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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 537 di giovedì 8 luglio 2021

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 9.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FRANCESCO SCOMA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Berlinghieri, Enrico Borghi, Maurizio Cattoi, Comaroli, Dieni, Pastorino, Ribolla, Vito e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 99, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge: Meloni ed altri: “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” (A.C. 3179-A​) e delle abbinate proposte di legge: Meloni ed altri; Mandelli ed altri; Morrone ed altri; Bitonci ed altri; Di Sarno ed altri (A.C. 301​-1979​-2192​-2741​-3058​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 3179-A: “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” e delle abbinate proposte di legge nn. 301-1979-2192-2741-3058.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 7 luglio 2021.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3179-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Bisa.

INGRID BISA, Relatrice. Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevole Sisto, onorevoli colleghi, la proposta di legge di cui oggi l'Assemblea avvia l'esame interviene sulla disciplina in materia di equo compenso delle prestazioni professionali rese nei confronti di particolari categorie di imprese, con la finalità di rafforzare la tutela del professionista.

Rammento preliminarmente che la disciplina dell'equo compenso è stata introdotta nella scorsa legislatura per porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti cosiddetti forti, individuati nelle imprese bancarie e assicurative nonché nelle imprese diverse dalle piccole e medie imprese.

Ciò premesso, con riguardo al quadro normativo vigente faccio presente che, in materia di equo compenso, la Commissione giustizia ha avviato, nella seduta del 2 dicembre 2020, l'esame in sede referente di 5 proposte di legge. Dopo un ampio ciclo di audizioni, la Commissione ha deliberato di adottare come testo base la proposta di legge A.C. 3179​, a firma Meloni, Morrone, Mandelli, alla quale, nel corso dell'esame in sede referente, sono state apportate, con la proficua collaborazione di tutti i gruppi, che ringrazio, diverse modifiche.

Nel passare a descrivere il contenuto del provvedimento composto a conclusione dell'esame in sede referente, esso è costituito da 10 articoli.

L'articolo 1 contiene la definizione di equo compenso. A tal fine specifica che, per essere considerato equo, il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai parametri per la determinazione dei compensi previsti, rispettivamente: per gli avvocati, dal regolamento di determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense; per gli esercizi professionali non organizzati in ordini e collegi, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 4 del 2013, da decreti del Ministro dello Sviluppo economico; e per gli altri professionisti iscritti a ordini e collegi, dai regolamenti di determinazione dei parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante la professione.

L'articolo 2 definisce, al comma 1, l'ambito di intervento della proposta di legge, la quale si applica al compenso dei professionisti in relazione alle attività professionali che: hanno ad oggetto la prestazione d'opera intellettuale di cui all'articolo 2230 del codice civile; sono regolate da convenzioni; e che sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, società veicolo di cartolarizzazione (e loro controllate e mandatarie), nonché di imprese che nell'anno precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Le disposizioni, inoltre, si applicano ad ogni tipo di accordo preparatorio e definitivo. Infine, al comma 3 dell'articolo 2 è stata estesa l'applicazione della disciplina anche nei confronti della pubblica amministrazione, delle società a partecipazione pubblica di cui al decreto-legge n. 174 del 2016, e degli agenti della riscossione.

L'articolo 3 stabilisce, al comma 1, la nullità delle clausole, facendo un elenco di tutte le clausole che vengono dichiarate nulle.

L'articolo 4 ribadisce che spetta al giudice, rilevato il carattere iniquo del compenso, rideterminarlo, condannando il committente al pagamento del dovuto; inoltre, il giudice può condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista pari ad una somma fino al doppio della differenza tra il compenso e quello originariamente pattuito.

L'articolo 5 specifica, al comma 1, che gli accordi vincolanti per il professionista conclusi tra quest'ultimo e le imprese di cui all'articolo 2 si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salvo prova contraria. Il comma 2 stabilisce che il termine di prescrizione del diritto al compenso da parte del professionista decorre dalla cessazione del rapporto con l'impresa ovvero, in caso di pluralità di prestazioni rese a seguito di un'unica convenzione e non aventi carattere periodico, dal compimento dell'ultima prestazione. Quanto al comma 3, si prevede che i parametri per la determinazione dei compensi professionali debbano essere aggiornati in cadenza biennale su proposta dei consigli nazionali degli ordini o collegi professionali. Ai sensi del comma 4 è attribuita ai collegi nazionali degli ordini o collegi professionali la legittimazione ad agire in giudizio in caso di violazione delle disposizioni in materia di equo compenso, mentre il comma 5 demanda agli ordini e ai collegi professionali il compito di introdurre norme deontologiche per sanzionare il professionista che viola le disposizioni sull'equo compenso e che nel predisporre il contenuto della convenzione omette di esplicitare alla controparte che il compenso dovrà comunque rispettare tale disciplina.

L'articolo 6 consente alle imprese di adottare dei modelli standard di convenzioni concordati con le rappresentanze professionali; in tali casi i compensi individuati dal modello si presumono equi fino a prova contraria.

L'articolo 7 prevede, al comma 1, la possibilità che il parere di congruità emesso dall'ordine o dal collegio in alternativa alle procedure di ingiunzione di pagamento e a quelle specifiche per le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti dell'avvocato acquisti l'efficacia di titolo esecutivo per il professionista se rilasciato nel rispetto delle procedure e se il debitore non ha proposto opposizione, ai sensi dell'articolo 702-bis del codice di procedura civile, entro 40 giorni dalla notifica del parere stesso. Ai sensi del comma 2, il giudizio di opposizione al parere di congruità avente efficacia di titolo esecutivo si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore nel luogo del circondario ove ha sede l'ordine o il collegio professionale che lo ha emesso e in quanto compatibile nelle forme di cui al richiamato articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2011. Tale richiamo comporta l'applicazione del rito sommario di cognizione, la competenza del tribunale in composizione collegiale, la possibilità per le parti di stare in giudizio personalmente e l'inappellabilità dell'ordinanza che definisce il giudizio.

L'articolo 8 interviene sulla disciplina della decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di responsabilità professionale, individuando nel giorno del compimento della prestazione il relativo dies a quo.

L'articolo 9 consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe proposta dal consiglio nazionale dell'ordine o dalle associazioni professionali, ferma restando la legittimazione di ciascun professionista. La disposizione richiama la disciplina dell'azione di classe ora contenuta nel Titolo VIII-bis del Libro IV del codice civile, entrata in vigore il 19 maggio 2021.

L'articolo 10 istituisce presso il Ministero della Giustizia l'Osservatorio nazionale sull'equo compenso, con il compito di vigilare sul rispetto della legge, esprimere pareri o formulare proposte sugli atti normativi che intervengono sui criteri di determinazione dell'equo compenso o disciplinano le convenzioni, segnalare al Ministero della Giustizia pratiche elusive delle disposizioni sull'equo compenso, presentare alle Camere una relazione annuale sulle proprie attività di vigilanza. L'Osservatorio, nominato per tre anni con decreto del Ministero della Giustizia, dovrà essere composto da un rappresentante designato dal Ministero del Lavoro, un rappresentante per ciascuno dei consigli nazionali degli ordini professionali, due rappresentanti designati dal Ministero dello Sviluppo economico per le associazioni professionali di cui all'articolo 2 della legge n. 4 del 2013.

L'articolo 11 contiene una disposizione transitoria in base alla quale le norme di nuova introduzione, oltre a disporre per l'avvenire, si applicano anche alle convenzioni già stipulate e ancora in corso alla data di entrata in vigore della riforma. Con riguardo alle prestazioni in corso collegate a tali convenzioni la proposta introduce l'obbligo per il professionista di avvisare l'altro contraente dell'applicazione delle nuove disposizioni. Si specifica, tuttavia, che l'inadempimento dell'obbligo è sanzionabile solamente sul piano deontologico.

L'articolo 12, infine, dispone l'abrogazione dell'articolo 13-bis della legge n. 247 del 2012, dell'articolo 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 e della lettera a) del comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che a sua volta dispone l'abrogazione delle norme che prevedevano l'obbligatorietà delle tariffe fisse o minime con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo, onorevole Sisto, si riserva di intervenire. È iscritta a parlare la deputata Parisse. Ne ha facoltà.

MARTINA PARISSE (CI). Grazie, Presidente. La riforma al centro del dibattito odierno nasce dalla valutazione del progressivo peggioramento dei redditi dei professionisti e punta a ristabilire un necessario riequilibrio nei rapporti tra operatori economici, impedendo situazioni che in certi casi si possono definire senza mezzi termini di prevaricazione e di abuso della posizione dominante da parte del committente o del cliente verso il professionista; senza un'equa e giusta retribuzione non c'è dignità per chi lavora. Nonostante la spinta propulsiva dell'ultimo intervento legislativo del 2017 e del 2018 che ha introdotto l'equo compenso per gli avvocati, poi subito esteso anche a tutti i professionisti iscritti agli ordini e ai collegi, l'impatto pratico ad oggi non ha determinato gli effetti sperati. Non si è visto alcun effetto concreto, anzi, sebbene il richiamato principio dell'equo compenso sia stato sancito anche nei rapporti con la pubblica amministrazione, questo non ha impedito il verificarsi di situazioni paradossali alle quali abbiamo assistito, come quelle della pubblicazione da parte della stessa pubblica amministrazione di bandi che non prevedevano alcun compenso per la prestazione svolta a loro favore da professionisti. Non è certamente in questo modo che si rispetta la dignità del lavoro e dei lavoratori e non è pensabile che un'amministrazione dello Stato agisca contravvenendo ad un principio che il legislatore ha sancito e il cui rispetto non può venire meno. L'equo compenso non può essere messo in discussione; è una legge dello Stato ed è proprio lo Stato che per primo ha il dovere di assicurare ai professionisti, della cui opera si avvalgono le amministrazioni pubbliche, un riconoscimento economico adeguato. È quindi maturata sempre più in questi anni la consapevolezza del legislatore di quanto la forza contrattuale di clienti come la pubblica amministrazione, le imprese bancarie e assicuratrici, ma anche alcune imprese di medio-grande dimensione, incida a scapito del professionista sull'equilibrio delle convenzioni tra essi stipulate e di quanto sia impellente intervenire per arginare fenomeni denigratori dell'onore e della dignità dei professionisti.

Il professionista da anni si trova in una situazione nella quale è il soggetto debole. Sappiamo quanto alcune posizioni dominanti siano state in grado di incidere profondamente sulla dinamica dei prezzi e delle prestazioni. Quando un giovane professionista, ipotizziamo un giovane avvocato, lavora per una grande banca o un'assicurazione non è certo il mercato che decide il prezzo. Per questo siamo dovuti intervenire davanti a remunerazioni offensive per la professionalità e per le competenze, perché i professionisti hanno diritto alle stesse tutele costituzionali che sono assicurate ai lavoratori dipendenti (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia). Hanno diritto anche loro a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, come recita l'articolo 36 della Costituzione. E l'esigenza di una maggiore tutela emerge ancora di più in questo momento storico in cui la grave pandemia che ha colpito tutti ha creato una divaricazione sempre più evidente tra le garanzie del lavoro dipendente e i rischi della libera professione, aumentando il pericolo concreto che la fase di ripresa economica prevista per i prossimi anni esponga i professionisti a maggiori distorsioni sui loro compensi. Certo, l'equo compenso non sarà certo una soluzione onnicomprensiva, una panacea di tutti i mali, soprattutto se consideriamo l'impatto delle ferite di lungo corso della crisi economica, in particolare per le nuove generazioni, e l'accumulo di tante situazioni di squilibrio del passato che hanno alimentato una più che comprensibile sofferenza sociale, ma non possiamo più aspettare. Dobbiamo restituire dignità al lavoro e dobbiamo stoppare quelle situazioni contrattuali abusive, soprattutto quelle nei rapporti dei liberi professionisti con i poteri forti, con i committenti forti. Per questo motivo, nel testo del provvedimento è stato necessario chiarire che cosa si intende per equo compenso, ossia quello che è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche delle prestazioni professionali, nonché quello conforme ai decreti ministeriali e alle leggi che disciplinano i compensi per gli avvocati e i professionisti. È stato necessario anche arricchire l'elenco delle clausole vessatorie, cioè quelle clausole che rendono i contratti particolarmente svantaggiosi per il professionista.

Addirittura, abbiamo dovuto inserire la nullità di qualsiasi pattuizione che vieti allo stesso professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che gli imponga l'anticipazione delle spese.

È stato anche necessario prevedere espressamente che le disposizioni di questa legge si applicheranno altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione, delle società a partecipazione pubblica e degli agenti della riscossione. Bene poi che, sempre a loro tutela, sia stato disposto che le convenzioni, i contratti, l'esito della gara, l'affidamento e, comunque, qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore potranno essere impugnati dal professionista e che lo stesso potrà chiedere al giudice la rideterminazione giudiziale secondo i parametri ministeriali e le tariffe. Il giudice potrà inoltre condannare il cliente al pagamento della differenza tra l'equo compenso, da esso determinato, e quanto già versato al professionista ma anche condannarlo al pagamento di un indennizzo in favore del professionista medesimo.

A maggior ragione, si è deciso di introdurre, a garanzia e a tutela delle professioni, un ulteriore articolo: anche i consigli nazionali degli ordini e i collegi professionali saranno infatti legittimati ad adire l'autorità giudiziaria qualora ravvisino delle violazioni in materia di equo compenso e i medesimi potranno anche proporre l'azione di classe per i propri iscritti.

Vede, Presidente, l'esigenza di intervenire su questo tema è stata corale ed è stata rappresentata alla politica dagli ordini professionali, dai collegi, dalle associazioni maggiormente rappresentative dei liberi professionisti. Le novelle introdotte sicuramente vanno incontro alle loro necessità ma è chiaro che questa legge, che si occupa di reintrodurre l'equo compenso per tutte le categorie dei professionisti, non risolve, purtroppo, tutti i problemi, né si supereranno definitivamente tutte queste criticità che sono emerse con la precedente disciplina. Ma questa si inserisce in un percorso che è iniziato nel 2017, che va maturando e che mostra sempre di più il segno del cambio di passo, di un allargamento dell'attenzione che le politiche delle professioni hanno avuto in questi ultimi anni rispetto al passato (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Varchi. Ne ha facoltà.

MARIA CAROLINA VARCHI (FDI). Grazie, Presidente. Io non posso non iniziare questo mio breve intervento in discussione generale esprimendo la soddisfazione mia personale, nella qualità di presidente del gruppo di Fratelli d'Italia in Commissione giustizia, e dell'intero gruppo di Fratelli d'Italia per l'arrivo in quest'Aula, all'attenzione dell'Assemblea, della proposta di legge a prima firma di Giorgia Meloni, che è il nostro presidente nazionale e che, da molti anni, svolge una incessante attività di ascolto nei confronti di tutte le categorie professionali alle quali abbiamo voluto dare voce. Abbiamo condiviso con i colleghi del centrodestra - Lega-Salvini Premier e Forza Italia-Berlusconi Presidente - l'intendimento e la necessità di questa legge. Lo abbiamo fatto con un lungo percorso di mediazione. Come è noto, l'esame in Commissione è stato lungo, ha visto il contributo di tutte le parti politiche, di tutti i partiti, a testimonianza della ampia condivisione che c'è su questo tema che, una volta tanto, non è un'ampia condivisione di maniera, un'ampia condivisione retorica ma una condivisione reale, che si è concretizzata con proposte emendative, con suggerimenti che abbiamo accolto per rendere il testo quanto più completo possibile.

All'esame dell'Assemblea, oggi, c'è la proposta di legge n. 3179-A, che è a prima firma Meloni ed è il frutto, come dicevo prima, di un'ampia sintesi. È una legge molto articolata, una legge sull'equo compenso in favore delle prestazioni professionali, una legge che nasce dalla volontà di riconoscere l'importanza della prestazione d'opera intellettuale nel nostro Paese, che vanta, a livello europeo, una larga presenza di professionisti. È la volontà di riconoscere il giusto merito ai sacrifici delle famiglie, che consentono a tanti giovani di formarsi e, quindi, di avviare una professione. Abbiamo, però, dovuto rilevare, nel corso dei decenni, una eccessiva sproporzione tra le forze in campo, laddove i contraenti in ordine alla prestazione d'opera sono i cosiddetti committenti forti, da un lato, e i professionisti, dall'altro. Ecco perché abbiamo voluto individuare una platea che fosse, certamente, più ampia di quella originariamente ricompresa da altre proposte di legge ma che per noi è un punto di mediazione, perché la nostra originaria proposta era ancor più inclusiva sotto questo aspetto. Abbiamo considerato l'ambito di applicazione, comprendendo tutte le convenzioni, comprendendo le banche, le assicurazioni, anche la pubblica amministrazione e le società sue partecipate, gli agenti della riscossione e le grandi imprese, che abbiamo voluto individuare con dei parametri, cioè i 50 dipendenti e i ricavi, 10 milioni di euro individuati con riferimento all'anno di esercizio precedente. Abbiamo svolto una attività di ricognizione, anche statistica, per comprendere quali siano i maggiori casi di vessatorietà di clausole applicate a questo tipo di contratto di prestazione d'opera professionale.

Quindi, abbiamo cercato di allargare quanto più possibile la platea dei professionisti coinvolti. Perché lo abbiamo fatto? Perché, soprattutto al giorno d'oggi, c'è una necessaria considerazione che deve farsi guardando all'attualità. Adesso, a fatica, stiamo recuperando una parvenza di normalità ma non possiamo certamente tacere sul fatto che, nell'ultimo anno e mezzo, i professionisti sono stati tra le categorie meno tutelate dai Governi che hanno guidato l'Italia in questa stagione di emergenza, che è stata un'emergenza sanitaria ma che è stata anche una emergenza economica. Quindi, abbiamo tenuto presente la necessità di tutelare quante più categorie professionali fosse possibile. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che ci si avvii verso una sorta di proletarizzazione delle categorie professionali, a dispetto di chi, sventolando bandierine ideologiche, ancora vorrebbe qualificare questi titolari di partita IVA come “i ricchi”. No, per noi non sono i ricchi, per noi sono degli uomini e delle donne, alle loro spalle ci sono degli studi professionali, ci sono delle famiglie che vivono con il loro lavoro e sono tutte persone, cittadini italiani, che vanno tutelati dalla committenza forte che vorrebbe spremerli come limoni, riconoscendo loro compensi, talvolta, veramente irrisori e non decorosi per la qualità e per la quantità del lavoro svolto.

In sintesi, questi sono i primi due articoli della legge, così come noi li abbiamo voluti immaginare, con il contributo di quanti hanno partecipato al dibattito in Commissione.

La legge è assolutamente articolata, contiene anche altre previsioni che hanno una portata certamente innovativa, come l'efficacia del parere di congruità e la possibilità, in qualche maniera, di garantire una procedura più veloce per il recupero del credito.

Abbiamo voluto introdurre delle ipotesi di nullità, quindi oltre la mera declaratoria di vessatorietà, prevedendo proprio la nullità per una serie di clausole, che noi abbiamo individuato sempre facendo riferimento all'incessante attività di ascolto che abbiamo svolto e ai dati statistici che ci sono stati sottoposti in ordine agli episodi che maggiormente si verificano in questi rapporti. Questa presunzione assoluta di nullità – chiamiamola così, sia pure impropriamente – delle clausole vessatorie, in luogo di una mera declaratoria di vessatorietà, a nostro avviso è un passo in avanti importante. È un elenco tassativo, chiaramente, e cerca di porre fine a questo forte squilibrio tra il professionista e il cosiddetto committente forte.

La proposta di legge prevede anche una sanzione; naturalmente, quelle di ordine deontologico riguardano i professionisti, perché, per tutte queste categorie, è necessario isolare chi pone in essere comportamenti che, oltre ad alterare gli equilibri del mercato, finiscono per privare quelle professioni della necessaria dignità che anche la società dovrebbe riconoscere loro. Quindi, per fare da contrappeso a questa previsione, abbiamo introdotto la possibilità che il giudice, laddove riconosca che al professionista è dovuta una differenza tra il compenso pattuito e quello percepito, possa aumentare la differenza con una sanzione, a titolo di indennizzo, fino al doppio. Noi crediamo che questo possa fungere da forte deterrente nei confronti della committenza che, diversamente, non avrebbe nemmeno questo spauracchio - chiamiamolo così - della sanzione economica; tale sanzione, applicata su larga scala su rapporti professionali cosiddetti massivi, può avere efficacia come deterrente.

Noi abbiamo cercato di rendere questo testo quanto più equilibrato possibile, anche in ordine alla possibilità di adire l'autorità giudiziaria per il riconoscimento del proprio diritto all'equo compenso. In questo senso, una delle novità più significative è la possibilità che l'azione di classe venga proposta, non solo dai consigli nazionali, ma anche dalle associazioni maggiormente rappresentative. Lo abbiamo voluto fare, poiché riteniamo che, in questa epoca storica, le associazioni abbiano svolto un importante ruolo di collegamento tra i propri iscritti e la classe politica, tra i propri iscritti e le associazioni, facendosi spesso portatrici di legittime istanze, alle quali è necessario che la politica dia seguito.

Quindi, in estrema sintesi, queste sono le peculiarità di questa proposta di legge, il cui esame, chiaramente, è rimandato al vaglio più approfondito dell'Assemblea, che si svolgerà nei prossimi giorni. Però, è necessario fare un passo indietro, per ripercorrere le ragioni che hanno portato Fratelli d'Italia a voler chiedere a questa Assemblea - facendo leva sulla propria quota di opposizione – di indicare nella propria agenda politica una chiara priorità per l'equo compenso in favore delle prestazioni professionali. Queste ragioni sono, innanzitutto, di ordine sociale, perché - come dicevo prima – le professioni sono praticate da un numero sempre maggiore di italiani; quindi, tutelare i professionisti significa tutelare la famiglia. Molto spesso, i professionisti sono donne e sappiamo benissimo che, soprattutto nelle regioni del Sud, dove i servizi per le famiglie sono presenti in misura ridotta, una donna, ancor più se è una professionista, non ha le tutele che, invece, hanno i lavoratori subordinati. Questo è un dato di fatto, sicuramente non è una scoperta copernicana. Quindi, soprattutto per le donne che esercitano una professione, esercitare una professione spesso significa rinunciare alla famiglia, alla possibilità di essere contemporaneamente lavoratrice e mamma. Noi vogliamo che tutto questo non accada più. Noi abbiamo preso atto con grande rammarico delle statistiche che ci hanno assegnato la fotografia di una società in cui spesso, per la stessa prestazione professionale, un uomo riceve un compenso maggiore di una donna. Noi crediamo che tutto questo non sia più possibile. Allora, mi auguro che questa proposta di legge trovi in Aula la stessa convergenza che ha trovato in Commissione, per un esame che proceda velocemente. Questa proposta di legge, a nostro avviso, è un primo passo per tutelare l'etica di uno Stato che deve riconoscere una certa equità, che deve individuare il giusto prezzo delle prestazioni professionali. Nella proposta di legge si fa riferimento alla qualità e alla quantità, senza tralasciare tutto ciò che vi è dietro una prestazione professionale: gli anni di studio, la specializzazione, la formazione e gli investimenti, spesso non supportati da adeguati incentivi da parte dello Stato. Ecco, dobbiamo prenderne atto; parlo, ovviamente, anche a nome della mia generazione che è la prima generazione che in Italia ha visto sfumare il sogno del posto fisso – spesso, fatto a pezzi anche da una satira travolgente di comici italiani -, che ha fatto i conti con la necessità di inventare - perché altrove esistevano già, ma in Italia non erano ancora praticate - tante nuove professioni. Noi vogliamo dare voce a tutti questi italiani, vogliamo far capire che decidere di studiare per esercitare una professione non deve essere un privilegio per chi ha le spalle coperte dalla famiglia, ma una possibilità in uno Stato etico, perché vi è una certa equità nei compensi delle prestazioni. Per tutte queste ragioni, noi riteniamo che questa proposta di legge abbia i requisiti per consentire maggiori tutele, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, dove ancora vi è un certo divario di genere tra uomini e donne e tra generazioni, soprattutto a discapito delle più giovani. Quindi, per tutte queste ragioni, noi siamo stati disponibili ad accogliere tutte le proposte, tutti i suggerimenti, assolutamente pregevoli, che sono giunti da tutti i partiti che hanno voluto partecipare al dibattito, a testimonianza di come Fratelli d'Italia, anche in questa stagione che vede il nostro l'unico partito di opposizione, sia in grado con le sue proposte di offrire non solo al Parlamento, ma all'Italia tutta, ragioni di dibattito approfondito su temi che stanno a cuore agli italiani. Ovviamente, non posso che concludere, ringraziando tutti i colleghi che in Commissione hanno messo da parte qualsiasi steccato ideologico per contribuire alla realizzazione di un testo che possa agevolmente superare l'esame di questa Assemblea e ancor più il vaglio, che certamente sarà penetrante, in sede europea.

Termino questo mio intervento, ribadendo la nostra piena soddisfazione e ringraziando, ovviamente, gli uffici, che hanno lavorato incessantemente, e la relatrice, la collega Bisa. Tutti quanti hanno reso possibile l'arrivo in Aula, per la giornata di oggi, di questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vitiello. Ne ha facoltà.

CATELLO VITIELLO (IV). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, onorevole relatrice, intervengo con piacere, oggi, nella discussione generale sull'intervento normativo in esame, perché si tratta di un provvedimento che si inserisce nel solco già tracciato dal Governo della precedente legislatura, relativamente alla categoria a cui appartengo - quella degli avvocati -, con la previsione contenuta nell'articolo 13-bis della legge n. 247 del 2012 - la cosiddetta legge professionale - successivamente riformata in melius nel 2018 e poi, perché si tratta di una proposta di legge che gode di un sostegno trasversale, che vede impegnate tutte le forze politiche qui rappresentate, a dimostrazione del fatto che il problema è davvero sentito indistintamente da tutti e che c'è necessità, ancora oggi, di scongiurare prassi abusive e di eliminare la costante minaccia alle redditività delle attività professionali.

Ora, quella dell'equo compenso non è una disciplina semplice, non lo è perché, nonostante le previsioni di cui all'articolo 36 della Costituzione e dell'articolo 2233 del codice civile, c'è ancora bisogno di qualche correttivo al fine di attuare un giusto bilanciamento di interessi fra la tutela della libera concorrenza e quella del professionista, la soddisfazione del lavoro del professionista. Si ricorderà, infatti, che l'articolo 13-bis della legge n. 247 del 2012, a cui facevo riferimento prima, sovvertì lo schema preferenziale previgente, sia pure con riguardo ad un ambito soggettivo e oggettivo ristretto, secondo il quale si procedeva all'applicazione dei parametri come previsti dal decreto ministeriale solo nel caso in cui il compenso non fosse stato determinato in forma scritta, ovvero in ogni caso di mancata determinazione consensuale, ovvero ancora in caso di liquidazione giudiziale dei compensi o, infine, nei casi in cui la prestazione professionale fosse resa nell'interesse di terzi o per prestazioni ufficiose previste dalla legge. Fu approvato? Sì, fu approvato, nonostante il parere contrario dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, secondo cui l'introduzione di fatto dei minimi tariffari incideva sulla concorrenza, impedendo ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. Però, colleghi, occorre chiedersi, oggi come allora: ma è davvero il prezzo della prestazione il principale strumento di concorrenza? Badate, non faccio riferimento esclusivo alla categoria degli avvocati; questo discorso riguarda tutti i professionisti. Io credo proprio di no e credo di no perché, per gli avvocati, come per tutte le categorie alle quali facciamo riferimento, la concorrenza si fonda su elementi costitutivi, quali la qualità, la quantità, la specialità e le caratteristiche dell'incarico. Allora, bene si è fatto a modificare la disciplina contenuta nella legge professionale forense e bene si fa oggi ad estendere quelle garanzie minime - così come tracciate nella Costituzione - agli altri professionisti. Come accennavo in precedenza, l'equo compenso è un principio generale ed ormai è un dato scontato questo; fa i conti, però, con fonti sovraordinate, inserendosi nel più ampio quadro della libera concorrenza, così come contemplata dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; declinato a livello di legislazione ordinaria, richiede attenzione e precisione, per restare nei limiti imposti dalle norme sovranazionali.

Ricordo, in questa sede, che la direttiva 2006/123 CE del Parlamento e del Consiglio europeo, infatti, vieta l'introduzione di nuovi requisiti restrittivi, quali le tariffe, salvo che gli stessi non rispettino le condizioni di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Quest'ultima condizione, in particolare, impone che le restrizioni di fonte normativa debbano essere tali da garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito, non debbano andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo e che non debba essere possibile sostituire tali misure con altre meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato. Ma quella precisione di cui parlavo occorre anche - e non è affatto secondario - per garantire la tutela dei relativi diritti in sede giurisdizionale. Perciò si è giustamente fatto ricorso all'istituto della nullità di protezione, che, in quanto tale, opera solo a vantaggio del professionista e può essere rilevata anche d'ufficio, a fronte di varie clausole vessatorie iuris et de iure, perché indice di squilibrio contrattuale fra le parti. Solo per citarne alcune, faccio riferimento alle clausole che incidono direttamente sul compenso, quando è fissato in misura minore rispetto agli importi stabiliti dai decreti ministeriali; alle clausole che vietano allo stesso professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione; alle clausole che impongono allo stesso l'anticipazione di spese; alle clausole che attribuiscono al committente o cliente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso; a quelle che impongono prestazioni ulteriori diverse a titolo gratuito o, ancora, a quelle che riservano al cliente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto. In pratica, è il mio lavoro, Presidente, ed è quello che mi succede quotidianamente e che succede a tutti i professionisti, al cospetto di una committenza sempre più attenta a vessare il professionista.

Complessivamente, ritengo si possa dire senza problemi che si tratta di un buon impianto normativo, che soprattutto ha colto e accolto le criticità prospettate dai rappresentanti delle categorie in occasione delle audizioni. Tra tutte, a titolo esemplificativo, faccio cenno a quelle avanzate da Confprofessioni, poi tradottesi nell'allargamento della disciplina a tutte le categorie di professionisti, di cui alla legge n. 81 del 2017, e nell'applicazione della disciplina in esame anche ai rapporti che intercorrono tra i professionisti e la pubblica amministrazione. Ribadisco professionisti e pubblica amministrazione perché questo argomento riguarda forse in maniera principale il rapporto fra i professionisti e la pubblica amministrazione. È noto ai più il caso di un professionista pagato 1 euro dal comune di Catanzaro per la redazione del nuovo regolamento comunale, che fu poi oggetto di una sentenza del Consiglio di Stato nel 2017. Resta un esempio, Presidente, perché la quotidianità è piena di professionisti il cui lavoro non è equamente ricompensato dalle pubbliche amministrazioni e - diciamocelo - la normativa sul punto è sempre stata piuttosto lacunosa e frammentaria. Quindi, bene che si sia posto un freno anche a queste pratiche di abuso legalizzato, perché poi, nel rapporto con la pubblica amministrazione, il professionista soccombe in maniera automatica.

Ritengo - e mi avvio a concludere, Presidente - che questo provvedimento sia perfettamente in linea con il tempo che viviamo, un tempo in cui è stato difficile per i liberi professionisti poter immaginare un futuro dignitoso per le proprie famiglie, per le proprie attività e - perché no - anche per i propri collaboratori. Un tempo a cui abbiamo il dovere di rispondere con un obiettivo chiaro: i principi generali dell'ordinamento devono essere declinati in modo tale da assicurare tutele e dignità ai lavoratori! Soprattutto adesso, in questo momento molto difficile, per tutto il Paese e per le categorie di lavoratori di tutte le professioni, in qualsiasi campo si esplichi la loro attività professionale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Tateo. Ne ha facoltà.

ANNA RITA TATEO (LEGA). Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi e colleghe, in quest'Aula oggi noi stiamo dibattendo di equo compenso, ma prima di entrare nel merito vorrei realmente ringraziare per il lavoro svolto il sottosegretario Francesco Paolo Sisto e la relatrice, mia collega, onorevole Ingrid Bisa, che con grande determinazione, competenza e professionalità, insieme ai membri della Commissione giustizia, hanno portato in Aula questo provvedimento che è stato atteso dai professionisti e, in particolar modo, dal mondo degli avvocati, di cui mi onoro di far parte.

Presidente, ad onor del vero è stato detto anche precedentemente dei miei colleghi, già nella scorsa legislatura i nostri predecessori si sono occupati di questo tema, però, purtroppo, non ha sortito gli effetti sperati e già dall'inizio di questa legislatura si è affrontata la questione. Infatti, all'epoca, l'onorevole Jacopo Morrone, che era sottosegretario per la Giustizia, insieme a Matteo Salvini hanno posto le basi per una vera e propria riforma sull'equo compenso; hanno aperto dei tavoli di concertazione con le parti interessate e, poi, ovviamente, dopo l'ascolto, è stata depositata una proposta di legge. Tanto il nostro ascolto è arrivato anche in Commissione, perché il Presidente ha incardinato, dopo notevoli pressioni da parte dei deputati della Lega, questo provvedimento. Quindi, in seno alla Commissione si è aperto un dibattito ampio e costruttivo, che si è concluso con questa proposta di legge, che noi oggi qui stiamo discutendo. Questa proposta di legge non modifica un articolo; abroga innanzitutto la normativa precedente, ma è composta da dieci articoli. Questo cosa significa? Che, insieme al sottosegretario e insieme alla relatrice, abbiamo cercato di portare un qualcosa che serva realmente ai professionisti.

Infatti, all'articolo 1, abbiamo dato la definizione di equo compenso, che è la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e anche al contenuto e alle caratteristiche delle prestazioni professionali.

Nell'articolo 2, voluto dalla Lega e dal collega Morrone, abbiamo previsto l'estensione dell'applicazione della disciplina dell'equo compenso alla pubblica amministrazione e a tutte quelle imprese che hanno occupato nell'anno alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi superiori ai 10 milioni di euro nell'anno precedente.

Anche l'articolo 3 è stato voluto dal mio partito e disciplina in modo analitico e puntuale le nullità delle clausole che prevedono un compenso non equo. Inoltre, negli articoli successivi, abbiamo previsto un indennizzo a favore del professionista, qualora venga accertato dal giudice il carattere di non equo compenso, la disciplina dell'equo compenso, quindi accordi preparatori, parametri di riferimento; si prevede anche la presunzione di equità. All'articolo 7 si stabilisce che il parere di congruità, emesso dall'ordine o dal collegio professionale, costituisce titolo esecutivo. Oltretutto, è stata disciplinata anche la prescrizione per l'esercizio dell'azione di responsabilità professionale, l'azione di classe. Altro istituto importante è l'Osservatorio nazionale sull'equo compenso, istituito presso il Ministero della Giustizia, che vigili sull'osservanza delle disposizioni di questa proposta di legge.

Quindi, Presidente, penso che il lavoro della Commissione, oggi portato qui in Aula, sia un lavoro eccellente; finalmente, è un primo tassello per ridare dignità ai professionisti.

Stiamo uscendo da questa brutta pandemia che ha portato anche una crisi economica notevole, per cui noi lavoriamo, siamo qui per lavorare sempre e solo nell'interesse dei cittadini e di tutti i lavoratori.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bazoli. Ne ha facoltà.

ALFREDO BAZOLI (PD). Grazie, Presidente. Anche io farò un breve commento su questo provvedimento che arriva in Aula dopo un andamento un po' schizofrenico in Commissione; abbiamo fatto una lunga istruttoria, come di prammatica, e poi c'è stata un'improvvisa accelerazione finale per concludere i lavori, figlia anche di un dissidio che si è creato in Commissione tra gruppi politici che volevano rivendicare la primogenitura su questo testo di legge e che ci ha costretto ad un lavoro un po' affannato per arrivare in Aula oggi. Quel dissidio ha portato ad un testo unificato, approvato in Commissione come testo base, obiettivamente affrettato - diciamo la verità, era un piccolo mostriciattolo giuridico perché metteva insieme proposte di legge un po' confliggenti tra loro - e ci ha obbligato, quindi, ad una grande rincorsa, per riuscire ad arrivare in Aula oggi, che ha visto la collaborazione di tutti i gruppi parlamentari - penso che questo sia stato riconosciuto da tutti - nonché una regia accurata e assolutamente efficace del sottosegretario, dell'amico, Sisto. Ciò ha consentito di portare in Aula un testo profondamente diverso da quello approvato come testo base in Commissione - e io dico: per fortuna - che, secondo me, è decisamente ragionevole ed equilibrato.

Ho sentito, nella discussione generale, tante rivendicazioni che sono figlie anche di questa discussione che c'è stata in Commissione; mi dispiace dover deludere le colleghe e i colleghi che sono intervenuti, ricordando che l'equo compenso nel nostro ordinamento già c'è, già c'è, perché lo ha introdotto, nella scorsa legislatura, l'ex Ministro Orlando (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e lo sanno benissimo i professionisti che dell'equo compenso di quella legge già si sono avvalsi. Qualunque professionista, qualunque avvocato che, per esempio, lavori con assicurazioni o con banche, cioè con i clienti forti, rispetto ai quali la legge sull'equo compenso di Orlando ha cercato di tutelare i professionisti, sanno che, da quel momento, le convenzioni che disciplinano i rapporti professionali tra quei grandi clienti e i professionisti sono cambiate; le condizioni economiche sono cambiate perché quella legge ha introdotto il principio dell'equo compenso. Allora, diciamo un po' le cose come stanno, perché altrimenti qui sembra veramente che parliamo del nulla. Diciamo che questa è una legge che anche noi condividiamo, perché abbiamo collaborato in maniera costruttiva in Commissione - e nessuno può negarlo -, anche a fronte di questa accelerazione che, francamente, mi sarei risparmiato. Io avrei preferito una discussione sulla fase emendativa un pochino più accurata, ma abbiamo accettato anche questo perché siamo leali e siamo costruttivi, però ricordiamo e diciamo con chiarezza che questa è una legge che completa una riforma che già c'è: non è che introduce nell'ordinamento l'equo compenso, cari colleghi! Diciamo le cose come stanno: i professionisti lo sanno; è inutile che ci inventiamo le cose. Allora, è una legge che completa una riforma che già c'è, una riforma che è stata introdotta dall'ex Ministro Orlando e che è bene - io quindi condivido ciò - che vada migliorata. Questo è il vero punto, perché questa legge migliora e completa una riforma che è stata già introdotta e che aveva bisogno di alcuni aggiustamenti, ed è quello che si fa con questa legge, quindi noi condividiamo l'impianto complessivo.

Passo in rassegna brevissimamente quali sono i miglioramenti e poi concludo. Si estende la legge e si introducono norme che consentono l'estensione di questa legge che tutela i liberi professionisti dai grandi committenti che, dopo l'abolizione di tariffe minime, hanno imposto ai professionisti molto spesso contratti - diciamo la verità - un po' capestro, con tariffe rispetto alle prestazioni erogate molto spesso inadeguate a riconoscere la professionalità e il lavoro dei liberi professionisti. Quindi, quella legge, introdotta da Orlando, aveva questo obiettivo; quella che venne fatta nella scorsa legislatura era una legge che si applicava a tutti i professionisti, perché fu introdotta prima per gli avvocati e poi per tutti gli altri professionisti.

Però c'era un problema: quella legge faceva riferimento a parametri che alcune categorie di professionisti, cioè quelli non tutelati da ordini professionali o collegi, non avevano e non li hanno. Attenzione, quindi, perché, altrimenti si ricostruiscono le cose in maniera un po' troppo libera: nelle proposte di legge esaminate in Commissione, nonché nel testo base, che abbiamo approvato, non c'era questa norma, ma l'abbiamo introdotta nel lavoro che abbiamo fatto insieme al sottosegretario Sisto; mi riferisco a quella che consente anche ai professionisti non riuniti in collegi e in ordini di avere i criteri cui parametrare i compensi. Lo abbiamo fatto insieme nel lavoro in Commissione perché non c'era nelle proposte iniziali, cari colleghi. Ricordiamolo: è grazie al lavoro che abbiamo fatto insieme, di corsa, perché abbiamo l'urgenza di offrire, a chi vuole intestarsi questa legge, questa possibilità. Di corsa abbiamo introdotto questa misura; grazie, quindi, a questo lavoro collegiale.

Quindi, c'è questa possibilità, finalmente, anche per tutti gli altri professionisti, di avere il riconoscimento dei parametri ai quali dovrà attenersi l'eventuale giudice a cui si rivolgerà il professionista per denunciare il mancato equo compenso. Si è estesa la platea dei clienti a cui si applica l'equo compenso: era previsto che fossero le grandi imprese bancarie, assicurative, le grandi imprese, quindi, non le piccole e medie imprese. Si amplia la categoria, estendendo anche alle piccole imprese, un pochino più piccole rispetto a quelle previste nella legge originaria.

Si precisa, inoltre, a proposito delle clausole vessatorie, che tali clausole già c'erano. Attenzione, anche in questo caso, diciamo le cose come stanno: già c'erano le clausole vessatorie, sono state introdotte dalla “legge Orlando”; quindi, non si modifica nulla, salvo una clausola vessatoria che si introduce in più, ma c'erano già. Inoltre, era prevista la nullità di quelle clausole vessatorie. Oggi si precisa - e penso sia una cosa buona - che quelle clausole non saranno clausole vessatorie, ma nulle tout court, evitando così un'ambiguità presente nel vecchio testo e che era opportuno eliminare, ma le clausole già c'erano, sia ben chiaro.

Si introducono ulteriori misure che penso siano utili, come l'azione di classe, che può essere fatta sia dagli ordini e dai collegi, ma anche dalle associazioni maggiormente rappresentative: bene.

Si introduce l'Osservatorio sull'equo compenso, che serve a verificare l'applicazione effettiva di questa norma nell'ordinamento: bene. Si introducono poi ulteriori previsioni che riguardano anche la possibilità che il giudice, nella valutazione dell'equo compenso, possa risarcire il libero professionista, anche attraverso una condanna del cliente che abbia approfittato di convenzioni che violavano la legge, di ulteriori somme a titolo di indennità e a titolo risarcitorio. Complessivamente, penso sia una buona legge che completa una riforma già introdotta nell'ordinamento; una legge - attenzione - che abroga una norma precedente, l'articolo 13-bis della legge n. 247 del 2012, e un altro articolo, che prevede l'estensione a tutti i professionisti, ma lo fa, incorporando quanto era già previsto e migliorandolo. Non è che fa una cosa totalmente diversa, perché riprende quasi integralmente le previsioni, che già c'erano, della “legge Orlando” e le completa e le migliora; quindi, molto bene, siamo d'accordo. Penso sia stato fatto un buon lavoro e che, magari, con la calma dovuta ad un tema così importante e delicato, si possa anche ragionare, in vista della discussione in Aula - non ho in questo momento certezza al riguardo - per eventuali ulteriori miglioramenti. Ci affidiamo pertanto alla discussione in Aula con questo spirito: uno spirito assolutamente di condivisione, costruttivo, che va in questa direzione. Quindi, una condivisione assoluta di fondo per portare a termine, nel modo migliore possibile, una proposta di legge, sulla quale c'è una larga condivisione. Figuratevi se non siamo d'accordo noi che l'abbiamo introdotta nella scorsa legislatura. Quindi, benissimo: è stato fatto un lavoro, per quanto complesso, accurato, che speriamo poi si possa completare ulteriormente in sede di discussione in Aula.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cristina. Ne ha facoltà.

MIRELLA CRISTINA (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la proposta di legge, giunta oggi all'esame di quest'Aula, costituisce il frutto del fattivo e costruttivo sforzo, compiuto dalle forze politiche, tanto della maggioranza quanto dell'opposizione, per dare una risposta alla vexata quaestio del diritto all'equo compenso delle prestazioni d'opera intellettuale. Molto si è discusso sul testo base da adottare, un testo che potesse rappresentare il miglior substrato sul quale confrontarsi su un tema assai dibattuto e ora, come tutti sappiamo, di grande attualità. Adottato il testo base in Commissione giustizia abbiamo lavorato in sinergia di intenti ma anche - occorre dirlo perché assai vero - in piena armonia con il sottosegretario, onorevole Sisto. E siamo riusciti nel nostro intento di condurre in Aula un testo il più completo e condiviso possibile. Il tema dell'equo compenso è di grande rilevanza, anch'esso posto a tutela e a difesa del rispetto e decoro dei professionisti che rappresentano una parte importante del nostro tessuto economico. Tutelare contrattualmente il professionista rappresenta oggi un dovere del legislatore per non lasciare spazio a patti leonini, destinati a danneggiare i professionisti stessi perché, senza un'equa e giusta retribuzione, non vi è dignità per chi lavora e ce lo dice anche la nostra Costituzione, all'articolo 36. Infatti, il principio dell'equità del compenso professionale, nella sua duplice dimensione di diritto soggettivo del professionista ad un trattamento equo ed interesse della collettività alla qualità della prestazione professionale e alla dignità della professione, costituisce la solida attuazione del diritto costituzionale. Oltre a ciò, l'equo compenso riveste un ruolo strumentale all'attuazione del principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, tanto con riferimento alla sua dimensione formale, quale divieto di discriminazione tra le categorie di lavoratori, quanto con riferimento alla sua dimensione sostanziale, quale impegno dello Stato alla rimozione degli ostacoli che limitano, di fatto, l'uguaglianza dei cittadini. Al contrario, nel nostro Paese, le iniziative legislative, intraprese in passato, hanno preso le mosse da un grave fraintendimento: negli ultimi anni, la cultura politica italiana ha confuso liberalizzazione e deregolamentazione ed è qui che si incardina questa proposta di legge che non completa una riforma, che già c'è, ma pone una precisa regolamentazione. Equivocando in passato il concetto economico di concorrenza, che presume una complessa cornice regolatoria, atta a garantire opposte istanze, quali equità, lealtà e diritti di partecipazione alla competizione economica, il legislatore ha cercato di ottenere un mercato libero tramite la pura e semplice deregolamentazione. Dunque, nell'assoluto rispetto della normativa europea, come lo è la presente proposta di legge, occorre creare un sistema che incentivi correttamente la concorrenza che, di sicuro, permetterebbe di raggiungere una migliore allocazione delle risorse, di stimolare in modo più determinante gli investimenti e l'innovazione tecnologica e soprattutto di rendere la dinamica dei prezzi più contenuta, a tutela e beneficio dei consumatori. La politica della concorrenza, quindi, conducendo ad un'apertura dei mercati, potrebbe costituire lo strumento idoneo ad accrescere la produttività e a rafforzare la possibilità di crescita economica. Tuttavia, l'esito delle riforme italiane non è stato questo: non di certo l'auspicato mercato libero, un mercato concorrenziale di servizi professionali, bensì una preoccupante giungla, un mercato sregolato, nel quale la legge del più forte ha finito con il prevaricare i diritti dei più deboli. Si pensi al processo avviato con le liberalizzazioni della cosiddetta legge Bersani, la n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006. Liberalizzazioni che, da un lato, hanno creato effetti collaterali e distorsivi, con il risultato di un diffuso precariato professionale tra giovani e professionisti. Infatti, in assenza di una precisa regolamentazione, anche il cliente, il più delle volte, non è in grado di apprezzare la qualità delle prestazioni e la congruità dei compensi. A tale andamento si sono poi accompagnate vere e proprie prassi contrattuali distorsive, in particolare nei rapporti dei liberi professionisti con i committenti cosiddetti forti; si pensi alle imprese bancarie e assicurative, nonché alle imprese diverse dalle PMI, in grado di condizionare il consenso del professionista, in virtù della pressione esercitata dalla mole di affari promessa. In questi casi, convenzioni e altre forme contrattuali a carattere generale hanno imposto al professionista condizioni economiche e modelli di organizzazione del lavoro che hanno svilito il decoro della professione e la stessa libertà professionale. Nello specifico, tale problematica si è manifestata con riferimento alle gare previste per l'affidamento di contratti ed opere pubbliche, in primo luogo, rispetto ai contratti pubblici aventi ad oggetto servizi professionali, nei quali la disciplina vigente non tiene in debita considerazione la qualità della prestazione e la dignità del professionista, con esiti di rincorsa al ribasso delle offerte economiche; in secondo luogo, con riferimento ai contratti per la realizzazione di opere pubbliche, al cui interno sia necessario prevedere compensi per prestazioni professionali; si pensi, a titolo di esempio, alle prestazioni di ingegneri, architetti, avvocati, notai. In questi casi, la logica del ribasso ha implicato la previsione delle offerte economiche di compensi irrisori per i professionisti. Non deve sottacersi, tra l'altro, come la pubblica amministrazione abbia contribuito in prima persona all'abbattimento dei compensi professionali, decurtando sistematicamente i compensi previsti per incarichi affidati con determinazioni amministrative.

Il punto più basso e svilente di questo orientamento è stato raggiunto con i noti casi dei bandi per prestazioni professionali da rendere a titolo gratuito, provenienti perfino da amministrazioni apicali dello Stato. Si precisa che la disciplina dell'equo compenso non è affatto limitata al settore privato, ma è estesa anche alle amministrazioni, che sono tenute a garantire il principio dell'equo compenso. È evidente, dunque, che l'assoluta inadeguatezza del vigente impianto normativo del diritto all'equo compenso è stata dispersa in una pluralità di fonti. Il fenomeno non è secondario, sol che si consideri che il contributo dei professionisti al PIL italiano si attesta intorno al 12,4 per cento del mercato del lavoro indipendente, occupando circa 900 mila dipendenti. Oggi ci stiamo occupando finalmente dei diritti di questi lavoratori, il contributo dei quali è sempre più indispensabile in uno scenario ad elevatissima complessità normativa, quale il nostro. Questa proposta di legge speciale si vanta in quest'Aula di essere completa perché, con la collaborazione delle varie competenze che hanno lavorato ad essa, ha recepito la buona parte e la parte più intelligente delle proposte emendative presentate, nessuna esclusa. Di ciò Forza Italia va orgogliosa, perché è una PDL in cui troviamo abbinata e parte integrante la nostra proposta di legge, il cui primo firmatario è il collega, onorevole Andrea Mandelli, che aveva ritenuto già necessario procedere ad un intervento correttivo che potesse agire sui vari profili di criticità, su un tema fondamentale come quello che stiamo trattando e che avrà, per certo, il giusto apprezzamento in quest'Aula e costituirà un validissimo apporto agli esercenti le libere professioni e alle attività di lavoro autonomo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Sarno. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO DI SARNO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario Sisto, la proposta di legge in esame recepisce molti contributi derivanti dal testo presentato in Commissione dal MoVimento 5 Stelle e tutela il diritto del professionista ad ottenere un giusto ed equo compenso nei rapporti contrattuali che lo riguardano, in linea col principio già sancito dall'articolo 2233 del codice civile, secondo il quale la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

Oggi nessuna garanzia è prevista al riguardo in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, non essendo stabilita alcuna sanzione di nullità il professionista non può far valere l'inadeguatezza del compenso in presenza di un accordo che lo preveda in misura irrisoria, neanche sotto il profilo dell'articolo 36 della Costituzione, che dispone per il lavoratore una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

Si tratta, dunque, di un'importante iniziativa legislativa che rappresenta un punto di riferimento per tutti i professionisti, considerando anche il diritto del cittadino-consumatore di ottenere una prestazione di qualità, impossibile da garantire al di sotto dei livelli minimi di compenso previsti dai parametri ministeriali. Si ristabilisce, dunque, un necessario riequilibrio nei rapporti tra operatori economici, nel quadro di un'efficace garanzia del contraente debole e della promozione e della coesione sociale.

Presidente, la proposta di legge è volta a reintrodurre l'equo compenso in favore di tutte le categorie di professionisti. A tal fine, si prevede di inserire nel codice civile, nella parte che disciplina le professioni intellettuali, disposizioni analoghe a quelle già inserite nell'ordinamento forense, per rendere effettiva la norma civilistica e per garantire un'equa e giusta retribuzione anche a tutti gli altri lavoratori professionisti.

Presidente, concludo segnalando anche con soddisfazione l'accoglimento di un nostro emendamento che estende anche ai professionisti non organizzati in ordini o collegi le tutele stabilite nella proposta di legge in esame, perché anche queste categorie professionali rappresentano una parte importante del mondo del lavoro e offrono ai propri clienti servizi professionali, ad un numero rilevante di cittadini, imprese ed enti pubblici. Dunque, con questo provvedimento sarà garantita a tutti i professionisti pari dignità professionale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Mi permetta, innanzitutto, di fare una osservazione. Vede, dalle parole del collega si capisce un po' l'atteggiamento del Partito Democratico, cioè che non c'è la capacità di riconoscere un merito neanche quando il merito c'è. Allora, mi permetto di sottolineare che il merito di Fratelli d'Italia, con la proposta Meloni, è stato quello di riportare in quest'Aula un dibattito che era percepito come essenziale. Non è colpa nostra se siamo più attenti di altri ad ascoltare le vere esigenze di un mondo produttivo, perché quello dei professionisti è il mondo produttivo italiano. Dopo 14 anni di nefasta attesa, dopo la legge di conversione del “decreto Bersani” e dopo gli 8 anni di attesa dalla conversione del “decreto Cresci Italia” di Monti, finalmente riportiamo al centro del dibattito un tema così importante, quello dell'equo compenso.

Noi chiariamo subito che, sul piano squisitamente giuridico, per equità si deve intendere la giustizia del caso concreto, che in tema di compenso professionale richiama l'esigenza di un'applicazione della regola economica temperata, proporzionale ed adeguata alle caratteristiche del singolo incarico. Come molti sanno, all'epoca del “decreto Bersani” e poi del successivo “Cresci Italia” si giustificarono le decisioni del legislatore, sbandierando la necessità, da un lato, di adeguare la normativa italiana a quella europea, liberalizzando il mercato, e, dall'altro, di favorire il rilancio economico e dell'occupazione, aiutando i giovani professionisti. Questo è quello che leggiamo dalle cronache dell'epoca.

Oggi sappiamo con certezza che nessuno di quegli obiettivi è stato mai conseguito. Anzi, abbiamo soltanto avuto effetti contrari: prima abbiamo ascoltato la Corte di giustizia europea pronunciarsi per il riconoscimento dell'obbligatorietà delle tariffe negli Stati membri; poi abbiamo analizzato i dati che ci hanno palesato l'assenza di benefici del sistema produttivo ed economico; infine, abbiamo assistito allo schiacciamento dei giovani, la parte debole, dalla speculazione selvaggia al ribasso, e chi, come me, all'epoca era un giovane professionista, lo ricorda bene.

Il pregiudizio con il quale il legislatore di allora approcciò il tema delle tariffe e dei minimi tariffari non era giustificabile neppure alla luce del contesto normativo europeo: basti pensare alla cosiddetta direttiva Bolkestein che, per interpretazione della stessa Corte di giustizia europea, non vieta in alcun modo agli Stati membri di introdurre i limiti minimi tariffari con la propria legislazione interna; si pensi al caso della Germania, dove i professionisti lavorano sulla base di tariffe molto dettagliate, che non sono predisposte autonomamente dagli ordini professionali ma introdotte dallo Stato o sotto il suo controllo. Del resto, non vi è chi non veda che da quella impostazione non si trasse alcun beneficio per il cittadino-consumatore ma, al contrario, si realizzò un assist invitante ai poteri forti, che ha poi portato al tragico impoverimento delle professioni intellettuali al quale assistiamo oggi.

Quindi, sì, era necessario questo provvedimento, era necessario ed era necessario farlo adesso. La velocità con la quale si è voluto affrontare questo tema – che, mi pare, abbia trovato, però, assoluta condivisione da parte di tutti i gruppi – non è determinata dalla volontà di intestarsi una battaglia, è determinata dalla volontà di porre finalmente rimedio ad una situazione di fatto che, da troppo tempo, era stata ignorata; e nessuna norma precedente di questo si era occupata in maniera così diffusa, tant'è che il provvedimento Meloni ricomprende, ingloba ed amplia la platea delle persone alle quali si riferisce.

È fondamentale che entri nella cultura di tutti la consapevolezza che riconoscere, ad esempio, ai legali un compenso adeguato e dignitoso significa garantirsi una prestazione professionale di qualità e un avvocato autonomo e indipendente, ottenendo così una tutela effettiva della propria domanda di giustizia. Dunque, quella sull'equo compenso non è una battaglia di cartello, non è una battaglia sindacale: è una battaglia per la tutela effettiva dei diritti e delle prestazioni professionali. Sostenibilità della professione e qualità della prestazione sono due facce della stessa medaglia, ed è in questo contesto che si è sviluppato il dibattito parlamentare all'interno della Commissione, segno della presa di coscienza della necessità di tutelare un numero rilevante di soggetti storicamente ritenuti forti, ma che, alla prova dei fatti, si sono rivelati il punto debole di una catena sul quale si sono riversate le inefficienze del sistema. La Commissione giustizia si è impegnata nell'esame di varie proposte di legge in materia di equo compenso nell'intento, mi pare di poter dire condiviso, di tutelare il diritto del professionista di ottenere un giusto bilanciamento nei rapporti contrattuali che lo riguardano e concretizzare così il principio di cui all'articolo 2233 del codice civile: la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

La proposta atto Camera n. 301 di iniziativa dell'onorevole Meloni interviene su questa disciplina codicistica, cosa che sino a questo momento non era stata fatta da alcun provvedimento precedente, disponendo la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato per lo svolgimento di attività professionali ossia che prevedono un compenso inferiore ai parametri o alle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali fissati con decreto ministeriale, abrogando finalmente le norme della “legge Bersani” in materia di tariffe professionali. La proposta Meloni aggiunge poi un tassello importantissimo: prevede che gli ordini e i collegi professionali adottino disposizioni deontologiche per sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell'obbligo di convenire o preventivare un compenso giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale e conforme ai parametri o alle tariffe ministeriali. Oggi la tutela del principio di equo compenso è del tutto assente, e chi dice il contrario mente sapendo di mentire, perché, lo sappiamo dalla lettura delle sentenze della Suprema Corte di cassazione, non è prevista alcuna sanzione di nullità. Il professionista non può far valere l'inadeguatezza del compenso in presenza di un accordo che lo preveda in misura irrisoria, neanche sotto il profilo dell'articolo 36 della Costituzione. Del resto, crediamo anche che il principio debba essere esteso rispetto alla pubblica amministrazione; pensiamo che queste tutele debbano essere fatte valere anche nei confronti della pubblica amministrazione. E mi viene in mente quanto pubblicato dal MEF, che chiedeva la partecipazione di consulenti a zero compensi; questo accadeva a febbraio 2019 e si giustificava dicendo che il tema dell'equo compenso, che si riferisce ai rapporti professionali di lavoro nell'ambito del settore privato, non può essere applicato alla pubblica amministrazione. Eppure la disciplina dell'equo compenso non è affatto limitata al settore privato e anche le pubbliche amministrazioni sono tenute a garantire il principio dell'equo compenso. Del resto, il divieto di incarichi gratuiti non è ancora un principio consolidato nemmeno per i giudici; infatti, mentre il TAR Campania, ad ottobre 2018, dichiarava l'illegittimità di bandi su prestazioni professionali rese a titolo gratuito, il TAR Lazio, nel 2019, concludeva nel senso contrario, sostenendo che la gratuità rientra nella libera scelta del professionista.

La legge ha individuato nei parametri ministeriali il contenuto minimo a presidio della dignità dei lavoratori autonomi e il riferimento a questi parametri è divenuto il segnale minimo di una corretta ed equa individuazione del compenso. Anche in questo caso, però, sebbene la legge professionale forense preveda che i parametri siano aggiornati ogni due anni, con decreto del Ministro della Giustizia, i parametri relativi ai compensi degli avvocati sono fermi al 2014 e, ancor peggio, i valori per gli avvocati, aggiornati con l'ultimo decreto pubblicato nel 2018, sono uguali a quelli previsti ormai più di 7 anni fa. Non possiamo accettarlo, è legittimo e doveroso che milioni di persone, di lavoratori e di famiglie che svolgono la professione intellettuale vengano pagate il giusto. Presidente, e concludo, quella dell'equo compenso è una battaglia che Fratelli d'Italia porta avanti da tempo e sulla quale auspichiamo si possa trovare la più ampia convergenza possibile in quest'Aula perché siamo fermamente convinti che equità sia sinonimo di dignità e i nostri professionisti meritano la loro dignità (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. – A.C. 3179-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.

Il seguito del dibattito è pertanto rinviato ad altra seduta.

Vi era una richiesta di intervento di fine seduta dell'onorevole Zennaro, che non è presente in Aula; si intende che vi abbia rinunziato.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Venerdì 9 luglio 2021 - Ore 9,30:

1. Discussione sulle linee generali del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, recante misure urgenti connesse all'emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali. (C. 3132​)

La seduta termina alle 10,25.