presidente della Repubblica a rispedire indietro il provvedimento alle Camere per apportarvi modifiche; una figuraccia e una perdita di tempo. Di fatto, quindi, da oltre 10 anni, in Italia, si attende di conoscere le determinazioni di quest'Assise sulle misure da adottare per il contrasto all'impiego di strumenti di guerra, come quelli del provvedimento odierno, ovvero munizioni a grappolo, dette cluster, e mine antiuomo. Si tratta di un ritardo, a nostro avviso, inaccettabile, anche a fronte dei solenni impegni internazionali che il nostro Paese ha assunto il 3 dicembre 1997, con il Trattato di Ottawa, unitamente ad altri 122 Stati. Ricordo che, con quel Trattato, il nostro Paese si è impegnato a osservare diversi obblighi per lo smantellamento delle mine antipersona: impedire ogni produzione, uso, stoccaggio ed esportazione di ordigni antipersona, quindi, distruggere tutte le mine esistenti nei rispettivi arsenali, bonificare le aree minate nel proprio territorio, fornire assistenza tecnica e finanziaria per le operazioni di sminamento e di assistenza alle vittime. L'impiego nei teatri bellici internazionali di armi di offesa così vili - e, ripeto, vili – è, tuttavia, ben lungi dall'essere minoritario: dal 2012 in Siria si registra, ad esempio, un uso crescente di munizioni cluster e il numero di persone vittime di mine antiuomo continua a essere inaccettabilmente alto. Gli ultimi dati disponibili registrano, purtroppo, circa 7 mila vittime da armi di questo genere: oltre 3 mila morti e quasi 4 mila feriti. Pensate che circa il 54 per cento dei coinvolti sono bambini; pensate ai vostri bambini e immaginate cosa potrebbe succedere se, andando a giocare in un parco, un bambino incappasse in una mina antiuomo. Questo ci dovrebbe fare riflettere; questi numeri testimoniano chiaramente come ancora molto, moltissimo si debba fare, sebbene si sia ottenuto qualcosa a seguito dei Trattati di Ottawa e di Oslo. L'impiego di ordigni bellici di questa natura e gli investimenti colossali che ancora questi attirano - e si tratta di circa 9 miliardi di dollari negli ultimi anni, distribuiti tra Brasile, Cina, India e Corea del Sud - rappresentano il segno tangibile che rimangono ancora ampie e terribili sacche di indifferenza. Per anni, in Afghanistan, i nostri militari sono stati, senza sosta, impegnati nelle operazioni di sminamento del territorio e credo che non si possa non menzionare o dimenticare il contributo straordinario dato dai militari della Compagnia genio Charlie Coy, su base 8° Reggimento Genio Guastatori “Folgore” e Arma dei carabinieri di stanza a Herat, unità altamente specializzate nella gestione della minaccia di ordigni esplosivi, di residuati bellici e mine, supportate anche da unità cinofile come quelle del centro militare veterinario di Grosseto che, con il loro impegno, hanno consentito a quelle popolazioni di poter eliminare una minaccia quotidiana e costante alla loro sopravvivenza.

Onorevoli colleghi, quest'Aula ha tributato un applauso corale, pochi mesi fa, a Gino Strada che fu tra i testimoni più motivati della battaglia contro questo genere di ordigni. Migliaia sono ancora oggi le vittime, insensate, nei conflitti più disparati, nei teatri internazionali, in un'assurda rincorsa all'arma che conduce alle più feroci conseguenze per le cosiddette casualty, vittime casuali, ma che casuali non sono affatto.

Quindi, colleghi, facciamo la nostra parte, perché non c'è più tempo da perdere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie Presidente. Colleghi, il provvedimento al nostro esame, ovviamente, ci vede favorevoli, in quanto esclude in termini perentori la possibilità di finanziare i produttori di mine antipersona, sanzionando le banche e gli altri soggetti operanti nel settore finanziario che sostengano finanziariamente tale attività. Le responsabilità sono anche personali, cioè relative agli amministratori di tali istituti, e sono previste persino misure interdittive, quali la perdita dell'onorabilità e l'impossibilità, per tre anni, di assumere incarichi in società quotate.

Alla base della proposta di legge ci sono due importanti convenzioni internazionali, di cui l'Italia deve tenere conto: la Convenzione di Ottawa e la Convenzione di Oslo. Entrambe si pongono un obiettivo assolutamente condivisibile, cioè quello di limitare l'uso delle armi che colpiscono indiscriminatamente non solo i militari, ma soprattutto la popolazione civile, in particolare i più indifesi, i bambini. Ancora oggi, si registra un numero di vittime troppo elevato: 7.200 nel 2017, metà delle quali sono bambini. Dal monitoraggio del 2017 è stato evidenziato che i Paesi dove maggiormente si usano queste armi sono l'Afghanistan, l'Iraq, il Myanmar, la Nigeria, il Pakistan, la Siria, lo Yemen e persino sul suolo europeo l'Ucraina. L'Italia in passato è stata tra i principali produttori di mine antiuomo. Nel 1993, per fortuna, ha deciso di interromperne la produzione. Tuttavia, secondo il rapporto annuale dell'Osservatorio sulle mine, reso noto dalle Nazioni Unite, ogni anno si fabbricano nel mondo 5-10 milioni di mine antiuomo.

Posto, quindi, il nostro voto favorevole, non possiamo esimerci dal non considerare vari aspetti critici. Sebbene si tratti di una filiera sottoposta a rigidi sistemi di controllo, soprattutto nel nostro Paese, in cui la produzione è vincolata a una stretta regolamentazione e opera in una giurisdizione indipendente e con penetranti strumenti d'intervento, è evidente che, purtroppo, le mine continueranno a prodursi in Paesi con una giurisdizione più debole, se non in veri e propri Stati canaglia, con controlli meno efficienti e con tecnologie che sempre più sfuggiranno al nostro controllo. Questo rende meno efficace il nostro nobile intento. Il futuro in questo settore è caratterizzato da un rapido sviluppo tecnologico e non vorremmo che la legge finisse per bloccare qualsiasi finanziamento in questo ambito, soprattutto in vista di individuarne le misure di contrasto.

La seconda questione riguarda i ritardi e soprattutto i malintesi riferibili ai possibili oneri che questa legge potrebbe produrre. Se va stigmatizzato il ritardo relativo alla presentazione della relazione tecnica da parte del Governo, pure non va sottovalutato che eventuali maggiori oneri non coperti comporterebbero il rinvio alle Camere del provvedimento oppure una sua sostanziale inefficacia, che è proprio quello che non vogliamo. Nella seduta del 4 novembre 2021, il Governo, tramite il sottosegretario al MEF, ha depositato agli atti della Commissione un appunto dell'Ufficio del coordinamento legislativo del Ministero dell'Economia e delle finanze e una proposta di testo coordinato con modifiche e proposte dal Dipartimento del tesoro e dalla Covip, evidenziando che il provvedimento presenta alcune criticità strutturali, che non consentono al Governo di esprimere un orientamento favorevole allo stesso. Il relatore al provvedimento ha contestato i contenuti nell'appunto governativo, sostenendo che quelle indicate nella nota depositata non siano questioni tecniche, ma valutazioni politiche del Governo. Il Governo ha ribadito che il provvedimento è suscettibile di determinare impatti sulla finanza pubblica. Appare anche chiaro che Banca d'Italia, Ivass e Covip non hanno propriamente intenzione di assumersi il ruolo di controllori dell'applicazione della legge sia in termini di costi che in termini di attribuzione di nuovi compiti.

Le Commissioni affari costituzionali, giustizia, affari esteri e politiche dell'Unione europea hanno fatto osservazioni e posto persino condizioni, che non sono state considerate, ma che appaiono di rilievo e andrebbero meglio valutate, anche perché non sono insormontabili.

Forza Italia, quindi, voterà a favore della legge, ma non può esimersi dalla necessità di lasciare agli atti che gli aspetti problematici sopra evidenziati rischiano di bloccarne o depotenziarne l'applicazione, che è esattamente quello che tutto il Parlamento, per una volta unanime, non vuole.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1813​ e abbinata)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Massimo Ungaro.

MASSIMO UNGARO , Relatore. Grazie, Presidente. Nell'intento di favorire lo scambio franco tra Parlamento e Governo, mi sentivo di intervenire e precisare un paio di punti a seguito dell'intervento chiarificatore del sottosegretario Freni e anche del collega Battilocchio, se posso. Procedo per punti, mi scusi, sottosegretario, intanto la ringrazio per il suo contributo all'esame del provvedimento e per rappresentare il Governo. Se mi permette un commento, è difficile qualificare un atteggiamento veramente costruttivo, dopo che noi abbiamo aspettato oltre dodici mesi un parere che ancora non è arrivato; non è ancora arrivata la relazione tecnica - lo ricordo al collega Battilocchio - di un provvedimento, tutto sommato, semplice. Insomma, dodici mesi non è un tempo congruo, secondo noi, con una legge di questa importanza.

Mi chiedo anche se sia veramente un onere importante quello di chiedere di stilare un elenco e se sia inusuale chiedere agli organi di vigilanza di effettuare vigilanza. Queste sono le domande che vorrei fare, ma non voglio essere polemico e voglio andare nel merito dei punti che lei ha sollevato. La definizione di una lista di esclusione di emittenti attivi nella produzione di mine antiuomo o munizioni a grappolo può anche avvenire agevolmente tramite ricorso ad InfoProvider esterni a costi del tutto trascurabili. Non è chiaro, non è evidente che siano necessarie significative risorse aggiuntive, ma aspetteremo veramente la relazione tecnica.

Le vorrei anche ricordare che le Autorità di vigilanza, comprese Covip e Ivass, già oggi, a normativa vigente e per effetto della prassi consolidata di mercato in materia di ESG, sono tenute ad esercitare la vigilanza su mine antiuomo e munizioni a grappolo, nelle modalità previste dal Regolamento (UE) 2019/2088, entrato in vigore in Italia il 10 marzo 2021.

Quindi, io mi chiedo come facciano queste Autorità a dirci, oggi, che non hanno le risorse per fare l'esame e la vigilanza sui produttori di mine antiuomo, quando ci sono già altri provvedimenti europei in cui loro dovrebbero farla. Qui, insomma, c'è qualcosa che non va, lo chiedo soltanto, ma è sicuramente qualcosa che io non afferro.

Nello specifico, ci sono provider come Vigeo Eiris, Sustainalytics, ISS, Refinitiv, che possono fornire liste di produttori di mine antiuomo a costi estremamente contenuti - prendo solo l'esempio dell'Autorità di mercato francese, che citavo poc'anzi -, che potrebbero essere intorno agli 8 mila, 10 mila, euro, vedremo la relazione tecnica che cosa dirà, ma questo è quello che fanno altri Paesi europei che usano provider esterni per identificare le aziende concentrate sulla produzione di carbon fossile per usi termici; sono lo stesso tipo di liste e, quindi, sono costi del tutto risibili, se posso permettermi un'opinione del tutto personale.

Riguardo all'eccezione che ha sollevato l'Ivass nell'appunto che lei ha letto, sottosegretario, io vorrei ricordare che, per effetto della SFDR, che è il Regolamento (UE) 2019/2088 che citavo poc'anzi, già dal 10 marzo 2021 queste Autorità di vigilanza sono obbligate a vigilare sulla trasparenza relativa ai fattori di sostenibilità dichiarati e applicati a market participant, una definizione in cui rientrano anche le compagnie di assicurazione. Le Autorità di vigilanza devono, pertanto, già essere organizzate da tempo a vigilare su questi aspetti. Ne consegue, quindi, che l'applicazione di questa legge non dovrebbe richiedere risorse aggiuntive o le richiederebbe in una dimensione del tutto trascurabile rispetto a quanto già previsto per l'esercizio dell'attività istruttoria e ispettiva a legislazione vigente; aggiungo, inoltre, che non è neanche sconosciuta a Covip e a Ivass, che devono conoscere i requisiti tecnici standard - RTS -emanati dall'ESMA per l'applicazione di questo Regolamento.

Quindi, vorrei capire bene come fanno queste autorità di vigilanza a sopperire a questi obblighi cui devono rispondere.

Nel merito, poi, vorrei ricordare, che è ironico, secondo me, definire la creazione di un elenco come un uso aggiuntivo di finanza pubblica o che possa, addirittura, costituire il finanziamento monetario della Banca d'Italia, quando la Banca d'Italia ha già, in pancia, diverse centinaia di miliardi di BTP.

Vorrei anche ricordare che proprio la Banca d'Italia venne in audizione qui alla Camera nel 2013 - ho qui il testo dell'audizione della Banca d'Italia - e, in questo testo, la stessa Banca d'Italia non fa minimamente cenno agli argomenti che il MEF ci indica oggi nel 2021.

Oltre a questo argomento, oltre al merito, se andiamo alla forma, mi chiedo: se questi rilievi tecnici sono così difficili, fondamentali, che impedirebbero, come diceva il collega Battilocchio, l'implementazione della legge, mi chiedo perché il MEF non l'abbia detto nel 2016, quando la legge è stata discussa al Senato per la prima volta, nel 2017, quando è stata discussa alla Camera per la seconda volta, nel 2019, quando è stata ridiscussa al Senato con i rilievi del Presidente della Repubblica, nel 2020, quando è arrivata alla Camera per il quarto passaggio parlamentare; e questi rilievi sono arrivati a noi in aprile, sei mesi dopo l'approvazione in Commissione finanze. Quindi, lei capisce, sottosegretario, che è difficile convincere un osservatore esterno, che potrebbe vedere in questo un tentativo, forse, di natura ostruzionistica e non propriamente tecnica. Io sono assolutamente convinto della buona fede sua e dell'amministrazione, ma lei capisce che i fatti parlano in un'altra direzione e, quindi, sono qui a chiedere fiducia, ma anche un passo avanti per far arrivare questa relazione tecnica che, ancora oggi, manca. Vorrei dirlo a chi ci ascolta e a tutti i colleghi: questa relazione tecnica non è arrivata e credo che non sia più derogabile, credo che sia una mancanza di rispetto verso il Parlamento, ma, soprattutto, verso il Paese, data l'importanza di una legge come questa. L'Italia non può più aspettare, sottosegretario, e le chiediamo di agire il prima possibile.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, il sottosegretario Freni. A lei la parola, prego.

FEDERICO FRENI, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie, Presidente. Nell'ottica dello scambio franco, come giustamente lo ha definito l'onorevole Ungaro, tra Governo e Parlamento, alcune precisazioni sono direi essenziali.

Anzitutto, oneri e benefici, onorevole Sani. Certamente è pacifico che, qui dentro, tutti remiamo nella stessa direzione, tutti vogliamo che questa legge vada in porto, il Governo per primo, e tutti siamo consapevoli che mandare in porto questa legge disincentiverà chi, ancora oggi, nonostante, lo ribadiamo, viga in Italia il divieto di tutto, rispetto alle mine antiuomo, possa in modo fraudolento finanziarle. Pacificamente siamo tutti, il Governo per primo, allineati in questa direzione. Ringrazio l'onorevole Ungaro che ha riportato la discussione sul binario dopo le osservazioni del Governo, però mi sembra che la stessa abbia preso un indirizzo che non è quello più funzionale, perché, atteso che nessuno discute i benefici della legge, nessuno ne discute il merito, qui ci stiamo appuntando su elementi tecnici - e i rilievi che sono stati depositati in Commissione dimostrano che si tratta solo di rilievi di carattere tecnico normativo e non di merito - che non mettono minimamente in discussione l'impianto né la finalità della legge. E questo ci tengo a ribadirlo per sgombrare ulteriormente il campo da qualsiasi possibile retropensiero dovesse sorgere su questo argomento.

Ogni costo, per quanto piccolo sia, va coperto. La relazione tecnica arriverà, ci siamo impegnati a farla arrivare per tempo; ma ogni costo, anche fossero i famosi 12 mila euro cui faceva riferimento l'onorevole Ungaro, che si spendono in altri Paesi europei, necessita di una copertura. Il che non vuol dire, in assoluto, che la copertura non ci sarà ma, comunque, un conto è quotare una legge a zero, un conto è quotarla con un costo. In ogni caso, la relazione tecnica arriverà, però permettetemi di spezzare una lancia in favore degli uffici del Ministero. Onorevole Ungaro, nessuno, più di chi siede in quest'Aula come voi, sa cos'è successo negli ultimi 12 mesi, sa a quale stress normativo è stata sottoposta quest'Aula e, corrispondentemente, gli uffici del Ministero dell'Economia. Il 2020 e il 2021 non sono stati due anni normali. Che ci siano stati ritardi - e ci sono stati - rispetto a relazioni tecniche come questa è pacifico, ma vi prego di considerare tutto ciò che il Ministero dell'Economia e i suoi uffici hanno fatto negli ultimi 12 mesi per l'Italia, insieme al Parlamento e, quindi, di considerare che quel ritardo non è stato determinato da cattiva volontà, da negligenza, da volontà ostruzionistiche, ma è stato un ritardo determinato da materiale impossibilità di attendere anche a questo segmento. Ribadisco, a nome del Governo, che quel ritardo sarà colmato nelle prossime 24 ore.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 9 novembre 2021 - Ore 9,30:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 12)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132, recante misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP. (C. 3298-A​)

Relatore: CECCANTI.

3. Seguito della discussione dei progetti di legge:

S. 1221 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica gabonese, fatto a Roma il 17 maggio 2011 (Approvato dal Senato). (C. 2656​)

Relatrice: EMILIOZZI.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Sud Africa sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 28 marzo 2017 e a Pretoria il 18 luglio 2017. (C. 2746-A​)

Relatrice: EMILIOZZI.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica argentina sulla collaborazione negli usi pacifici dello spazio extra-atmosferico, fatto a Buenos Aires il 27 febbraio 2019. (C. 2823-A​)

Relatrice: DI STASIO.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Gibuti sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 29 gennaio 2020. (C. 2824-A​)

Relatore: MIGLIORE.

S. 1222 - Ratifica ed esecuzione dello Scambio di note di modifica della Convenzione del 19 marzo 1986 per la pesca nelle acque italo-svizzere tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera, fatto a Roma il 10 e il 24 aprile 2017 (Approvato dal Senato). (C. 2858​)

Relatrice: SNIDER.

S. 1926 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica tunisina sullo sviluppo di una infrastruttura per la trasmissione elettrica finalizzata a massimizzare gli scambi di energia tra l'Europa ed il Nord Africa, fatto a Tunisi il 30 aprile 2019 (Approvato dal Senato). (C. 3038​)

Relatore: BATTILOCCHIO.

S. 1277 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica tunisina in materia di trasporto internazionale su strada di persone e merci, fatto a Roma il 9 febbraio 2017 (Approvato dal Senato). (C. 3042​)

Relatrice: DI STASIO.

4. Seguito della discussione del disegno di legge:

Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia. (C. 2561-A​)

Relatore: DE FILIPPO.

5. Seguito della discussione della proposta di legge:

PELLA ed altri: Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di limitazione del mandato dei sindaci e di controllo di gestione nei comuni di minori dimensioni, nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in materia di inconferibilità di incarichi negli enti privati in controllo pubblico. (C. 1356-A​)

e delle abbinate proposte di legge: SILVESTRONI ed altri; CIABURRO ed altri. (C. 2071​-2240​)

Relatori: BERTI, per la I Commissione; BITONCI, per la V Commissione.

6. Seguito della discussione della proposta di legge:

FERRO ed altri: Modifiche all'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, in materia di compensazione dei crediti maturati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. (C. 2361-A​)

e delle abbinate proposte di legge: CANCELLERI e MARTINCIGLIO; ALESSANDRO PAGANO ed altri. (C. 3069​-3081​)

Relatore: SANI.

7. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 1 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: AMATI ed altri: Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo (Approvata dal Senato). (C. 1813​)

e dell'abbinata proposta di legge: FORNARO. (C. 445​)

Relatore: UNGARO.

8. Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

FORMENTINI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dello scoppio della pandemia di COVID-19 e sulla congruità delle misure adottate dagli Stati di origine del virus SARS-CoV-2 per evitarne la propagazione nel mondo. (Doc. XXII, n. 42-A)

Relatori: FORMENTINI, per la III Commissione; STUMPO, per la XII Commissione.

La seduta termina alle 18,25.